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P R I M O P I A N O3/2011 FINMECCANICA MAGAZINE<strong>ITA</strong>LIA 150 ANNIFin dagli albori del nostro processodi unificazione nazionale,la produzione meccanica èstata una delle principali leve chehanno consentito a un Paese comel’Italia, privo per lo più di materieprime e ancorato in molte sue contradea un’economia di pura sussistenza,di intraprendere la stradadell’industrializzazione e di iniziarecosì la rincorsa nei confronti dellenazioni europee che l’avevano giàimboccata da molto tempo prima.Fu soprattutto la costruzione delleferrovie ad agire da fattore propulsivoper l’afflusso di capitali verso unsettore d’attività che, a differenza diquello tessile, aveva bisogno di notevolimezzi finanziari per attrezzarsiconvenientemente e reggere laconcorrenza delle più progredite officinestraniere.Tra i primi a confidare nelle potenzialitàdell’industria meccanica, qualorafosse stata aiutata all’inizio del suocammino, era stato Cavour, che neldicembre 1852, a pochi giorni dal suoinsediamento come Presidente delConsiglio del Regno di Sardegna,aveva firmato la convenzione cheavrebbe segnato, un mese dopo, lanascita dell’Ansaldo. L’obiettivo dell’impresagenovese, sorta sulle ceneridi una precedente azienda metalmeccanica,la Taylor e Prandi, e cheprese il nome del suo direttore, l’ingegnereGiovanni Ansaldo, era di costruiredelle locomotive analoghe aquelle ammirate a Londra nel 1851durante la prima Esposizione universale,nonché di allestire vari materialiper la Marina Militare e mercantile.Aveva perciò affermato lo statistapiemontese, che erano necessari nonsolo dei quattrini ma anche dei “buonimacchinisti”, capaci sia di “fabbricarelocomotive a vapore” sia di “governarlee di fare quelle minute riparazioniche occorrono”.Il noviziato dell’Ansaldo venne cosìintrecciandosi con la vicenda risorgimentale,anche se l’ingegnere genovese,che aveva profuso ogni suaenergia per assolvere il compito affidatogli,non poté vederne i risultati,stroncato da un male improvviso, asoli quarant’anni, il 27 marzo 1859, lostesso giorno in cui sbarcarono a Genovale prime truppe francesi perunirsi all’esercito piemontese nellaguerra contro l’Austria che avrebbesegnato il prologo dell’unità italiana.Ma lo sostituì al timone dell’Ansaldo,completandone l’opera anche idealmentel’ingegner Luigi Orlando, appartenentea una famiglia di patriotisiciliani esuli a Genova dopo la repressionedel moto antiborbonico diPalermo del gennaio del 1848, a cuiavevano partecipato, legati com’eranoa Francesco Crispi, leader a queltempo del movimento mazzinianonell’isola.Dopo la costituzione del Regno d’Italiafu tuttavia un percorso accidentatoquello della nascente industriameccanica nazionale. Le impresestraniere, a cominciare da quelle inglesie belghe, avevano dalla loro capacitàprogettuali ed esperienze dilavoro assai più ampie, e potevanocontare inoltre sulla cooperazione dialcune compagnie, della loro stessanazionalità, concessionarie di varielinee ferroviarie nella Penisola. Per tirareavanti, la maggior parte delleaziende italiane si adattavano perciòa produrre un po’ di tutto, a secondadella versatilità dei loro tecnici e dellamaestria dei loro operai; e quellepoche che gareggiavano per l’appaltodi commesse ferroviarie, si limitavanoa fornire carrozze per viaggiatorie carri merci.Ma anche per altri generi di produzioneesistevano non pochi ostacoli:dalla riluttanza delle maestranze,per lo più di formazione artigianale,ad abituarsi al lavoro di fabbrica (percui sovente se ne andavano in cercadi un altro mestiere), alla forte irregolaritàdelle ordinazioni (per cuinon era possibile realizzare delle economiedi scala e varare un programmadi ammodernamento degli impianti).Di fatto, dall’inchiesta industrialecondotta per iniziativa del Governofra il 1872 e il 1874, emerse nonsoltanto la schiacciante superioritàdell’industria straniera nella meccanicadi precisione, negli impianti tessilie in quelli tipografici, ma anchenella costruzione di macchine motricia vapore per la Marina. D’altronde,mentre in altri Paesi non si esitava adappoggiare in tutti i modi, spessocon sovvenzioni statali, la formazionedi robuste compagnie navali, inItalia si continuava a indugiare in undibattito dottrinario se fosse migliorpartito puntare sulle grandi impresecantieristiche o su una schiera di piccoliarmatori, col risultato che s’eraperso del tempo prezioso per promuovereil passaggio dalla vela al vaporein una fase in cui la concorrenzasempre più agguerrita di Marsiglia edi Trieste stava imponendo l’ampliamentoe il rinnovo delle