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Mutilazioni dei genitali femminili e diritti umani nelle ... - Aidos

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MUTILAZIONI DEI GENITALIFEMMINILI E DIRITTI UMANI NELLECOMUNITÀ MIGRANTI // RAPPORTO DI RICERCANELLE REGIONI VENETOE FRIULI VENEZIA GIULIA // A CURA DIADUSU E CULTURE APERTE // IN COLLABORAZIONECON AIDOS /ASSOCIAZIONEDIRITTI UMANISVILUPPO UMANO/ CULTURE APERTE /associazione dipromozione socialecomposta damediatori culturaliAssociazione Italiana donneper lo sviluppo


Indice3/ <strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong>comunità migranti /87Le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> nell’esperienza<strong>dei</strong> servizi sanitari: interventi,conoscenza e condivisionedi significati tra personale sanitariodi Paola Degani9131723355167Introduzionedi Daniela Colombo / AIDOS,Associazione italiana donneper lo sviluppoLe parole per dirlodi Cristiana Scoppa / AIDOSIl progettodi Cristiana Scoppa/ Rapporto di ricercanella regione Venetoa cura di Paola Deganie Paolo De Stefani / ADUSU,Associazione <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> –Sviluppo umano - PadovaIl disegno della ricercadi Annalisa ButticciLa significatività dell’immigrazioneafricana in Veneto rispettoalle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>di Annalisa ButticciDiritti <strong>umani</strong>, <strong>diritti</strong> delle donnee mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>visti dalle donne africane in venetodi Annalisa ButticciIl ruolo della mediazione culturalee delle leadership della diasporaafricana rispetto alle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>di Annalisa Butticci99111121133134137147161205L’approccio normativo alle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: l’esperienzadelle forze dell’ordinedi Paola DeganiIl confronto con l’associazionismodi promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>rivolto alle donne immigratedi Annalisa ButticciConclusionidi Annalisa Butticci,Paola Degani, Paolo De StefaniRiferimenti bibliografici/ Una ricercain Friuli Venezia Giuliaa cura di Ornella Urpis /Culture aperte - TriesteContributi e ringraziamentiLe percezioni sociali del fenomenodi Ornella UrpisComunità africane emutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>di Irena MarcetaLe mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>fra tradizione e cambiamento:<strong>diritti</strong>, sessualità, identitàdi Ornella UrpisGli operatori della mediazioneculturale di fronte al fenomeno dellemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>di Ornella Urpis


Indice4213225231251Alcune riflessioni a partire dalletestimonianze raccolte nel settoresocio-sanitariodi Sara CroccoRiferimento bibliografici/ Approfondimenti<strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>di Paola DeganiAspetti medico – legali della leggen. 7/2006 e dovere di segnalazionedi reato all’Autorità giudiziariadi Anna Aprile e Giorgia Ducolin/ RINGRaZIAMENTIIl nostro più sincero grazie va a tutte lepersone che hanno messo il proprio tempoe le proprie conoscenze a disposizionedi questa ricerca, attraverso le interviste ei focus group, permettendoci di illuminareun po’ più da vicino il cammino versol’abbandono delle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> in Italia.Un ringraziamento speciale va al fotografoAldo Sodoma (www.aldosodoma.com)che ci ha donato le fotografie cheillustrano il volume, tratte dal reportage“Portraits in black”.259Tracce per le interviste267Bibliografiaa cura di Giovanna Ermini –Centro documentazione di AIDOS


Indice5/ RicercaCoordinamento del progettoDaniela Colombo – AIDOSImmagine di copertinaCristina ChiappiniStampaLitostampa 3B – SpoletoCoordinamento generale della ricercaPaola Degani – ADUSU, Universitàdegli Studi di PadovaCoordinamento della ricerca in VenetoPaola Degani e Paolo De Stefani –ADUSU, Università degli Studi di PadovaCoordinamento della ricercain Friuli Venezia GiuliaOrnella Urpis – Culture AperteRicercatori e ricercatriciAnnalisa Butticci – ADUSU; Sara Crocco,Irena Marceta, Teresa Ngigi WanjikuSecoli, Franca Riccardi – Culture AperteRapporti con le comunità straniereThéophile Nsabimana – ADUSU;Salama Billa, Gabriel KatambakanaTshimanga, Hermine Letonde Gbedo,Omer Coffi Gnamey, Koutou Mabilo –Culture AperteSegreteriaLucia Barbera, Matteo Mascia – ADUSU;Fulvia Riccardi – Culture AperteRevisione e editingValentina Fanelli, Cristina Saggioro eCristiana Scoppa - AIDOSProgetto graficoCristina ChiappiniImpaginazioneDaniela VeronaFotografieAldo Sodoma/ PROGETTOCoordinamento generaleAIDOS – Associazione italiana donneper lo sviluppoin collaborazione conADUSU – Associazione <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>sviluppo <strong>umani</strong> (Padova)Culture Aperte (Trieste)Finanziato dal Dipartimentoper le Pari Opportunità – Legge 7/2006del 9 gennaio 2006Partner in VenetoRegione Veneto, Assessorato alle Politichedi Bilancio con delega alla Cooperazioneallo sviluppo, ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e alle pariopportunità - Direzione Regionaleper le Relazioni internazionaliANOLF, Associazione nazionaleOltre le frontiereStruttura Alta ProfessionalitàImmigrazione dell’Unità localesocio sanitaria (ULSS) 16 di PadovaPartner in Friuli Venezia GiuliaRegione Friuli Venezia, Assessoratoalla Salute – Direzione centrale salute eprotezione socialeIRCCS Burlo GarofoloENFAP, Ente nazionale formazioneaddestramento professionale,sede regionale del Friuli Venezia Giulia


INTRODUZIONE9/ INTRODUZIONE /di Daniela Colombopertanto una componente di ricerca,che qui presentiamo, la produzione el’utilizzo di materiale audio-visivo,tra cui il film Moolaadé del registasenegalese Ousmane Sembène el’originale docu-fiction Vite in cammino,realizzata per AIDOS dalla registaCristina Mecci, materiali corredatidi guide al dibattito, e la realizzazionedi un programma di formazione basato suuna metodologia altamente partecipativa.Il rapporto di ricerca che tenete inmano nasce nell’ambito del progetto“<strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunità migranti.Percorso integrato di ricerca, formazionee sensibilizzazione per la prevenzione eil contrasto di una pratica tradizionale daabbandonare”, finanziato dal Dipartimentoper le Pari Opportunità in base allalegge n. 7/2006 sulla prevenzione e ilcontrasto delle pratiche di mutilazione<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> in Italia, coordinatoda AIDOS, Associazione italiana donne perlo sviluppo, in collaborazione con ADUSU,Associazione <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> – sviluppoumano di Padova, e Culture aperte,associazione di promozione socialedi Trieste.Il progetto vuole contribuire allaprevenzione e al contrasto dellemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> pressole popolazioni migranti originarie di paesidove tale pratica è diffusa, attraverso uncoinvolgimento attivo di tutti gli attoriin contatto diretto e indiretto con talipopolazioni, e attraverso la diffusionedi una comprensione del fenomenoche faciliti il dialogo e il cambiamento<strong>dei</strong> comportamenti volto all’abbandonodefinitivo della pratica. Ha previstoNegli ultimi anni il cambiamento<strong>dei</strong> comportamenti è diventato, nel gergodi chi lavora nel campo, quasi un sinonimoper abbandono delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>. Un cambiamentoche riguarda innanzitutto le donne,che portano nel proprio corpo i segnidella pratica e le sue conseguenzepsico-fisiche e che sono viste come leprincipali, e a volte uniche, protagonistedella decisione di sottoporre una figliaall’escissione o all’infibulazione.Ma l’esperienza di AIDOS e delle numeroseorganizzazioni africane e internazionalicon le quali collabora da oltre vent’anni,suffragata dalle ricerche di antropologheche a lungo hanno lavorato in diversi paesiafricani o nel contesto della migrazionerispettivamente in paesi quali Svezia,Norvegia, Inghilterra, Francia, mostracome su tale decisione pesi in manierasignificativa l’opinione e il ruolo degliuomini, della famiglia d’origine <strong>dei</strong> dueconiugi, in particolare degli/lle anziani/edella famiglia, cui spetta il compito diveicolare e tutelare i valori culturali e lepratiche identitarie tradizionali e, in sensopiù ampio, l’opinione della comunitàdi riferimento.Tale situazione si riproduce in formeparticolari nel contesto della migrazione.Oggigiorno, sebbene molti paesieuropei stiano lavorando nella direzionedell’abbandono della pratica, permanela percezione che la pratica sia una


INTRODUZIONE10tradizione da rispettare anche a causadelle comunicazioni con i familiaririmasti nel paese d’origine. E il rischioche le bambine siano sottoposte allapratica, se non in Europa, quanto menodurante le vacanze nel paese d’origine,è particolarmente alto se l’esperienzadella migrazione è vista come temporaneain previsione di un ritorno in patriacon la famiglia, poiché tale decisioneviene ancora affrontata più in base aconcezioni e valori legati al percorso disocializzazione nel paese d’origine, doveil rispetto della tradizione è elementofondante incontestabile, piuttosto cherispetto all’esperienza maturata nelpercorso migratorio, dove le donne inparticolare sperimentano significativipercorsi di emancipazione, come emergeanche dalla ricera condotta in Veneto eFriuli Venezia Giulia.Ma in tutti i paesi africani dove la praticaè diffusa sono in corso, da ormai quasi tredecenni, campagne volte a promuoverel’abbandono della pratica, che hannoportato ad esempio a una diminuzionedelle forme più cruente di mutilazione afavore di pratiche meno invasive, e hannoinquadrato la pratica in un discorsopubblico volto a promuovere i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>e l’uguaglianza di genere sollecitandol’impegno istituzionale e facendo crescere,come confermano le indagini Demographicand Health Survey (DHS), il numero delledonne e degli uomini che si dicono nonintenzionati a sottoporre le proprie figliealla mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>, così come ilnumero delle organizzazioni di base che adiversi livelli sono impegnate attivamenteper contrastare il fenomeno.Alla luce di tali esperienze, è ormaiconvinzione condivisa, come sottolineatodall’Innocenti Digest “Cambiare unaconvenzione sociale dannosa: la praticadella escissione/mutilazione genitalefemminile”, pubblicato dall’Istituto diricerca Innocenti dell’Unicef (Firenze,2005), che le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> siano una convenzione socialee, proprio in quanto tale, che l’abbandonodella pratica non sia una decisionepuramente individuale e razionale,ma una scelta nella quale entrano incampo dimensioni sociali, relazionali,psicologiche e affettive complesse.Il percorso verso l’abbandono della praticadeve perciò necessariamente coinvolgeretutti gli attori di riferimento affinchétale decisione possa estrinsecarsi,consolidarsi, resistere e diventareduratura. Deve cioè essere costruito quelloche viene definito enabling environment,cioè un ambiente socio-culturalecomplessivo che permetta il cambiamento.Nel contesto della migrazione questosignifica, tra l’altro, costruire ponti diconoscenze con il paese d’origine, cherassicurino i/le migranti sul futuro delleproprie figlie anche senza che sianosottoposte a mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, e che rivelino e conferminodall’interno i cambiamenti in atto.Significa inoltre costruire, intorno ein contatto con gli uomini e le donnemigranti, una rete di attori significativicapaci di affrontare il tema nell’otticadell’accoglienza e del dialogo, aprendocosì la strada a un ripensamento <strong>dei</strong> valoridi cui le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>sono il simbolo inciso nella carne epromuovendone l’abbandono.Va sottolineato che le donne migrantioriginarie <strong>dei</strong> paesi dove la pratica èdiffusa restano protagoniste del fenomeno.Esse si trovano ad affrontare direttamentela condizione di essere portatrici dimutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, adesempio nei rapporti con le istituzionisanitarie materno-infantili. Sono inoltreloro a dover sostenere, più di chiunquealtro, le conseguenze della decisione disottoporre come pure di non sottoporrele proprie figlie alla pratica, in particolare


11rispetto all’applicazione della legge7/2006. Altrettanto importante però èil coinvolgimento attivo degli uominioriginari <strong>dei</strong> paesi dove sono diffuse lemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, chenel contesto della migrazione giocano unruolo preponderante nella determinazionedelle decisioni riguardanti la dimensionefamiliare e di coppia, nonché ladimensione della vita collettiva e pubblica.INTRODUZIONEL’esperienza di AIDOS e <strong>dei</strong> suoi partnerin questo progetto, le tante e significativetestimonianze di impegno da parte didonne e uomini di origine africana,rappresentanti delle istituzioni territoriali,medici e personale sanitario, mediatori emediatrici culturali, incontrati e coinvoltia vario titolo nel progetto, lasciano intuireche, se il sostegno istituzionale nonverrà meno, cioè se la legge 7/2006 verràrifinanziata in modo da consentireil proseguimento di attività di prevenzione,informazione e sensibilizzazionesul territorio nazionale, anche in Italiail numero degli/lle africani/e favorevoliall’abbandono della pratica diventeràpresto una massa critica tale da renderela pratica, nel contesto della migrazione,solo un ricordo.


INTRODUZIONE / Le parole per dirlo13/ Le parole per dirlo /di Cristiana Scoppa“dovere” e che comporta solo la resezionedel prepuzio del clitoride. Questo in teoria,perché, come scrivono Nahid Toubiae Susan Izett, “nessun referto medicodocumenta l’esistenza della pratica inquesta forma”.Nella maggior parte <strong>dei</strong> casi, piuttosto,oltre al prepuzio viene tagliato in parteo interamente il clitoride (II tipo), praticaper la quale la definizione più comune èescissione (dal francese excision,molto usata in Africa occidentale, dove èquesta forma a prevalere) o secondola letteratura medica, clitoridectomia.Circoncisione (femminile), sunna,clitoridectomia, escissione, infibulazione,mutilazioni e/o modificazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, female genital mutilation/cutting. E poi gli acronimi MGF, FGM oanche FGM/C o ancora MGF/E per riunirele espressioni escissione e mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>. Sono alcunedelle espressioni che ricorrono quandosi affronta questa pratica.“Circoncisione femminile” era, ed è,la definizione usata tradizionalmente<strong>nelle</strong> comunità dove si pratica anche lacirconcisione maschile. Un’equivalenzadi cui le/gli studiose/i hanno prestosmascherato l’iniquità: il termine“circoncisione femminile” è un’eufemisticadescrizione per una varietà di pratiche checomportano l’incisione e asportazionedi clitoride, piccole e anche grandilabbra, con vari livelli e forme di sutura,e per le quali l’Organizzazione Mondialedella Sanità (OMS) ha costruito unaclassificazione in quattro tipi principali.La meno lesiva (I tipo), e l’unica per laquale possa essere stabilito un parallelocon la circoncisione maschile, è quellache viene comunemente chiamata sunna,parola araba che significa “tradizione” oIl III tipo, cioè l’infibulazione ocirconcisione faraonica, è la formadi intervento più cruenta e consistenell’escissione del clitoride enell’asportazione delle piccole labbra eanche - soprattutto in passato, ma in arearurale ancora oggi – nell’asportazioneparziale o totale delle grandi labbra enella successiva cucitura dell’aperturavaginale ridotta a un piccolo pertugio –non più grande di un chicco di riso odi miglio, ottenuto inserendo unbastoncino al momento della cucitura –per permettere la fuoriuscita dell’urina edel sangue mestruale.In Sudan, scrivono Bettina Shell-Duncana Ylva Hernlund, “c’è una variazionenota come matwasat o ‘circoncisioneintermedia’ che è una forma modificatadi infibulazione in cui le parti tagliate sonole stesse, mentre si suturano insieme soloi due terzi anteriori delle grandi labbra,in modo da lasciare una aperturaposteriore più grande. Si crede che taleforma di infibulazione sia stata la rispostadelle praticanti tradizionali alle leggedel 1946 che proibì l’infibulazione inSudan, anche se in una recente indaginesolo il 2 per cento delle donne sudanesiaffermava di aver subito tale formadi MGF”. Un’altra forma di infibulazioneparziale, diffusa prevalentemente in Africa


INTRODUZIONE / Le parole per dirlo14occidentale, è nota con l’espressioneinglese sealing, sigillare, e consistenella resezione di clitoride e piccole labbrache vengono poi fatte guarire lasciandoche il sangue coaguli sulla ferita ela suturi, quasi a creare una sortadi ulteriore imene.Il IV tipo include tutta una seriedi procedure che vanno dal trafiggere opunzecchiare lievemente il clitoride inmodo da farne uscire alcune goccedi sangue a tutta una ampia casisticadi manipolazioni che variano moltoda una etnia all’altra - allungamentodel clitoride o delle labbra, cauterizzazionedel clitoride, piccoli tagli della vagina(gishiri), introduzione in vagina di sostanzecorrosive per restringerla o renderlaasciutta, con l’idea che la frizione aumentiil piacere sessuale maschile.Sono tutti interventi che nella maggioranza<strong>dei</strong> casi vengono effettuati senza anestesiada praticanti tradizionali, e comportanoun alto tasso di complicazioni sanitariea breve e lungo termine, di disturbipsicologici e in taluni casi anche la morte.Per la clitoridectomia, che di fatto riguardala grande maggioranza delle donne,e ancor più per la sunna, le conseguenzesul piano medico-sanitario non sono cosìrilevanti come per l’infibulazione.<strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> è inveceuna definizione abbastanza recente,affermatasi gradualmente alla fine deglianni Settanta, quando la pratica cominciòa essere conosciuta in Occidente.Come nota il recente Innocenti Digestdell’Unicef, “la parola ‘mutilazione’ nonsolo stabilisce una chiara distinzionelinguistica rispetto alla circoncisionemaschile, ma, con la sua forteconnotazione negativa, sottolinea lagravità dell’atto. Nel 1990 questo terminefu adottato nella terza conferenza delComitato interafricano sulle pratichetradizionali che colpiscono la salute didonne e bambini (Iac), tenutasi ad AddisAbeba. Nel 1991 l’OMS ha raccomandatoalle Nazioni Unite di adottare questaterminologia, che di conseguenza è stataampiamente utilizzata nei documentidell’Onu. L’impiego del termine‘mutilazione’ rafforza l’idea che questasia una violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> dellebambine e delle donne, e quindi aiutaa promuovere l’impegno nazionale einternazionale per il suo abbandono.Per le comunità interessate, tuttavia,l’uso di questo termine può essereproblematico. Per descrivere la pratica lelingue locali in genere usano l’equivalentedel termine ‘escissione’, che possiedeuna minore connotazione valutativa:comprensibilmente, i genitori rifiutanol’idea di stare ‘mutilando’ le proprie figlie”.Per questo ha cominciato ad affermarsialla fine degli anni Novanta l’espressionefemale genital cutting (FGC, letteralmentetaglio <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>), che fariferimento solo all’atto del tagliare,senza giudizi valutativi, e ha l’obiettivodi sottolineare il rispetto per le culturelocali/tradizionali che comprendono tra leproprie forme espressive la pratica.In Italia Michela Fusaschi ha inveceproposto l’espressione “modificazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>”, mentre durantei corsi di formazione realizzati nell’ambitodel progetto “<strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunitàmigranti” di cui questa ricerca fa parte,è stata proposta e discussa l’espressione“modificazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>nocive”. Questa definizione accoglie lepreoccupazioni descritte sopra,in particolare è priva del giudizio negativoche invece ha il termine “mutilazioni”.Comprende – con il termine modificazioni– anche gli interventi sulla vulva che noncostituiscono una mutilazione, comead esempio la sunna, il taglio parzialedel clitoride che non ne compromettecompletamente la funzione, o quelle


15pratiche riunite dall’OMS nel IV tipo,che modificano l’aspetto della vulva qualiad esempio l’allungamento delle piccolelabbra o del clitoride. L’aggettivo nocivedescrive però – per il suo significato: cheprovoca un danno di varia natura o entità,visibile o nascosto, a carico di un organismoo di una condizione (Dizionario DevotoOli della lingua italiana, ed. 2004/5,Le monnier) – l’impatto che la pratica hasul corpo e sulla condizione delle donnee rispetta la preoccupazione di tanteattiviste, non lasciando ambiguità rispettoal fatto che è una pratica da abbandonare.Nelle lingue africane parlate dai gruppietnici che praticano diverse forme di MGF,la pratica prende una varietà di nomi,che hanno significati letterali che fannoriferimento al rispetto, alla norma/regolada seguire, alla purezza, all’azione deltagliare e/o del chiudere/cucire,alla pulizia.dell’Onu, come pure un crescentenumero di organizzazioni non governative,ha scelto come mediazione possibile tradue istanze ritenute entrambe giuste,l’espressione femal genital mutilation/cutting (FGM/C), tradotta in italiano conmutilazione genitale femminile/escissione(MGF/E).In questo testo abbiamo sceltodi continuare a usare l’espressionemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> el’acronimo italiano MGF, più notoe diffuso, pur riconoscendo la valenzadella nuova denominazione econdividendone i presupposti.INTRODUZIONE / Le parole per dirloMolte attiviste, africane e non, hanno peròravvisato un rischio nella sparizione delriferimento alla mutilazione, come sevenisse meno parte della motivazioneall’abbandono della pratica, che staappunto nel fatto che la pratica priva ledonne di una parte funzionale del propriocorpo ed è espressione “di una disparitàdi genere profondamente radicata cheassegna loro una posizione di subalternitànella società, e produce gravi conseguenzefisiche e sociali” 1 .Per “mantenere la valenza politicadel termine ‘mutilazione’ e allo stessotempo riconoscere l’importanza di usareuna terminologia che non esprima ungiudizio nei confronti delle comunità chela pratica” 2 l’Unicef e le altre agenzie1 UNICEF. Centro di ricerca Innocenti (IRC),Cambiare una convenzione sociale dannosa: la praticadella escissione/mutilazione genitale femminile,Firenze, UNICEF. IRC, 20052 UNICEF, Cambiare una convenzione, op. cit.


INTRODUZIONE / IL PROGETTO17/ Il progetto /di Cristiana Scoppa/ <strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong>comunità migranti // Percorso integrato di ricerca,formazione e sensibilizzazioneper la prevenzione e il contrastodi una pratica tradizionaleda abbandonare /sviluppo umano, con sede a Padova,l’associazione di promozione socialeCulture Aperte, con sede a Trieste, e incollaborazione con l’ANOLF, Associazionenazionale oltre le frontiere, sede delVeneto, la Regione Veneto, Assessoratoalle Politiche di Bilancio con delegaalla Cooperazione allo Sviluppo ai DirittiUmani e alle Pari Opportunità, DirezioneRegionale per le Relazioni Internazionali,la ULSS 16, Struttura Alta ProfessionalitàImmigrazione di Padova, la Regioneautonoma Friuli Venezia Giulia, Direzionecentrale salute e protezione sociale,l’ENFAP, Ente nazionale formazioneaddestramento professionale - sederegionale del Friuli Venezia Giulia, l’Istitutodi ricovero e cura a carattere scientifico(IRCCS) Burlo Garofolo - EuropeanSchool for Maternal, Newborn, Child andAdolescent Health, di Trieste, centrodi eccellenza dell’Organizzazione Mondialedella Sanità (OMS).Il progetto si attua <strong>nelle</strong> regioni del Venetoe del Friuli Venezia Giulia, e nel Lazio, inparticolare a Roma, dove ha sede AIDOS./ 1. Origini del progetto /Il progetto è finanziato dal Dipartimentoper le Pari Opportunità attraverso unbando emesso in conformità con la legge7/2006 “Disposizioni concernenti laprevenzione e il divieto delle pratichedi mutilazione genitale femminile”./ 2. Partner /La proposta di progetto è stataredatta congiuntamente da: AIDOS,Associazione italiana donne per losviluppo, organizzazione non governativariconosciuta dal Ministero degli AffariEsteri con oltre 20 anni di esperienza nellaprevenzione e contrasto delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> in Africa e in Italia,con l’associazione di promozione socialeADUSU, Associazione <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> -/ 3. Obiettivi // 1. / Mettere a disposizione di tutti gliattori in contatto diretto e indiretto con lepopolazioni migranti di origine africanapresenti sul territorio informazioniquantitative e qualitative atte acomprendere l’evoluzione di atteggiamentie comportamenti relativi alla praticadelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>nel contesto della migrazione e convivenzain Italia, attraverso una ricerca/azionepilota sul territorio del Veneto e del FriuliVenezia Giulia./ 2. / Contribuire all’appropriazioneconsapevole di un ruolo attivo diprevenzione e contrasto della praticadi mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> daparte di tutti gli attori locali a vario titoloin contatto con uomini, donne, minori,


INTRODUZIONE / IL PROGETTO18famiglie migranti originarie <strong>dei</strong> paesi dovela pratica è diffusa, attraverso un’azionecoerente e concertata di formazione,informazione e sensibilizzazione diretta eindiretta informata al paradigma <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> e all’eguaglianza di genere./ 3. / Rafforzare le capacità <strong>dei</strong> soggetticoinvolti nel progetto attraverso unametodologia di formazione partecipativa,affinché si facciano parte attiva nellaprevenzione e nel contrasto della praticadelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>./ 4. / Facilitare la circolazionedi informazioni sui progressi relativiall’abbandono della pratica nei paesid’origine, riducendo il rischio che lapratica venga eseguita durante soggiornidi vacanza e che siano combinatimatrimoni forzati tra ragazze cresciute inItalia e uomini <strong>dei</strong> paesi d’origine./ 5. / Promuovere un approccio culturalealla pratica che ne affronti la complessità,facilitando la diffusione di informazionie conoscenze attraverso l’informazionecircolante sui media, in modo da evitarestereotipi e prevenire semplificazionidi stampo razzista./ 4. Attività /Il progetto interviene in tutte e tre le macroaree di riferimento individuate dal bandoA - Ricerca/azioneB - FormazioneC - Informazione e sensibilizzazioneattraverso una serie di attività coordinate.Il progetto si propone di costruire unambiente socio-culturale che favoriscail cambiamento <strong>dei</strong> comportamenti<strong>dei</strong>/delle migranti di origine africanarispetto alla pratica attraverso unametodologia integrata, tra le diverseattività del progetto. In particolare:−−La costruzione di un ampio Tavolodi coordinamento regionale permette ilcoinvolgimento attivo <strong>dei</strong> rappresentantidelle istituzioni e organizzazioni chea vario titolo hanno contatto conle persone migranti, assicurandoun’ampia condivisione dell’approcciodel progetto nonché la condivisionedelle priorità e delle esperienzedelle singole istituzioni.−−La mappatura attraverso la ricercaazione,utilizzando gli strumentidell’intervista a testimoni privilegiati ea soggetti appartenenti alle comunitàimmigrate e del focus group, permettedi osservare il campo <strong>dei</strong> processidecisionali che circondano la praticadelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>nell’esperienza della migrazione.Saranno identificati tanto attoriistituzionali e professionali, che a variotitolo hanno contatto con le personemigranti, dal personale sanitarioai/lle mediatori/trici culturali,dai rappresentanti di associazioni diimmigrati e di donne, ai/lle funzionari/edi enti locali, dalle forze dell’ordine agli/lle insegnanti, ai media, quanto soggettiappartenenti alle comunità migrantiprovenienti dai paesi ove si praticano lemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.La mappatura mira inoltre a individuarei valori culturali di riferimentoche sostengono la continuazionedella pratica allo scopo di costruirepercorsi alternativi nel rispettodelle culture delle comunità migranti.Infine la ricerca-azione contribuiràad identificare i bisogni di formazioneinformazione<strong>dei</strong> diversi destinataridel progetto, contribuendo a qualificarei contenuti delle successive attività.− − Le attività di informazione esensibilizzazione, arricchite dalleindicazioni raccolte nel corsodella ricerca-azione e dai contributidi tutti gli attori coinvolti nel Tavolo


A cura di// ADUSU, ASSOCIAZIONE DIRITTIUMANI – SVILUPPO UMANOPAOLA DEGANI, PAOLO DE STEFANI- PADOVA/ Rapporto di ricercanellA regionE VenetoProgetto <strong>Mutilazioni</strong><strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunitàmigranti. Percorso integratodi ricerca, formazione esensibilizzazione per laprevenzione e il contrastodi una pratica tradizionaleda abbandonare finanziatodal Dipartimento per le PariOpportunità nell’AMBITOdella legge 7/2006


Rapporto di ricerca nella regione Veneto23/ Il disegnodella ricerca /di Annalisa ButticciIl presente rapporto di ricerca illustra gliesiti dell’attività condotta dall’Associazione<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> – Sviluppo umano nell’ambitodel progetto denominato “<strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong><strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong>comunità migranti. Percorso integratodi ricerca, formazione e sensibilizzazioneper la prevenzione e il contrasto di unapratica tradizionale da abbandonare”.Il progetto, finanziato dal Dipartimentoper i Diritti e le Pari opportunitànel quadro dell’attuazione dell’art. 3,comma 2, della Legge 7 del 9 gennaio 2006“Disposizioni concernenti la prevenzionee il divieto delle pratiche di mutilazionegenitale femminile”, (Avviso pubblicatoin Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto2007), è promosso da AIDOS, Associazioneitaliana donne per lo sviluppo e coinvolgele Regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia eLazio. Per il Veneto le attività progettualisono coordinate dall’Associazione <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> – Sviluppo umano di Padova erealizzate in partenariato con l’Assessoratoregionale alla Cooperazione allo sviluppo,Diritti <strong>umani</strong> e Pari opportunità - Direzioneregionale per le relazioni internazionali,l’ULSS 16, l’Anolf-Cisl regionale.L’attività di ricerca azione a cui fa capoquesto rapporto, svoltasi nel corso dellaseconda metà del 2008, ha preceduto ein parte accompagnato la realizzazione dialtri programmi e interventi di formazionee sensibilizzazione previsti nell’ambitodel progetto (realizzazione di materiali eattuazione di iniziative sul campo).Il progetto di ricerca sulle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> (MGF) 3 <strong>nelle</strong>comunità africane presenti nel territoriodella Regione Veneto è stato condottoutilizzando strumenti di rilevazione propridi un’indagine di tipo qualitativo.Una simile scelta metodologica èapparsa indispensabile in considerazionedell’obiettivo che la ricerca intendevaperseguire, soprattutto in considerazionedella particolare realtà che si volevaindagare. Per introdurre la posizionemetodologica ed epistemologica adottataci sembra opportuno riportare una notadefinizione di ricerca qualitativa:La ricerca qualitativa è quel tipo di ricercache adotta un approccio naturalistico versoil suo oggetto di studio, studiando i fenomeninei loro contesti naturali, tentando di dareloro un senso, o di interpretarli, nei terminidel significato che la gente dà ad essi.(Denzin e Lincoln 1994)Parlare di posizione metodologicaobbliga a definire che cosa si intende permetodologia e a questo proposito è beneevidenziare la differenza, a volte fontedi confusione, tra metodologia e metodo.Per metodologia si intende il procedimentoattraverso il quale si produce conoscenza;in tale procedimento si riconoscono3 L’intervento qui definito come MGF è denominatoe percepito in vario modo nei diversi contestiantropologici e socioculturali. L’adozione di questaterminologia – che ricalca quella utilizzata dall’OMS(Organizzazione Mondiale della Sanità) e presentenella recente legislazione italiana – non comporta unapresa di posizione <strong>dei</strong> ricercatori circa la sua maggiorecorrettezza o opportunità rispetto ad altre formulazioniutilizzate nella letteratura scientifica o dalle diversecomunità africane in cui la pratica è diffusa. Il tema èdiscusso nell’Appendice al Rapporto: <strong>Mutilazioni</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto24alcuni assunti di base sulla natura e ilsignificato delle idee, dell’esperienzae della realtà sociale, nonché sullemodalità attraverso le quali questi sonocorrelati. Il metodo invece si riferisce alletecniche e alle procedure che si possonoutilizzare per esplorare la realtà, produrredati ed evidenze. È un metodo, quindi,quello dell’etnografia, delle interviste,dell’osservazione partecipante, del focusgroup, del questionario, dell’analisi <strong>dei</strong>testi e cosi via. Il metodo è strettamentelegato al tipo di informazione che siintende ottenere.Nel caso specifico, la scelta metodologicaè stata imposta dall’oggetto della ricercae si è coniugata all’utilizzo di metodiflessibili, in grado di illuminarel’eterogeneità <strong>dei</strong> diversi contesti in cui lapratica delle MGF si manifesta.Questo progetto conoscitivo 4 ha postodi fronte all’obiettivo, affascinante macomplicato, di cogliere le opposte tensioniverso il cambiamento e la conservazioneche, mai come in questo caso, possonodescrivere l’atteggiamento della diasporaafricana nei confronti della pratica delleMGF. Le strategie di ricerca utilizzatesono state quelle più idonee a coglierele complessità legate sia alla ricerca sulcampo, sia all’accesso all’esperienzadegli intervistati e delle intervistate./ Le interviste e i focus group /Lo studio è stato condotto in larga parteattraverso la realizzazione di intervistesemistrutturate e focus group.I destinatari sono stati 21 mediatori/mediatrici africani/e, rappresentantidi associazioni africane, 13 donneafricane residenti nel territorio venetocon diverse esperienze rispetto allapratica, 15 tra medici e operatorisanitari, alcuni rappresentanti delleforze dell’ordine e della magistratura,9 tra rappresentanti delle CommissioniPari opportunità regionale e provincialie operatori di associazioni impegnatenella promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delledonne e degli immigrati. Tali soggettisono stati raggiunti in tempi e conmodalità diverse in base alla successionedelle fasi della ricerca, tutti comunquenel periodo compreso tra giugnoe ottobre 2008.Quasi tutte le interviste sono stateregistrate e quindi deregistrate, salvoquelle per le quali la persona interessatanon ha dato il consenso e quelle realizzateper approfondire specifici aspetti tra quellicontemplati nella traccia di intervistapredisposta per le diverse tipologiedi soggetti incontrati durante la ricerca.Anche i focus group sono stati interamenteregistrati. Nella scelta <strong>dei</strong> soggetti diorigine africana da intervistare si è tenutoconto della corrispondenza tra presenzanel territorio regionale e rappresentativitàdella pratica nel paese d’origine 5 .4 In merito alle questioni metodologiche rispettoal disegno della ricerca si veda Bichi (2003), Silvermann(2003), Bailey (1995).5 La letteratura e i manuali che trattanodi ricerca qualitativa hanno dedicato molte pagine allaquestione della scelta del campione e in particolare allasua rappresentatività. Si vedano in proposito i lavori diBovone (1984), Bertaux (1999), Cipriani (1997), Cavalli(1985), Corbin e Strauss (1990).Alla luce di tali considerazioni, si ritiene di avereindividuato un campione rappresentativo dellapopolazione oggetto di studio.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto25Si è cioè scelto di intervistare uomini edonne non solo delle comunità africane,per quanto piccole, dove la pratica delleMGF è più diffusa in patria, ma ancheesponenti delle comunità nazionaliafricane più numerose tra quelle presenti<strong>nelle</strong> diverse province del Veneto.Le donne africane intervistate sono stateindividuate in base alla provenienzageografica e alla presunta conoscenzadiretta della pratica. È opportunosottolineare il carattere presunto di taleconoscenza perché in diversi casi le donneintervistate, seppur provenienti da paesinei quali la pratica appare estremamentediffusa, non erano state sottoposte adalcun tipo di MGF. Le 13 donne intervistatehanno un’età compresa tra i 28 e i 50 annie provengono da Somalia, Nigeria, Eritrea,Mali, Burkina Faso, Sierra Leone ed Egitto.Gli intervistati e le intervistate provengonoda Somalia, Mali, Nigeria, Camerun,Senegal, Egitto, Ghana, Burkina Fasoe Guinea 6 .I mediatori/mediatrici e rappresentanti diassociazioni africane sono stati raggiuntisia attraverso le interviste semistrutturate,sia attraverso i focus group. In quest’ultimocaso abbiamo ritenuto opportunorealizzare due focus group, uno destinatoa uomini, l’altro a donne. I soggettiindividuati per i focus group, così come perle interviste semistrutturate, sono statiscelti in base ad alcune caratteristichequali: l’essere mediatori/mediatrici erappresentanti di associazioni, l’ampiezzae la rilevanza del ruolo svolto sul territoriodel Veneto dalle rispettive strutture ogruppi di appartenenza, la provenienzada uno <strong>dei</strong> paesi africani dove la pratica èmaggiormente diffusa.Sono stati dunque intervistatisingolarmente 21 tra mediatori/mediatriciculturali e rappresentanti di associazioni,provenienti da Somalia, Nigeria,Eritrea, Mali, Burkina Faso, Sierra Leoneed Egitto, mentre altri 10 uomini sonostati raggiunti tramite il focus group.Per il focus group delle donne lepartecipanti sono state invece 4.6 Il criterio che si è inteso seguire con questa sceltacampionatoria è stato quello della saturazione teoricaovvero il conseguimento dell’obiettivo conoscitivo dellaricerca. Come suggerisce Bichi (2003),“la domanda più opportuna, dunque, non è: quantepersone bisogna intervistare? Ma: è stato raggiuntol’obiettivo?”.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto26Tavola 1. Partecipanti a focus group eworkshopFocus Group Rappresentanti associazionie mediatori uomini 12.07.08Associazione Ital - Som - PadovaAssociazione Nazione Diaspora Africana(A.N.D.A.) - PadovaEgbe Omo Yoruba Veneto (2 persone) -PadovaFocus Group Rappresentanti associazionie mediatrici donne 23.08.08Nigerian Women Association (2 persone)- VeronaFocus Group Rappresentanti Associazionie mediatrici donne 23.08.08Associazione Amici del Mali -Riese Pio X (TV)Mediatrice culturale del CamerunANOLF - VeneziaAssociazione Camerunensi in Veneto -Moriago della Battaglia (TV)Associazione degli Immigrati della GuineaBissau in Italia - VeronaAssociazione Maliana delle tre Venezie(A.MA.VE) - PadovaAssociazione Socio Culturale <strong>dei</strong>Senegalesi (A.S.C.A.N.) - PadovaEdo Cultural Heritage Onlus - PadovaWorkshop C.PP.OO. 9.09.08Commissione Pari OpportunitàRegione VenetoCommissione Pari OpportunitàProvincia di VeronaCommissione Pari OpportunitàProvincia di RovigoCentro Antiviolenza - VeneziaCooperativa Iside - VeneziaTelefono Rosa - VeronaUnicaterra - PadovaArcisolidarietà - RovigoOpere Riunite Buon Pastore - Venezia


Rapporto di ricerca nella regione Veneto27L’obiettivo di ricerca ha inoltre richiestola realizzazione di interviste con operatorisocio-sanitari – medici, ginecologi,ostetriche e assistenti socio-sanitari -e con alcuni rappresentanti delle forzedell’ordine e della magistratura; sono statiintervistati agenti, funzionari e dirigentidella Polizia di Stato di alcune città veneteed è stata contattata e coinvolta nellaricerca la Procura della Repubblicadi Verona, in quanto titolare di un’indaginesu un episodio di cronaca avvenuto inepoca immediatamente successival’adozione della nuova normativa inmateria di MGF. L’ultima tappadella ricerca sul campo ha coinvolto,attraverso la realizzazione di un workshop,rappresentanti delle CommissioniPari opportunità, a livello provinciale eregionale, e delle associazioni impegnatenella promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delledonne e degli immigrati. L’incontro harilevato diversi elementi relativi ai rapporticon l’utenza straniera e la conoscenzadella pratica delle MGF sia in terminidi esperienza diretta attraverso le utenti,sia attraverso percorsi di formazione esensibilizzazione.La prima fase ha coinvolto il gruppodi ricerca nell’elaborazione delle traccedi interviste semi-strutturate, con le qualisono state individuate le aree tematiche sucui si è concentrata l’attenzione di ricerca.Per ogni tipologia di soggetto è stataelaborata una diversa traccia 7 .Nello svolgimento della ricerca, inconsiderazione della peculiaritàdell’oggetto di indagine, si è rilevatal’opportunità di utilizzare un metododi conduzione di intervista improntatoalla fluidità del discorso e alla liberanarrazione. Nell’interazione con gliintervistati e le intervistate si è cercatodi stabilire una relazione d’intervistanella quale fosse possibile costruirecongiuntamente una narrazione autentica,sincera, spassionata. Il successodi questa relazione flessibile e intesa adissolvere le distanze, massimizzandola comunicazione e la comprensionedell’esperienza, ha contato molto sullaqualità dell’interazione.Nelle interviste si è cercato di interagirecon i soggetti coinvolti prevalentementeattraverso rilanci e consegne, ossiamodi diretti di sollecitazione voltiad approfondire o spiegare alcuneaffermazioni o segmenti di racconto,attraverso i quali orientare il focus versoparticolari ambiti di vita riconducibiliall’esperienza e alla conoscenza in meritoalle MGF.In altre parole, si sono poste alcunedomande comuni a tutti gli intervistati eintervistate, ma è stato dato anche ampiospazio alla narrazione e alla fluiditàdel dialogo. Questo ha permessodi cogliere le diverse posizioni,le contestazioni, le negoziazioni edelaborazioni di significato intornoall’esperienza della diaspora e allapratica delle MGF, alle relazioni di genere,ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e ai <strong>diritti</strong> delle donne.La rimodulazione della direttività e lastandardizzazione hanno quindi conferitoalle interviste realizzate la caratteristicadell’intervista semistrutturata 8 .La diversità delle tracce ha seguito lepeculiarità dell’esperienza degli intervistatirispetto alla pratica delle MGF. In questaricerca tuttavia si è considerata la praticanella sua contestualità in Italia e nel paesed’origine degli intervistati, nonché nellasua significatività all’interno delle diverseesperienze di vita e migratorie. Sono statequindi elaborate tracce di intervista cheper i soggetti africani hanno esplorato7 Vedi tracce di intervista in appendice.8 Per un approfondimento sulle diverse tecnichedi conduzione dell’intervista si veda Bichi (2007).


Rapporto di ricerca nella regione Veneto28l’esperienza migratoria a partiredalla dimensione socio-economica eculturale del paese d’origine.Per ciò che concerne i mediatori/mediatrici e rappresentanti di associazioni,le tracce delle interviste hanno esploratogli aspetti socio-economici e culturaliche caratterizzano i diversi inserimentinel contesto locale delle comunitàafricane presenti nel territorio; i concettidi parità, relazioni di genere, <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, violenza di genere e rapportifamiliari; comprensione, condivisionee differenza culturale <strong>nelle</strong> comunitàafricane; cono della pratica delle MGF;effetti, conseguenze e aspettative sullalegislazione contro le MGF; atteggiamentie suggerimenti in merito a formazione,sensibilizzazione e prevenzione.La traccia di intervista alle donne siè invece concentrata su: esperienzamigratoria e contesto di vita nel paesed’origine e in Italia; approccio personalerispetto a relazioni di genere, <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>e <strong>diritti</strong> delle donne sia nel contestodel paese d’origine, sia in Italia; lavoro,famiglia, vita quotidiana; esperienza nelpaese d’origine e in Italia rispetto alleMGF. Anche alle donne è stato chiestodi esprimere il proprio parere sullalegislazione contro le MGF e in merito aprogetti di formazione e prevenzione.Le tracce di interviste al personalesanitario hanno rilevato le peculiaritàdell’esperienza <strong>dei</strong> servizi con gli/leutenti stranieri/e sia in merito alla saluteriproduttiva sia rispetto alla pratica delleMGF. Parte integrante dell’intervista sonostate, anche in questo caso, le domandevolte a esplorare la comprensionee la condivisione dell’approccio<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne,delle relazioni di genere sia in terminidi opinione personale sia per quantopercepito <strong>nelle</strong> utenti straniere.Particolare attenzione è stata rivolta ancheall’aspetto legislativo e alle implicazioniderivanti dall’applicazione della leggeitaliana sulle MGF. Alle forze dell’ordinesono state poste domande volte a rilevarel’attività svolta in collegamento con ilfenomeno delle MGF, la conoscenza,l’esperienza, la condivisione di significati ela loro percezione del ruolo delle comunitàafricane nella prevenzione e nel contrasto,l’opinione sulle nuove configurazionilegislative e pratiche della legislazionecontro le MGF. Non sono mancate,nemmeno in questo caso, le domanderelative ad una progettualità formativa edi prevenzione.I focus group, svoltisi in tempi diversie in sedi separate, hanno visto gliintervistati/e partecipare ad un confrontomolto appassionato che ha messo inevidenza tutti gli elementi dialogici econflittuali nonché le tensioni del “dibattitointerafricano” sulle MGF, nella prospettivasia <strong>dei</strong> diversi paesi d’origine, sia <strong>dei</strong>territori della diaspora, nel nostro casoil Veneto.La realizzazione delle interviste hacomportato la messa in campo di diverserisorse, tra le quali il supporto di un“mediatore” nel campo di ricerca.Tale figura ha rappresentatoun’indispensabile chiave di accesso nellarealizzazione delle interviste e <strong>dei</strong> focusgroup. In particolare, l’esperienza di lavorodel mediatore e la profonda conoscenzadel mondo associazionistico africano e<strong>dei</strong> suoi attori ha reso più fluido l’accessoalle comunità e la realizzazione delleinterviste. Il mediatore ha svolto dunquetre fondamentali funzioni: la mappaturadelle realtà associazionistiche piùsignificative del contesto territoriale,la facilitazione nell’accesso al campodi ricerca e la riduzione <strong>dei</strong> livellidi interferenza del ricercatore 9 .9 Per un approfondimento sul ruolo del mediatorenella ricerca biografica si veda Bichi (2003), Delcroix(1990), Cornelius (1982), Garcia (1982).


Rapporto di ricerca nella regione Veneto29/ Il Tavolo di coordinamentoe di approfondimento /Parte integrante della strategia di ricercaè stata la costituzione di un Tavolodi lavoro e coordinamento presiedutodal dirigente della Direzione Relazioniinternazionali, Diritti <strong>umani</strong> e PariOpportunità del Veneto, compostoda rappresentanti <strong>dei</strong> soggetti che sitrovano a confrontarsi con il problemadelle MGF, quali ULSS/ASL, aziendeospedaliere, organizzazioni di volontariato/immigrati/donne e Ong, consulte regionalie locali di immigrati, sindacati, prefetture,forze dell’ordine, magistrati, CommissioniPari Opportunità provinciali e regionali,mediatori culturali, Anci, Upi, Caritasregionale, Ordine regionale <strong>dei</strong> giornalisti,istituzioni scolastiche, comuni ad altaconcentrazione di migranti di origineafricana (v. Tabella 2).L’indagine aveva infatti tra i propri obiettivianche quello di fornire al Tavolo regionalegli elementi di conoscenza necessariper programmare ulteriori interventisul territorio. Questa finalità si coniugaperaltro con le attività di formazione e disensibilizzazione che il progetto di ricercae azione contempla e che vedono a lorovolta un coinvolgimento dello stessoTavolo, in particolare nell’individuazione<strong>dei</strong> bisogni formativi espressi sul territoriodai soggetti coinvolti. In questo senso,la ricerca presenta i caratteri della ricercaazione, proponendosi non solo di acquisiredati cognitivi utili a comprendere ilfenomeno trattato, ma anche ad avviare –almeno a livello di riflessione – una prassioperativa volta a favorire l’abbandonodella pratica delle MGF. L’opzione contrariaalle MGF, considerate un disvalore checontraddice il paradigma <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>delle donne, è un aspetto fondamentaledel complessivo progetto in cui la presentericerca si inserisce. L’assunzione di taleprospettiva etico-valoriale, che tuttavianon cancella la valenza scientifico-criticadell’indagine, ha evidentemente delleimplicazioni epistemologiche, tra cuiin primis la parziale funzionalizzazionedella ricerca stessa alla migliore messaa punto degli interventi formativi e disensibilizzazione previsti nel progettocomplessivo. I momenti di incontro edi scambio con i numerosi soggetticoinvolti nel Tavolo regionale hannorappresentato, inoltre, l’occasione peravviare un percorso di comune riflessionee di sensibilizzazione a sostegnodell’obiettivo di sradicare la praticadelle MGF sia nel territorio del Veneto,sia nei paesi africani dove continua adessere praticata.Nel quadro complessivo del Progetto,l’attività del Tavolo si concretizza in treriunioni nell’arco <strong>dei</strong> 18 mesi.Il primo incontro (giugno 2008) è statodedicato alla presentazione del Progettorelativamente alle sue diverse attivitàe ai materiali che saranno prodotti.Per quanto riguarda l’ambito del progettocomplessivo riguardante la ricerca,in occasione del primo incontro del Tavolosono state presentate le aree tematichesuccessivamente trattate <strong>nelle</strong> interviste.Il secondo incontro (dicembre 2008) harappresentato l’occasione per presentaree discutere gli esiti dell’attività di ricerca,raccogliere i commenti e le proposte<strong>dei</strong> vari componenti del Tavolo rispettosia alle implicazioni conoscitive dellaricerca, sia alle sue ricadute istituzionali eorganizzative, anche al di là <strong>dei</strong> limitidel progetto in cui la ricerca si colloca.Le riflessioni sviluppate alle riunionidel Tavolo sono in buona parte integratenel presente Rapporto, naturalmentenella misura in cui riguardavano la fasedel progetto legata alla ricerca.Il terzo incontro (giugno 2009) saràdedicato alla condivisione del rapporto


Rapporto di ricerca nella regione Veneto30finale nella prospettiva di verificare lapossibilità di dare continuità alle iniziativeintraprese con il progetto.Dopo il primo incontro del Tavoloregionale di coordinamento si è costituita,su sollecitazione <strong>dei</strong> rappresentantidelle strutture socio-sanitarieregionali, un’ulteriore articolazione dicoordinamento che coinvolge le ULSSdel Veneto. Tale azione, non prevista nelprogetto originario, ha trovato immediatosostegno da parte di AIDOS e degli altripartner operanti nel Veneto.Nel corso dell’estate 2008 sono quindistate identificate, nell’ambito di ciascunaazienda socio-sanitaria del Veneto, una opiù strutture di contatto sul tema delleMGF (consultori familiari, strutturesanitarie dedicate agli immigrati,centri per la salute delle donne, ecc.),i cui esponenti si sono successivamenteriuniti con i responsabili del progetto e,in particolare, con le persone incaricatedella ricerca.Tavola 2. Invitati al Tavolodi Coordinamento regionale MGF*Istituzioni PubblichePrefetto diBelluno - Padova - Rovigo - Treviso -Vicenza - Verona - VeneziaQuestore diBelluno - Padova - Rovigo - Treviso -Vicenza - Verona - VeneziaProcuratore diBassano Del Grappa - Belluno -Padova - Rovigo - Treviso - Vicenza -Verona - VeneziaRegione VenetoLe strutture delle Aziende socio-sanitariedel Veneto si sono pertanto propostenon solo come destinatari particolarmenteinteressati delle azioni di ricerca eformazione previste dal progetto, maanche come ambiti privilegiati di iniziativaper elaborare le ricadute del progettostesso, per quanto attiene alle dimensionisanitaria, sociale e di prevenzione.In particolare, il gruppo rappresentativodelle ULSS si è proposto di approfondirel’esame e la verifica applicativa delleLinee guida ministeriali sulle MGFdel 2007 destinate alle figure professionalidel campo sanitario.Presidente Commissione Pari OpportunitàVice Presidente Consulta immigrazioneDirigente Sicurezza Pubblica eFlussi MigratoriDirigente Segreteria Sanità e SocialeProvincia di BellunoPresidente Commissione Pari OpportunitàDirigente Sett. Sviluppo Economico,Sociale e CulturaleProvincia di PadovaPresidente Commissione Pari OpportunitàDirigente Settore Immigrazione, Lavoro eFormazione


31Provincia di RovigoPresidente Commissione Pari OpportunitàDirigente Area Servizi alla PersonaProvincia di TrevisoPresidente Commissione Pari OpportunitàDirigente Settore Politiche SocialiProvincia di VicenzaComune di VicenzaDirigente Settore Interventi SocialiComune di VeronaDirigente Servizio Tutela Minori e Politicheper l’AccoglienzaComune di VeneziaDirigente Politice Sociali, Partecipativee AccoglienzaRapporto di ricerca nella regione VenetoPresidente Commissione Pari OpportunitàDirigente Settore Socio-CulturaleProvincia di VeronaPresidente Commissione Pari OpportunitàDirigente Area Funzionale Servizialla PersonaProvincia di VeneziaPresidente Commissione Pari OpportunitàDirigente Settore Politiche SocialiComune di BellunoDirigente Servizio Sociale, Scuolee GioventùComune di PadovaDirigente Unità di Progetto Accoglienzae ImmigrazioneComune di RovigoDirigente Settore Servizi alla PersonaComune di TrevisoDirigente Settore Servizi alla PersonaAltri entiULSS 16 - Dir. Gen.le e Dir. StrutturaAlta ImmigrazionePresidente e Direttore ANCI VenetoPresidente U.R.P.V. Unione Reg.le Prov.del VenetoDirigente MIUR VenetoPresidente Ordine <strong>dei</strong> giornalistidel VenetoDirettore Caritas Diocesana Triveneto


Rapporto di ricerca nella regione Veneto33Rappresentante Opere RiuniteBuon Pastore - VeneziaRappresentante Ass. Naz.le DiasporaAfricana (ANDA)* Gli enti che hanno partecipato ai primi incontridel Tavolo di coordinamento Regionale MGF sono indicatiin grassetto.


