P R I M O P I A N O 3/2011 FINMECCANICA MAGAZINE<strong>ITA</strong>LIA 150 ANNIelettriche, agli impianti tipografici,agli strumenti scientifici) per operadella Marelli e della Riva Monneret diMilano, delle Officine di Savigliano,della Nebiolo e della Dubosc di Torinoe della Galileo di Firenze.Del resto, per quanto l’Aeg e la Siemenscontinuassero a prevalere nell’equipaggiamentodei principalicomplessi elettrici, ciò non valse atarpare le ali alle nostre imprese specializzatein questo settore produttivo.A sua volta, un’autentica novità sirivelò la crescita di statura e di consistenza,in tempi relativamente brevi,dell’industria meccanico-motoristica.Le aspettative di lauti guadagni,la fiammata di interesse suscitatadai primi successi dei colori italianiin alcune prestigiose gare internazionali,l’aumento delle tariffe doganaliall’importazione, indussero leprime fabbriche che s’erano affacciatealla ribalta (la Fiat, l’Itala, l’IsottaFraschini, la Lancia) ad attrezzarsi inmodo tale da concentrare le operazionidi montaggio e quelle di carrozzeriae da produrre non soltanto veicolidi lusso e da diporto. È vero cheuna vettura di media cilindrata costavaqualcosa come 17.000 lire dell’epoca(quando il salario annuo diun operaio si aggirava sulle 800-900lire), e che in Italia circolavano nel1910 non più di 20.000 automobili;ma nel frattempo un numero crescentedi vetture aveva trovato le viedell’esportazione: nel 1911 (con 3.000unità collocate all’estero rispetto alle850 del 1906) il movimento commercialecon l’estero s’era chiuso con unsaldo largamente attivo. Inoltre lecommesse di autocarri da parte delGoverno, in occasione della guerra inLibia, avevano dato una mano all’espansionedel settore automobilistico;del resto, le cose non andavano diversamentein Paesi come la Germania,la Francia o l’Inghilterra, dove icomandi militari provvidero in queglistessi anni a incrementare il parco divetture e di camion a disposizionedell’esercito e dei servizi ausiliari.Sulla scia dell’industria automobilistica(nell’ambito della quale avevaesordito anche l’Alfa, passata nel1914 sotto la gestione dell’ingegnerNicola Romeo) s’erano affacciate sullascena le biciclette; ne erano in circolazionenel 1913 oltre due milioni ela Bianchi deteneva il primato nellaloro costruzione.Senonché l’industria meccanicaavrebbe avuto bisogno, per espanderela sua produzione sul mercatoitaliano e accrescere le proprieesportazioni, di rifornirsi da quella siderurgicadei materiali che le occorrevanoa costi minori di quelli correnti.Ma le nostre principali impreseproduttrici di ghisa e d’acciaio stentavanoa portare a compimento unprocesso sistematico di razionalizzazionedei loro impianti, anche inquanto seguitavano, dal 1887, a essereprotette contro la concorrenzastraniera da un elevato regime doganaleall’importazione, e badavanoquindi a difendere determinate posizionidi dominanza oligopolistiche.A ogni modo, malgrado questi e altriinconvenienti, l’industria meccanicaaveva compiuto nel primo decenniodel nuovo secolo notevoli progressi,se si considera che essa occupavaquasi 300.000 unità, pari a piùdell’11% della manodopera industriale,e si collocava quindi al secondoposto subito dopo la manifatturatessile per numero di addetti. Ma soprattutto,grazie ai suoi più elevatiindici di dotazione tecnica e di rendimentounitario per addetto, essa apparivagià un settore ‘trainante’ congrandi potenzialità di sviluppo. Fucosì che l’Ansaldo e altre impresemeccaniche furono in grado di assicurareall’Esercito italiano, durante laGrande Guerra, un considerevolequantitativo di armamenti d’ognigenere: ciò che valse a colmare le ingentiperdite subite durante la disastrosarotta di Caporetto nel novembre1917, e ad allestire la vittoriosacontroffensiva finale dell’estate 1918.Subito dopo la cessazione delle ostilitàcominciarono a essere applicatiin alcuni stabilimenti, al fine discomporre il processo lavorativo insingole specifiche mansioni e di <strong>def</strong>inirecosì, per ogni singola prestazione,un indice medio di produttività,i principi dell’“organizzazionescientifica del lavoro” divulgati inAmerica da Frederick Taylor e collaudatiper primo da Henry Ford. D’altraparte, alla diffusione di un numerosempre maggiore di macchine utensilio semiautomatiche s’era accompagnatala progressiva meccanizzazionedei sistemi di trasporto; cosìche si cominciarono a introdurre,con i convogliatori a nastro, le