attrezzatureportuali di Genova e di Napoli. Vennecosì meno la prospettiva (coltivatasin dal periodo risorgimentale) diuna rinascita delle robuste tradizionimarinare e commerciali che in passatoerano state un vanto della Penisola,allorché, con lo sviluppo degliscambi e il compimento dell’istmo diSuez, i traffici fra Occidente e Orienteerano tornati a passare per il Mediterraneo.Ancora nel 1881, all’epoca della primaEsposizione industriale italiana, tenutasia Milano, uno dei giurati riferivache negli stabilimenti meccanicisi continuavano a costruire per lopiù “quei generi che presentano mediocridifficoltà di costruzione, chenon richiedono per la loro lavorazionevasti assortimenti di specialimacchine utensili”; e che nelle officinesi potevano incontrare quasitutti i più disparati mestieri: non soltantoquelli del macchinista, delfonditore, del tornitore o del montatore;ma anche quelli del fabbro, dell’ottonaio,del ramaio, del bronzista,del calderaio, del lattoniere. Inoltre,a ogni specializzazione, a ogni ‘maestro’,corrispondeva una gerarchia dilavoranti minori: dall’aiutante all’apprendista,al manovale comune, algarzone. Per di più, molte officinededite alla lavorazione di utensilid’uso comune, di mobili in ferro, o diattrezzi agricoli, erano installate inbotteghe, in scantinati, in cortili riparatida qualche tettoia.Tuttavia, negli anni immediatamentesuccessivi le cose cominciaronoinfine a cambiare, in quanto numeroseimprese s’ingrandirono e vennerodotate di nuovi reparti di macchineutensili. Per esempio, la Breda,che nel 1884 era ancora uno stabilimentoche si disperdeva “in ogni sortadi costruzioni”, e in cui prevaleva illavoro a mano o un macchinario nonmolto perfezionato, qualche annodopo appariva una fabbrica in via dicompleto rinnovamento, provvistadi magli e presse poderose nelle suefucine, di torni moderni e di nuovepialle e limatrici in altri reparti. Anchealla Tosi di Legnano erano incorso vari progressi non solo neimacchinari, ma nel modo di lavorare,per cui le singole operazioni venivanoaffidate alle stesse squadre,in modo che acquistassero nella loroesecuzione “una sveltezza e unaperfezione a tutta prova”. Così purestava avvenendo in altre fabbriche,in base a sistemi di lavoro piùuniformi, tali da consentire un aumentodella produttività.Nel corso dell’ultimo decennio dell’Ottocentol’introduzione di macchineutensili speciali segnò non solol’avvio della produzione in serie mauna svolta nell’organizzazione del lavoro:sebbene, per più di un decennio,anche nei reparti in cui le macchineflessibili e polivalenti costituivanoil fulcro della lavorazione meccanizzata,gli operai più qualificaticontinuarono a esercitare talora veree proprie funzioni direttive e di sorveglianza(comminando multe, proponendolicenziamenti, selezionandogli avventizi da assumere) o amantenere comunque un forte poteredi contrattazione quanto alle condizionidel lavoro a cottimo e agli indicidi rendimento.Tuttavia, dall’inizio del Novecento,con l’impiego crescente di macchineutensili speciali nelle imprese dimaggiori dimensioni, si restrinseroman mano le competenze degli operaidi mestiere, in quanto a manovrarlebastavano quelli comuni. Inoltre,in seguito a una revisione del regimedoganale avvenuto nel 1903,che favorì l’esportazione di prodottimeccanici, e alla statizzazione delleferrovie, decisa dal Governo nel 1905,che determinò una crescente ondatadi ordinazioni pubbliche per il potenziamentodel materiale rotabile, venneroaprendosi nuove opportunità eprospettive di crescita e di sviluppoper l’industria meccanica, in particolareper la Breda, la OM (ex Miani Silvestri),la Tosi e l’Ansaldo; tant’è chefra il 1905 e il 1912 esse e qualche altragiunsero a coprire quasi l’80% delleforniture del materiale ferroviario.Altrettanto importanti furono i progressicompiuti in quegli anni da altrirami dell’industria meccanica. Nel1908, per iniziativa di Camillo Olivetti,esordì a Ivrea un nuovo settore, quelloper la fabbricazione delle macchineda scrivere; fiorì inoltre una gammadi produzioni (dalle attrezzatureDa sinistra, montaggio locomotive,Officina Ferroviaria Breda, Milano, 1902;preparazione di chassis nello stabilimentodell’Alfa, Milano, 1910;montaggio di un trasformatore nelloStabilimento Elettrotecnico di Ansaldo,Genova-Cornigliano, 1922;filatoio della società San Giorgio,anni Cinquanta;elicottero Agusta-Bell AB 47G,prova di stabilità a Cascina Costa, Varese, 1954;lavorazione ruota polare per alternatore,Stabilimento Elettrotecnico AnsaldoSan Giorgio, Genova-Cornigliano, 19541213

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