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Agosto 2009 - Enea

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Periodico della Società Italiana di CitometriaVol. 18, Num. 2DIRETTORE RESPONSABILERaffaele De VitaCOMITATO EDITORIALEMarco DanovaDipartimento di Medicina InternaSezione di Medicina Internaed Oncologia MedicaUniversità e I.R.C.C.S. - Policlinico S. MatteoPaviaRaffaele De VitaUnità Tossicologia e Scienze BiomedicheENEA - Centro Ricerche CasacciaRomaEugenio ErbaIstituto Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”MilanoGiuseppe StaraceIstituto Medicina Sperimentale CNRRomaVolume 18, numero 2, <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>Lettere GICPeriodico della Società Italiana di CitometriaAutorizz. del trib. di Roma n° 512/92 del 17/9/92Edizione quadrimestraleSpedizione in abbonamento postaleGrafica: Renato CafieriStampa e Pubblicità:SOMMARIO<strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>Le sottopopolazioni linfocitarie e le molecoleco-stimolatorie nei pazienti con tumore 7Cristina Maccalli, Tiziano De Tomaso, Lorenzo Pilla, Chiara Giudice,Alessio Palini, Giorgio ParmianiMisura dell’attività dei checkpoint del ciclo cellularedopo trattamento chemioterapico 13Paolo Ubezio, Monica Lupi, Francesca Falcetta, Valentina ColomboApplicazione della citometria a flusso per lavalutazione della displasia eritroide nelle sindromimielodisplastiche 19Matteo G Della Porta, Cristina Picone, Anna Maria Tenore, Erica Consensi,Monica Portolan, Laura Sozzani, Laura VanelliConfronto tra metodi diversi nella valutazione delpositivo: risultati dell’applicazione dell’analisi dicluster al fenotipo di un gruppo di pazienti affettida leucemia promielocitica acuta 27Nadia ViolaRedazione:SocietàItaliana diCitometriac/o Unità Tossicologia e Scienze BiomedicheENEA Centro Ricerche Casaccia, s.p. 016Via Anguillarese, 301 - 00123 ROMA 06/30484671 Fax 06/30484891e-mail: devita@enea.ithttp://biotec.casaccia.enea.it/GIC/Invito alla lettura 33a cura di “Ale”News in Bibliografia 37a cura di “Ale”In Libreria 38a cura del “Lettore”Associato allaUnione StampaPeriodica ItalianaIn copertina: dal lavoro “Applicazione della citometria aflusso per la valutazione della displasia eritroide nelle sindromimielodisplastiche” di M. G Della Porta, C. Picone,AM. Tenore, E. Consensi, M. Portolan, L. Sozzani, L.Vanelli. Iron metabolism in bone marrow erythroid progenitorcells. Abbreviations: TRF = transferrin; Fe = iron; HF= Heavy chain Ferritin; LF = Light chain Ferritin; IRP =iron regulatory proteins; IRE = iron regulatory elements.Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> SOMMARIO5


Le sottopopolazioni linfocitarie e le molecoleco-stimolatorie nei pazienti con tumoreCristina Maccalli 1 , Tiziano De Tomaso 1 , Lorenzo Pilla 1 , Chiara Giudice 1 , Alessio Palini 2 ,Giorgio Parmiani 11Unità di Immuno-Bioterapia del Melanoma e Tumori Solidi, Divisione di Oncologia Molecolare;2Servizio di Citometria, Istituto Scientifico e Universitario Fondazione San Raffaele, Milanoe-mail: giorgio.parmiani@hsr.itMetodologia per lo studio dei linfociti nei pazienti contumore: citofluorometria e immuo-istochimica.E’ stato dimostrato che l’attivazione della risposta deilinfociti T dipende almeno da due segnali, uno mediatodal recettore T (TCR) che riconosce il complessoMHC/peptide (in restrizione MHC di classe I o II) e ilsecondo da molecole co-recettoriali espresse dalle celluleche presentano l’antigene (APC, antigen presentingcells), esemplificate dalle cellule dendritiche. Le celluledendritiche si differenziano per questa funzione cheviene mediata e modulata da diverse molecole e loroligandi tra cui B7-1 e -2 (CD80 e CD86) e molte altre(es. 4-1BB, OX-40, CD40, ICOS/GITR/CD27/CD70).Altri co-recettori contribuiscono invece a ridurre larisposta immune dei linfociti T (es. CTLA4, PD-1/2, B7-H1 e B7-H4).Lo studio di queste molecole sia sotto il profilo strutturaleche funzionale ha avuto un notevole impulso in questiultimi anni e ha consentito di acquisire nuove e importantiinformazioni anche nei rapporti tra sistema immunee neoplasie.Questi progressi sono stati favoriti dai paralleli progressinelle tecniche di identificazione di queste molecole edella loro attività funzionale. Si tratta soprattutto deglisviluppi della tecnologia cito-fluorimetrica nel caso dianalisi di sospensioni cellulari e di quella immuno-istochimicaper quanto attiene allo studio dei tessuti. Lemanipolazioni geniche delle cellule con spegnimentoselettivo (si pensi ai siRNA) o inserimento di genimediante diversi tipi di vettori, forniscono ulteriore tecnologiemolecolari per una riprova funzionale di ciò cheviene più direttamente studiato con le tecniche di cuisopra.Le diverse sottopopolazioni di linfociti T.Un significativo progresso nelle conoscenze dei rapportitra sistema immune e tumori è venuto dalle ricerche sullesottopopolazioni dei linfociti T e NK, per merito anche didiversi immunologi italiani come Antonio Lanzavecchia,Lorenzo Moretta e Sergio Romagnani. Sono state cosìidentificate sia dal punto di vista fenotipico (marcatori)che funzionale le sottopopolazioni di linfociti T non attivate(naive), quelle responsabili della memoria centralema prive di attività citotossica diretta, le cellule T memoriama con funzione effettrice particolarmente importantiper il controllo della crescita neoplastica (Lanzavecchia eSallusto, 2005). Un contributo rilevante alle conoscenzesulla complessa interazione tra sistema immune e tumori èstata la scoperta e caratterizzazione dei linfociti T regolatori(Treg) capaci di interferire con la risposta immuneanti-tumore indotta anche da trattamenti di immunoterapiaa(Curiel, 2007; Quiao et al., 2007). Come nel casodelle molecole co-stimolatorie o co-immunosoppressive(vedi più avanti), i tumori umani possono esprimereFoxP3, marcatore di T regolatorie che consentirebbe allecellule neoplastiche di attivare una risposta soprattutto deilinfociti T soppressivi facilitando così la crescita del tumorestesso (Ebert et al., 2008).Altra popolazione di cellule immunosoppressive è quelladelle cellule di derivazione mieloide che aumentano,così come le Treg, nei pazienti con progressione deltumore dove riducono la capacità citotossica dei linfocitieffettori attraverso il rilascio di citochine quali IL-10 eTGFβ (Filipazzi et al., 2007).Anche delle cellule NK sono state identificate sottopopolazionidiverse che contribuiscono non solo alla rispostaimmune innata ma anche a quella adattativa attraversoun’interazione che coinvolge diverse citochine a altrecellule quali le cellule dendritiche (Ferlazzo et al., 2004;Giuliani et al., 2008). Nuovi recettori e ligandi delle celluleNK ci consentono di meglio definire il loro ruolo neitumori (Smyth et al., 2002) che, tuttavia, resta ancoraimprecisato particolarmente nelle fasi più avanzate dellamalattia (Becknell and Caligiuri, 2008) con l’importanteeccezione di pazienti allo-trapiantati per leucemia (vediRuggeri et al., 2002).Le nuove conoscenze sulle sottopopolazioni di linfocitiT hanno permesso anche di re-interpretare il loro ruoloclinico nei rapporti con la comparsa e progressione dellaneoplasia (vedi più avanti) e di utilizzare meglio questecellule, anche grazie alla loro manipolazione genica,nella terapia adottiva dei tumori umani aumentando cosìla efficacia di questo approccio (Dudley et al., 2008; Laet al., 2006).Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA7


Le molecole co-stimolatorie e loro ruolo nella rispostaimmune ai tumoriLe terapie che si basano sulle molecole co-stimolatoriehanno come bersaglio diretto il sistema immune e non iltumore e i suoi antigeni. E’ noto che, nonostantel’espressione di antigeni tumorali, il rigetto direttoimmuno-mediato delle neoplasia sembra essere un eventoraro. Tale fallimento viene generalmente spiegato,oltre ad altri meccanismi (vedi più avanti), dalla presenzadi un debole priming dei linfociti T o da un inadeguatosviluppo della fase effettrice della risposta immune. Inentrambi i casi sembrano implicati i recettori co-stimolatorie co-inibitori dei linfociti. Infatti molti tumori perdonoo mancano del tutto l’espressione di molecole co-stimolatorieanche se tale funzione può essere vicariatadalle APC normali attraverso il meccanismo della crosspresentazione(cross-priming) degli antigeni.L’utilizzo di cellule tumorali trasdotte col gene di B7-1può migliorare il priming in vitro (Sulè-Suso et al. 1995)ma strategie vaccinali basate sull’uso di questa molecola,non hanno dimostrato significativi benefici clinici(Triozzi PL et al. 2005).Sono state identificate numerose altre molecole co-stimolatorie(Kober et al., 2008) (Tabella 1) o co-inibitorie(es. CTLA-4, PD-1/2) che regolano l’interazione e le differenziazionefunzionale delle APC e dei linfociti TCD4. L’attività di queste molecole può essere stimolatao inibita da anticorpi agonisti o antagonisti nel tentativodi incrementare la risposta immune T alle cellule neoplastiche.In uno studio recente condotto in 142 pazientiportatori di tumori solidi, il nostro gruppo ha dimostratoche le molecole co-stimolatorie 4-1BB e OX-40 sono piùfrequentemente espresse dai linfociti T dei pazienti inconfronto a quelli di donatori sani (Maccalli C, risultatinon pubblicati) suggerendo che la presenza del tumoreinduce una reattività evidenziabile dall’aumento dei marcatoridi cui sopra.Studi clinici di immunoterapia dei tumori basati sullamanipolazione dell’espressione di molecole co-stimolatorie(es. CD40) o co-inibitorie (es. PD-1, CTLA-4) sono incorso dopo i risultati positivi ottenuti nei modelli animali.Finora il risultato più interessante dal punto di vista dellerisposte cliniche è quello dell’anticorpo antagonista anti-CTLA-4 (es.Ipilimumab, Brystol Mayer Squibb), molecolache tende fisiologicamente a ridurre e far cessare larisposta immune. Infatti pazienti con tumori solidi qualimelanoma e carcinoma prostatico hanno mostrato regressionedi lesioni metastatiche o stabilizzazioni della malattiadi lunga durata a seguito di somministrazione dell’anticorpopur in presenza di non trascurabili effetti collateralidi tipo autoimmune (O’Day et al., <strong>2009</strong>). Di recente laespressione del ligando di CTLA-4 è stata trovata anchesulle cellule di melanoma, un’osservazione che potrebbespiegare la capacità di questo tumore di sfuggire alla reazionedei linfociti T attraverso l’attivazione della funzionepro-apoptptica del CTLA-4 espresso dai linfociti stessi(Contardi et al., 2005).Anche il ligando (L) della molecola inibitoria PD-1 (ecioè PD-L1) è espresso in molti tumori inclusi glioblastoma,melanoma, neoplasie della testa e del collo, delpolmone, dell’ovaio, del colon, dello stomaco, dei reni edella mammella (vedi Zou e Chen, 2008). Nelle neoplasierenali gli alti livelli di espressione di PD-L1 e/o i linfocitiinfiltranti il tumore correlano con un comportamentoaggressivo del tumore e sono associati con unrischio di mortalità per cancro 4.5 volte più elevato.Anche nei tumori dell’epitelio ovarico l’espressione diPD-L1 correla con un decremento della sopravvivenzacomplessiva del paziente.I livelli di espressione di PD-L1 nelle cellule tumoralicorrelano inversamente con il numero di linfociti CD8+all’interno dell’epitelio ovarico, la presenza dei qualisembra essere associata ad una migliore prognosi delpaziente.TABELLA 1. Molecole co-stimolatrici, loro ligandi e intensità di stimolazione dei linfociti T in vitro*Molecola Ligando Intensita**OX40 (CD134) OX-40L ++4-1BB (CD137) 4-1BBL +++CD27 CD70 ++GITR GITRL +HVEM LIGHT ±ICOS ICOSL ++CD28 B7-1/2 ++(CD80/86)*Vedi Kober et al. 2008** Basata su induzione di proliferazioni e rilascio di citochine.8ATTIVITÀ SCIENTIFICALettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


