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Il presepe - Comune di Fontanarosa

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La struttura del <strong>presepe</strong> classico presenta la grotta in primo pianoaffiancata da pastori in adorazione ed Angeli, quin<strong>di</strong> il sacro monte con altripastori accompagnati da greggi ed Angeli in volo che annunciano la buonanovella, ed in lontananza il corteo dei Re Magi. Anche il <strong>presepe</strong> dellacattedrale <strong>di</strong> Matera e quello del duomo <strong>di</strong> Altamura hanno la stessa<strong>di</strong>sposizione, confermando che quella era la tipologia <strong>di</strong> struttura <strong>di</strong>ffusa anchenella provincia. Durante tutto il secolo convissero due tipi <strong>di</strong> pastori: quello inlegno e quello in terracotta, che <strong>di</strong>ventarono <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni più piccole, rispettoa quelli quattrocenteschi, verso la fine del secolo.<strong>Il</strong> passaggio più importante avviene nel Cinquecento quando compaionoper la prima volta dei cambiamenti nei personaggi quali i cani, le pecore, lecapre, oltre all'asino e al bue da sempre presenti nella grotta ed anche nelpaesaggio. Per tutto il secolo, il <strong>presepe</strong> mantiene una stessa struttura: inbasso la grotta con angeli e pastori, più in su le montagne con le greggi, elontano il corteo dei magi.Nel corso del Cinquecento compaiono i primi mutamenti. In un documentonotarile del 1532 vi è la descrizione <strong>di</strong> un <strong>presepe</strong>, con pastori in terracotta<strong>di</strong>pinta, realizzato per il nobile Matteo Mastrogiu<strong>di</strong>ce da Sorrento. Troviamo iprimi accenni <strong>di</strong> scenografia con qualche paesaggio e, oltre al bue edall'asinello, sempre affiancati alla Sacra Famiglia, ci sono anche altri animaliquale il cane, la capra e le pecore, due pastori, tre angeli.E' nella prima metà del 1600 che incomincia a nascere la figuradell'artista che si de<strong>di</strong>ca anche alla creazione <strong>di</strong> pastori. Michele Perrone fu uno<strong>di</strong> questi, noto per le sue sculture lignee si de<strong>di</strong>cò con notevole successo aquesta attività, altrettanto bravi furono i suoi fratelli Aniello e Donato. Accantoal legno, nella seconda metà del secolo incominciarono a comparire altreinnovazioni, pastori in cartapesta più piccoli rispetto ai precedenti, ed ancoramanichini <strong>di</strong> legno con arti snodabili e vestiti <strong>di</strong> stoffa. Furono proprio questimanichini <strong>di</strong> legno snodabili che segnarono la svolta verso il <strong>presepe</strong> del 700,anche se spesso continuarono a convivere le due tipologie. <strong>Il</strong> committente è,con queste nuove figure, protagonista e parte attiva, potendo far assumere aipastori le posizioni che vuole e potendo (in questo modo) arricchiremaggiormente la scena come meglio crede. I manichini <strong>di</strong> legno sono snodabili,alcuni <strong>di</strong>spongono <strong>di</strong> un incavo per alloggiarvi la "pettiglia" della testa, altrevolte invece la testa è tutt'uno con il corpo, altri ancora, nel caso <strong>di</strong> figurefemminili, sono calvi per poter portare parrucche intercambiabili. La Nativitàposta nella grata-stalla, l'Annuncio della buona Novella ai pastori dormienti, laTaverna con gli avventori che cenano, sono i tre momenti che domineranno il<strong>presepe</strong> del 700.Sotto l'influsso del re, nobili e ricchi borghesi gareggiarono nell'allestireimpianti scenografici giganteschi e spettacolari, in cui il gruppo della SacraFamiglia fu sopraffatto da un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> scene profane che riproducevanoambienti, situazioni e costumi della Napoli popolare dell'epoca. Furono investiticapitali per assicurarsi i "pastori" più belli e la collaborazione degli artisti più2


