Le storie26Care Giver:il donatoredi assistenzaAbbiamo scelto tre storie che raccontano, anche sein modo diverso, il dramma della malattia vissuto davicino, le gioie e i dolori, i dubbi e le speranze.Un sentito grazie a chi ci ha scritto.Oggi il paziente è al centro di un"sistema salute" in cui si muovonotante figure: il medico, l'infermiere,lo specialista e colui che in famiglia onel gruppo degli amici ne diviene il"caregiver", cioè la persona che si assumein modo principale il compito dicura e di assistenza al malato.Questo impegno ha anche rilevantirisvolti socio-economici. Il tempo dedicatodal caregiver all’attività assistenzialepuò raggiungere spesso l’equivalentedi una giornata lavorativa, il che significache nelle situazioni più gravi la funzionedi caregiver diventa pressochéincompatibile con qualsiasi attivitàlavorativa. Anche per quanto riguardal’attività di vigilanza/sorveglianza èrichiesto molto tempo che aumenta conil progressivo avanzare della malattia.Il ruolo del familiare che si occupadell’assistenza, in Italia, è principalmentesvolto dalle donne (73.8%),generalmente mogli e figlie, che neicasi gravi, ospitano il malato in casa(65%).Statisticamente i caregiver si trovanoin prevalenza in età attiva:il 30,95%ha fino ai 45 anniil 38,2% ha tra i 46 e i 60 anniil <strong>17</strong>,95tra i 61 e i 70 anniil 13%oltre i 70 anniDal punto di vista professionaleil 31,9%è pensionatoil 27,75%è casalingail 20,65% impiegato o insegnanteil 5,75% artigiano o commercianteil 4,45% dirigente/professionista.(dati Censis)Abbiamo fatto un esperimento:abbiamo chiesto, ai nostri 46 mila “fan”di Facebook, una loro testimonianzaper raccontarci in prima persona la lorostoria di care giver; chi può spiegarloLaura e Giuseppemeglio di loro? Tante sono le rispostearrivate e per ognuno di loro vorremmodire grazie. Abbiamo scelto tre storie,tre persone che, seppur in modo diverso,hanno vissuto da vicino il drammadella malattia rimanendo a stretto contattocon il proprio familiare. I dubbi ele domande di Tamara, la “corazza” diLaura necessaria a trasmettere forza equel curioso scherzo del destino che havisto Carla essere prima volontaria AILe poi paziente, sono solo alcune dellelettere arrivate in redazione. In futurocercheremo di dare spazio a tutti perchécrediamo che queste testimonianzepossano fare del bene, anche se carichedi dolore.«Non ho una vera e propria storiadel mio compito di CareGiver, ma dei flash di piccolecose. I primi esami nel cestino dellamia bici e le lacrime: piangevo e pedalavo,era l’unico momento in cui potevoconcedermi quella domanda “Ma chemedico è l’ematologo?” e la mia rispostaera sempre “Che ne so io, uno comeun altro, dormi”.Le ore infinite di attesa assieme adaltre decine di persone, sforzandomisempre di sorridere e parlare, raccontaree di nuovo sorridere e parlare.Quella volta che in preda alla confusioneed al delirio più totale andai dalProfessore minacciandolo che se non loavesse guarito lo avrei portato anche incapo al mondo e avrei pagato qualunqueprezzo; i giorni di chemio ad aspettarefuori dalla porta del bagno, impotentee disperata e gli sguardi quasiimpauriti ed increduli che ci siamoscambiati quando ci hanno avvisatoche c’era un donatore compatibile; lacanzone allegra e stupida che cantavo asquarciagola nei 45 minuti di auto chemi dividevano dall’ospedale, 4 volte algiorno per molti mesi e quella ciotolinadi gnocchi al ragù portata in reparto edivorata prima con gli occhi che con labocca. Ricordo quel parlare sempre al