Ruolo dei linfociti nel controllo della crescita neoplastica.La sperimentazione in modelli animali da decenni avevasuggerito che il sistema immune svolge un ruolo fondamentalenel limitare e controllare la crescita delle neoplasie(teoria della immuno-sorveglianza di W.F. Burnete L. Thomas) almeno negli animali di laboratorio e chequindi il sistema immune, sviluppatosi per contrastarel’invasione di patogeni esterni (virus, batteri) era ingrado anche di limitare la crescita dei “patogeni interni”quali possono essere considerati i tumori. Tali conclusionierano basate però sullo studio di tumori trapiantabili inindividui (animali) sani e non su tumori che insorgevanospontaneamente. Del resto la riprova nell’uomo, e cioè lafrequenza di neoplasie in soggetti esposti a trattamentiimmuno-soppressivi cronici in seguito a trapiantid’organo aveva dimostrato un aumento di frequenza soloper tumori indotti da virus oncogeni fortemente immunogenici(EBV, HPV, HBV) quali linfomi, carcinomi cutanei,della cervice uterina e del fegato. Anche la sperimentazionesu tumori indotti da cancerogeni chimici oda radiazioni nei topi immunodepressi, non aveva fornitorisultati convincenti sull’esistenza di una efficaceimmunosorveglianza contro i tumori. In questi ultimicasi la immunosoppressione indotta dagli stessi cancerogenie la soppressione solo parziale dei topi nudi usatiallora per indurre i tumori rendeva la conclusione di quegliesperimenti ancora incerta.L’idea dell’esistenza di una efficace immuno-sorveglianzamediata da una risposta anticorpale o cellulare fumessa in dubbio negli ultimi 20 anni e in parte abbandonatadai ricercatori che rivolgevano la loro attenzionepiuttosto ai meccanismi di presentazione degli antigenitumorali e alla caratterizzazione di questi ultimi anchenell’uomo. Infatti nel 1991 fu per la prima volta identificatoun gene codificante per un antigene di melanomaumano riconosciuto dai linfomi T (Van der Bruggen etal., 1991). Molti di questi antigeni dei tumori umani Tsono stati poi descritti (Novellino et al., 2005) che, insiemeallo lo sviluppo dei topi geneticamente manipolati ,ha permesso di rivisitare in maniera più precisa la teoriadella immuno-sorveglianza. Questa è stata così confermatacon alcune variazioni perché è emersa la funzionedi controllo non solo dei linfociti T ma anche di quelliNK e NKT invarianti (iNKT), questi ultimi capaci diriconoscere antigeni non proteici ma glicolipidici.Queste diverse sottopopolazioni linfocitarie e la produzionedi anticorpi possono lavorare di concerto per controllarela comparsa e crescita dei tumori nel topo(Swann e Smyth, 2007). Ciò che resta cruciale è il bersaglioriconoscibile da parte dei linfociti sulle celluletumorali, cioè gli antigeni che spesso vengono ipo-regolatio completamente persi da parte del tumore nel corsodella sua crescita mentre altri antigeni possono comparirea causa delle nuove alterazioni genetiche che si verificano(Parmiani et al., 2002).Inoltre i numerosi meccanismi di evasione immunologicaidentificati negli ultimi anni possono impedire ladistruzione delle cellule neoplastiche anche in presenzadi una forte risposta immunologica tumore-specifica(Rivoltini et al., 2005).Per spiegare alcune contraddizioni della teoria dellaimmunosorveglianza contro i tumori è stata proposta laipotesi delle tre “E” ( elimination, equilibrium, escape, odella immuno-editing). Tale ipotesi propone che da unainiziale efficace risposta e controllo della crescita neoplastica(elimination) si passi, dopo un periodo di equilibriotra tumore e reazione immunologica, alla progressiva crescitae diffusione della neoplasia (escape) ormai fuori controlloda parte del sistema immune (Dunn et al., 2002).Tuttavia in questi ultimi anni, grazie alle nuove conoscenzesul fenotipo e funzione dei linfociti T(Lanzavecchia e Sallusto, 2005), NK (Giuliani et al.,2008) e NKT (Swann and Smyth, 2007) si è potuto riesaminareil rapporto tra presenza di linfociti nel tessutotumorale o nel sangue dei pazienti e prognosi dellamalattia. Come si vede dalla tabella 2, una chiara relazioneè emersa tra natura dell’infiltrato linfocitario e pro-TABELLA 2. Ruolo di linfociti T nel controllo del tumore. Associazione con la prognosiTumore Infiltrato Referenza• Melanoma TILs Clemente, 1996• Ca Ovaia Tregs Curiel, 2004• Ca Ovaia CD8TILs Sato, 2005• Ca Colorettale T EMPages, 2005• Ca Colorettale TILs Galon, 2006• Linfoma Hodgkin CD8+/Tregs Alvaro, 2005• HCC TILs Unit, 2006• HCC CD8+/Tregs Gao, 2007• NHL Tregs Yang, 2006• Ca Cervice TILs Piersma, 2007• Ca Colorettale CD8+ Halama, <strong>2009</strong>• Ca Colorettale Tregs Salama, <strong>2009</strong>• Ca Mammella Tregs Merlo, <strong>2009</strong>Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA9


10gnosi in diversi, importanti neoplasie umane. Tuttavia lacorrelazione può essere sia tra presenza di linfociti Teffettori e buona prognosi sia tra linfociti T regolatori(soppressori) e cattiva prognosi.Questi risultati indicano che la composizione e la localizzazionedell’infiltrato di cellule immuni e/o infiammatorieè cruciale nella prognosi di molti tumori umani (vediParmiani 2005). Resta da capire quale sia il meccanismoper cui la neoplasia e il microambiente in cui cresce (stroma)interagiscono a produrre fattori (soprattutto chemochine)dal cui profilo può verosimilmente prevalere localmenteuna risposta T o NKT citotossica per il tumore(Galon et al., 2006) associata a buona prognosi o inveceuna risposta prevalentemente T regolatoria che influenzanegativamente la prognosi (Curiel et al., 2004).L’infiltrato tumorale può anche essere associato allarisposta ai farmaci con un meccanismo ancora da chiarire(Halama et al., <strong>2009</strong>). Va sottolineato come questiimportanti studi di associazione tra infiltrato immune eprognosi sono stati possibili grazie alla disponibilità dianticorpi diretti contro i diversi marcatori delle sottopopolazionilinfocitarie (vedi sopra) e alle nuove tecnichedi citofluorometria e immunoistochimica.Una popolazione più di recente studiata come componentedell’infiltrato tumorale è quella delle cellule TNK,cioè di linfociti T che esprimono recettori per molecoleco-stimolatorie di tipo NK quali NKG2D. Abbiamo vistoche queste cellule infiltrano sia i carcinomi colorettali siai melanomi e possono contribuire (almeno in vitro) allarisposta contro le neoplasie (Maccalli et al., <strong>2009</strong>).ConclusioniI progressi tecnologici hanno permesso di meglio definirele sottopopolazioni linfocitarie e, insieme alle tecnichedi manipolazione genica, di caratterizzarne le funzionitra le quali anche il tipo di risposta che le sottopopolazionilinfocitarie possono sviluppare contro le cellule tumorali.Il quadro che va emergendo conferma la importantefunzione del tipo di infiltrato infiammatorio/immunologiconelle lesioni neoplastiche primitive e il suoimpatto (positivo o negativo ) sulla prognosi dei tumoriumani. Resta ancora da comprendere nel dettaglio comela variabilità di espressione di molecole inibitorie, diantigeni tumorali diversi e di molecole MHC nel microambientetumorale possa influenzare la prognosi. Unaulteriore migliore conoscenza di questo complesso edinamico rapporto tra tumore ospite potrà fornire altrearmi diagnostiche e terapeutiche per i tumori umani oggiancora poco curabili.ReferenzeLanzavecchia A, Sallusto F. Understanding the generation andfunction of memory T cell subsets. Curr Opin Immunol2005; 17: 326-332Curiel TJ. Tregs and rethinking cancer immunotherapy. J ClinInvest 2007; 117: 1167-74Ebert LM, Tan BS, Browning J, Svobodovna S, Russell SE,ATTIVITÀ SCIENTIFICAKirkpatrick N et al. The regulatory T cell-associated transcriptionfactor FoxP3 is expressed by tumor cells. CancerRes 2008; 68: 3001-9Qiao M, Thornton AM, Shevach EM. CD4 + CD25 + regulatory Tcells render naive CD4 + CD25 – T cells anergic and suppressive.Immunology. 2007; 120: 447–455Filipazzi P, Valenti R, Huber V, Pilla L, Canese P, Iero M, CastelliC, Mariani L, Parmiani G, Rivoltini L. 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Science 2002; 295: 2097-2100Dudley ME, Yang JC, Sherry R, Hughes MS, Royal R et al..Adoptive cell therapy for patients with metastatic melanoma:Evaluation of intensive myeloablative chemoradiation preparativeregimens. J Clin Oncol. 2008; 26: 5233–5239La J, Heemskerk B, Powell DJ Jr, Cohen CJ, Morgan RA,Rosenberg SA. Gene transfer of tumor–reactive TCR confersboth high avidity and tumor reactivity to nonreactiveperipheral blood mononuclear cells and infiltrating lymphocytes.J Immunol 2006; 177: 6548-59Sulé-Suso J, Arienti F, Melani C, Colombo MP, Parmiani G: AB7-1 transfected human melanoma line stimulates proliferationand cytotoxicity of autologous and allogeneic lymphocytes.Eur J Immunol 25: 2737-42, 1995.Triozzi PL, Allen KO, Carlisle RR, Craig M, LoBuglio AF,Conry RM. Phase I study of the intratumoral administrationof recombinant canarypox viruses expressing B7.1 andinterleukin-12 in patients with metastatic melanoma. 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A listing of human tumorantigens recognized by T cells. 2004 update. CancerImmunol Immunother 2005; 54: 187-207Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


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Misura dell’attività dei checkpoint del ciclo cellulare dopotrattamento chemioterapicoPaolo Ubezio, Monica Lupi, Francesca Falcetta, Valentina ColomboIstituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano, Italye-mail: paolo.ubezio@marionegri.itIntroduzioneLa ricerca sperimentale in chemioterapia antitumorale èoggi rivolta allo studio di nuovi farmaci disegnati percolpire dei bersagli molecolari il più possibile specificidella cellula tumorale (Yap et al, <strong>2009</strong>; Zhang et al,<strong>2009</strong>). E’ evidente però che se lo scopo della chemioterapiaè l’eliminazione del tumore o almeno il bloccodella proliferazione incontrollata che lo caratterizza, unruolo chiave è giocato dal processo che collega i meccanismidell’interazione molecolare farmaco-bersaglio conl’efficacia antiproliferativa globale sul tumore. Una voltaindividuato un bersaglio molecolare specifico per untumore, trovato il farmaco che in provetta interagisce conesso bloccandolo, superati i problemi di farmacocineticae assicuratisi che il tumore è effettivamente raggiunto dauna concentrazione appropriata della sostanza, si arrivainevitabilmente alla domanda di quale sia l’impatto deltrattamento sulla proliferazione tumorale, così come lavalutiamo – macroscopicamente! – misurando il volumeo il numero di cellule tumorali. E, a seguire, quale sia larelazione tra dose e durata della somministrazione edefficacia antiproliferativa.Alla base della inibizione/riduzione della proliferazione“macroscopiche” ci sono le attività dei checkpoint delciclo cellulare, che agiscono nelle fasi G1, S, G2 e M delciclo e sono il prodotto del funzionamento di diversi networkmolecolari. Il network dei checkpoint di fase G1, S,G2 e M fa quindi da ponte tra i livelli molecolare emacroscopico, posizionandosi ad un livello intermedio.L’interazione farmaco-bersaglio attiva la risposta dei networkche a loro volta bloccano la proliferazione.Sorgono, quindi, spontanee diverse domande su come sitrasmette l’effetto da un livello al successivo. Comel’inibizione di uno o più bersagli colpiti dal farmaco attiviuno o più checkpoint, contemporaneamente o in successione,e con quale dipendenza dalla dose. Comel’azione di concerto dei vari checkpoint in milioni di celluletumorali in diverse condizioni di esposizione al farmaco(Feeney et al, 2003), con età differenti rispetto alciclo cellulare ed eterogenee per numero di molecoledelle diverse proteine (Cohen et al, 2008; Gascoigne &Taylor, 2008; Sigal et al, 2006) produca l’effetto antiproliferativomacroscopico.Su questo argomento si è concentrata l’attenzione delnostro gruppo di ricerca. In particolare, il primo problemaaffrontato è stata la definizione di quantità idonee a“misurare” individualmente l’attività di ciascun checkpointe il secondo quello di elaborare dei metodi pereffettuare le misure, o almeno ottenere delle stime ragionevolidelle attività.Alcune note metodologicheDefinizione dell’attività dei checkpoint del ciclocellulareL’effetto macroscopico è determinato dalle cellule bloccatedal trattamento, in percentuale variabile in funzionedella dose. Quando diciamo che un certo trattamento habloccato o ucciso – per esempio – il 30% delle celluledella popolazione tumorale, implicitamente ci poniamoin una prospettiva probabilistica, come dire che ogni cellulaaveva il 30% di probabilità di venire uccisa e il 70%di sopravvivere al trattamento. Sempre implicitamente,ammettiamo anche che lo stesso trattamento sulle stessecellule può avere esiti opposti (sopravvivere o morire) eche la dipendenza dalla dose si esprime in una diversaprobabilità di sopravvivenza. In modo naturale, quindi,dovendo spiegare questo effetto macroscopico, abbiamoscelto di misurare l’attività dei checkpoint del ciclo cellularein termini probabilistici.Nel modello che abbiamo utilizzato, fra le cellule cheattraversano una fase, per esempio G1, in un determinatointervallo temporale, una certa percentuale sarà intercettatae bloccata. Ciò equivale ad assegnare una probabilitàdi blocco alle cellule che attraversano G1, tantomaggiore quanto più attivo è il checkpoint. Si noti che inquesto modo si misura propriamente la “forza” delcheckpoint ad un certo tempo, considerando solo le celluleche si trovano a passare in quel momento da G1, prescindendodal loro numero, che non dipende dall’attivitàdel checkpoint G1 ma dalle caratteristiche proliferativedel tumore e dai percorsi (eventuali rallentamenti in altrefasi del ciclo) che hanno preceduto l’entrata nella fasestessa. Il modello del checkpoint G2M è analogo a quellodi G1, mentre l’attività del checkpoint S è misuratadalla riduzione della velocità di sintesi del DNA.Definita l’impalcatura “teorica” del modello, abbiamoLettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA13