inomati; il sacro evento <strong>di</strong>venne pretesto per far sfoggio <strong>di</strong> cultura, ricchezzae potenza.Le statue, dalle teste modellate in terracotta <strong>di</strong>pinta e con occhi <strong>di</strong> vetro, gliarti in legno, il corpo in stoppa con un'anima <strong>di</strong> fil <strong>di</strong> ferro che ne garantiva laflessibilità, erano vestite <strong>di</strong> tessuti <strong>di</strong> pregio e, quelle che impersonavanopersonaggi <strong>di</strong> rilievo, agghindate con gioielli in materiali preziosi, perle e pietrepreziose.A realizzare le armi, gli strumenti musicali, i vasi preziosi e gli altri minutiornamenti dei personaggi del corteo dei re magi vennero chiamati argentieri egioiellieri famosi.Le frutta e le cibarie esposte nei banchetti o consumate nelle taverne eranorealizzate in cera colorata.Le statuette realizzate dai migliori artigiani arrivarono a costare delle verefortune: si calcola ad<strong>di</strong>rittura l'equivalente <strong>di</strong> un mese <strong>di</strong> stipen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> unfunzionario <strong>di</strong> corte. Famiglie nobili giunsero a rovinarsi pur <strong>di</strong> realizzarepresepi che potessero competere in magnificenza con quello reale, e meritare -nel periodo natalizio- la visita del sovrano. Paradossalmente, quando i cre<strong>di</strong>toriarrivavano al pignoramento dei beni <strong>di</strong> queste famiglie troppo pro<strong>di</strong>ghe nelleloro spese presepiali, proprio quei piccoli capolavori costituivano una delleprincipali voci nei verbali degli ufficiali giu<strong>di</strong>ziari.Nella prima metà dell'800 la moda -e conseguentemente la passione- deipresepi tramontò. Lo stesso <strong>presepe</strong> reale fu trasferito nella reggia <strong>di</strong> Casertadove ne è ancora conservato quello che è sopravvissuto all'incuria ed aiperio<strong>di</strong>ci furti."<strong>Il</strong> presepio è il Vangelo tradotto in <strong>di</strong>aletto partenopeo" affermò MicheleCuciniello, il collezionista napoletano che fece dono al Museo <strong>di</strong> San Martinodella sua collezione <strong>di</strong> "pastori", animali e accessori del XVII e XIX secolo, eper l'occasione ideò e fece costruire nel museo uno splen<strong>di</strong>do presepio,inaugurato, con grande successo, il 28 <strong>di</strong>cembre 1879. Abbandonato in seguitoal degrado e a <strong>di</strong>scutibili restauri, il più famoso presepio napoletano è stato <strong>di</strong>recente restaurato con rigore storico-filologico sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> TeodoroFittipal<strong>di</strong>.3


CAPITOLO SECONDOIL PRESEPE NAPOLETANO DEL ‘700Nel ‘700 il <strong>presepe</strong> napoletano raggiunge il più alto splendore. La meravigliadelle scene costruite con dovizia e ricchezza <strong>di</strong> particolari, la perfezione deivolti dei pastori e delle figure umane ed animali in generali, creavano neivisitatori stupore e questo era ricercato dai proprietari alla volte anche ascapito della sacralità mai persa nelle intenzioni degli architetti e dei loroartigiani.<strong>Il</strong> <strong>presepe</strong> <strong>di</strong> questo secolo è un nuova forma <strong>di</strong> spettacolo dove troviamospaccati <strong>di</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana che riflettono la cultura dell'epoca, gli storpi e i<strong>di</strong>seredati rappresentati non senza sarcasmo, l'opulenza dei nobili orientali edelle loro corti a simboleggiare i privilegi dei nobili, l'osteria con l'avventore el'oste a rappresentare la bonomia del popolo. <strong>Il</strong> tutto con una ricchezzainau<strong>di</strong>ta attraverso sete e stoffe, gioielli, ori ed argenti che dovevano<strong>di</strong>mostrare il proprio status socio-economico.Luoghi <strong>di</strong> queste rappresentazioni non furono solo le chiese ma anche lestanze dei privati, chiaramente più facoltosi, che attiravano un pubbliconumeroso e <strong>di</strong> ogni estrazione sociale. Tra le collezioni private più importantinon si può non ricordare quella del principe Emanuele Pinto, che ricevetteperfino la visita della Viceregina austriaca.Di questo <strong>presepe</strong> il Napoli-Signorelli ci descrive più <strong>di</strong> altra cosa lamagnificità del corteo dei Re Magi. <strong>Il</strong> principe <strong>di</strong> Ischitella, fu un grandecollezionista <strong>di</strong> presepi. Ne aveva <strong>di</strong> ogni materiale e <strong>di</strong>sposti in ogni stanza delsuo palazzo, che andavano a sommarsi a quello grande. Nel tempo, però, ilgrande <strong>presepe</strong> del principe Pinto non restò l'unico da ammirare nella città. Aquesto se ne aggiunsero degli altri come quello reale. Tutto ciò, però, non puòche indurci alla riflessione che il <strong>presepe</strong> stava perdendo la sua misticità pertrasformarsi sempre <strong>di</strong> più in una rappresentazione profana <strong>di</strong>retta adaffermare, anch'esso il prestigio della famiglia.In una