primelinee di montaggio.Senonché, in seguito alla fine dellecommesse statali e alla forte contrazionedella domanda privata dovutaall’andamento vertiginoso dell’inflazione,nonché a causa del ritorno inEuropa di regimi doganali protezionistici,l’industria meccanica si trovòalla prese con una difficile riconversionepost-bellica. A risentirne furonosoprattutto i cantieri navali; ma, agiudicare da un’inchiesta effettuatanel 1922 (quando pur era venuta menoda tempo l’ondata di aspri conflittisindacali sfociata nel settembre1920 nell’occupazione operaia dellefabbriche), anche le imprese addettealla produzione di beni strumentali edi macchine utensili si trovavano incattive acque. Inoltre, stava ormaitramontando la stella dell’Ansaldo,indebitatasi fino al collo a causa deglieccessivi investimenti compiutidurante la guerra per creare sotto lesue insegne una sorta di ‘Ruhr italiana’,dai cantieri e dalle officine ligurialle miniere di Cogne in val d’Aosta.Contrariamente a quanto sovente siè scritto, non fu l’avvento col fascismodi un regime autoritario, e quindila cessazione degli scioperi, a rilanciarele fortune dell’industria ingenerale, e quindi anche di quellameccanica. Furono invece la liberalizzazionedegli scambi su scala internazionale,l’affievolimento della concorrenzadelle imprese tedesche e gliincentivi varati dagli ultimi Governiliberali (da particolari agevolazionifiscali a determinati premi per nuovecostruzioni) ad avviare la riorganizzazionedei cantieri navali e la ripresadelle costruzioni ferroviarie, nonchéad ampliare l’attività delle impreseelettrotecniche e a incoraggiarele tendenze a una maggiore specializzazionein altri settori dell’industriametalmeccanica. Se il regimefascista dedicò poi crescente attenzionead alcuni comparti, ciò avvennesoprattutto nel caso dell’industriaaeronautica, per evidenti ragioni militarie d’immagine.Di fatto, nel corso degli anni Venti, lameccanica specializzata, i cantierinavali, l’aviazione e il settore automobilisticodivennero il fulcro dell’industriaitaliana, accanto alla produzioneelettrica e chimica. Le impresemeccaniche avrebbero anzipotuto crescere ancor di più se nonfossero state penalizzate le loro potenzialitàin materia di esportazionida un’eccessiva rivalutazione della liranel cambio con le altre valute, decisanel 1927 dal Governo fascista, siaper motivi di prestigio nazionale siaper premiare i ceti risparmiatori e areddito fisso. Tuttavia il rallentamentodella produzione evitò loro di subirecontraccolpi devastanti dagli effettisconvolgenti della grande crisidel 1929 propagatisi dagli Stati Unitiall’Europa e di far ingresso in massanell’ospedale-convalescenziario dell’IRI,costituito dal Governo nel 1933per salvare il salvabile, a cominciaredai principali istituti bancari.Ma dopo la guerra d’Etiopia, con ilvaro dell’autarchia e dei programmidi riarmo del Regime, rimasero nell’ambitodell’IRI (mantenuto perciòin vita nel 1937) e quindi sotto le insegnedello Stato, insieme all’Alfa Romeoe ad alcune aziende metalmeccanichenon ancora rimesse in sesto,gran parte dei cantieri navali e varistabilimenti la cui produzione potevaessere utilizzata o riconvertita allaproduzione di materiali d’impiegobellico, che andarono così a far compagniaalle acciaierie della Terni, dell’Ilvae a quelle della nuova Ansaldodi Cornigliano.Durante la seconda guerra mondiale,l’industria meccanica (i cui principaliinsediamenti erano rimasti dasempre tra il Piemonte, la Liguria e laLombardia con alcune diramazioni inVeneto, Emilia e Toscana) non subì incomplesso danni così ingenti (daibombardamenti degli alleati e dalleasportazioni di impianti compiutedai Tedeschi durante la RepubblicaSociale Italiana). Fu così possibileriattivare parte della produzione giàagli inizi del 1946, sebbene non senzafatica, per via di una larga eccedenzadi manodopera rispetto al fabbisognoe alla scarsità di combustibilie materie prime. Tuttavia numerosepiccole e piccolissime imprese,dedite alle lavorazioni più semplici,avevano ripreso rapidamente l’attivitàe il Tesoro era stato poi in gradofin dal 1947 di assicurare il suo aiuto,attraverso prestiti e anticipazioni, avarie imprese soprattutto dell’IRI.Continua a pagina 78Da sinistra, antenna G7 su affusto di uncannone prodotto dalla Microlambda, 1959;avvio dei lavori per la costruzionedegli impianti Telespazio nella pianadel Fucino, L’ Aquila, 1961;stabilimento Fiat Mirafiori, linee di montaggio,Torino, anni Settanta;revisione cacciabombardieri G.91Y, stabilimentoAeritalia di Capodichino, Napoli, 1978;velivoli Aermacchi <strong>MB</strong>-339 della PattugliaAcrobatica Nazionale, 199014 15