14implementato al computer un programma che simula unapopolazione di cellule che attraversano il ciclo cellulare,da G1 a S a G2M secondo le rispettive durate (misurabiliper ogni linea tumorale con esperimenti opportuni)dividendosi in due alla mitosi, riprendendo poi da G1 ecosì via per un numero di generazioni potenzialmenteillimitato. All’inizio del trattamento simulato le cellulesono distribuite in tutte le fasi del ciclo in modo asincrono.Durante e dopo il trattamento possono essere attivatitre checkpoint (G1, S e G2M), definendone la probabilitàdi blocco e le probabilità degli esiti successivi al blocco,ovverosia la probabilità di morte cellulare e la probabilitàdi riprendere la progressione nel ciclo cellulare dadove era stata interrotta.Misura dell’attività dei checkpointSi potrebbe pensare di quantificare l’attività dei checkpointattraverso una semplice misura citometrica delcontenuto di DNA, durante o dopo un trattamento farmacologico.Sfortunatamente non è così, perché quandonell’analisi del DNA in citometria a flusso calcoliamo lepercentuali di cellule in G1, S e G2M ad un determinatoistante, semplicemente rileviamo il risultato finale deimovimenti nel ciclo cellulare nei tempi precedenti, chedipende in modo non facilmente intuibile dalla combinazionedelle attività di tutti i checkpoint del ciclo cellulare(Ubezio et al, 2005). Un errore frequente nella letteratura,per esempio, è quello di non riconoscere l’attivazionedel checkpoint G1 quando coesiste (come spessoaccade) con un checkpoint G2 attivo, che diminuisceil numero di cellule che arrivano in G1, con il risultatoche la %G1 non solo non aumenta ma può anche diminuire.La natura probabilistica e la persistenza nel tempodelle attività dei checkpoint, anche successivamente allarimozione del farmaco, complica ulteriormente l’interpretazionedelle variazioni di distribuzione di cellulenel ciclo cellulare, ed è relativamente facile trovarediverse spiegazioni ugualmente compatibili con unasequenza di misure di DNA durante/dopo trattamento.Per questo motivo abbiamo studiato un disegno sperimentaleche include non solo misure di DNA a diversitempi, ma contemporaneamente anche il conteggio assolutodel numero di cellule e misure di pulse-chase di bromodeossiuridina(BrdUrd) (Lupi et al, 2006; Lupi et al,2004). L’interpretazione contemporanea della messe didati ottenuti è poi affidata al programma di simulazionedel ciclo cellulare, al quale si richiede di ottimizzare leprobabilità di blocco (che descrivono le attività deicheckpoint del ciclo) ricostruendo al computer i flussi dicellule attraverso il ciclo cellulare in modo da ottenereun buon fitting delle percentuali citometriche e delleconte assolute misurate.I dettagli dei metodi sperimentali e di analisi utilizzatiper questo genere di studi sono stati approfonditi indiverse pubblicazioni (Lupi et al, 2004; Montalenti et al,1998; Ubezio et al, <strong>2009</strong>).ATTIVITÀ SCIENTIFICARisultatiCome esempio dell’applicazione della metodologiamostriamo qui la ricostruzione della proliferazione cellularedi cellule di un tumore ovarico umano (IGROV1)dopo un trattamento breve (1h) con due classici farmaciantitumorali: il cisplatino (DDP) e la doxorubicina(DOX). L’analisi è stata effettuata con diverse dosi deifarmaci, in modo da ricavare la dipendenza delle attivitàdei checkpoint dalla dose, oltre che dal tempo. Poiché lemisure sono state effettuate 6, 24, 48 e 72h dopo il trattamento(Figura 1a e 1b), si è adottata una dipendenzatemporale semplificata, considerando le attività deicheckpoint costanti negli intervalli tra una misura e lasuccessiva. Il valore stimato è quindi da intendersi comevalore “medio” in ciascun intervallo temporale 0-6h, 6-24h, 24-48h, 48-72h. Nonostante questa approssimazione,i valori delle attività dei checkpoint ottenuti dal fittingconsentono di riprodurre completamente tutti i datisperimentali con una discrepanza inferiore a 3% per lepercentuali citometriche e del 20% per le conte assolute.Nella figura 2 è riportata la misura dell’attività deicheckpoint dopo trattamento con DDP. A 10 µM, solo ilcheckpoint G1 è moderatamente attivo, ma solo nelleprime ore dopo il trattamento. All’aumentare della dose,vengono attivati anche i checkpoint S e G2, che risultanopiù persistenti rispetto a quello in G1. Infatti mentrel’attività in G1 si esaurisce in 6h anche alle dosi più elevate,una moderata attività G2 è rilevata fino 48h dopotrattamento di 50 µM e fino a 72h con 100 µM, dove siregistra anche una forte e persistente riduzione della sintesidel DNA.La risposta della DOX è riportata in figura 3. Alle dosipiù basse (0.5 - 1 µM) il checkpoint G2M è spento equello S ha un’attività minima, mentre una moderata attivitàè osservata in G1. Questa però non si manifestaimmediatamente dopo il trattamento, ma nell’intervallo6-24h, interessando quindi prevalentemente cellule chesi sono divise e hanno raggiunto G1 dopo la fine del trattamento.A dosi >1 µM viene attivato il checkpoint G2subito dopo il trattamento e quello in S a tempi più lunghi.L’attività G2M diminuisce e tende ad esaurirsi neltempo ma diventa più persistente già alle dosi intermedie.A 3-6 µM l’attività in G1 presenta due componenti,una a tempi brevi, che quindi interessa cellule trattate inG1 e non ancora divise, e una a tempi lunghi, che simanifesta tra 24 e 48h, coinvolgendo cellule che hannoeffettuato un primo ciclo ritardato e si sono divise.La risposta al trattamento della DOX presenta analogie edifferenze rispetto a quella del DDP. Delle due componentidell’attività del checkpoint G1, quella a tempi breviè osservata con entrambi i farmaci, a basse dosi conDDP, solo a dosi medio-alte con DOX. La componentetempi lunghi è osservata in DOX ma non in DDP. Anchein S e G2 possiamo distinguere un’attività a tempi breviche si estende fino a 24h, da un’attività a tempi lunghi,tra 24 e 72h. Le attività a tempi brevi compaiono a con-Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


Figura 1. Pannello a: Curva dicrescita di IGROV1 dopo 1h ditrattamento con 10, 30, 50, 75,100 e 200 µM DDP o con 0.5, 1,3, 6, 10 e 30 µM DOX.Pannello b: andamento della percentualedi cellule in G1, S eG2M in funzione del tempo edella concentrazione di DDP oDOX. I valori sono stati ricavatidall’elaborazione degli istogrammidi DNA ottenuti analizzandoal citometro a flusso 10000 celluleper ogni campione.centrazioni intermedie di farmaco, in modo analogo inDDP e DOX, ma mentre quella in G2M sembra essereuna componente importante nella risposta di entrambi ifarmaci, quella in S è molto forte solo con DDP . Le attivitàa tempi lunghi in S e G2, compaiono a dosi elevatecon entrambi i farmaci e tendenzialmente sono più fortiin DOX che in DDP.DiscussioneLa risposta complessiva al trattamento antiproliferativocon DDP e DOX è costituita dalla combinazione delleattività di tutti i checkpoint, che agiscono con diverseintensità e diverse concentrazioni di soglia (Toettcher etal, <strong>2009</strong>; Ubezio et al, <strong>2009</strong>). Questa complessità dellarisposta è richiesta dall’analisi nel momento in cui siconsiderano contemporaneamente le informazioni ricavateda tecniche sperimentali diverse e in definitiva indicauna forte eterogeneità di comportamento tra cellula ecellula, che non è così inaspettata anche nelle linee cellularistabilizzate e coltivate in vitro in un ambiente omogeneo.L’analisi non chiarisce definitivamente se siano le stessecellule ad essere sequenzialmente intercettate da piùcheckpoint o se diverse sottopopolazioni siano intercettateda un unico checkpoint, ma la prima ipotesi non puòessere esclusa a priori, almeno per un sottoinsieme diLettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA15


Figura 2. Dinamica dell’attivitàdei checkpoint G1, S eG2 per cellule trattate con 10,30, 50, 75, 100 e 200 µMDDP. L’attività del checkpointG1 e G2 è misuratacome la probabilità che unacellula che attraversa una diqueste fasi venga intercettatadal blocco, mentre l’attivitàdel checkpoint di fase S èmisurata come la riduzionedella velocità di sintesi delDNA.Figura 3. Dinamica dell’attivitàdel checkpoint G1, S eG2 per cellule trattate con 10,30, 0.5, 1, 3, 6, 10 e 30 µMDOX.16cellule. Per arrivare a rispondere a questa domanda, ènecessario seguire nel tempo un congruo numero di singolecellule, cosa resa possibile dalle tecniche di timelapseimaging oggi disponibili, aggiungendo un ulteriorelivello di complessità nella ricostruzione della proliferazionepresentata in questo articolo.BibliografiaCohen AA, Geva-Zatorsky N, Eden E, Frenkel-MorgensternM, Issaeva I, Sigal A, Milo R, Cohen-Saidon C, Liron Y,Kam Z, Cohen L, Danon T, Perzov N, Alon U (2008)Dynamic proteomics of individual cancer cells in responseto a drug. Science 322: 1511-6Feeney GP, Errington RJ, Wiltshire M, Marquez N, ChappellSC, Smith PJ (2003) Tracking the cell cycle origins forescape from topotecan action by breast cancer cells. Br JCancer 88: 1310-7Gascoigne KE, Taylor SS (2008) Cancer cells display profoundintra- and interline variation following prolonged exposureto antimitotic drugs. Cancer Cell 14: 111-22Lupi M, Cappella P, Matera G, Natoli C, Ubezio P (2006)Interpreting cell cycle effects of drugs: the case of melphalan.Cancer Chemother Pharmacol 57: 443-57Lupi M, Matera G, Branduardi D, D’Incalci M, Ubezio PATTIVITÀ SCIENTIFICA(2004) Cytostatic and cytotoxic effects of topotecan decodedby a novel mathematical simulation approach. CancerRes 64: 2825-32Montalenti F, Sena G, Cappella P, Ubezio P (1998) Simulatingcancer-cell kinetics after drug treatment: Application to cisplatinon ovarian carcinoma. Phys Rev E 57: 5877-5887Sigal A, Milo R, Cohen A, Geva-Zatorsky N, Klein Y, Liron Y,Rosenfeld N, Danon T, Perzov N, Alon U (2006) Variabilityand memory of protein levels in human cells. Nature 444:643-6Toettcher JE, Loewer A, Ostheimer GJ, Yaffe MB, Tidor B,Lahav G (<strong>2009</strong>) Distinct mechanisms act in concert to mediatecell cycle arrest. Proc Natl Acad Sci U S A 106: 785-90Ubezio P, Lupi M, Branduardi D, Cappella P, Cavallini E,Colombo V, Matera G, Natoli C, Tomasoni D, D’Incalci M(<strong>2009</strong>) Quantitative assessment of the complex dynamics ofG1, S, and G2-M checkpoint activities. Cancer Res 69:5234-40Ubezio P, Lupi M, Matera G, Natoli C (2005) Gli effetti dei farmacisul ciclo cellulare: cosa dicono (o non dicono) gli istogrammidi DNA. Lettere GIC 14: 7-13Yap TA, Carden CP, Kaye SB (<strong>2009</strong>) Beyond chemotherapy:targeted therapies in ovarian cancer. Nat Rev Cancer 9: 167-81Zhang J, Yang PL, Gray NS (<strong>2009</strong>) Targeting cancer with smallmolecule kinase inhibitors. Nat Rev Cancer 9: 28-39Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