città, dove la costanza <strong>di</strong> applicarsi allo stesso tema, certo, nonera <strong>di</strong> casa ; tra il finire del seicento e il primo ventennio dell’ottocento, simanifestò un fenomeno anomalo, un avvenimento senza altri riscontri nellastoria <strong>di</strong> questo popolo. In un crescendo <strong>di</strong> espressione e qualità formale, chetoccò l’apice tra il terzo e quarto ventennio del XVIII secolo, i napoletani <strong>di</strong>tutte le estrazioni sociali, allestivano presepi.La partecipazione alla nascita del Sacro Bambino era <strong>di</strong> tale intensità ecosì profondamente sentita che il desiderio <strong>di</strong> testimoniarne il momentometteva da parte l’or<strong>di</strong>ne temporale degli eventi, ne sconvolgeva la logica, enon esitava a rappresentare ".Analizzando attentamente il tempo e l’ambiente dove gli eventi andavanoa maturarsi, è utile ricordare che cresceva nell’uomo del ‘700 una sete <strong>di</strong>4


conoscenza, una autonomia <strong>di</strong> pensiero, una libertà <strong>di</strong> espressione, unacuriosità <strong>di</strong> indagare la natura e la personalità dei propri simili.Quin<strong>di</strong>, allo scenario rococò, con<strong>di</strong>zionato dalle classi dominanti (stato,clero, e nobiltà), andava ad opporsi un segno ben <strong>di</strong>verso : il credo dellaborghesia. E stranamente, questa ostinazione a <strong>di</strong>ssipare le tenebre, trovava aNapoli, nel fare i gran<strong>di</strong> presepi, terreno adatto alla semina. Come?<strong>Il</strong> <strong>presepe</strong> risentiva fortemente il "movimento del pensiero che tende afar chiaro", e nel quadro profondamente innovativo che andava sempre piùaffermandosi, volgeva la sua attenzione alla natura, e alla rappresentazione delvero, partecipando a stagioni imme<strong>di</strong>ate e documentarie, per valorizzare lerealtà attuali sentite come parti integranti <strong>di</strong> un complesso mondo spirituale,cui l’artista partecipava <strong>di</strong>rettamente.E infatti, non a caso, il regista, il <strong>di</strong>rettore del <strong>presepe</strong> era, quasi sempre, unborghese pittore o architetto ; comunque una personalità <strong>di</strong> cultura permeatadalla luce del secolo. Lume che, nell’ambiente napoletano, risultavaopportunamente temperato da una salda coscienza storica e religiosa.L’opera presepiale, nella sua complessità, non esauriva con la crescenteattenzione verso il paesaggio, con la valorizzazione del reale, e con al cronaca<strong>di</strong> attualità, il suo contributo al movimento illuminista; vi aderiva ulteriormentecon il più concreto e imponente catalogo plastico dell’epoca: dai prodotti dellaterra e del mare nostro (proposti in cera e terracotta policromata), aimanufatti, ai gioielli, agli strumenti musicali, alle armi, ed agli attrezzi dellaquoti<strong>di</strong>anità (riprodotti in scala, nei materiali e nelle essenze originali); tuttidegni <strong>di</strong> gareggiare, per la loro sterminata e completa tipologia, con lecuriosità dell’Enciclope<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dideròt e D’Alembert, data alle stampe dal 1751.Anche l’animalistica, resa in palpitanti modelli anatomici, spingeva la suaindagine a particolari momenti <strong>di</strong> vita e costituiva per quantità <strong>di</strong> specie evarietà <strong>di</strong> razze, una completa raccolta zoologica <strong>di</strong> animali domestici,arricchita ulteriormente da una vasta rappresentanza <strong>di</strong> bestie esotiche.Nel crescendo <strong>di</strong> riflessioni verso la natura, non poteva mancarel’interesse per i valori in<strong>di</strong>viduali, e i sentimenti umani. Per il <strong>presepe</strong>, il piùgrande scultore del ‘700 napoletano, traduceva questi pregi in raffigurazioniplastiche, lasciandoci prove inequivocabili, singole opere d’arte cariche <strong>di</strong>tensioni, capaci <strong>di</strong> esprimere stati d’animo, passioni. E se i pastori <strong>di</strong> GiuseppeSanmartino trovavano riscontro nel pensiero illuminista, non <strong>di</strong> meno questaaderenza era rilevabile nelle testine plasmate da Nicola Somma, FrancescoCelebrano, Salvatore Franco e Lorenzo Mosca che, <strong>di</strong>versamente dal Maestro,volgevano la loro attenzione agli aspetti esteriori dell’uomo, allo stu<strong>di</strong>o dellafisiognomica.Sul volgere del secolo, il carattere illuminato andava spegnendosi,l’energia trainante si esauriva, e della macchina scenica rimaneva il ricordo;nostalgiche, successive, quanto ripetitive e<strong>di</strong>zioni del passato. Le mutatecon<strong>di</strong>zioni politiche e sociali avevano in<strong>di</strong>rettamente avviato il <strong>presepe</strong> su un5