35/ La significativitàdell’immigrazioneafricana in Venetorispetto alle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /di Annalisa ButticciCome sottolineano gli ultimi dati ufficialisull’immigrazione in Italia 10 , al primogennaio 2008 la popolazione residenteha raggiunto circa 3,5 milioni di persone(5,8% del totale <strong>dei</strong> residenti). Nell’ultimoanno diversi sono stati gli elementidi novità che hanno caratterizzato ilcontesto migratorio italiano; tra questi,la varietà <strong>dei</strong> paesi di provenienza degliimmigrati e la progressiva stabilizzazionedel numero di comunità immigrate,evidenziato dall’aumento <strong>dei</strong> nucleifamiliari e dal tasso di natalità (nel 2006i nati di cittadinanza straniera o dacoppie miste sono il 14,3% 11 ). Molte dellecaratteristiche che definiscono le diversepopolazioni straniere fanno riferimentoalle specificità <strong>dei</strong> modelli migratorie ai diversi elementi che delineano lepeculiarità <strong>dei</strong> contesti di partenza e diarrivo. Rispetto alle popolazioni africanesi rileva, dal 2003 al 2007, un incrementomedio annuo del 12,7%; in termini assolutisi è passati dalle 464.583 unità del 2003alle 749.897 del 2007.10 Istat, 2008. I dati utilizzati sono quelli che l’Istat hareso disponibili nel proprio sito www.istat.itnel primo semestre 2008.11 Il tasso di natalità degli stranieri è passatodal 12,7 per mille residenti del 1995 al 20,6 del 2006.L’immigrazione che ha caratterizzato lapopolazione africana in Italia ha avutoda sempre una certa peculiarità che hadistinto la realtà italiana rispetto ad altripaesi europei. Diversamente da quantoaccaduto in Francia, Belgio, Inghilterra(solo per citare alcune delle realtà piùsignificative), la presenza africana non haseguito gli assi coloniali, ma le rotte diprogetti economici, politici e di formazione,questi ultimi prevalentemente di livellouniversitario. Tendenzialmente però,per la maggioranza degli immigratiafricani, l’Italia ha rappresentato (erappresenta ancora) la meta di unamigrazione di tipo economico, alla qualefanno seguito i sempre più consistentiricongiungimenti familiari.In linea con le caratteristiche generalidella popolazione migratoria italiana,anche la presenza africana si segnala perl’aumento <strong>dei</strong> paesi rappresentati e per iprocessi di stabilizzazione di alcuni gruppi,come ad esempio senegalesi, ghanianie nigeriani. La diaspora africana in Italiaè ormai indubbiamente significativa,soprattutto nei centri urbani, dove questapresenza assume i caratteri di ciò cheVertovec definisce “super-diversità”:Il riconoscimento della portata e 14,3%della dinamica della super-diversità haimplicazioni radicali per comprendere egestire le espressioni delle differenze e imodi in cui interagiscono, date le condizionisocioeconomiche e giuridiche con cui simisurano i membri della popolazione.(...) Scoprire e riconoscere la natura el’estensione della diversità è un primo passocruciale per lo sviluppo di politiche adeguatea livello nazionale e locale. 12Nella maggioranza <strong>dei</strong> casi, la migrazioneafricana in Italia si è caratterizzata per unachiara connotazione di genere.Rapporto di ricerca nella regione Veneto12 Vertovec in Grillo, 2005.


36Rapporto di ricerca nella regione VenetoCon qualche eccezione (vedi per esempioCapo Verde e Nigeria), il bilanciodi genere risulta a favore della popolazionemaschile, che tende prevalentemente asvolgere il ruolo di apripista e breadwinner.Un esempio emblematico di tale realtà èla tipologia di progetto migratorio portataavanti dalla popolazione senegalese.I senegalesi si caratterizzano per l’elevatapresenza maschile sia rispetto allapopolazione residente, sia per i permessidi lavoro e permessi di lungo periodo 13 .Merita un commento la realtà attuale dellapopolazione nigeriana, che si distingue perun bilancio di genere a favore delle donne,le quali risultano essere in diversi casi leapripista e le breadwinner, come lo furononegli anni ‘80 le capoverdiane e le africanedel Corno d’Africa.La tabella 1 evidenzia la presenzaquantitativa dell’immigrazione africanain Italia così come rilevata al 31 dicembre2006. In essa risulta la prevalenzadi immigrati da alcuni paesi del NordAfrica, in particolare Marocco,Tunisia ed Egitto, seguiti da Senegal,Nigeria e Ghana.Nello specifico della realtà venetala popolazione africana rappresentail 27% della popolazione straniera.Una delle caratteristiche di questapresenza è la spiccata dinamicità <strong>dei</strong>movimenti demografici e delle struttureanagrafiche. La popolazione africanaè infatti mediamente molto giovane,presenta livelli di vecchiaia quasi nullie soprattutto evidenzia una consistenzadelle classi d’età più basse molto elevata.Una delle peculiarità della realtà inquestione è inoltre l’alta presenzadi minori, da attribuirsi ai ricongiungimentifamiliari e a realtà di stabilizzazionenel territorio. In particolare, piuttosto13 Istat, 2008.14 Istat, 2008.significativa è la percentuale degli africanidi seconda generazione o afro-italiani,che costituiscono nella regione circa il18% <strong>dei</strong> giovani di seconda generazione.Il bilancio di genere si presentatendenzialmente a favore <strong>dei</strong> maschi,anche se alcuni paesi si caratterizzano perun tipo di migrazione al femminile.Tale dato risulta evidentementesignificativo per questa ricerca, sia perl’incidenza della pratica delle MGF,sia per le peculiarità che il genere assumea seconda <strong>dei</strong> progetti migratori.Ciò è particolarmente vero sia per i diversiprogetti economici di migrazione sia per lediverse tendenze riproduttive.Rispetto alla realtà veneta, si è ritenutoopportuno osservare più da vicino i datiriguardanti le popolazioni africane chenella presente ricerca assumono unacerta significatività in quanto provenientida paesi dove è diffusa la pratica delleMGF. Pertanto, si sono considerateprevalentemente le popolazioni dell’Africasub-sahariana e dell’Egitto. Nella tabella 2sono riportati i dati della presenza nelterritorio veneto con a fianco la stimadell’incidenza della pratica nel contestoafricano in base alle indagini Demographicand Health Survey (DHS).La tabella evidenzia come, nella RegioneVeneto, i paesi africani maggiormentesignificativi per la ricerca siano alcunistati dell’Africa dell’Est e sub-sahariana.Se le prime tre comunità più numeroserisultano essere quelle ghaniane,nigeriane e senegalesi, dove la praticaappare piuttosto ridotta, l’ambitod’indagine si dovrà indirizzare nei confrontidella popolazione africana provenienteda Burkina Faso, Costa d’Avorio, Egitto,Guinea, Eritrea, Somalia e Mali.In realtà, come emergerà poi nel corsodell’indagine, l’esposizione ad esempiodella comunità nigeriana alla praticadelle MGF muterà abbastanza il quadro


Rapporto di ricerca nella regione Veneto37di partenza, così come l’assolutairrilevanza della visibilità o del fenomenotra la comunità somala.Rispetto alle comunità identificate comequalitativamente e quantitativamenterilevanti per la ricerca, pare opportunoanalizzare in modo più specifico, con ilsupporto delle tabelle, la peculiaritàdelle loro presenze <strong>nelle</strong> provincedel Veneto. La diversità delle dinamichemigratorie di questi paesi rendedi certo difficile un discorso descrittivodi portata generale. Le popolazioniafricane hanno infatti elaborato i propripercorsi di inserimento delineandospecificità che si evidenzianonella pronunciata etnicizzazione esegmentazione nel mercato del lavoro,in piccole attività di imprenditoria e nellaconseguente concentrazione abitativa inalcuni capoluoghi e centri urbani di mediagrandezza della regione. Emblematico èil caso del settore della ristorazione edel turismo, che vede una massicciapresenza di egiziani nell’area del venezianoo l’apertura di negozi al dettaglio diprodotti etnici da parte di nigeriani 15 .Altrettanto indicativa è la stabilizzazione diuna significativa comunità ghaniana,che nel vicentino ha trovato un proprioasse di inserimento nel settore dellalavorazione delle pelli.Sono i network sociali che hanno costituitoil canale privilegiato per la migrazioneafricana in Veneto (a differenza di ciò che è15 Accanto ai diversi processi di inserimento edi collocamento nel mercato del lavoro, che nellamaggioranza <strong>dei</strong> casi determinano conseguentementei processi di insediamento nel territorio, vi sonoinoltre le peculiarità che determinano le diversemodalità di interazione e partecipazione nel contestolocale. Una di queste è la dinamicità associativa dellepopolazioni africane. Interessante, anche se forse unpo’ penalizzante per questa ricerca, è la realtà dellapopolazione egiziana nel territorio, per la quale nonsi è individuata nessuna forma di associazionismoo aggregazione con obiettivi di welfaring, culturali,ricreativi o altro.avvenuto in altri paesi europei con passatocoloniale). Tali network hanno infatticonnesso le popolazioni africane in unasorta di complesso reticolo di ruoli erelazioni che hanno preso forma sia nelmercato del lavoro che in quello abitativo.Il legame si è strutturato in una doppiadirezione: tra migranti e area d’origine etra i migranti di più antico insediamentoe i newcomers provenienti da tali aree.Questi legami hanno provveduto negliultimi vent’anni a mantenere in vita lacatena migratoria, convogliando in essail passaggio di informazioni, servizi, beni,sostegno morale e materiale 16 .In merito alla distribuzione degliimmigrati africani nel territorio,si è osservato un progressivo processodi omogeneizzazione, con qualchepeculiarità rispetto alla concentrazionedi alcune comunità in determinate aree.Tutte le province hanno registratosignificativi incrementi. Alla fine del2006, ricalcando peraltro un processogià delineato in passato, le maggioriconcentrazioni territoriali sonoindividuabili tuttavia <strong>nelle</strong> provincedi Treviso, Vicenza, Verona e Padova,<strong>nelle</strong> quali si addensa la maggioranzadella popolazione africana.Di seguito, <strong>nelle</strong> tabelle 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,sono riportati i dati relativi alle comunitàafricane residenti <strong>nelle</strong> diverseprovince venete.Nella provincia di Verona (tabella 3) apparepiuttosto rilevante la presenza di ghaniani,nigeriani, senegalesi, ivoriani ed egiziani.È anche la provincia con il maggiornumero di guineani.16 Merita un riferimento la peculiarità della migrazionenigeriana in Veneto, nella quale si sono evidenziate negliultimi 10 anni delle forti commistioni con organizzazionicriminali dedite al traffico di droga e di essere <strong>umani</strong>,che si sono configurati tra i più efficienti networkmigratori tra l’Africa e il Nord Italia. In tema cfr: KoserK. 2008, IOM 2000, Liberti S. 2008, Ministero dell’Interno2007, Monzini P. 2004 e 2008.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto38La provincia di Vicenza (tabella 4), oltrea risultare evidentemente indicativadello storico insediamento di ghaniani(comunità più numerosa rispetto al datodelle altre province venete), senegalesi enigeriani, è il territorio nel quale si trovala comunità più numerosa di cittadini delBurkina Faso (1036) e dell’Eritrea (150).Nella provincia di Treviso (tabella 5)è presente la comunità più numerosadi senegalesi, seguiti da ghaniani enigeriani. Anche qui, come a Vicenza,significativa è la presenza di burkinabé,ivoriani e guineani.La provincia di Venezia (tabella 6) sisegnala, rispetto alle altre province, per laforte presenza degli egiziani (274).La provincia di Padova (tabella 7), insiemealla provincia di Verona, rappresenta unadelle maggiori aree di residenza dellecomunità nigeriane. In merito alla ricerca,particolarmente significativa è la presenzanel territorio provinciale di stranieriresidenti del Burkina Faso e della Somalia(questi ultimi più numerosi che in altreprovince venete). Rispetto alla Somaliasi sono rilevati negli ultimi anni <strong>dei</strong>significativi spostamenti di nuclei familiariche dal Veneto si sono diretti verso ipaesi del Nord Europa e in particolare inInghilterra e nei paesi scandinavi.I risultati della ricerca sul campoevidenziano peraltro la rilevanzadella pratica tra queste popolazioni,che appaiono essere profondamenteeterogenee al loro interno inconsiderazione della diversa provenienzaetnica. L’osservazione <strong>dei</strong> dati statisticiriportati può indurre a definire unpanorama migratorio molto sommario,che manca dell’articolazione edella complessità legata alle differenzeetniche che compongono la popolazionemigrante proveniente dal medesimopaese 17 . Inutile sottolineare che similidiversità “etniche” attraversanotutte le popolazioni africane, la cuidifferenziazione, soprattutto rispettoalla pratica delle MGF, non apparesufficientemente rappresentata da datistatistici che si limitano a fornire lenazionalità. Appare inoltre utile ricordareche i dati statistici riportati non tengonoconto delle presenze irregolari.Questo aspetto è particolarmente rilevantein quanto alcune delle popolazioni africanesulle quali si è concentrata l’attenzionedella ricerca appaiono caratterizzateda una significativa quota di personesprovviste di documenti regolari.Gli ultimi dati riguardano le provincedi Belluno e Rovigo (tabelle 8 e 9).Nella provincia di Rovigo apparedi particolare rilievo la presenza nigeriana,che progressivamente incrementa ilproprio insediamento nell’area.La provincia di Belluno risulta invecela meno esposta all’immigrazionedalle provenienze considerate.La realtà dell’immigrazione africanain Veneto si definisce, dunque, per unasignificativa presenza di popolazioneproveniente dall’Africa occidentale.17 Emblematico è il caso della Nigeria, paese rilevatosiparticolarmente esposto alla pratica, che nel territorioveneto è rappresentata da due sole etnie rispetto allacomposizione nazionale, ossia gli Edo e gli Igbo.


39Tabella 1. Popolazione africana residente in Italia al 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleMarocco 205852 137376 343228Tunisia 58294 30638 88932Egitto 46791 18876 65667Senegal 48984 10873 59857Nigeria 15856 21877 37733Ghana 20729 15811 36540Algeria 15333 6186 21519Costa d'Avorio 8420 7217 15637Mauritius 4251 4960 9211Eritrea 4015 4957 8972Burkina 5648 2895 8543Etiopia 2481 4175 6656Somalia 2806 3608 6414Camerun 3398 2851 6249Capo Verde 1238 3235 4473Congo 1621 1566 3187Rep. Dem. Congo 1508 1472 2980Togo 1734 961 2695Guinea 1247 767 2014Benin 1217 763 1980Sudan 1321 315 1636Angola 877 751 1628Liberia 1383 203 1586Libia 947 604 1551Kenya 488 725 1213Sierra Leone 628 441 1069Madagascar 248 705 953Niger 407 514 921Mali 428 307 735Tanzania 319 413 732Gambia 491 185 676Seychelles 192 450 642Rep. Sudafricana 244 324 568Rapporto di ricerca nella regione Venetosegue >


Rapporto di ricerca nella regione Veneto40Mauritania 369 198 567Ruanda 268 248 516Burundi 201 291 492Uganda 171 204 375Guinea Bissau 177 141 318Mozambico 112 155 267Zambia 91 87 178Gabon 93 83 176Ciad 68 53 121Rep. Centrafricana 61 48 109Zimbabwe 47 55 102Guinea Equatoriale 47 36 83Malawi 23 25 48Gibuti 25 16 41Sao Tomée Principe 11 17 28Swaziland 9 12 21Namibia 7 13 20Botswana 12 5 17Lesotho 4 7 11Comore 8 2 10Totale 461200 288697 749897


41Tabella 2. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente in Veneto per sesso e cittadinanza al 31 Dicembre2006, e tasso di prevalenza delle MGF nel paese d’originePaese Maschi Femmine Totale Percentualedi donne tra15 e 49 anniche hannosubito MGF nelpaese d’origineAnno delrilevamentonel paesed’origineRapporto di ricerca nella regione VenetoGhana 6145 4500 10645 3,8 2006Nigeria 4872 4608 9480 19 2003Senegal 5674 1541 7215 28,2 2005Burkina Faso 1592 708 2300 72,5 2005Costa d'Avorio 1120 938 2058 36,4 2006Camerun 631 451 1082 1,4 2004Egitto 454 194 648 91,1 2008Togo 318 210 528 5,8 2006Guinea 257 143 400 95,6 2005Congo 169 157 326 -Eritrea 146 155 301 88,7 2002Liberia 246 21 267 45 2007Somalia 131 135 266 97,9 2006Benin 171 81 252 12,9 2006Rep. Dem. Congo 137 110 247 -Etiopia 79 111 190 74,3 2005Guinea Bissau 85 72 157 44,5 2005Sudan 90 32 122 90 2000Kenya 42 60 102 32,2 2003Mauritania 80 15 95 71,3 2000/01Sierra Leone 57 29 86 94 2006Mali 56 29 85 85,2 2006Gambia 49 24 73 78,3 2005/06Niger 38 30 68 2,2 2006Tanzania 26 25 51 14,6 2004/05Uganda 16 7 23 0,6 2006Ciad 10 9 19 44,9 2004Rep. Centrafricana 1 1 2 35,9 2000Gibuti 1 0 1 93,1 2006


42Rapporto di ricerca nella regione VenetoTabella 3. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente nella provincia di Verona per sesso e cittadinanzaal 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleGhana 1888 1474 3362Nigeria 1303 1414 2717Senegal 792 244 1036Costa d'Avorio 250 249 499Egitto 79 35 114Togo 57 41 98Guinea Bissau 50 47 97Guinea 45 43 88Rep. Dem. Congo 42 37 79Camerun 39 36 75Liberia 59 5 64Eritrea 17 43 60Congo 28 19 47Etiopia 21 24 45Burkina Faso 28 14 42Somalia 22 20 42Sudan 18 9 27Benin 16 11 27Kenya 7 13 20Sierra Leone 9 9 18Niger 4 5 9Gambia 4 3 7Uganda 4 1 5Mali 1 0 1


43Tabella 4. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente nella provincia di Vicenza per sesso e cittadinanzaal 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleRapporto di ricerca nella regione VenetoGhana 2788 2042 4830Senegal 1408 392 1800Nigeria 606 668 1274Burkina Faso 711 325 1036Costa d'Avorio 363 287 650Eritrea 91 59 150Togo 95 44 139Benin 93 34 127Liberia 111 11 122Egitto 61 17 78Etiopia 28 40 68Congo 34 26 60Guinea 28 18 46Sudan 32 9 41Camerun 19 18 37Sierra Leone 20 16 36Kenya 19 17 36Mali 19 12 31Somalia 14 17 31Rep. Dem. Congo 15 13 28Niger 12 13 25Guinea Bissau 12 7 19Gambia 6 6 12Uganda 4 2 6Namibia 4 1 5Ciad 1 1 2Zambia 1 0 1Rep. Centrafricana 1 0 1Gabon 1 0 1


44Rapporto di ricerca nella regione VenetoTabella 5. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente nella provincia di Treviso per sesso e cittadinanzaal 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleSenegal 2227 589 2816Ghana 1107 751 1858Nigeria 759 697 1456Burkina Faso 548 230 778Costa d'Avorio 415 318 733Camerun 215 181 396Guinea 120 47 167Togo 57 54 111Egitto 46 12 58Gambia 36 15 51Congo 24 22 46Benin 26 17 43Liberia 39 4 43Rep. Dem. Congo 23 18 41Guinea Bissau 14 15 29Etiopia 4 22 26Mali 15 7 22Eritrea 6 13 19Niger 11 7 18Kenya 5 12 17Somalia 11 6 17Sierra Leone 15 1 16Sudan 9 2 11Gabon 4 1 5Zambia 0 4 4Uganda 2 1 3Ciad 2 1 3


45Tabella 6. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente nella provincia di Venezia per sesso e cittadinanzaal 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleRapporto di ricerca nella regione VenetoNigeria 511 456 967Senegal 603 132 735Egitto 181 93 274Camerun 58 46 104Burkina Faso 61 28 89Guinea 56 31 87Ghana 40 31 71Costa d'Avorio 23 12 35Eritrea 15 14 29Congo 11 17 28Etiopia 15 10 25Rep. Dem. Congo 10 12 22Somalia 8 12 20Ciad 7 7 14Kenya 3 9 12Sierra Leone 7 2 9Togo 4 5 9Sudan 6 0 6Liberia 6 0 6Niger 2 3 5Uganda 3 2 5Mali 2 2 4Benin 2 0 2Guinea Bissau 2 0 2Rep. Centrafricana 0 1 1


46Rapporto di ricerca nella regione VenetoTabella 7. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente nella provincia di Padova per sesso e cittadinanzaal 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleNigeria 1403 1112 2515Senegal 551 152 703Ghana 303 185 488Camerun 247 136 383Burkina Faso 238 111 349Togo 103 65 168Somalia 76 78 154Congo 55 66 121Costa d'Avorio 57 61 118Egitto 65 34 99Rep. Dem. Congo 46 29 75Benin 33 18 51Eritrea 15 25 40Sudan 24 12 36Liberia 29 1 30Mali 18 8 26Kenya 7 9 16Gabon 5 8 13Guinea 8 3 11Niger 9 2 11Guinea Bissau 7 3 10Etiopia 7 3 10Sierra Leone 5 1 6Zambia 1 3 4Uganda 3 0 3Gambia 2 0 2Gibuti 1 0 1


47Tabella 8. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente nella provincia di Belluno per sesso e cittadinanzaal 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleRapporto di ricerca nella regione VenetoNigeria 41 31 72Camerun 43 27 70Senegal 40 13 53Ghana 14 16 30Costa d'Avorio 9 9 18Egitto 15 1 16Etiopia 3 10 13Congo 11 2 13Burkina Faso 5 0 5Togo 1 1 2Eritrea 1 1 2Gambia 1 0 1Liberia 1 0 1Sierra Leone 1 0 1Kenya 1 0 1Somalia 0 1 1


48Rapporto di ricerca nella regione VenetoTabella 9. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presentela pratica delle MGF residente nella provincia di Rovigo per sesso e cittadinanzaal 31 Dicembre 2006Paese Maschi Femmine TotaleNigeria 249 230 479Senegal 53 19 72Camerun 10 7 17Congo 6 5 11Egitto 7 2 9Ghana 5 1 6Costa d'Avorio 3 2 5Etiopia 1 2 3Benin 1 1 2Rep. Dem. Congo 1 1 2Sudan 1 0 1Burkina Faso 1 0 1Guinea 0 1 1Liberia 1 0 1Mali 1 0 1Togo 1 0 1Somalia 0 1 1Uganda 0 1 1Eritrea 1 0 1


Rapporto di ricerca nella regione Veneto49


Rapporto di ricerca nella regione Veneto51/ Diritti <strong>umani</strong>,<strong>diritti</strong> delle donnee mutilazione<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>visti dalle donneafricane in Veneto /di Annalisa ButticciDopo aver abbozzato lo scenario in cuisi è collocata la ricerca, in questa primaparte del lavoro, relativa all’elaborazione<strong>dei</strong> risultati dell’indagine sul campo,rifletteremo su quanto rilevato in meritoall’atteggiamento delle donne africaneintervistate rispetto ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, e inparticolare ai <strong>diritti</strong> delle donne.L’obiettivo è stato quello di comprendere,attraverso le parole delle intervistate,quanto potesse essere condivisibiledalle stesse un approccio interpretativoe operativo che intende la pratica comeuna violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. In altreparole, si trattava di comprendere il livellodi conoscenza e consapevolezza che ledonne hanno di alcuni principi cardinedi tutela <strong>dei</strong> loro <strong>diritti</strong>. In tal senso si èvoluto riprendere il percorso di ricerca edi azione portato avanti <strong>nelle</strong> campagneinternazionali anti-mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, che hanno visto nella centralità<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> uno degli argomenti piùsignificativi per elaborare programmidi azione e prevenzione.Diverse ricerche, tra le quali quellacondotta dall’Unicef nel 2005 18 , hannoevidenziato come la pratica sia in realtà18 UNICEF, 2005.scarsamente percepita dalle donneafricane come una violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>. Tale risultato sembra corroborarela posizione di coloro che nel dibattitosulla tensione esistente tra <strong>diritti</strong>universali e <strong>diritti</strong> individuali, ovvero tra<strong>diritti</strong> e cultura, vedono nella pratica delleMGF non una violazione di <strong>diritti</strong>, ma alcontrario l’esercizio del diritto alla propriacultura e alle proprie tradizioni.Consapevoli della complessità del dibattitointernazionale scaturito da queste diverseposizioni, abbiamo voluto rilevare lepeculiarità del contesto da noi studiato esoprattutto la singolarità dell’esperienzadelle donne africane intervistate in meritoalla pratica, così come alla più ampiarealtà delle relazioni e della violenza digenere. Di fatto, queste donne, attraversoi loro diversi percorsi migratori, hannopotuto sperimentare le tensioni legateallo sradicamento, alla frammentazione,alla ricostruzione di identità culturali e ditradizioni che nel processo diasporico sisono a volte radicalizzate, altre volte fusee sfumate nel nuovo orizzonte socialee culturale del contesto italiano e inparticolare veneto.Quanto rilevato non semplifica il panoramagià disegnato da ricerche nazionali einternazionali relative alla pratica delleMGF. Tutt’altro. Emerge infatti una realtàitaliana (in questo caso veneta) e africanaestremamente differenziata, che lasciapoco spazio all’utilizzo di interpretazionionnicomprensive con le quali leggerel’eterogeneità e la continua trasformazionedelle diverse culture <strong>nelle</strong> quali si collocala pratica. È dunque un’impresa arduarendere conto delle diversità e dellepeculiarità che circondano la praticadelle MGF nei paesi di provenienza delledonne africane intervistate e, ancora dipiù, delle diverse esperienze e <strong>dei</strong> relativiatteggiamenti a queste collegati.In tal senso questa ricerca ha l’importantevalore aggiunto di contribuire alla


Rapporto di ricerca nella regione Veneto52creazione di un discorso alternativosull’Africa e sulle popolazioni africane,contestando lo stereotipo di staticità,omogeneità, passività, atemporalità,nel quale si trascurano o si ignorano ledifferenze di classe, religione, etniche, <strong>dei</strong>contesti urbani e di quelli rurali, <strong>dei</strong> diversipassati coloniali così come la condizioneneo-coloniale degli africani che vivononel continente oppure nella diaspora.La ricchezza delle interviste realizzate ele vibranti dinamiche comunicative <strong>dei</strong>focus group, nei quali si sono confrontatiuomini e donne provenienti da diversipaesi africani, hanno arricchito la nostrariflessione, permettendoci di cogliere lediverse posizioni e le multidimensionalitàdelle strutture che condizionano tradizionie culture che abbiamo rilevato in continuomovimento e trasformazione.La prima riflessione non poteva nonprendere le mosse dall’ottica interpretativacon la quale si è intrapresa l’indagine,ossia il significato e il valore attribuitoai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e ai <strong>diritti</strong> delle donnenei contesti africani dove la pratica delleMGF appare particolarmente estesa.Per far ciò abbiamo esplorato il mondodi alcune donne africane residenti inVeneto, che attraverso le loro storie e leloro idee hanno consentito di ricostruirel’immaginario e l’atteggiamento maturatonel percorso migratorio in merito ai <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> e ai <strong>diritti</strong> delle donne.È stato chiesto loro di raccontare dellaloro vita nei paesi d’origine, dellerelazioni familiari, del lavoro, del progettomigratorio e delle traiettorie di vitasperimentate. La maggioranza delledonne protagoniste di questo capitolohanno subito la pratica, e in vario modohanno elaborato e rielaborato la propriaesperienza e il proprio vissuto. I loro primianni di vita e, nella maggior parte <strong>dei</strong> casi,l’intera adolescenza e giovane età adulta,li hanno trascorsi in Africa, sperimentandorelazioni di genere molto contestualiche rispecchiano tradizioni e culture<strong>nelle</strong> quali il ruolo della donna assumesignificati legati all’economia familiare.I contesti sociali <strong>dei</strong> paesi d’origine sonoplasmati da un forte senso comunitarioche vede i ruoli di genere direttamentefunzionali alla riproduzione dell’ordinee dell’armonia <strong>dei</strong> nuclei familiari e diconseguenza delle comunità. Le donneintervistate hanno fatto parte di questiordini, ma hanno anche sperimentatonuovi assetti sociali e di genere nelladiaspora. È in questo ampio panorama chesi collocano le riflessioni delle donne sui<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> riportate in questo capitolo.La domanda che abbiamo posto atutte è: secondo te che cosa si intende per<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>? Alcune di loro hannoespresso le loro convinzioni attraversouna chiara presa di posizione a favore <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e delle donne. Altre, invece,si sono dimostrate un po’ scettiche sullapossibilità di argomentare, <strong>nelle</strong> realtàafricane di origine e della diaspora,l’importanza <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> o aspettiquali la violenza sulle donne. È dunquesu queste due posizioni che svilupperemola prima parte di questo capitolo. Per farciò, riporteremo alcuni <strong>dei</strong> commenti piùsignificativi delle donne intervistate checi permettono di osservare le diverseposizioni espresse.Le esperienze e le riflessioni riportatedi seguito vanno nella prima direzione.La prima esperienza è quella di F. 19 ,somala, in Italia da 20 anni. La storiadi F. è quella di una donna che ha avutosempre molto chiare le disparità esistentinel suo paese d’origine tra uomo e donna.Ha cercato di difendersi da una posizionesubordinata in famiglia conquistando,nonostante le difficoltà economiche,un titolo di studio che le ha permessodi trovare un lavoro impiegatizio. Il suoatteggiamento evidenzia l’esperienza19 Le iniziali sono comunque riferite a nomi di fantasia.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto53della sofferenza dovuta alle pressionisociali che hanno soffocato le sueaspirazioni. La sua idea di <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>richiama la totalità dell’esperienzaumana e riflette un profondo desiderio dipartecipazione, parità ed emancipazione,sia nell’ambito della vita privata che nellasocietà. Queste le sue parole:F.: L’esperienza che io ho avuto è quelladi un paese che è così che vive, dove nonè ancora conosciuta la parità tra uomo edonna. Cambierei tanto, della Somalia.Farei frequentare la scuola a tutti, maschi efemmine. Metterei al governo delle donneper renderle parte della vita del paese eper permettere loro di dimostrare quelloche valgono.Quali sono i <strong>diritti</strong> delle donne?F.: Tutti i <strong>diritti</strong> di un essere umano: quello acui ha diritto un uomo, ha diritto ancheuna donna.Cosa intendi per <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>?F.: Qualsiasi diritto come respirare oquello di avere <strong>dei</strong> vestiti, il diritto dilavorare, di fare figli e sposarsi, il dirittoche nessuno si faccia i fatti tuoi: secondome la donna ha bisogno di questo.Se all’uomo tutto questo non viene impedito,non vedo perché debba essere impeditoalla donna solo perché è donna. Io non sonocontro gli uomini, ma non esiste che dai uncalcio a me e tu continui a correre: corriamoalmeno in parallelo. Altre cose da cambiarein Somalia sono ad esempio il fatto che,se all’interno della famiglia c’è una decisioneda prendere, ha più valore il parere delpadre o del figlio maschio. Il figlio maschioha più valore della mamma e questo locambierei: mio figlio l’ho partorito io, nonpuò essere superiore a me. Sono il marito ela moglie che devono sedersi, discutere e poicomunicare alla famiglia che hanno presola loro decisione. Se si vogliono coinvolgerei figli nella discussione va bene, ma ledecisioni spettano ai padroni di casa.(F., Somalia)Non meno significative ci sono sembratele parole di A. e K., rispettivamentedella Somalia e del Burkina Faso.Entrambe sono in Italia da più di 10 anni.Sono sposate e hanno figli. A. fa lacollaboratrice domestica e K. lavorain una struttura socio-sanitaria comeoperatrice. Interessante, a nostro avviso,la chiave comparativa di A. e la visioneglobale di K. rispetto alla condizione delledonne nel mondo. Ci è sembrato rilevanteriportare le loro osservazioni in quantoevidenziano due importanti elementi:il primo è la consapevolezza delle struttureche, a prescindere dalle differenzegeografiche, condizionano le esperienzedelle donne sia nel contesto familiareche lavorativo; il secondo evidenzia,soprattutto per quanto riguarda A.,il riconoscimento della legge comeunico strumento per tutelare le donnedalla violenza.A.: Da noi tante cose passano sotto lareligione. Anche qui in Italia cinquanta ocento anni fa la donna doveva solo badarealla casa e ai figli e l’uomo comandava:da noi è ancora così, o comunque era cosìvent’anni fa. In quel periodo le donnenon guidavano, non andavano a scuola,non si sognavano neanche di votare,era quasi impossibile trovare una donna chelavorasse in un ufficio: si occupavano solodella casa e l’uomo comandava.Adesso le cose stanno cambiando.Secondo te che cos’è la parità tra uomoe donna?A.: Innanzitutto il rispetto.Uomo e donna sono entrambi esseri<strong>umani</strong>, quindi uguali. Una famiglia è fattadi un padre e di una madre: l’uno senzal’altra non può stare perciò per avere lapiena parità bisogna che entrambi abbianovoce in capitolo quando si tratta di deciderequalcosa che riguarda il lavoro, i figli, tutto.Non voglio che mi sia precluso qualcosaperché sono una donna: devo poter arrivaredove è arrivato lui.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto54Quali sono gli strumenti di una donna perdifendersi dalla violenza?A.: Le violenze comunque non finisconomai ed è la legge che deve difenderle inmaniera severa, non dando ad un assassinosedici anni di galera: sedici anni di galeranon equivalgono a una vita spezzata.Secondo te in Italia le donne sonotutelate?A.: No, non penso.E in Somalia?A.: Meno. In Somalia un uomo puòpicchiare la propria donna, sai? Io credo chequando un uomo alza le mani contro suamoglie, lì è finita. Io lo lascerei per sempre.siamo liberi, ma non siamo liberi.Dove vedi che una donna è libera? È vero!(K., Burkina Faso)Altrettanto decise sono le parole di J.,nigeriana, il cui percorso migratorio èsegnato dall’esperienza del lavoro instrada. Lascia la Nigeria giovanissimadopo aver studiato e lavorato brevementecome sarta e stilista: aveva un piccololaboratorio dove ideava e produceva abiti.Attraverso conoscenti arriva in Italia edopo poche settimane si ritrova a lavorarecome prostituta <strong>nelle</strong> strade del Veneto.La sua storia purtroppo non è moltodiversa da quella di altre ragazze vittimedella tratta.Secondo te che cos’è la parità tra uomo edonna?A.: Abbiamo parità in tutti i sensi, tranneche per i muscoli. Sia maschi che femminevanno a scuola, spesso le femminesono più brave <strong>dei</strong> maschi, lavoranoentrambi. Mi sono stupita di una cosa qui:dall’Italia non me lo sarei mai aspettata,ma sento in televisione che le donneprendono stipendi più bassi rispettoall’uomo, pur avendo gli stessi incarichi.In Italia le donne sono condannate perchési sposano e fanno figli. In questo la Somaliaè più avanzata rispetto a voi, perché lìuomini e donne con lo stesso incaricoprendono gli stessi soldi e io faccio unpasso avanti se sono più brava di lui.Qui le ragazze studiano, si costruisconouna carriera e comunque continuano aprendere meno degli uomini.(A., Somalia)E secondo te che sono i <strong>diritti</strong>delle donne?K.: Una bella cosa questa. La mia opinionepersonale sui <strong>diritti</strong> delle donne è nontrattarle male. Una donna deve essere liberadi esprimersi, di parlare, di dire ciò che vuole,di imporsi. In tutto il mondo una donna nonè mai libera, questo te lo posso assicurare.Una donna dov’è libera? Noi diciamo cheJ.: Sai, è grazie a persone come voi che gliitaliani conoscono sempre di più della culturaafricana. Se non cominciamo a conoscercil’un l’altro, resteremo sempre con i nostripregiudizi e le nostre incomprensioni.Certa gente dice che i neri non sono esseri<strong>umani</strong>, sono animali. Noi non siamo animali,ma la società da cui veniamo non ci dàmodo di farci valere. Se le leggi in Africaci dessero <strong>diritti</strong> uguali, la Nigeria sarebbeun paese migliore. Se consentissero ad unadonna di governare un paese, sarebberosicuri che quel paese sarebbe il migliore,perché sono le madri che soffrono di più inAfrica. Sono le donne a soffrire. (J., Nigeria)J. è fermamente convinta dell’importanzadella parità tra uomo e donna, nonchédella necessità di dare a ogni individuo lapossibilità di fare dignitosamente partedelle società. Lo stralcio di intervistadi J., nella sua brevità, dice molto:parla di razzismo, pregiudizio, esclusione.Parla inoltre di pari opportunità,di accesso alla vita politica da partedelle donne, richiamando l’essenzamaterna dell’identità femminile.Quanto riportato sinora esemplifical’atteggiamento di coloro che hannoespresso una forte consapevolezza rispetto


Rapporto di ricerca nella regione Veneto55ai <strong>diritti</strong> delle donne e all’importanzadi portare avanti un discorso a favore<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>: parità tra uomo e donna,libertà dalla violenza e dalle costrizionisociali sono assunti condivisi dalledonne intervistate. Anche l’importanzadello strumento giuridico è emersa conchiarezza. Tuttavia, è quando si entra nellaspecificità della pratica delle MGF che ilpensiero circa i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> si articolain modo più critico, evidenziando alcuneresistenze circa l’assunto che tale praticapossa essere letta come una violazione <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle donne e una violenza.La ricerca sul campo ha rivelato unarealtà, rispetto alle MGF, profondamenteeterogenea. Tale diversità è apparsaevidente <strong>nelle</strong> testimonianze delle donneintervistate, che hanno disegnato unmosaico di micro-contesti locali nei qualila pratica assume significati e espressionimolto diverse rispondendo ad imperatividi società <strong>nelle</strong> quali il corpo della donna èdepositario di valori e tradizioni in gradodi giustificare le MGF 20 .Nelle opinioni delle donne intervistateabbiamo rilevato due tendenze principali.La prima è di piena condanna dellapratica, percepita come violazione di tutti i<strong>diritti</strong>, per la quale non si ammette nessunalibi di tipo culturale. La seconda, menorappresentativa, ma pur sempre presente,non vede nella pratica la violazione di undiritto, e, in alcuni casi, nemmeno unaforma di violenza. In qualche caso, purconsiderandola una violenza, essa nonappare più grave di altre forme di abuso odi ingiustizia nei confronti di esseri <strong>umani</strong>.Nella prima direzione va la testimonianzache riportiamo di seguito. Si tratta20 In questo contesto, non ci soffermeremo a fornireuna visione puntuale della pratica così come vienerealizzata nei paesi delle donne intervistate. Per avereuna visione completa ed esaustiva in merito, si rinvia allabibliografia generale in appendice al presente rapporto eal sito di AIDOS www.aidos.it/.della storia di S., 55 anni, somala, in Italiada 15 anni, sposata con un conterraneo,con il quale ha avuto due figlie.Attualmente fa la collaboratrice domesticapresso una famiglia italiana.Possiede una laurea e un passatodi ricerca nel campo della demografia.Pensiamo che valga la pena riportareuno stralcio di racconto così lungoperché la sua esperienza ci è sembrataemblematica, in quanto racchiude tuttoquanto da noi osservato <strong>nelle</strong> diversestorie raccolte. L’esperienza della pratica,le pressioni sociali e della tradizione,due gravidanze, una in Somalia e una fuoridal paese, la reiterazione della praticaalla figlia nata in Somalia, la migrazione,il distanziamento e il rifiuto di sottoporrela seconda figlia all’infibulazione.Tutto questo, insieme ad altri elementiimportanti, ci condurranno ad unapiù profonda riflessione in merito allapratica delle MGF e ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> vistidalle donne africane.S.: Questa è una cosa che i somaliconsiderano giusta, anche generazioni piùgiovani della mia lo pensano, e per loroè una cosa giusta perché pensano chesia una cosa della religione. Tagliano ilclitoride e anche le labbra, quelle esterne.Quando lavoravo al Ministero della Sanitàin Somalia hanno fatto un lavoro di ricercaper raccogliere dati per togliere questamentalità. Lì ho saputo che ci sono tre tipidi pratica. Uno in cui tagliano il clitoride epoi chiudono le grandi labbra… ma questaqua è una pratica un po’ vecchia…con degli aghi di pino, quelli lunghi.Tolgono il coperchio, puliscono e mettono dauna parte ed esce dall’altra parte. Cucionocon quegli aghi, ma poi li lasciano lì. Poi peruna settimana la ragazza deve stare stesa.Quando si alza in piedi si vede che è cucita…Anche da fuori si vede che è tutto cucito.E questo è un tipo. Poi c’è un secondo tipodi pratica: tagliano il clitoride, ma lascianoun po’ aperto e cuciono come all’ospedale.Poi c’è un altro tipo che tagliano soltanto


Rapporto di ricerca nella regione Veneto56il clitoride. E basta. E poi ce n’è un altroancora che dicono sia solo un pizzicotto,tanto per accontentare chi vuole che lapratica avvenga. Esce solo un po’ di sangue.Sono questi i diversi tipi. Questa tradizioneviene dall’Egitto, dai tempi <strong>dei</strong> Faraoni.Dall’Egitto è passata in Sudan, in Etiopiafino in Somalia. Siccome anche la religioneviene da là, pensano tutti che sia una cosareligiosa. Ma non lo è. Penso che sia unaquestione di gelosia. Magari uno la facevafare a sua figlia per essere sicuro che nonfacesse niente. Per la figlia non è facile farel’amore perché prova dolore. La ragazza hadue verginità: una esterna, fatta dall’uomo,e poi quella interna. Quindi penso che siauna pratica che è iniziata per gelosia e finoad oggi molti non sono riusciti a toglierselodalla testa. Ma a me non preoccupano quelliche stanno giù in Somalia, bensì quelli chesono all’estero che vanno giù per fare questo.Quelli che stanno lì, se anche la mammanon vuole, è la figlia che lo vuole. Io hodue figlie. A quella grande l’ho fatta fare,a quella piccola no. Quando quella piccolaaveva cinque anni mi chiedeva: “Perchéio non la faccio?”, perché le sue coetaneel’avevano fatta tutte. E io le dicevo: “Ma sì,la farai anche tu”. Ma io non la volevo fare.Sapevo che non era una cosa della religione.L’ho saputo dopo che era una cosa che nonc’entrava con la religione. E poi ho imparatomolto dai vecchi, perché erano moltointelligenti. Per esempio mio zio, quandol’hanno fatta a me, ha detto di farla poco,di non farla totale. Ha detto: “Fai il menopossibile” ed era sua cugina che me la stavaper fare. Lui le ha detto che se lei avessefatto più di quello che lui le aveva richiesto,non l’avrebbe mai perdonata.Tu ti ricordi quel giorno?S.: Non molto, però mi ricordo quella frase dimio zio. Mi ricordo anche che il giorno primami avevano portata a fare l’antitetanica,per evitare le infezioni. Del giorno in cui mihanno fatto la pratica mi ricordo che c’eranodonne, tutte donne, e mi hanno fatto sederesu uno sgabello alto, non tutta seduta, unpo’ stesa. I polpacci erano fuori, dietro unadonna mi teneva la schiena, altre due mitenevano le gambe e la cugina di mio papàmi faceva la cosa. Non mi hanno cucita, mihanno solo tagliato il clitoride. Dopo di cheti mettono una cosa tradizionale preparata,mi ricordo il sangue che mi scendeva nelsedere…Tanto sangue. Sì, perché quandotagli una persona e non la cuci, perdetanto sangue. Mi hanno tagliato con unalametta credo. E sono anche gente avanzatadiciamo, più civile… perché mi hanno fattoanche l’antitetano. Sotto sotto noi ragazzevogliamo farlo, perché fanno festa, ricevi<strong>dei</strong> regali o <strong>dei</strong> soldi. Poi dopo che finisconoti chiudono le due gambe e così devi stareper una settimana. Quando mia figlia avevasei anni chiedeva in continuazione di farla,e mia madre voleva che gliela facessi fare.Noi non possiamo dire un no secco ai nostrigenitori, bisogna accontentare i proprigenitori. In quel periodo tra l’altro mia figliastava con mia mamma. In più la bambinastessa mi chiedeva insistentemente di farla,piangeva perché tutti l’avevano fatta e lei no.Anche se i miei fratelli erano dalla mia partee le dicevano che non era il caso di farla,lei insisteva. Allora alla fine un giorno sonoandata da un infermiere, e i miei genitorinon volevano che un maschio toccasse miafiglia, ma alla fine gliel’ha fatta lui.L’ho fatto con un servizio sanitario, con ilpersonale dell’ospedale che è venuto a casamia. Non ho chiamato nessuno, non ho fattonessuna festa. Mia mamma c’era, ma lei nonaveva il coraggio di stare lì, non ne aveva ilcoraggio. Però è rimasta lì in casa. Io non eronemmeno lì. Non volevo vedere che facevanomale a mia figlia. Io ho detto: “Esco e tornodopo” perché sai, ho i buchi <strong>nelle</strong> orecchie enon potevo sentire mia figlia stare male.Mi faceva male fare questa cosa a mia figlia,ma cosa avrei dovuto fare? Le ho fatto farel’antitetanica, l’antidolorifico, tutto quelloche dovevo fare. Gli ho detto di tagliare ecucire. Le ho fatto tagliare solo un po’ ilclitoride e le labbra. È andato tutto bene.Lei era contenta… Sì, era contentissima!