Le storie27Tamara e suo marito.plurale: ’prendiamo’ le medicine, ‘facciamo’gli esami, ‘andiamo’ alla visita.Sono passati tanti anni e ora, fortunatamente,si ride di nuovo nella miafamiglia. Questa esperienza ci ha legatoindissolubilmente l’un l’altro, così comeha legato per sempre mio marito adun’equipe medico-infermieristica fuoridal comune e ad un giovane generosoDonatore.Il mio compito di Care Giver è finito…orasono solo “moglie”.Tamara«Solo oggi ho scoperto, leggendoFacebook, di essere stata unCareGiver. Io e Giuseppe cisiamo conosciuti l'ultimo anno di liceo,un colpo di fulmine che si è trasformatoin un amore di otto anni, finito quandola leucemia ci ha separati.Il giorno di Natale del 2005 ci hannodetto che era malato e in quel momentoti trovi davanti a un bivio: scappare orestare e lottare. Io ho scelto di restareal suo fianco, sono diventata la suainfermiera, la spalla su cui piangere,anche se non piangeva mai, non silamentava mai ma ti guardava solonegli occhi, sperando che tu capissitutto quello che lui non riusciva a dire.La cosa più importante è diventatalui, le sue esigenze e la sua felicità. Tusemplicemente ti metti da parte, giustoo sbagliato che sia. Ma lui non mi hamai messa da parte... si preoccupava dime, più che di lui. La cosa più difficileè stata vedere il ragazzo forte e sportivosconfitto da una malattia invisibile, e leimpotenze di non poterlo evitare. Inquel momento ero io quella forte perentrambi.Il cancro non colpisce solo il malato,è un terremoto, devastante nell'epicentro,ma che fa danni anche altrove.Giuseppe, dopo due trapianti, è mortoa 26 anni nel maggio 2006. Posso solodire che sono stata fortunata a essere lasua CareGiver”.Laura«Quando mi sono ammalata,ero volontaria AIL da quasiquattro anni. Non potevocerto immaginare che il mostro uscissedalla caverna e ghermisse proprio meche, nel medesimo reparto, vivevo labestia come un nemico da affrontareassieme ai pazienti. Con pazienza, concostante impegno. Con il cuore disponibileall’ascolto ed alla condivisione.Avevo imparato che il “triangolo magico”formato da malato, famiglia e terapeuta,doveva e poteva diventare unpoligono speciale. Il malato, la famiglia,l’equipe terapeutica, i volontari e tuttigli individui disponibili a sostenere unpeso troppo grande per una personasola. Un cerchio magico che sorregge,supporta e resiste.Sapevo anche che il paziente, concentratosu sé stesso, investe moltedelle sue energie a vivere le cinque fasi(negazione, rabbia, contrattazione,depressione ed accettazione), andandoavanti ed indietro come su una tastieradi un pianoforte monco che suona unamusica triste e distorta. Allora, il ruolopiù difficile spetta da sempre al CareGiver. Il parente o l’amico, il confidenteo l’eletto che si carica la difficile crocesulle spalle e applica la proprietà dellaresilienza: quella speciale qualità checonsente di resistere agli eventi, riordinarela propria vita, costruire una nuovadimensione che consenta al malato eda sé stesso di vivere questa terribileesperienza con dignità, con tenacia,con quell’insospettata energia necessariaper lottare e sperare.Ho imparato da volontario che unaparola giusta, detta al momento opportuno,ha il valore di un incantesimo.Da malato ho scoperto il valore delsilenzio. Un sorriso ed uno sguardod’intesa o solo il cenno del capo.Ho avuto la fortuna di essere sostenutae condivisa da più persone che mihanno donato e mi donano, tanti segnidi affetto, di amicizia, di tenerezza, dipuro bene disinteressato. Tracce diprofonda umanità. Ho letto nello sguardodi questi esseri speciali, i CareGivers, la fatica di una routine dura edimpietosa, di una impotenza dolorosadavanti ad un evento incontrollabilecome uno tsunami che distrugge senzaalcuna pietà relazioni consolidate erapporti decennali. Si sa: quando sicostruisce sulla sabbia, la prima mareggiataporta via tutto, ma la roccia dell’affettoe della sincerità sostiene le fondamentadi qualunque costruzionemessa a dura prova.L’ambizioso progetto di un malato èquello di sopravvivere al male e ritornarealla normalità. La normalità avrànuove priorità e diversi scopi. Il CareGiver, non certo l’amico dell’ultima oraod il compagno distratto, raccoglie ilfrutto più prezioso: quello che maturad’inverno, quando le intemperie dannofilo da torcere alla vita. Pensieri edintenzioni, gesti semplici e benevoleazioni sono opportunità per chi siammala e per chi ne ha cura. Un donospoglio quello della generosità, ma undono il cui valore risulta incommensurabile,quando la vita assume il gustoamaro della sofferenza. Quando il presenteè l’unica cosa che conta e il destino,il fato, un disegno divino ha correttola rotta, ha sottratto un’inutile bussolae lascia che si navighi a vista.Carla