percorso <strong>di</strong>verso ; ferma ai costumi e all’ambiente settecentesco, incapace <strong>di</strong>adeguarsi ai tempi, e non costituendo più l’allestimento, una profonda esigenzainteriore l’opera, quel certo tipo <strong>di</strong> opera d’arte, cessava <strong>di</strong> esistere.<strong>Il</strong> <strong>presepe</strong> napoletano del secolo d’oro, ricco <strong>di</strong> fede e <strong>di</strong> cultura laica,carico <strong>di</strong> simboli religiosi e <strong>di</strong> raffinate citazioni pittoriche, spesso confuso conaltri allestimenti coevi e <strong>di</strong> fattura ottocentesca, cambiava spirito e iniziava apercorrere quella strada, quella deviazione già da tempo esistente cheprivilegiava il genere popolare, e la paro<strong>di</strong>a.CAPITOLO TERZOLA NASCITA DEL PRESEPE A FONTANAROSA<strong>Il</strong> <strong>presepe</strong> napoletano vede il suo “arrivo” a <strong>Fontanarosa</strong> intorno al 1910,quando la devozione del popolo e l’amore per l’arte del Sac. don GennaroPenta portarono la citta<strong>di</strong>na a possedere quello che poco più tar<strong>di</strong> fu definito “ilpiù bel <strong>presepe</strong> del mondo”.Nonostante agli inizi del ‘900 l’arte presepiale era deltutto finita, sopravviveva nel mercato antiquariale <strong>di</strong> Napoliuna fervida collezione <strong>di</strong> pastori d’arte abilmente modellatidagli artisti settecenteschi, primi fra tutti il Sammartino e<strong>di</strong>l Celebrano.Fu proprio da questo florido mercato che don GennaroPenta riuscì a ricavare una collezione <strong>di</strong> capolavori epiccole opere d’arte, che <strong>di</strong> lì a poco avrebbero avvoltomaestosamente un’intera ala della stupenda Basilica <strong>di</strong> Maria SS. dellaMisericor<strong>di</strong>a.La “costruzione” richiedeva tempo ed iniziava dopo i “Morti”. Da subito si<strong>di</strong>fferenziò da quello primigenio napoletano, sostituendo al sughero – moltocostoso per l’epoca – il legno d’olmo <strong>di</strong> cui il paese era fecondo. Si scelseminuziosamente la parte alta dell’albero, che ben si prestava ad imitare lerocce del paesaggio, alternata spesso a legni <strong>di</strong> ulivo per creare qualchesfumatura al paesaggio. In ultimo si mascheravano le fessure con lembi <strong>di</strong>carta straccia imbevuta in colla <strong>di</strong> farina. Quin<strong>di</strong>, dopo aver sparso un po’ <strong>di</strong>muschio qua e la si <strong>di</strong>sponevano i pastori e le case, gli animali e gli angeli, cheil Don Penta aveva acquistato a Napoli.<strong>Il</strong> <strong>presepe</strong> crebbe <strong>di</strong> fama anno per anno. Folle <strong>di</strong> visitatori accorrevano a<strong>Fontanarosa</strong> ansiosi <strong>di</strong> ammirare il “pro<strong>di</strong>gioso <strong>presepe</strong>”, composto da oltre700 pezzi tutti originali.6


<strong>Il</strong> più entusiasta visitatore dell’epoca fu il Principe Ere<strong>di</strong>tario Umberto <strong>di</strong>Savoia, il quale – informato della gran<strong>di</strong>osità dell’opera fontanarosana – vollevisitarla rimanendone estasiato.L’eco della fama che il <strong>presepe</strong> si guadagnò arrivò finanche a Roma, tantoche nel 1930 lo stesso si guadagnò il titolo <strong>di</strong> “Monumento Nazionale”.Con la morte del Sac. don Gennaro Penta avvenuta nel 1932 terminò la “piausanza” <strong>di</strong> fare il <strong>presepe</strong>; i pezzi non furono più esposti, gli artigiani nonfurono più presenti per la costruzione e dopo qualche tempo fu donato alMuseo Irpino <strong>di</strong> Avellino, dove oggi è possibile ammirarne solo una piccolaparte.Si chiuse momentaneamente un capitolo della storia del <strong>presepe</strong>, ma latra<strong>di</strong>zione non certò morì e, <strong>di</strong> lì a pochi anni, rinacque ancora più gloriosa.