Applicazione della citometria a flussoper la valutazione della displasia eritroidenelle sindromi mielodisplasticheMatteo G Della Porta, Cristina Picone, Anna Maria Tenore, Erica Consensi,Monica Portolan, Laura Sozzani, Laura VanelliLaboratorio di citometria clinica, Dipartimento di Ematologia & Oncologia,Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo e Università degli Studi di Pavia.e-mail: matteogiovanni.dellaporta@unipv.itLettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>La diagnosi delle sindromi mielodisplastiche nell’eradella classificazione WHOLe sindromi mielodisplastiche (MDS) sono un gruppo didisordini clinicamente caratterizzati da citopenia del sangueperiferico, da perdita progressiva della capacità didifferenziazione da parte delle cellule staminali displastichee da un rischio variabile di evoluzione leucemica.(Cazzola, 2005)Le MDS sono patologie tipiche dell’età avanzata: la loroincidenza nella popolazione generale è di circa 5 nuovicasi per 100,000 persone anno, ma aumenta a 20-50 casiper 100,000 persone anno dopo i 60 anni di età, indicandoche esse sono almeno tanto comuni quanto la leucemialinfatica cronica, la patologia leucemica a più altaprevalenza nel mondo occidentale.Il decorso clinico della malattia è estremamente eterogeneo,e varia da condizioni indolenti stabili per anni aforme rapidamente evolutive in leucemia acuta mieloide.(Malcovati, 2005; Malcovati, 2006; Della Porta, <strong>2009</strong>)Questa eterogeneità riflette la complessità del dannogenetico alla base di queste patologie, che ad oggi rimanepoco conosciuto.Secondo il modello patogenetico attualmente più accreditato,le MDS sono disordini clonali della cellula staminaleemopoietica con una propensione all’evoluzione inleucemia acuta. (Cazzola, 2005) La trasformazione clonaleavverrebbe a livello di un precursore emopoieticocommissionato in senso mieloide in grado di produrreglobuli rossi, piastrine, granulociti e monociti. La caratteristicapeculiare di queste cellule staminali nelle MDSè rappresentata dalla displasia (e cioè dalla presenza diun difetto nella capacità di self-renewal e di differenziamento)che si evidenzia attraverso la presenza di varieanomalie morfologiche.Un’alterazione cromosomica clonale (rappresentataspesso da perdita di materiale genetico e, meno frequentemente,da traslocazioni cromosomiche bilanciate) èevidenziabile con tecniche convenzionali in circa il 50%dei casi di MDS primitiva. (Malcovati, 2005) Benchénelle MDS siano documentate da diverso tempo anomaliericorrenti del cariotipo (delezione del cromosoma 5 e7, trisomia del cromosoma 8), ad oggi sono state identificatesolo poche alterazioni genetiche che siano specificheper le MDS e verosimilmente implicate nella fisiopatologiadi questi disordini.L’assenza di marcatori biologici specifici unita all’estremaeterogeneità clinica, rendono difficoltosa la diagnosi diMDS. Dal momento che la presenza di displasia emopoieticaè la caratteristica peculiare di queste patologie e chealterazioni citogenetiche sono rilevabili in circa la metà deipazienti di pazienti, l’approccio diagnostico attuale delleMDS include l’analisi morfologica e l’analisi citogenetica:la presenza di evidente displasia emopoietica midollare econtemporaneamente di una alterazione cromosomica clonale,consente di formulare una diagnosi conclusiva diMDS. (Vardiman, 2002) Tuttavia questa combinazione èrilevabile solo in una porzione di pazienti affetti da MDS,che tendono ad essere soprattutto i soggetti con malattiaclinicamente più avanzata. In diverse situazioni l’esamecitogenetico non è informativo, e la diagnosi di MDS sibasa esclusivamente su criteri morfologici.La valutazione delle alterazioni morfologiche indicative didisplasia emopoietica può risultare difficile, in ragione delfatto che tali anomalie non sono specifiche per le MDS mapossono essere presenti anche in altre condizioni patologiche.Ne deriva che, nella pratica clinica, la riproducibilitàtra diversi operatori nella valutazione morfologica delladisplasia emopoietica è spesso bassa, specialmente nelleMDS a basso rischio (senza eccesso di blasti). In uno studio,la concordanza tra diversi operatori è risultata accettabilesolo per quanto riguarda la valutazione di blasti esideroblasti ad anello, e insoddisfacente per quanto concernela valutazione della displasia eritroide e granulocitaria.(Ramos, 1999) Inoltre, una cattiva qualità del campionepuò rappresentare un ostacolo molto comune per unadiagnosi accurata di MDS. Infine, la valutazione morfologicapuò essere difficoltosa in quei casi (10-15% deipazienti) che presentano ipocellularità o fibrosi midollare.Vari sistemi diagnostici sono stati proposti per le MDS. Inragione dell’eterogeneità clinica un sistema diagnosticoideale dovrebbe essere in grado di identificare gruppi dipazienti con decorso clinico omogeneo e dare in aggiuntainformazioni prognostiche.Nel 1982, il French-American-British (FAB) cooperativeATTIVITÀ SCIENTIFICA19


20ATTIVITÀ SCIENTIFICAgroup ha formulato una proposta di linee guida per la diagnosie la classificazione delle MDS basata sulla valutazionedella displasia emopoietica e sulla percentuale diblasti a livello midollare. (Bennett, 1982) Diversi studihanno documentato l’utilità clinica della classificazioneFAB e hanno validato il suo contributo nella stratificazioneprognostica e nella determinazione del rischio di evoluzioneleucemica. Negli ultimi 20 anni questa classificazioneè stata il gold-standard per la gestione clinica deipazienti e per il disegno di studi controllati. Tuttavia èstata documentata un’importante variabilità di decorso clinicoall’interno dei sottogruppi FAB.Più recentemente, la World Health Organization (WHO)ha formulato una nuova proposta per la classificazionedelle MDS. (Vardiman 2002 e <strong>2009</strong>) Il principio generaledella classificazione WHO delle patologie ematologiche èche la diagnosi non debba essere esclusivamente basata sucriteri morfologici ed istologici, ma informazioni complementariderivanti da analisi genetiche, immunofenotipichee molecolari diventano rilevanti per la definizione delledifferenti entità cliniche. Tuttavia, nel caso delle MDS, inassenza di marcatori molecolari specifici, l’analisi morfologicadella displasia emopoietica rimane l’elemento crucialedel sistema classificativo WHO.Questa nuova classificazione è basata su variabili in gradodi stratificare la sopravvivenza e il rischio di evoluzioneleucemica dei pazienti, quali la presenza di displasia midollareuni- o multilineare, la percentuale di blasti midollari ela presenza di anomalie citogenetiche peculiari.Da un punto di vista clinico, diversi studi retrospettivi eprospettici hanno dimostrato che la classificazione WHOha un valore prognostico. (Malcovati, 2005 e 2007)Inoltre, dati recenti indicano che questa classificazione èimportante nel processo clinico decisionale per la sceltadel trattamento dei pazienti con MDS. Infatti, pazienti condisplasia unilineare hanno una maggiore probabilità dirispondere ad un trattamento con fattori di crescita emopoieticirispetto a soggetti con displasia multilineare(Jadersten, 2008), mentre pazienti con delezione 5q hannouna elevata possibilità di risposta alla terapia con lenalidomide.Infine, la classificazione WHO è in grado di predirela sopravvivenza dei soggetti che hanno ricevuto un trapiantoallogenico di cellule staminali emopoietiche.(Alessandrino, 2008)La proposta della WHO, solleva alcune problematicheriguardo alla definizione dei criteri minimi diagnostici perle MDS, in particolare nei casi in cui la diagnosi sia basataesclusivamente su criteri morfologici.L’indicazione nell’ambito del sistema WHO è che perdefinire displastica una filiera emopoietica le alterazionimorfologiche debbano essere presenti in almeno il 10%degli elementi cellulari. Tuttavia tale regola è oggetto didifficile interpretazione, soprattutto nei casi in cui vi sia uncoinvolgimento esclusivo della linea eritroide e assenza dieccesso di blasti. (Vardiman, 2002)In una serie di 1013 pazienti consecutivi che hanno ricevutouna diagnosi di MDS primitiva secondo i criteriWHO presso la Divisione di Ematologia, FondazioneIRCCS Policlinico S. Matteo, Università degli Studi diPavia dal 1992 al 2007, in ben 199 casi non erano presentiné anomalie morfologiche peculiari (eccesso di blasti alivello midollare e/o presenza di sideroblasti ad anello) néanomalie cromosomiche clonali, a dimostrazione del fattoche in una percentuale significativa di pazienti (20% dellapopolazione globale di pazienti con MDS, 29% dei casi diMDS a basso rischio), la diagnosi di MDS non è basatasulla presenza di marcatori specifici di displasia emopoietica.(Della Porta, dati non pubblicati, <strong>2009</strong>)Razionale dell’applicazione della citometria a flussonella diagnosi di MDSL’implementazione della classificazione WHO delle MDSrichiede un miglioramento dell’accuratezza della valutazionedella displasia emopoietica a livello midollare e, allostesso tempo, una più precisa definizione del ruolo prognosticodei fattori demografici e delle caratteristiche biologicherelative alla malattia nell’ambito dei sottogruppi WHO.Negli ultimi 10 anni molti progressi sono stati fatti nell’ambitodella citometria a flusso, sia in campo tecnologico, siain termini di disponibilità di un numero sempre più elevatodi anticorpi monoclonali e fluorocromi, con conseguenteraffinamento della capacità analitica e possibilità sempremaggiori di identificare alterazioni immunofenotipicheanche in piccole popolazioni cellulari. La classificazioneWHO delle patologie ematologiche maligne ha introdotto lacitometria a flusso come criterio indispensabile per la diagnosi,la classificazione, la stadiazione e il monitoraggio dinumerose entità cliniche, quali le patologie linfoproliferativee le leucemie acute. (Vardiman, <strong>2009</strong>)L’analisi immunofenotipica è stata recentemente propostacome tecnica di interesse per cercare di incrementarel’accuratezza della valutazione della displasia emopoieticamidollare. (Stetler-Stevenson, 2001) Il razionale dell’applicazionedella citometria a flusso nella diagnosi diMDS è che essa rappresenta un metodo accurato per lavalutazione qualitativa e quantitativa delle cellule emopoietiche,e alterazioni dell’espressione di diversi antigeni disuperficie e citoplasmatici sono state descritte in pazienticon MDS. Più recentemente alcuni studi clinici hannotestato la fattibilità dell’analisi citometrica nel work.-updiagnostico dei pazienti con MDS. (Wells, 2003; van deLoosdrecht, 2008; Malcovati, 2005)Idealmente, per essere universalmente applicabile,l’analisi citometrica dovrebbe essere basata su parametricon elevata sensibilità e specificità. Inoltre, l’analisidovrebbe essere riproducibile anche tra differenti operatorie, possibilmente tra diversi laboratori. Infine, l’analisidovrebbe essere facilmente comprensibile da parte degliematologi clinici.Rispetto a questa situazione ideale, i risultati degli studiche hanno valutato la fattibilità della valutazione delladisplasia emopoietica nelle MDS con analisi immunofe-Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


notipica hanno sollevato alcune questioni critiche. Inprimo luogo, nessun singolo parametro immunofenotipicoè in grado da solo di discriminare accuratamente tra leMDS e altre condizioni patologiche, e di conseguenza lavalutazione citometrica della displasia midollare richiedeun approccio multiparametrico. (van de Loosdrecht, <strong>2009</strong>)Tuttavia, tra i laboratori che hanno sviluppato esperienzadella tipizzazione immunofenotipica delle MDS, non esistead oggi consenso su quali siano i parametri più rilevantiper la diagnosi.In secondo luogo, i metodi analitici per la diagnosi immunofenotipicadelle MDS devono essere ancora standardizzati.In generale, per poter essere riproducibili e comparabili,le variabili citometriche dovrebbero essere espresse inmodo quantitativo, e cioè come un numero. Ad oggi, ilmetodo di analisi più largamente utilizzato per la valutazionedella displasia midollare e’ rappresentato dall’analisidei pattern maturativi. (Stetler-Stevenson, 2001; Wells,2003; van de Loosdrecht, 2008) Si tratta di un metodoqualitativo, basato sul riconoscimento di una alterazionedel percorso maturativo di una filiera emopoietica rispettoad un pattern di normalità. Nonostante, così come avvieneper l’analisi morfologica, questo tipo di approccio rappresentiuno strumento utile nelle mani di un operatore esperto,esso presenta anche diversi punti deboli: la descrizionenumerica dei risultati è difficoltosa, così da rendere impossibileun’analisi di tipo quantitativo. Inoltre questoapproccio richiede una definizione molto precisa dei patternnormali di riferimento, cosa estremamente difficoltosa.Con rare eccezioni, in nessuno studio nell’ambito delleMDS sono riportati dati sulla riproducibilità di questatipologia di analisi. Infine, i pannelli per l’analisi immunofenotipicadelle MDS sono complessi e costosi.Per queste ragioni, al momento dell’introduzione della classificazioneWHO,la citometria a flusso non è raccomandatacome strumento di screening diagnostico per le MDS.(Vardiman, 2002) Negli ultimi anni, diversi studi hannoaffrontato i punti deboli dell’analisi immunofenotipica nelladiagnosi di MDS, e passi significativi sono stati compiuti.(van de Loosdrecht, 2008; Malcovati, 2005; Ogata, 2006 e<strong>2009</strong>) Ad oggi è stato raggiunto il consenso che l’analisiimmunofenotipica delle cellule midollari è indicata nellavalutazione diagnostica di un paziente con citopenia delsangue periferico. In questo contesto clinico, l’immunofenotipopermette uno screening sensibile per la presenzadi patologie ematologiche maligne. Inoltre, nei soggettiin cui la valutazione citologica e l’analisi citogeneticanon siano informative, la citometria a flusso può rappresentareun valido aiuto per stabilire una diagnosi conclusiva diMDS. (Vardiman, <strong>2009</strong>, van de Loosdrecht, <strong>2009</strong>)Attualmente, la maggior parte degli approcci citometriciper la diagnosi di MDS è basata sulla valutazione dei compartimenticellulari mieloide e monocitario. (Wells, 2003;van de Loosdrecht, 2008) Le cellule mieloidi e monocitariedisplastiche (con maturazione anomala) possono esserericonosciute attraverso l’espressione aberrante di antigeni.E’ stata descritta una lunga serie di alterazioni dell’espressionedi antigeni cellulari, che comprendonol’espressione di molecole che normalmente non sono presentinelle cellule mieloidi (come antigeni di linea linfocitaria)e/o l’alterata espressione di antigeni mieloidi omonocitari a livello di una singola popolazione cellulare onel contesto di un percorso maturativo.Il numero e l’entità delle anomalie riportare dall’analisicitofluorimentrica correlano con il grado di displasia valutatamorfologicamente. (Stetler-Stevenson, 2001) La valutazionemultiparametrica delle cellule mieloidi e monocitarieconsente l’identificazione di una o più anomalie nellamaggior parte dei pazienti con MDS (dal 70% al 90% deicasi in casistiche differenti). (Stetler-Stevenson, 2001;Wells, 2003; van de Loosdrecht, 2008; Scott, 2008) Alcunistudi hanno confrontato l’accuratezza della citometria aflusso con quella dell’analisi morfologica nella determinazionedella displasia midollare. In generale, l’analisiimmunofenotipica risulta più sensibile rispetto alla morfologianella valutazione della displasia mieloide, individuandoanomalie della maturazione della linea mieloidenella maggior parte dei pazienti, inclusi una percentualesignificativa di casi (dal 20% a più del 90%) classificatimorfologicamente come disordini eritroidi puri (anemierefrattarie, anemie sideroblastiche). (Stetler-Stevenson,2001; van de Loosdrecht, 2008)D’altra parte, la valutazione della displasia eritroide concitometria a flusso è particolarmente difficoltosa, in ragionedella scarsa disponibilità di marcatori specifici.(Stetler-Stevenson, 2001) Questo rappresenta un limiteimportante all’applicazione diagnostica dell’immunofenotiponella valutazione della displasia emopoietica midollare.Infatti, la displasia eritroide (così come è definita daicriteri WHO) è perente alla diagnosi in quasi tutti i pazienticon MDS. (Cazzola, 2005; Malcovati, 2005)Valutazione della displasia eritroide in citometria aflussoApplicando i criteri WHO per la definizione di anemia,più del 90% dei pazienti con MDS risulta anemico almomento della diagnosi, e un’anemia di grado severo èriscontrabile in circa il 60% dei casi. (Cazzola, 2005;Malcovati, 2005) L’anemia è la conseguenza clinica dell’eritropoiesiinefficace. La displasia eritroide è presentenella quasi totalità dei pazienti con MDS ed è l’unica anomaliamorfologica riscontrabile nei soggetti con anemiarefrattaria e sideroblastica (ossia i disordini eritroidi puridella classificazione HWO).La valutazione della displasia eritroide rappresenta unpunto critico dell’analisi immunofenotipica dei pazienticon MDS.Prima di tutto, il riconoscimento dei precursori eritroidi alivello midollare con citometria a flusso è problematico. Glieritroblasti sono caratterizzati da bassa o assente espressionedell’antigene CD45 e basso side scatter (SSC) (celluleCD45dim-negative / SSClow). Questa definizione immu-Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA 21