P R I M O P I A N O3/2011 FINMECCANICA MAGAZINE<strong>ITA</strong>LIA 150 ANNIFINMECCANICA:DALLA RICOSTRUZIONEAL MERCATO GLOBALEuLEGATO A DOPPIO FILO CON LA STORIA NAZIONALE, ILGRUPPO AFFONDA LE PROPRIE RADICI NEGLI ALBORI DELCAMMINO INDUSTRIALE <strong>ITA</strong>LIANO: PREMESSA FONDA-MENTALE DI UN PERCORSO CHE NASCE UFFICIALMENTENEL 1948 – COME LA COSTITUZIONE – E DALLE ASPREZZEDEL DOPOGUERRA ARRIVERÀ, SCELTA DOPO SCELTA, ALLACOMPIUTA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DI OGGICome raccontare in poco spazioun secolo e mezzo di avvenimenti?Come descrivere, tratteggiaree sottolineare ciò che l’industriaha fatto? Come coniugare lastoria e la cultura tricolori, cheaffondano le radici in un’epoca cheappare ormai remota, con il concettodi globalizzazione?La metà del diciannovesimo secolorappresenta senza dubbio uno spartiacquein questo senso. Analizzandociò che è accaduto possiamo notareil progressivo passaggio dall’economiarurale, che aveva accompagnatolo sviluppo per molti dei secoli trascorsi,all’economia industriale, chegrazie a nuove scoperte, a straordinarieinvenzioni, e a innovativi processiproduttivi, si va progressivamenteaffermando in tutte le nazionioccidentali. L’Italia non fa eccezione:seppur in ritardo rispetto ad altrenazioni europee, raggiunge l’unitànel 1861, 150 anni fa. Quindici decenniche sembrano trascorsi, a guardarlioggi, in un soffio. Con la storia del-l’Italia, e della sua industria, che si intrecciacon quella di <strong>Finmeccanica</strong>.Nel 1861 già avevano messo radici diversesocietà, in particolare Ansaldoe Officine Galileo, che dopo aver attraversatosuccessive evoluzioni fannotuttora parte del patrimonio diquesto importante Gruppo, che èpresente e attivo in tutti i continenti,con headquarters situati anche in Inghilterrae Stati Uniti.E allora pensiamo, per un attimo, auna storia straordinaria e intensa.Tutto inizia con Ansaldo – per la lavorazionedell’acciaio, la cantieristica, epoi la costruzione di mezzi militari –e Officine Galileo per le lavorazioni diprecisione. All’inizio del ventesimosecolo, prima grazie alle leggi destinatea favorire attività imprenditoriali,poi alla spinta dovuta al generalesviluppo degli armamenti all’epo-ca della Grande Guerra, si affermanomolte industrie: Agusta, Alfa Romeo,Aeronautica d’Italia, Nieuport Macchi,Elettronica San Giorgio, ErnestoBreda, Fiat, Aeronautica Macchi, OtoMelara, SIAI Marchetti, Caproni, Salmoiraghi,e molte altre che come lorohanno costituito lo ‘zoccolo duro’dello sviluppo industriale italiano, lecui eredi, con mission rinnovate, siritrovano ancora nella tradizione,ma soprattutto nei settori strategicidi business nel presente del Gruppo<strong>Finmeccanica</strong>. Al termine della secondaguerra mondiale, con un Paesecompletamente da ricostruire oltreche negli uomini, anche nellapropria struttura produttiva, con lacessione da parte dell’IRI delleaziende dell’industria meccanica edelle costruzioni navali gestite inprecedenza, nel 1948 – lo stesso annodella Costituzione – nasce appunto<strong>Finmeccanica</strong>.Si tratta di un conglomerato produttivoformato da alcune realtà principali– Ansaldo, Alfa Romeo, Oto, SanGiorgio – e da diverse altre aziendepiù piccole, con un ventaglio di produzionidiversificate che vanno dallecostruzioni navali, agli autoveicoli eaeromobili, al materiale ferroviario,sino alle macchine utensili, elettrichee agricole, alle armi e munizioni,e ancora ai fucinati e alla bulloneria:circa il 25% della capacità meccanicaIn queste pagine, da sinistra, montaggiospecchi, Officine Galileo, Firenze, 1942;Idrovolanti SIAI Marchetti S.55X,all’arrivo della seconda trasvolata atlantica,New York, 1933;centrale a ciclo combinato, Rizziconi,Reggio Calabria;costellazione COSMO SkyMed;elicottero AgustaWestland AW139della polizia di Pechino fotografato durantele Olimpiadi del 2008italiana, ma nello stesso tempo, unvariegato ventaglio di prodotti difficileda ricondurre a un denominatorecomune.<strong>Finmeccanica</strong> nel tempo si ridisegnaattraverso l’uscita dalla cantieristica edalle costruzioni automobilistiche el’ingresso in altri segmenti a più elevatocontenuto tecnologico, come i si-16 17