Rapporto di ricerca nella regione Veneto57Per questo prima ti dicevo che non ci sonoproblemi se uno vive in Somalia perché è ilclima che comanda, non i genitori.Le altre bambine la prendono in giro finchénon fa questa cosa. Dopo le è passato tuttofacilmente. La prima sera aveva bruciore,sai, dove l’avevano tagliata, ma dopo eracontenta. Adesso è lei che racconta in giroche non è giusto, dice che l’ha voluto lei.La mia figlia più piccola è nata in Egitto epoi siamo venute a vivere in Italia.La Somalia l’ha vista una sola volta perchésiamo andate lì in viaggio. Tra l’altro nonle avevo mai parlato di queste pratiche,non aveva nessuna idea di cosa fossero.Comunque eravamo lì, ad una festa somalae lei avrà avuto circa cinque anni.Una signora somala mi è venuta incontro emi ha detto: “Allora hai approfittatodi questo viaggio in Somalia?” e io hochiesto: “Per cosa?” e lei mi fa:“La Mariam?”, e mia figlia era lì, sentiva.Quando ho capito cosa intendesse hoesclamato: “No! Io non la faccio fare a miafiglia!”. Lei sconvolta ha detto: “Ma come?Non la fai? Guarda che rimane sporca così!”e io ho detto che mi dispiaceva, ma cherimanevo con le mie convinzioni.Questa signora era curiosa, è nonna e hanipoti coetanee di mia figlia. E mi ha dettoche lei ha portato le sue nipoti a farla.Allora mia figlia, che aveva sentito tutto,mi ha chiesto cosa fosse e quando gliel’hodetto era inorridita e aveva paura.Io allora l’ho tranquillizzata dicendole chenon gliel’avrei mai fatta fare.mi ha chiesto: “A te l’hanno fatta?”e io ho risposto di sì, e lei mi fa: “Oh Signore!E com’è? L’hai fatta fare a tua figlia?”e io ho detto di sì e lei mi ha detto che erouna criminale per avergliela fatta. La donnaegiziana era lì e io le ho chiesto: “A te nonl’hanno fatta?” e lei mi ha detto di no. Ioinvece sapevo che questa pratica era venutaanche passando dall’Egitto, ero convinta chela facessero anche lì. (S., Somalia)L’atteggiamento di S. è dunque unatteggiamento di condanna, che nonmanca però di contestualizzare la praticae il suo significato. Inoltre, le ultime paroleevidenziano uno degli elementi che sonoemersi con maggiore forza nella nostraricerca, ossia la scarsa conoscenzadella pratica, della sua esistenza e dellediverse realtà <strong>nelle</strong> quali è attuata. A volteè emerso che anche donne provenientidallo stesso paese africano, come adesempio il Senegal, si siano trovate adiscutere circa l’esistenza o meno dellepratica e sulla tipologia dell’intervento.L’eterogeneità delle diverse realtà internead ogni singolo paese e il silenzio cheavvolge la pratica contribuiscono quindi asfumare le conoscenze, le percezioni e diconseguenza anche gli atteggiamenti inmerito alle MGF. Tutte le donne intervistatehanno descritto contesti familiari esociali nei quali la pratica non è fonte didiscussione, se non in qualche raro caso,sollevato emblematicamente propriodalle intervistate, così come ci raccontaper esempio F..Secondo te, l’infibulazione è una formadi violenza?S.: Certo! È una violenza. Ci hanno violentatementalmente. Bisogna togliere questa cosadalle teste delle persone. Toglierla dalleorigini. Quando ero in Egitto c’era unadonna in corso con me, più o meno della miaetà e aveva un libro scritto da una donnasomala che parlava di questa cosa.Lei e io dividevamo la stanza con una donnapakistana e un giorno la donna pakistanaF.: Due anni fa chiamavo a casa per direalle mie sorelle: “Guai a voi se lo fate allemie nipotine”.E sei riuscita a convincerle?F.: Sì, sì, tra l’altro loro un giorno mihanno detto che c’era una grossamanifestazione contro questa cosa quie che stavano passando casa per casaper convincere la gente a non farlo.(F., Somalia)


Rapporto di ricerca nella regione Veneto58Le donne fin qui intervistate hannolasciato il loro paese e hanno maturatonella loro vita un nuovo atteggiamento inmerito all’infibulazione. A., già titubantein Somalia, riesce a liberarsi dellecostrizioni e delle pressioni sociali quandosi allontana, così come F., la quale, unavolta arrivata in Italia, sollecitata dalleinformazioni e dalle campagne mediatiche,comincia a mettere profondamente indiscussione la sua stessa esperienza e leragioni che hanno giustificato quanto le èstato fatto da bambina.Ma tu come ti senti quando senti parlaredi questa cosa qui?A.: Beh, all’inizio era una cosa normale, nonmi faceva male. Adesso però leggendo a miavolta alcune cose, vedendo un documentariodi non so dove in Africa, ho cambiato canaleperché vedevi queste bambine che urlavano,piangevano, con altre donne che le tenevanoforte. Mi ha fatto impressione.E cos’è cambiato secondo te?A.: È cambiato il fatto che se ne parlatanto e sembra che sia una cosa terribile,inimmaginabile. È diventata una cosa che faschifo a tutti. Per noi significava diventaredonne, adesso è diventata una cosabruttissima per me. Io prima non mi ero maisentita a disagio parlandone, né avevo maiprovato vergogna. Fino all’altro giorno se michiedevano: “Tu l’hai fatta?” io rispondevotranquillamente di sì, perché era una cosanormale. Ma ora mi accorgo dell’altra facciadella medaglia, che le cose si possono vedereda punti di vista diversi. Questo non mitoglie niente a me. Però oggi come oggi,se mi fossi trovata di fronte alla possibilitàdi farla, mi sarei fatta cinquemiladomande: a cosa serve? Perché si fa?Cosa mi tolgono?Queste domande non me le facevo inSomalia. (A., Somalia)Per K., del Burkina Faso, e per M.,egiziana, questa consapevolezza è giuntaprima della migrazione. Entrambeesprimono con parole molto forti il loroatteggiamento contrario. Le loro storieevidenziano le peculiarità legate alladiversità della realizzazione della pratica:nel primo caso è stata effettuata quandoK. era molto piccola, intorno ai 5 anni;nel secondo caso, M. era molto più grandee non sapeva quello che le avrebbero fattoil giorno in cui ha subito la pratica.Quando è stata la prima volta che haipensato che le MGF sono sbagliate?K.: In Burkina. Ho pensato che era sbagliatoperché c’era un’amica mia che era incinta edè morta, perché quando hanno strappato,hanno toccato una cosa che non dovevanotoccare. E lì ho detto no. È questa cosa chevoi ci avete fatto. Poi alla persona che avevafatto partorire ho detto: “Guarda se misuccede quella cosa io ti vengo ad uccidere.Da morta non ti lascio stare, starò sempredietro di te”.E chi era questa signora? Era un medico?K.: No, era una vecchia del villaggio. Non sifa tutto dai medici. Nei villaggi si fa da unavecchia signora, <strong>nelle</strong> case, usano una lama.Un giorno ho avuto la curiosità di andare avedere come si fa. Poi mia mamma mi hadetto: “Tu non vedrai niente qua!”. Io eroparticolare, molto curiosa. Sì, io sono così.Non sopporto le ingiustizie.E hai pensato che quella eraun’ingiustizia.K.: Sì, perché vedevo che c’era sofferenza.E quando vedo che c’è sofferenza in mezzonon l’accetto. Però bisogna tirarla fuoriquesta cosa. Bisogna fare qualcosa perfermare chi la fa ancora! (K., Burkina Faso)M.: Questa cosa per me è brutta. Quandomi hanno fatto questa cosa è stata unacosa schifosa. Se avessi una bambina nonglielo farei mai. Dicono che è una cosa chesi fa per evitare che la donna faccia troppol’amore. Oppure si fa per evitare che, se ladonna non è sposata, si scaldi se un uomole fa una carezza. Mi ricordo il giorno che


Rapporto di ricerca nella regione Veneto59me l’hanno fatto. Siamo andate al Sud.Ma non sapevo che stavo andando per me.Sono andata a cercare mia nonna così persalutarla. Mi hanno solo detto: “Facciamouna cosa piccola”. Io ho acconsentito allapuntura per addormentare: l’anestesia.Mia sorella sapeva di questa storia e hadetto di no. È riuscita a ribellarsi. Io inveceho detto che andava bene, ma non sapevo,e me l’hanno fatta. Poi sono stata male pertre o quattro giorni.E questo si fa a tutte le donne?M.: Credo di sì, che in Egitto si faccia a tuttele donne. Sia musulmane che copte.Tutte lo fanno.Adesso si fa ancora questa cosa?M.: Secondo me si fa, però di nascosto.Quelle del Sud la praticano di più.Perché al Sud non studiano e gli adultidicono che è una cosa che bisogna fare perforza. Però se la polizia lo sa, arresta chilo fa. Però secondo me lo fanno lo stesso.Anche adesso. Secondo me sì, ma di meno.Ne hanno parlato tanto dopo che è mortauna donna. È uscito su tutti i giornali,era una notizia grossa, quindi secondo meadesso molti hanno paura di fare questacosa. Le cose stanno cambiando per fortuna.(M., Egitto)Le testimonianze osservate finoraesprimono posizioni molto precise inmerito alla pratica, condannata comeun’ingiustizia, una violenza, una violazionedi <strong>diritti</strong>. La stessa convinzione appartienealle donne incontrate presso il centrodi accoglienza per richiedenti asilo erifugiati del comune di Venezia.Queste donne, in attesa del responsosulla loro richiesta di stato di rifugiate,sono scappate dai loro paesi proprio perdifendersi da situazioni <strong>nelle</strong> quali la loroincolumità era minacciata per il fattodi non voler sottostare al voleredelle famiglie, <strong>dei</strong> capi villaggio, di forzedell’ordine che imponevano lorol’applicazione di tradizioni e pratiche trale quali anche le MGF. Abbiamo incontratoC., una donna nigeriana, di etnia Yoruba,proveniente da un piccolo villaggio, fuggitaperché in pericolo di vita per essersirifiutata di sottoporsi alla pratica delle MGF.C.: La mia vita in Nigeria non era piùsicura. Sono scappata due volte. Una dalmio piccolo villaggio in Oyo State e laseconda volta da Lagos. Non ho voluto chemi tagliassero. Nessuno della mia famigliavoleva, ma il capo del villaggio ha insistito.Mio padre non ha voluto e nemmeno miamamma. Venivano tutti i giorni. Una nottemio padre ha iniziato a vomitare sanguee dopo è morto. Ho visto tutto. Lo hannoavvelenato... Juju 21 …Io e mia mamma siamoscappate e siamo andate a Lagos. Stavamobene ma dopo anche a Lagos ci hannotrovato e fatto problemi, tanti, troppi.(C., Nigeria)L., della Sierra Leone, colpevole di essersiinnamorata di un uomo di religione diversadalla sua, è rimasta incinta primadel matrimonio.L.: Mio padre è cristiano e non voleva cheandassi in giro con i miei amici musulmani.In Sierra Leone si pensa che i musulmani nonsi mescolano ai cristiani. Così io non avevoscelta. Ero incinta e loro volevano cacciarmidi casa, è per questo che ho lasciato il miopaese. Ho la mia vita da vivere, nessuno puòdirmi come vivere: devo fare le mie scelte,so io quello che mi piace, nessuno puòordinarmi quello che devo e non devo fare.(L., Sierra Leone)E., dell’Eritrea, mai andata a scuola,non sa leggere né scrivere. Ancora oggi,non sa perché lei è stata l’unica dellafamiglia a non andare a scuola.Durante la guerra viene presa dall’esercitoe torturata, perché erroneamente ritenuta21 Juju è l’espressione usata in alcune zone delcontinente africano per descrivere le pratiche magiche.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto60al corrente di attività politiche sovversivecontro il governo.E.: Perché la mia famiglia è morta,io sono stata in carcere tre mesi.Mio fratello era scappato, tutti gli altri eranomorti. Dormivo per terra, mangiavo paneduro con acqua. Volevano sapere dov’eranoandati, ma io non lo sapevo perché stavosempre con mia nonna. Dentro il carcerele tue mani sono così… legno. Per terra èsporco. Comunque tu non muori, ma deviandare in bagno e non lo trovi. Ti picchiano.Tu dici che è nel passato, ma è tantodifficile dimenticare. Per tutte le donneafricane è difficile, molto difficile. Puoi anchemorire presa a calci, non c’è nessuno checontrolla. Donne, bambini, anche un anno,due anni, alcuni fanno fino a vent’anni incarcere. Non c’è nessuno che controlla.Mia nonna ha pagato qualcuno perché mifacessero uscire, ma se non hai soldi ci muoriin carcere. Ha pagato qualcuno di notte, chea sua volta ha pagato qualcun altro e cosìvia finché qualcuno mi ha mandata fuori.Più o meno quanti anni avevi quando seistata in prigione?E.: Undici (E., Eritrea)Per tutte queste donne, la consapevolezzadella violazione <strong>dei</strong> loro <strong>diritti</strong> ha acquisitogiorno dopo giorno la pregnanza di unapersecuzione e le ha portate a fuggire.Abbiamo ritenuto importante riportareanche le esperienze di donne per lequali le MGF non sono state al centrodel conflitto, perché le evidenze circa laconnotazione di genere delle violenzesubíte può sicuramente fornire un’utilecornice nella quale collocare la pratica neipaesi di provenienza. Rispetto invece alcaso di C. appare ineludibile la centralitàdella pratica quale motivo scatenantedella stessa richiesta di asilo.A tal proposito, è bene ricordare che leMGF sono state oggetto di un’articolatadisputa sul fatto di costituire o meno unaforma di violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.In molti paesi la pratica è stata condannatae sanzionata con pene severe, ma itentativi di protezione per le donne cherischiano di essere sottoposte alla praticae ad altre forme di violenze di genere sonoancora troppo labili.Le MGF, anche se sono state riconosciutecome una violazione di <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e unatto illegale sia nei paesi occidentali chenella maggioranza <strong>dei</strong> paesi africani 22 ,sembrano rimanere nel limbo nel qualedimorano tutte le pratiche sulle quali sicombatte la battaglia tra diritto e cultura.In questa prospettiva si può leggereanche la posizione delle donne africaneintervistate che hanno manifestato il lorodisaccordo rispetto all’approccio che vedela pratica come una violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>. Le ragioni sostenute indicano nei<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> una sorta di forzatura che, seesercitata nel contesto africano, potrebbesuscitare reazioni di opposizione cherischierebbero di ledere maggiormente i<strong>diritti</strong> delle donne. Di fronte a tali posizioniné l’approccio <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, né quellodella violenza e tanto meno le implicazioniper la salute riproduttiva sembrano esseresufficienti per sviluppare un atteggiamentofermo e deciso contro la pratica. Un simileatteggiamento è stato rilevato sia <strong>nelle</strong>interviste singole alle donne, sia nel focusgroup con le donne, di cui si discuterà nelprossimo capitolo, nel quale sono emerseposizioni variamente collocabili lungo lalinea che va dalla disapprovazione allaparziale tolleranza.Di seguito riportiamo uno stralciodi intervista con B., maliana, in Italia da 10anni, sposata con un connazionale.È stata sottoposta alla pratica da bambinaed è stata familiarizzata ad una culturanella quale la verginità della donna è22 Una decisa condanna a livello regionale africanodi tali pratiche è presente nel Protocollo di Maputo allaCarta africana sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e <strong>dei</strong> popoli, adottato nel2003 ed entrato in vigore nel 2007.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto61un valore molto importante, nel qualedimora l’onore delle famiglia. Il canoneestetico si aggiunge a questo panoramaesplicativo. In questa prospettiva, appareevidente come la giustificazione per questapratica nasca dalla necessità di evitareche la donna ceda alla tentazione di avererapporti sessuali prima del matrimonio.Alle domande circa la pratica e le eventualiargomentazioni per eliminarla B. rispon<strong>dei</strong>n questo modo:Volevo chiederti la tua opinionesulla circoncisione femminile.Che cosa ne pensi?B.: Io sento che loro dicono che questacosa porta problemi anche nella coppia,con la sessualità. Lo dicevano l’altro giornoanche di una ragazza che aveva problemidi incontinenza e attribuivano la causa aquesta circoncisione.Dove l’hai visto?B.: Alla televisione, anche in Mali.Ho anche visto una ragazza che piangevaper i problemi provocati dalla circoncisionefemminile.Tu non hai avuto problemi?B.: No. Però può essere che questo diaproblemi per alcune persone, dipende. Io soche in Africa le donne non vanno a fare lavisita annuale dal ginecologo, né fanno leanalisi del sangue periodicamente, vanno daimedici solo quando la cosa è già grave.Lì pensano che sia uno spreco di soldi faretroppi controlli.In Mali perché si fa?B.: Dicono che fa anche parte della bellezzadi una donna, che trattiene la sessualitàdella donna, che evita di andare a sinistra ea destra in cerca di uomini.Ma secondo te è giusto diminuire lasessualità di una donna?B.: Non va bene, però, se lo dici, gli africaniti dicono che ti stanno entrando in testale idee degli europei, ti dicono che noncapisci niente della cultura africana, che haidimenticato le tue tradizioni. Alcune cosedella tradizione sono buone secondo me,altre meno.Secondo te questa cosa fa bene?A.: Questa cosa è un po’ sbagliata.Se tu avessi una figlia e fossi sicura chenon avrebbe mai nessun tipo di problemadi salute o altro, gliela faresti?B.: No, perché si cambia andando avanti.Se io capisco che queste cose non vanno piùbene, lascio perdere. Adesso non è che tuttilo fanno. Bisogna sensibilizzare anche loro,far vedere loro che dietro a questa pratica cisono in effetti molte possibili conseguenzegravi, ma sempre senza usare il termine“violenza” e nemmeno parlare di sesso eproblemi di sessualità. E mio marito mi hadetto che è stato con donne non tagliate chenon provavano piacere. Quindi dipende.E parlare di <strong>diritti</strong>?B.: No, perché per molte non si capisce checosa sono. Molti uomini penserebbero chevuoi aprire gli occhi delle loro donne permetterle contro di loro. Poi gli uomini siarrabbiano. (B., Mali)Molto più chiaro è il tenore dellaconversazione con due giovani donnenigeriane, provenienti dallo Statodel Delta. Entrambe sono state sottopostealla pratica da bambine. Per una di loro,che chiameremo I., la pratica sembraessere stata particolarmente invasiva.I medici le hanno riferito che i problemidi salute sessuale e riproduttiva che ha(non riesce ad avere figli e non ha nessunasensibilità nei <strong>genitali</strong>) sono da ricondurrealla pratica. L’altra giovane donna invece,che chiameremo G., non ha nessun tipodi disagio: vive una vita sessuale moltogratificante. Riportiamo uno stralciodi conversazione nel quale le due giovanidiscutono sulla pratica e sull’opportunitàdi reiterarla alle loro bambine.Nessuna delle due al momento


Rapporto di ricerca nella regione Veneto62dell’intervista era incinta. La donna chenon ha presentato problemi in seguito allapratica sostiene di volerla fare anche asua figlia, indicando come ragione un purocanone estetico. La donna che invece stasoffrendo delle conseguenze causate dallapratica cerca di dissuaderla, ricordandoall’amica la sua esperienza e i suoigravi problemi.E così, quando nascerà la tua bambina,magari il prossimo anno, la farai tagliare?I.: No, no, non posso far tagliare la miabambina. Se fosse un bambino, sì,ma se sarà una femmina, no.G.: Non puoi, perché un sacco di gente haproblemi a causa di quella cosa.I.: Adesso sei incinta e devi partorire tuofiglio; se avessi avuto il taglio avresti <strong>dei</strong>problemi grossi, soffriresti in ospedale,piangeresti, e se un bambino nascenormalmente in due ore, se sei tagliata ciimpiega sei ore ad uscire. E quando esce,ti spacca in due. Le donne che non hannoavuto il taglio sentono dolore quandopartoriscono la prima volta, ma poi, congli altri figli, il dolore diminuisce. Invece ledonne che sono tagliate sentono sempre lostesso dolore ogni volta che partoriscono: èun dolore troppo forte per una donna.Pensi che queste cose si continuino a farein Africa?I.: Sì, continuano. Quelli che sanno come sifa continuano a farlo.Dove si trovano quelli che continuanoa farlo?I.: Lo fanno in segreto adesso. Il problema èche non hanno un’istruzione, non sanno cheè un problema, che non è una bella cosa.Quindi ci sono ancora delle bambine chelo fanno?I.: Sì, e noi dovremmo fare qualcosa,andare laggiù e dire loro che queste cosenon sono buone.Hai parlato di queste cose con la tuafamiglia?I.: Sì, ma loro non credono che quello che iodico sia la miglior cosa da fare.Pensi ci siano delle nigeriane che fannoquesta cosa anche qui?G.: No.I.: No. Non ho mai sentito di nessuno qui.Una mia amica ha avuto una bambinacinque mesi fa e non l’ha fatto.Ma non so se qualcuna di nascosto portala figlia a casa.Come pensi che si possa convincere lagente che questa pratica è sbagliata?I.: Per il momento lo fanno passare come unalegge: non puoi tagliare tua figlia.Ma certi uomini dicono che preferisconole donne tagliate a quelle che non lo sono,perché a loro non piace vedere quella cosa.Perché?I.: Dicono che non gli piace perché èdisgustoso. Questo è il problema.Dicono che il clitoride è diventatograndissimo. Mio marito dice che nongli piace vederlo, ma io non taglierò maimia figlia. In Nigeria, su cento persone,95 sono circoncise, quindi perché parlarne?Se dici loro che le cose possono esserediverse, loro ti dicono che devi staresottomessa a tuo marito: se tu non vuoi,ma lui vuole, tu devi farlo.Pensi che sia possibile far finirequesta cosa?I.: Sì, io voglio che finisca.Non mi piace, perché vuol dire dolore.Ricordo che quando avevo quattro ocinque anni, loro andarono a far tagliaremia sorella più piccola che era natada sette giorni. E ricordo che piangevae gridava. Soffrì molto, molto sangue…si perde un sacco di sangue.Se una è sfortunata può anche morirea causa della perdita di sangue,non mi piace.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto63E tu?G.: Non mi piace così com’è...Non mi piace come sono le donne bianche<strong>nelle</strong> parti intime.Quindi tu farai tagliare tua figlia?G.: No, non lo farò, per via della legge.I.: Non per la legge, ma perché è incivile,per il dolore.G.: Non voglio che mia figlia soffra.I.: Ma se avessi l’opportunità di farlo,lo farestiG.: Mmm… Ci sta pensando.G.: Dipenderebbe da quel che pensamio marito.I.: Mia madre è viva e io la rimprovero pertutte queste cose che mi ha fatto.Vedi? Tua figlia penserebbe questo di te.I.: Mia sorella più piccola, che oraha 24 anni, ha avuto una bambina e glieloha fatto. In Nigeria. Io non volevo che lofacesse, ma lei diceva che la madre di suomarito le ha detto che se non lo faceva leinon avrebbe nemmeno toccato la bambina.E suo marito ha detto che se nonlo faceva, lui l’avrebbe cacciata di casa.È stata obbligata a farlo. Un grossoproblema in Africa.Non farlo.I.: Io sono un esempio di tutti i problemi chepossono derivarne. Lei invece è fortunata.G.: Andrà tutto bene.Che cosa pensi che potremmo direalle persone che stanno pensandodi farlo?I.: Dobbiamo fermarli.Dobbiamo far loro capire che non è giusto.Dobbiamo convincerli, fare in modo chesappiano, istruirli.Cerca di convincere lei a non farloa sua figlia.I.: Non farlo a tua figlia, non è bene. Io oggine soffro, non sento il sesso.G.: Se decido di farlo a mia figlia, la porto inAfrica e lo faccio fare.I.: Anche in Africa stanno fermando lapratica.G.: Vado dagli indigeni, non all’ospedale.Gli indigeni lo fanno perfettamente.Perché faresti questo a tua figlia?Solo perché non ti piacecosì com’è?I.: Ma questo non significa nulla!G.: Non mi piace.I.: Quando mi trovo a fare l’amore con miomarito non sento niente. Quindi,non fare questa cosa a tua figlia.Vuoi davvero farlo a tua figlia?G.: Non lo so. Quando nascerà la bambina losaprò. (I. e G., Nigeria)Lo stralcio di intervista riportatoracconta una conversazione nella qualesi scontrano due diverse posizioni.Peraltro, questa intervista è l’unicanella quale una delle intervistate si èespressa in modo così chiaro rispettoalla volontà di reiterare la pratica sullabambina che spera di avere in futuro.Riteniamo tuttavia che una simileconversazione non sia troppo rara tra ledonne appartenenti a determinati gruppietnici, come, ad esempio, quelli dellaNigeria sud-orientale.Di fatto, la pratica è sottoposta,sia in Africa che nei territori italiani,in questo caso il Veneto, a diversepressioni che non necessariamentevanno a favore dell’interruzionedella tradizione.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto64Tuttavia, rispetto all’esperienza delledonne intervistate, è possibile affermareche anche di fronte alle perplessitàdi alcune circa l’opportunità di leggerela pratica come una violazione<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, emerge un tendenzialeatteggiamento critico nei confrontidella sua reiterazione sulle bambine natein Italia. La convinzione che una leggepossa essere uno strumento efficace perfermare coloro che intendono proseguirela tradizione è soggetta tuttavia allacondizione di affiancare alla proibizionenormativa delle attività di formazionee sensibilizzazione che sostengano leragioni per fermare le MGF. I due stralcidi interviste riportati di seguito mostranoquesta argomentazione.Tu lo sai che in Italia c’è una legge controla chiusura e che è in vigore dal 2006?A.: Sì, lo so.Secondo te perché l’Italia ha fatto unalegge contro questa pratica?A.: Perché è un danno che si fa ai proprifigli e molti genitori non sanno qual è ilbene <strong>dei</strong> propri figli: bisogna che qualcunoglielo dica. Se in Italia hanno il potere dievitare questa cosa, secondo me è giustousarlo. Se iniziassero a farlo anche qui, nonriusciremmo mai a uscire da questa miseria.Se fosse legale si costruirebbe un edificio incui farlo e ci sarebbe la fila fuori per portare ipropri figli e non finirebbe mai.Bisogna vedere cosa succede anche neglialtri paesi europei. Una mia amica mi haraccontato che aveva una bambina, nonl’aveva mai portata giù in Somalia. È andataun giorno a far fare una visita medica asua figlia, si vede che aveva il clitoridepiccolissimo, che non si vedeva bene e ilmedico le ha chiesto se gliel’avesse fattofare. Lei ha detto di no, ma lui aveva ilsospetto e ha chiamato altri medici percontrollare. Alla fine era vero che nongliel’aveva fatta fare, ma se se ne accorgono,ti denunciano. Qui in Italia però non credoche controllino.In Somalia c’è una legge che vietaquesta pratica?A.: No.Perché secondo te?A: Prima di tutto bisogna fare unacampagna per far conoscere la cosa, per farcambiare le idee alle persone. Bisogna fareprima una campagna, perché se anche fai lalegge poi chi arresti? Chi lasci libero?Tutti sono colpevoli, anche i genitori.(A., Somalia)Secondo te cosa si potrebbe fare percambiare un po’ la tradizione rispettoa questa cosa?V.: È sbagliato andare da chi lo fa e ordinareloro di eliminare di punto in bianco questapratica, perché penserebbero che è unattacco alla loro cultura, alla loro tradizione.Fa male anche agli anziani sentire questecose. Però le tradizioni che non fanno benevanno eliminate, è per questo che facciamoquesti lavori.Qui in Italia si potrebbe dire lastessa cosa?V.: Sì, bisogna spiegare quali sono i problemiche possono avere le donne.Secondo te la legge può servire?V.: Secondo me in Africa tutte le cose chesono state imposte dalla dittatura sonofallite, quindi quello non è certo il modo.Le cose vanno fatte piano piano, devi capirecome entrare nella loro mente, questo nonè facile. Penso che innanzitutto vada fattala sensibilizzazione e poi per le donne chela praticano bisogna trovare un lavoroalternativo, perché è inutile chiuderle incarcere per dieci anni: non serve a nulla.Chi lo fa come lavoro deve trovare un altromodo per mantenersi. Ho visto che in Malisono riusciti a sensibilizzare e convincereuna donna che lo faceva a non farlo più. Ecomunque gli italiani non devono accusare lacultura africana di essere violenta, altrimentigli africani non inizieranno nemmeno adascoltare quello che avete da dire. (V., Mali)


Rapporto di ricerca nella regione Veneto65In tal senso, la proposta delle donne èquella di confrontarsi anche con coloroche continuano a sostenere l’importanzadella tradizione, mediando con i significatie portando alla luce le conseguenzedella pratica per la salute delle bambine.L’educazione, l’informazione e lostrumento legislativo si sono rilevatidunque gli elementi sui quali insistere peri futuri progetti di prevenzione e azionecontro le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto67/ Il ruolo dellamediazione culturalee delle leadershipdella diasporaafricana rispettoalle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /di Annalisa ButticciCommenteremo ora quanto emersodalle interviste e dai focus group realizzaticon i mediatori e le mediatrici culturali ei/le rappresentanti di realtà associativedella diaspora africana in Veneto.Anche in questo caso abbiamo volutorilevare l’opinione degli/delle intervistati/esull’accostamento <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne alle realtà africane ein particolare alla pratica delle MGF.Si è infatti ritenuto importante considerarel’orientamento di coloro che, vivendoin Italia da molti anni e partecipandoattivamente sia alla realtà locale chealla vita delle diverse comunità africane,possono in qualche modo considerarsicontemporaneamente attori e spettatoriin entrambi gli scenari. Questa doppiaprospettiva consente ai mediatori e airappresentanti di comunità di goderedi una posizione privilegiata e di unlibero accesso agli universi simbolici ealle risorse sociali e culturali delle qualiriteniamo avere bisogno per un efficaceintervento volto a fermare la praticadelle MGF tra le comunità immigrate.La competenza acquisita in merito allerelazioni interetniche e interculturali,alla partecipazione e all’attivismo sociale,l’esperienza del percorso migratorio,sono infatti da ritenersi una risorsapreziosa e indispensabile sia per laricerca, sia per l’azione.Il primo intento è stato quello di rilevarela loro posizione in merito all’approccio<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nella realtà africana.Si è ritenuto infatti interessanteosservare in che modo l’esperienza divita in Africa e in Italia potesse interagirecon i presupposti e le idee sottesealla promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e inparticolare alla rappresentazione delleMGF come una violazione di tali <strong>diritti</strong>.Si sono quindi poste una serie di questioniesplorando inizialmente il significato<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne,per giungere successivamente allaquestione centrale delle MGF.Riteniamo importante iniziare la nostrariflessione riportando uno stralciodell’interazione avvenuta nell’ambitodel focus group condotto con le donne:emerge come il concetto stesso di <strong>diritti</strong>sia una realtà tendenzialmente astrattaper il contesto africano, nel quale lerelazioni di genere, le differenze tra i varinord e sud <strong>dei</strong> diversi paesi, le tradizioni,i livelli di istruzione delineano panoramisociali molto differenti. Tuttavia è statopossibile rilevare anche un filo conduttoreche corre trasversalmente lungo l’Africadell’Est e subsahariana e che vedenell’eventuale pluralità di comprensionie significati il prisma attraverso il qualeargomentare l’approccio ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.Emerge quindi una realtà nella quale lavalenza <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> si scontra conpeculiarità locali e resistenze culturali.Interessante a nostro avviso è il ricorsodella parola confusione. Si osserva infattiquanto vi sia, anche da parte delle stessedonne, una certa familiarità nei confronti<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>, in particolare i <strong>diritti</strong> delledonne, che non trova però una chiaraformulazione né nel contesto africanoné in Italia. Le donne evidenziano le loroperplessità anche rispetto alla realevolontà delle donne africane di voler


Rapporto di ricerca nella regione Veneto68godere <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>. La loro posizione rimanetuttavia a sostegno <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>e <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne, evidenziandosoprattutto nel contesto familiare il nodonel quale si articolano maggiormente letensioni tra conservazione e cambiamento.V.: Però la domanda che dobbiamo fare anoi stesse, che io mi sono sempre fatta eche faccio alle mie connazionali nigerianeche sono a Verona, è: “Noi donne vogliamoi <strong>diritti</strong>? Li cerchiamo?” La domandafondamentale sarebbe questa. (V., Nigeria)A.: Volevo dire a questo proposito chequesta domanda me la sono posta anche io.Io sono del Nord del Mali, confiniamocon la Costa d’Avorio. Comunque lacondizione della donna è uguale quasidappertutto, l’uomo può picchiare la donnaquando vuole e quando tu vai a casa <strong>dei</strong>tuoi e dici: “Mi hanno picchiato” devi stareattenta che non te le dia anche tuo papàperché probabilmente ti dice: “Torna lì”.Lì i matrimoni non si fanno perché ci siama, si fanno tra famiglie, la famigliadel ragazzo viene a chiedere la manodella figlia di un’altra coppia.Se il matrimonio va male poi…. In Mali èentrato in testa alle donne un certo concetto:se tu, donna, non rispetti tuo marito, i tuoifigli non saranno nessuno, non sarannobenedetti. Loro hanno questa mentalità:devi obbedire a tuo marito come obbediscia tuo padre. In Mali sei lì ad obbedire esubire. Lì quando l’uomo arriva a casa sisiede, la donna gli porta l’acqua, gli portatutto. Quando siamo andati in vacanza coibambini e questi hanno rovesciato delle coseper terra, mio marito ha preso la scopa perraccogliere tutto: dovevi vedere i miei cuginiche facce…. Gli dicevano: “Ma cosa fai?Questa è una cosa che fanno le donne.Non venire mica qui a svegliare questedonne”. Io dico, da noi siamo concentrati lì inMali, non si parla di <strong>diritti</strong> perché non si sa,lì ti insegnano i doveri prima <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>.Io sono andata avanti tanto prima di capirei miei <strong>diritti</strong>. Poi, mi chiedo anche,in Africa non conosciamo i nostri <strong>diritti</strong> onon li vogliamo riconoscere?(A., Mali)V.: Una donna sicuramente vuole i suoi<strong>diritti</strong>, ma giustamente bisogna vedere anchecosa aveva imparato da piccola. Parliamodelle donne africane in Europa che hanno glistessi <strong>diritti</strong> delle donne europee, ma non liusano. La legge c’è. (V., Nigeria)S.: Ma questo è perché noi, già da piccole,abbiamo in testa certi concetti.(S., Camerun)A.: Sì, a volte sei convinta di andare avanti,poi ti fermi e ti viene il dubbio: “Forse stouscendo dai miei limiti qui”. (A., Mali)S.: In Camerun c’è troppa confusione.Tra sud e nord c’è troppa differenza:se io, che vengo dal sud, vado al nord,sono considerata una straniera perché mivesto diversamente, lì le donne sono comele donne arabe. Dipende dal posto in cui titrovi. Cerco di adeguarmi ad ogni contesto,ma non so alla fine cosa sia il diritto.(S., Camerun)A.: Secondo me il diritto è la libertà divivere la propria vita come si vuole, non conqualcuno che te lo impone. Se partiamoproprio dalle cose di base, ad esempio ildiritto di avere acqua potabile, lì in Africanon c’è neanche quella, non parliamo delresto! Non tutti i villaggi hanno l’acqua.Oppure il mangiare: il diritto di mangiaretre volte al giorno non c’è. Finché la gentecontinua a subire, finché i figli non possononemmeno rispondere al padre: “Magarisi potrebbe fare così…” e finché la moglienon può dire niente al marito, finché tuttisubiscono, non ci sarà nessun diritto.Anche perché non li conoscono nemmeno iloro <strong>diritti</strong>. Sanno solo che devono obbedire.(A., Mali)S.: Ma non accetteranno mai di cambiare.(S., Camerun)


Rapporto di ricerca nella regione Veneto69A.: Sì, perché siamo cresciuti senza saperei nostri <strong>diritti</strong>. Perché ti fanno cresceredicendoti che la donna deve esseresottomessa, che non serve che studi.In Mali, in alcune zone, le donne nonvanno ancora a scuola. Lì ci sono cristiani,musulmani e anche gli animisti, lì i maritipossono ancora prendere fino a tre oquattro mogli. Adesso hanno iniziato,sulla televisione del Mali, a sensibilizzarele famiglie per passare il messaggio chela donna e l’uomo hanno entrambi uguali<strong>diritti</strong>, per far sì che le ragazze venganomandate a scuola. Io sono andata a scuolaquando avevo nove anni, non volevanomandarmi. Mandano i maschi perché lorodicono: “Quello che poi guadagna il maschioresta per la famiglia, invece la donna parte,va a costituire una nuova famiglia”.(A., Mali)V.: Sì perché hai imparato quei doveri daquando sei nata e quando sei diventatagrande non riesci a uscirne fuori.In Africa, in Nigeria, lì c’è tanta confusione.(V., Nigeria)Questo breve stralcio di interazioneavvenuta nel focus group evidenzia quantola globalità e l’universalità <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> possa trovare degli ostacoli <strong>nelle</strong>dimensioni locali dell’Africa. Appareimportante sottolineare inoltre come taleeterogeneità si riproduca inevitabilmentenella diaspora, riproponendo anche neicontesti di arrivo, in questo caso il Veneto,una spiccata diversità tra le popolazioniafricane pur provenienti dallo stessoStato, come hanno sottolineato le donnenigeriana, camerunense e maliana.Tuttavia, le difficoltà legate alla scarsaeffettività <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e il profondoscetticismo sulla volontà degli uominiafricani di voler cambiare e condividere iloro privilegi non impediscono alle donneintervistate di auspicare un cambiamento,da conseguire prima di tutto attraversol’educazione e l’istruzione delle donne.Riportiamo ora quanto emerso nella primaparte del focus group, al quale hannopartecipato i mediatori e i rappresentantidi associazioni africane. In questo casoci riferiamo al focus group composto dasoli uomini. Si osserva quanto l’approcciostorico e il discorso anticoloniale siauno <strong>dei</strong> nodi centrali della discussione.In questa prospettiva, la specificità <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> delle donne è infatti sfumata tra leinnumerevoli alterazioni sociali, culturalie tradizionali causate dal colonialismo.I <strong>diritti</strong> delle donne, così come quellidi tutti gli africani schiacciati dallestrutture coloniali, non appaiono dunquesproporzionatamente violati rispetto aglialtri <strong>diritti</strong> <strong>dei</strong> popoli africani. Diversi sonostati i commenti rispetto al cambiamentodell’Africa in seguito alla modernizzazione:“la modernizzazione, la secolarizzazione,la cultura sono arrivati anche da noi!”,afferma con decisione A., somalo.Con molta fatica si è riusciti a portare ildibattito sulla specificità di genere.Inoltre, decisivi sono stati anche gliinterventi tesi alla distinzione tra approcciooccidentale e africano ai <strong>diritti</strong> e al ruolodelle donne. In particolare è emersoquanto <strong>nelle</strong> diverse realtà africane ladonna abbia sempre avuto, secondo gliintervistati, un ruolo centrale che ha avutola sua maggiore espressione nel contestodomestico e familiare. Non mancanotuttavia riferimenti al ruolo delle donnein politica, come nel caso dell’intervistatodel Burkina Faso il quale cita il casodella Liberia che ha una donna comepresidente 23 . Uno degli aspetti interessantirilevati in questa sequenza è la chiaraopposizione all’approccio occidentale ai<strong>diritti</strong> delle donne, che nella versione degliintervistati, in particolare dell’intervistatomaliano, vengono intesi come ruoli neiquali si deposita l’equilibrio e il benesserestesso delle donne. Evidente dunque lacontrapposizione al pensiero occidentale23 Nel novembre 2005 Ellen Johnson-Sirleaf è stataeletta alla guida dello Stato della Liberia. È la primadonna presidente di uno stato africano.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto70che se erroneamente acquisito dalledonne diventa, a suo avviso, fallimentare.Inevitabile il confronto con le donne italianeche esercitano diverse professioni ma allequali, in fondo, secondo gli intervistati, nonviene riconosciuta la parità.C.: Per quanto riguarda il fatto di nonmandare le donne a scuola, cito l’esempiodel mio paese dove il mio gruppo etnico èmolto importante. Ad esempio mandarei figli di sangue blu era quasi un peccato,perché non dovevano essere sottoposti allatortura degli insegnanti, perché loro sonosudditi. Non soltanto quindi le donne nonandavano a scuola, ma anche questi qui.(C., Nigeria)G.: Il diritto alla vita per l’Africa è sacrosanto.Tra l’altro il diritto alla vita è il dirittofondamentale <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e prima dellamodernizzazione o dell’occidentalizzazioneo della colonizzazione, l’Africa ha avuto lasua organizzazione sociale ben costruita,che rispettava la vita e le leggi, anche quellenon scritte. Vi era tutta un’organizzazione,direi perfetta. C’era il consenso che siriusciva a raggiungere di fronte ai problemiche si ponevano. Tutto cambia nel momentoin cui in una civilizzazione si intromette ilproblema degli interessi. Purtroppo donne,bambini e anziani sono coloro che subisconomaggiormente gli effetti della guerra a causadella loro debolezza. (G., Costa d’Avorio)M.: Quello che abbiamo visto nel filmato 24fa parte del passato. Bisogna distinguere duetipi di Africa, quella di ieri e di oggi.L’Africa di ieri non ha acquisito un minimodi coscienza per poter uguagliare l’occidente,perché? Per esempio per la scuola, i nostriantenati non volevano mandare i bambinie le donne a scuola, per paura di perdere letradizioni. (M., Burkina Faso)24 Nel focus group si è mostrato un filmato sullecampagne di promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> in SierraLeone. Il filmato mostrava una realtà molto povera nellaquale l’accesso ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> è praticamente negato.Ma perché le donne non potevano andarea scuola?M.: Perché secondo la loro filosofia il ruolodella donna è quello di fare da mangiareal marito, questo è lo scopo finale. Ieril’occidente ci ha abbandonati, l’Africaall’Africa, la Francia alla Francia e l’Italia agliitaliani. Invece nessun popolo moderno puòessere felice da solo, ci vuole il confronto.Se quello che abbiamo visto esiste, è perchél’uomo bianco ne approfitta, perché perdifendere i propri interessi ci manda le armimettendoci l’uno contro l’altro.(M., Burkina Faso)B.: Come lui diceva ci sono queste duescuole. L’Africa è divisa in classi e in ruoli.Quindi anche il ruolo tra uomo e donnaera basato su questa cosa. L’occidentale èvenuto, ci ha combattuto, schiavizzato,ha imposto delle sue regole, vietandotantissime cose della vita socialetradizionale. Queste cose non bisognadimenticarle. Gli occidentali sono arrivatida conquistatori e ci hanno sottomessocontro la nostra volontà. Sono venuti,hanno interrotto una cultura e hannovoluto impiantare una loro cultura. È ovvioche dopo questo aspetto, quando tutto èufficialmente finito, ma non ufficiosamente,nell’africano è nata la volontà di non voleraccettare la cultura dell’oppressore.Quindi non era solo la donna a non andare ascuola. Mi ricordo che da piccolo i coltivatorisi rifiutavano di mandare i figli a scuola,in quanto scuola <strong>dei</strong> bianchi. Se la societàera divisa in ruoli, bisogna capire anche ilconcetto della famiglia. Da noi la famigliain riferimento ai matrimoni forzati non erabasata sull’amore occidentale, tanto è veroche da noi ci si sposava a 13 anni. Sin dallanascita c’era la prenotazione attraverso unacollanina che ti mettono al collo.La società era basata su ruoli e la donnaaveva <strong>dei</strong> ruoli ben precisi. La scuolatradizionale che la donna seguiva, così comeanche tutti gli insegnamenti, era quelladelle donne, e quella <strong>dei</strong> maschi era quella<strong>dei</strong> nonni. Avevano due scuole diverse,


Rapporto di ricerca nella regione Veneto71perché dovevano imparare due cose diverse,perché vivevano per quelle cose.Anche rispetto al concetto di poligamia,era la donna che diceva all’uomo: “Guardanon ce la faccio più, prenditi un’altra, cosìdividiamo i lavori!”. Questo perché le donneavevano tanto lavoro: occuparsi <strong>dei</strong> bambini,cucinare e lavorare nei campi. Qui si trattadi vedere l’impatto che l’Occidente vuoletrapiantare in una tradizione che già, dove eognuno rispettava il suo ruolo che ad ognunoandava bene. (B., Mali)D.: È una realtà tra tante realtà.Questo rappresenta soltanto un pezzettinodell’Africa. Se, poi, noi andiamo a vederela società moderna, ad esempio parlo delSenegal che conosco meglio, ultimamenteabbiamo avuto un capo del governofemmina, che neanche l’Italia ha ancoraavuto. Quindi non è che le cose stannocosì. Da noi quando c’è stato il processo dimodernizzazione, donne e uomini andavanoa votare, quindi non è la realtà, può essereparte della realtà nella società moderna.Poi quando si vogliono capire le cose,bisogna andare a capire come era impostatala società tradizionale prima che arrivassel’occidentalizzazione e la mondializzazione,perché <strong>nelle</strong> società tradizionali dove c’erail re c’era anche la regina, che aveva lacapacità di poter anche distruggere il re.Però nella società moderna attuale, le donne,dottoresse, avvocati, ministri, occupanotutti i ruoli che un uomo può occupare.Però quando vai a chiedere della parità tirispondono che è un falso discorso, perchénon è parità. Però si riconosce per ognuno ilsuo ruolo. (D., Senegal)B.: La domanda che bisogna porsi forse èquesta: parlare di pari opportunità nel sensooccidentale come si intende. Va bene secon le pari opportunità porta a più litigi infamiglia, a più divorzi. È questo il problema,perché non si rientra più nel ruolo. Le donneafricane al governo sono forse al 50 %,cosa che qui si verifica in Svezia, ma di fattoquando ritornano nella loro famiglia fannoesattamente il ruolo di donna alla stregua ditutte le altre. (B., Mali)F.: Per potersi confrontare bisognadistinguere tra occhi occidentali e occhiafricani. Qual è il problema in questadiscussione? Il problema è come l’Europavede il ruolo delle donne e come, a suavolta, questo ruolo viene visto dall’Africa.Il problema sta negli occhi occidentali per iquali in Africa mancano i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.Ma affinché si esca da questa ottica,l’Africa deve confrontarsi, dobbiamo dire lanostra. La suddivisione <strong>dei</strong> ruoli tra uomo edonna sta nella cultura.Il ruolo è lo stessodi quello che hanno gli occidentali. Anzi,io posso dire che le donne africane votavanoda anni, hanno incarichi molto importanti,nonostante in occidente le donne sianoemancipate, hanno preso atto della realtà.Ma il problema esiste, perché io laureato<strong>nelle</strong> stesse discipline in cui tu sei laureato,e lavorando negli stessi posti, perché devoguadagnare meno di te? Dov’è il diritto?Non è un diritto. La fortuna dell’Europa stanella base economica, politica, democratica.Se gli africani guardassero cosa vuol diredemocrazia e quali sono i ruolidelle donne,essi sanno. Con l’occidentale, le nostre donnevogliono saltare la cultura di base e saltandola cultura di base, pensando occidentale,allora fallisci, diventi una cosa indefinibile.Per esempio, quando io avevo dieci anniandavo a lavorare. Non erano i nostrigenitori a mandarci a lavorare.Noi andavamo a lavorare in un ortodi canne da zucchero per essereindipendenti. Se in quel caso fosse venutoun occidentale, cosa avrebbe scritto?Lavoro forzato. L’impostazione dellamentalità è completamente diversa.È importante allora che i nostri governicomincino a scrivere su cos’è la culturaafricana, che è completamente diversa,bella e complicata. (F., Guinea Bissau)M.: Sui <strong>diritti</strong> delle donne in Africa,scommetto che qui, ma anche in passato,non si può parlare di <strong>diritti</strong> delle donne.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto72La donna in Africa ha un solo ruolo:occuparsi del marito, <strong>dei</strong> figli e fare damangiare al marito. Con il tempo, con lademocrazia, adesso si può dire che la donnaha un posto, ha un ruolo nella società.Vediamo le donne che sono presidenti, comeper esempio in Liberia. Prima non si potevaparlare di <strong>diritti</strong> della donna, essa avevacome ruolo quello di stare a casa, occuparsi<strong>dei</strong> bambini e del marito. Adesso con iltempo si può parlare di <strong>diritti</strong> delle donneperché la democrazia sta andando un po’verso l’Africa. (M., Burkina Faso)G.: Volevo soltanto rilevare una cosa.Nella mia tribù, la fondatrice, nonché laprima regina, è una donna. Da noi la donnaè impegnata a un punto tale che nel sistemaereditario è la donna che eredita dallafamiglia. In Costa d’Avorio, il diritto delladonna, sin dall’inizio dell’indipendenza,nel 1960, è stato tenuto in considerazione.Hanno diritto all’istruzione come i maschi,ad andare all’università, a partecipare a tuttii settori della vita attiva. Nel lavoro hannoun trattamento pari a quello degli uomini.Inoltre, in tema di infibulazione, c’è statauna legge per vietarla in tutto il territorio.(G., Costa d’Avorio)B.: Anziché parlare di diritto preferiscoparlare di ruolo: ruolo che si è allargato oruolo che si è fermato. Quando poi si parladi <strong>diritti</strong> internazionali, ancora peggio,perché mi chiedo: “Che cosa sono i <strong>diritti</strong>internazionali?”. Penso caso mai al dirittouniversale più che a quello internazionale.Il diritto universale è dettato propriodalla natura, partiamo da quello e poi loallarghiamo in politica. Nel senso che nellanostra società del Mali c’era un ruolo bendeterminato non solo tra uomo e donna,ma anche tra uomini. Per esempio non tuttipotevano cantare, lavorare il ferro, coltivare.Quindi ognuno aveva il suo ruolo che poitramandava ai suoi discendenti. (B., Mali)Altrettanto critici rispetto all’approccio neiconfronti <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> sono stati anche altrirappresentanti intervistati singolarmente.Di fronte all’opportunità di accostarei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> alla realtà africana e inparticolare alle MGF si sono infatti rilevatediverse perplessità. Abbiamo ritenutosignificativi i riferimenti ai <strong>diritti</strong> <strong>dei</strong>bambini elaborati da un rappresentantedell’associazione maliana e da unmediatore culturale senegalese.Entrambi evidenziano le disparità nelrispetto <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>dei</strong> bambini stranierie <strong>dei</strong> bambini italiani. Uno fa riferimentoal diritto di essere circonciso e l’altroal diritto di andare all’asilo. I casi sonoevidentemente molto diversi, ma crediamoche siano uniti da un filo conduttore cheguarda con sospetto non i <strong>diritti</strong> in quantotali, ma la diversità con la quale questi<strong>diritti</strong> vengono applicati e fatti rispettare.Quando dico <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, cosa ti vienein mente?B.: Mi viene da ridere prima di tutto perchéoggi come oggi, nel nuovo millennio,e parlo del territorio qui, occidentale,dove c’è democrazia, nel gran parlare chesi fa di <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> non ci si accorgedelle persone che non hanno nessun diritto.Innanzitutto bisogna pensare che ognipersona è un essere umano, quindi non sipuò parlare di immigrati o stranieri comeuna cosa che si può usare e buttare via.Io ad esempio vivo qui da vent’anni: oggi peravere il permesso di soggiorno o per avere unpiccolo documento devo aspettare un annola questura, o devo fare la fila fuori dalle tredi mattina a mezzogiorno per sentirmi diredelle cose allucinanti. È da ridere. Un’altracosa è che quando sono stati dati i permessiper i ricongiungimenti familiari, gli immigratihanno fatto figli che nascono e crescono qui.Poco tempo fa a Treviso c’è stato il casodi quell’uomo che ha circonciso suo figlio incasa e il bambino è morto. Dov’è la tutela<strong>dei</strong> bambini stranieri? Se ci fosse lapossibilità per gli immigrati di pagareun ticket e portare i loro figli in ospedale perfare la circoncisione, questo non sarebbesuccesso. Eppure lo fanno per gli italiani:


Rapporto di ricerca nella regione Veneto73se tu hai un figlio e vai all’ospedale e dici:“Voglio fare questo”, loro te lo fanno epaghi il ticket. Quasi tutti in Africa fanno lacirconcisione, ma non sono tutti musulmaniin Africa. I nostri bambini non sono tutelatial massimo. I <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> partono solo daalcuni punti di vista, ma da altri no. Vedoche vanno a casa degli immigrati, magarili maltrattano senza ragione, alcuni sonostati bastonati da italiani che hanno dettoloro che non possono venire qui e praticarela loro religione.Io sono contro i musulmaniche vengono qui e chiedono i luoghi di cultoperché la religione parla chiaro: quandovai in casa d’altri, se vuoi pregare primadevi chiedere il permesso. Se loro ti diconoche non vogliono, tu devi rispettare questadecisione. Ma dove sono questi <strong>diritti</strong>?Quando alcune multinazionali attuano dellepolitiche che fanno morire delle persone,che senso ha parlare di <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>?Inoltre se tu vai in Africa e cominci a parlaredi <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, gli africani non capirannodi cosa stai parlando. Non capiscononeanche la parola se sono analfabeti.Bisogna fare una campagna che informi.È inutile dire che i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> vietanol’infibulazione: questo per loro non ha nessunsenso. Bisogna spiegare le conseguenzedell’infibulazione, le conseguenze sanitarieche si possono avere. (B., Senegal)D.: Penso che sia giusto parlare di <strong>diritti</strong> <strong>dei</strong>bambini, delle donne, ma mi chiedo: valgonodavvero per tutti? Se penso alla situazionedegli immigrati in Italia ad esempio… i <strong>diritti</strong><strong>dei</strong> bambini sono <strong>dei</strong> bambini, giusto?Ma non solo <strong>dei</strong> bambini italiani, anche <strong>dei</strong>bambini stranieri, e a volte non è così.Io ho dovuto lottare per iscrivere il bambinoall’asilo. Mio figlio aveva il diritto di andareall’asilo. Sono riuscito ad iscrivere miofiglio, ma ho dovuto litigare con l’asilo.Inizialmente mi avevano detto che non cisarebbero stati problemi per iscriverlo.L’asilo sarebbe cominciato a settembre,ma siccome ero in ferie, per precauzione,ho deciso di andare in agosto a vederecom’era la situazione. Mi presento lì e midicono che mio figlio non è stato accettato.Ho chiesto perché e mi hanno rispostoche c’erano stati <strong>dei</strong> reclami, allora hannopensato che fosse meglio che mio figliofrequentasse un altro asilo. Io ho detto cheperlomeno avrebbero dovuto informarmi ditutto questo! Lì allora è successo un casino.Alla fine poi ci siamo riusciti. Mi sonopresentato lì e ho detto: “Se per caso avetesostituito mio figlio col figlio di un politico odi un importante imprenditore del quartiere,non mi interessa. Sono pronto a farmiarrestare, chiamate pure polizia, carabinieri,ma io da qui non mi muovo”. Alla fine miha chiamato la direttrice e mi ha chiestoesattamente com’erano andate le cose.Si è scritta tutto e poi mi ha fatto firmare,però alla fine ha fatto iscrivere mio figlio.(D., Mali)Altrettanto esplicativo rispetto all’idea<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> tra gli africani è il discorsodi V., mediatrice culturale nigeriana cheevidenzia come un diritto, in specieil diritto delle donne, possa essereinteso in diverso modo. In questo caso,V. sottolinea come la stessa condizionedi donna sposata, dedita solo alla cura<strong>dei</strong> figli e della casa, possa essere undiritto; in altre parole, si contrappone ildiritto all’istruzione al diritto ad esseremantenuta. Anche qui emerge una sortadi replica all’approccio ai <strong>diritti</strong> da unpunto di vista non occidentale.V.: Partiamo da cosa vuol dire “<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>”in Africa. Al nord della Nigeria, che è unazona che io a volte apprezzo e condivido,altre volte no, una donna dell’etnia Hausaad esempio non ti direbbe mai che lei soffreo che è maltrattata, perché ha il diritto,riconosciuto da tutta quella etnia, di esseremantenuta. Fare i mestieri di casa e staredietro ai figli è di per sé stesso un ruoloall’interno della società e all’internodella famiglia che la donna si è costruita.Allora lì i ruoli sono divisi. L’uomo hail diritto di provvedere per la moglie e ifigli. La donna dell’etnia Hausa non sta