22Figure 1 - Metabolismo del ferro nei precursori eritroidi midollari.Abbreviazioni: TRF = transferrin; Fe = iron; HF = Heavychain Ferritin; LF = Light chain Ferritin; IRP = iron regulatoryproteins; IRE = iron regulatory elements.Figure 2 - Valutazione di Ferritina H (HF) e FerritinaMitocondriale (MtF) negli eritroblasti di un paziente con MDS.nofenotipica è senza dubbio semplice e abbastanza facilmenteriproducibile. (Stetler-Stevenson, 2001) Tuttavia laregione CD45-/SSClow contiene oltre che precursori eritroidi,anche cellule eritroidi mature (eritrociti, non nucleati),cellule non emopoietiche (come cellule endoteliali) edetriti cellulari, che non sono discriminabili sulla base delleproprietà fisiche o dell’espressione di CD45.In alternativa, è possibile identificare gli eritroblasti midollaricon un gate immunologico basato sulla presenza di antigeniespressi dalle cellule eritrodi. (Malcovati, 2005) Inquesto contesto, è noto che nel percorso differenziativo daeritroblasto basoflio ad eritrocito si assiste ad una progressivadiminuzione dell’espressione di CD45. Al contrario,l’espressione di glicoforina A (Gly A) incrementa dallo stadiodi eritroblasto basofilo a quello di eritroblasto ortocromatico.Infine il CD71 (recettore per la transferrina) è unodegli antigeni espresso in fase più precoce durante la differenziazionedelle cellule eritroidi, (precede l’esperssione diGly A) e rimane presente sino allo stadio di reticolocito.(Loken, 1987) Da un punto di vista puramente teorico, unaprocedura di gating degli eritroblasti sulla base dell’espressionedi CD71 sarebbe preferibile, essendo la Gly A assentein una porzione di precursori eritroidi immaturi, che possonoessere aumentati nelle MDS. Tuttavia nelle MDS èATTIVITÀ SCIENTIFICAfrequentemente osservata una alterazione dell’espressionedell’antigene CD71. (Stetler-Stevenson, 2001; Malcovati,2005) Invece la Gly A è un antigene molto stabile e convariabilità interindividuale di espressione significativamentepiù bassa rispetto al CD71. (Loken, 1987)Il processo di lisi può interessare in maniera indesideratauna porzione variabile di cellule eritroidi nucleate. In questoambito, benché un sistema no-lyse/no-wash sia ingrado di fornire una stima molto più accurata dei precursorieritroidi midollari, un approccio lyse/no-wash è sicuramentepiù semplice e potrebbe rendere più agevolel’introduzione dello stesso nel work-up diagnostico deipazienti con sospetta MDS. (van de Loosdrecht, <strong>2009</strong>)Uno studio ha specificamente affrontato il confronto dellavalutazione delle cellule eritoidi tra analisi morfologica ecitometria a flusso con una combinazione di Gly A eCD45. (Malcovati, 2005). Tale studio ha mostrato una correlazionelineare nella valutazione degli eritroblasti con ledue metodiche, anche se la citometria a flusso tende a sottostimareil numero di eritroblasti rispetto al conteggiomorfologico. Inoltre l’analisi citometrica è risultata riproducibiletra operatori differenti.Un ulteriore importante problema dell’analisi immunofenotipicadella displasia eritroide è la limitata disponibilitàdi marcatori specifici. (Stetler-Stevenson, 2001)Lo studio di Stetler Stevenson et al. ha dimostrato per laprima volta la fattibilità della valutazione della displasiaeritroide con analisi immunofenotipica. (Stetler-Stevenson, 2001) Eritrobalsti anomali sono stati identificatitramite analisi citometrica in 34 dei 44 casi di MDSstudiati (77%), e l’anomalia più frequentemente riscontrataè stata una ridotta espressione dell’antigene CD71.Nessuna altra anomalia immunofenotipica correlava inmodo significativo con la presenza di displasia eritroide.In questo lavoro, la concordanza nella valutazione delladisplasia eritroide tra analisi citologica e citometrica èrisultata bassa, con una maggior sensibilità a favore dellavalutazione morfologica. Per questi motivi, vi è necessitàdi incrementare l’accuratezza della citometria a flussonella valutazione della displasia eritroide.E’ interessante sottolineare che l’antigene CD71 è il recettoreper la transferrina. (Cazzola, 2008) E’ noto che il metabolismomarziale è notevolmente importante nelle celluleeritroidi per la produzione di eme, e che esso è perturbato inmaniera peculiare nelle MDS. (Cazzola, 2008) Dunque lavalutazione delle proteine del metabolismo del ferro puòrappresentare una via promettente per superare la scarsità dimarcatori immunofenotipici per la linea eritroide.A livello cellulare, la ferritina citosolica (con le subunità HFerritin [HF] e L Ferritin [LF]) svolge un ruolo essenzialenella regolazione dell’omeostasi marziale a livello intracellulare,depositando il ferro all’interno della propriastruttura. (Levi, 1992) La ferritina citosolica riveste inoltreun ruolo importante (tramite l’attività ferrossidasica dellasubunità H) nel processo di detossificazione del ferro liberopotenzialmente dannoso per la cellula. Il recettore per laLettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


transferrina (CD71) è indispensabile per l’uptake extracellularedel ferro. La ferritina citosolica e il recettore dellatransferrina sono mutualmente regolate dalle IronRegulatory Proteins (IRP), che si legano a livello degliIron Responsive Elements (IRE) e inibiscono la traslazionedell’mRNA. (Figura 1)Le cellule eritroidi dei pazienti con MDS presentano un fenotipo“iron-loaded”, caratterizzato da un incremento del contenutodi ferritina citosolica (ed in particolare della subunità H,HF) e da una ridotta espressione del recettore per la transferrinaCD71. (Della Porta, 2006) (Figura 2) E’interessante sottolineareche l’espressione di HF e CD71 riflette il grado didisplasia valutato morfologicamente. Inoltre l’espressione diHF è aumentata in pazienti ad alto rischio citogenetico rispettoai soggetti con basso rischio. (Della Porta, 2006)La ferritina H possiede attività ferrossidasica e recentementeè stato osservato che HF è un mediatore essenzialedelle proprietà antiossidanti e protettive dei fattori di trascrizioneNF-kB. (Pham, 2004). I risultato di un’analisimultivariata aggiustata per lo stato di ferro corporeo hamostrato un effetto significativo della diagnosi sui livellidi HF, suggerendo il coinvolgimento di altri meccanismiin aggiunta al contenuto intracellulare di ferro nell’alterataregolazione dell’espressione di HF nei precursori eritroididelle MDS. (Della Porta, 2006) E’ interessante sottolineareche i pazienti con MDS presentano un incrementodell’attività di NF-kB e questo può risultare in unaumento della trascrizione di HF. Dunque, HF potrebbeagire come una sostanza pro-apoptotica nelle MDS.La citometria a flusso potrebbe essere utile anche nellacaratterizzazione delle anemie sideroblastiche. Le anemiesideroblastiche sono un gruppo di disordini caratterizzatidalla presenza di sideroblasti ad anello, cioè da precursorieritroidi con accumulo di ferro a livello mitocondriale.(Vardiman, 2002; Cazzola, 2003) Recenti acquisizioniscientifiche nella comprensione del metabolismo marziale,hanno chiarificato che il ferro depositato a livello mitocondrialenei sideroblasti ad anello è presente in forma diun particolare tipo di ferrtina, chiamata ferritina mitocondriale(MtF). (Cazzola, 2003)Inoltre, da un punto di vista genetico, queste patologieappaiono come entità cliniche differenti rispetto alle altreMDS e presentano un profilo di espressione genica assolutamentepeculiare, caratterizzato dalla up-regolazione digeni “mitocondriali” e in particolare di quelli coinvoltinella sintesi dell’eme. (Pellagatti, 2006)Utilizzando un anticorpo policlonale contro MtF, l’analisiin citometria a flusso ha confermato che l’espressione diMtF è strettamente correlata alla presenza di sideroblastiad anello a livello midollare. (Della Porta, 2006) (Figura 2)In un modello di coltura liquida l’espressione aberrante diMtF, così come quella di HF, avviene ad un livello estremamenteprecoce del processo di differenziazione dallacellula staminale, confermando una stretta correlazionecon il fenotipo mielodisplastico. (Della Porta, 2006)Dal momento che il riconoscimento morfologico dei sideroblastiad anello può essere in alcuni casi difficoltoso, inprospettiva, la valutazione in citometria a flusso di MtFpotrebbe essere considerata la metodica di riferimento perla diagnosi di anemia sideroblastica. Inoltre, nell’ambitodella classificazione WHO, la valutazione di MtF potrebbeessere rilevante nella diagnosi di anemia refrattaria consideroblasti ad anello e trombocitosi (RARS-T), una patologiamielodisplastica/mieloproliferativa che annovera trai propri criteri diagnostici la presenza di sideroblasti adanello a livello midollare. (Malcovati, <strong>2009</strong>) Infine, dalmomento che sideroblasti ad anello in percentuale inferioreal 15% sono presenti in una porzione significativa dipazienti con anemia refrattaria e con citopenia refrattaria,la disponibilità nel prossimo futuro di anticorpi monoclonalicontro MtF potrebbe risultare in un aumento dellasensibilità nella valutazione della displasia eritroide inquesti pazienti.Nella prospettiva di una applicazione diagnostica della valutazionedella displasia eritroide in citometria a flusso,l’analisi di HF, CD71, MtF e CD105 (Endoglina, un marcatoreespresso dai proeritroblasti che sono incrementati numericamentein una porzione di pazienti con MDS) è stato combinatoin un approccio citofluorimetrico che è stato testatonel work-up diagnostico di una coorte di pazienti con sospettoclinico di MDS. (Della Porta, 2006) Questo approccio hapermesso una corretta classificazione dei pazienti con MDSe dei controlli patologici in più del 90% dei casi, con unabuona riproducibilità tra diversi operatori.Un punto critico della valutazione morfologica della displasiaemopoietica midollare è che essa può essere difficoltosaper scarsa qualità del campione, o nei casi in cui ipazienti presentino ipocellularità midollare o fibrosi. Inquesto contesto, l’analisi immunofenotipica (e in particolarela valutazione delle proteine del metabolismo marziale)ha dimostrato di essere in grado di individuare segni didisplasia eritroide in una porzione significativa di casi incui il campione prelevato per la valutazione morfologicaera inadeguato (Stetler-Stevenson, 2001; Malcovati, 2005;Della Porta, 2006), suggendo che l’analisi citometrica èprobabilmente meno dipendente dalla qualità del campionerispetto all’analisi morfologica.Come discusso precedentemente, in ragione della loro eterogeneitàclinica, una classificazione ideale delle MDSdovrebbe fornire in aggiunta informazioni prognostiche epossibilmente identificare gruppi di soggetti con un andamentoclinico omogeneo. In questo contesto, l’impatto clinicodella classificazione WHO è estremamente rilevante.(Malcovati, 2005 e 2007) Il valore prognostico di questosistema classificativo è maggiormente apprezzabile neisoggetti con MDS a basso rischio, nei quali la presenza didisplasia isolata della linea eritroide identifica un gruppodi pazienti a prognosi migliore rispetto ai soggetti condisplasia multilineare. Le MDS con displasia eritroide isolatesono un subset di pazienti a con rischio di evoluzioneleucemica estremamente basso, nella determinazione prognosticadei quali hanno peso sicuramente maggiore fatto-Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA 23