<strong>Il</strong> desiderio dei fontanarosani <strong>di</strong> rivedere il “grande <strong>presepe</strong>” fu accoltoancora una volta da un sacerdote, don Davide D’Italia, parroco <strong>di</strong> San NicolaMaggiore e successore <strong>di</strong> don Penta quale rettore del Santuario <strong>di</strong> Maria SS.della Misericor<strong>di</strong>a.Don Davide, spinto dal popolo, irato per la per<strong>di</strong>ta del <strong>presepe</strong>, iniziò laricerca per la nuova collezione <strong>di</strong> pezzi del ‘700 e, negli anni dal 1932 al 1949,esplorò molte volte il mercato d’antiquariato <strong>di</strong> Napoli, acquistando pezzi <strong>di</strong>rara bellezza. Furono anni <strong>di</strong> duro e certosino lavoro che logorarono, in parte, ilsacerdote che sarebbe poi morto in giovane età. Ma quei sacrifici non furonovani perché finalmente <strong>Fontanarosa</strong> potè riacquistare “il più bel <strong>presepe</strong> delmondo”.La Chiesa <strong>di</strong> Santa Maria della Misericor<strong>di</strong>a accolse nuovamente nella suanavata <strong>di</strong> sinistra l’imponente <strong>presepe</strong>. <strong>Il</strong> sacerdote suo fautore, aiutato dalfratello Adolfo, ne curava ogni dettaglio, mentre le maestranze locali siadoperavano tutto l’anno per il miglioramento continuo dell’opera.<strong>Il</strong> pio sacerdote non era solo amante dell’arte, ma anche un ottimo parrocoe croce della sua vita fu la ricostruzione della Parrocchia <strong>di</strong> San NicolaMaggiore. L’esigenza <strong>di</strong> reperire i fon<strong>di</strong> necessari arguirono la sua mente in unprogetto meraviglioso che coinvolgeva il <strong>presepe</strong> fontanarosano. Me<strong>di</strong>tò infatti<strong>di</strong> poter far fruttare quell’enorme patrimonio artistico, arrivando ad unasoluzione geniale: esporre il <strong>presepe</strong> a Roma nell’Anno Giubilare 1950.7


CAPITOLO QUARTOL’ESPOSIZIONE A ROMANELL’ANNO SANTO DEL 1950La volontà tenace <strong>di</strong> ricostruirela Parrocchia <strong>di</strong> San Nicola portòDon Davide D’Italia a escogitarequella che sarebbe stata lasoluzione più geniale al problemaovvero sfruttare la bellezza del“nuovo” <strong>presepe</strong> per reperire ifon<strong>di</strong> necessari e, nel contempo,portare il meraviglioso capolavoro alla ribalta nazionale ed all’ammirazione <strong>di</strong>tuti i pellegrini che si sarebbero recati nella città Santa durante l’Anno Giubilaredel 1950.<strong>Il</strong> prete si rendeva conto <strong>di</strong> tutti i problemi e della complessità cherichiedevano tale progetto, ma tutto questo non lo spaventava ed anzi, concaparbietà, fidando nella approvazione del fratello Adolfo, riuscì a compierequello che potremo definire un vero “miracolo”.Naturalmente occorrevano molti sol<strong>di</strong>, in un’epoca non certo felice per tutti icompaesani. Fu allora costituito un comitato <strong>di</strong> volenterosi “pro <strong>presepe</strong>”costituito dallo stesso Don Davide e dal fratello Adolfo, oltre che da GiuseppeBianco, Vincenzo Petroccione, Camillo Penta, Francesco Penta e PietroPasquariello.Giusto per avere un termine <strong>di</strong> paragone attuale, i membri del comitatoanticiparono ciascuno la somma <strong>di</strong> 500 mila lire, non certo pochi se si pensache ci si trovava a pochi anni dalla fine della II Guerra Mon<strong>di</strong>ale (1949),equivalenti a circa 9.000,00 euro dei giorni nostri.Con i sol<strong>di</strong> messi a <strong>di</strong>sposizione dal comitato fu organizzato il trasporto <strong>di</strong>tutte le componenti del <strong>presepe</strong> a cura <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> falegnami fontanarosanicomposti da Giuseppe Cerundolo, Luigi e Silvio Cosato, Aldo Di Prisco eBernardo De Luca.La carovana partì nei primi <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre del 1949 e la struttura vennetrasportata dapprima con un autotreno e successivamente la parte rimanentecon un camion. I “pastori” e tutte le figure artistiche arrivarono invece a Romadurante <strong>di</strong>versi viaggi ad opera <strong>di</strong> un autista.<strong>Il</strong> <strong>presepe</strong> venne allestito per tutto l’Anno Giubilare presso la Chiesa <strong>di</strong>Santa Maria degli Angeli nell’allora Piazza Esedra e fu portato a termine nelgiro <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> giorni.8