Rapporto di ricerca nella regione Veneto74lì a mantenere la famiglia e inoltre apreoccuparsi di come sfamare la famiglia,quello spetta a lui. Questo suo diritto è piùdi quello che hanno altre donne nigerianedi altre etnie. Però non ha il diritto distudiare. Se ci spostiamo a sud-est dellaNigeria, all’interno dell’etnia Ibo, è la stessacosa: l’uomo deve lavorare e faticare tantoper avere tutto quello che serve per sposareuna donna. Una volta che l’ha sposata, ladeve mantenere e non farle mancare niente.Anche quello è un diritto. (V., Nigeria)In questo senso, il confronto con imediatori e le mediatrici ha evidenziatoquanto la cultura <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> siaavvolta da poca chiarezza: è questaprobabilmente una delle ragioni alla basedello sguardo sospettoso di coloro cheintravedono nei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> una sortadi intromissione ingiustificata e un attaccoalla tradizione e alla cultura.Tuttavia, è bene evidenziare comela familiarità <strong>dei</strong> mediatori e <strong>dei</strong>rappresentanti di comunità con lediverse popolazioni africane del territoriosia cruciale, in quanto il loro “essereparte” fornisce la possibilità di parlareun linguaggio che simbolicamente epraticamente diventa uno strumentofondamentale per veicolare un discorso sui<strong>diritti</strong>, sulla parità e sulle trasformazioni<strong>dei</strong> ruoli di genere nella diaspora.In merito a questo ultimo aspetto,riteniamo utile riportare l’esperienzadi un mediatore senegalese operante neltrevigiano.B.: La donna voleva più libertà e parteciparedi più alle attività della famiglia.Voleva avere voce in capitolo, non esserequella che sta in cucina a fare le pulizie ebasta. Vuole partecipare, lavorare, e invecelui non voleva, diceva che sua moglie nonpoteva pretendere di essere come una donnabianca solo perché si trovava in un paese dibianchi. Io gli ho detto: “Non è che le donneafricane stanno cambiando, sei tu che devisemplicemente rispettarla come donna”.Alla fine ha capito i suoi sbagli anche setuttora ci stiamo lavorando. L’idea perl’uomo africano è che quando il maritoparla, la moglie deve tacere e rispettarela sua decisione. Non è che chiede <strong>dei</strong>consigli o <strong>dei</strong> pareri su quello che fa. Fa,e poi semplicemente informa la moglie.Noi uomini poi, vedendo che le donneaccettano sempre per rispetto, abusiamodi questo nostro vantaggio. Anche perchése una donna non è incline ad accettarequello che dice il marito o brontola, ci sonosempre i parenti che intervengono dicendoti:“Non puoi fare così, è tuo marito, lo devirispettare”. Quindi quando gli africanivengono qui, si aspettano che questa cosarimanga invariata e pensano di essere nelgiusto. Questa donna aveva iniziato a farsidelle domande: “Perché sto sempre in casa?Perché mio marito esce? Perché tiene tuttii soldi e tutti i documenti in un cofano chechiude a chiave e poi si porta sempre dietroquesta chiave? Perché non posso prenderedecisioni insieme a lui? Io devo capire cosafa, così posso gestire meglio la casa, vogliocondividere le sue difficoltà”. Lui invece lavedeva da un altro punto di vista, pensavache lei volesse sapere tutto per poterlocomandare. Quando abbiamo fatto dellesedute io gli ho portato degli esempi e dopoun po’ ha cominciato a capire che era unamentalità sbagliata. (B., Senegal)Quanto sinora riportato tuttavia nonsta a significare che gli intervistati/eintendono sostenere la pratica econservare culture e tradizioni cherappresentano una violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>. In questo, uno degli intervistati èstato particolarmente chiaro:O.: Quando le tradizioni di un popolofunzionano non ledendo i <strong>diritti</strong> di qualcuno,non prevaricando, per esempio, rispettandocerti tipi di regole che ci sono e di cui a noialcune possono apparire per certe formeingiuste, a noi conviene. Una cultura antica,la tradizione, fa fatica a morire. Non parlo


Rapporto di ricerca nella regione Veneto76V.: Comunque non è che quella maschile siaben accettata in Italia, ma non si riesce afare una legge contro questa perché c’è unapatologia che la richiede. Altrimenti sarebbefuorilegge anche quella maschile magari.(V., Nigeria)S.: Però quello che dice lei è una cosadiversa. (S., Camerun)A.: Da noi in Mali qualcuno ha fatto lastessa domanda, ma hanno detto cheall’uomo non fa del male nell’arco della vita,invece per la donna non è una cosa positiva,anzi crea diverse conseguenze negative.(A., Mali)grande potenzialità a Verona nella comunitànigeriana, proprio di intervenire, peròandando lì dobbiamo avere la motivazionecorretta per sensibilizzare le donne su questacosa. (V., Nigeria)A.: Sì, sì. (A., Mali)V.: Lo strumento da usare è dire che qui ècontro la legge. Se non vuoi finire in prigioneè inutile mettere in atto una cosa che mettea rischio la vita di tua figlia e che per di piùti fa finire in carcere. Però riguardo al fattoche crea <strong>dei</strong> danni, io non sono un’esperta,non posso aggiungere questa parte. A menoche non me lo dica un medico. (V., Nigeria)V.: Allora noi dobbiamo riuscire a provarequali sono queste conseguenze negative persensibilizzare le mamme che hanno ancoraquesta credenza. (V., Nigeria)Sì, però lei ha tirato fuori un punto moltoimportante, cioè che la circoncisionemaschile non provoca nessun danno.V.: È igienico. (V., Nigeria)A.: Là in Africa fa tanto caldo, e tra il caldo ela polvere che si appiccica alla pelle sudata,dove va a finire? Va sotto la pelle, ma sequella pelle viene tagliata, è tutto pulito.Dove vanno a toccare la donna è il clitoride:la bambina può morire dissanguata, o seanche non muore può diventare sterile,in più possono uscire gli gnocchetti,si ostruisce l’entrata, insomma porta solodanni. Noi dovremmo intervenire permigliorare la vita, non per peggiorarla.Se qualcuno mi dice che vuole circoncidereil suo bambino, sono d’accordo, ma se midice che lo vuole fare alla bambina, io sonocategoricamente contraria. (A., Mali)E.: Anch’io. (E., Nigeria)V.: Però bisogna anche provare.Io sono molto attiva <strong>nelle</strong> cose che faccioe se credo <strong>nelle</strong> cose che faccio. Ho questaBeh, il fatto che si rischia di diventare steriliè una constatazione medica. Però vederemagari due bambine su 17 che muoiono…V.: Beh, muoiono anche i maschietti. Sonomorti due bambini in due mesi,uno a Bari. (V., Nigeria)A.: Sì, ma quello che io dico sempre èche nell’uomo si va a togliere qualcosache disturba, nella donna si va a toglierequalcosa che ti serve per tutta la vita.Non porta del bene, se ti hanno fatta cosìdevi stare così, non è che il clitoride tiimpedisce di partorire figli, né ti impedisce difare altre cose. Oppure l’infibulazione, che vaa tagliare le labbra, poi quando il bambinoesce la pelle è già talmente elastica che poinon riescono nemmeno più a cucire.Ti porta solo danni. Se non riescono aricucirla, una donna poi non riesce nemmenopiù a contenere l’urina, diventa incontinente.Credimi, porta solo danni e io lo dico semprea loro. Quando sono in Mali dico che ilmotivo per cui non dovrebbero farlo nonè per timore della legge, ma per la salutedella propria bambina. Dobbiamo trovare lerisposte dentro di noi, bisogna pensare:“Io sto facendo questo a mia figlia e non lesto facendo del bene. Se i danni non esconofuori oggi, magari usciranno domani”.(A., Mali)


Rapporto di ricerca nella regione Veneto77V.: Eh, ma per le donne nigeriane non so sequesto basta a convincerle.(V., Nigeria)S.: Nel mio paese ti fanno anche passareper matta se provi a cambiare le idee dellagente. A me a volte rispondono: “Ma che nesai tu che sei più italiana che africana?”.(S., Camerun)V.: Per le donne del Mali quello è un sistemaefficace, ma per le nigeriane, soprattuttoquelle dell’Edo che sono la maggioranza qui,devi trovare il modo giusto per convincerle,altrimenti si mettono contro di te.(V., Nigeria)V.: Se non lo tagli l’uomo sta bene lo stesso.(V., Nigeria)A.: Sì, però se vedi che qui sta bene è unacosa, ma se sai che deve passare la vita inAfrica al caldo allora gliela fai.(A., Mali)V.: È la stessa tradizione in Africa per l’uomoe per la donna in quelle etnie dove questecose hanno importanza. Dobbiamo riuscireinvece a entrare nella mente delle mammeche sono qui, perché loro devono prepararsia giustificarsi quando torneranno in Africacoi bambini. Non è una cosa semplice dadire. (V., Nigeria)S.: Ecco, quello che dicevo prima.(S., Camerun)A.: Sì, ma se tu dici loro: “Ragazze,perché lo fate?”. (A., Mali)V.: Infatti è quello che ho detto. Dobbiamopartire da loro, con un questionario, nonandiamo noi con le nostre sapienze o comesi dice. Partiamo con un questionario a loro,se attraverso questo questionario riusciamoa far capire loro che praticano una tradizionedi cui magari non conoscono nemmenol’importanza, allora da lì cominceranno aragionare. (V., Nigeria)A.: Ma il motivo per cui lo fanno è perchéle nonne e le mamme l’hanno fatto. Perchéporta onore alla famiglia. Ma ormai questefamiglie allargate non le abbiamo più,quindi ci porta solo danni. Quando vedouna ragazza che ha una bambina e che soche è stata fatta, mi chiedo: “È servita aqualcosa?” Anche quella maschile .(A., Mali)V.: Anche quella maschile, che si faccia o noè uguale. Gli italiani non la fanno e vivonobene lo stesso. (V., Nigeria)A.: Io dico, lì se io taglio la pelle è solo ilprepuzio. (A., Mali)A.: Però io sono ferma su un punto…(A., Mali)S.: È che le nigeriane sono di più qui…(S., Camerun)Qual è il punto su cui tu sei ferma?A.: Io sono ferma nel dire che la circoncisionefemminile non porta nessun vantaggio,porta solo danni, basta. Perché si fa?Per la tradizione. (A., Mali)V.: Posso farti una domanda?(V., Nigeria)A.: Sì, fammi una domanda. (A., Mali)V.: A prescindere dal fatto che sei sposatacon un italiano e che quindi sei come meun po’ “contaminata”, mettiamo il caso chetu fossi stata sposata con un uomo del tuopaese, le decisioni sui vostri figli sarebberovenute da voi o dalla famiglia allargata giù?(V., Nigeria)A.: Se io fossi stata sposata con uno di giùle decisioni sarebbero venute da noi e poi leavremmo mandate giù in Mali per dirle allafamiglia. (A., Mali)V.: Vedi che è tutto al contrario?(V., Nigeria)


Rapporto di ricerca nella regione Veneto78A.: Sì. (A., Mali)V.: Allora può funzionare questo sistema?(V., Nigeria)A.: Se dobbiamo far sposare nostrafiglia diciamo a lei: “Va bene”, ma poila mandiamo giù in Mali nella famigliaallargata a fare tutte le tradizioni.Però se è in Mali è diverso. Una volta sevolevi la bambina di una famiglia dovevicoltivare fino a quando la bambina nonavesse avuto quattordici anni. Adesso nonsi fa più. Allora io dico, questa tradizionedella circoncisione va abbandonata perchéporta solo <strong>dei</strong> danni. L’ho detto anchea mia sorella che è in Mali. Le ho detto:“Non serve dire che è la legge che te lo vietae quindi rischi di essere punita, devi pensareche non vuoi punire la tua bambina a vita,perché se gliela fai è una punizione”.(A., Mali)V.: Per ogni paese, per ogni etnia cambia,almeno per quanto mi riguarda. Però io sonoanche prontissima a lavorare sull’argomento,a cercare di sensibilizzare, ma primapartendo da loro, sensibilizzare loro partendoda quello che sanno. (V., Nigeria)Tu cosa ne pensi visto che comunque ledonne dell’Edo fanno tanto questa cosa?E.: Sono d’accordo con lei, non portadel bene alle femmine. Se non si fa nontoglie nulla, la donna sta bene lo stesso,se la fa invece fa danni. (E., Nigeria)S.: E poi oggi come oggi quelle che in Africasi sposano ancora vergini sono rare,forse nella giungla. (S., Camerun)E.: Sì, infatti, non ce ne sono più. E la praticaporta danni. Chi se la sente, la faccia aimaschi, ma se riusciamo a convincerle a nonpraticarla sulle femmine è meglio.(E., Nigeria)V.: E tu pensi che le donne dell’Edo…?(V., Nigeria)E.: No, sarà durissima. (E., Nigeria)Il ruolo <strong>dei</strong> mediatori e <strong>dei</strong> rappresentantidi comunità assume a questo punto unapiù chiara immagine. Di fronte alla sfidadi cambiare un atteggiamento che haradici profonde, che fa leva sulla forzadi una cultura e una tradizione che si fafatica a mettere in discussione, il ruolo<strong>dei</strong> mediatori è quello di mettere i soggettidi fronte ad una riflessione critica chepossa guidare ad una diversa presadi posizione. Il mediatore ha infatti unaleadership e un’autorità riconosciute,nonché la fiducia di coloro che intendonoesprimere liberamente l’intenzionedi continuare la tradizione. Il branodi intervista che riportiamo di seguito puòfornirci importanti elementi di riflessionesia per ciò che concerne la pratica sulterritorio sia per le circostanze e i diversiruoli che i mediatori possono assumere.L’evento che ci riporta una delle mediatriciintervistate sollecita inoltre una riflessionesulla persistenza della reiterazione dellapratica nel territorio, che evidentementeappare possibile cogliere solo se si èesposti alla vita delle comunità.B.: Abbiamo una équipe con unaginecologa, un’ostetrica, io che faccio damediatrice per la Nigeria e una mia collegache la fa per la Romania. È successo chelei era lì in stazione un giorno e stavaaspettando le sue donne. Le si è avvicinataun’altra signora nigeriana che tenevauna bambina per mano e le ha detto:“Io ti stavo cercando perché qualcunomi ha detto che sei brava a fare lacirconcisione alle bambine”. S. l’ha guardatastupefatta e le ha detto: “Ma come?Non sai che in Italia questa cosa è controla legge? Guarda che se la polizia tiprende, vai in prigione e ti tolgono anchela bambina. Questa è una cosa che dovetedimenticare, anche perché questa nonè una cosa che fa bene alle vostrebambine” e così ha iniziato a fare un po’di sensibilizzazione, che secondo me è


Rapporto di ricerca nella regione Veneto79quello che dobbiamo fare, perchétante di queste mamme non sanno chequesta cosa non è accettata in Italia,non sanno che è contro la legge.Questo è il primo punto fondamentale.Inoltre bisogna sensibilizzare le donnespiegando loro che è una cosa che non hapiù senso. Un conto era quando si facevanei tempi antichi, ma adesso bisognachiedere loro: “Ma secondo voi qualisono i vantaggi per le vostre bambine?”.Quindi S. ha iniziato a parlare di questo,nel frattempo c’era un giornalista africanoche era lì per caso e aveva sentito laconversazione, ed è rimasto lì ad ascoltare.Allora S. ha detto innanzitutto che lei nonla praticava e che in Italia non era legale,le ha detto che se avesse voluto, l’avrebbeportata da qualcuno che le avrebbespiegato bene la legge italiana.Le ha detto di lasciar stare sua figlia eanzi, di dire alle sue amiche di smetteredi farlo alle loro figlie. Poi il giornalista haavvicinato S. e le ha detto che era statabrava e che faceva bene a far passare lavoce tra le nigeriane. Però chissà quelladonna se è stata convinta oppure è andataa cercare qualcun altro che lo facessea sua figlia. (B., Nigeria)La gravità dell’evento riportato evidenziadunque una realtà da non sottovalutaree soprattutto la significatività dellapresenza di mediatori e leader di comunitàche possono interagire e collocarsi inun discorso dialogico con i gruppi checontinuano a praticare le MGF seguendo lascia di una tradizione assunta senza alcunacriticità. Diversi sono stati infatti coloro checi hanno riferito di essere stati interpellatida connazionali circa l’opportunità o menodi reiterare la pratica. Riportiamo, a talproposito, il brano dell’intervista con unmediatore culturale senegalese.S.: La tradizione si porta avanti di nascosto.Anzi, nel Sud del Senegal non lo fannopoi nemmeno tanto di nascosto perché èconsiderato un evento.Quindi si celebra come evento?S.: Come un grandissimo evento!Adesso non più perché lo Stato l’havietato, ma fino all’anno scorso o due annifa si celebrava facendo festa, ballando ecantando. Adesso che lo Stato l’ha vietato,i medici vanno in quelle zone ad informarela popolazione. Comunque conosco alcunefamiglie di quelle etnie che vivono qui enon lo fanno più.Come mai? Cosa ha funzionatosecondo te?S.: Lì ha funzionato l’informazione.Si sono resi conto che era una cosasbagliata. Ha funzionato l’influenzadell’Italia, nel senso che, arrivati qui,molti si sono resi conto che in Italiasi può parlare liberamente di qualsiasicosa, mentre in Africa la stessacosa è considerata un tabù.Comunque anche se qualcuno decidedi non farlo, non cerca di convincereil resto della comunità: tutti sanno chemagari una famiglia non l’ha fatta farealla propria figlia, ma non è che questafamiglia poi dice al resto della comunità:“Sbagliate a portare avanti questa pratica”,per evitare di creare conflitti.Addirittura, quando siamo arrivati quinegli anni ’90, alcuni facevano la festaqui e non lì, perché mi è capitato di essereinvitato ad una festa e quando ho chiestoquale fosse l’occasione da festeggiaremi hanno detto che era l’infibulazionedelle bambine.E tu quando eri in Africa ne avevisentito parlare?S.: Lo vedevo! Le vedevo che andavano afarlo. All’inizio, come ti dicevo prima,per me era normale, era una tradizione comeun’altra. L’unica cosa che sapevo è che nonera una cosa religiosa. È stato quando sonoarrivato qui che ho visto che medicalmenteera una pratica pericolosa, che andavacontro i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e allora mi sono resoconto che è una cosa da combattere.(S., Senegal)


Rapporto di ricerca nella regione Veneto80Altrettanto indicativa è l’esperienza di unadelle mediatrici nigeriane intervistate,che ci ha raccontato del caso di un suoconnazionale che le ha chiesto un pareresull’opportunità di circoncidere o no labambina. Di fronte all’atteggiamentodell’uomo sia la mediatrice, nigerianadello Stato di Anambra, che la sua anzianamadre hanno consigliato all’uomo di nonpraticare la MGF alla bambina.Il nodo cruciale, secondo la mediatrice,rimane tuttavia l’educazione.Ma chi lo fa, qui in Europa?A.: Non lo so. Lo sanno che è illegale equindi lo fanno illegalmente. Non possiamosaperlo. Io non sono stata circoncisa enemmeno mia figlia e quindi la cosa non miha mai interessato.Quindi pensi che lo faccianoclandestinamente?A.: Certo, lo fanno di nascosto.L’uomo che hanno preso oggi lo faceva forseapertamente?A.: Penso che sulla circoncisionedelle bambine decida la moglie.Recentemente c’era un ragazzo nigerianoqui. È venuto a casa mia e mi ha detto chela sua bambina ha ormai due anni e mezzo enon riusciva a capire perché sua moglie nongli avesse ancora fatto la circoncisione.L’uomo voleva?A.: Sì, allora io e mia mamma gli abbiamodetto che non deve neanche pensarci!Perché stava ancora pensando di farlo?A.: Ma sì! Pensava che fosse proprionecessario.Quindi è ancora un grosso problema…A.: Sì.Che cosa possiamo fare per fermarloqui da noi?A.: Dobbiamo rieducarli.Pensi che sia possibile rieducarequeste persone?A.: Dobbiamo fare del nostro meglio.Dobbiamo dire loro che se lo fanno,le donne non godranno sessualmente enon proveranno desiderio verso i loro uomini.Se ci pensi, sei messa su una strada condieci uomini, non ha senso.Pensi che in Africa lo continuino a fare,anche se c’è una legge che lo proibisce?A.: Sì. Lo fanno qui, dove c’è una legge;immagina che cosa fanno in Africa!Ma si trattava di circoncisione maschile.A.: Lo so.Pensi che forse loro portino le ragazze inNigeria per farlo e poi ritornano qui?A.: Potrebbero farlo. Se hanno i documentie credono fermamente in queste cose,lo fanno.Ma tu mi hai detto che lo fanno percontrollare la sessualità delle donne.A.: Certo, io penso di sì. È l’unica ragione cheio conosca. (A., Nigeria)Emblematico è anche quanto ci riferisceuna mediatrice culturale e presidentedi un’associazione di donne nigeriane.Nel suo racconto fa riferimento ad unevento accaduto in Veneto qualche tempofa che ha coinvolto una donna nigerianaproveniente dallo Stato dell’Edo.In quella occasione è emerso quantola popolazione Edo sia ancora legataalla pratica, al punto da difenderne lanecessità anche nel contesto migratorio:parte della comunità nigeriana, compresauna chiesa pentecostale, si schierò afavore della donna, chiedendo sostegnoanche alla nostra intervistata.I.: Per le donne Edo il concetto è questo: ladonna subisce tanto in quella parte lì dellaNigeria e loro non si svegliano. Anche qui inItalia tu racconti loro delle cose, cerchi di farcapire che non devono sempre subire, maloro rimangono di quella mentalità di essere


Rapporto di ricerca nella regione Veneto81sottomesse, e tali restano. Però bisogna farela sensibilizzazione. E loro hanno paura dellalegge, però devono sapere che la legge c’èe cosa dice. Quando hanno arrestato quellasignora nigeriana! Perché il tam-tam nellacomunità nigeriana è molto forte. E lo èanche nei paesi d’origine. Non è che bisognapubblicizzare il singolo fatto sul giornaleo sul Tg. È una comunità che comunqueriesce a far passare l’informazione colpassaparola. Quella signora lì appartenevaa una chiesa pentecostale qua che l’haanche sostenuta dopo il suo arresto. Io hoparlato con la moglie del pastore. Lei mi haanche chiamata dicendomi di appoggiarequesta donna nigeriana arrestata, ma iole ho detto che mi dispiaceva tanto, mache non ero d’accordo con lei. Cosa dovevofare? Prendere e difendere una che avevafatto una cosa così? Se fosse stata almenoun membro dell’associazione. Io aiuto imembri dell’associazione a sapere tantecose sulla cultura italiana, sull’educazione<strong>dei</strong> figli, perché ci sono tante problematiche.Ad esempio picchiare i bambini, dargli lebotte, picchiarli con la cintura, poi provocala scuola che fa la segnalazione ai servizisociali e loro perdono i figli. La moglie delpastore era a favore della circoncisionefemminile. La maggioranza di quelle dell’Edoè così, sai. Nessuno si chiede se è unatradizione giusta o no. Loro pensano che lacolpa non sia loro perché, dicono: “Non èuna mia iniziativa, è una cosa che mi hannopassato”. Allora loro non vedono nessunmale, però possono capire che magari inNigeria lo possono fare, ma qui no.Ma anche in Nigeria c’è una legge controqueste cose.I.: Mmm… Da noi le leggi esistono,ma non sono applicate. Quanti hannomesso in prigione in Nigeria per questoreato? In Nigeria gli stessi che fanno le leggi,poi le infrangono.Quindi tu pensi che nella testa <strong>dei</strong>nigeriani, la legge italiana sia piùrispettata che (quella) in Nigeria?I.: Sì, qui sei obbligato a rispettarla.Se non la rispetti, paghi. La signora nonha rispettato la legge, non sapeva che eraillegale. Sai le informazioni agli immigratinon passano. (I., Nigeria)Quanto riportato racconta evidentementedi una realtà, quella veneta, nella quale sipuò presupporre una tendenza da partedi alcune comunità favorevole a perpetuarela pratica. Riteniamo che la naturadella pratica e le modalità attraversole quali le diverse popolazioni africanela reiterano rendano molto difficile lamappatura quantitativa del fenomeno.Quanto rilevato sembra delineare icontorni di un panorama nebbioso,nel quale è difficile scorgere i contornidella portata del fenomeno. Non abbiamodubbi però sul fatto che le MGF faccianoparte della circolazione di tradizioni cheaccompagna gli immigrati africani inVeneto, soprattutto in alcuni gruppi, comead esempio le comunità nigeriane,più volte citate in questo lavoro.Abbiamo chiesto ai mediatori e airappresentanti di comunità qualepotrebbe essere il loro ruolo nel nostroprogetto di azione e prevenzione. Quantoè stato suggerito appare estremamenteimportante. Le strategie <strong>nelle</strong> quali ilruolo di tali figure di mediazione diventaindispensabile includono la rilevazionedell’atteggiamento delle diverse comunitàe il relativo intervento di prevenzione.Rispetto alla realtà più specificadelle MGF in molti e molte hannoevidenziato l’importanza di raggiungerenel modo giusto le comunità. Le propostesono state diverse, ma il filo conduttore èstato quello di evitare le forzature. Così siesprimono alcuni degli intervistati:B.: È molto più importante che la personasi renda conto da sola <strong>dei</strong> propri errori,piuttosto che in seguito ad una forzatura.Se noi riusciamo a convincere le persone


Rapporto di ricerca nella regione Veneto82qui a non fare l’infibulazione alla propriafiglia in seguito ad una sensibilizzazionee a un’informazione accurata è positivo.Ma se decidono di non farla solo perchéglielo imponiamo, ma non sono veramenteconvinti, quando arrivano a casasicuramente l’idea di prima gli tornerà.Se invece la decisione è loro, è maturatadalle loro riflessioni, è più difficile che torninosui loro passi. Bisogna evitare di forzare lacampagna di informazione perché forzarlasignifica andare subito in conflitto con quellarealtà. La campagna d’informazione si fa perprima con le donne, perché se si parte subitodagli uomini vuol dire che abbiamo fallito,perché arrivano a casa e fanno un casino chenon puoi immaginare. Si parte dalle donnespiegando tutte le conseguenze medicheper dopo passare agli uomini. Quando unadonna sa effettivamente i pericoli che puòcorrere sua figlia, fa di tutto per proteggerla,anche denunciare suo marito. La campagnadeve procedere per punti: prima le donne,poi gli uomini e poi sul luogo di provenienza.(B., Mali)Più articolata è la proposta di unadelle mediatrici nigeriane, la quale,prima dell’elaborazione di unintervento, propone una rilevazionedell’atteggiamento delle comunitàattraverso la somministrazione di unbreve questionario per sondare l’attitudinee le ragioni che a questa sottendono.C.: Dobbiamo renderci conto che ci sonoancora tante mamme che lo praticanosui loro figli e non sanno neanche quantosia pericoloso. Sì, perché lo fanno pertradizione, non sanno neanche che è controla legge, non sanno quanto male fa.Dal momento in cui inizi a uscire a farequestionari, vai nella nostra comunità,<strong>nelle</strong> nostre chiese, usiamo anche le mogli<strong>dei</strong> pastori che sono sempre a capo ditutte le donne della congregazione, chefanno le riunioni. Andiamo lì a fare undiscorso aperto, dando loro la possibilitàdi rispondere, e da lì iniziamo a ragionare.Intanto ci avviciniamo in modo dolce.Poi ci sono tanti mediatori che conosconoi luoghi dove si possono trovare questepersone: nessun luogo va dato per scontato.Nel questionario si può anche chiedere:“Se tu non dovessi circoncidere tua figlia,questo cosa ti toglierebbe?”, da lì dai aloro la possibilità di esprimersi.E possiamo capire se la famiglia di origineinfluenza tanto le loro decisioni. Stiamoparlando dell’Africa, e spesso i genitoriafricani non riescono a crescere i figli comevorrebbero, non sono loro i protagonisti,ma è la famiglia d’origine. Però se io devoandare, come V., a casa di una famiglianigeriana a dire che fare la circoncisionefemminile è sbagliato, mi cacciano fuori!Se sbaglio avremo chiuso il canale dicomunicazione. Se tu, europeo, vaida loro, non sanno nemmeno di cosa parli,la comunicazione deve partire da noiafricani. (C., Nigeria)E.: Non riusciremo mai a parlare con tuttequeste mamme, magari un po’ alla volta,quando hanno appena partorito, quellopotrebbe essere il momento in cui parlarecon loro e cercare di spiegare la situazione.Bisogna capire perché lo vogliono fare,chi davvero vuole questa pratica e perché.Bisogna cercare di avvicinarsi a loro, capirecome le donne vivono qui, aiutarle.(C. ed E., Nigeria)L’aspetto della normativa si confermacome uno strumento da arricchire conun intervento formativo e informativo siasul territorio che nei paesi d’origine,dai quali continua ad esercitarsi l’influenzadelle famiglie e del contesto sociale,un’influenza che appare in alcuni casidecisiva. Nel focus group con i mediatoriuomini è stato più volte ribadito il ruolodella mediazione come fondamentale perconvogliare le informazioni relative allalegge presso le diverse comunità.Altre proposte sono emerse e hannoincluso la realizzazione di eventi culturalidi promozione e il coinvolgimento <strong>dei</strong>


Rapporto di ricerca nella regione Veneto83luoghi di aggregazione delle comunità,come ad esempio le chiese pentecostalicristiane africane.Y.: Torno a dire che le leggi sono unastrada, non dico l’ultima, si può arrivareanche attraverso altre strade, però unacosa è importante, ovvero tenere presentele culture, le motivazioni e poi arriviamo acoinvolgere questi soggetti che sono adulti,giovani e anziani, anche nel paese di origine.Gli anziani sono problematici, sono loro chedanno difficoltà. Qualcuno porta il bambinodall’Italia in Nigeria, lo fa e torna qua.Va bene. Ma non bisogna farlo alle donne.I mediatori culturali formati possono essereuno strumento importante. Se noi dobbiamofare altre cose importanti attraverso ilteatro, i concerti... Io ho un gruppo, sonomusicista e questo gruppo può fare qualcosascrivendo contro. Non ho mai visto in Italiauna manifestazione di messaggi control’infibulazione attraverso la musica.Queste sono cose a cui bisogna pensare.Io lancio la proposta. (Y., Camerun)B.: Tanti comunque vogliono rispettare latradizione. Se per i maschi la cosa nonè tanto grave, per la donna lo è. Ma ilproblema non è condannare la persona chepermette questo. La questione è informare lapersona <strong>dei</strong> danni che provoca.Quando dimostri l’incapacità di accederea quelle persone, si fa una legge che vieta,ma chi lo dice che la legge deve essereapplicata? (B., Mali)F.: Non sono gli italiani che praticano questecose, ma gli stranieri, allora noi che siamoqua, in qualità di responsabili, dovremmoessere anche i portavoce di questa legge,perché forse tanti non lo sanno. Comediceva B., queste pratiche vengono praticatenormalmente dai musulmani e non daquelli della religione animista. Nella nostrareligione animista queste pratiche nonesistono. La preoccupazione è in Italia ed ègravissima. Dobbiamo essere noi portatoridi questa realtà, cercando di convincere.In Africa, se voglio un pezzo di terra primavado a trattare dal capo villaggio e poi vadodallo Stato, e questo succede un po’ in tuttal’Africa. Noi dobbiamo essere portavocedi questa realtà che è grave. Dal mio puntodi vista le leggi vanno fatte con contrastosecondo le conseguenze. (F. Guinea Bissau)G.: Per rispondere direttamente alladomanda, penso che i protagonisti sono:lo Stato italiano, i capi comunità, quandosecondo le statistiche si sa orientativamentequali sono le comunità che praticano questacosa. Allora bisogna sensibilizzare pertirare fuori questi elementi tradizionali checondizionano questa scelta <strong>dei</strong> genitori,perché qui non hanno la pressione dellatradizione. In Italia c’è la sanzione cheintroduce la legge, però è importantela sensibilizzazione. Questa pratica vacancellata. (G., Costa d’Avorio)C.: La risposta qui non può essere la rispostaal problema. Bisogna coinvolgere coloro chesono qui in Veneto, tutti i responsabili delleassociazioni presenti in Veneto e creare unmomento di confronto, diffondere questainformazione, informazione che arriverà agliinteressati nella sua globalità. Perché direche vogliamo pubblicizzare tutto attraversoradio, tv e quant’altro non funziona,in quanto ci sono tante persone che nonvedono la tv o che non ascoltano la radio.E poi se viene pubblicizzato con tv equant’altro, l’informazione che arriveràagli interessati sarà molto residuale.Però almeno la maggior parte di lorofrequentano le varie chiese per esempio,incontri periodici delle varie associazioni…Allora credo che rivolgendosi a questi luoghi,l’80% degli interessati verranno raggiunti.(C., Nigeria)B.: Le feste delle comunità, come peresempioquelle Yoruba, sono <strong>dei</strong> momenti in cui sipuò dire: “per quest’anno noi vorremmoaffrontare questo tipo di problema, vogliamosentire cosa ne pensate!”. Questo potrebbeessere un modo e così non si impone niente.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto84Si dice che c’è un problema che attualmentegira nel mondo, sappiamo per esempio chela mutilazione genitale, dal punto di vistamedicale e psicologico, può creare tantissimiproblemi alla donna. Vorremmo sapere cosale vostre famiglie ne pensano. Questo è unsasso che tu hai lanciato. E non obblighinessuno su questo, però intanto inviti ariflettere. (B., Mali)O.: Tutti noi sappiamo che quando noi,che siamo qui da tanti anni, ritorniamo nelnostro paese, se parliamo di certi argomenticon i nostri connazionali, loro ti consideranoun matto, perché il tuo modo di ragionarenon è uguale. Ma qui almeno bisognainformare sulle conseguenze, sul male chec’è dentro. (O., Nigeria)Appare dunque evidente come,nonostante le titubanze e le perplessitàcirca i linguaggi e i discorsi intornoalle MGF, i mediatori coinvolti nellaricerca sono decisamente consapevolidell’opportunità di fermare la reiterazionedella pratica sia in Africa che nel territoriodove attualmente vivono.Le loro riflessioni si articolano intornoalle difficoltà legate al cambiamentodella tradizione e all’atteggiamentodi coloro che dai paesi d’origine possonoinfluire sulle vite e su relazioni di generee familiari degli africani della diaspora.Le proposte di intervento e prevenzionepartono dunque dal presupposto chel’informazione, se fatta circolare attraversoi canali della mediazione, può essereun forte elemento propulsore verso ilcambiamento. In tal senso, un discorsoportato avanti dagli stessi mediatori sia<strong>nelle</strong> comunità che all’interno <strong>dei</strong> servizidedicati agli immigrati rappresenta unadelle chiavi di accesso alle comunità piùlegate alla pratica e ad assetti culturaliche vedono le relazioni di genere alla basedi ordini sociali nei quali la reiterazionedella pratica trova un terreno fertile.


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Rapporto di ricerca nella regione Veneto87/ Le mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>nell’esperienza<strong>dei</strong> servizi sanitari:interventi, conoscenzae condivisionedi significati trapersonale sanitario /di Paola DeganiLe interviste condotte con il personalesanitario, nello specifico medici eginecologi di reparto e <strong>dei</strong> consultori<strong>dei</strong> maggiori centri urbani del Veneto,nonché ostetriche e assistenti sanitarie,hanno esplorato altri aspetti importantiai fini della nostra ricerca, tra i quali: lepeculiarità della relazione delle donneafricane provenienti dai paesi individuaticome significativi per la ricerca coni servizi socio-sanitari; le differenzegeografiche, economiche e sociali chedefiniscono le dinamiche di interazionee il rapporto con le donne africane;le difficoltà rilevate nel rapporto chequeste donne hanno con i servizi sanitaridel territorio; la conoscenza, da partedegli operatori socio-sanitari, della culturadi provenienza delle donne africane e lerispettive configurazioni <strong>dei</strong> rapportidi genere; la conoscenza della praticadelle MGF tra il personale sanitario.A questi aspetti abbiamo inoltre aggiuntola rilevazione dell’opinione del personalesanitario intervistato rispetto all’interventolegislativo e ad eventuali progettidi formazione e prevenzione.Il primo aspetto esplorato riguardadunque le peculiarità delle utenti africane.È emerso che la maggioranza dellapopolazione femminile africana che sirivolge ai consultori proviene da Nigeria,Ghana, Senegal e solo in minima partedai paesi del Corno d’Africa.Il dato rispecchia la composizionefemminile della popolazione africanaimmigrata nella regione Veneto 25 .In base a quanto rilevato dalle intervisteappare evidente come la provenienzageografica tenda a caratterizzare nonsolo il diverso rapporto con i servizi,ma anche la tipologia di interventorichiesto: emerge che la maggioranzadelle utenti provenienti dall’Africa dell’Est,e in particolare dalla Nigeria, si rivolge aiservizi prevalentemente per problematichelegate alla gravidanza e al parto.Le dottoresse intervistate ci hanno infattiriferito come difficilmente queste utentipartecipino o usufruiscano di interventidi prevenzione o più semplicemente<strong>dei</strong> diversi progetti di percorso nascita,attivi in tutti i consultori del territorio.È quindi un’utenza sulla qualegeneralmente si lavora sull’emergenza,sulla patologia avanzata o in prospettivadel parto. In modo particolare perquanto concerne l’utenza nigeriana,vi è da segnalare la maggior fruizioneda parte di questa comunità <strong>dei</strong> servizisocio-sanitari in alcune città (in specificoVerona e Venezia) anche in relazioneall’esposizione piuttosto rilevante inVeneto che questo gruppo nazionale ha<strong>nelle</strong> attività prostituzionali collegatealla tratta di persone. È indubbio chelo svolgimento di attività prostituzionalipresenta implicazioni sul piano dellasalute fisica che determinano un utilizzoanche frequente <strong>dei</strong> servizi sanitari,e in modo particolare di quelli collegati aprestazioni di tipo ostetrico-ginecologico.25 A tal proposito si veda il capitolo relativo allapopolazione immigrata in Veneto. Anche in questo casofaremo riferimento alla popolazione femminile africanaconcentrandoci sulle donne provenienti dai paesi africaniconsiderati per la ricerca.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto88In linea generale, le caratteristicheanagrafiche e socio-culturali delle utentiappaiono determinanti nella definizionedella relazione. Di fatto, quanto più bassoè il livello di istruzione delle donne,tanto più difficile appare la relazione trautente e operatore. Questo è quanto ciriferisce una delle intervistate:Sono tutte giovani. Il loro livello culturale èbasso, per le nigeriane bassissimo.Le ghanesi cominciano ad essere più regolariin Italia e hanno la licenza media, che ècomunque più del livello delle nigeriane.Io qui vedo le Edo: o erano prostitute lì,o mandate qui allo sbaraglio, comunquenon sanno scrivere.E queste sono clitoridectomizzate?Sì, hanno o la parziale o la totale.E comunque non sanno né leggere,né scrivere. Poi ci sono le nigeriane regolariche equivalgono più o meno alle ghaniane.Negli altri consultori chiedono il tuo aiutoquando sono in gravidanza, tantissimoanche quando non riescono ad avere unagravidanza. Per una donna straniera,soprattutto per le ragazze nigeriane eghanesi che vedo io, non riuscire ad avere unbambino è una cosa molto grave.Poi c’è sempre la richiesta per le interruzionidi gravidanza. Per quanto riguarda lacontraccezione e la visita ginecologica,la donna africana si preoccupa menodella regolarità del ciclo, si preoccupameno delle infezioni, da me non vengonomai per infezioni del tratto genitaleinferiore, io non ho donne che vengono pervaginiti. Eppure abbiamo <strong>dei</strong> percorsi inconsultorio anche molto celeri, nel sensoche quando all’appuntamento viene chiestala motivazione, le mie segretarie e anchele ostetriche hanno un’agenda per cui sualcuni temi l’appuntamento viene presoimmediatamente. Quindi se stanno malein gravidanza, se c’è una vaginite in unafase acuta, o necessità della pillola delgiorno dopo, non ci sono liste di attesa,c’è l’accesso immediato. Io non ho mairichieste in questo senso, quindi comeginecologia ho prestazioni molto,molto limitate, limitate prettamente all’areadella sterilità.Altre dottoresse ci hanno inoltrespiegato quanto per le donne africane,in particolare dell’Africa dell’Est,la maternità sia una questione centralenei rapporti di genere. Questo appareparticolarmente vero soprattutto sudue aspetti: la sterilità e l’interruzionedi gravidanza. In altre parole, moltedelle tensioni che si sviluppano <strong>nelle</strong>relazioni di genere riguardano proprio icomportamenti riproduttivi. Riportiamouno stralcio di intervista nel quale taleriflessione è particolarmente articolata.Parlando per etnia, noi vediamo soprattuttole Edo: ci sono delle realtà in cui questedonne sono assoggettate a questa culturamaschilista, quindi c’è violenza nella lororelazione, ci sono donne picchiate.Si fa molta fatica. Se pensi solo a tutti gliaborti che ho io e che veramente mi fannostar male da morire, di donne che provano arimanere incinta perché lui possa accettareloro col bambino. Quando lui dice no, non èche la donna desiste: insiste anche per tre,quattro volte. Sono coppie che magari nonsono sposate in Africa, sono insieme quianche da anni e la donna nigeriana se dopouna certa età non ha un figlio non si sentedonna, così ci prova, ci prova finché lui dicedi sì e nel frattempo continua ad abortire.Quindi questo maschio è un maschioche fa di loro un po’ di tutto: dalla violenzaperché le picchia, oppure il fatto di forzarlaad andare in strada, è violenza anche unadonna che è costretta a continuare adabortire finché il padre padrone non dice:“Ok adesso mi va bene avere un figlio”.Oppure tutti gli aborti perché i maschi leabbandonano. Sono tutti rapporti moltoviolenti, questo è quello che vedo comeginecologa, poi se intervisti l’assistentesociale senti di tutte le violenze familiari,perché noi a tutte queste donne facciamo


Rapporto di ricerca nella regione Veneto89fare counselling sociale, perché lavoriamocol Comune contro la tratta, siamo in retecon tutti. Poi lavoriamo con un’associazioneche aiuta le donne picchiate, violentate,che fa anche da casa di accoglienzaimmediata, perché c’è tanta violenza.Se vai a intervistare qualcuno in Comunehanno tutta una serie di storie di bambiniallontanati.Lo stralcio di intervista riportato rifletteuna realtà nella quale i comportamentiriproduttivi e la salute sessuale tendonoad essere profondamente interconnessi altipo di relazione di genere (in questo casoin maggioranza per l’etnia Edo, Nigeria).Tuttavia l’utenza, anche all’internodello stesso gruppo etnico, può presentaredelle diversità; soprattutto l’emancipazioneeconomica delle donne rappresenta unnodo importante in termini di maggioreconsapevolezza e tutela della salutenonché <strong>dei</strong> propri <strong>diritti</strong>.Questo è quanto ci riporta un’intervistatasollecitata da una domanda relativa allaparità tra uomo e donna.Secondo lei il concetto che abbiamo noidi parità uomo-donna è lo stesso?È diverso, è molto lontano, però quando ladonna rimane in Italia per tanto tempo loacquisisce, soprattutto quelle che lavoranoed escono un po’ dal clan africano.Ci sono quelle che non escono mai da questiclan, ma quelle che iniziano a lavorare <strong>nelle</strong>cooperative si guardano intorno eccome!E iniziano a dire che il maschio italiano èdiverso, e questo succede anche alle rumeneo a quelle dell’area balcanica, dove c’è unrapporto molto forte, molto violento.Signore che sono qui da tanti anni e chehanno avuto con me una o due gravidanzeiniziano a dirmi quanto sia diverso e miglioreil maschio italiano. Ma noi troviamo tantodisagio tra quelle che sono al di fuori <strong>dei</strong>rapporti di coppia, che magari si sonoseparate. Sono ragazze che si vestono comenoi, hanno <strong>dei</strong> seri problemi di identitàperché non stanno né da una parte, nédall’altra. Sono queste quelle che soffronodi più in questo momento, magari più delladonna sempre accompagnata dall’uomoanche se decide sempre lui, però io vedo piùsofferenza in quelle che in qualche modosi sono distaccate e non sono traghettatecompletamente nell’altra cultura.Il panorama risulta ulteriormentearticolato se si considerano inoltre idiversi progetti migratori, le condizioni ele situazioni di vita vissute dalle donne.Il riferimento va, per esempio, allasituazione delle donne somale ed etiopiche, arrivando da sole, sviluppano progettimigratori e reti relazionali alternative aquelle <strong>dei</strong> nuclei familiari.Questo dipende soprattutto dallaprovenienza della coppia. Posso dire chele donne della Somalia e dell’Etiopiasono donne che arrivano da sole e chequindi hanno un progetto migratoriocompletamente diverso, sono ospitate,quindi sono accompagnate dalle operatrici.La loro vita è tra di loro e tra loro c’è unabuona relazione. Poi spostandoci nellarealtà veneziana, ma restando tra le donneafricane, perché da noi c’è una grandissimaaffluenza anche di donne dell’Est,delle Filippine e dello Sri Lanka - ci sonole donne tunisine che io vedo che sonoautonome, accedono ai servizi da sole.I rapporti coi loro mariti sonosufficientemente alla pari direi, quindi nonc’è questa dipendenza dal marito, nonvengono accompagnate da loro, non sono“mediate” da loro. Le loro scelte rispettoalle loro azioni sono scelte autonome, sonodonne che lavorano, quindi si pongono inuna maniera direi sufficientemente paritaria.La riflessione sopra riportata evidenziaancora l’aspetto dell’emancipazioneeconomica e di quanto risulti crucialel’acquisizione di un’autonomia.Di fatto, l’accesso a un reddito e laconseguente assenza o rotturadi dipendenza economica sembra favorire


Rapporto di ricerca nella regione Veneto90una maggiore disponibilità e libertàdi relazione anche nei confronti deglistessi servizi, che in simili circostanzeriescono a erogare un servizio migliore.Attraverso le interviste abbiamo potutoinoltre individuare tre elementi criticiprincipali che caratterizzano il rapportodelle utenti con i servizi e viceversa.Il primo fa riferimento alla sferacomunicativa, ossia alle difficoltà legatealla lingua. Il secondo fa riferimento allascarsa conoscenza delle diverse cultureafricane da parte degli operatori edella cultura <strong>dei</strong> servizi italiani da partedelle africane. Il terzo alla sfiducia neiservizi da parte delle donne.In questa direzione vanno le riflessionidi una delle intervistate.È importante chi accoglie: se un servizionon ha una buona accoglienza, loro nonsi sentono a loro agio. Non vengonoda te pensando che tu puoi fare grandicose per loro, sono abbastanza diffidenti,questo me lo dice anche la mediatriceculturale. Mi riferisco in particolareall’area nigeriana.È bene tuttavia evidenziare come l’utenzanon si definisca solo in questi termini.Le intervistate hanno infatti espostouna realtà nella quale accanto ad unapopolazione femminile profondamentelimitata dallo scarso livello di istruzionee integrazione, segnata da rapportidi genere non paritari, tendenzialmenteviolenti, vi sia anche un’altra tipologiadi utenza, che vede sia le donne che gliuomini africani in un continuo dialogocon la propria cultura e con il contestoculturale di arrivo. In altre parole, è viva lapercezione della presenza di uomini chepartecipano, che manifestano sensibilità eche appartengono a ceti che permettonouna elaborazione del progetto migratorioorientata alla piena integrazione.Anche quando l’uomo è assente nelmomento del contatto tra la donna e ilservizio sanitario, l’impressione è cheladdove vi è integrazione, questa assenzanon sia voluta, ma sia ad esempioimputabile al fatto che <strong>nelle</strong> comunitàafricane l’occupazione maschile èmolto più radicata di quella femminilee perciò la donna si reca da sola alconsultorio semplicemente perché ilmarito non può accompagnarla.Molto spesso le donne vengono a gruppettidi due, tre.Se questo è dunque il panorama generalerestituitoci dalla realtà <strong>dei</strong> servizi, vediamoora quanto è emerso in merito allaspecifica questione delle MGF.Anche in questo caso, la diversitàgeografica delle utenti africane è decisiva,perché delinea la tipologia di mutilazioneosservata dal personale sanitario.Vi è da sottolineare peraltro che letestimonianze ricavate dalle intervistecon il personale sanitario documentanola presenza nel nostro territorio di donneafricane sottoposte a MGF in patria ingiovanissima età. Si tratta sempredi persone adulte, sulle quali l’interventomutilatorio è stato praticato parecchianni addietro; le donne, al momento dellavisita, non dichiarano di averlo effettuato,probabilmente anche consapevoli delfatto che, in certi casi, la rilevazione puòrisultare difficile per la scarsità degli esitiregistrabili sulla morfologia <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>esterni <strong>femminili</strong>. Le intervistate e gliintervistati hanno riferito le maggioritipologie di mutilazione delle quali sonoa conoscenza attraverso la loro attività.Emerge che le mutilazioni più comunisono riconducibili a quelle praticate sulledonne del Corno d’Africa, il cui numeroperaltro è in diminuzione, e le mutilazionidefinite “minori” sono praticate sulledonne provenienti dall’Africa dell’Est.Rispetto a queste ultime, si sono rilevatialcuni elementi particolarmente criticisui quali occorre riflettere.Di seguito riportiamo le osservazionidi una delle intervistate.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto91Anche per i ginecologi, a meno che nonsi tratti di una mutilazione maggiore chequindi è assolutamente ineludibile,quando si tratta di clitoridectomia,parziale ablazione delle labbra, i segni nonsono così evidenti. Inoltre <strong>nelle</strong> personegiovani difficilmente si riscontrano<strong>dei</strong> processi patologici nei <strong>genitali</strong> esterni,ragion per cui non sono più di tantooggetto dell’attenzione del ginecologo,che invece rivolge di più l’attenzione al collodell’utero per la prevenzione <strong>dei</strong> tumori,l’utero stesso per controllare se ci sono<strong>dei</strong> fibromi, alle ovaie per le irregolaritàmestruali. In ambito universitario,quando mi sono laureata io, non se neparlava. Ho iniziato ad occuparmi di questaproblematica quando ero in Parlamento:sono stata in parlamento per tre anni.C’era un gruppo di parlamentari che sioccupavano di MGF all’interno del Ministerodelle Pari opportunità e io ne ho fatto parte.Lì è cominciato un interesse “indotto”,però a quel tempo (eravamo nell’89-’90),il problema della presenza degli stranieri,perlomeno in territorio veneziano, era moltorelativo. Non era così a Roma e Torino però.Comunque all’epoca non era una cosadi cui si sentiva, non era una cosa che cisi trovava ad affrontare dal punto di vistaprofessionale. Da allora però ci sono stativari convegni e si è accentuata, per quelloche riguarda il mio processo personaledi apprendimento, un’attenzione maggioreproprio per vedere di riconoscerle edi poterne dar conto, in modo che emergessee non rimanesse un fenomeno sommerso.Io di solito me ne accorgo perché ci stoattenta e normalmente <strong>nelle</strong> ragazzedel Delta State è pratica frequente.È pratica frequente la clitoridectomia?Sì.O anche l’ablazione delle piccole labbra?Tutt’e due. Non totale e in genere viene fattain maniera artigianale, non è che si puòaffermare che sia un’operazione che vienefatta chissà quanto bene.Che età hanno queste ragazze?Beh, quelle che vedo io sono tutte moltogiovani, tra i 20 e i 30 anni.Si rileva dunque la non ovvietàdell’osservazione di una mutilazione.Contrariamente a quanto accade conl’infibulazione, una lieve mutilazione nonlascia molte tracce e risulta pertantodifficile da individuare. In tal senso siesprime una delle dottoresse intervistate:Intanto io credo che noi non ci rendiamosempre conto di quando loro hanno avutola mutilazione genitale, perché a volte lemutilazioni sono per così dire “minori”,non sono devastanti, non cambianol’anatomia in modo così evidente da darcicertezza dell’avvenuta mutilazione.Sono solo alcune che subiscono quellamutilazione importante, in cui poi vienefatta una sutura, in cui in qualche modovengono chiuse le labbra e avvicinate tantoda lasciare un piccolissimo pertugio.Quelle sono veramente poche. La maggiorparte subisce delle mutilazioni (ci sonovari gradi di gravità delle mutilazioni)minori, per cui quando le vedi hai ideache ci possa essere stato qualcosa, manon ne hai la certezza. Allora glielo chiedi.Quando ti rispondono “Sì”, ok. Ma quando tirispondono “No”? Non sempre è chiarissimo.La maggior parte di quelle che vedo io sononigeriane e quindi per le nigeriane possodirlo con una certa sicurezza, con unabuona convinzione. Non ho un campioneabbastanza numeroso per poter estendere ildiscorso ad altre etnie. La mia impressione èquesta: che una donna che ha subítouna mutilazione genitale sa che qui èuna cosa poco accettata e quindi se lamutilazione non è così evidente, è possibileche la neghi per non dover discutere.Io ho avuto questa impressione.Che tipo di mutilazione è quella minore?Quando tagliano il cappuccio del clitorideo una parte del clitoride o tutto il clitoride,non è facile verificare se ci sia stata una