i demografici rispetto a parametri legati alla malattia.L’aspettativa di vita di questi pazienti con età maggiore ouguale a 70 anni non è significativamente differenterispetto a quella della popolazione generale. Al contrario,i pazienti con displasia multilineare, hanno una sopravvivenzasignificativamente ridotta e un aumentato rischio dievoluzione leucemica. (Malcovati, 2005)In uno studio, è stata condotta una valutazione prospetticadella displasia midollare eritroide e mieloide con citometria,in una coorte di 115 pazienti consecutivi con sospettoclinico di MDS. Una corretta classificazione dei pazienticon MDS secondo I criteri WHO è stata ottenuta nellamaggior parte dei casi (87%). (Malcovati, 2005) nel prossimofuturo, il possibile riconoscimento da parte dellacitometria a flusso dei soggetti con displasia unilineare neiconfronti dei soggetti con displasia multilineare con maggioreaccuratezza rispetto all’analisi citologica, potrebbeavere notevole importanza sul piano della determinazionedella prognosi dei pazienti con MDSBibliografiaCazzola M, Malcovati L. Myelodysplastic syndromes-coping withineffective hematopoiesis. N Engl J Med. 2005;352:536-538.Malcovati L, Della Porta MG, Pascutto C, Invernizzi R, Boni M,Travaglino E, et al. Prognostic factors and life expectancy inmyelodysplastic syndromes classified according to WHO criteria:a basis for clinical decision making. J Clin Oncol.2005;23:7594-7603.Malcovati L, Della Porta MG, Cazzola M. Predicting survivaland leukemic evolution in patients with myelodysplastic syndrome.Haematologica. 2006;91:1588-1590.Della Porta MG, Malcovati L, Boveri E, Travaglino E, Pietra D,Pascutto C, et al. 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Confronto tra metodi diversi nella valutazione del positivo:risultati dell’applicazione dell’analisi di cluster al fenotipodi un gruppo di pazientiaffetti da leucemia promielocitica acutaNadia ViolaServizio Regionale di Immunologia Clinica e Tipizzazione Tessutaledell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Anconae-mail: n.viola@ospedaliriuniti.marche.itINTRODUZIONELa leucemia promielocitica è quasi invariabilmente associataad una traslocazione reciproca interessante i cromosomi15 e 17 (PML/RARα)La sensibilità dei promielociti leucemici ai derivati dell’acidoretinoico, che nella quasi totalità dei casi ne induconola maturazione terminale a neutrofilo, determina laremissione completa del quadro leucemico.La disponibilità di una efficace terapia specifica rende altamentedesiderabile il riconoscimento inequivoco dei casi dileucemia promielocitica. Questo compito non è semprefacile, in quanto, esistono varianti morfologiche in grado diostacolare la diagnosi precisa; un caso per tutti è costituitodalla cosiddetta leucemia promielocitica variante, o AML-M3v, in cui, nonostante la presenza di una anomalia citogeneticatipica, la morfologia degli elementi patologici entrain diagnosi differenziale con quella dei monoblasti leucemicidella leucemia monoblastica acuta, o AML-M5.Data la costanza della lesione citogenetica, la dimostrazionedella traslocazione citata viene considerata premessairrinunciabile all’erogazione della terapia specifica.SCOPO DELLO STUDIOL’obiettivo di questo lavoro è stato quello di studiare il fenotipodegli elementi patologici con diagnosi morfologica diLeucemia Promielocitica Acuta (secondo la classificazioneFAB),e procedere a un’elaborazione dei dati condotta siasecondo i criteri tradizionali di positività (criteri EGIL) siasecondo una valutazione semiquantitativa della intensità diespressione, al fine di ricercare, per mezzo di tecniche dianalisi di cluster, la presenza di raggruppamenti di soggettiomogenei per caratteristiche fenotipiche differenziali, correlando,ove possibile, i risultati fenotipici con gli elementi dieterogeneità precedentemente noti.MATERIALI E METODISono stati studiati 20 pazienti precedentemente non trattatiafferiti ai Laboratori di Citometria dell’OspedaleCivile di Venezia e al Servizio Regionale di ImmunologiaClinica e di Tipizzazione Tessutale dell’AziendaOspedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Anconacon diagnosi morfologica di Leucemia PromielociticaLettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>Acuta secondo la classificazione FAB (AML-M3).Il campione sottoposto all’analisi fenotipica consisteva,ove possibile, di un campione di aspirato midollare; indue casi afferiva al laboratorio di citometria solamenteun campione di sangue periferico, che risultava comunquetipico dal punto di vista morfologico, e che veniva diconseguenza inserito nella casistica perché giudicatorappresentativo.L’analisi cariotipica veniva eseguita con tecniche tradizionalida altri laboratori delle rispettive strutture; i risultatidelle analisi venivano desunti nel corso della revisionedelle cartelle cliniche.L’analisi citometrica è stata eseguita su campioni di sangueintero, usando un panel di anticorpi monoclonalicommerciali direttamente coniugati con diversi fluorocromi. Sono stati studiati diversi antigeni :antigeni “linfoidi” (CD2, CD3, CD4, CD5, CD7, CD8,CD10, CD19, CD20, TdT),antigeni “mieloidi” (CD11b, CD11c, CD13, CD15,CD16,CD33, CD65, CD117, MPO) ,antigeni monocitari ( CD14, CD64),antigeni non lineage (CD11a, CD34, CD38, CD45,CD56, HLA-DR).L’analisi immunofenotipica è stata effettuata utilizzando trecitometri: il primo capace di leggere due parametri fisici equattro parametri di fluorescenza (FASCcalibur, BectonDickinson), il secondo capace di leggere due parametri fisicie sei parametri di fluorescenza (FACScanto, BectonDickinson), e il terzo capace di leggere due parametri fisicie dieci parametri di fluorescenza (LSR II, BectonDickinson). Sono state selezionate le cellule patologichemediante gate immunologico costruito su SSC e CD45.RISULTATII risultati dell’analisi dei singoli parametri venivanovalutati mediante due diverse scelte metodologiche:METODO TRADIZIONALE (Metodo cut-off EGIL) eMETODO ALTERNATIVO.Nel Metodo Tradizionale una popolazione patologicaviene considerata positiva per un determinato antigene se,al confronto con il controllo negativo, esprime quell’antigenein una percentuale di elementi superiore a un deter-ATTIVITÀ SCIENTIFICA27


minato cut-off, arbitariamente posto al 20% nelle leucemieacute (Bain, Barnett et al. 2002). A tutti i campionicon percentuale inferiore al 20% veniva attribuito unoscore di 0, mentre a tutti i campioni con percentuale egualeo superiore al 20% veniva attribuito uno score di 1.Il metodo del cut-off, applicato acriticamente, confondesistematicamente le popolazioni negative con le popolazionidebolmente, ma omogeneamente positive trasformandoin negativa una popolazione debolmente positiva.Nel Metodo Alternativo viene invece considerata lamediana del parametro indagato e viene consideratopositivo al 100% un test il cui spostamento rispetto alcontrollo (dato dalla differenza di inizio dei due istogrammi),sia almeno pari al 10% dell’intensità medianadi fluorescenza del controllo.Il campione veniva considerato positivo per il parametroanalizzato quando il suo valore di RFI (ratio of fluorescenceintensity) superava un valore di cut-off posto a1,5. Il valore di RFI veniva prodotto dividendo l’intensitàdi fluorescenza mediana del parametro indagato el’intensità di fluorescenza mediana del proprio controllonegativo.Tale valore veniva arbitrariamente portato a 1,5 nel tentativodi minimizzare gli effetti di eventuali shift strumentali,prediligendo così la robustezza del metodo a discapitodella sua sensibilità. A questo punto veniva adottato unduplice approccio. Nel primo approccio, detto metodoalternativo “qualitativo”, a tutti i campioni con RFIinferiore a 1,5 veniva attribuito uno score di 0, mentre aicampioni con RFI superiore a 1,5 veniva attribuito unoscore di 1. Si otteneva quindi una divisione dei risultati (0= negativo, 1 = positivo) concettualmente simile a quellaottenuta con il metodo tradizionale. Il confronto dei risultatipermetteva una valutazione differenziale dei duemetodi, in quanto eventuali differenze nella distribuzionedegli score erano riconducibili esclusivamente allaaumentata sensibilità del metodo alternativo. Nel secondoapproccio, detto metodo alternativo “quantitativo”,si sceglieva di attribuire a tutti i campioni con RFI inferiorea 1,5 uno score di 0, mentre ai campioni con RFIsuperiore a 1,5 venivano registrati con uno score di 1 nelcaso di RFI posto fra 10 0 e 10 1 , con uno score di 2 nelcaso di RFI posto fra 10 1 e 10 2 , e con uno score di 3 nelcaso di RFI posto fra 10 2 e 10 3 . Si procedeva quindi alconfronto tra i due approcci allo scopo di valutarel’impatto esercitato sui risultati finali da una metodologiadi registrazione che tenesse in considerazione non solamentela positività o la negatività, ma anche le diverseintensità di espressione degli antigeni esplorati.I risultati delle analisi dei singoli parametri, condottimediante i tre metodi citati (metodo tradizionale, metodoalternativo “qualitativo”, e metodo alternativo“quantitativo”), venivano organizzati in matrici, le cuirighe corrispondevano ai parametri indagati, e le cuicolonne corrispondevano ai soggetti studiati. Le matricicosì ottenute venivano quindi sottoposte ad analisi dicluster non supervisionata, adottando come parametricomputazionali le opzioni “complete linkage” e “correlationsimilarità”.I risultati ottenuti venivano quindi visualizzati mediantetecniche gerarchiche orizzontali di visualizzazione adalbero (horizontal hierachical tree plot). Le tecniche diclusterizzazione e di visualizzazione ad albero venivanoeseguite mediante i software “Cluster” e “Treeview”,generalmente usati nell’analisi dei dati prodotti daglistudi di gene expression, e liberamente disponibili pressoil sito http://rana.lbl.gov/EisenSoftware.htm (Eisen,Spellman et al. 1998).La semplice osservazione delle positività ottenute con ilmetodo “tradizionale” e con il metodo “alternativo” permettevadi rilevare come il metodo “alternativo” risultipiù sensibile, evidenziando nella popolazione indagata unnumero maggiore di casi positivi per un dato parametro. E’tuttavia interessante rilevare come l’aumento della percentualedi positività non riguardi tutti i parametri nello stessomodo, ma sembri prediligere gli antigeni legati alla maturazionemieloide, che probabilmente giocano un ruolo fisiologicoanche se espressi in membrana con un numero di molecolerelativamente basso. Il metodo alternativo non comportainvece nessun vantaggio selettivo nell’analisi di unaserie di antigeni linfoidi, tra cui segnatamente CD5, CD7,CD10, CD19, CD20 e TdT, che risultano omogeneamentenegativi con ambedue i metodi.L’analisi di cluster veniva condotta separatamente sullematrici di risultati ottenute rispettivamente mediante ilmetodo tradizionale, sulle matrici di risultati ottenutemediante il metodo alternativo con approccio qualitativo,e sulle matrici di risultati ottenute mediante il metodoalternativo con approccio quantitativo. In tutti icasi, alla luce dei risultati ottenuti dalla revisione dei datiprodotti dall’analisi citometrica, si espungevano dallematrici i valori relativi all’analisi degli antigeni CD5,CD7, CD10, CD19, CD20 e TdT.Il risultato dell’analisi di cluster della matrice degli scoreottenuti mediante applicazione del metodo tradizionalerisolve la popolazione in due cluster principali (Fig.1); lapopolazione globale può comunque essere assimilata aquattro gruppi principali, di cui uno più fenotipicamentelontano, e tre più vicini fra di loro, e riuniti nel secondocluster principale. Il cluster colorato in giallo appare particolarmenteinteressante per il suo comportamento e peralcune caratteristiche biologiche dei suoi componenti.Passando dalla clusterizzazione della matrice degli scoreottenuti mediante applicazione del metodo tradizionale aquella degli score ottenuti mediante applicazione delmetodo alternativo qualitativo (Fig.1), si assiste a untotale rimaneggiamento dei gruppi, con la notevole eccezionedel cluster colorato in giallo, che tende a mantenersiaggregato, pur riducendosi di numerosità. Il processo dirimaneggiamento aumenta ulteriormente passando allaclusterizzazione della matrice degli score ottenuti medianteapplicazione del metodo alternativo quantitativo28 ATTIVITÀ SCIENTIFICA Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