Al termine della costruzione in loco da parte degli artigiani fontanarosani,l’opera complessiva apparve stupenda nella sua meraviglia, con una scenafrontale <strong>di</strong> circa 13 metri e 7 in profon<strong>di</strong>tà.La bellezza complessiva dell’opera realizzata e l’entusiasmo suscitato neipellegrini accorsi non bastarono però a ritenere completamente riuscita la“spe<strong>di</strong>zione” nella città Santa. Le autorità romane ignorarono l’opera enonostante l’impegno pubblicitario profuso dai membri del comitato l’iniziativariuscì solo in parte a compensare l’enorme impegno finanziario e personaleprofuso. Basti pensare che il biglietto d’ingresso fu fissato in 50 lire per ipellegrini e 100 per gli altri visitatori, che certo non potevano sod<strong>di</strong>sfare leaspettative <strong>di</strong> Don Davide.La visita al <strong>presepe</strong> avrebbe dovuta essere inserita nell’itinerario d’obbligodel pellegrino, e forse solo allora le modeste quote d’ingresso avrebbero potutoripagare la fiducia e consentito <strong>di</strong> raggranellare la cifra necessaria per laricostruzione della Chiesa Parrocchiale.Ma tant’è, il risvolto morale dell’avventura sicuramente ha ripagato quantihanno profuso forze nella voglia <strong>di</strong> far conoscere la meravigliosa opera fuori daiconfini <strong>di</strong> <strong>Fontanarosa</strong> e, da quel momento, moltissime persone hanno potutoammirare il <strong>presepe</strong> e il paese Irpino che lo ospita e che gli de<strong>di</strong>ca passione eamore.La grande avventura romana terminò con la fine dell’Anno Santo e dopo lostorico viaggio a Roma il <strong>presepe</strong> fu destinato all’oblio e lo stesso Don Davidene cessò la costruzione a causa degli elevati costi <strong>di</strong> montaggio.9


CAPITOLO QUINTOLA RINASCITA DEL DOPO TERREMOTO DEL 1980Dopo la meravigliosa esperienza nell’Anno Giubilare, per più <strong>di</strong> trent’anni il<strong>presepe</strong> rimase relegato nella cassaforte sita nella Chiesa <strong>di</strong> Santa Maria dellaMisericor<strong>di</strong>a. <strong>Il</strong> più bel <strong>presepe</strong> del mondo riecheggiava nostalgicamente nellamemoria <strong>di</strong> chi lo aveva ammirato o <strong>di</strong> chi lo aveva ascoltato nei racconti deipiù anziani.Gli anni passano e, dopo la prematura morte <strong>di</strong> Don Davide D’Italia, giungel’ora <strong>di</strong> un nuovo parroco – Don Giulio Ruggiero. Questi da sempre riceveva lepressioni <strong>di</strong> chi non voleva che il <strong>presepe</strong> rimanesse relegato nella memoriadelle persone.I più giovani del paese, scossi dal trauma provocato dal catastroficoterremoto del 1980, riuscirono a convincere Don Giulio a riprendere in mano ilprogetto per l’allestimento del <strong>presepe</strong>. Tra i promotori dell’iniziativa siricordano Luigi Di Prisco, Silvio Cosato, Salvatore e Tarcisio Fucci, Pino Scala,Daniele Cefalo ed il sacrestano Carlo Pilosi.<strong>Il</strong> comitato <strong>di</strong> promotori, a cui si aggiunsero via via anche altri collaboratori,lavorarono per due anni alla ricerca <strong>di</strong> nuovi ceppi d’olmo e per restaurare ipezzi dell’opera ormai impolverati e privi della loro bellezza originaria. Fuinoltre effettuata un’accurata ricerca storica, finalizzata al recupero fedeledell’opera sulla base <strong>di</strong> fotografie esistenti che riprendevano i “vecchi” presepi<strong>di</strong> Don Gennaro Penta e <strong>di</strong> Don Davide D’Italia.Dopo gli anni <strong>di</strong> ricerca meticolosa, venne il momento <strong>di</strong> portare a nuovavita il meraviglioso ed inestimabile <strong>presepe</strong> fontanarosano. L’8 <strong>di</strong>cembre 1982il “più bel <strong>presepe</strong> del mondo” <strong>di</strong>venne nuovamente realtà. Montato comesempre nella navata sinistra del Santuario per circa 100 metri quadrati, il<strong>presepe</strong> fu riproposto nuovamente alla venerazione dei fontanarosani.La cerimonia <strong>di</strong> inaugurazione si svolse alla presenza <strong>di</strong> tutti i citta<strong>di</strong>ni edelle autorità, nonché delle Televisioni locali e nazionali.I più giovani restavano ammutoliti <strong>di</strong> fronte a cotanta magnificenza; i piùanziani commossi e orgogliosi per aver ritrovato la loro infanzia e la bellezzaperduta dell’opera maestosa.Ma come si componeva l’opera nuovamente realizzata? Entriamo neidettagli.Partendo dalla Grotta della Natività, notiamo come essa - a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong>quella presente nell’arte presepiale napoletana – sia strettamente collegata aldettato evangelico <strong>di</strong> “umile grotta” del Redentore. Gli artisti fontanarosani10