Rapporto di ricerca nella regione Veneto92mutilazione o no. Ci sono delle volte che èchiuso, ma non è chiuso del tutto e tu ti dici:“Boh?”. Non è sempre facile. Poi dipendemolto dalla sensibilità delle persone edalle occasioni, perché una donna si puòvisitare senza neanche guardare se ha subítouna mutilazione genitale, come dicevoquelle minori possono passare via senzache neanche ci si accorga, ci si accorgedi quelle chiuse.La criticità delle mutilazioni minori,tecnicamente definite Sunna, sta dunquenella difficile rilevazione, resa ancora piùimprobabile dal fatto che molte volte è lostesso operatore o operatrice sanitariache non pone la verifica della pratica tra ipossibili controlli da effettuare nella visita.Le MGF passano dunque inosservate e intal modo sono difficilmente definibilianche in termini quantitativi. Va da sé chese non si ha una conoscenza specifica,come quella dimostrata da quelleintervistate che hanno avuto esperienzeprofessionali in alcuni <strong>dei</strong> paesi africaniove la pratica ha una certa rilevanza,il fenomeno resta sommerso.In questa direzione va anche la seguentetestimonianza.Io sono stata in Africa da appena laureatae ho lavorato in due regioni diverse,cioè in Mali, dove ero in ginecologiae ho visto le grosse escissioni, e poi inMozambico, dove comunque c’erano menoproblemi di mutilazioni. Poi, in conseguenzadel fatto che dagli anni ’90 sono alconsultorio e lavoro soprattutto con le donnestraniere, ho visto le donne che sono quiin Italia. Qui in Italia non parlano del loroproblema. Loro vengono qui come ledonne normali.Lei vede donne nigeriane e ghanesi?Sì.Con mutilazioni?Sì. Però piccole. La maggior parte sonoescissioni parziali del clitoride o escissionedel clitoride. Altro qui non si è mai visto.A Vicenza ho visto un caso o due di somalecon escissioni totali.Se dunque la verifica della pratica apparein alcuni casi difficile, altrettanto sipresenta la possibile rilevazione dellareiterazione sulle bambine. Ancora unavolta, tra le questioni nodali c’è la difficoltàdi accedere ad informazioni difficilida reperire. Alcune delle intervistatehanno infatti riportato le difficoltàincontrate nel tentativo di verificareattraverso domande all’utente l’esistenzao meno della pratica, nonché l’intenzionedi reiterarla sulle bambine.Quando la mutilazione è minore la miasensazione è che le donne tante volte tidicano: “Non mi hanno fatto niente”.Io chiedo sempre: “Lei è stata operatada bambina, le è stato fatto qualcosa quida bambina?”. Loro mi dicono di sì quandoè talmente evidente che non si può negare,e secondo me qualche volta mi dicono dino, anche se hanno subíto una mutilazione.Perché quando la mutilazione è minore,loro si rendono conto che forse possonoanche dire che non è successo niente, senzache io possa dire: “Eh no signora, lei nonme la racconta!”. Io comunque non lo fareiperché non si può essere invadenti in questaarea, se una preferisce tenersi le cose per sé.È che comunque il motivo per cui lo chiedo,soprattutto quando sono incinte, è capire cheintenzione hanno in riferimento alle figlie.E quindi è lì che il discorso va sempre aperto.Certo, se loro non vogliono aprirlo non puoimica obbligarle. Le donne sono diverse,molte ti dicono: “Sì, io ho subíto questacosa ma non la farò a mia figlia! Perché cisono stata male, perché ci sto male ancora,perché non ci credo”. Altre ti dicono“Non l’ho subíta”, per esempio quando èuna cosa un po’ più piccola e così con quelloti chiudono un po’ la bocca. Altre ti dicono:“Sì” e quando tu apri il discorso sulle figlie,loro ti dicono: “No, io non farò niente”,con un altro livello di convinzione però


Rapporto di ricerca nella regione Veneto93rispetto a certe che ti dicono: “Non lo faròmai a mia figlia perché sono stata male”.Ogni donna è diversa. Cioè, io non mi sentodi dire che ci sia una tendenza delle donnea fare una cosa o un’altra. Tra quelle concui io ho parlato sono più quelle che mihanno detto che non lo faranno alle figlie,però non giurerei che quello che ti diconosia poi sempre quello che pensano.Perché in fin <strong>dei</strong> conti loro possono anchepensare: “Sono fatti miei”. Io credo chel’unico modo sia cercare di stabilire conloro un rapporto interpersonale di fiduciareciproca e allora te lo dicono, e ci vuoletempo. Le africane sono donne checomunicano molto, le donne dell’Africa nera,molto più che quelle del Nord dell’Africa,che sono molto più chiuse, molto più restie(non tutte però, un po’ alla volta ancheloro “mollano”). Diciamo che le donnedell’Africa nera sono molto più espansive,più estroverse. Hanno però comunquebisogno di tempo per fidarsi, perché unconto è essere espansive e un contro èfidarsi. Secondo me quando di una personasi fidano, poi dicono, parlano. Ma non c’ènessun modo per farselo dire, di sicuro,parlandoci una volta.Allo stesso modo si esprime ancheun’altra dottoressa.Quando ne parliamo c’è molta negazione,probabilmente perché loro sanno che questacosa qui in Italia non si può fare. Qui c’èuna buona accoglienza ma non si fidanocompletamente di noi.Tendenzialmente c’è dunque l’impressioneche la pratica, nei servizi, si collochi inuna dimensione di presunta assenza e chepertanto sia anche limitatamente oggettodi attenzione e problematizzazione.Di fatto, con l’eccezione degli operatorie delle operatrici con esperienze direttee con particolari “sensibilità”, si rilevauno stato di conoscenza tendenzialmenteridotto, soprattutto per ciò che riguardail contesto locale nel quale si manifesta.Tuttavia, tutti gli intervistati/e hannomanifestato grande interesse e curiositàper questo problema e in genere hannoespresso il bisogno di approfondire tuttele questioni di natura medica collegatealla presenza nel nostro territoriodi comunità portatrici di specificitàdi natura sia culturale sia clinica.La mia impressione è che questo sia unfenomeno sotterraneo, che non vienevisionato, che passa inosservato anchedal ginecologo, perché l’incisione può poiguarire definitivamente e non lasciar segno.Bisognerebbe aumentare la comunicazionecon queste donne affinché parlino perché ioricordo <strong>dei</strong> travagli in assoluto silenzio!Tu puoi comunicare anche senzaparlare, con la mimica, ma erano donnecompletamente assenti, che rendevanopesante l’interazione, anche il solo accostarlee sostenerle. Mi viene da pensare che quil’abbandonino: entrando nel nostro sistemaculturale modificheranno un po’ quello chepuò portare a patologie in futuro.Siccome io ritengo che le donne sianointelligenti, nel momento in cui capisconoche la metodica può far insorgere patologiedi altro tipo, io credo che l’abbandonino.Però è un mio sentire.Un discorso diverso meritano ovviamentei casi nei quali gli operatori sonodi fronte all’infibulazione. In questacircostanza, le implicazioni derivantida eventuali interventi di <strong>dei</strong>nfibulazionee reinfibulazione possono porre alcunidilemmi che interagiscono direttamentecon la normativa italiana del 2006.Tuttavia, dalle interviste realizzateè emerso che gli interventi direinfibulazione, soprattutto su richiestadelle utenti, sono pressoché assenti,soprattutto negli ultimi anni, anche perchécollegati a mutilazioni che nel territoriodel Veneto sembrano essere in remissione,stando alle indicazioni fornite dai medici.Vi è peraltro da considerare che quandola donna lascia la sala parto non è


Rapporto di ricerca nella regione Veneto94materialmente <strong>nelle</strong> condizioni fisichedi poter chiedere un eventuale interventoreinfibulatorio, e perciò tale esigenza nonviene comunque espressa al personalemedico delle sale parto.Di fatto comunque, le implicazioni e lecomplicazioni mediche che gli operatorisanitari hanno affrontato con le donneinfibulate non sono di certo sottostimabili.Riportiamo una delle testimonianzedi un medico somalo che lavora da anninel servizio ospedaliero di una provinciadel Veneto.Quando sono arrivato in Italia ho dovutoaiutare nella <strong>dei</strong>nfibulazione di questeragazze. Avevano problemi di mestruazioni,problemi psicologici, sofferenze; una donnache non poteva avere rapporti con suomarito. Questa donna mi diceva che avevamale quando aveva rapporti col maritoe per giunta era rimasta incinta.Allora l’ho portata da un dottore cheaveva avuto un’esperienza in Somalia e luil’ha <strong>dei</strong>nfibulata.Tuttavia, in considerazione della dinamicità<strong>dei</strong> flussi migratori, la presenzadi infibulate è piuttosto limitata, e nei casidi intervento che ci sono stati riferiti gliesiti sono stati positivi.L’aspetto dell’infibulazione ci proietta<strong>nelle</strong> considerazioni che gli operatori ele operatrici intervistate hanno elaboratorispetto alla legge 7/2006. Nelle intervisteci è sembrato infatti opportuno valutareil loro atteggiamento rispetto alla leggeitaliana contro le MGF e sondare quelleche secondo loro potrebbero essere lepossibili azioni di intervento e prevenzione.Tutti gli operatori e le operatrici hannomanifestato l’opportunità dell’interventolegislativo, ma, come peraltro glialtri soggetti intervistati nel corsodi questa ricerca, hanno anche espressola necessità di affiancare all’azionerepressiva non solo adeguati progettidi informazione e prevenzione, ma unruolo attivo e partecipativo di mediatori emediatrici africane e <strong>dei</strong>/lle rappresentantidi associazioni e di comunità.La legge dunque si rivela un importanteelemento di un più complesso progettodi intervento che vede le principalilinee di azione nell’appropriatezzadel linguaggio, nella strategia diavvicinamento alle diverse comunità enella stimolazione di un discorso tesoa scoraggiare la pratica prima di tuttoall’interno <strong>dei</strong> diversi gruppi. Gli operatorie le operatici hanno infatti evidenziatocome in diversi casi il solo fatto di rendereuna pratica illegale non sia sufficientecome deterrente.Ho l’impressione che soprattutto perle nigeriane, per il basso livello culturaleche hanno, per il disagio economico esociale che vivono, la sanità è forse l’unicocollegamento. A parte quelle che lavorano<strong>nelle</strong> cooperative che hanno fatto passiavanti, hanno una chiusura pazzesca neiconfronti della nostra società.Che ruolo avrebbero i servizi sanitari neldivulgare la conoscenza di questa legge?Per me sarebbe importante perché se parlidi queste problematiche a livello sanitarioriesci anche a spaventarle meno che se diciloro che è illegale e che rischiano il carcere.Le spaventi, si chiudono e siccome nellaloro testa non cambia niente, continuano afarlo illegalmente. Invece se ne parlassero,non dico per forza con il sanitario ma anchecon il socio-sanitario, con figure magaridi scienze dell’educazione che sono moltoaffini a noi, si riuscirebbe a partire dal fattodella salute, di dare alle loro figlie una buonasalute, piuttosto che dare un’informazionesempre in negativo, punitivo: “Se lo fai vaiin galera”. Secondo me non conosconoassolutamente questa legge.Cioè sanno che è vietato, ma nonconoscono la norma.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto95Sanno quello che è proibito, anche il citotecè proibito e ne assumevano in quantitàdilaganti. Non è su questo che bisognainsistere, devi col tempo far capire loroche è una procedura di buona salute.Tuttavia l’importanza delle legge non èstata in alcun modo messa in discussionee, come sottolinea uno degli intervistati,una posizione decisa, seppur maturata<strong>nelle</strong> perplessità, si rende semprenecessaria.Cosa pensa della legge italiana controle mutilazioni?Che è fondamentale in un paese civileschierarsi contro queste cose. Poi capireè più difficile.Interviene a proposito un altro intervistato.È importante anche il ruolo degli stessiafricani leader di comunità.Un coinvolgimento più che un ruolo,un loro coinvolgimento nei luoghi di potere,insomma al tavolo delle trattative, perchésolo così possono portare il seme nellacomunità. Devono essere parte del progetto.Il percorso interno alle singole comunitàdiventa dunque centrale.Inoltre, è importante sottolineare comegli stessi operatori e operatrici abbianovisto nella legge una modalità attraversola quale far emergere il fenomeno, cosìcome accadde per la legge sull’aborto.L’informazione, la divulgazione, la rotturadel silenzio emergono dunque ancheall’interno <strong>dei</strong> servizi sanitari come altrestrategie da mettere in campo nella lottacontro le MGF.Ma secondo lei il fatto che da noi e in altripaesi esiste un divieto formale contro lemutilazioni, che effetti provoca?Io credo che possa avere un buon effetto,dipende da come viene impostatal’informazione e soprattutto il percorsodell’informazione, quindi non il divietotout-court, perché l’informazione e laconoscenza portano ad una consapevolezzadiversa del prendersi cura di sé. Comedicevamo prima non è il divieto in sé cheva fatto, ma è importante come si strutturail percorso: serve l’intervento <strong>dei</strong> sanitari,andrebbe approfondita la conoscenza delcorpo stesso, l’informazione in termini anchesanitari, bisognerebbe responsabilizzare lepersone nel prendersi cura di sé, non solocome donna ma anche come coppia, quindientrare nella sessualità, <strong>nelle</strong> relazioni uomodonna.Non basta l’intervento di personalesanitario italiano, bisogna anche avvalersidella collaborazione di rappresentanti dellecomunità presenti sul territorio.Anche la mediazione culturale,come sottolinea un’altra intervistata,gioca un ruolo di rilievo:In uno <strong>dei</strong> tanti convegni a cui hopartecipato sulle mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, mi era molto piaciuta una donnaeritrea che aveva un certo ruolo all’internodella sua comunità, che diceva che questeleggi, quando noi le promulghiamo neinostri paesi, sono estremamente importantinei loro e poi è molto importante che neiloro paesi loro promulghino leggi simili allenostre perché si fa la legge per far sapereche la pratica non è più consentita.Quindi anche la legge ha la sua funzionenel far modificare l’atteggiamento rispettoad alcune cose, in positivo però. Così comeper me la legge sull’aborto e sulla tuteladella maternità permette che il fenomenodivenga emergente, che non ci sia piùl’aborto clandestino, che la gente si confronticon questo e che si confronti finalmentecon la contraccezione. Qui è lo stesso percerti versi, come meccanismo intendo dire.Poi ovviamente ci sono delle cose moltodiverse, ma è importante che venga dettoqualcosa ed è molto importante che lacomunità straniera sappia entro quali limitisi può muovere. È giusto secondo me cheuno sappia che qui non può avere diecimogli, è giusto che uno sappia che qui non


Rapporto di ricerca nella regione Veneto96può fare le mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>perché qui non sono considerate degne diuna donna. Quindi poi si deve confrontareall’interno della sua comunità, dev’esserciuna discussione per permettere che questepratiche vengano superate.Altrettanto importante è la necessitàdella formazione a operatori e operatrici.Una formazione però che superi la steriletrasmissione di informazioni in meritoalla pratica. Viene avanzata la necessitàdi un percorso di sensibilizzazione cheriveda i presupposti e gli atteggiamentistessi degli/lle operatori/trici nellarelazione con le utenti. In tal senso siesprime una delle ginecologhe intervistate.In ambito sanitario credo che bisognastimolare l’attenzione: mai superficialità,mai giudizi affrettati e ascoltare le persone,lasciarle parlare e guardarle. Molto spessoperché abbiamo tempi rapidi, perchéabbiamo molte persone davanti, perchéabbiamo chi ci aspetta fuori, tiriamo viaveloci e finiamo la visita avendo saltatoquesti passaggi, che sono parlare, ascoltare eguardare, guardare in faccia, guardare se halividi (anche se è nera li vedi), guarda se hacicatrici (anche se è nera le vedi), guardarei <strong>genitali</strong>, cercare di capire se sono ugualia quelli delle altre o se c’è qualcosa didiverso. Dopo che si è parlato per un po’con una persona, si sia cominciato a farsiaccettare, perché la prima volta nessunati risponde - si può cominciare ad aprire ildiscorso anche sul tipo di vita che fa qui,sul tipo di famiglia in cui si trova, se hasubíto mutilazioni da bambina. Allora sonodomande che un po’ alla volta si possonofare, ma la persona prima deve aver capitoche sei disposta ad ascoltare. Tutto il restoviene dopo secondo me. Non lo so, perché èsempre molto violento proporre agli altri dicambiare, però ci possono essere delle coseche a loro piacciono, che le attraggono, cheloro ritengono migliori di quelle a cui sonostate abituate e quindi, visto che loro e i loromariti hanno deciso di andar via dal posto incui stavano, potrebbero pian piano cercaredi ottenerle, proprio perché sono andati inun paese diverso che gli ha proposto anchedelle opportunità diverse. Non c’è solo illavoro. Allora se il marito le ha portate quiper avere alcune opportunità, accorgersi chene esistono altre e cominciare a chiedere.Allo stesso modo, i servizi potrebberodiventare, secondo gli/le operatori/triciintervistati/e, un luogo privilegiato nelquale affrontare un discorso sulle MGFbasato sull’aspetto medico e sanitario,che esuli da giudizi di valore su ciò cheè giusto o sbagliato, un discorso che nonscaturisca dalla constatazione di unasanzione ma da una conseguenza perla salute.Intanto penso che bisognerebbe attivareuna formazione per far capire a una culturacome quella italiana che esistono anchealtre culture. Dire che questa è una cosabrutta e cattiva, dire che noi siamo il bene eloro sono il male non equivale a partire colpiede giusto. Io posso non circoncidere il miobambino maschio, ma per un’altra culturapuò essere anche una buona procedura.Non vedo perché devo dire che è sbagliatovisto che non c’è nessun effetto collateraledal punto di vista medico. Quindi ilpersonale andrebbe formato nel senso chenon dobbiamo pensare che solo noi siamodepositari di cose giuste. Poi andrebbeattivato tutto quello che nel territorio c’èche è più vicino a questi stranieri, quindile associazioni, le Consulte, le parrocchie,e andrebbero trovati <strong>dei</strong> mezzi informativi,quindi video perché bisogna ricordare chec’è gente istruita e non istruita, quindi nonbisogna fare una informazione che prevedaper forza un buon livello di istruzione.In conclusione, <strong>nelle</strong> interviste con isanitari è emerso che la maggioranzadella popolazione femminile africanache si rivolge ai consultori provieneda Nigeria, Ghana, Senegal e solo inminima parte dai paesi del Corno d’Africa,


Rapporto di ricerca nella regione Veneto97rispecchiando dunque la composizionefemminile della popolazione africanaimmigrata nel Veneto. In base a quantorilevato dalle interviste, appare evidentecome la diversa provenienza geograficatenda a caratterizzare non solo il diversorapporto con i servizi, ma anche latipologia di intervento richiesto.Abbiamo inoltre rilevato che lamaggioranza delle utenti provenientidall’Africa dell’Est, e in particolaredalla Nigeria, si rivolge ai serviziprevalentemente per problematiche legatea gravidanza e parto. È quindi un’utenzaper la quale si lavora generalmentenei casi di emergenza o di patologieavanzate, ovvero in prospettiva del parto.Le caratteristiche anagrafiche esocio-culturali delle utenti appaionodeterminanti nella definizione dellarelazione. Ovviamente l’accesso a unreddito e la conseguente assenza orottura di dipendenza economica sembrafavorire una maggiore disponibilità elibertà di relazione delle donne anchenei confronti degli stessi servizi, che insimili circostanze riescono a erogare unservizio migliore.Rispetto alle MGF, la diversitàgeografica delle utenti africane delineaevidentemente la tipologia di mutilazioneosservata dal personale sanitario.Emerge come le mutilazioni più comunisiano riconducibili a quelle praticatesulle donne del Corno d’Africa, peraltrosempre meno presenti, e le mutilazionidefinite “minori” siano proprie delledonne provenienti dall’Africa dell’Est.Piuttosto significativa è la non ovvietà dellarilevazione della pratica anche quando ladonna vi è stata sottoposta. Se dunquela verifica della pratica appare in alcunicasi difficile, altrettanto complicata èl’indagine sulla reiterazione alle bambine.Tendenzialmente, c’è quindi l’impressioneche la pratica nei servizi si collochi in unadimensione di presunta assenza e chepertanto sia anche limitatamente oggettodi attenzione e problematizzazione.In ogni caso non emerge una casisticache induca a pensare ad interventi direcente effettuazione su donne adulteo adolescenti. Tutti i casi testimoniati siriferiscono ad episodi avvenuti nei primimesi o nei primi anni di vita della donnanei paesi di origine. È opinione diffusatra il personale sanitario che, pur nellapersistenza, il fenomeno delle MGF sia inqualche modo in viadi ridimensionamento o che comunquenon coinvolga le donne presenti nel nostroterritorio in termini drammatici,soprattutto con riferimento alla volontà/necessità di intervenire sulle bambine siaportandole all’estero, sia effettuando quil’intervento clandestinamente.L’impressione generale è però cheil personale sanitario non abbia unaconoscenza adeguata della normativain materia di MGF, come peraltrodelle implicazioni esistenti sul piano legalerispetto all’obbligo di referto o di denunciache può presentarsi in talune circostanzedi fronte ad episodi di mutilazione odi fronte al rischio di mutilazione.La divulgazione di informazioni e la rotturadel silenzio, unitamente al coinvolgimentodelle comunità soprattutto attraverso imediatori culturali, sembrano le strategieda mettere in campo per l’abbandonodella pratica. Altrettanto importante èla formazione degli/lle operatori/tricisanitari/e: una formazione che superila sterile trasmissione di informazionie stimoli piuttosto la necessità di unpercorso di sensibilizzazione che rivedai presupposti e gli atteggiamenti stessidegli/lle operatori/trici nella relazionecon le utenti. Allo stesso modo, i servizisanitari potrebbero diventare, su propostadegli/lle operatori/trici intervistati/e, unluogo privilegiato nel quale affrontare undiscorso sulle MGF basato sull’aspettomedico e sanitario, che esuli da giudizidi valore su ciò che è giusto o sbagliato,lecito o illecito.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto99/ L’approccionormativoalle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>:l’esperienza delleforze dell’ordine /di Paola Deganioggetto del colloquio. Infatti, nell’arcodi poche settimane, due fatti di cronacaavvenuti rispettivamente a Treviso ea Bari, dove si era verificato il decessodi due bambini di origine nigeriana inseguito ad interventi di circoncisionerituale maschile effettuati al di fuoridi strutture ospedaliere e senza alcunaprecauzione di tipo igienico-sanitario,avevano riportato all’attenzione l’esigenzadi tutelare le fasce più deboli, soprattuttoi più piccoli, da pratiche consuetudinarie erituali condotte al di fuori di quei contestidi sicurezza che le rendono possibilianche nel nostro paese, quando non sianoesplicitamente vietate.Le interviste effettuate con alcunirappresentanti delle forze dell’ordine e conun rappresentante della magistratura sonostate orientate a verificare la conoscenzasul piano professionale del fenomenodelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> el’impatto della nuova normativa nazionale,cioè dell’introduzione, con la Legge 7/2006,Disposizioni concernenti la prevenzione eil divieto delle pratiche di mutilazioni degliorgani <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, dell’art. 583-bisdel Codice penale, che prevede alcomma 1il delitto di mutilazioni <strong>genitali</strong> eal comma 2 quello di lesioni <strong>genitali</strong>.Nel dialogo con gli interlocutori siè tentato di mettere a fuoco alcuniaspetti del fenomeno delle mutilazioni,considerando soprattutto la scarsitàdella casistica esistente sotto il profiloinvestigativo e giudiziario, non solosuccessiva all’adozione della nuovalegge, ma anche precedente, quando lecondotte di mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>rientravano nell’ambito del reato di lesionipersonali, e perciò la loro repressionepassava attraverso l’utilizzo degli artt. 582e 583 del Codice penale.Le interviste sono state effettuate in unperiodo piuttosto particolare per i temiLa questione del ricorso a usanze econsuetudini dalle quali può scaturireun danno alla persona sul piano fisico,psicologico e sessuale è ovviamenteconnessa al fatto che negli ultimi annisempre più famiglie di origine africanasi sono stabilite in Italia. Via via che illoro numero cresceva e si registrava unaumento nell’utilizzo <strong>dei</strong> servizi pubblici,soprattutto di pediatria, ostetricia eginecologia, oltre alla medicina di base ea quella di emergenza, nel nostro paesesi è cominciato a parlare della presenza didonne e di bambine portatrici di interventidi escissione e infibulazione. Tale problemaperaltro trovava un riscontro limitato sulpiano della repressione di queste condottequando realizzate in danno di minori odi donne residenti nel nostro territorio;tale esiguità era dovuta anche allascarsa sensibilizzazione degli operatorisanitari e di tutti coloro i quali avrebberoil dovere di segnalare ai servizi sociali,alle forze di polizia e alla magistraturaeventuali situazioni a rischio o i nominativi<strong>dei</strong> soggetti che possono essere statisottoposti a MGF in tempi “sospetti”.In parallelo, si cominciava a registrare unacasistica consistente circa la presenzadi minori di sesso maschile appartenentia comunità etniche e religiose dedite


Rapporto di ricerca nella regione Veneto100alla circoncisione rituale, pratica cheappartiene a molti popoli, sia dell’anticoOriente mediterraneo, sia dell’Africanera, sia ancora dell’Australia primadella colonizzazione, ed è comunqueantichissima. Con riferimento allacirconcisione rituale maschile,la questione che si è posta, anche insede di Comitato Nazionale di Bioetica(CNB) già nel 1998 26 , è se tale pratica creiproblemi bioetici e possa essere eseguitao meno come prestazione a carico delServizio Sanitario Nazionale italiano,anche in considerazione del fatto che,in una prospettiva più generale,una pratica che provoca modificazionianatomiche irreversibili viene realizzatasu soggetti di minore età, e perciò non ingrado di prestare un valido consenso.È proprio il Comitato nazionale di bioeticaa riconoscere che la compatibilità con ilnostro ordinamento giuridico di tale praticaappare oggi un dato assodato, soprattuttoin considerazione del fatto che <strong>nelle</strong>culture che praticano la circoncisione,e segnatamente in base al diritto ebraico,questo adempimento costituisce unpreciso obbligo personale posto a carico<strong>dei</strong> genitori del neonato o di chi ne fa leveci, e viene vissuto come atto devozionalee di culto. Assumendo per i fedeli talecaratterizzazione religiosa, la prassi dellacirconcisione può essere oggettivamentericondotta alle forme di esercizio del culto,garantite dall’art. 19 Cost., che prevedepiena libertà di espressione e di sceltain campo religioso, limitandosi a vietaresoltanto eventuali pratiche rituali contrarieal “buon costume”. Sotto questo specificoprofilo, precisa il cnB, l’atto circoncisorionon pare contrastare con il parametrodel “buon costume”, ove quest’ultimosia inteso secondo l’accezione ristretta26 Comitato nazionale per la bioetica, I Pareri delComitato, La circoncisione: Profili bioetici 25 settembre1998, on line al sito web: http://www.governo.it/bioetica/testi/250998.html .comunemente accolta in questa materia,ossia come complesso di principi inerentialla sola sfera dell’onore, del pudore edel decoro in campo sessuale.Inoltre, sempre secondo il pareredel cnB, tale prassi, di per sé stessa,non sembra essere lesiva di altri benivaloripure costituzionalmente protettie potenzialmente coinvolti, quali,ad esempio, quello della tutela <strong>dei</strong> minorio quello della loro salute; in effetti lapratica di sottoporre i figli maschi acirconcisione sembra rientrare in queimargini di “disponibilità” riconosciutiai genitori dall’art. 30 Cost. in ambitoeducativo e, pur lasciando tracceindelebili e irreversibili, non produce,ove correttamente effettuata, menomazionio alterazioni nella funzionalità sessualee riproduttiva maschile.Sulla base di questi presupposti siconsidera che l’operazione circoncisoriamaschile non rientri fra gli attidi disposizione del corpo umano dannosiper la persona e, dunque, giuridicamenteilleciti. Peraltro anche nel caso incui subentrino problemi nella faseimmediatamente successiva all’intervento,questi sono in linea generale di entità cosìlieve da provocare di norma una malattiainferiore ai 10 giorni.Una volta accertata la non illiceitàdi questa pratica, rimane, soprattuttoalla luce <strong>dei</strong> recenti episodi di cronaca,il problema delle modalità della suaeffettuazione. Tale questione viene risoltanel senso di estendere la normativa cheregola la pratica circoncisoria ebraicaper analogia a tutte le altre confessionireligiose che pratichino la circoncisione.Quanto alla conformità della praticacirconcisoria ebraica ai principi del nostroordinamento giuridico, rilevano alcunienunciati contenuti nella legge 8 marzo1989, n. 101, che ha approvato l’intesastipulata fra lo Stato italiano e l’Unionedelle Comunità ebraiche italianeil 27 febbraio 1987.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto101I decessi <strong>dei</strong> due bambini a seguitodi intervento di circoncisione rituale hannoovviamente sollecitato l’attenzionedelle forze dell’ordine attorno al problemadelle pratiche mutilatorie, soprattutto conriferimento alle donne e alle bambine,in virtù dello specifico divieto di leggeintrodotto dal nostro legislatore nel 2006.Di fatto, <strong>nelle</strong> settimane in cui ledrammatiche vicende legate ai duebambini deceduti a seguito dellacirconcisione sono state oggettodi cronaca, giornali e televisioni hannoriproposto con forza servizi sullemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>,anche sull’onda del riconoscimentoavvenuto sul piano internazionale delleMGF quali forma di violenza contro ladonna e i minori; si sono inoltre soffermatisulla Legge n. 7/2006, ponendo particolareattenzione alle due fattispecie penaliintrodotte con il nuovo art. 583-bis c.p.,alle misure di carattere preventivodi vario genere e alla previsione nellanorma dell’istituzione di un Numero Verdepresso il Ministero dell’Interno.Più volte si è sottolineata la durezzadella disciplina sanzionatoria sia penaleche amministrativa.Le interviste effettuate perciò hannosicuramente risentito di questo momento“caldo”. Tutti gli operatori di polizia edella magistratura coinvolti hannomanifestato grande sensibilità e curiosità,nonché conoscenza <strong>dei</strong> principaliprofili che connotano la questione dellemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, ma ancheun grande interesse verso le pratichecirconcisorie maschili e il ricorso adinterventi posti in essere in ambienti econ strumenti non idonei, e perciò nonammessi dalla legge, con riferimentosoprattutto alla comunità nigeriana.Durante le interviste agli operatoriè stato espressamente chiesto checonoscenza avessero delle MGF sul pianoprofessionale, se fosse loro mai capitatodi dover indagare su fatti di questo tipo eeventualmente come si fossero svoltele situazioni oggetto di investigazione edi indagine giudiziaria.Un’altra parte delle domande èstata dedicata alla nuova legge, especificamente a comprendere se ilcorredo normativo messo a punto dallegislatore sia da ritenersi adeguato acontrastare e prevenire questo fenomeno.In altre parole, che idea avessero lorodella scelta di introdurre una normaincriminatrice ad hoc per i delitti dimutilazioni <strong>genitali</strong> e di lesioni <strong>genitali</strong>(art. 583-bis c.p., commi 1 e 2) e se inveceil ricorso agli artt 582 e 583 c.p. in temadi lesioni personali gravi e gravissime,previsto prima della promulgazione dellaLegge n. 7/2006, presentasse ambiti dicriticità rispetto all’esigenza di fornire unarisposta efficace sul piano repressivo alfenomeno delle MGF.Tali domande sono state posteconsiderando l’esperienza maturatada altri paesi europei ed extraeuropeiche da anni hanno adottato unanormativa ispirata agli stessi criteridi quella attualmente vigente in Italia,la cui applicazione concreta però hamostrato parecchi problemi. Infatti<strong>nelle</strong> comunità coinvolte dal fenomenodelle mutilazioni l’idea che l’adesioneai sistemi sociali di riferimento passianche attraverso la reiterazione di questepratiche è molto forte; perciò la percezionedi commettere un delitto è decisamentedebole, o comunque avvertita in modonon vincolante se rapportata al “doveresociale” di marcare i corpi delle donne (maanche <strong>dei</strong> bambini) con i segni tradizionalidelle comunità di appartenenza.Il colloquio ha cercato anche di esplorarela scarsa attenzione che in Italia haricevuto questo problema dal punto di vistadegli organi di polizia e della magistratura.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto102In questo senso la visibilità assunta dallacomunità nigeriana rispetto al problemadella circoncisione maschile, ma ancheil coinvolgimento di questa nazionalità<strong>nelle</strong> pratiche mutilatorie <strong>femminili</strong>,come documentato nell’inchiesta di Veronae come confermano anche i risultatidella presente indagine, soprattutto conriferimento alle testimonianze <strong>dei</strong> sanitari,richiama due considerazioni: da un latola presenza sempre più significativa informa stanziale di queste popolazioni nelnostro territorio, dall’altro la visibilità che inigeriani hanno rispetto alla commissionedi reati collegati allo sfruttamento dellaprostituzione e allo spaccio di sostanzestupefacenti e la conseguente possibilitàche anche gli interventi di mutilazionevengano intercettati con maggiorprobabilità all’interno di questo gruppopiuttosto che in altri, in occasionedi indagini su delitti di natura diversa.Un altro quesito ha riguardato il ruoloche le soggettività potenzialmentea contatto con le comunità coinvoltepotrebbero assolvere rispetto ad iniziativedi prevenzione e di repressionedel fenomeno. Uno specifico quesito hariguardato le risorse/informazioni/supportinecessari per contrastare questo tipodi condotte.Alcune domande sono state formulateleggendo le MGF come forma di violenzacontro la donna e i minori, e perciòtoccando direttamente il tema <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, soprattutto con riferimento allanecessità di intervenire con strumentidi tipo preventivo.Un’attenzione particolare riveste l’indaginedella Squadra Mobile e della Procuradella Repubblica di Verona, trattandosi adoggi dell’unico caso giunto alle cronachedi ricorso alla Legge 7/2006.Ricostruiamo qui di seguito i fattiutilizzando la testimonianza degliinvestigatori relativa ad un’operazionedi polizia realizzata pochi attimi primache iniziasse l’intervento mutilatorio eperciò in evidente flagranza di reato.Tale ricostruzione dà conto in modoesauriente della conoscenza puntualeche oggi le forze di polizia hanno circale modalità con le quali si sviluppa ilfenomeno delle MGF e della sensibilità concui guardano a questo problema.La domanda che apre al racconto eratesa a comprendere la conoscenzadel fenomeno sul piano professionale el’eventuale casistica relativa a episodidi MGF.Sul piano professionale quando era appenaentrata in vigore la leggedel 9 gennaio 2006, la n. 7, stavamosvolgendo un’attività di indagine su unfenomeno prostitutivo nigeriano che eracaratterizzato da una vera e propria trattadi giovani ragazze nigeriane, movimentatedalla Nigeria su una rotta aerea fino alNord Europa, che poi venivano immessesul mercato prostitutivo del Nord Italia,quindi Veneto, Lombardia, un po’ tuttol’asse longitudinale dal Piemonte al Veneto.E investigando su questo filone, intorno alfebbraio del 2006, anche grazie ad ausilidi tipo tecnico, ci siamo imbattuti in unadonna nigeriana residente qui a Veronacon carta di soggiorno, quindi ancheintegrata dal punto di vista lavorativo, chepraticava interventi su neonati appartenential suo stesso gruppo etnico nigeriano.Quindi abbiamo deciso di approfondire serealmente questa donna praticasse interventidi mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>attenzionando con presidi tecnologici questadonna, e abbiamo riscontrato che già avevapraticato delle circoncisioni maschili surichiesta degli stessi genitori. Questi eranosempre nigeriani, anche loro residenti sulterritorio provinciale e regolarmente inseritianche da un punto di vista lavorativo esociale. Si tratta di famiglie che richiedevanoquesto tipo di intervento, di circoncisionemaschile appunto, su neonati di pochi mesi.Fino a quando poi, invece, non ci siamo


Rapporto di ricerca nella regione Veneto103imbattuti, proprio, con meraviglia e sorpresa,anche alla luce della legge che era stataappena promulgata, in una coppia di genitoriche invece richiedevano l’intervento,questa volta per una femminuccia.Subito abbiamo capito che si trattava di unaMGF e in questo caso, vista l’appartenenza<strong>dei</strong> soggetti coinvolti al Sud della Nigeria,della cosiddetta clitoridectomia. Ci siamoresi conto che questa donna si apprestava aporre in essere questo tipo di interventodi MGF e quindi abbiamo informatoanche la Procura. Credo sia stato il primocaso e probabilmente ancora l’unico.Il procedimento penale, ancora in fieri,riguarda, come capo d’imputazione,il reato previsto dall’art. 583 bis comma 1del c.p., così come introdotto dalla leggein argomento.Quindi, subito dopo che i genitori hannocontattato la donna, abbiamo sviluppatodegli accertamenti e verificato che la coppia,della provincia di Verona, già con un altrofiglio, aveva avuto due settimane primauna bambina. Dalle conversazioni abbiamosentito che era inequivocabile il tipodi intervento che la donna doveva effettuare.Addirittura essa dava <strong>dei</strong> consigli.Infatti, quando hanno cominciato a parlaredi sofferenza, la donna ha detto: “Facciamol’intervento lo stesso giorno in cui primaandrete a fare i fori al lobo degli orecchi,così la faremo soffrire una sola volta”.Quindi si percepiva anche un certo pathos,peraltro anche da parte nostra, comeinvestigatori. L’aspetto umano in primiscolpisce ciascuno di noi.Dal discorso abbiamo percepito che ladonna richiedeva anche di essere assistita:“La bambina deve essere tenutaassolutamente immobilizzata!”. E mentreil padre rassicurava sul suo intervento ditener ferma la bambina, abbiamo sentitoin sottofondo la madre che piangeva e sirifiutava. Forse questo è un aspetto chefa ben sperare affinché questo fenomenoemerga dalle persone stesse che praticanoquesto tipo di mutilazione. Da parte nostra,quindi, anche la consapevolezza di non potersbagliare i tempi di intervento.Un intervento troppo precoce magaririschiava di trovarci nei cosiddetti attiprodromici e di non configurare il tentativo,con la impossibilità di poter instaurare ilconseguente procedimento penale. In noic’era anche la consapevolezza di non poterritardare, perché ritardare di un minutopoteva significare che la neonata restassemutilata per tutta la sua esistenza. Il tuttosi è svolto sotto la regia del Procuratorecapo e del sostituto procuratore, che hannoseguito e coordinato questo primo caso.In quest’attività d’indagine ci siamoadoperati come per gli altri casi di reatigravi, sotto tutti i punti di vista, ovverodal punto di vista proprio delle energie,dell’ascolto continuativo, ecc. Fin quandonon è stato fissato l’appuntamento il 31marzo del 2006 alle ore 18. I fatti si sonosvolti così: la donna con una borsa in pelle èuscita dalla sua abitazione, si è recata con lasua vettura qui in provincia, ha suonato, edè stata ricevuta alla porta dall’uomo. Doponeanche 30 secondi siamo entrati a nostravolta e praticamente siamo intervenuti nellaflagranza. La bambina dormiva in camerada letto. La donna aveva già tirato fuori dallapropria borsa il materiale per operare: delleforbici, della lidocaina (un anestetizzante),antibiotici e delle bottigliette anonime,forse prodotti tipici dell’area nigeriana chevengono utilizzati durante questo tipo dipratiche. Tutto era ormai pronto, rientrandoquindi nella fattispecie della flagranzaprevista dall’art. 583 bis 1° comma.Subito, poi, abbiamo riscontrato anche chequel materiale non era asettico, sterile.Le forbici presentavano delle macchie diruggine, con tracce ematiche, probabilmentedi altri interventi. Questo per evidenziarei rischi che derivano oltre che dallamutilazione, anche dall’operare in questecondizioni dal punto di vista sanitario.In questo caso siamo riusciti, quindi, abloccare e a operare questo primo arrestoin flagranza, che è stato poi convalidatodal GIP con il capo d’imputazione 583 bis


Rapporto di ricerca nella regione Veneto104comma 1. Il procedimento è ancora in fieri,non essendo ancora stato definitodal punto di vista del giudicato penale.Questo dunque il racconto <strong>dei</strong> fatti relativiall’indagine di Verona.Per quanto concerne l’efficacia dellanuova legge rispetto alla possibilitàdi emersione di questi fenomeni vi èda segnalare, a detta degli operatoridelle forze dell’ordine, che sicuramentela configurazione autonoma di questo tipodi reato già prevista in altri Stati europei,e specificamente il richiamo ai documentidella Conferenza internazionaledi Pechino del 1995 sulle donne e sulrispetto ai <strong>diritti</strong> inviolabili delle persone edelle donne, va nella giusta direzione.La previsione di una figura autonomadi reato sembra cioè potenzialmenteaiutare il contrasto di questi fenomeni,anche perché c’è una previsionesanzionatoria per chi praticamaterialmente l’intervento – personalemedico o strutture sanitarie – con minimiedittali alti, che sicuramente possonorisultare deterrenti rispetto a eventualipratiche clandestine.Inoltre la norma così come è prevista forseserve a stimolare la riflessione, ancheall’interno delle comunità, sulla valenza esulla retributività delle pratiche nel nostrocontesto sociale. Interessante in propositoil passaggio sopra riportato in un’intervistain cui la Squadra Mobile di Veronaintercetta la mamma che piangendodice: “Io mi rifiuto di tenere ferma miafiglia”. Questo tipo di atteggiamentopuò essere significativo di una fratturaall’interno delle singole famiglie e forsedelle comunità circa l’opportunità o menodi reiterare queste pratiche. Può essere unsegnale che fa ben sperare.La nuova normativa, secondo gli operatoridi polizia, si pone poi in rapportocorretto anche rispetto al problemadella prevenzione.In questo senso c’è ancora moltoda lavorare. La legge del 9 gennaio 2006nei vari articoli prevede anche tutta unaserie di informazioni attraverso i mediatoriculturali, i presidi sanitari, tutti gli ufficipresso i quali uno straniero appena entratonel nostro territorio nazionale si rivolgeper motivi di assistenza amministrativa,logistica, quindi tutta una serie di campagneinformative; quanto più è capillare il reticolodell’informazione, tanto più si può andare asollecitare, a far da pungolo a quello spiritocritico, affinché una coppia di genitori riflettase è il caso o meno di sottoporre alla praticadella mutilazione la propria figlia o seforse è meglio per il bene della propria figliarinunciarvi. Perché poi con queste pratichedi fatto la donna finisce con il rinunciarealla propria individualità in nome dellaimmedesimazione e accettazione nel gruppodi appartenenza. Alcune persone dicono:“Noi non commettiamo alcun crimine,è soltanto la nostra cultura”.Anche le stesse donne, più mature eanziane, esse dicono, per esempio:“Una bambina non escissa è una bambinadella quale la famiglia non si è presa cura”,e quindi è etichettata come una donna,una ragazzina, non buona, inaffidabile.Ci sono proprio aspetti del modo di vivere,di sentirsi di questi gruppi di queste areesu cui è necessario lavorare. Diventa alloraimportante il confronto affinché un genitoreo una coppia di genitori decida di nonrivolgersi più alla donna di turno per farequesto tipo di pratica.Nelle interviste effettuate con le forzedi polizia è emersa l’importanza delruolo <strong>dei</strong>/lle mediatori/trici culturali, giàampiamente sperimentato in alcuni ufficisia amministrativi che di polizia giudiziarianella relazione con le vittime di tratta,con i richiedenti asilo e altre forme diprotezione <strong>umani</strong>taria. Ma più in generale<strong>nelle</strong> interviste viene segnalata comeuna priorità l’esigenza di lavorare sullasensibilizzazione. Facendo riferimentoancora all’esperienza veronese:


Rapporto di ricerca nella regione Veneto105A parte i mediatori culturali, occorrecoinvolgere anche il personale sanitario,i servizi socio-sociali, il mondo della scuola,perché sono tutti soggetti che in qualchemodo possono intercettare o venire acontatto con queste persone. Si tratta di unavera e propria filiera o rete, tanto più efficacequanto più le maglie della rete sono strette,già partendo dalle scuole elementari,quindi nei presidi scolastici, nei consultorifamiliari, negli ambienti di lavoro,<strong>nelle</strong> fabbriche. Oltre ai mediatori culturali,che sono poi la figura principe. A volte cisi trova di fronte alla cosiddetta ignoranzalegis, tanto che le persone contattate cidicevano: “Ma noi non sapevamo chein Italia fosse reato!”. Probabilmente losapevano. Però in alcuni casi possonoesserci situazioni di reale non conoscenzadella rilevanza penale di una condottadi mutilazione. In ogni caso le attivitàdi sensibilizzazione e la formazionedi materiali di sensibilizzazione dadepositarsi presso gli uffici immigrazionedelle questure e quindi presso le comunitàmigranti, potrebbe essere utile in qualchemodo a comunicare un messaggio del tipo:“Guardate, da noi questa pratica è vietata,non aiuta, anzi rischiate pure!”. Egualmentepresso i comuni. La prima tappa di unimmigrato è la questura per le procedureamministrative, l’ufficio nel capoluogo diprovincia. Però poi, nella provincia, ognisingolo comune ha la sua percentuale dicittadini, residenti, migranti. Quindi quantopiù è capillare sul territorio questo tipo dicampagna e di informazione, tanto piùcontribuiremo a far sì che emergano e nonrimanga questo l’unico caso, per far sì che cisia una maggiore emersione del fenomenovisto che al momento non sembra esserci.Quanto all’efficacia della norma penalelicenziata dal legislatore nazionalenel 2006 per contrastare il fenomenodelle MGF, è interessante metterein luce l’emergere tra gli operatorigiudiziari di un parere più critico rispettoall’atteggiamento di generale favoreespresso dagli operatori di polizia.In particolare è in discussione la possibilitàche l’esistenza di una fattispecie ad hocdi reato possa servire in qualche modo afar emergere più accuratamente la realtà.Io sono scettico a questo proposito.Ritengo utile il fatto che “inventandosi”una norma che forse c’era già o si potevaritenere già esistente, si è in qualche modocontribuito alla crescita di sensibilità rispettoa questo tipo di problema. Quindi sottoquesto profilo è positiva l’introduzionedella nuova norma. Però per mia cultura,abitudine ed esperienza personali,ho constatato che l’inasprimento delle penee la configurazione di nuove ipotesi di reato,non sono mai riuscite a frenare fenomenicriminosi: “Se una persona vuole delinquerenon si spaventa di questo”. Quindi c’è unqualcosa di molto più profondo, grave eimportante che è costituito dal fatto chechi fa ricorso a queste pratiche e anche chile subisce, molto spesso lo fa perché pertradizione, per religione, per convinzionepersonale, ritiene che sia opportuno egiusto farle. Allora il dramma è che qui, noi,abbiamo sanzionato un comportamentoche per la nostra cultura è assolutamenteincivile, grave e compromettente la libertà,l’autodeterminazione della donna,un comportamento però che per altre etnie,per altre realtà, culture, religioni, invece,è un fatto giusto, forse sacrale e meritevole.Questo rende il fenomeno sicuramente moltopiù grave. Peraltro questo dato trova riscontronegli altri paesi, perché anche laddove lanorma è in vigore da anni, in realtà poi allacondanna non solo non segue la pena,ma non c’è la prova del fatto che la previsionenormativa di questi reati sia riuscita afunzionare in qualche modo da deterrente,a far ridurre il numero di reati. Non c’è questaprova, e d’altro canto le ragioni sono quelleche abbiamo detto prima.Interessante è però rilevare la funzionesimbolica che la nuova legge può giocare,piuttosto che intervenire in modo più