Figura 1 - Risultati dell’analisi di cluster del metodo tradizionale e dei metodialternativi: qualitativo e quantitativo.Figura 2 - La clusterizzazione eseguita su score assegnati con metodo alternativo quantitativogenera l’espulsione del soggetto AML non M3, unico soggetto senza PML/RARα.(Fig.1): anche il cluster “giallo” appare definitivamentedisperso, con i due componenti estremi molto lontani fradi loro.Rispetto alle clusterizzazioni precedenti si nota tuttaviauna importante novità: invece di essere distinta in clusterdiversi gerarchicamente confrontabili, come nel casoprecedente, in questo caso la popolazione si divide in duecomponenti, la prima costituita da un solo individuo,colorato in rosso nella figura, e la seconda costituita datutti gli altri individui, articolati in un secondo clusterche si divide ancora in un secondo individuo isolato, e inun gruppo comprendente tutti i rimanenti.DISCUSSIONEValutare, confrontare, e ancor peggio giudicare il comportamentodei tre metodi analitici adottati nella casistica studiataappare estremamente difficile, e ciò per una serie di fattoriavversi tra cui la bassa numerosità dei casi studiati, ilbasso numero di antigeni studiati, l’eterogeneità dei pannelliapplicati ai diversi casi, e la possibilità di aver omessomarcatori “leader” in grado di distribuirsi nella popolazionestudiata in modo eterogeneo esignificativo. Manca infine unostandard di riferimento, ovvero unmodello in grado di permettere ungiudizio obiettivo sui risultati finalidel processo. Nonostante questeriserve, esistono tuttavia dei puntidi riferimento obiettivi, in quantol’intero processo si configuracome un processo graduale in cuila sensibilità e la dinamica dell’analisifenotipica aumentanoprogressivamente con il variaredegli approcci. Il risultato delleclusterizzazioni ottenute con ogniapproccio metodologico diversocostituisce il punto di riferimentoper la discussione dei risultati ottenuticon l’approccio adiacente; ilrisultato ultimo va valutato empiricamentealla luce degli elementidi eterogeneità noti presenti nellapopolazione e dell’aderenza deltest ai comportamenti desiderati oprevisti.La prima constatazione ricavabiledall’osservazione dei dati èche il fenotipo di ogni singolocaso può variare con il variaredelle modalità di interpretazionedei dati. Infatti, adottando ilmetodo alternativo qualitativo,che possiede una maggior sensibilitàrispetto al metodo tradizionale,il numero di marcatoripositivi aumenta. Sebbene le nuove positività riguardinomolecole espresse a bassa densità epitopica, ciò non dimeno aumenta il numero di marcatori che concorre allacaratterizzazione dei singoli casi, e che si presta alla clusterizzazionedella casistica. E’ interessante osservarecome questo aumento non sia indiscriminato, ma riguardisolamente i marcatori il cui coinvolgimento da unpunto di vista teleologico appare atteso, ovvero i marcatoricoinvolti nella maturazione mieloide. Il peso degliantigeni connessi alla linea linfoide invece non aumenta,con l’eccezione di CD2, la cui espressione è stata documentatain alcuni casi di AML-M3v, e può esercitare unavalenza prognostica.La seconda constatazione è che i risultati dello stessoalgoritmo di clusterizzazione variano a seconda deimetodi usati per valutare i fenotipi e produrre di conseguenzegli score usati nella costruzione delle matrici. Ilconfronto tra i risultati delle clusterizzazioni ottenuteapplicando l’algoritmo alle diverse matrici offre alcunielementi di riflessione.Dall’osservazione delle popolazioni distribuite tra i variLettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>ATTIVITÀ SCIENTIFICA29


cluster, appare evidente la presenza di un simbolo rappresentatoin colore rosso (Fig.2); che è un pazientemolto importante ai fini di questo studio, in quanto costituiscel’unico soggetto affetto da leucemia acuta diagnosticatacome M3 sulla base della morfologia delle cellulepatologiche, ma successivamente non confermatacome tale sulla base delle indagini citogenetiche. A differenzadalle altre procedure di clusterizzazione, la clusterizzazionedegli score ottenuti mediante applicazionedel metodo alternativo con approccio quantitativo èin grado di separare automaticamente questo caso da tuttigli altri casi della casistica . In sintesi, l’algoritmo haindividuato tutti i casi “AML non M3” e solo i casi“AML non M3”, dimostrando una sensibilità e una specificitàdel 100%. Il passaggio dalla clusterizzazionedegli score ottenuti con il metodo tradizionale alla clusterizzazionedegli score ottenuti con il metodo alternativoquantitativo si è dunque dimostrato in grado diaumentare la sensibilità e la specificità dell’algoritmofino a renderlo capace di una “diagnosi differenzialeautomatica” - almeno per quanto riguarda il campionestudiato - tra forme M3 e forme non M3.Sfortunatamente, questo comportamento virtuoso non siè riprodotto in tutti gli scenari considerati. Dall’osservazionedella Fig.1 appare evidente la presenza di uncluster costituito da simboli di colore giallo; questo clusterrisulta particolarmente interessante, in quanto comprendeal proprio interno i casi di AML-M3 variante, chesono contraddistinti da asterisco per uno specifico riconoscimento.La progressiva disorganizzazione del clusterdurante la transizione attraverso i vari metodi suggerisceche l’aumento di sensibilità che rende possibile il riconoscimentodel soggetto non AML-M3 come soggetto irrimediabilmente“diverso”, ostacola il riconoscimento delcluster “giallo” come cluster omogeneo. Il fatto che ladisgregazione del cluster “giallo” intervenga non tantonel passaggio dall’approccio tradizionale all’approccioalternativo qualitativo, quanto in quello dall’approccioalternativo qualitativo all’approccio alternativo quantitativo,suggerisce che l’omogeneità del cluster “giallo” siafittizia, in quanto essa si conserva, pur cominciando adegenerare, quando la sensibilità del metodo aumenta,ma sparisce quando l’aumentata dinamica del metodorende evidenti le differenze quantitative nell’espressionedi antigeni pur condivisi. Risulta quindi possibile ipotizzareche, ammesso che esistano elementi di omogeneitàfenotipica tra i casi AML-M3 variante, questi non sianodefinibili sulla base dei parametri esplorati nel presentelavoro.Infine, nessuna correlazione è stato possibile stabilire trai risultati delle procedure di clusterizzazione e la presenzadi cariotipi complessi,(tre pazienti presentavano anomaliecariotipiche aggiuntive, e precisamente una trisomia8, una duplicazione del braccio corto del cromosoma11, e una traslocazione reciproca t(3;4)), né d’altrondeera plausibile postulare che la sola presenza di cariotipicomplessi diversi fra di loro fosse di per sé sufficiente amodulare in modo “convergente” il fenotipo dei diversicasi; più interessante sarebbe stato stabilire le reciprocherelazioni tra soggetti portatori di traslocazione varianti,ma questo traguardo è stato fin dall’inizio precluso dallecaratteristiche della casistica.In sintesi, tale lavoro costituisce uno dei pochi esempi diapplicazione di tecniche di analisi dei dati a una casisticadi soggetti individuati sulla base delle loro caratteristichefenotipiche. Sebbene esso debba essere consideratopreliminare, ciò nonostante ha permesso il confronto trale diverse tecniche di valutazione e di registrazione dellapositività fenotipica, evidenziando i risultati dell’aumentodella sensibilità e della dinamica delle varie tecnichealla luce dei risultati ottenuti dall’analisi di cluster di unapopolazione eterogenea di soggetti correlati affetti daleucemia promielocitica. Infine, ha documentato il comportamentopredittivo di un modello capace di discriminarefra di loro due popolazioni biologiche profondamentediverse. Questo comportamento discriminatoriopresenta valenze utili nei processi di diagnosi differenziale,e merita di essere testato su popolazioni più ampiee più eterogenee.RINGRAZIAMENTIVorrei ringraziare la Prof.ssa M. Montroni, la Dr.ssaC.Bartocci, la Dr.ssa E.Costantino del Servizio Regionaledi Immunologia Clinica e Tipizzazione Tessutaledell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riunitidi Ancona per il sostegno dato nel corso del presentelavoro e il Prof. S. Papa, mio relatore, per il suo contributoe per la sua disponibilità.Un grazie particolare al Dr. C. Ortolani per la sua attivacollaborazione e per avermi seguito durante tutta la stesuradel lavoro, insegnandomi tutto quanto necessarioallo svolgimento di quest’ultimo.BIBLIOGRAFIABain, B., D. Barnett, et al. (2002). “Revised guideline onimmunophenotyping in acute leukaemias and chronic lymphoproliferativedisorders.” Clin Lab Haematol 24(1): 1-13.De Rossi, G., G. Avvisati, et al. (1990). “Immunological definitionof acute promyelocytic leukemia (FAB M3): a studyof 39 cases.” Eur J Haematol 45(3): 168-171.Di Noto, R., C. Lo Pardo, et al. (1996). “All-trans retinoic acid(ATRA) and the regulation of adhesion molecules in acutemyeloid leukemia.” Leuk Lymphoma 21(3-4): 201-209.Eisen, M., P. Spellman, et al. (1998). “Cluster analysis and displayof genome-wide expression patterns.” Proc Natl AcadSci USA 95(25): 14863-14868.Khalidi, H., L. Medeiros, et al. (1998). “The immunophenotypeof adult acute myeloid leukemia: high frequency of lymphoidantigen expression and comparison of immunophenotype,French-American-British classification, and karyotypicabnormalities.” Am J Clin Pathol 109(2): 211-220.Sainty, D., V. Liso, et al. (2000). “A new morphologic classificationsystem for acute promyelocytic leukemia distinguishescases with underlying PLZF/RARA gene rearrangements.”Blood 96(4): 1287-1296.30 ATTIVITÀ SCIENTIFICA Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


Invito alla letturaa cura di “Ale”A Flow Cytometric Assay for the Study of E3Ubiquitin Ligase ActivityJoshua G. Hilliard, Anne L. Cooper, Joyce G. Slusser,David J. DavidoCytometry Part A <strong>2009</strong> Jul;75(7):634-41.Il principale punto di forza di questo lavoro è lo sviluppo,mediante l’impiego di analisi citofluorimetriche, diuna nuova strategia che consenta di monitorare l’attivitàdell’ubiquitina E3 ligasi in vivo. Questo nuovo approccio,misurando mediante analisi FCM la riduzione dellafluorescenza di proteine target dell’ubiquitina E3 ligasi,rappresenta una valida e sensibile strategia per monitoraree quantificare l’attività enzimatica degradativa in colturecellulari vitali, a differenza di metodiche precedentiche, basandosi essenzialmente su saggi di immunofluorescenza,immunoprecipitazione ed immunoblotting, nonconsentono una valutazione in vivo dell’attività dell’enzima.L’argomento trattato è di particolare rilevanzascientifica. La tecnica proposta rappresenta, infatti, unostrumento innovativo e di fondamentale utilità nell’ambitodella ricerca di base. Il lavoro, oltre ad essere moltobene articolato, risulta essere accompagnato da un disegnosperimentale chiaramente presentato.La microscopia a fluorescenza e la citometria a flusso,insieme alle metodiche di biologia molecolare basatesulla transfezione di vettori adenovirali, forniscono unnuovo approccio finalizzato alla valutazione semiquantitativadell’attività degradativa dell’E3 ubiquitina ligasi.Poiché le cellule sopravvivono al sorting cellulare, unulteriore vantaggio di tale tecnica è inoltre rappresentatodalla possibilità di potere riutilizzare i campioni cellulariper ulteriori analisi. Una limitazione di tale approccioconsiste nel range di tipi cellulari che possono essere sottopostiall’analisi. Le cellule infatti devono essere permissiveall’ingresso ed alla replicazione del vettoreretrovirale, condizione per la quale potrebbero essere utilizzativettori retrovirali alternativi (ad esempio vettorilentivirali). In tal senso, estendendo l’analisi a differentisistemi cellulari questa nuova metodica, in futuro,potrebbe facilmente essere sfruttata per una migliorecomprensione della struttura, cinetica e pathways di trasduzionedel segnale di proteine ad attività proteolitica edei loro targets.Antonio Russolab-oncobiolgia@usa.netClinical and biological characteristics of adult biphenotypicacute leukemia in comparison with that ofacute myeloid leukemia and acute lymphoblasticleukemia: a case series of a Chinese populationXiao-Qian Xu, Jian-Min Wang, Shu-Qing Lüˇ, LiChen, Jian-Min Yang, Wei-Ping Zhang, Xian-MinSong, Jun Hou, Xiong Ni, and Hui-Ying Qiu.Haematologica <strong>2009</strong>; 94: 919-927.La leucemia acuta bifenotipica è una forma molto rara dileucemia acuta (1,3-8% di tutte le leucosi acute, a secondadelle varie casistiche) che pone spesso delle difficoltàdiagnostiche in quanto le cellule neoplastiche presentanodei marcatori di linea sia mieloidi che linfoidi. Proprioperché rare queste leucemie sono scarsamente caratterizzatedal punto di vista clinico-biologico.Nel lavoro di Xu e collaboratori vengono valutati retrospettivamente452 patienti affetti da leucemia acuta diagnosticatie seguiti presso l’Università di Shangai. Tra di essi sonostati individuati 21 casi di leucemie bifenotipiche, la maggiorparte delle quali (66,7%) sono risultate essere B linfoidie mieloidi, mentre solo una minoranza erano T linfoidi emieloidi (23,8%), T e B linfoide (4,8%) o con differenziazionetrilineare (4,8%). La comparazione fatta tra i pazienticon leucemia bifenotipica e quelli con leucemia acuta mieloideo linfoide ha evidenziato una maggiore incidenza dipositività per CD34, cariotipo sfavorevole (la t(9;22) comemaggiore alterazione) e infiltrazione extramidollare neiprimi. Tutto ciò si è poi tradotto in una disease-free e in unaoverall survival significativamente inferiori rispetto alle leucemieacute mieloidi e linfoidi de novo, confermando anchein una coorte di pazienti cinesi le precedenti segnalazioni,fatte in altre parti del mondo, di una prognosi più sfavorevoledi queste forme particolari di leucemie acute.La traslazione in clinica di questi dati ribadiscel’esigenza di trattamenti peculiari e più intensivi unavolta posta diagnosi di leucemia acuta bifenotipica.Giovanni D’Arenagiovannidarena@libero.itOverexpression of CD123 correlates with the hyperdiploidgenotypec in acute lymphoblastic leukemiaXiao-Qian Xu, Jian-Min Wang, Shu-Qing Lüˇ, LiChen, Miroslav Djokic, Elisabet Björklund, ElisabethBlennow, Joanna Mazur, Stefan Söderhäll,and AnnaPorwitHaematologica, <strong>2009</strong>; 94(7)Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA33


