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4. [PDF] Il carcere visto da dentro - Assemblea Legislativa

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Lettere<strong>Il</strong> <strong>carcere</strong> è diventato un contenitore di numeri inqualificabili,di uomini invisibili a cui non è consentito, per“legge non scritta”, di essere tali nella propria dignità.È di questi giorni l’amara constatazione <strong>da</strong> parte di autorevolioperatori penitenziari: siamo costretti a pensareunicamente al posto letto “chiuso” in una cella, cioè a sistemaresu un materasso maleodorante, posizionato perterra, o su un letto a castello alto tre metri, più persone.Un posto letto chiuso in una cella, dove tutto puòessere condiviso, persino il nulla, il vuoto, la follia diuna inaccettabilità, in una discarica disposta a macerarediritti e doveri acquisiti, ma cancellati <strong>da</strong>lla memoriagiuridica e sociale di un intero paese, sempre più influenzato<strong>da</strong>ll’ideologia fai <strong>da</strong> te.In questa punteggiatura dell’esclusione appare semprepiù ostico ribadire l’urgenza di formare persone eidee per umanizzare il penitenziario, per umanizzare lapena, per umanizzare una giustizia detenuta anch’essa,e quindi mal interpretata di conseguenza.Conduttori di aree pe<strong>da</strong>gogiche e della sicurezza, “obbligatia pensare soltanto al posto letto”, di fronte aquesto sfinimento di intenzioni e volontà c’è il rischiodi perdere contatto con la realtà che circon<strong>da</strong> e umiliale persone che sopravvivono nei perimetri della vergogna,i quali rimangono illusoriamente simboli dellacorretta punizione, della auspicabile rieducazione, dellasperanza a recuperare alla collettività uomini migliori.Eppure <strong>dentro</strong> quei posti letto chiusi in una cella, nonc’è più traccia di gri<strong>da</strong> e sussulti di indignazione per itroppi ragazzi che decidono di togliersi la vita, di risocializzarsiin un’altra “occasione”, non si odono esternazioniaspre né si contraggono scomposti i rimorsiper questo silenzio colpevole.Anzi si parla di laboratori teatrali, ergoterapici, formativi,di impegno a tutto tondo per creare benefiche intrusionicatartiche, terapeutiche, ma forse con più onestàintellettuale bisognerebbe parlare di intrattenimento veloce,in molti casi di perditempo studiato a tavolino.Carcere duro, <strong>carcere</strong> flessibile, <strong>carcere</strong> che ancora nonc’è, se non quello del contenitore dove ognuno reclamaqualcosa ma nessuno espropria l’utopia che contaminae corrode il fare competente di tanti operatori.Forse non è importante spendere parole che richiamanoalla responsabilità, forse è sufficiente comprendere che“il carico di castigo della pena si stempera nel momentoin cui si riconosce il primario interesse della collettività arispettare la dignità della persona reclusa, assicurandolecondizioni di vita improntate a criteri di umanità”.E checchè se ne dica, ciò non può esser interpretatocome una mera concessione.Vincenzo Andraous42 letteredi Christoph BakerMa siamo sicuri?Da un po’ di tempo, episodi di violenza (stupri, aggressioni, bullismo, sterminio di famiglie intere)riempiono le prime pagine dei giornali e dei telegiornali. Mentre gli fanno eco le guerree gli attacchi terroristici che continuano imperterriti a ricor<strong>da</strong>rci che la violenza, il più dellevolte, è la stra<strong>da</strong> privilegiata <strong>da</strong>gli uomini, dovunque essi vivano, qualunque sia la loro culturae storia. Allora si levano forti i richiami a più repressione, a più controlli, a più punizioni. Mala vera sicurezza non è pistolera. Non passa per la militarizzazione del quotidiano.<strong>Il</strong> problema non sta nelle strade, sta invece <strong>dentro</strong> ognuno di noi. È perché siamo cosìinsicuri di noi stessi, che vige l’insicurezza nel nostro quotidiano. Vogliamo essere duri,mentre siamo fragili. Vogliamo sembrare forti, mentre siamo vulnerabili.Abbiamo paura, allora vogliamo tutto sotto controllo.<strong>Il</strong> caliceInvece la sicurezza sarebbe piuttosto accettarsi così come siamo.Sentirsi bene <strong>dentro</strong>, “sentirsi sicuri di sé”. Ed an<strong>da</strong>re incontroalla vita con le braccia e le mani aperte, non con i pugni chiusi ela pistola in tasca…

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