Rapporto di ricerca nella regione Veneto106efficace sulla repressione del fenomeno.È difficile pensare che l’esistenza di unanorma ad hoc, relativamente a questotipo di condotte, renda più facile eventualiattività di contrasto, nel senso che non èpossibile creare un collegamento direttotra il fatto che le MGF non emergano e lanon previsione di una fattispecie specificaper questo tipo di comportamento.Diciamo che al di là della norma espressaad hoc sulle mutilazioni <strong>genitali</strong>, per noi sitrattava di ricorrere alle norme utilizzabilidi fronte a lesioni gravi o gravissime,quindi bene o male per noi operatori diautorità giudiziaria, la norma è intervenutasemplicemente a specificare una condotta.Forse sul piano simbolico l’Italia ripudiaquesto tipo di attività e quindi va adesprimere questo disvalore con una norma adhoc che riguarda appunto le mutilazioni.Ma voglio dire che il nostro codice giàprevedeva il reato di lesioni gravi egravissime. Bisognerebbe lavorare forse piùsulla comunità nigeriana o piuttosto africana,in quanto è lì che avviene questo tipo diattività invasiva e lesiva, allora forse lavorarepiù su di loro, che non a livello investigativo.Diversamente un altro operatorericonosce che:La legge sicuramente è stata importanteperché ha portato alla luce questofenomeno che la massa delle persone nonconosceva, però forse bisogna intensificarel’attività di divulgazione, forse soprattuttodi sensibilizzazione nel comparto sanitario.La difficoltà ad applicare la norma e adintervenire sul fenomeno potrebbe esserecomprovata dall’esiguità della casisticagiudiziaria.Io penso che dipenda proprio dal fatto chequeste manovre, appartenendo appuntoalla sfera intima, sia di chi le riceve, siadella famiglia nella quale queste personevivono e sia anche da parte di chi le pratica,probabilmente sono fatti e comportamentiche queste persone preferiscono tenereriservati e quindi non vengono alla luce.Io capisco, non giustifico, ma comprendoquelli che per lunga tradizione, per cultura,pensano che sia giusto fare questo e lofanno. Per cui se lo fanno <strong>nelle</strong> loro realtà,dove spesso vanno a praticarle tuttosommato il fatto non è criminalmenteriprovevole, almeno per il nostroordinamento giuridico. Quello che mi lasciamolto perplesso, che mi turba, è il discorsoche da parte <strong>dei</strong> responsabili di questecollettività, ovvero delle persone raziocinantidi queste collettività, delle donne che sonotantissime e che non condividono questeprassi, non ci siano iniziative per segnalare,per denunciare. Perché loro sanno benissimochi è che pratica queste manovre, che lepratica a pagamento, con scarsissime tuteledi carattere sanitario, che lo fa in manieramolto rischiosa. Tutto questo non vienea galla, non si conosce, non si sa.Questo secondo me è grave, perché significache molta di questa gente non solo tollera,non solo vive queste situazioni quasigiustificandole, ma non fa assolutamentenulla per invertire l’ordine delle cose, non fanulla per ridurre questo fenomeno. Questonon è un rimprovero, è una constatazione.Le interviste fanno emergereun’aspettativa di collaborazione diversa,forse disattesa, soprattutto con il mondosanitario. Lo esprimono bene le paroledi un intervistato:Il personale sanitario, purtroppo, a sua volta,è affetto da un altro problema,che è costituito dal fatto che da anni ormaic’è una sorta di “medicina difensiva”.Nel senso che i medici sono molto spessopreoccupati delle rogne, <strong>dei</strong> problemi, neiquali sono costretti poi ad essere coinvoltise segnalano. Allora io ricordo spesso che ilmedico è un pubblico ufficiale e in quantotale ha l’obbligo del referto. Non è undesiderio, un optional, è un obbligo. Hannoil dovere di segnalare queste cose, di fare il


Rapporto di ricerca nella regione Veneto107referto. Il medico che non segnala, per me,è colpevole, è complice, è connivente.Allora bisognerebbe fare non solo operadi persuasione nei confronti <strong>dei</strong> responsabilidi queste varie comunità, che vivono sulterritorio italiano, ma anche fare operadi convincimento per la classe sanitaria,sempre col presupposto che si sia d’accordosul fatto che questi fatti sono gravementelesivi della libertà di una persona,quindi non tollerabili nel nostro Stato.Anche sul collegamento possibile tracomunità coinvolte in questo tipodi pratiche e livelli di delittuosità di altrotipo da parte di queste ultime, le opinionidivergono tra i soggetti interessatidalle interviste. È evidente <strong>nelle</strong> paroledi questo intervistato:Non c’è un collegamento, credo. Il problemaè trasversale e riguarda tutte quante le etnie.Perlomeno noi siamo abituati a seguirequesti filoni, si combatte la droga e sicombattono anche tutti quelli che gestisconola droga, si combatte il fenomeno quindi,indipendentemente dal fatto che sianodell’una o dell’altra etnia. Il dramma è che,ripeto, queste condotte, che attengono poialla sfera personale, non possono emergerese non ad opera di chi o le subisce o le fa.Naturalmente chi le fa non lo dice,chi le subisce non lo dice lo stesso, ed èdifficile che emergano.Ecco perché se c’è qualcuno - io continuoa battere il chiodo su questo punto - cheè responsabile di una collettività, di unacomunità, che risiede in Italia e chevuole vivere in Italia, nel rispetto delleleggi presenti in Italia, se queste personesi convincono obiettivamente del fattoche, indipendentemente dalle tradizioni,dalla cultura, il fatto è di per sé illecito,un reato, allora devono convincersi chedevono cominciare a far qualcosa ancheloro. Altrimenti poi non possono sperare inun’integrazione vera, perché un’integrazionevera, in Italia, non può avvenire se nonrispettando le regole presenti.In questo tipo di dichiarazioni è presenteanche un maggiore scetticismorispetto alla capacità delle azioni disensibilizzazione di incidere sul fenomeno.Non tutti i soggetti contattati vedonocome potenzialmente efficace rispettoalla conoscenza di questa pratica e alnostro modo di trattarla anche sul pianopenale la distribuzione di materialidi sensibilizzazione, ad esempio aglisportelli immigrazione delle questure onei centri di prima accoglienza, o ancoranei municipi e in qualche misura in tutti iluoghi che vengono toccati dai migranti.Diversamente invece viene guardatal’azione diretta sui mediatori culturali e suirappresentanti di comunità, che hannoun ruolo di trasmissione del sapere,ma anche di veicolazione delle condotte.Entra nel discorso anche la proposta del“rito alternativo”, vista come una soluzionedi possibile mediazione, di compromesso,dove il gesto simbolico, che sia simbolico,venga salvaguardato per salvaguardarele tradizioni delle culture, per mettere aposto le loro coscienze. Mentre il tuttonon si configura poi in una limitazionedella libertà sessuale.Un altro profilo interessante emerso nelcorso delle interviste riguarda la difficoltàdi accertare eventuali interventi di MGFquando la lesione non è così evidenteda poter essere qualificabile come certa.È un problema dichiarato anche daisanitari, molti <strong>dei</strong> quali hanno messo inluce la difficoltà di riscontrare la presenzadi MGF quando gli interventi si limitanoall’asportazione parziale del clitoride.Un caso due anni fa ha riguardato unaminore senegalese su cui si aveva lapresunzione che fosse stata mutilataai <strong>genitali</strong> e quindi è stato aperto unprocedimento penale, che però è statoarchiviato, in quanto la visita medico-legale


Rapporto di ricerca nella regione Veneto108non ha riscontrato alcun tipo di lesioni.O meglio, la visita medico-legale non hadato certezza che quel tipo di conformazionepatologica dell’organo genitale dellabambina potesse essere riconducibile ad unamutilazione. Non so se si possa parlaredi una grossa lacuna da parte del consulentetecnico nel fare una valutazione peritaleadeguata su questo tipo di mutilazioni.Questa bambina era inserita nel nucleofamiliare, quindi si portava dietro <strong>dei</strong>timori dovuti al fatto che le sue eventualidichiarazioni potessero avere unaripercussione su se stessa una voltaritornata nel suo nucleo familiare di origine.Per cui vi è stata questa difficoltà cheriscontriamo prevalentemente neibambini. Non abbiamo avuto casi specificitranne questo. Non abbiamo neancheriscontri oggettivi nei confronti di personemaggiorenni, pur essendo l’Ufficiocollegato alla rete antiviolenza del Comuneche è una grossa realtà a livello regionale.Pur avendo noi, da parte del Dipartimentodella Pubblica Sicurezza, il monitoraggiodella fenomenologia, sono avvenutesegnalazioni da parte di donne adultedi eventuali mutilazioni <strong>genitali</strong>,ma perpetrate nel paese di origine.Quindi parliamo di donne senegalesi chesono uscite dal giro della prostituzione enel contesto giudiziario oltre a denunciaregli sfruttatori e gli aguzzini, raccontavanoanche di episodi di mutilazioni <strong>genitali</strong>,ma avvenuti in tenera età nel paese diorigine. Noi abbiamo senegalesi o nigerianeche sono portate da organizzazioni criminalisul territorio, e quindi sulla strada,ma vengono portate qui che hannogià una certa età, nel senso che sono giàmaggiorenni o comunque a uno stadiodi sviluppo fisico adeguato, e questemutilazioni vengono riportate comeavvenute in tenera età.Pertanto nella realtà della nostra provincia,al di là di questo caso, di cui l’indagine nonha avuto esito positivo e su cui rimarràsempre un grosso dubbio, non abbiamoavuto altre segnalazioni.La questione è letta come problemache chiama alla collaborazione di tutti isoggetti potenzialmente vicini a personedirettamente coinvolte nella pratica.Io fondamentalmente sono dell’idea chequando si lavora ad un progetto si mettonoenergie in termini di uomini, di personale,di impegno, quando il problema è sentito eesiste. In questo caso, purtroppo, noi delleforze dell’ordine non abbiamo dati che ciportano a far comprendere la fenomenologia.Quando noi diciamo che abbiamo avuto uncaso due anni fa e che da dodici anni c’èl’Ufficio Minori, fa pensare a una statisticadello 0,000000 e x%. Mi allaccio anchead altri uffici investigativi, per esempiopenso alla Mobile. Dai lavori che hannofatto sulla prostituzione sono venuti fuori<strong>dei</strong> casi, collegati alla fenomenologia dellosfruttamento, dove la ragazza dichiaravadi essere stata infibulata in tenera età.Ma il problema - come tra l’altro la stampaha riportato in sordina qualche settimana fa,su Treviso se non sbaglio perché è decedutoun bambino a causa di un interventodi circoncisione - non è sentito, forseperché avviene all’interno dello strettocerchio delle comunità e quindi non vienedato ai più sapere che esiste, e non vienerilevato. Quindi come facciamo noi ad aprireun’attività investigativa? Non possiamoaprirla su questioni di questo genere senon abbiamo elementi sui quali lavorare.Abbiamo visto con quella bambina di dueanni fa la reticenza da parte <strong>dei</strong> soggetticoinvolti e interessati, come mamme,donne che a loro volta hanno subito intenera età la cosa, perché non solo tolleranoma sono anche le stesse che accompagnanoprobabilmente le bambine a fare questo,per un retaggio culturale, per la sudditanzapsicologica nei confronti del maschio, oquant’altro. Non sta a noi valutare, ma stadi fatto che per noi è difficile aprireun’attività investigativa dove non abbiamonessun tipo di riscontro, dove dovremo,dicendolo in “soldoni”, fare uno screening atutte le donne senegalesi o di altra comunità


Rapporto di ricerca nella regione Veneto109che abbiamo nel territorio per vedere chi èstata oggetto di questo tipo di mutilazionima poi anche capire dove è stata fatta:“È stata fatta nel mio paese quando avevo5 anni!”. Abbiamo, cioè, questa grossadifficoltà, non abbiamo nessuno che ci vienea riferire. Quando ci troviamo di fronteall’episodio, ci troviamo di fronte ad ungrosso problema per quanto riguarda l’aprireun’indagine investigativa vera e propria.Il quadro complessivo emerso daicontatti avuti con operatori di poliziae magistratura mette in luce in modoinequivocabile difficoltà di tipo praticooperativo,ma anche di altro genere,circa la possibilità di intervenire su unfenomeno che ha nella clandestinità enella riservatezza <strong>dei</strong> circuiti comunitarientro il quale probabilmente si ripropone ifondamentali elementi di caratterizzazionee che verosimilmente nel nostro territorioriguarda fortunatamente donne adulte chehanno subíto la pratica nei paesi di originemolti anni prima; così lontano nel tempo,di fatto, da ipotizzare che si é di frontecomunque a reati caduti in prescrizione.Da parte degli intervistati è sembratoesserci quasi un senso di “impotenza”rispetto al trattare sul piano dellarepressione qualche cosa che si saesistere, ma su cui ad oggi di fatto non si èintervenuti se non in via marginale, sia inchiave di prevenzione che di repressione.La scarsa collaborazione tra le soggettivitàinteressate dal problema è forse unadelle ragioni dell’inconsistenza sul pianoinvestigativo e giudiziario, ad oggi,di questo fenomeno.Sui risvolti della legge in questo sensoobiettivamente poco si può dire, vistal’esiguità della casistica.L’idea che le MGF costituiscano unamanifesta forma di violenza nei confrontidelle donne e delle bambine è radicata intutti gli operatori intervistati, che inoltrehanno unanimemente messo in lucecome in taluni contesti culturali ed etniciil ricorso a punizioni corporali e gravirestrizioni della libertà personale sianopurtroppo frequenti. Tuttavia anche <strong>nelle</strong>situazioni di emersione di episodi rilevantisul piano penale, ma magari perseguibilisolo su querela, resta la sensazione delladifficoltà, se non della impossibilità, diandare ad incidere in modo più efficace sulfronte della minaccia di sanzioni.Sicuramente è un discorso dove la donnaviene vista come soggetto che deve esserelimitato in certe sue manifestazioni.C’è una funzione sociale di controllo inquanto mutilare la donna significa chela donna è obbligata quantomeno a nontradire. Questo il meccanismo mentaleche scatta laddove si fa questo tipodi pratica, così come la donna non deveassolutamente provare piacere durante unrapporto sessuale. Nella forma più gravedi mutilazione, cioè nell’infibulazione,la donna al momento del parto viene<strong>dei</strong>nfibulata e subito dopo reinfibulata, contutte le conseguenze che ne derivano, perchéla donna non deve essere in grado di tradire,non deve provare piacere. Quindi è chiaroche sono tutti comportamenti che derivanoda una situazione di soggezione delladonna stessa. Non a caso anche la nostraCostituzione si ispira al dettato dell’art. 583.Infatti gli artt. 2, 3, 32 contengono i <strong>diritti</strong>inviolabili della persona come per esempio ildiritto alla salute, ovvero <strong>diritti</strong> fondamentalipropri di tutte le persone.La conoscenza delle questioni rientranti<strong>nelle</strong> MGF è sembrata più che adeguata,sebbene la riflessione attorno a taluneusanze diffuse in molte comunitàfosse probabilmente riconducibile,nel periodo considerato, all’eco <strong>dei</strong>tragici episodi avvenuti a Treviso e a Bari,riguardanti peraltro interventidi circoncisione maschile.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto111/ Il confrontocon l’associazionismodi promozione<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>rivolto alle donneimmigrate /di Annalisa ButticciNello svolgere la ricerca non abbiamovoluto ignorare l’importante ruolosvolto dal mondo associativo attraversola realizzazione di servizi che siconcretizzano in azioni, iniziativee interventi rivolti alla popolazioneimmigrata. Negli ultimi anni, il territoriodella regione Veneto ha infatti potutocontare su un dinamico panoramaassociazionistico che ha reso il terzosettore particolarmente attivo edefficiente. L’offerta di servizi sociali,sanitari e assistenziali, di sportelli estrutture di segretariato sociale, diprogetti per la promozione della persona,della famiglia, della scolarizzazionehanno assunto un carattere sempre piùspecialistico, mirato alle persone migranti,e conseguentemente sempre più espertodelle peculiarità e delle diverse esigenze<strong>dei</strong> destinatari.In questa prospettiva, la conoscenzadi questi servizi e delle diverse struttureistituzionali impegnate nell’ambitodell’elaborazione di politiche e di azionipromozionali ci è apparsa particolarmenteutile al fine di includere un ultimo anellonella catena di soggetti che, dalle donneai mediatori, dai rappresentantidi comunità alle forze dell’ordine e aimedici, costituisce il contesto localee la rete che il progetto di ricercaha voluto indagare.Per questa ragione, si è ritenutoopportuno incontrare alcune dellerealtà maggiormente significative delterritorio per promuovere un confrontosulle questioni che sono risultateparticolarmente significative nel percorsodella ricerca. A tal fine è stato realizzatoun workshop con le referenti di associazionie istituzioni del territorio, le quali apartire dalle loro diverse professionalità ecompetenze di psicologhe, psicoterapeute,operatrici, componenti di commissionipari opportunità, hanno condiviso le loroconoscenze ed esperienze professionaliin merito alle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, nonché il loro approcciopersonale nei confronti della pratica.Ai fini della ricerca, si è proceduto inprima istanza a monitorare il livellodi conoscenza della pratica, apparsodirettamente collegato al tipo di utenzache i servizi incontrano <strong>nelle</strong> loro attività.Va da sé che i servizi coinvolti in primapersona con donne provenienti da paesinei quali le MGF sono particolarmentesignificative hanno riferito di esperienzemolto dirette. Al contrario l’azionedi chi opera in istituzioni impegnate inattività prevalentemente promozionaliha evidenziato una conoscenzatendenzialmente più astratta, legataa campagne di sensibilizzazione oall’implementazione di progettidi intervento.Diverse sono state le donne presenti chehanno raccontato la loro esperienza ela conoscenza della pratica; di seguitoriportiamo quanto riferito da una dellepsicologhe presente al workshop da anniimpegnata nella realizzazione di attività eservizi per immigrati, con una particolareattenzione alla dimensione di genere edunque alla realtà delle donne straniereresidenti nel territorio.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto112Nella mia personale esperienza hotrattato questo problema soprattuttocon la comunità somala, nel momentoin cui la comunità somala era un forteperno all’interno dell’associazione eda un anno all’altro è sparita.Proprio per questo abbiamo cercatodi indagare e la cosa fondamentale era chele figlie delle donne somale non riuscivano atrovare un buon marito perché la comunitàsomala qui a Padova e nel Veneto si stavavia via ridimensionando, per cui tutta lacomunità è emigrata a Londra; ad oggi lacomunità somala qui a Padova è formatada pochissime famiglie, che tra l’altrosi conoscono e sono in un certo sensotra loro imparentate, devo dire che sonoanche le famiglie che hanno uno standardsociale più alto, per cui sicuramentehanno già superato questo problema…I figli non hanno subíto quello che lemamme hanno subíto e <strong>nelle</strong> personeche collaborano con noi verifichiamo unasorta di ridimensionamento rispetto aqueste pratiche lesive, questa è un po’ lanostra esperienza. La comunità nigerianaè presente nell’associazione, ma ad oggialmeno in associazione a me non è statosegnalato un aiuto in questo versante.È vero che sicuramente la questioneè importante ed è presente. Detta inpoche parole e superficialmente è questal’esperienza della nostra associazione.(M., Unica Terra, Padova)Allo stesso modo, una delle operatricidi una cooperativa che si occupa di servizidi accoglienza per donne che hanno subítoviolenza, racconta la sua esperienza.Quando lavoravo come operatrice in unacasa di accoglienza abbiamo avuto unadonna nigeriana e le abbiamo chiestoesplicitamente se aveva fatto la praticaa sua figlia e lei ci ha risposto di sì,con molta fierezza rispetto a questo,che voleva dire anche distanza, cioè“Non chiedermi più”. (G., Cooperativa Isidee Centro Antiviolenza, Venezia)Altrettanto significativa può essere laquestione delle MGF per gli operatori chelavorano presso il servizio che si occupadi rifugiati politici e richiedenti asilo,dove sono state realizzate alcune delleinterviste con donne adulte presentatein questo lavoro.Voi sapete che ospitiamo molte donnesomale ed eritree. Sono arrivate settedonne somale. Non hanno mai affrontatodirettamente il problema della mutilazione,di conseguenza di come loro l’hanno vissuta,nei colloqui che hanno con noi.Tranne una donna nigeriana, che sostenevadi riuscire ad avere una sessualità migliorecon il marito, dopo il parto della bambina.erò solitamente ho a che fare con personerichiedenti asilo, persone che vengonodalla prigionia, da sfruttamenti e da tortureper cui non dovrei andare direttamenteio nell’argomento, non è una cosa che sitratta… Pur sapendo che sono statequasi tutte sottoposte a questa pratica,anche perché poi è capitato chedovessero fare una serie esami, per cuisi è potuto anche verificare…(N., Opere Riunite Buon Pastore, Venezia)Sono tuttavia molto rari i casi in cui lapratica diventa motivo di confrontoe discussione. Emerge inoltre come ladifficoltà di accesso a simili ambiti e sferedella vita privata renda difficile un realeconfronto tra le operatrici e le donneafricane in merito alle MGF. Di fatto,appare evidente che la stretta vicinanza eil quotidiano rapporto non costituisce unassunto dal quale dedurre l’accessibilità ela confidenza necessaria per condividerel’esperienza e l’approccio personale.L’eloquenza delle parole della donnaafricana all’operatrice della comunitàdi accoglienza – “Non chiedermi di più” –mette in evidenza l’atteggiamentodi chiusura che molte volte sembrariscontrarsi anche rispetto a questi servizi,che concentrano la loro attenzioneproprio sull’accoglienza e il supporto


Rapporto di ricerca nella regione Veneto113alle donne straniere. Confermano questoaspetto anche le parole di una psicologaoperatrice in un servizio di Venezia edi un’operatrice di un servizio di Rovigo,le quali sottolineano quanto possa esserecomplesso raccogliere informazioni sullapratica anche nell’ambito delle attivitàdi servizi che tendono a rilevare quanto piùpossibile delle condizioni e delle situazionidi vita delle utenti.Quello che a noi capita di riscontrare è cheintanto è un tema difficilissimo da toccare,assolutamente le donne non ci parlanodi questa cosa… Però ovviamente noisiamo disponibilissime a ragionare su questotema perché ci interessa.(G., Cooperativa Iside e CentroAntiviolenza, Venezia)È l’esperienza che vivo tutti i giorni, in cuiperò non siamo mai entrati in contatto conle donne in questi tipo di temi, che sono unpo’ particolari. Quindi noi rileviamo i bisognidi tipo abitativo e lavorativo, com’è lasituazione… Ma non altre cose.(D., Arcisolidarietà, Rovigo)L’aspetto dell’accessibilità ad unargomento come quello delle MGF hainoltre stimolato una riflessione trale donne presenti all’incontro sulledifficoltà legate alla più ampia questionedella fruibilità <strong>dei</strong> servizi da parte delledonne straniere. Diversi sono stati gliscambi di opinione rispetto alle ragionidi questa distanza. In tal senso è apparsoforse importante per le donne presentiinterrogarsi prima su tale distanza per poiapprofondire l’aspetto della condivisionedell’esperienza delle MGF con le utenti<strong>dei</strong> loro servizi. In questa direzione vannole parole di un’operatrice di Venezia, laquale, nell’esprimere quanto rilevato inmerito alle difficoltà delle donne africanead “avvicinarsi”, pone la questionedell’opportunità o meno di operareattraverso servizi dedicati prevalentementealle donne straniere.Quello che volevo dire è che abbiamosì un bacino molto elevato di donnestraniere che aumentano di anno in anno,ma sono soprattutto in percentuale moltoelevata donne dell’Est o donne dell’Africadel Nord. Per cui le donne dell’Africadel Sud, che sono quelle che, a memoria,se non sbaglio sono più colpite, sono moltomeno come bacino d’utenza.Abbiamo qualche nigeriana che èarrivata, ma fanno molta fatica comunquead avvicinarsi a noi. Il primo puntodell’approcciarsi delle donne straniere aservizi che sono sì per donne, ma che nonsono differenziati. Noi all’interno del centro,quando cerchiamo comunque di avere <strong>dei</strong>momenti di riflessione sulle nostre pratiche,cerchiamo di farci questa domanda,ad esempio apriamo una nuova casa:l’accoglienza la facciamo solo per donnestraniere? O il servizio è sia per donneitaliane e sia per donne straniere?Da una parte la nostra risposta è: nonvogliamo fare distinzione o segregazione,per cui noi accogliamo in egual modosia donne italiane sia donne straniere,di qualsiasi nazionalità, accogliamoanche transessuali, accogliamo qualsiasisituazione in cui ci sia violazione di genere,nella dimensione in cui la violenza di genereè sopraffazione dell’altro, con modalitàche si possono inscrivere in una culturache fino ad adesso è stata comunque,come dire, patriarcale, per cui anche i figliche si rivalgono sui genitori… In un certomodo adesso abbiamo anche questo tipodi utenze. E secondo noi fanno moltadifficoltà perché comunque c’è proprio una,in qualche modo, “auto-segregazione”rispetto al concetto di accoglienza.Mentre altri servizi sono specificamentededicati. Forse vengono percepiticome meno discriminanti, io mi faccioun po’ quest’idea.(A., Cooperativa Iside, Venezia)E vedo anche nella pratica, io collaboro dapoco più di un anno con Mimosa di Veronaed è difficile che si rivolgano donne straniere


Rapporto di ricerca nella regione Veneto114– parlo di straniere in genere proprio,non italiane – tanto meno africane ecco.(S., Telefono Rosa, Verona)Le ragioni che secondo le presentipossono essere alla base delle difficoltàdi interazione delle donne straniere con iservizi locali aprono inoltre una riflessionesulla preparazione degli stessi operatori eoperatrici. Come sottolineano alcunedelle presenti, manca lo sforzo da parte<strong>dei</strong> servizi e delle strutture di incrementarei progetti di formazione e aggiornamento,il che limita di conseguenza gli strumenticonoscitivi a disposizione di coloro chequotidianamente si relazionano con ledonne straniere. In tal senso si esprimela psicoterapeuta di un servizio dedicato adonne straniere.Io vedo che il motivo per cui nonusufruiscono di servizi pubblici, soprattuttoper quelli psicologici, più che medicali,è appunto per la non-preparazione delpersonale. Io stessa ho fatto lezione in uncorso per operatori dell’ASL e le donneche hanno partecipato hanno detto chesoprattutto i primari degli ospedali nondanno i permessi per fare questo tipodi corsi, perché loro li ritengono inutili.Manca la preparazione, ma anche per lebanalità: a me è capitato di portare,in questo caso un uomo, ma è per farvicapire, e che quest’uomo dovesse parlaredi suo figlio che doveva essere inserito in unacomunità. Lui era consenziente perché nonavendo qua la moglie non poteva andare alavorare se questo bambino non lo tenevanessuno e la neuropsichiatra si è messa acompilare un foglio standard, tipo“Quando è nato il bambino? È nato atermine?” e cose così. Quest’uomo curdoturconon ne sapeva una di risposte, perchéla loro cultura non ha a che fare con questesituazioni qui, e in questo modo si è alzatopensando: “Adesso me lo portano via,penseranno che non sono un bravo papà”.Quindi proprio dalla base dell’incontromancano le informazioni, la formazioneecco. Molte volte riesco a creare un rapportocon queste persone, più sul mio essere comedonna che sulla mia professionalità.Le donne africane molte volte mi siavvicinano sapendo che sono donna e chesono madre, dopo allora posso inserire lamia professionalità. Ho avuto una donna cheha avuto per un anno grossissimi problemiallo stomaco. Non c’era nessuna motivazionemedica per quello che lei aveva.Noi eravamo convinti che lei stesse male,ma lei diceva: “Non mi credete perché irisultati dicono che non sono malata”.Sono stata io a spiegargli cos’è la malattiapsicologica, psicosomatica.(N., Opere Riunite Buon Pastore, Venezia)L’esigenza della formazione è dunquemolto sentita da parte delle presenti,che evidenziano quanto però possaessere difficile far passare progettualitàa lungo termine. Nella riflessioneappena riportata, la psicoterapeuta fapresente la resistenza di alcuni medici,che non ritengono la formazione el’aggiornamento una priorità. Allo stessomodo, la presidente della CommissionePari Opportunità di Rovigo riportala sua esperienza e il tentativo dielaborare una prospettiva di educazionee formazione nell’ambito della salute edell’immigrazione, in particolare quellalegata all’Africa, e delle MGF.Quando proponemmo ai Presidentidella Camera e del Senato, in rete conaltre persone, un documento perché lalegge avesse un iter molto più veloce efosse appoggiata in modo bipartisan,presentammo anche un questionario alquale i medici del nostro territorio avrebberodovuto rispondere, sulla conoscenza da parteloro del fenomeno e di come proponevanodi entrare in contatto con le donne chesi fossero rivolte o al pronto soccorsoo agli ambulatori ginecologici. Fu datainoltre, sempre in quell’occasione, anchegrazie all’Assessore alle Pari Opportunitàprovinciale, l’opportunità di lavorare


Rapporto di ricerca nella regione Veneto115con le ASL del nostro territorio attraversoun progetto sulla formazione obbligatoriache poi non fu attuato.(M., Commissione Pari Opportunità,Rovigo)Emerge dunque la necessità dellaformazione degli operatori socio-sanitariin merito all’utenza africana, in cui apparenecessario includere la conoscenzadella pratica delle MGF. A tal proposito,si evidenzia come la necessità dellaformazione venga intesa da alcunedelle presenti anche come un percorsodi sensibilizzazione che si realizzi primadi tutto nella volontà da parte <strong>dei</strong> medicidi verificare se le MGF siano statepraticate o meno 27 .Forse, parallelamente alla formazione,anche mettere nella prospettiva,per esempio degli operatori socio sanitaridi avere in testa che se hanno qualcunodavanti è possibile farsi un’idea sullapossibilità che questa persona possa averanche subíto queste pratiche.La formazione degli operatori socio-sanitarivuol dire anche sensibilizzarli, avere nellatesta che questa cosa può essere successa.(M., Unica Terra, Padova)Come evidenziato poco sopra,dall’incontro è emersa una conoscenzadelle MGF sommaria e frammentata,fatta eccezione per le operatrici checon fatica si sono confrontate con lapratica in modo diretto grazie al contattocon donne portatrici di questa esperienza.Molte delle presenti hanno espressamentedichiarato di saperne ben poco sulleMGF, di averne sentito solo parlare,di aver partecipato a qualche meeting edi essere dunque particolarmentecontente di partecipare all’incontro proprioin considerazione delle informazioni cheavrebbero acquisito.27 Vedi a tal proposito la parte sui servizi sanitari.In particolare, tra le amministratrici ele rappresentanti di commissioni pariopportunità invitate è emersa con forzala necessità di divulgare quante piùinformazioni possibili al fine di favorireinterventi di integrazione di più ampiaportata. Le riflessioni che riportiamodi seguito mettono in luce dunque unpanorama istituzionale e non nel quale laconoscenza della pratica è limitata, ma lavolontà di una più ampia informazione,di partecipazione e di collaborazione èmolto pronunciata.Non avendo noi un’esperienza specificain questo campo, con i dati che ho sentitooggi, con le esperienze e anche con leesigenze che ho sentito delle altre collegheritengo sarebbe utile portare avantiunitamente a tutte voi e insieme a noi, chesiamo la presenza un po’ istituzionale epolitica su tutto il territorio regionale,<strong>dei</strong> programmi divulgativi, perché di questofenomeno si conosce veramente poco.Io ne so qualcosa un po’ perché facciol’avvocato e un po’ perché mi occupodi queste cose, però guardate che i più nonsanno nulla, sanno dell’infibulazione, adessoanche tecnicamente si sa molto poco, non sisa da chi venga fatta, con che tecniche vieneeffettuata, cosa comporti…(M., Commissione Pari Opportunità,Regione Veneto)Ecco, noi non abbiamo un’esperienza,se non indiretta di conoscenza diciamo cosìabbastanza “informale” di questo fenomeno,perché finora ci siamo occupati ovviamentesempre della questione di parità di genere.Noi non abbiamo mai approfondito (…).Non mi hanno parlato di esperienze anchedirette. Conosciamo associazioni chelavorano con le popolazioni migranti, i varigruppi, però non abbiamo esperienza,noi come commissione, diretta su questocampo. Vogliamo cercare di collaborare,quanto meno raccogliendo dati. Stiamoraccogliendo dati prendendo spunto ancheda voi, ma raccogliendo dati anche da tutti


Rapporto di ricerca nella regione Veneto116i nostri comuni con i quali siamo collegati,quindi non possiamo in questo momentooffrire altro se non questa volontà fermadi occuparci in modo specifico di questo.(M., Commissione Pari Opportunità, Verona)Ecco, posso dire che rispetto a questaproblematica, io quest’estate ho avutooccasione di fare un piccolo seminarioall’interno di un meeting anti-razzista aCecina, dove ho potuto conoscere meglio,perché era tenuto da donne dell’Africacentrale, psicologhe, antropologhe,insomma esperte, alcune che avevanoanche subíto queste pratiche.Prima sapevo in maniera molto vaga.(D., Arcisolidarietà, Rovigo)Lavoro per il Telefono Rosa di Verona,siamo un’associazione di volontarie,ci occupiamo di dare sostegno e un primoascolto telefonico a donne di qualunqueprovenienza, vittime di violenza domesticao familiare, economica. Non siamopersonalmente, anche a livello dellealtre colleghe, particolarmente espertedell’argomento, tanto è vero che sonovenuta io, per capirne di più, per impararequalcosa, saremmo interessate in effettiagli incontri pratici e formativi per sapernedi più; ne so molto poco.(S., Telefono Rosa, Verona)Singolare è invece la realtà di Rovigo,dove la Commissione Pari opportunità harealizzato progetti specifici, incrociando lapropria attività con quella dell’AIDOS.AIDOS consigliò all’associazionefemminile un percorso di sensibilizzazionee di conoscenza del fenomeno per noi,per la nostra realtà, anche perchéDaniela Colombo, nostra concittadina,presagiva che l’immigrazione femminilesarebbe notevolmente aumentata nelnostro territorio. E così noi abbiamocominciato un lavoro di conoscenzada parte nostra, di sensibilizzazionedell’opinione pubblica, ma non soltanto,anche <strong>dei</strong> rappresentanti delle istituzioni,<strong>dei</strong> rappresentanti e direttori delle ASL,ecc. E proseguendo in questo lavoro disensibilizzazione abbiamo conosciuto anchel’iter della legge del 2006. Colombo ce lapresentava come la legge più completa,nel senso che non si riscontrava in nessunaparte dell’Europa e anche negli altri paesiextra-europei, una legge che contenessemomenti di formazione, sensibilizzazionee informazione. E naturalmente in quelmomento fummo stimolati a riflettere sulfatto che è comunque una violabilità delcorpo femminile e in quel momento a Rovigoriuscimmo, parlo sempre dal punto di vistaculturale, a coinvolgere il maggior numerodi istituzioni in rete anche con i Comunidel territorio e la comunità nigeriana.(M., Commissione Pari Opportunità, Rovigo)Vale la pena a nostro avviso sottolineareinoltre l’importanza di quanto scaturitonel confronto tra le operatici che invecehanno avuto e hanno conoscenza direttadelle MGF. Anche in questo caso, cosìcome emerso nei focus group realizzaticon donne e uomini africani, si èriproposta la controversia sulla praticacome manifestazione di identità culturalee di appartenenza. Un simile assuntoguarda naturalmente con sospetto ognitipo di intervento volto all’eliminazione ealla reiterazione delle MGF.L’analisi realizzata dalle donne presentiall’incontro esprime in alcuni casi unacerta preoccupazione nei confrontidi interventi che possono scaturireda posizioni giudicanti nei confrontidi coloro che a tale pratica sono statesottoposte e che intendono reiterarlasulle loro bambine. Riportiamo in meritoalcuni stralci di interventi.Personalmente io non ne so moltissimo delleMGF, nel senso che non so tutta la casistica,non so esattamente quali siano tutte lenazionalità coinvolte, ecc. Però è vero cheal Centro Antiviolenza abbiamo un bacino


Rapporto di ricerca nella regione Veneto117enorme di donne, abbiamo tantissime donneche arrivavano vittime di violenza di ognigenere e tantissime, sempre di più, straniere.Però la nostra riflessione, che facevamo unpo’ insieme, è una riflessione anche un po’provocatoria, che ci facevamo anche sudi noi. Nel senso che quando si ha ache fare con una donna immigrata, l’esseredonna e immigrata significa avere tuttauna serie di difficoltà, ed essere in unpaese straniero spesso richiede anche chela persona riesca ad avere degli aggancirispetto alla propria comunità, mantenere unsenso di appartenenza che richiede molti piùsforzi, più sacrifici, e una pratica di questotipo, nella nostra esperienza, è risultatacome una cosa che in un certo sensogarantisce una sorta di legame con leproprie origini. Quindi è un po’ stranoparlare di questa cosa dando per scontatoche sia una cosa negativa, sono un po’“hard” dicendo questa cosa.Ovviamente io non penso che sia unacosa positiva, ci mancherebbe altro, peròmetto sul tavolo anche il fatto che questapratica (ripeto che la mia esperienza èproprio poca) da donne sulle donne,che ha un forte significato, che in alcunicasi è accompagnata anche da una sortadi festeggiamento, è un momentoimportante. Per cui mi viene anche da mettersul tavolo che bisogna tenere presenteche va rispettata questa cosa.Però ci sto anche a discutere su questo.Chiedere alle nostre donne di parlare diquesto tema spesso diventa difficile, perchépartono comunque dal presupposto che,nel momento in cui tu glielo chiedi,le metti nella posizione di essere sottogiudizio, ecco. E quindi vorrei che insiemecercassimo una modalità per approcciarcia queste donne in modo che non si sentanotali. A noi piace l’idea di fare una ricercache indaghi un po’ anche i luoghi d’origine,il significato nella tradizione e nellacultura di certi popoli, e credo sia un po’questa la chiave, partendo un po’ dalrispetto e dalla conoscenza.(A., Cooperativa Iside, Venezia)Riflettere su che approccio e strumentocomunicativo mettere in atto per potersiavvicinare a persone che, appunto per ilfatto di considerare la pratica come partedella propria appartenenza etnica all’internodi un paese straniero, la vivono proprio unaquestione di identità.Secondo me le madri che arrivano quapraticano questo sulle figlie in quanto èappunto una dimensione di appartenenzaalla propria comunità di origine, è culturale.(G., Cooperativa Iside e CentroAntiviolenza, Venezia)La questione identitaria legata allapratica assume un’importanza centralenell’atteggiamento delle operatrici.Altrettanto importante si rivela laquestione della comunicazione edel linguaggio, inteso nella sua ampiaaccezione di portatore di valori e significati.Parole quali rispetto, comprensione,giudizio accompagnano dunqueun’analisi che pone al centro della loroopinione personale l’esperienza delledonne straniere nella migrazione, il lorosradicamento e la necessità di ristabilirelegami con la comunità.Di certo, nessuna delle presenti haavanzato l’opportunità di avallare lapratica, ma piuttosto di collocare ildiscorso e le eventuali iniziative in unaprospettiva che vede le MGF correrelungo tutto il tragitto migratorio che vadalla comunità d’origine a quella di arrivoin Italia.Io volevo riagganciarmi alla questionedell’identità. Per me è solo una questionedi identità. Io ho visto che per la maggiorparte delle popolazioni africane è moltopiù forte l’identità culturale e socialedell’identità. Loro esistono come identitàculturali. È quello il motivo per cui è moltodifficile. Bisognerebbe proprio trovare lamodalità, quando entri, sapendo questoe sapendo come muoversi soprattutto susoggetti che già sono lontani dalle loro


Rapporto di ricerca nella regione Veneto118culture. Sono venuti qua…Si trovano con un piede da un parte e conuno dall’altra.(N., Opere Riunite Buon Pastore, Venezia)In merito alle progettualità da realizzare<strong>nelle</strong> comunità africane e soprattuttocon le donne, ci è sembrata importantela riflessione di una delle psicologhepresenti, da anni attiva in una delleassociazioni operanti nel territoriodi Padova. La psicologa evidenzial’importanza del livello di istruzione edell’appartenenza di status delle donne.Si evince infatti che quanto più le donneappaiono sprovviste di istruzione,tanto più sentono il bisogno di aggrapparsial supporto delle comunità di riferimentopresenti nel territorio. In tal senso,la pratica e la sua reiterazionerappresentano un mezzo per ribadire lapropria appartenenza.Nella mia esperienza la discriminante la falo status sociale e culturale della persona,nel senso che abbiamo visto che le personecon meno competenze e meno abilità hannonel loro paese di origine più problemi. E nelmomento in cui poi cercano di affrontarequesti problemi, c’è una rivalsa da parteo della comunità, del contesto familiare,o specificatamente del marito, che vedequesto in una prospettiva di emancipazione,di usurpazione del ruolo, di esautorazione,rispetto al ruolo maschile, al ruolo di padre,al ruolo di maschio o di capo-famiglia.Questo secondo me fa la differenza.Ad oggi, ma anche all’epoca, le personeche avevano uno status sociale più avanzato,più alto, che quindi erano riuscite a farele scuole superiori o anche l’università nelloro paese d’origine, sicuramente, nella miaesperienza, le persone che hanno affrontatoquesti problemi li hanno affrontati inmaniera assolutamente diversa e ad ogginon gli passerebbe neanche per la mentedi far fare alle loro figlie adesso adolescentiuna pratica del genere.(M., Unica Terra, Padova)In sintesi, quanto emerso mostra unpanorama di servizi rivolti alle donnestraniere nei quali la conoscenzadella pratica appare tendenzialmentepoco approfondita.Si è rilevato inoltre un atteggiamentoche propende verso una profondaprudenza nei confronti di interventidi azione e prevenzione, i quali, secondole operatrici, debbono necessariamentetenere conto dell’esperienza totalizzantedi queste donne.Si è rilevato inoltre un certo disagio daparte sia delle donne africane che dellestesse operatrici ad affrontare l’argomentodella pratica nell’ambito delle attività <strong>dei</strong>servizi. In tal senso, occorre forse operareuna riflessione sul fatto che tale timorerischia in qualche modo di sottovalutarel’importanza di un’attenzione che non devenecessariamente esprimersi attraversocomportamenti invasivi, ma che èfondamentale per rilevare l’esistenza dellapratica e gli atteggiamenti che intorno aquesta si sviluppano tra le donne africanedel territorio.


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Rapporto di ricerca nella regione Veneto121/ Conclusioni /di Annalisa Butticci,Paola Degani,PAOLO De STEFANIQuesto lavoro riporta alcune delletendenze della popolazione africanaresidente nella regione del Venetorispetto alla pratica della mutilazione<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>. È importantesottolineare come l’eterogeneità dalpunto di vista etnico e culturale di questepopolazioni si sia riprodotta nella diaspora,rispecchiando anche nei contesti di arrivo,in questo caso il Veneto, una pronunciatadiversità di situazioni che, rispettoalle MGF, si manifesta in un panoramadi esperienze e atteggiamenti moltoarticolato. In tal senso, riteniamoche questa ricerca abbia contribuitoall’elaborazione di un discorso sull’Africae sulle popolazioni africane che contestauna certa visione della società africanache ne enfatizza la presunta staticità,omogeneità, passività, atemporalità e chetrascura o ignora l’esistenza di differenzedi classe, religione, etniche, di genere,la presenza di contesti urbani e ruralicosì come di passati coloniali diversi,che prendono forma nel continente enella diaspora.Vale la pena riportare in questa sedela riflessione di una delle intervistate,mediatrice culturale nigeriana, la qualedescrive in questo modo l’Africa:Quando si parla dell’Africa, generalmenteviene minimizzata la dimensione perché siguarda ad essa quasi come fosse un solopaese, non come un continente, e si tendea vederla tutta uguale. Invece l’Africa èun mosaico di culture rispetto all’Europa oall’Asia e anche se non è scritta sui libri, hauna delle storie più antiche del mondo.Quando vado <strong>nelle</strong> scuole e faccio vedereai ragazzi la Nigeria con i grattacieli,le barche, e vedono che ci sono anche cosearchitettoniche che non ci sono nemmenoqui in Italia, allora si rendono conto che nonè un paese sperduto. Quello che viene messoin testa a loro fin da piccoli è che l’Africa,la Nigeria, è fatta di morti di fame, che lìle persone vivono sugli alberi, sanno solosuonare e ballare, stanno nudi, sanno cosesolo negative, tra l’altro generalizzate.(B., Nigeria)La ricerca sul campo ha rivelato dunqueuna realtà profondamente articolata.Tale complessità è apparsa evidentenegli atteggiamenti degli intervistati edelle intervistate. In particolare, le donnehanno disegnato un mosaico di microcontestilocali nei quali la pratica delleMGF assume significati e espressionimolto diverse, rispondendo ad imperatividi società <strong>nelle</strong> quali il corpo femminileè depositario di valori e tradizioni chetendono a volte a giustificare le MGF,sebbene vi sia un generale ripensamentoe sicuramente un atteggiamento diprogressivo abbandono e disconoscimentodella loro utilità sociale.Sia le donne intervistate che i/le mediatori/mediatrici culturali, i/le rappresentantidi comunità e di associazioni, evidenziano<strong>nelle</strong> loro argomentazioni delle tensionie <strong>dei</strong> nodi problematici circa l’efficaciadel discorso sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> violatiquale deterrente reale per contrastarela perpetuazione della pratica, in Africacome in Italia. Lo stesso atteggiamentonei confronti <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> si è rivelatocontroverso. Simili posizioni si fondano su


Rapporto di ricerca nella regione Veneto122una forte critica anticoloniale, nella qualela violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne sfumatra le innumerevoli alterazioni sociali,culturali e tradizionali causate dal dominioculturale occidentale.I <strong>diritti</strong> delle donne, schiacciati dallestrutture coloniali, non appaiono dunquesproporzionatamente violati rispetto ai<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> di tutti gli africani.La questione peraltro può riguardare sia i<strong>diritti</strong> individuali che quelli <strong>dei</strong> popoli.È così che si può spiegare la visionedi molti intervistati e intervistate chedistinguono tra approccio occidentale eafricano ai <strong>diritti</strong> e al ruolo delle donne.In linea generale tuttavia si può direche la condanna verso le MGF, seppursganciata dal discorso <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>e della discriminazione nei confrontidelle donne, è unanime. Ciò ovviamentenon significa la totale dismissione dellapratica, ma sicuramente è possibileparlare dell’esistenza di una tendenza aconsiderare il processo migratorio comeun momento in cui l’adattamento al nuovoambiente e l’integrazione verso modellidi famiglia e di rapporti di genere marcati,anche sul piano giuridico, in terminidi <strong>diritti</strong> individuali e di maggiore parità,assumono una rilevanza tale da indurredi fatto ad un ripensamento di quegli usie costumi che, nel contesto europeo,non possono ovviamente avere gli stessisignificati rinvenibili nei paesi di origine.Quanto rilevato nella ricerca sembracomunque delineare un panoramanebbioso nel quale si possono scorgeresolo indizi della portata del fenomeno.Le diverse realtà di ogni singolo paeseafricano e il silenzio che avvolge lapratica hanno contribuito a sfumarele conoscenze, le percezioni e diconseguenza anche gli atteggiamentidegli africani e delle africane in meritoalle MGF, pur riconoscendo nellatendenza all’abbandono un dato in via diaffermazione.In questa prospettiva tuttavia vannoevidenziati i limiti di in approccio“settoriale” al problema, inteso comerisolutivo, si tratti dell’approccio <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, così come di quello collegato allaviolenza e alle implicazioni per la saluteriproduttiva. Questi discorsi e dispositivinon sembrano essere sufficienti persviluppare un atteggiamento fermo edeciso, da parte degli immigrati africani,contro la pratica.Tale atteggiamento sembra invecerichiedere, per affermarsi, un processodi acquisizione di consapevolezza piùaderente alle connaturate trasformazionidi ogni sistema di valori di riferimento,così come ai mutamenti fisiologici<strong>dei</strong> diversi contesti socio-culturali.La cultura è ed è sempre stata essenzialeper lo sviluppo, in quanto rappresenta unadimensione fisiologica e fondamentaledell’esistenza. L’aver scelto di leggere ilfenomeno delle MGF adottando la lente<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> non è in contrapposizionea tale assunto. Adottare la lente <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle donne implica infattiassumere la portata universale di questoparadigma e, nel contempo, considerare larilevanza delle diverse sensibilità culturalientro le quali possono trovare attuazionele esperienze concrete di promozione<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> in generale, e <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>delle donne in particolare.In questo senso è importante capire comeinteragiscono le varie culture e comeoperare attraverso di esse, tenendo contodella loro funzione nel disegnare l’insieme<strong>dei</strong> valori, delle credenze e <strong>dei</strong> costumidi cui le diverse comunità sono portatricie attraverso i quali gli individui gestisconola propria vita e interpretano la propriasocietà, senza peraltro che ciò significhio implichi uniformità di pensiero odi comportamento.Intendere la cultura come un datouniforme e immutabile significa ignorarel’influenza della globalizzazione e, in