vollero modellarla nel legno d’olmo, che per caratteristica estetica, molto siavvicina alla struttura originaria.A dare movenza alla scena, venne fatto scorrere un fiume attraverso unponte mentre alla base centrale della scena si ergevano due maestosi pilastriromani e in lontananza una gola impervia come scavata nella roccia.Costanti nel paesaggio i rituali <strong>di</strong> case fatte <strong>di</strong> sughero, piccole inlontananza e più gran<strong>di</strong> allo sguardo da vicino mentre la Taverna (denominata“Casa Maggiore”) - quale luogo <strong>di</strong> ricercata <strong>di</strong>mora per Giuseppe e Maria -veniva riproposta in tutta la sua bellezza e complessità, apparendo slanciata ecurata in una costruzione lignea con tetto <strong>di</strong> tegole.Ulteriori elementi caratteristici del <strong>presepe</strong> sono le “torri” che, poste nellaparte alta, creavano un gioco emozionante <strong>di</strong> luci e ombre e la “fontana” chericordava vagamente quella presente in Piazza Cristo Re <strong>di</strong> <strong>Fontanarosa</strong>:Altro elemento caratteristico del <strong>presepe</strong> strettamente legato alla culturafontanarosana era costituito dalla “porta del paese”, posizionata in una golaformata da due montagne e da cui era possibile scorgere in lontananza unpaesino finemente curato.Infine si stagliava sulla parete in fondo un’imponente tela <strong>di</strong> 16 metri,<strong>di</strong>pinta da un artista del teatro S. Carlo Di Napoli, giocata sulle sfumature <strong>di</strong>quin<strong>di</strong>ci tonalità <strong>di</strong> colore <strong>di</strong>verse, partendo dal rosso opaco fino ad arrivare alceleste della parte più alta.Naturalmente la parte più importante del <strong>presepe</strong> era costituita dagliartistici pastori e figuranti, eccezionalmente <strong>di</strong>versi gli uni dagli altri. Ognunoaveva una propria caratteristica ed altezza <strong>di</strong>versa a seconda della posizionericoperta nella scenografia e molte volte si accompagnavano ad animali,anch’essi quasi realistici nella fisionomia e nelle movenze.Ecco dunque la meraviglia del <strong>presepe</strong>! Tutta <strong>Fontanarosa</strong> gioiva per laritrovata magnificenza….ma le gioie imminenti stavano per lasciare spazioancora una volta allo sconforto più totale!11


CAPITOLO SESTOIL “FURTO SACRILEGO” DEL 1982L’entusiasmo che aveva portato nuovamente alla visione del <strong>presepe</strong> dopoben trent’anni dall’ultima esposizione ben presto dovette lasciare spazio alloscoramento ed al pianto della gente fontanarosana.Nella notte tra il 13 ed il 14 <strong>di</strong>cembre ignoti malfattori, non curanti del luogosacro, si introdussero nel Santuario <strong>di</strong> Santa Maria e trafugarono tutto il<strong>presepe</strong> sapientemente costruito e solo pochi giorni prima emerso dall’obliodegli anni.La mattina del 14 <strong>di</strong>cembre, all’apertura della chiesa, emerse un quadrodesolato che strideva fortemente con l’aria <strong>di</strong> enorme gioia che aveva pervasoil luogo fino al giorno prima. Solo i ceppi d’olmo e le case rimanevano lì mutetestimoni dello scempio. Nessun “pezzo” era più rimasto ed ancora una volta<strong>Fontanarosa</strong>, tra le lacrime della gente, doveva <strong>di</strong>re ad<strong>di</strong>o al <strong>presepe</strong> che avevafaticosamente fatto rinascere.Durante la Messa della vigilia <strong>di</strong> quel triste Natale il parroco Don Giuliopronunciò la celeberrima frase: . Ed infatti, il Bambinello fu l’unico superstitedello scempio, poiché - secondo tra<strong>di</strong>zione - è “l’ultimo” pezzo che vieneinserito nel <strong>presepe</strong>. Naturalmente don Giulio, in segno <strong>di</strong> speranza e sconfittadelle tenebre e della malvagità, volle <strong>di</strong>sporre Gesù Bambino nella Grotta dellaNatività, pur in assenza <strong>di</strong> Giuseppe e Maria.L’unica consolazione in tanto scoramento fu la circostanza che parte dei“pastori” erano ancora conservati in cassaforte in quanto non erano stati pulitie restaurati. Ed inoltre, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> alcuni anni, gli organi <strong>di</strong> Polizia riuscironoa recuperare alcuni pastori trafugati, tra cui il bellissimo “Pastoredell’Annuncio”.Queste con<strong>di</strong>zioni, unite alla forza d’animo che da sempre contrad<strong>di</strong>stingue igiovani fontanarosani, saranno le basi per l’ennesima ricostruzione che, <strong>di</strong> lì apochi anni, vedrà contrad<strong>di</strong>stinto nuovamente il <strong>presepe</strong>, perché – come <strong>di</strong>cevasapientemente don Nicola Gambino nel suo libro su <strong>Fontanarosa</strong>:.12