34La ricerca di nuovi marcatori biologici in oncoematologiacostituisce uno dei campi della ricerca traslazionalemaggiormente esplorati grazie alle possibilità offerte aiprogressi nelle tecnologie di indagine molecolare, inclusala citofluorimetria. Tali indagini potrebbero favorire lasperimentazione di farmaci “intelligenti” mirati a bersaglimolecolari specifici o la individuazione di nuovi marcatoridella risposta molecolare alla terapia, spesso utiliper la ottimizzazione di approcci consolidati. Gli Autoridi questo interessante articolo hanno studiato mediantecitometria a flusso la espressione fenotipica della molecolaCD123 nei blasti leucemici di pazienti con leucemialinfoblastica acuta (LLA) di lineage B. L’obiettivo èstato quello di caratterizzarne l’espressione rispetto allacontroparte midollare normale e di studiarne la eventualecorrelazione con la presenza di alcune lesioni genetichenote con significato prognostico. Infine la espressionedel CD123 è stata valutata anche in relazione allo studiodella malattia residua minima (MRM). Gli Autoriosservano una espressione consistentemente aumentata(in termini di intensità di fluorescenza) di questo marcatorenei blasti leucemici rispetto ai precursori normali intutti gli stati differenziativi o di rigenerazione midollare,inoltre viene dimostrata una correlazione significativatra espressione del CD123 e cariotipo iperdiploide, ilquale è stato da tempo ampiamente dimostrato essereassociato a prognosi favorevole nelle LLA pediatriche.Inoltre, la over-espressione del CD123 è stata dimostratain circa il 60% dei pazienti alla diagnosi , e di questi il77% ha mantenuto una espressione stabile del marcatorenei blasti residui dopo terapia di induzione della remissione,costituendo quindi un potenziale nuovo marcatoreimmunofenotipico per il monitoraggio della MRM.Questo studio di Djokic, sebbene non sia corredato daadeguata indagine molecolare e manchi di dati di correlazionecon la clinica, merita sicuramente un approfondimentosul significato biologico del CD123 nelle LLA ele sue potenziali implicazioni sia prognostiche che comeulteriore marcatore surrogato di risposta alla terapia.Giuseppe Gaipag.gaipa@hsgerardo.orgThe molecular biology of mixed lineage leukemiaRobert K.SlanyHaematologica <strong>2009</strong>, 94 (7)ATTIVITÀ SCIENTIFICAIl lavoro di Slany rappresenta una revisione chiara e completadegli studi molecolari riguardanti un sottotipo dileucemia, tipico della fascia pediatrica e particolarmenteaggressivo, la mixed lineage leukemia. E’ una forma dileucemia caratterizzata dall’espressione mista di marcatoridi superficie di linea linfoide e mieloide, oltre a frequentimodifiche di linea durante il trattamento, che negiustificano il nome. La controparte di questa variabilitàfenotipica è la costante associazione con il riarrangiamentodel gene MLL, il cui acronimo deriva appunto dallecaratteristiche della malattia. Nonostante MLL sia frequentementecoinvolto in traslocazioni cromosomiche,con più di 100 geni diversi, la Mixed Lineage Leukemiaè un’entità clinica unica e il profilo di espressione genicache ne deriva è indipendente dai geni partner di MLL,facendo pensare quindi a meccanismi ricorrenti di trasformazioneneoplastica. Il gene MLL, localizzato nellaregione cromosomica 11q23, codifica per un’istonemetiltransferasi, necessaria per un’efficiente trascrizionequando reclutata da fattori trascrizionali. MLL si componedi diversi domini funzionali, attraverso i quali coordinatre meccanismi fondamentali per le modifiche dellacromatina: metilazione, acetilazione e rimodellamentodel nucleosoma. Presenta elevata omologia con il genetritorax di Drosophila, la cui mutazione altera i geniomeotici (Hox), funzione conservata anche nei mammiferi.Non è sorprendente che le chimere di MLL in leucemiaalterano il profilo di espressione dei geni HOX.L’espressione ectopica dei geni HOX indotta da MLLblocca il differenziamento della cellula ematopoietica einduce la generazione di una popolazione di precursori,con capacità di self renewal, che si espandono dandoluogo all’emopoiesi maligna. L’attenzione del lavoro diSlany è rivolta in particolare ai meccanismi di regolazionetrascrizionale da parte dei trascritti di geni che riarrangianocon MLL. Infatti, studi recenti dimostrano che talifattori attivano la trascrizione mediante due diversi meccanismi.Alcune delle proteine che riarrangiano con MLLsono loro stesse modificatori della cromatina che introduconoacetilazione degli istoni. Invece, le proteine che piùfrequentementemente riarrangiano con MLL (ENL, AF9,AF4, ELL, AF10) sembrano partecipare allo stesso processobiologico se non allo stesso complesso macromolecolareresponsabile del controllo dell’allungamento dellatrascrizione, attraverso il reclutamento di metiltrasferasidi istoni. La metilazione della lisina 79 dell’istone H3,catalizzata da DOT1L, è la più indicativa dell’attivazionedella cromatina da parte delle proteine chimeriche diMLL. Molti partenrs di fusione con MLL sembrano infatticoordinare l’attività di DOT1L con un complesso proteicoche stimola la fase di allungamento della trascrizionemediante fosforilazione del dominio ripetuto carbossiterminaledella RNA polimerasi II. L’interesse verso talimeccanismi è particolarmente rilevante per la possibilitàche queste attività enzimatiche possano divenire nuovibersagli per sviluppare terapie specifiche per questamalattia a prognosi particolarmente sfavorevole (40% disopravvivenza a 5 anni contro il 90% dei casi pediatricipiù comuni). La difficoltà principale rimane quella di evitarela tossicità associata alla compromissione di meccanismivitali per la cellula, potenzialmente perseguibileattraverso la somministrazione di inibitori in dosaggi altamentecontrollati.Giovanni Cazzanigagianni.cazzaniga@hsgerardo.orgLettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>


News in Bibliografia a cura di “Ale”CELL CYCLEMicrowave Exposure Affecting Reproductive System inMale RatsKesari KK, Behari J.Bioelectromagnetic Laboratory, School of EnvironmentalSciences, Jawaharlal Nehru University, New Delhi, India,kavindra_biotech@yahoo.co.in.Appl Biochem Biotechnol. <strong>2009</strong> Sep 19…the percentage of cells dividing … was estimated by analyzingDNA per cell by flow cytometry. … these radiationsmay have a significant effect on reproductive system …Cocaine Induces Alterations in MitochondrialMembrane Potential and Dual Cell Cycle Arrest in RatC6 Astroglioma CellsBadisa RB, Darling-Reed SF, Goodman CB.Science Research Center, College of Pharmacy andPharmaceutical Sciences, Florida A&M University, Room# 308E, Tallahassee, FL, 32307, USA.Neurochem Res. <strong>2009</strong> Sep 16…by rhodamine- 123 fluorometric assay, and cell cycleanalysis by flow cytometry. …cocaine toxicity was due toloss of mitochondrial membrane potential, … and dual inhibitionof cell cycle phases.SOLID TUMORSStem-like Ovarian Cancer Cells can Serve as TumorVascular ProgenitorsAlvero AB, Fu HH, Holmberg J, Visintin I, Mor L,Marquina CC, Oidtman J, Silasi DA, Mor G.Department of Obstetrics and Gynecology andReproductive Science, Yale University School of Medicine,New Haven CT 06510, USA.Stem Cells. <strong>2009</strong> Aug 5Neovascularization is required for solid tumor maintenance,progression … and flow cytometry analysis showed thatthis process is accompanied by the acquisition of classicalendothelial markers, CD34 and VE-cadherin …HEMATOLOGYThe influence of low-dose aspirin and hydroxyurea onplatelet-leukocyte interactions in patients with essentialthrombocythemiaTreliński J, Tybura M, Smolewski P, Robak T,Chojnowski K.Department of Hematology, Medical University of Lodz,Lodz, Poland.Blood Coagul Fibrinolysis. <strong>2009</strong> Sep 7… Recently, there has been a growing evidence that platelet-leukocyteinteractions may contribute to pathogenesis ofthrombosis in essential thrombocythemia… using flow cytometryassays… an increased platelet and leukocyte activationat the time of diagnosis…An accurate and rapid flow cytometric diagnosis ofBCR/ABL positive acute lymphoblastic leukemiaRaponi S, De Propris MS, Wai H, Intoppa S, Elia L,Diverio D, Vitale A, Foà R, Guarini A.Department of Cellular Biotechnologies and Hematology,“Sapienza” University of Rome, Italy.Haematologica. <strong>2009</strong> Jul 16Tyrosine kinase inhibitors have profoundly modified the treatmentand prognosis … flow cytometric immunoassay hasimportant …Diagnostic utility of flow cytometry in low-grademyelodysplastic syndromes: a prospective validation studyOgata K, Della Porta MG, Malcovati L, Picone C,Yokose N, Matsuda A, Yamashita T, Tamura H,Tsukada J, Dan K.Division of Hematology, Department of Medicine, NipponMedical School, Tokyo, Japan. ogata@nms.ac.jpHaematologica. <strong>2009</strong> Aug;94(8):1066-74… the diagnosis of myelodysplastic syndromes is … flowcytometry protocol applicable in many laboratories andverified its diagnostic utility … This protocol can be used inthe diagnostic work-up of …Standardization of flow cytometry in myelodysplasticsyndromes: report from the first EuropeanLeukemiaNet working conference on flow cytometry inmyelodysplastic syndromesvan de Loosdrecht AA, Alhan C, Béné MC, Della PortaMG, Dräger AM, Feuillard J, Font P, Germing U,Haase D, Homburg CH, Ireland R, Jansen JH, Kern W,Malcovati L, Te Marvelde JG, Mufti GJ, Ogata K,Orfao A, Ossenkoppele GJ, Porwit A, Preijers FW,Richards SJ, Schuurhuis GJ, Subirá D, Valent P, vander Velden VH, Vyas P, Westra AH, de Witte TM, WellsDA, Loken MR, Westers TM.Department of Hematology, VU University Medical Center,Amsterdam, The Netherlands. a.vandeloosdrecht@vumc.nlHaematologica. <strong>2009</strong> Aug;94(8):1124-34The myelodysplastic syndromes are a group of clonal hematopoieticstem cell diseases …representatives from 18European institutes participated in a European LeukemiaNet(ELN) workshop … Consensus was reached regardingstandard methods for cell sampling, handling and processing…strong evidence for an impact of FCM in myelodysplasticsyndromes, …Standardization of FCM in myelodysplasticsyndromes may thus contribute to improved diagnosisand prognostication …Lettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong> ATTIVITÀ SCIENTIFICA37


In libreriaa cura del “Lettore”PATOLOGIA GENERALEPontieri, Russo, FratiTerza Edizione pag. 900Casa Editrice Piccin sito web: www.piccin.itQuesto trattato di Patologia generale, per il suo carattere multidisciplinare, scritto a più maniper la complessità e la specializzazione degli argomenti trattati è destinato indistintamentea tutti i ricercatori e agli operatori sanitari che hanno necessità di approfondimenti o consultazionenel vasto campo della Patologia. L’approccio scientifico allo studio dei fenomenipatologici è andato incontro ad un inarrestabile processo evolutivo, favorito dall’avanzamentodelle conoscenze e dal progresso tecnologico, che ha messo a disposizione strumenti diindagine in grado di fornire informazioni di maggiore precisione e di più fine dettaglio al finedella comprensione molecolare della eziopatogenesi e dei presupposti terapeutici. LaPatologia del XIX secolo, basata sullo studio delle alterazioni morfologicamente evidenziabili,che consentiva un’interpretazione spesso prevalentemente speculativa del fatto patologico,è transitata attraverso una fase metodologica biochimica, che ha consentito di darefondamento sperimentale alla fisiopatologia per approdare, nella seconda metà del novecento, alla fase molecolare, che oggi caratterizza la ricerca medica e, sempre più, le applicazionidiagnostiche e terapeutiche. Nel contesto delle molteplici problematiche, oggi singolarmenteaffrontate con criterio specialistico, la Patologia generale ha mantenuto invariatol’obiettivo iniziale dell’indagine sperimentale, cioè lo studio dei processi patologici elementari,così definiti non per la loro semplicità, ma in omaggio al loro ruolo fondamentale nellacomparsa della malattia. Questo nuovo libro di Patologia generale non poteva dunque nonenfatizzare l’aspetto molecolare dei meccanismi eziopatogenetici alla luce delle più recentiacquisizioni. I coordinatori e gli autori hanno costantemente tenuto presente la necessità diselezionare dalla mole dei dati, che ininterrottamente vengono prodotti, quelli di maggiore epiù sicuro significato e di eliminare quelle informazioni che, in conseguenza delle nuove evidenzesperimentali, sono state ritenute obsolete.Manuale GICCitometria a FlussoIl Manuale GIC Citometria a Flusso vuole essere un contributo concreto perquanti intendono dedicarsi alle tecniche di citometria a flusso e per chi desideraapprofondire applicazioni in settori diversi da quelli di propria specializzazione.Il Manuale si basa sulle esperienze conoscitive e applicative dei principaliGruppi di Ricerca Nazionali nel settore della citometria a flusso e rappresentail coronamento dell’attività di formazione iniziata dalla SocietàItaliana di Citometria fin dalla sua fondazione attraverso l’organizzazione deinumerosi Corsi GIC.Il Manuale GIC, senza rinunciare a un inquadramento generale degli aspettimetodologici e applicativi della citometria a flusso, si presenta come uno strumentodi uso pratico e offre un ricco patrimonio di nozioni di base sui principidelle tecniche citometriche, di metodologie e di protocolli sperimentali.Gli interessati possono richiedere informazioni sul come è possibile ricevere ilManuale (1 a ristampa 2002), che è riservato ai Soci ed ai partecipanti ai CorsiGIC, alla Segreteria:c/o Unità Tossicologia e Scienze Biomediche - ENEA Centro Ricerche Casaccia, s.p. 016Via Anguillarese, 301 - 00123 ROMA - 06/30484671 Fax 06/30484891e-mail: devita@enea.ithttp://biotec.casaccia.enea.it/GIC/38ATTIVITÀ SCIENTIFICALettere GIC Vol. 18, Num. 2 - <strong>Agosto</strong> <strong>2009</strong>

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