Rapporto di ricerca nella regione Veneto123particolare, il ruolo <strong>dei</strong> processi migratorinel presente, nonché trascurare leinfluenze del passato e della storia.Leggere invece le culture comedimensioni in continua evoluzione ein rapporto tra loro, e i <strong>diritti</strong> comecreazioni storiche continuamente ridefinitea livello transnazionale, così come<strong>nelle</strong> dimensioni locali, permettedi comprendere meglio l’impossibilitàdi separare in modo netto culturae <strong>diritti</strong> o di concepire relativismoe universalismo come situazionidiametralmente opposte e incompatibili.È nel quadro di un approccio basatosulla sensibilità culturale e sul dialogointerculturale che va ad inscriversil’ottica di genere.L’analisi di genere, proprio per ilsuo intrinseco carattere relazionale,è fondamentale per comprenderel’esperienza <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> che le diversecategorie di uomini e donne, bambinie bambine sviluppano nel corso dellaloro esistenza. Un approccio ai <strong>diritti</strong>declinato in un’ottica di genere richiedeuna lettura action oriented, vale a direun’interpretazione volta alla promozione<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>, in quanto strumento politico<strong>nelle</strong> strategie di progresso sociale.La prospettiva di genere nel quadro delparadigma <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> può rappresentareuno strumento per analizzare valori,comportamenti, azioni politiche e decisioniprogrammatiche e individuare come essiagiscano nel determinare l’esclusioneo la discriminazione di alcune persone,o nel privilegiarne altre; permetteinoltre di studiare le forme complesse,multiple o composte di differenziazione/discriminazione generate dall’effettosommatorio o moltiplicatorio di tipologiediverse di “vulnerabilità” di matriceindividuale e collettiva.Un’analisi <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> in un’otticadi genere mette in luce, essenzialmente,le differenze individuali e di gruppo inrelazione alle diverse posizioni che i singolioccupano nella società in dipendenza dailoro ruoli e dalle risorse che detengono.Le difficoltà ad interpretare il paradigma<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> come la chiave entro la qualeproporre un discorso di cambiamentocirca la pratica delle MGF sono staterilevate sia attraverso le interviste singole,sia nei focus group con gli uomini e ledonne africane. Non si può infatti negarel’esistenza di uno spazio di tolleranza“culturale” nei confronti della pratica.Su questo margine di tolleranzabisognerebbe, a nostro avviso,operare delle riflessioni, in particolaresull’atteggiamento che, dietro un pretesorelativismo culturale e una militanzanei confronti <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> della cultura,confonde la perpetrazione di una violenzacon la libera espressione di una tradizionee di un’usanza. A questo proposito peròè utile ricordare che anche dalle stesseinterviste si può evincere l’importanzadella dimensione temporale relativamenteal processo di dismissione delle MGF edella necessità di intervenire utilizzandostrumenti di comunicazione che sianoefficaci e percepiti dai destinataricome tali da coinvolgere la dimensionedi comunità. Va ricordato a questoproposito che già oggi sono in nettamaggioranza coloro che, anche neipaesi africani, condannano la pratica,a sostegno della quale non vale pertantoalcun alibi di tipo culturale.Non vi sono dubbi, comunque, sul fattoche le MGF facciano parte di quel nucleodi tradizioni che accompagna gli immigratiafricani in Veneto, soprattutto in alcunigruppi, come ad esempio le comunitànigeriane, per le quali si può supporre unacerta tendenza a perpetuare interventimutilatori, le cui conseguenze sul pianofisico peraltro sono risultate spesso cosìirrilevanti, <strong>nelle</strong> donne adulte portatrici,da poter essere difficilmente identificabilianche dagli stessi sanitari.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto124È proprio sulla base di questaosservazione che si ritiene importantesviluppare un intervento congiuntamenteai mediatori culturali.L’indagine condotta ha svelato unoscenario di possibili azioni <strong>nelle</strong> quali ilruolo <strong>dei</strong> mediatori e <strong>dei</strong> rappresentanti dicomunità è apparso fondamentale. È beneevidenziare infatti come la familiarità <strong>dei</strong>mediatori e <strong>dei</strong> rappresentanti di comunitàcon le diverse popolazioni africane delterritorio fornisca loro la possibilità diparlare un linguaggio che simbolicamentee praticamente diventa uno strumentofondamentale per veicolare un discorso sui<strong>diritti</strong>, sulla parità e sulle trasformazioni<strong>dei</strong> ruoli di genere nella diaspora. In talsenso, il ruolo <strong>dei</strong> mediatori risulta esserequello di mettere i soggetti di fronte aduna riflessione critica che possa guidaread una decisa presa di posizione rispettoall’abbandono della pratica.L’incontro con i mediatori e le mediatriciha ribadito però quanto la cultura <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> sia avvolta da poca chiarezzae sia percepita come estranea da questecomunità. Questa è probabilmenteuna delle chiavi interpretative con cuileggere lo sguardo sospettoso di coloroi quali intravedono nella proposta <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> una sorta di intromissioneingiustificata della cultura occidentale e unattacco alla tradizione. D’altro canto peròvi è da registrare che la centralità dellamediazione culturale nell’azione controle MGF è emersa anche dalle intervistecon gli operatori socio-sanitari e con leforze dell’ordine. Si tratta evidentementedi un dato maturato nel confronto conaltre esperienze che hanno avuto comeprotagoniste le comunità migranti.Di fatto, l’intervento e il lavoro con imediatori culturali appare esseredi fondamentale importanza perveicolare tutta una serie di messaggiche diversamente non pare possibiletrasmettere.Questo tipo di atteggiamento, emersoperaltro anche in occasione del II incontrodel Tavolo sulle MGF organizzato dallaRegione Veneto nel dicembre del 2008,apre indiscutibilmente a quesiti importanticirca la significatività del discorso <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> in questi contesti, soprattuttocon riferimento alla loro universalità.Proprio a partire da questo dato dovrebbesvilupparsi un percorso di azione che,prendendo le mosse da una riflessionespecifica sul significato <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>rispetto alle MGF, permetta una riflessionecomplessiva sul significato valorialedel paradigma <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.Quanto rilevato suggerisce però lanecessità di un passaggio preliminare.Occorre cioè sviluppare un nuovo orizzonteconoscitivo circa l’iscrizione di una seriedi questioni al paradigma <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>e veicolare in maniera forte la valenzauniversale di questo paradigma per poterarrivare ad una comunicazione reale conle popolazioni africane. È evidente che ladistanza che queste comunità avvertonorispetto ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> è anche il prodottodi integrazioni difficili se non mancate, ocomunque il punto di vista di soggetti chesi misurano con politiche migratorie chedi fatto non riconoscono nei processi diaccoglienza un passaggio fondamentaleper una corretta e piena integrazione.La necessità di dismettere la praticadelle MGF, pur se condivisa, rischia diessere interpretata come un’ingerenzadi organismi e culture lontani, e assimilataa pratiche di colonizzazione, sebbene daparte delle donne la consapevolezza delbisogno di riappropriarsi del proprio corpoe di rivedere in chiave paritaria i rapportiuomo-donna sia avvertita con forza.Nel 2005, secondo le stime dell’OIM(Organizzazione Internazionale perle Migrazioni), il numero <strong>dei</strong> migrantiinternazionali aveva già oltrepassato la


Rapporto di ricerca nella regione Veneto125soglia <strong>dei</strong> 190 milioni; di questi quasi lametà è costituita da donne. La migrazioneè un’esperienza complessa, con importantiricadute sia per le comunità e i paesidi origine sia per quelli d’accoglienza,oltre che per le soggettività direttamentecoinvolte nei processi migratori. Nel corsodel tempo, la migrazione favorisce losviluppo di cambiamenti anche radicalia livello culturale: i sistemi di valori e lenorme comportamentali di riferimento,entrando in contatto con gli stili di vita<strong>dei</strong> paesi di accoglienza progressivamentesi ibridano, permettendo lo sviluppodi approcci diversi anche ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>e all’uguaglianza di genere.Le politiche migratorie <strong>dei</strong> paesidi destinazione possono promuoverel’integrazione, le strategie per lagestione delle diversità e lo sviluppodel dialogo interculturale. La società civilepuò dare il proprio contributo sfatandomiti e non alimentando pregiudizi,fornendo ai migranti tutte le informazionisui servizi cui possono accedere einvitandoli a partecipare al processodi integrazione. L’esigenza di lavoraredal basso per diffondere la cultura <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e la dismissione dellepratiche di MGF è emersa con forza nelcorso <strong>dei</strong> lavori del II Tavolo regionale.Proprio in quell’occasione, da parte <strong>dei</strong>rappresentanti di comunità sono arrivatialcuni suggerimenti sull’importanzadella comunicazione e sul linguaggioda utilizzare per veicolare il valore dellaproposta <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> relativamentealla pratica delle MGF, a partire dallanecessità di non isolare questa pratica dalcontesto entro la quale si inscrive.Per quanto concerne l’indagine rivoltaal mondo socio-sanitario, le intervistecondotte con medici ginecologi di repartoe <strong>dei</strong> consultori <strong>dei</strong> maggiori centri urbanidel Veneto, oltre che con ostetriche eassistenti socio-sanitarie, hanno esploratoalcuni degli aspetti che abbiamo ritenutoimportanti ai fini della nostra ricerca:le peculiarità che caratterizzanola relazione delle donne africaneprovenienti dai paesi da noi individuaticome rappresentativi per la ricerca coni servizi socio-sanitari; le differenze chedefiniscono il rapporto con le donneafricane secondo le diverse provenienze;le difficoltà rilevate nel rapporto chequeste donne hanno con i servizi sanitaridel territorio; la conoscenza della culturadi provenienza delle donne africane e lerispettive configurazioni <strong>dei</strong> rapportidi genere; la conoscenza della praticadelle MGF tra il personale sanitario.È emerso che la maggioranza dellapopolazione femminile africana che sirivolge ai consultori proviene da Nigeria,Ghana, Senegal e solo in minima partedai paesi del Corno d’Africa, rispecchiandodunque la composizione femminiledella popolazione africana immigratanel Veneto.In base a quanto rilevato dalle interviste,appare evidente come la provenienzageografica tenda a caratterizzare non soloil diverso rapporto con i servizi, ma anchela tipologia di intervento richiesto.Dalle interviste emerge come lamaggioranza delle utenti provenientidall’Africa occidentale, e in particolaredalla Nigeria, si rivolga ai serviziprevalentemente per problematichelegate alla gravidanza e al parto. I mediciintervistati ci hanno infatti riferito comedifficilmente queste utenti partecipino ousufruiscano di interventi di prevenzione opiù semplicemente <strong>dei</strong> diversi progetti dipercorso nascita attivi in tutti i consultoridel territorio. È quindi un’utenzacon la quale generalmente si lavorasull’emergenza, sulla patologia avanzata oin prospettiva del parto.Le caratteristiche anagrafiche esocio-culturali delle utenti appaionodeterminanti nella definizione della


Rapporto di ricerca nella regione Veneto126relazione. Di fatto, quanto più basso èil livello di istruzione delle donne, tantopiù difficile e casuale appare la relazionetra utente e operatore. Dalle interviste èinoltre emerso che per le donne africanela maternità costituisce una questionecentrale; questo fatto riflette una realtànella quale i comportamenti riproduttivie la salute sessuale tendono ad essereprofondamente interconnessi a modalitàrelazionali con l’uomo caratterizzateda rapporti fortemente discriminanti,dove la capacità riproduttiva delle donneè vista soprattutto come capacitàdi poter stare con un uomo in ragionedella propria fertilità. Tuttavia ancheall’interno dello stesso gruppo etnicol’utenza può presentare delle diversità,che vedono nell’emancipazioneeconomica e culturale delle donne unnodo importante in termini di maggioreconsapevolezza e tutela della salute,nonché <strong>dei</strong> propri <strong>diritti</strong>.Il panorama risulta ulteriormentearticolato se si considerano i diversiprogetti migratori, le condizioni e lesituazioni di vita vissute dalle donne.Il riferimento va, per esempio, allasituazione delle donne somale edetiopi che giungono in questo territoriosulla base di progetti migratori e retirelazionali alternative a quelle <strong>dei</strong> nucleifamiliari. In più, l’accesso a un redditoe la conseguente assenza o rotturadi dipendenza economica sembra favorireuna maggiore disponibilità e libertàdi relazione anche nei confronti deglistessi servizi che, in simili circostanze,possono erogare un servizio miglioree costruire con le utenti un rapportonon meramente occasionale.Attraverso le interviste abbiamo potutoinoltre individuare tre maggiori elementicritici che caratterizzano il rapporto delleutenti con i servizi e viceversa.Il primo fa riferimento alla sferacomunicativa, ossia alle difficoltà legatealla lingua. Il secondo fa riferimento adun non adeguato livello di conoscenzadelle diverse culture africane da partedegli operatori sanitari, sebbene l’utenzastraniera costituisca oggi un targetsignificativo rispetto al quale tutti i mediciintervistati hanno dichiarato un gran<strong>dei</strong>nteresse e messo in luce la necessità diapprofondire le problematiche sanitarie eumane che derivano dalla frequentazione<strong>dei</strong> servizi da parte di queste nuove utenti.Peraltro anche la non conoscenza <strong>dei</strong>servizi presenti nei diversi territori o la nondimestichezza con questi da parte delledonne africane rende ovviamente difficileil loro rapporto con il personale medico.Il terzo elemento attiene ad una generalesfiducia nei confronti <strong>dei</strong> servizi da partedi molte di queste donne.È bene tuttavia evidenziare come l’utenzanon si definisca solo in questi termini.Le intervistate hanno infatti descrittouna realtà nella quale, accanto ad unapopolazione femminile profondamentelimitata dallo scarso livello di istruzione eintegrazione, segnata da rapporti di generenon paritari, tendenzialmente violenti,vi è anche un’altra tipologia di utenzache vede le donne e gli uomini africaniin un continuo dialogo sia con la propriacultura, sia con il nuovo contesto culturaledi arrivo. Un indicatore della volontà diinstaurare anche con i servizi del territoriouna relazione orientata all’integrazioneè sicuramente rappresentato da unlato dalla frequentazione seppur nonsistematica da parte delle donneafricane di alcuni servizi in particolare,dall’altro dall’assenza spesso involontariadell’uomo nel momento del contatto daparte delle donne con i servizi, assenzafrequentemente riconducibile a ragionicollegate alla sovrapposizione tra oraridi apertura al pubblico <strong>dei</strong> servizi stessi eattività lavorativa.Rispetto alle MGF, la diversitàgeografica delle utenti africane delineaevidentemente la tipologia di mutilazione


Rapporto di ricerca nella regione Veneto127osservata dal personale sanitario.Le intervistate e gli intervistati hannoriferito le maggiori tipologie di mutilazionedelle quali sono a conoscenza, in quantooggetto di studio o perché incontratenei contatti con l’utenza. Emerge comele mutilazioni più comuni siano quellepraticate sulle donne del Corno d’Africa,peraltro sempre meno presenti e proprioper questo poco conosciute dai sanitariintervistati, e quelle definite “minori” delledonne provenienti dall’Africa Occidentale.Piuttosto significativa è la non ovvietàdella rilevazione della pratica anchequando la donna vi è stata sottoposta.Ciò evidentemente in ragione delle debolitracce che certe pratiche lasciano edella conseguente difficoltà a rilevarlenel corso delle visite. Contrariamente aquanto accade con l’infibulazione, tutti isanitari concordano sul fatto che un lieveintervento non necessariamente lasciatracce evidenti, soprattutto se eseguitonei primissimi anni d’età. La criticità delleMGF minori, tecnicamente definite sunna,sta dunque nella difficile rilevazione,resa ancora più improbabile dal fattoche molte volte è lo stesso operatore ooperatrice sanitaria a non verificare seeffettivamente la pratica è stata effettuata,trattandosi di episodi che se sono accadutirisalgono al periodo dell’infanzia o ai primimesi di vita e che comunque possono noncomportare complicanze particolaridal punto di vista clinico. Le MGF possonopertanto passare inosservate e dunquesono difficilmente definibili anche intermini quantitativi.Se la verifica delle MGF appare in alcunicasi difficile, altrettanto complicata èl’indagine sulla reiterazione della praticasulle bambine. Ancora una volta, tra lequestioni nodali c’è la difficoltà di accederead informazioni pragmaticamente esimbolicamente celate. Alcune delleintervistate hanno infatti espresso ledifficoltà incontrate nel tentativo diverificare attraverso domande all’utenzal’esistenza o meno della pratica nonchél’intenzione di reiterarla sulle bambine.Tendenzialmente, si ricava dunquel’impressione che le MGF nei servizisanitari si collochino in una dimensionedi presunta assenza e che pertantosiano oggetto di un’attenzione eproblematizzazione che tende ad esserelimitata. Di fatto, con l’eccezione deglioperatori e delle operatrici con esperienzedirette e con particolari “sensibilità”,si rileva uno stato di conoscenza ridotto,complessivamente insufficiente acomprendere sia il fenomeno delle MGFnella sua generalità, sia la possibiledimensione quantitativa di queste pratichenel nostro territorio regionale in relazioneai diversi gruppi nazionali ed etnici.Un discorso diverso meritano ovviamentei casi nei quali gli operatori sono di fronteall’infibulazione. Infatti le implicazioniderivanti da eventuali interventidi <strong>dei</strong>nfibulazione e reinfibulazione possoporre alcuni dilemmi che interagisconodirettamente con la normativa italianadel 2006. Tuttavia, dalle intervisterealizzate è emerso come gli interventidi reinfibulazione, specificamentesu richiesta delle utenti, siano pressochéassenti. Di fatto però, le implicazioni e lecomplicazioni mediche che gli operatorisanitari hanno affrontato con le donneinfibulate non sono di certo sottostimabili,così come appaiono essere di una certarilevanza gli atteggiamenti di paura chele donne in modo sommesso esprimononel momento del parto, proprio nellaconsapevolezza di essere portatricidi una modificazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> del tuttoestranea alla nostra cultura.Le interviste effettuate con alcunirappresentanti delle forze dell’ordinee con la Procura di Verona sono stateorientate a verificare la conoscenza sulpiano professionale del fenomeno dellemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e l’impatto


Rapporto di ricerca nella regione Veneto128della nuova normativa nazionale.Nei colloqui si è tentato di mettere afuoco alcuni aspetti del fenomeno dellemutilazioni, considerando soprattutto lascarsità della casistica esistente sotto ilprofilo investigativo e giudiziario, non solosuccessivamente all’adozione della nuovalegge, ma anche in precedenza, quando lecondotte di mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>rientravano nell’ambito applicativo delreato di lesioni personali, e perciò la lororepressione penale passava attraversol’utilizzo degli artt. 582 e 583 c.p..Il quadro complessivo emerso daicontatti avuti con operatori di poliziae magistratura mette in luce in modoinequivocabile difficoltà di tipo praticoe operativo, ma anche di altro genere,quanto alla possibilità di interveniresu un fenomeno che ha nellaclandestinità e nella riservatezza<strong>dei</strong> circuiti comunitari entro il qualesi può riproporre i fondamentali elementidi caratterizzazione.Da parte degli intervistati è sembratoesserci quasi un senso di “impotenza”rispetto al trattare sul piano dellarepressione qualche cosa che si saesistere, ma su cui ad oggi di fatto non si èintervenuto se non in via marginale, sia intermini di prevenzione che di repressione.La scarsa collaborazione tra le soggettivitàinteressate dal problema è forse unadelle ragioni dell’inconsistenza sul pianoinvestigativo e giudiziario di questofenomeno. Sui risvolti della legge in questosenso si può dire obiettivamente poco,vista l’esiguità della casistica.L’idea che le MGF costituiscano unamanifesta forma di violenza nei confrontidelle donne e della bambine è radicatain tutti gli operatori intervistati, che anzihanno unanimemente sottolineato comein taluni contesti culturali ed etnici ilricorso a punizioni corporali e a restrizionidella libertà personale gravi, al di làdelle pratiche di MGF, siano purtroppofrequenti. Tuttavia anche <strong>nelle</strong> situazionidi emersione di episodi rilevanti sul pianopenale, perseguibili per lo più solo suquerela, resta il senso della difficoltàse non della impossibilità di andare adincidere in modo più forte anche sul frontedelle eventuali sanzioni. La conoscenzadelle questioni rientranti <strong>nelle</strong> MGF èsembrata più che adeguata, sebbene lariflessione attorno a talune usanze diffusein molte comunità sia probabilmentericonducibile in questo momento proprio aitragici episodi avvenuti nell’estate 2008 aTreviso e a Bari, a seguito di interventidi circoncisione maschile.Le proposte di intervento e prevenzionepartono dunque dal presupposto chel’informazione, se fatta circolare attraversoi canali della mediazione, può essereun forte elemento propulsore verso ilcambiamento. In tal senso, un discorsoportato avanti dagli stessi mediatori, sia<strong>nelle</strong> comunità che all’interno <strong>dei</strong> servizidedicati agli immigrati, rappresenta unadelle chiavi di accesso ai gruppi più legatialla pratica e ad assetti culturali chevedono le relazioni di genere alla base diordini sociali nei quali la reiterazione delleMGF trova un terreno fertile.La convinzione che una legge possaesser uno strumento efficace per fermarecoloro che intendono proseguire latradizione è sottoposta alla condizionedi affiancare alla dimensione dellarepressione attività di formazione esensibilizzazione che sostengano leragioni per contrastare le MGF.Anche rispetto al settore socio-sanitario,la divulgazione di informazioni e larottura del silenzio appaiono essere lestrategie centrali da mettere in campoper l’abbandono della pratica. Altrettantoimportante è la necessità della formazionedegli operatori sanitari. Una formazioneperò che superi la sterile trasmissione


Rapporto di ricerca nella regione Veneto129di informazioni e stimoli invece unpercorso di sensibilizzazione che riveda ipresupposti e gli atteggiamenti stessidegli operatori nella relazione con leutenti. Allo stesso modo, i servizi sanitaripotrebbero diventare, seguendo unaproposta degli operatori intervistati, unluogo privilegiato nel quale affrontare undiscorso sulle MGF basato sull’aspettomedico e sanitario, che esuli da giudizidi valore.In conclusione, e nella prospettivadi formulare proposte per un’azionein campo istituzionale e sociale chepromuova l’abbandono della praticadelle MGF sia in Italia, in linea con quantodispone la legge 7/2006, sia nei paesiafricani dove è più diffusa, la ricerca hamesso in evidenza i seguenti punti.1. La prospettiva che interpreta l’azionesociale volta a porre fine alla praticadelle MGF si deve inquadrare in un piùampio contesto che eviti ogni parvenzadi atteggiamento giudicante,paternalistico o “neo-coloniale”nel promuovere i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delledonne. Ciò può essere ottenuto nonsolo coinvolgendo opportunamente imediatori culturali e i diversi esponentidelle comunità immigrate africanepresenti sul territorio, ma anche operandocoerentemente ed efficacemente perl’affermazione di tutti i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> –in particolare <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne –di cui i singoli sono portatori. La stessaautorità che difende, anche con normepenali, il diritto delle donne alla dignitàe all’integrità rispetto alla praticatradizionale delle MGF non può esserequella che disconosce altri <strong>diritti</strong> civili,sociali, culturali, economici delle donne odegli uomini, <strong>dei</strong> bambini o delle bambine,migranti o meno, provenienti dall’Africa.In particolare, la sensibilizzazione chedeve condurre le donne africane adabbandonare la pratica delle MGF innome <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne, dovrebbeessere accompagnata da una efficaceazione informativa, di sensibilizzazionee formativa rispetto ai <strong>diritti</strong> delle donnee delle bambine garantiti dal nostroordinamento nei rapporti tra coniugi,nel rapporto di filiazione e, più in generale,<strong>nelle</strong> relazioni uomo-donna.È l’intero corredo <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> fondamentalia costituire la posta in gioco in un’azionedi promozione sociale che voglia evitareil rischio che la giusta repressione dellepratiche di MGF si tramuti in un’ulteriorestigmatizzazione della donna africana.2. Come già più volte sottolineato,le figure <strong>dei</strong> “mediatori culturali” africanipossono giocare in questo campoun ruolo chiave. Non si tratta tantodi investire tali operatori di nuoveincombenze, in un quadro di crescentedomanda di servizi e contrazione dellerisorse disponibili, quanto di favorireil loro protagonismo e rendere il lorocoinvolgimento condizione necessariaper l’avvio di qualunque azione sulterritorio rivolta ai gruppi e alle famigliedi africani immigrati. Questo naturalmenteimplica una qualificazione adeguatadi tali operatori sul piano conoscitivo,professionale, delle capacità di networking,che ne faccia soggetti attivi dellapromozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, con la loroimplicita componente di genere, tra gliimmigrati e <strong>nelle</strong> comunità della diasporaafricana. La loro azione dovrebbe in altritermini favorire l’appropriazione genuina(ownership), da parte degli immigratiafricani – o in generale delle personedi origine africana presenti nel territorio –<strong>dei</strong> valori e del linguaggio legato ai <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, usando le opportune formee strumenti di mediazione culturale edi dialogo interculturale.3. L’azione formativa mirata (verso gliafricani immigrati, i mediatori culturali,gli operatori sociosanitari, le forzedell’ordine, ecc.) dovrebbe accompagnarsiad un’azione di sensibilizzazione efficace,


Rapporto di ricerca nella regione Veneto130che superi ogni approccio stereotipatoal tema, e che leghi l’impegno per losradicamento delle MGF all’obiettivo piùgenerale di promuovere una convivenzacivile incentrata sul riconoscimentodella dignità delle persone, la nondiscriminazionee le pari opportunità.In questo senso, la sensibilizzazione nondovrebbe avere come proprio target solo lapopolazione immigrata di origine africana,ma dovrebbe coinvolgere la cittadinanza ingenerale. Ciò che va evitato, naturalmente,è sia lo sterile allarmismo, sia la tendenzaa banalizzare ed edulcorare il problema,non riconoscendo la portata sociale esimbolica che gli è propria.4. La prassi delle strutture sociosanitarieregionali dovrebbe essere adattata allanecessità di far emergere il fenomenoladdove esiste come dato clinico,eventualmente con le implicazioni legalidi natura penale o civile che vi sonoconnesse, ma anche come dato simbolico,retaggio di una condizione di inferioritàche le donne e le bambine vivono nelcontesto pubblico e/o familiare, più omeno profondamente introiettato a livellopsicologico. Lo sforzo professionale(e quindi formativo) si colloca soprattuttosul versante della comunicazione.È noto come un problema comune amolti servizi alla persona sia proprio,paradossalmente, la difficoltà di incontrarele persone che avrebbero maggiormentebisogno di quei servizi. Nel caso delledonne portatrici o potenziali perpetuatrici,nella clandestinità, della pratica delleMGF, l’importanza di individuareopportunità, spazi, occasioni di “aggancio”,è di particolare evidenza. La ricerca haevidenziato la mancanza, ad oggi,di buone prassi adeguatamente testate,sul territorio regionale, e la necessitàdi elaborare e sperimentare urgentementetecniche e modalità operative inuna pluralità di ambiti del sistemasociosanitario: dagli ospedali (ginecologia,pediatria…) ai consultori, dai servizisociali a quelli di mediazione culturalee familiare. Un particolare settore in cuielaborare prassi e promuovere formazionedovrebbe essere quello della segnalazionee denuncia <strong>dei</strong> casi che dovesseropresentarsi come evidenza di reato osituazioni di rischio per le bambine.In questo ambito risulta crucialel’esistenza di una attenta sinergia tra i variattori coinvolti (il sanitario, il professionista<strong>dei</strong> servizi sociali, l’autorità giudiziariaminorile e ordinaria, eventualmentel’insegnante o l’educatore, ecc.),per operare in chiave di prevenzionepiuttosto che di repressione e pergarantire la costante considerazionedel miglior interesse della bambina.5. Infine, una politica di prevenzionedelle pratiche di MGF in vista del loroabbandono può essere perseguita neipaesi di destinazione degli immigratiafricani soltanto se strettamente legataa politiche analoghe portate avantinei paesi di provenienza. Non soloperché, come si è più volte osservato,è spesso in occasione <strong>dei</strong> momenti dirientro nel proprio paese che le MGFvengono eseguite, ma soprattutto perchéil superamento di queste tradizionipotrà avvenire soltanto nel quadro di undialogo e di un’osmosi “virtuosa” tra lecomponenti che storicamente strutturanomolte popolazioni africane: le comunitàrimaste in Africa e i gruppi della diaspora.In questo senso, potrebbe esserevalorizzata la funzionalità ad obiettividi promozione della dignità umana e<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle donne – tra i qualirientra senz’altro la lotta alle MGF –delle iniziative di cooperazione decentratain cui sono impegnati numerosi enti localie organismi non governativi veneti,nonché la stessa Regione Veneto.La “voce” della società e delle istituzioniitaliane e venete dovrebbe risuonare neipaesi africani, in tema di MGF,non solo come l’eco di una pur doverosacriminalizzazione specifica della pratica,


Rapporto di ricerca nella regione Veneto131ma anche come veicolo di un patto chepromuove lo sviluppo umano delle donne.Tale azione potrebbe inoltre esserefavorita dal coinvolgimento di esponentidelle comunità africane presenti in Italiariconosciuti come autorevoli non soloda chi si trova in Italia, ma anche dallecomunità <strong>dei</strong> paesi di provenienza.Si deve insomma promuovere unacontinuità tra gli sforzi di sradicamentodella prassi delle MGF compiuti in Europae in Italia – e, nello specifico, nel Veneto –e quanto i governi e la società civilefa in Africa: anche per questo, il “comunedenominatore” rappresentato dai <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> delle donne, pur con le necessarieprecisazioni che abbiamo evidenziato,rappresenta uno strumento indispensabileper la prassi.


Rapporto di ricerca nella regione Veneto133/ Riferimentibibliografici /Blanchet A., Dire et faire dire. L’entretien,Parigi, Colin, 1997Bovone L. (a cura di), Storie di vitacomposita. Una ricerca sulle scelte, 1984Cardano M., “Un singolare dialogo.L’intervista nella ricerca sociale”,in Quaderni di Sociologia, XLII, 19,pp. 147-155, 1999Cipolla C. – De Lillo A. (a cura di),Il sociologo e le sirene, Milano,Franco Angeli, 1996Bailey K. D., Metodi della ricerca sociale,Bologna, Il Mulino, 1991Bertaux D., “L’approche biographique.Sa validité methodologique, sespotentialités”, in Cahiers Internationauxde Sociologie, LXIX, luglio-dicembre,pp. 197-225, 1980Bertaux D., Biography and Society: the LifeHistory Approach in the Social Sciences,Londra, Sage, 1981Bichi R. “Il campo biografico: lo sviluppo,le articolazioni, gli approcci e la tipologia”,(1999), prefazione all’edizione italiana, inBertaux D. – Bichi D. (a cura di), Raccontidi vita. La prospettiva etnosociologica,Milano, Franco Angeli, 2008Bichi R., “Campo biografico e intellegibiltàlongitudinale”, in Studi di Sociologia,XXXVII, 1, 1999Bichi R., La società raccontata: metodibiografici e vite complesse, Milano,Franco Angeli, 2000Bichi R., L’intervista biografica.Una proposta metodologica, Milano,Vita e Pensiero,2004Corbetta P., Metodologia e tecnica dellaricerca sociale, Bologna, Il Mulino, 1999Corbin J. – Strauss A. L., Basics ofQualitative Research: Grounded Theory,Procedures and Technics, Londra,Sage, 1990Corradi C., “Notes on qualitative sociologyin Italy”, in Qualitative sociology, 11, 77-87,1988Cipriani R. (a cura di), Sociologia e ricercabiografica, in Maciotti M.I. (a cura di),La ricerca qualitativa <strong>nelle</strong> scienze sociali,Bologna, Monduzzi, 1997Denzin N. – Lincon S., The Handbookof qualitative research, Londra, SagePubblications, 1994Demazière D. – Dubar C., Dentro le Storie.Analizzare le interviste biografiche, Milano,Cortina, 2000Ferrarotti F., Storie e storie di vita, Bari,Laterza, 1974Nigris D., “Strategie di intervista elogiche della classificazione: il problemadelle categorie cognitive dell’attore”,in Sociologia e ricerca sociale, XXII, 2002


Contributi e ringraziamentiHanno contribuito a questo lavorodi ricerca: Sara Crocco, Irena Marceta,Teresa Ngigi Wanjiku Secoli, FrancaRiccardi, in qualità di ricercatrici;Gabriel Katambakana Tshimanga,Hermine Letonde Gbedo, Omer CoffiGnamey, in qualità di rappresentanti dicomunità; Salama Billa, Fama Cissé,in qualità di mediatori culturali.Un grande aiuto è stato offerto, inoltre,da Koutou Mabilo per le relazioni frale comunità, da Fulvia Riccardi perla segreteria scientifica e le relazionipubbliche, da Cristiana Scoppa di AIDOS,Associazione italiana donne per lo sviluppoper i preziosi suggerimenti.Un ringraziamento speciale va inoltreal dott. Salvatore Alberico eal dott. Giorgio Tamburlini dell’IRCCSBurlo Garofolo (partner progetto);al dott. Maurizio Kragel dell’ENFAP(partner progetto); al dott. Giovanni MariaLeo della Prefettura di Trieste;alla dott.ssa Daniela Gerin dell’Aziendaper i Servizi Sanitari n.1 “Triestina”;al dott. Carlo Baffi e al dott. Leonardo Boidodella Questura di Trieste;al prof. Paolo Pittaro e alla prof.ssaNatalina Folla dell’Università di Trieste;e al dott. Katepalli R. Sreenivasan,The Abdus Salam International Centre forTheoretical Physics (ICTP) di Trieste.


A cura di// CULTURE APERTE,ORNELLA URPIS/ UNA ricercaIN Friuli Venezia GiuliaProgetto <strong>Mutilazioni</strong><strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunitàmigranti. Percorso integratodi ricerca, formazione esensibilizzazione per laprevenzione e il contrastodi una pratica tradizionaleda abbandonare finanziatodal Dipartimento per le PariOpportunità nell’AMBITOdella legge 7/2006


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia137/ Le percezionisociali del fenomeno /di Ornella Urpisinglobate all’interno del gruppo culturaledi appartenenza e prive di una spintaverso l’indipendenza e l’autorealizzazione.Queste donne mantengono acriticamentei modelli tradizionali, senza mettere indiscussione i costumi e i valori dellacultura dalla quale provengono.Esse si trovano a vivere “per caso” inuna società alla quale non sembranoin nessun modo appartenere e rispettoalla quale manifestano disorientamentoed estraneità. Per loro le MGF sono unacomponente organica della tradizione,da accettare come un fatto “naturale”.La rilevazione del fenomeno dellemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> (MGF)in Friuli Venezia Giulia è molto complessae di difficile effettuazione. Il numero<strong>dei</strong> casi non è elevato e l’atteggiamentodelle persone di origine africana incontratein occasione di questa ricerca sembra,in generale, favorevole all’abbandonocompleto di tali pratiche. Ma le cose sonomeno semplici di quanto appare. Infatti,da un lato vi è molta reticenza, pochivogliono esporsi, i più preferiscono nonparlarne, come dimostra il fatto che nontutte le persone contattate hanno accettatodi farsi intervistare e partecipare allaricerca, dall’altro lato, vi sono indizi che citroviamo piuttosto di fronte a un fenomenoin espansione a seguito dell’aumento <strong>dei</strong>flussi migratori.Le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> feminili sonodescritte universalmente come pratiche“tradizionali”. La nozione centrale èdunque quella di tradizione. Infatti ildiverso rapporto con la tradizione ciconsente di individuare tre tipologie bendistinte di donne, caratterizzateda atteggiamenti diversi verso le MGF.Le prime sono le “tradizionali”,per lo più analfabete o comunquedipendenti dall’ambiente e dal maritonell’organizzazione della loro quotidianità,Le seconde sono le “emancipate”,più autonome e caratterizzate da unaqualche spinta verso l’autodeterminazione,pronte a rompere il tessuto culturale evaloriale della loro appartenenza etnicae quindi a rifiutare, insieme a molti altritratti tradizionali, vissuti come limitazionio menomazioni della propria individualità,anche e necessariamente le MGF, chepercepiscono come una “menomazione”vera e propria.Le terze sono le “tradizionaliste”.Esse condividono con le “emancipate”la spinta all’autodeterminazione ma,al contrario di queste, vedono nellatradizione e nel mantenimentodella cultura etnica una fonte importantedi dignità, una chiave per entrare nellasocietà di immigrazione, vissuta in modocritico, senza perdere la propria identità.La differenza tra le donne “tradizionali” ele donne “tradizionaliste” si approssimaempiricamente, e quindi con minorenettezza, a quella che intercorre trai tipi ideali della “tradizione” e del“tradizionalismo”. La tradizione implica untipo di comportamento prescrittivo(G. Germani, 1975) nel quale il criteriodella scelta tra diverse alternative èbandito o ridotto alle componenti piùstrumentali. In quanto tale, la tradizionenon è neppure avvertita come tradizione,


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia138ossia come un modello di valori,norme e pratiche sedimentatesi neltempo e corredate di potere coercitivosugli individui, bensì come una partedella natura, cui ci si deve conformarecome al variare delle stagioni oassoggettare come alle calamità.Come è stato detto, la tradizione parlacon la voce della natura.Il tradizionalismo invece è unatteggiamento modernizzato, e quindielettivo: i soggetti non subiscono latradizione, potrebbero rifiutarla, ne hannogli strumenti, e invece la scelgono.Il mondo contemporaneo ci mostramille manifestazioni di tradizionalismo,tra le quali forse la più recente esicuramente la più importante è la ripresadi molti tratti normativi di tradizionireligiose in società ormai ampiamentemodernizzate: naturalmente, questo nonavviene senza conflitti. Il tradizionalismo èl’ideologia della tradizione e si nutredi un sentimento ambivalente e polemicoverso la modernità.Naturalmente questi sono quelli chepossiamo definire “tipi puri”.Non dobbiamo attenderci che le donne cheabbiamo identificato come “tradizionali”siano davvero così inconsapevoli: dopotutto vivono in un contesto moderno,con il quale si relazionano attivamente pertanti aspetti della vita: il lavoro, la scuola<strong>dei</strong> figli, la salute, i permessi di soggiorno,ecc. E neppure immaginare le donneche abbiamo definito “tradizionaliste”come persone in polemica aperta con lecorrenti culturali del mondo moderno.I due gruppi presentano anzi alcunecaratteristiche simili.Infatti, sia nel caso delle donne“tradizionali”, tra le quali prevaleun livello di scolarizzazione moltobasso o addirittura una condizionedi analfabetismo, e che affermano chele decisioni in famiglia sono e vannoprese dal marito, sia in quello delledonne più consapevoli e determinatenell’affermazione di una propriaidentità diversa da quella occidentale,cioè le donne che abbiamo definito“tradizionaliste”, l’emarginazione gioca unruolo rilevante. In entrambi i casi questedonne vivono inglobate nel proprio gruppoculturale o all’interno di un contestodi riferimento ben definito, isolato orelativamente isolato dalla societàdi immigrazione. Alle prime l’isolamentosociale impedisce di sviluppare gliadattamenti identitari tipici di ogniforma di integrazione sociale in ambienticulturali diversi. Per le secondel’integrazione nel gruppo di provenienzaorienta l’affermazione della propriaidentità personale attraverso i segnidell’identità collettiva di provenienza: perlo più segni attinenti al corpo, quali unabito (scelta del velo) o una distinzioneanatomica (MGF), e comunque trattioggettivi e dunque inequivocabili.A volte questa identità viene utilizzataa scopi di promozione sociale per sée per il proprio gruppo, senza checiò comporti alcuna deviazione daglistandard tradizionali, anzi, tutto ilcontrario. La promozione è favorita anchedall’immaginario collettivo occidentaleche – fino a un certo punto – riconosce evalorizza lo straniero in quanto portatoredi differenze.Questi ultimi soggetti, se portatoridi MGF, sono probabilmente quelli piùrefrattari alle campagne che promuovonol’abbandono della pratica. A ben vedere,il loro modo di porsi nei confrontidelle MGF presenta alcune componentiche entrano in relazione sinergica erendono estremamente difficile ognitipo di ripensamento. Innanzitutto,come abbiamo detto, esse vivono lapratica come una scelta, e ciò le rendeorgogliose. Il fatto poi che la scelta nonsia stata libera, vista la tenera età in cuidi solito le bambine vengono sottoposte


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia139alla pratica, non importa: anzi spingeverosimilmente a razionalizzare laviolenza subita e a valorizzarla proprioin quanto manifestazione di una volontàconsapevole. Di qui l’accentuazionedell’aspetto ideologico. In secondoluogo, l’adesione alle MGF èparadossalmente una scelta di nonscegliere, giacché assume a contenutola tradizione, dunque la continuità con ilcontesto di provenienza, impedendo unascelta di segno opposto. Terzo, la forzadel modello culturale, già cospicua di persé, si alimenta di una ambiguità valutativaverso la società occidentale che è tipica<strong>dei</strong> processi psicologici della migrazione,e spinge ad asserire con determinazionela propria specificità, spesso alimentatadalla percezione che proprio la differenzaculturale può diventare uno strumentodi promozione sociale. Tutto ciò fadelle donne “tradizionaliste” non solodelle roccaforti della tradizione,ma anche <strong>dei</strong> veicoli attivi di tali modelliculturali, propense coscientemente eideologicamente a tramandare la praticaalle proprie figlie.Secondo le testimonianze raccolte,la pratica sulle bambine viene effettuataall’estero. La modalità sembra essere unviaggio con una permanenza piuttostolunga per la cicatrizzazione, e poi ilrimpatrio. Nel proprio paese d’originel’ambiente risulta ideale per diverseragioni: la presenza della strutturafamiliare che fa da supporto all’evento;il rafforzamento dell’identità tradizionaledovuto alla re-immersione nel propriomilieu; la condivisione dell’emotivitàe dell’iniziazione della bambina con ilgruppo delle coetanee, che rafforza lamotivazione; e infine, ma non ultima perimportanza, la convinzione dell’impunitàgiuridica. Nelle parole di una intervistata:di origine. Si ritorna perché lì l’ambienteculturale è quello adeguato e così si ritornaalle vecchie abitudini, all’identità.Può anche accadere che le bambinevengano mutilate all’insaputa e controla volontà stessa <strong>dei</strong> genitori nei periodidi permanenza nel paese d’originecoincidenti con le vacanze estive. Il timoreche ciò possa accadere è realistico, ed èstato manifestato da alcuni genitori che sibattono fermamente per l’abbandonodelle MGF. Una donna keniota afferma:Ci sono le cosiddette curatrici esperte inquesta cosa, ci sono anche ragazze chevanno a scuola e durante le vacanze tornanoa casa, e lì scoprono che la comunità o ilclan ha preparato la cerimonia e si fa semprenell’ambito di una cornice tradizionale,questa benedetta tradizione.Possiamo quindi affermare che il pericoloper le bambine proviene da diversiattori: da una parte le madri, quandogiustificano le MGF in nome del rispettodella tradizione, dell’identità e dignitàpersonale; dall’altro i parenti all’estero, inparticolare i nonni, che, nel timoredi perdere la continuità ontologica coni/le nipoti che passa attraverso lacondivisione <strong>dei</strong> modelli più arcaicidi comportamento, sottopongono lebambine alla pratica durante le vacanzenel paese d’origine e in tal maniera lerestituiscono all’unico mondo che per loroha un senso. Secondo una testimonianza,quando queste bambine tornano,ci si accorge che è avvenuto qualcosadi importante, a volte non parlano più odimenticano l’italiano e non socializzanopiù come prima. Effettivamente,ora appartengono “a un altro mondo”.Questo significa il mantenimento di unforte aggancio con la propria cultura e unrientro nella tradizione e nei valori del paese


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia140/ Aspetti metodologicidella ricerca /La complessità dell’oggetto studiato e ledifficoltà nel coinvolgimento di soggettiinteressati dalla pratica nella ricerca,per via del tabù che circonda l’argomento,hanno suggerito una tecnica di rilevazionedi tipo qualitativo che permettesse di faraffiorare i problemi relativi ai processidi immigrazione, al mantenimento/mutamento <strong>dei</strong> modelli tradizionali,alla sessualità e ai rapporti fra i sessinel mutato contesto sociale, e infine allaconservazione o all’eventuale abbandonodella pratica delle MGF.Per la ricerca sono stati utilizzatimetodi non intrusivi: metodi cioè con ilcui impiegonon si verifica un’intrusione (percepita)da parte del ricercatore nella vita dellepersone studiate o nel sistema <strong>dei</strong> lororapporti sociali. L’azione sociale avvieneo in maniera inconsapevole dell’atto diosservazione, oppure il ricercatore intervienesolo successivamente, quando l’azionesociale si è già verificata e, a posteriori,la ricostruisce. (G. Delli Zotti, 1997, p.74)Per questa ragione, fondamentalmentericonducibile a una questione di metodo,i primi sei mesi sono stati impegnatinell’attività dell’osservazione partecipante,che ha previsto anche l’utilizzodi informatori/trici. Solo successivamentesi è passati alla fase dell’osservazionesistematica attraverso colloqui aperticon singoli o piccoli gruppi di africani/eresidenti in Friuli Venezia Giulia.Infine, nell’ultima fase, si è proceduto,attraverso la tecnica dell’intervistasemi strutturata, a una raccoltadi informazioni più sistematica.Le interviste, le cui tracce (presentinell’appendice del volume) sono statediversificate in base agli oggettidi osservazione – donne africane,mediatori/trici linguistico-culturali,operatori/trici socio sanitari/e, polizia eforze dell’ordine – hanno permessodi evidenziare alcune importanti modalitàdi organizzazione e di svolgimento dellavita degli immigrati di origine africanasul territorio del Friuli Venezia Giulia edi comprendere le motivazioni <strong>dei</strong> lorocomportamenti e le trasformazionida questi subite,in relazione alla praticadelle MGF.L’analisi e l’interpretazione della dialetticamantenimento/mutamento degliatteggiamenti e <strong>dei</strong> comportamentirispetto alla tradizione e alla pratica delleMGF nella regione Friuli Venezia Giuliacostituisce uno <strong>dei</strong> primi studi sul campodi un fenomeno davvero complesso.Ciò che emerge è che anche in questarealtà sociale e territoriale esso si presentacon caratteristiche non molto dissimilida quelle già osservate in altri contesticulturali, confermando le indicazioniricavabili dalla vasta letteratura sul tema.È stato evidenziato inoltre, e in modomolto chiaro, che il perpetuarsi dellapratica coinvolge, sia pure in misuraridotta, anche bambine di origine africanaresidenti in Friuli Venezia Giulia.L’osservazione sul campo ha coinvoltodirettamente più di cento personedi origine africana che, a titolo diverso,hanno offerto il loro contributo alla ricercaattraverso incontri, dibattiti, interviste, ecc.Sono state realizzate inoltre, come giàdetto, venticinque interviste in profondità apersone appartenenti a target differenziati:− − otto interviste a donne africane sceltefra il campione studiato in base allanazionalità (Kenya, Nigeria, Benin,Camerum, Burundi) e alla residenza(tre a Trieste, due a Gorizia, due a Udinee una a Pordenone);


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia141−−quattro interviste a mediatori/triciculturali di origine africana iscrittiall’Elenco regionale: una mediatriceegiziana che opera a Gorizia con irichiedenti asilo politico, una mediatricecongolese che lavora allo sportellodell’Associazione degli Immigratidi Pordenone, una mediatricedel Madagascar che lavora nei servizisociali a Trieste, e un mediatoredel Burkina Faso che è anchepresidente dell’Associazione dellecomunità burkinabé della Regioneautonoma Friuli Venezia Giulia con sedea Pordenone;−−sei interviste a medici e operatori/tricisanitari/e in contatto con lapopolazione migrante, fra cui:il medico responsabile, l’infermierae l’ostetrica dell’ambulatorio delThe Abdus Salam International Centrefor Theoretical Physics di Miramare,sede dell’International Atomic EnergyAgency (IAEA) delle Nazioni Unite aTrieste, dove soggiornano moltissimi/estudiosi/e del Sud del mondo; duemedici di origine africana dell’ospedaledi Pordenone; un docente di Anatomiapatologica dell’Università di Triestee il primario di Anatomia patologicadell’ospedale di Monfalcone (Gorizia);di Udine, incentrato sui processidi migrazione/contatto/integrazione,il rapporto fra identità e mantenimento/mutamento delle tradizioni,la modificazione <strong>dei</strong> costumi econsiderazioni sulle pratiche dimutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>;−−il secondo, con medici dell’IRCCSBurlo Garofolo di Trieste, partner delprogetto, e dell’ospedale di Cattinara,ha affrontato due importanti tematiche:l’esperienza professionale già acquisita(assistenza sanitaria a donne portatricidi mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>,eventuali interventi di prevenzionenel caso di bambine pazientidelle medesime strutture) e il ruolodel personale medico nell’applicazionedella legge 7/2006;−−il terzo, con presidenti di associazionidi migranti e mediatori/trici culturalipresso la sede di Udine dell’UCAI,Unione delle Comunità e Associazionidi Immigrati del Friuli Venezia Giulia,volto ad approfondire le cause dellapersistenza delle MGF e le modalitàdi contrasto – diversificate, anche perla delicatezza del tema – adottate o daadottare da parte di chi è maggiormentein contatto con le famiglie.−−infine sono state realizzate interviste inprofondità a testimoni qualificati,quali esperti e membri delle forzedell’ordine, il presidente del CentroCulturale Islamico di Trieste edella Venezia Giulia, un assessoredel Comune di Monfalcone di originesenegalese, due docenti di diritto penaledell’Università di Trieste, la presidentedel Comitato per i <strong>diritti</strong> civili delleprostitute e due esponenti della polizia.Sono stati realizzati inoltre tre focus groups:−−il primo, con un gruppo compostoda quindici donne e uomini africane/iQuanto poi ai risultati ottenuti dal puntodi vista della comunicazione, sicuramenteil conseguimento più importante èconsistito nell’apertura di un confronto e diuna discussione sul tema della sessualitàtra persone immigrate di entrambi i sessi.Sulla sessualità non si era mai aperto unconfronto pubblico fra gli/le immigrati/edi origine africana in Friuli Venezia Giuliae, probabilmente, nemmeno altrove.Ma è noto che al mantenimento dellapratica contribuiscono una nettaseparazione fra i sessi, dal punto di vistadella costruzione <strong>dei</strong> ruoli di genere,cioè <strong>dei</strong> comportamenti appropriati per unuomo o una donna, che impedisce anche


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia142a marito e moglie di parlare apertamentetra loro di aspetti legati alla sessualità,e la carenza di conoscenze rispetto allafisiologia e alle modalità della vita affettivaed emotiva dell’uomo e della donna conle implicazioni che ciò ha proprio sullasessualità. È stato molto utile parlaredella funzione dell’orgasmo nella vitadelle persone e del suo rilievo anche inuna prospettiva di affermazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> e delle libertà fondamentali.Se ne è parlato in maniera esplicita,potendo “chiamare le cose con il proprionome” e superando le barriere culturali,religiose e di genere.Nel corso della realizzazione della ricercain Friuli Venezia Giulia è stata riscontratauna forte reticenza da parte di alcunedelle donne africane di fronte all’utilizzodegli strumenti di registrazione. In alcunicasi si è pertanto dovuto procedere allarealizzazione delle interviste senza l’ausiliodella registrazione, ma solo attraversola stesura di appunti nel corso dellaconversazione, al fine di permettere alsoggetto di aprirsi superando l’imbarazzo.Un’iniziale lentezza nel fissare gliappuntamenti per le interviste,in particolare con le donne e gli uominiimmigrati, legata in parte anche ailoro tempi di lavoro che lasciavanouno spazio limitato per altre attività,è stata progressivamente superataattraverso il più attivo coinvolgimento <strong>dei</strong>rappresentanti di comunità e degli altripartner sul territorio. La partecipazionedegli attori si è espressa principalmenteattraverso: l’inserimento in un ruolo attivonella ricerca (interviste); la stimolazionedi discussioni nei luoghi delle associazioni;la promozione del progetto presso ulteriorisoggetti, con un allargarsi delle relazionisul territorio secondo la tipica modalità“a tela di ragno”.L’impatto del progetto, e in particolaredella ricerca, sul contesto territorialedi riferimento è stato senz’altro positivo.Tutte le persone intervistate hannodimostrato interesse per l’argomento e,in molti casi, hanno visto rafforzate leproprie convinzioni circa l’opportunitàdell’abbandono della pratica. Alcuni/e sisono offerti come volontari per il progettoin Friuli Venezia Giulia, altri/e hannocoinvolto le proprie associazioni –è il caso dell’Associazione delle comunitàburkinabé della Regione autonomaFriuli Venezia Giulia di Pordenone edell’Associazione Bénin solidarietà esviluppo di Udine – per tentare di aprireun dibattito anche nei propri paesi,altri/e ancora hanno richiestodocumenti sulla diffusione del fenomenomanifestando l’intenzione di continuarel’azione dissuasiva autonomamenteanche al termine del progetto.Per quanto concerne i problemi incontrati,la difficoltà più grande è consistita nelraggiungere e coinvolgere le donne giàmutilate, anche perché molte di colorocoinvolte dalle associazioni e dai referentidi comunità che operano per il progettonon parlano italiano o ne hanno unaconoscenza molto elementare,alcune rivelando di essere completamenteanalfabete. Ciò ha reso molto difficilela comunicazione verbale e scritta,che ha dovuto usufruire della mediazionedi altri soggetti, con possibili effettidi distorsione.Tuttavia, in generale, non si sonopresentati problemi insormontabili.La realizzazione delle intervisteapprofondite con le donne già mutilate èstato forse l’aspetto più complesso dellaricerca, un po’ per via del loro livello diistruzione (molto basso o nullo), a voltecon sensibili difficoltà nell’utilizzo dellalingua italiana, un po’ per la vergogna di“esporre” simbolicamente il proprio corpoagli/lle altri/e, in particolare nei focusgroup. La buona pratica adottata è stataquella di generare un dibattito, anchequando le persone coinvolte erano poche,