CAPITOLO SETTIMOIL NATALE RUBATOLa storia triste del <strong>presepe</strong> rubato ha fattoda sfondo anche ad un film girato nei luoghidella terra d’Irpinia ad opera <strong>di</strong> un registaproveniente dalla vicina Bonito (PinoTor<strong>di</strong>glione).<strong>Il</strong> film in questione si chiama proprio “<strong>Il</strong>Natale rubato” (2003) e vede protagonista lavicenda fontanarosana, interpretata da attoriprofessionisti, da comparse del nostro paese, ela giovane figlia ammalata del protagonistainterpretata da Filomena Di Talia.L’idea del film nacque da un documentario.Dopo il recupero <strong>di</strong> alcune statuette del <strong>presepe</strong> rubato, l’amministrazionecomunale chiese al regista <strong>di</strong> girare un filmato su quel fatto.Mentre il regista stava lavorando al progetto, gli venne in mente <strong>di</strong>trasformare quell’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> cronaca in qualcosa <strong>di</strong> più, in una favola per ibambini e per tutti quelli che sanno ascoltare il linguaggio del cuore.Tor<strong>di</strong>glione scrisse allora soggetto e sceneggiatura, mise in pie<strong>di</strong> una troupe<strong>di</strong> fortuna, convocò il paese per scegliere interpreti e comparse e assoldòquattro attori veri, scelti dal mondo delle soap.<strong>Il</strong> film narra la tragica storia <strong>di</strong> un padre (Antonio Rispo) che scopre la figlia(Di Talia) affetta da un morbo gravissimo. Solo un celebre me<strong>di</strong>co potrebbecurarla, ma si trova a Boston e per affrontare il viaggio e le cure servonodunque molti sol<strong>di</strong>. Per racimolare i sol<strong>di</strong> occorrenti decide <strong>di</strong> farsi ladro e,venuto a conoscenza del bellissimo <strong>presepe</strong> settecentesco esposto a<strong>Fontanarosa</strong>, decide <strong>di</strong> rubarlo. Presto, però, viene assalito dal rimorso edecide <strong>di</strong> costituirsi. Ma i Carabinieri che indagano, capito il suo gesto, fanno inmodo <strong>di</strong> non mandarlo in prigione.Ecco dunque che la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Fontanarosa</strong> si trasforma in una fiaba a lietofine. Sicuramente non fedele alla vera storia occorsa al Paese, ma certamenteuna pagina <strong>di</strong> cinema che fa conoscere ad un più vasto pubblico l’infamia <strong>di</strong>quel gesto sacrilego che mai si potrà <strong>di</strong>menticare.13


CAPITOLO OTTAVOIL PRESEPE OGGIA circa 20 anni dal “furto sacrilego” (1998) il <strong>presepe</strong> tornò - seppureridotto - al suo antico splendore. Alle porte del Giubileo 2000 un nuovoentusiasmo animò i promotori, così come quello mai sopito dell’Anno Santo del1950 e il breve fulgore del 1982.Negli anni intercorrenti tra la trage<strong>di</strong>a consumata e la nuova rinascita ilpopolo fontanarosano riuscì ad ottenere dal Museo Irpino <strong>di</strong> Avellino parte del<strong>presepe</strong> donato dalla Famiglia Penta che non veniva esposto ma custo<strong>di</strong>to neidepositi.Ai pezzi che fecero i loro ritorno si aggiunsero i pastori che erano statiinstancabilmente raccolti dal Parroco Don Giulio grazie alle numerose offertericevute.<strong>Il</strong> Sindaco dell’epoca, dott. Carlo Ruzza, alla presenza della Autoritàcitta<strong>di</strong>ne, provinciali e regionali intervenute, sia politiche che religiose,inaugurò trionfalmente il nuovo <strong>presepe</strong>, dando la possibilità alle nuovegenerazioni <strong>di</strong> ammirare la ricchezza posseduta, rivivere la storia e la nostraantica tra<strong>di</strong>zione.Nel corso degli anni a seguire la tra<strong>di</strong>zione si è sempre rinnovata ed anzi siè arricchita <strong>di</strong> una nuova pagina, costituita da un “nuovo <strong>presepe</strong>” che, informa permanente ed alternativa all’originale, viene custo<strong>di</strong>to dal 2003 nelMuseo Civico <strong>di</strong> <strong>Fontanarosa</strong>, denominato “3P” ovvero della Paglia, della Pietrae del Presepe.Nei primi tempi le <strong>di</strong>mensioni dell’opera sono state spesso ridotte ma, adecorrere dal 2010, ogni nuova esposizione ha trovato una sempre maggioreestensione, tanto che è stato previsto finanche una “coda” in gennaio per visiteguidate sotto la supervisione del nuovo parroco Don Pasquale Iannuzzo.a cura <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Rubino14

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