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia143allargando il discorso alle varie dimensionidella convivenza e delle relazionifamiliari per poi tornare a concentrarsisulle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>quando già era stato costruito un climadi maggiore agio e apertura tra i/lepartecipanti; oppure quella di realizzaredibattiti e incontri separati per donne euomini, in modo da ricreare, in particolareper le donne, l’atmosfera di confidenza ereciprocità tipica, ad esempio, <strong>dei</strong> gruppidi autocoscienza attivi nei consultori,metodologia adottata da AIDOS nel primoprogetto di prevenzione delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>/escissionerealizzato in Somalia in collaborazionecon SWDO, Somalia Women’s DemocraticOrganisation.Oltre alle attività descritte, è statoorganizzato anche un Tavolo di confrontofra le associazioni <strong>dei</strong> migranti e leistituzioni. Si sono tenute due riunioni:−−la prima è stata organizzata dallaPrefettura di Trieste, in collaborazionecon AIDOS, Associazione italiana donneper lo sviluppo e Culture Aperte, nellastessa sede della Prefettura in PiazzaUnità d’Italia. Il Prefetto ha invitato leistituzioni più interessate al fenomenodelle MGF e i membri del ConsiglioTerritoriale per l’Immigrazione dellaprovincia di Trieste (Regione AutonomaFriuli Venezia Giulia, Direzione CentraleIstruzione, Cultura, Sport e Pace, dott.Lucio Pellegrini; Direzione centralesalute e protezione sociale, dott.ssaNora Coppola; Provincia di Trieste,Assessore dott.ssa Marina Guglielmi;Comune di Trieste, Assessoredott. Carlo Grilli; Questura di Trieste,dott. Carlo Baffi; Comando Provinciale<strong>dei</strong> Carabinieri di Trieste; Azienda per iServizi Sanitari n.1 “Triestina”,dott.ssa Daniela Gerin; IRCCS BurloGarofolo, dott. Giorgio Tamburlini -dott. Salvatore Alberico; Universitàdegli Studi di Trieste, prof. Paolo Pittaro;Ufficio Scolastico Regionale,dott.ssa Barbara Gambellin; UN.IT.I.Unione Italiana degli Immigrati delFriuli Venezia Giulia, Tatjana Tomicic;Coordinamento delle Associazionie delle Comunità degli Immigratidella Provincia di Trieste,ing. Nader Akkad; AssociazioneInterethnos, Fama Cissé) 28 .L’associazione Culture Aperte haesteso l’invito al Tavolo ad alcuneassociazioni, le più rappresentativein regione, che operano <strong>nelle</strong> realtàdell’immigrazione, in particolaredi quella africana: Circolo Aperto, Sagal -associazione italo-somala, ProgettoStella Polare, ICS - Consorzio Italianodi Solidarietà, UCAI Friuli Venezia Giulia -Unione delle Comunità e delle Associazionidi immigrati in Friuli Venezia Giulia,Associazione Mediatori di Comunità,Associazione delle comunità burkinabédella Regione autonoma Friuli VeneziaGiulia di Pordenone.28 A mezzo fax Trieste, 15 dicembre 2008OGGETTO: riunione in materia di mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunità di immigrati.Nell’ambito delle attività che il Consiglio Territorialeper l’Immigrazione svolge, a livello provinciale, al finedel coordinamento delle iniziative pubbliche e privatein tema di ingresso e integrazione delle comunità distranieri, si inserisce l’attenzione e la cooperazione chedeve essere garantita nella prevenzione e contrastodella pratica, purtroppo ancora persistente nei nostriterritori, delle mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> subiteda donne e bambine. Il fenomeno, dalle evidentiimplicazioni socio-culturali, oltre che sanitarie, vainnanzitutto monitorato, raccogliendo le necessarieinformazioni nel confronto con le numerose associazionicoinvolte, in particolare quelle di immigrati africani. Atal fine, in questa Prefettura (Sala Verde), il giorno 19dicembre 2008, alle ore 15.00, si terrà una riunione cheprevede la partecipazione <strong>dei</strong> componenti del Consiglioper l’Immigrazione particolarmente interessati alproblema e dell’AIDOS (Associazione italiana donneper lo sviluppo), che – con il supporto dell’AssociazioneCulture Aperte – sta conducendo nel Friuli Venezia Giuliaun progetto, approvato e finanziato dal Dipartimento perle Pari Opportunità, finalizzato all’abbandono di dettapratica. Quest’ultima associazione vorrà direttamenteprovvedere a comunicare la data della riunione agliulteriori enti già individuati in base alle precorse intese.IL PREFETTO (Balsamo)


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia144In questa riunione, per la prima voltanella regione Friuli Venezia Giulia, il temadelle MGF è stato affrontato in un dibattitopubblico fra istituzioni e associazioni.La Prefettura ha voluto conoscere, inparticolare, le azioni sinora intrapresedalle istituzioni per affrontare i problemidelle donne migranti portatrici di MGF. Duerappresentanti africane hanno denunciatoil rischio che bambine nate in Italia dagenitori africani vengano mutilate nei paesidi origine <strong>dei</strong> genitori durante le vacanzeestive o altri periodi di permanenza.La seconda riunione del Tavolo è stataorganizzata dall’associazioneCulture Aperte insieme all’Aziendaper i Servizi Sanitari n. 1 di Trieste nelcomprensorio del ex-ospedale psichiatricodi San Giovanni.La finalità di questa seconda riunione eraquella di coinvolgere il numero maggioredi associazioni per creare un dibattito alivello regionale fra tutte le più importantiorganizzazioni africane e di immigratidel territorio regionale.Associazione Sacile mondo insieme,Associazione Udine Ivoriana, CACIT -Coordinamento delle associazioni e dellecommunità degli imigrati della provinciadi Trieste, Centro Culturale Islamicodi Trieste e della Venezia Giulia, CentroIslamico friulano, Femmes Burkinabédi Pordenone, Ghana Association diPordenone, ICS - Consorzio Italiano diSolidarietà, La Tenda della Luna, UCAI -Unione delle Comunità e Associazionidi Immigrati del Friuli Venezia Giulia.Alla riunione erano presenti 46 persone fracui rappresentanti della Direzione centraleSalute della Regione Friuli VeneziaGiulia, dell’Azienda Sanitaria di Triestee dell’Università di Trieste, un avvocatotriestino e molte donne burkinabé.Il gran numero di partecipanti africani/e,soprattutto di donne, ha fatto sì che nelcorso del dibattito si sviluppasse unconfronto serrato e articolato sui temidella famiglia, del matrimonio,delle motivazioni della persistenzadella pratica e del suo abbandono.Per l’occasione sono stati invitati irappresentanti delle seguenti associazioni:A.S.C.A.T - Ass. Studenti CamerunensiAteneo di Trieste, ACBFV - Associazionedelle comunità burkinabé della Regioneautonoma Friuli Venezia Giulia, ASEF -Associazione <strong>dei</strong> senegalesi di Trieste,Associazione italo–somala Sagal,Associazione Altra Metà, AssociazioneBarra del Mali, Associazione CamerunConnection, Associazione Circolo aperto,Associazione degli Etiopi, Associazione<strong>dei</strong> Nigeriani, Associazione Fulbéin Italia, Associazione Immigratidi Pordenone, Associazione Interethnos,Associazione Mediatori di Comunità,Associazione Mondo Tuareg, AssociazioneMontereale, Associazione Nuovi Cittadini,Associazione Pilgrim Christian MinistryGhana, Associazione Progetto StellaPolare, Associazione Rehoboth Onlus,


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia145


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia147/ Comunità africanee mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /di Irena Marceta/ Consistenza numericadelle comunità africanenella regione /Fare una stima della diffusionedelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>fra le donne e le bambine presentisul territorio italiano è molto difficile,sia per la mancanza di dati precisisull’immigrazione, sia, soprattutto,a causa del divario sempre presente fra lastatistica e la realtà. Una stima è sempreun’approssimazione e le probabilità sullequali basiamo le nostre stime sparisconoe si annullano davanti ai destini dellepersone reali. Inoltre, stimare l’incidenzadel fenomeno MGF tra le comunitàimmigranti è di particolare difficoltà acausa della mancanza <strong>dei</strong> dati relativi algruppo etnico di provenienza, allo statussocio-economico, alla provenienza rurale/urbana, al livello di istruzione e all’etàdelle immigrate africane.Tutti questi fattori influiscono fortementesulla diffusione della pratica nel paesedi origine, come dimostrano le ricercheDHS, Demographic and Health Surveys(Sondaggi demografici e sanitari) chehanno rilevato il tasso di prevalenza delleMGF in numerosi paesi africani, e come sipuò vedere nel seguente esempio riferitoalle donne ghanesi, fortemente presentisul territorio italiano. Secondo le stimedelle ricerche MICS, Multiple ClusterIndicator Surveys dell’Unicef,la percentuale di donne che ha subitouna qualche forma di MGF in Ghanavaria a seconda della provenienza dazone urbane (incidenza del 2%) o rurali(6%), con una stima nazionale del 3,8%.Assumendo che l’immigrazione ghaneserispecchi perfettamente la strutturasocio-economica del paese, l’incidenzasul territorio del Friuli Venezia Giulia sidovrebbe calcolare in base alla stimadell’incidenza sull’intero territorioghanese, portando a una stima di 65donne ghanesi a rischio di MGF.Supponendo che, però, provenganoda zone urbane, tale numero verrebbedimezzato (34 donne), mentre nel casoin cui le immigrate ghanesi provenisseroprincipalmente dalle zone rurali, talenumero salirebbe quasi al doppio econteremmo 102 donne potenzialmentea rischio.L’appartenenza ad una particolare etniaè di ancor più grande impatto. In alcunipaesi ci sono <strong>dei</strong> gruppi etnici dove ilfenomeno non è affatto presente e altridove invece è largamente diffuso.Se le donne provenienti da un determinatopaese appartenessero tutte a un’etnia chenon pratica le MGF allora l’applicazionedel tasso di prevalenza nazionale del paesefalserebbe inequivocabilmente il datoper eccesso. O viceversa. L’appartenenzaetnica è uno <strong>dei</strong> fattori più importanti percapire le norme comportamentali <strong>dei</strong>soggetti in merito alle MGF, e la carenza<strong>dei</strong> dati al riguardo rende impossibile unastima accurata dell’entità del fenomeno.Inoltre, la stima del fenomeno basata solosull’incidenza del fenomeno nel paese diorigine non prenderebbe in considerazionel’impatto della socializzazione degli


148Una ricerca in Friuli Venezia Giuliaimmigrati. L’esposizione a una culturadiversa da quella di origine, dove le MGFnon solo non sono praticate, ma sonoanche considerate una violazione<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, la penalizzazionelegislativa della pratica, la difficoltàdi accesso a strutture e/o persone dispostead eseguire la pratica sulle bambine,tutti questi fenomeni possono contribuirea promuovere l’abbandono della praticatra le/gli immigrate/i.In mancanza <strong>dei</strong> dati necessari perstimare l’incidenza del fenomenoin Italia, in questa parte cercheremodi esaminare le statistichesull’immigrazione dai paesi africanidove sono presenti le pratiche di MGF,per descrivere la comunità degli immigratiafricani presenti nella regione.Tre sono i tipi di dati utilizzati a tale scopo:−−le statistiche sull’immigrazione, inparticolare: il paese d’origine, il sesso ela provincia di residenza in Italia,−−le statistiche sulla diffusione dellepratiche di MGF nel paese d’origine,−−le statistiche sul numero <strong>dei</strong> bambiniprovenienti dai paesi africani inclusinell’analisi.Quanto ai dati relativi all’immigrazione,abbiamo preso in considerazione i dati residisponibili dall’ISTAT.Tale scelta deriva dalla comparabilitàper regioni e per singole province che lostrumento standardizzato della raccoltadati ISTAT offre. Il set più completo<strong>dei</strong> dati sull’immigrazione reso disponibiledall’ISTAT è quello sugli/lle stranieri/eresidenti in Italia fino al dicembre 2006.Anche se i dati relativi al 2007 sono statipubblicati, non possiamo riferirciad essi poiché non abbiamo a disposizionela voce riguardante i paesi e le singoleprovince del Friuli Venezia Giulia.Il data set sugli/lle immigrati/e muniti/edi permesso di soggiorno nel 2007,per esempio, per quanto riporti i dati perle varie regioni, non offre una statisticadettagliata sul paese d’origine(si riferisce soltanto ad alcuni paesiafricani), né fornisce la distribuzionedegli/lle immigrati/e <strong>nelle</strong> singole provincedi una regione.È altrettanto interessante notare ladiscrepanza tra il numero degli immigratidegli/lle africani/e residenti in FriuliVenezia Giulia nel dicembre 2006 e ilnumero degli immigrati africani aventiil permesso di soggiorno nel gennaio2007: mentre per tutte le altre comunità ilnumero degli stranieri residenti è di granlunga inferiore al numero degli stranieriaventi il permesso di soggiorno, per lacomunità africana tale rapporto è inverso:il numero degli africani residenti in FriuliVenezia Giulia supera di più di 3.000 unitàil numero degli stranieri africani aventi ilpermesso di soggiorno.Un trend simile si registra anche alivello nazionale, dove il numero degliafricani residenti conta 200.000 individuiin più rispetto al numero di africani con ilpermesso di soggiorno.Al di là delle cause di questo fenomeno,che possono derivare da una particolaritàdell’immigrazione africana, o da un errorenella raccolta <strong>dei</strong> dati, abbiamo decisodi utilizzare il data set nel quale il numerodegli stranieri provenienti dall’ Africa èmaggiore. La scelta è stata guidata daiseguenti fattori:1. I dati disponibili nei due data set:il data set relativo agli stranieriresidenti nel dicembre 2006 era l’unicoche recava sia le statistiche regionali siaquelle relative alle province, il paesedi origine e la distinzione per sessodegli immigrati.2. Nell’impossibilità di conoscere lecause della discrepanza <strong>dei</strong> datisopradescritta, e nella mancanzadi prove che mostrino un errore


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia149nell’elaborazione <strong>dei</strong> dati, l’accuratezzadell’Istituto nazionale di statistica nonpuò essere messa in discussione.In ogni caso, bisogna tenere presenteche i dati analizzati non si riferisconoall’immigrazione clandestina, il che rendele nostre stime inferiori a quella che è lavera diffusione del fenomeno.Un’altra serie di dati utilizzati in questorapporto riguarda il tasso di diffusionedelle pratiche di MGF nel paesed’origine. L’incidenza del fenomeno MGFrappresenta una stima percentualedelle donne tra i 15 e i 49 anni portatricidi mutilazioni <strong>genitali</strong>.Diverse organizzazioni internazionalihanno prodotto delle stime sulla diffusionedel fenomeno nei paesi africani.I dati utilizzati in questa ricerca sonoquelli resi disponibili nell’ultimorapporto pubblicato dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità (OMS), e derivanoprincipalmente da due fonti, entrambeconsiderate tra le più attendibili nelsettore: le ricerche Demographic andHealth Survey (DHS, pubblicate da MacroInternational) e le ricerche pubblicatedall’UNICEF, Multiple Indicator ClusterSurvey (MICS). I dati utilizzati quidifferiscono leggermente da quelliriportati dalle DHS (2004) e utilizzatida Yoder e Khan (2007), in quanto peralcuni paesi l’OMS ha prodotto stime piùaggiornate derivanti dall’ultima ricercaeffettuata dall’UNICEF (2006).Vista la somiglianza del metodo utilizzatoda DHS e MICS, le differenze al ribasso<strong>nelle</strong> stime sono probabilmente il prodottodel trend generale della diminuzionedella diffusione di questo fenomeno(ad esempio in Ghana: 3,8, registrato nel2005, invece di 5,4 nel 2003; Burkina Faso72,5 nel 2005 al posto di 76,3 nel 2003;Repubblica Centro-Africana: 25,7 nel 2005invece di 35,6 nel 2000).Infine, quanto al numero delle bambineafricane presenti sul territoriodel Friuli Venezia Giulia, utilizzeremo idati resi disponibili dall’Ufficio ScolasticoRegionale, il quale offre una precisaclassificazione degli alunni stranieriche durante l’anno scolastico 2007-2008 hanno frequentato le scuoleprivate e statali della regione. Anche sesarebbe preferibile utilizzare i dati cheriguardano lo stesso campione dell’ISTAT,la mancanza di dati dettagliati sulleminorenni africane presenti <strong>nelle</strong> singoleprovince ci ha costretto a rivolgerci a unafonte alternativa. Per tale motivo bisognapremettere alcune avvertenze sull’utilizzoe sulla lettura <strong>dei</strong> dati che offriremo.I dati dell’Ufficio Scolastico Regionaleoffrono un’analisi per stato di provenienzasolo per gli/le alunni/e della scuolaprimaria di primo e secondo grado,lasciando invece fuori dalla statistica ibambini delle scuole d’infanzia. Questosignifica che il dato sul numero dellebambine si riferisce alle bambine nellafascia di età compresa tra i 6 e i 18/19anni, salvo variazioni dovute ad eventualibocciature scolastiche, le quali possonocomportare un aumento della fasciad’età. Inoltre esso non include le bambineche hanno interrotto gli studi dopo laconclusione della formazione obbligatoria.Alla fine, il dato relativo al numero dellealunne di origine africana, poiché includeanche le figlie di extracomunitari/eclandestini/e, non può essere confrontatocol numero degli stranieri residenti nelFriuli Venezia Giulia indicato dall’ISTAT.La comunità africana residente sulsuolo italiano secondo i dati ISTAT(dicembre 2006) conta un numerocomplessivo di 749.897 individui,tra cui 276.934 provenienti da paesidove è presente la pratica delle MGF.Anche se principalmente compostada immigrati di sesso maschile,questa popolazione, con 103.219 donne,rappresenta una sostanziosa comunitànella quale il problema delle MGF è partedella vita quotidiana.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia150Nel Friuli Venezia Giulia la popolazionedi origine africana constatava nello stessoperiodo di 12.584 individui, tra i quali 7.887provenienti da paesi nei quali è presente lapratica delle MGF. Come nel resto d’Italia,anche qui l’immigrazione da questi paesisi caratterizza per una forte prevalenzadi individui di sesso maschile, un trend chenel tempo, però, tende a cambiare.Secondo i dati ISTAT, la percentualedelle donne immigrate africane rispetto alnumero totale degli immigrati provenientidall’Africa era intorno al 38,8% nel2002, per salire leggermente nel 2006 a39,8%. Le donne provenienti dai paesi neiquali sono presenti le MGF residenti sulterritorio del Friuli Venezia Giulia sono3.339 e rappresentano il 42% del numerototale degli/lle immigrati/e provenientida questi paesi.Come si evince dalla Tabella 1, tra ipaesi inclusi in questo studio, sulterritorio regionale prevalgono ghanesi,nigeriani/e, senegalesi e burkinabé, checomplessivamente costituiscono circa il70% del nostro campione. Inoltre Costad’Avorio, Congo, Camerun, Egitto, Togo,Etiopia, Angola e Liberia sono i paesidai quali provengono più di 100 individuipresenti sul territorio regionale, mentre glialtri paesi africani interessati dalla praticadelle MGF sono meno rappresentati nelFriuli Venezia Giulia.Per una migliore comprensione delfenomeno e una descrizione dellacomunità africana residente in regione,bisogna osservare anche l’incidenzadel fenomeno delle MGF nel paesed’origine. Come si rileva dalle stimedell’OMS, il fenomeno delle MGF non èugualmente diffuso nei paesi africanie ci sono significative differenze tra ipaesi inclusi in questa ricerca. La praticadelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>è fortemente diffusa in paesi come laSomalia (il 97,9% delle donne di etàcompresa tra i 15 e i 49 anni sono stateoggetto di qualche tipo di MGF), Guinea(95,6%), Egitto (95%), Sierra Leone (94%),Gibuti (93,1%), Mali (91,6%), Sudan (90%)Eritrea (88,7%), Gambia (78,3%), Etiopia(74,3%), Burkina Faso (72,5%), Mauritania(71,3%); mentre la più bassa incidenza sitrova in paesi come Uganda (0,6%),Camerun (1,4%), Niger (2,2%), Ghana(3,8%) e Togo (5,8%).L’abbandono progressivo delle MGF puòavere un impatto positivo non solo nellaprevenzione di tali pratiche in Italia,ma può anche, tramite i membri delladiaspora come principali “esportatori”<strong>dei</strong> sistemi di valori, contribuireall’abbandono delle MGF nei paesid’origine. In tale luce è importantesottolineare che sul territorio del FriuliVenezia Giulia ci sono più di 2.200 personeprovenienti da paesi nei quali, secondol’Organizzazione Mondiale della Sanità,la pratica è molto o abbastanza diffusa.Nella tabella 1 (pag. 152) si fornisce l’annodel rilevamento statistico (DHS o MICS)per ciascun paese, che non viene piùriportato <strong>nelle</strong> tabelle successive./ Consistenza numericadelle comunità africane <strong>nelle</strong>province della regione /Nella provincia di Udine (tabella 2),la popolazione delle/gli immigrate/iprovenienti dai paesi nei quali è presentela pratica della MGF conta 2.585 persone,ovvero il 32% del campione regionaleanalizzato. La popolazione femminile quiè leggermente più numerosa rispetto allivello regionale del Friuli Venezia Giulia,rappresentando il 46% del campioneanalizzato. Inoltre, la provincia di Udineè la seconda provincia in regione peril numero di alunne provenienti daipaesi inclusi nell’analisi. Quasi il 33%delle bambine del campione regionale


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia151analizzato frequenta la scuola privatao statale nella provincia di Udine(168 bambine).Per quanto concerne le comunità dellaprovincia di Udine dove le MGF sonopresumibilmente maggiormente diffuse,si segnala una alta presenza di egiziani/e(3,7% del campione udinese) e di etiopi(3,2% del campione udinese), leggermentepiù presenti in questa provincia che nonnel resto della regione (nel Friuli VeneziaGiulia gli/le egiziani sono intorno al 2,2%e gli etiopi rappresentano l’1,7% del totaledel campione).Soltanto il 3% del nostro campione ècollocato nella provincia di Gorizia(tabella 3). La percentuale delle donnein questa provincia (32% del campioneregionale) è particolarmente bassarispetto ad altre province della regione,una situazione dovuta a una più fortepresenza di senegalesi. Su tutto ilterritorio italiano, l’immigrazione dalSenegal è caratterizzata da una prevalenzadi immigrati di sesso maschile, quasicinque volte più numerosi delle donne.Una prevalenza di senegalesi nel nostrocampione per la provincia di Gorizia(più del 40%), significativamentemaggiore che <strong>nelle</strong> comunità analizzatea livello regionale o a Udine e Pordenone(rispettivamente l’8%, il 6% e il 4%del campione), spiega lo sbilancio a favoredegli uomini nella provincia di Gorizia.Quanto alla popolazione femminile,in questa provincia si contano 77 donne,tra cui 23 provenienti dalla Mauritania,il paese dove più del 70% delle donneha subito questa pratica.L’alta concentrazione degli immigratimauritani (su 56 cittadini provenienti dallaMauritania, domiciliati nel Friuli VeneziaGiulia, 54 vivono in provincia di Gorizia)si rispecchia anche nel numero dellealunne presenti <strong>nelle</strong> scuole di Gorizia.Tutte le sei bambine della Mauritania chevivono nella regione del Friuli VeneziaGiulia frequentano una delle scuolegoriziane, rappresentando il 50%del numero complessivo per Gorizia dellealunne provenienti dai paesi analizzati.Nella provincia di Trieste (tabella 4),la comunità da noi identificata conta 461individui, di cui 144 donne. Similmenteal trend registrato a Gorizia, anche quila percentuale limitata delle donne nelgruppo è dovuta a una forte presenzadi immigrati senegalesi. Di particolareimportanza a Trieste è la comunitàsomala, principalmente concentrata inquesta città (<strong>dei</strong> 62 componenti nelFriuli Venezia Giulia, 40 sono residenti inquesta provincia), la quale si caratterizzada una parte per una forte diffusionedelle pratiche di MGF (ben il 97,9%secondo gli indicatori OMS), e dall’altrada un’immigrazione femminile pari aquella maschile, se non più alta.Quanto al numero delle bambine di questipaesi che frequentano uno degli istitutiscolastici triestini, si tratta di un numeromolto basso: appena 7 bambine secondo idati disponibili, provenienti da Nigeria (3),Senegal (1), Somalia (2) e Uganda (1).La popolazione africana proveniente dallezone ad alta incidenza di MGF residentein provincia di Pordenone (tabella 5)rappresenta la più grande porzione delnostro campione: con i suoi 4.604 membrirappresenta il 58% della comunità inclusain questa analisi. Ghana, Burkina Faso,Nigeria, Repubblica Democratica delCongo e Senegal sono i cinque paesicon la comunità più grande nel gruppo,rispecchiando, a grandi linee, quelleche sono le tendenze registrate a livelloregionale. Anche l’immigrazione femminilein questa provincia rispecchia la situazioneregionale, con una forte presenzadelle donne provenienti dal Burkina Faso.Il numero di bambine in questa provincia èil più alto in regione, con 308 bambine: benil 62% delle alunne di questi paesi presentinel Friuli Venezia Giulia frequenta unadelle scuole a Pordenone.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia152Tabella 1. Popolazione africana proveniente dai paesi nei quali è presente lapratica delle MGF residente nel Friuli Venezia Giulia per sesso e cittadinanzaal 31 dicembre 2006Paese M F Totale 29 Alunne <strong>nelle</strong>scuole privateo statali,primarie,di 1° o di 2°grado 30Percentualedi donne tra15 e 49 anniche hannosubito MGFnel paesed’origine 31Anno delrilevamentonel paesed’origineAngola 87 52 139 5 -Benin 60 34 94 5 12,9 2006Burkina Faso 322 175 497 33 72,5 2005Camerun 140 99 239 3 1,4 2004Ciad 3 4 7 0 44,9 2004Congo 41 42 83 25 -Costa d'Avorio 154 129 283 24 36,4 2006Egitto 132 47 179 4 91,1 2008Eritrea 23 35 58 2 88,7 2002Etiopia 42 99 141 7 74,3 2005Gambia 2 1 3 0 78,3 2005/06Ghana 2183 1712 3895 305 3,8 2006Gibuti 0 1 1 0 93,1 2006Guinea 21 9 30 2 95,6 2005Guinea Bissau 4 5 9 2 44,5 2005GuineaEquatoriale1 3 4 0 -Kenya 8 24 32 0 32,2 2003Liberia 91 9 100 1 45 32 2007Mali 20 15 35 0 85,2 2006Mauritania 33 23 56 6 71,3 2000/01Niger 33 28 61 8 2,2 2006Nigeria 307 432 739 41 19 2003RepubblicaCentrafricana2 0 2 0 35,9 2000RepubblicaDemocraticadel Congo124 132 256 0 -segue >


153Senegal 543 135 678 10 28,2 2005Sierra Leone 16 2 18 1 94 2006Somalia 29 33 62 3 97,9 2006Sudan 29 6 35 0 90 33 2000Tanzania 2 0 2 0 14,6 2004/05Togo 93 49 142 8 5,8 2006Uganda 3 4 7 1 0,6 2006Totale 4.548 3.339 7.887 496Una ricerca in Friuli Venezia Giulia29 Dati Istat, 2008.30 Ufficio Scolastico della Regione Friuli VeneziaGiulia, classificazione degli alunni stranieri per l’annoscolastico 2007-2008.31 Fonte <strong>dei</strong> dati: Demographic and Health Surveys(DHS, Macro International); Multiple Indicator ClusterSurveys (MICS, UNICEF).32 La stima è stata elaborata sulla base di datiprovenienti da indagini regionali svolte nel paese daP. Stanley Yoder e Shane Khan, Numbers of womencircumcised in Africa: the production of a total (in “DHSWorking Papers”, n. 39, USAID, 2008). Nella DHSrealizzata nel 2007 in Liberia, dove la pratica è svoltaprevalentemente all’interno di società segrete <strong>femminili</strong>denominate Sande, gli esperti di Macro Internationalhanno preferito includere nel rilevamento la conoscenza el’eventuale appartenenza a tali società segrete <strong>femminili</strong>.Ne risulta che l’88,6% delle donne è a conoscenzadelle Sande, e il 65,7% ne fa parte. Poiché la mutilazione<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>, nella forma dell’escissione del clitoride,è una pratica imprescindibile per far parte di tali societàsegrete, è deducibile che la maggioranza se non tuttele donne che affermano di farne parte siano statesottoposte a MGF. L’indagine DHS rileva altresì un declinonell’appartenenza alle Sande nei contesti urbani,come pure con l’aumento <strong>dei</strong> livelli di reddito e istruzionee con l’abbandono <strong>dei</strong> culti tradizionali. Inoltre, ben il45,2% delle donne tra i 15 e 49 anni intervistate ritieneche le Sande dovrebbero finire.33 Il tasso di prevalenza si riferisce a un’indagine MICScondotta solo nel Nord del paese.


154Una ricerca in Friuli Venezia GiuliaTabella 2. Popolazione africana residente in provincia di Udine per sesso ecittadinanza al 31 dicembre 2006, proveniente dai paesi nei quali è presentela pratica delle mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>Paese M F Totale 34 Alunne <strong>nelle</strong>scuole private ostatali, primarie,di 1° o di 2° grado 35Percentuale didonne tra 15 e 49anni che hannosubito MGF nelpaese d’origine 36Angola 14 13 27 0 -Benin 42 28 70 3 12,9Burkina Faso 2 4 6 2 72,5Camerun 53 43 96 2 1,4Ciad 3 2 5 0 44,9Congo 4 2 6 4 -Costa d’Avorio 53 55 108 13 36,4Egitto 68 29 97 4 91,1Eritrea 12 16 28 1 88,7Etiopia 26 59 85 6 74,3Gambia 1 0 1 0 78,3Ghana 657 534 1191 100 3,8Gibuti 0 1 1 0 93,1Guinea 16 8 24 1 95,6GuineaEquatoriale0 1 1 0Kenya 6 12 18 32,2Liberia 32 2 34 0 45Mali 18 12 30 0 85,2Mauritania 1 0 1 0 71,3Niger 1 2 3 0 2,2Nigeria 196 272 468 24 19Repubblicademocratica20 17 37 0 -CongoSenegal 124 54 178 6 28,2Sierra Leone 5 2 7 0 94segue >


155Somalia 4 4 8 0 97,9Sudan 14 2 16 0 90Tanzania 2 0 2 0 14,6Togo 27 10 37 2 5,8Uganda 0 1 1 0 0,6Totale 1.401 1.185 2.586 168Una ricerca in Friuli Venezia Giulia34 Dati Istat, 2008.35 Ufficio Scolastico della Regione Friuli VeneziaGiulia, classificazione degli alunni stranieri per l’annoscolastico 2007-2008.36 Fonte <strong>dei</strong> dati: Demographic and Health Surveys(DHS, Macro International); Multiple Indicator ClusterSurveys (MICS, UNICEF).


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia156Tabella 3. Popolazione africana residente in provincia di Gorizia per sesso ecittadinanza al 31 dicembre 2006, proveniente dai paesi nei quali è presentela pratica delle mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>Paese M F Totale 37 Alunne <strong>nelle</strong>scuole private ostatali, primarie,di 1° o di 2° grado 38Percentuale didonne tra 15 e 49anni che hannosubito MGF nelpaese d’origine 39Angola 0 1 1 0 -Benin 2 0 2 0 12,9Burkina Faso 2 0 2 0 72,5Camerun 4 2 6 0 1,4Costa d'Avorio 2 3 5 0 36,4Egitto 10 1 11 0 91,1Etiopia 4 9 13 0 88,7Ghana 9 1 10 3 74,3Guinea 1 1 2 1 95,6Kenya 0 1 1 0 32,2Liberia 2 0 2 1 45Mauritania 31 23 54 6 71,3Niger 1 0 1 0 2,2Nigeria 6 9 15 2 19RepubblicaCentrafricana2 0 2 0 35,9Senegal 82 22 104 0 28,2Somalia 1 2 3 97,9Togo 0 2 2 0 5,8Totale 159 77 236 1337 Dati Istat, 2008.38 Ufficio Scolastico della Regione Friuli VeneziaGiulia, classificazione degli alunni stranieri per l’annoscolastico 2007-2008.39 Fonte <strong>dei</strong> dati: Demographic and Health Surveys(DHS, Macro International); Multiple Indicator ClusterSurveys (MICS, UNICEF).


157Tabella 4. Popolazione africana residente in provincia di Trieste per sesso ecittadinanza al 31 dicembre 2006, proveniente dai paesi nei quali è presentela pratica delle mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>Percentuale diPaese M F Totale 40 Alunne <strong>nelle</strong>1° o di 2° grado 41 subito MGF nelscuole private ostatali, primarie, didonne tra 15 e 49anni che hannopaese d’origine 42Una ricerca in Friuli Venezia GiuliaAngola 0 3 3 0 -Benin 0 2 2 0 12,9Camerun 58 32 90 0 1,4Ciad 0 2 2 0 44,9Costa d'Avorio 1 2 3 0 36,4Egitto 15 4 19 0 91,1Eritrea 3 10 13 0 88,7Etiopia 2 8 10 0 74,3Guinea Bissau 2 2 4 0 44,5GuineaEquatoriale1 2 3 0 -Kenya 1 9 10 0 32,2Liberia 0 4 4 0 45Mauritania 1 0 1 0 71,3Nigeria 13 23 36 3 19Senegal 185 14 199 1 28,2Somalia 21 19 40 2 97,9Sudan 6 3 9 0 90Togo 6 2 8 0 5,8Uganda 2 3 5 1 0,6Totale 317 144 461 740 Dati Istat, 2008.41 Ufficio Scolastico della Regione Friuli VeneziaGiulia, classificazione degli alunni stranieri per l’annoscolastico 2007-2008.42 Fonte <strong>dei</strong> dati: Demographic and Health Surveys(DHS, Macro International); Multiple Indicator ClusterSurveys (MICS, UNICEF).


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia158Tabella 5. Popolazione africana residente in provincia di Pordenone per sesso ecittadinanza al 31 dicembre 2006, proveniente dai paesi nei quali è presentela pratica delle mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>Percentuale diPaese M F Totale 43 Alunne <strong>nelle</strong>1° o di 2° grado 44 subito MGF nelscuole private ostatali, primarie, didonne tra 15 e 49anni che hannopaese d’origine 45Angola 73 35 108 5Benin 16 4 20 2 12,9Burkina Faso 318 171 489 31 72,5Camerun 25 22 47 1 1,4Congo 37 40 77 21 -Costa d'Avorio 98 69 167 11 36,4Egitto 39 13 52 0 91,1Eritrea 8 9 17 1 88,7Etiopia 10 23 33 1 74,3Gambia 1 1 2 0 78,3Ghana 1517 1177 2694 202 3,8Guinea 4 0 4 0 95,6Guinea Bissau 2 3 5 2 44,5Kenya 1 2 3 0 32,2Liberia 57 3 60 0 45Mali 2 3 5 0 85,2Niger 31 26 57 8 2,2Nigeria 92 128 220 12 19RepubblicaDemocratica 104 115 219 0 -CongoSenegal 152 45 197 4 28,2Sierra Leone 11 0 11 0 94Somalia 3 8 11 1 97,9Sudan 9 1 10 0 90Togo 60 35 95 6 5,8Uganda 1 0 1 0 0,6Totale 2.671 1.933 4.604 308


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia15943 Dati Istat, 2008.44 Ufficio Scolastico della Regione Friuli VeneziaGiulia, classificazione degli alunni stranieri per l’annoscolastico 2007-2008.45 Fonte <strong>dei</strong> dati: Demographic and Health Surveys(DHS, Macro International); Multiple Indicator ClusterSurveys (MICS, UNICEF).


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia161/ Le mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>fra tradizione ecambiamento: <strong>diritti</strong>,sessualità, identità /di Ornella UrpisIo ho tentato molte volte di entrarenell’argomento. Tra l’altro la nostramediatrice culturale aveva la stessamutilazione, con lei eravamo, come dire,colleghe, e questo pensavo avrebbe resopossibile il parlarne con il suo aiuto. Inveceinnanzitutto negavano, negavano che fosseun problema, dicevano che era un problemasolo nostro, dicevano che la cosa venivapraticata per ragioni igieniche perché cosìpotevano lavarsi meglio ed erano più pulite,e quando sono entrata nel merito del piaceresessuale, proprio lì c’è stata una chiusuratotale, perché loro dicevano che il rapportosessuale era piacevole allo stesso modo./ Pratica e tabù /La pratica delle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> è un tabù e come tale non puòessere rivelato, nonostante il fatto chenei paesi d’origine ampie campagned’informazione abbiano contribuito adare visibilità nel discorso pubblico a taletema. Ci sembra molto significativa alriguardo la testimonianza di Carla Corso 46circa la sua esperienza con le donneafricane. Queste hanno nei suoi confrontila massima considerazione, al puntoda riferirsi a lei con il nome di “mamma”e da farla partecipe di tutti i loro problemisessuali, di malattie, aborti, violenze eminacce di morte.Eppure, nonostante questo intensorapporto etico ed affettivo, non voglionoin nessun modo confidarle alcunchériguardo la loro situazione anatomica,che definiscono “normale”.Dice Carla Corso:46 Presidente del Comitato per i <strong>diritti</strong> civili delleprostitute, fondatrice insieme a Pia Covre del giornaleLucciola. Attualmente lavora in collaborazione conenti locali nel campo della prevenzione sanitaria per leprostitute come responsabile del Progetto Stella Polare.In linea di massima, quando si cerca dicoinvolgerle nel discorso, non rispondono,o glissano, come fossero impossibilitatea comunicare verbalmente questaesperienza. L’assenza di comunicazioneè un fenomeno che riguarda personeprovenienti da paesi o gruppi etnici diversi,ma anche il rapporto tra uomini e donne.Dice ancora Carla Corso:Tutte le volte che ho provato a avviare undiscorso su questo, specialmente con la miacollega, la mediatrice culturale, lei rimuovevaproprio il fatto, non voleva neanche entrarenel merito e parlarne, come se la pratica nonavesse alcuna rilevanza nel rapporto conl’altro sesso. Su di lei mi sono interrogatadiverse volte, perché aveva un compagnoitaliano e non credo che lei fosse stata laprima ed unica donna della sua vita: si saràreso conto che c’era qualche differenzarispetto all’apparato genitale femminiledi una donna italiana, eppure credo che leinon abbia mai discusso di questo con ilsuo compagno.Gli stessi uomini intervistati affermano chequesto aspetto della sessualità femminilenon è un tema di discussione nemmeno framarito e moglie, per due ragioni. La primariguarda la struttura <strong>dei</strong> rapporti di genereall’interno della famiglia patriarcale,dove la distanza emotiva e di relazione


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia162affettiva è fondamentale, un vero elementocostitutivo. Il mondo è diviso in un universomaschile e in un universo femminilerigidamente separati e il pudore impedisceal maschio di varcare la soglia dell’intimitàpiù profonda.Quindi se le donne fanno queste cose,sono “cose di donne” e l’uomo non può enon vuole entrarci.La seconda ragione riguarda, per certerealtà africane, la scarsa conoscenzadell’anatomia femminile e l’inadeguatezza<strong>dei</strong> criteri di confronto. Per esempio,la mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>è messa sullo stesso piano dellacirconcisione maschile: “È la stessa cosa,solo che è fatta sulle donne”. Inoltrespesso gli uomini hanno rapporti sessualisolo con donne del loro gruppo etnico,dove la pratica può riguardare la totalità oquasi delle donne.Un uomo senegalese illustra con moltachiarezza entrambe queste ragioni:Diciamo che questa cosa è prettamentefemminile: nel senso che in Africa,<strong>nelle</strong> comunità che lo fanno, gli uomini nonc’entrano assolutamente niente, in lineadi massima non è consentito loro dallasocietà parlare di questa cosa, per cui spessone sanno qualcosa solo quando hanno unafiglia. Alcuni uomini, non avendo elementidi paragone, anche della loro stessa moglienon sanno se l’ha fatto o no. È un discorsodi cui loro non sono in nessun modopartecipi, perché è una cosa totalmentefemminile. La stessa cosa è per lacirconcisone maschile, che viene gestitainteramente dagli uomini. In questo caso c’èperò sempre un interessamento delle donne,nel senso che sono le mamme comunque aprendersi cura <strong>dei</strong> bambini.Dallo stralcio dell’intervista con un uomoburkinabé, padre di quattro figlie dellequali due (le più grandi) escisse,che riportiamo di seguito, si vede quantototale sia l’estraneità al tema e quantodisarmante l’ignoranza della sessualitàfemminile e delle conseguenze fisichedella pratica sul corpo delle donne.D. E le femmine, vengono tagliateanche loro?R. Sono le donne che si occupano di loro,perché in Africa le cose sono divise così: ledonne si occupano delle femmine e i papàsi occupano <strong>dei</strong> maschi. Si deve fare, non sideve fare… Per noi uomini se uno non lo fa sisente un po’… E allora lo deve fare. Però perle donne, noi immaginiamo sempre, se noisiamo così anche le donne sono così.D. Ma non hai mai pensato che nel casodelle donne viene eliminato un organo conuna precisa funzione, non solo la pelle, comenel caso della circoncisione maschile?R. No, non ci pensiamo, perché se nonsopraggiunge un problema uno non ci pensa,ci sono anche delle persone vecchie che nonsanno queste differenze, per loro è una cosache si fa da tanto tempo e allora anche lenuove generazioni la devono fare.D. Ma le tue bambine in Africa?R. Sì, loro sì, sono state fatte tagliare dalleloro mamme, sono già state fatte.D. Tu allora eri contrario o non avevi nessunaposizione al riguardo?R. No, non avevo nessuna posizione alriguardo: se tutti lo fanno e anche le stessemamme sono state escisse, tocca anche allefiglie. Che cosa hanno visto per poter lorocambiare il proprio comportamento?Per cambiare bisogna ascoltare un altroche ha studiato, che ha scoperto delle cose.Allora possiamo dire: “Attenzione a quelloche stiamo facendo, è uno sbaglio”.Ma se non c’è questa informazione la gentecontinua, non è che lo fa per cattiveria.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia163Lo fanno per la loro dignità. Però crescendo,chi ha studiato, ci pensa due volte.Anche chi ha viaggiato molto, perchéda noi c’è un proverbio che dice che ci sonotre tipi di anziani: chi ha studiato moltoanche se non è un vecchio, è come se lofosse, perché ha capito tante cose; chi haviaggiato molto, perché ha visto tante cose;e chi è molto vecchio. Ognuno ha studiatoalla sua maniera. Ma ripeto, chi lo fa,non lo fa per cattiveria.D. Dal punto di vista sessuale, una donnaa cui è stato tagliato il clitoride ha unasessualità diversa da una a cui non è statotagliato, o no?R. Ho capito da una trasmissione in TV chechi è stata tagliata ha meno sensibilità,è meno sensibile.conoscenza e offre anche un modellodi paragone.Come è già emerso, la consegnadel silenzio sul tema delle MGF coinvolgenon solo i rapporti tra uomini e donne,cosa riconducibile ai rapporti di genere inuna particolare configurazione sociale eculturale, ma anche i rapporti tra donne.L’“impossibilità” di parlare della praticacon altre donne emerge da molti racconti.Il leit motiv è il seguente: la pratica,pur essendo una “cosa di donne”,per essere condivisa deve essere esperita.In questa bella intervista, che riportiamo inparte, una mediatrice culturale congoleseracconta di aver cercato di parlaredelle MGF con una donna africana cheassisteva, ma questa continuava a direche lei non poteva capire:D. È per questo che si chiama mutilazione…R. Ah, ecco! Solo adesso scopro queste cose,perché finora non sapevo la differenza.D. Cambia proprio la fisiologia.R. Ah! Sì tolgono proprio qualcosa.D. Tolgono proprio un organo legato allasessualità!R. Sì, l’organo ecco, però quelli chefanno queste cose, non è che sanno questecose. Loro lo fanno per la dignità.Secondo un’altra testimonianza,attendibile perché rilasciata da un medicoafricano, gli uomini in molti casi sonocosì ignari di come sono fatte le donneche a volte imparano a distinguere tradonne mutilate e non mutilate soloattraverso la visione di foto pornograficheche ritraggono le parti intime di donnebianche, o anche di donne africane,ma di diversi gruppi etnici.In questo caso la pornografia sembrasvolgere un ruolo importante diR. C’è stata qualche donna che mi haraccontato, ma non nello specifico,cosa aveva fatto. Cercava di farmi capireche ci sono delle cose da fare per poteressere…, lei era proprio una donnache si vantava.D. Di che paese era?R. Della Nigeria.D. E cercava di farti capire che cosa?R. Che ci sono certe cose da fare per potereessere più donna, cercava di spiegarmi, maallora sfuggiva un po’ con le parole.Cercavo di capire esattamente che cosaaveva fatto, perché parlava di sua figlia,e così ho colto l’occasione per chiederledirettamente: che cosa avete fatto,che cosa si fa? E allora lei esitava, eh, ma,sai, si deve, e non entrava nel dettaglio.D. E allora lei ti ha fatto capire che bisognafare qualche cosa?R. Si, c’è qualcosa che si fa, che si deve fare,che lei ha fatto.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia164D. Ma lei, secondo te, perché non te loha detto?R. Penso per un problema di confidenza,perché conosco da poco questa persona,erano i primi contatti, forse più avanti,se continua la nostra relazione, allora credoche finirà per tirar fuori il segreto.D. Ma forse non te lo diceva perché tueri di un paese diverso dal suo o forseperché il fatto che tu fossi una mediatriceculturale le creava qualche problema nellacomunicazione diretta?R. Sì, c’era un problema di diffidenza.D. Ma legata a che cosa?R. Sicuramente al fatto che siamo didue paesi diversi e poi a lei sembrava stranoche io non sapessi queste cose,che io non so nulla di queste cose qua.Perché lei mi ha detto tu non sai….e allora non ha voluto andare avanti.Alla nigeriana sembrava strano che lacongolese non avesse avuto l’esperienzadelle MGF e non riusciva a parlarecon qualcuno che non condividesseempaticamente lo stesso segreto.Indubbiamente l’esperienza del taglioè vissuta con un forte impatto emotivo.A questo contribuisce probabilmentel’intensità emotiva legata al dolore che,vissuto simbolicamente in modo collettivo,va a definire l’identità e delimita i criteridi appartenenza al gruppo.Il tabù è presente anche in persone cheappartengono a classi sociali elevate eche, per mestiere e per cultura, vivono quiin contatto con molti immigrati.Per esempio, intervistando una mediatriceegiziana, veniamo a sapere che lei conoscela pratica, ma non sa definirla né in araboné in italiano. Infatti, cerca di esprimersiattraverso strumenti visivi, vorrebbespiegarmelo attraverso un disegno,ma poi con difficoltà descrive a parole iltipo di intervento. Ciò è molto singolare,poiché dimostra una scarsa conoscenzadella questione e uno scarso interesse adapprofondirla: si tratta di un argomentotabù, si sa che c’è, ma non se ne parla.La donna è una persona colta e questo èparticolarmente stridente.Che in generale le MGF siano unargomento tabù anche nella classe coltalo si capisce dal fatto che in un certomomento dell’intervista, quando sotto lamia sollecitazione la mediatrice egizianaincomincia a parlare della conoscenzadella pratica nel proprio nucleo familiare,emerge che la stessa madre è portatricedi MGF e che la sorella non ha sottopostole figlie a MGF solo perché si era nelfrattempo trasferita in Arabia Saudita,dove la pratica non viene richiesta dallasocietà, a ulteriore conferma che non sitratta di una pratica islamica, non essendomai menzionata nel Corano.La sovrapposizione cultura - società,che sempre è presente <strong>nelle</strong>testimonianze, si incardina piuttostonella prassi e nella tradizione religiosa,cioè nell’islamismo. Ma quando nellacomunità statuale islamica (come inArabia Saudita) questa prassi non ècontemplata, essa viene automaticamenteabbandonata. Probabilmente ciò nonavverrebbe, o perlomeno non in modotanto automatico, se la comunità statualefosse considerata dagli immigrati comeun altro da sé. Ma nel caso di un egizianoemigrato in Arabia Saudita, la continuitàdi usanze e costumi, dettata dallalingua e dal credo religioso, porta a unaimmedesimazione diretta nella cultura enella società del nuovo paese.La mediatrice egiziana definisce “strano”il fatto che proprio in Arabia Saudita lapratica non esista, e questo ci fa capirecome, nell’immaginario collettivo degliafricani di religione musulmana, essa siacomunque collegata alla religione.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia165La non conoscenza della pratica ritornanel discorso quando la mediatriceracconta l’episodio di una donna eritreache, confidatasi con lei per alcuniproblemi agli organi <strong>genitali</strong>, era statainviata all’ospedale di Gorizia per unintervento chirurgico. Da quanto risultadall’intervista, sembra che la giovanedonna sia stata sottoposta a un inintervento di de-infibulazione, ma lamediatrice non usa il termine e spiega cheha subito quando era piccola questo taglioalle labbra ed è successo che le due partidelle labbra, dopo l’operazione, si sonolegate e lei non poteva avere un rapportosessuale perché era quasi chiusa e quando èvenuta qua in Italia, come richiedente asilo,l’abbiamo aiutata ad andare in ospedale peraprire questa chiusura.La natura di tabù delle MGF affiora quindianche nella terminologia usata dagliintervistati. Nel discorso esse soventenon sono menzionate e risultano inmodo allusivo e indiretto. Ci si riferisce aesse genericamente e vengono indicatedai più con il termine valutativamenteed emotivamente neutro di “pratica” o“cosa”. Non viene mai usata l’espressione“mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>” (ol’acronimo MGF), anche perché alcuni nonsono d’accordo su questa definizione.lamentavano, in verità”.Un’altra espressione usata è “taglio dellepiccole labbra” o “la donna tagliata”.Alcune donne intervistate utilizzanovolentieri la forma implicita, omettendo dinominare la pratica: “Mia sorella non l’hafatta ai suoi bambini”, “le mie figliesono state fatte”. La MGF è sottintesanel discorso e spesso si costruiscono lefrasi in modo impersonale, omettendoil soggetto: “In Eritrea e in Somalia sipratica moltissimo”.Quando la mediatrice congolese,per esempio, parla delle MGF, anchecitando altre donne, dice “cose da fare”o “queste cose”. E quando parla di sestessa afferma di non sapere nulladi “queste cose qua”, “nel mio paese,il Congo, questo non si faceva”; e neldibattito seguito alla proiezione del filmMoolaadé di Ousmane Sembène fa notareche le ragazze “non volevano farsi fare”o che “dovevano essere preparate”.Nelle espressioni usate dalle personeprovenienti da paesi africani si capiscecome gli/le intervistati/e avevano una certadifficoltà a definire questa esperienza,cercando di volta in volta di parlarne inmodo allusivo, quasi non appartenesseloro, almeno per il mondo esterno.Raramente <strong>nelle</strong> interviste gli/le africani/e(inclusi mediatori e mediatrici culturali)definiscono correttamente le MGF inbase al tipo di intervento e alla tipologiaconvenzionale (classificazione dell’OMS,Organizzazione Mondiale della Sanità),cioè non usano quasi mai correttamentele definizioni di circoncisione, escissioneo infibulazione, e sembra che non neconoscano bene le differenze.Un termine frequente è “operazione”:“vengono fatte queste operazioni” oppure“una donna che ha fatto l’operazione e unache non l’ha fatta”, o ancora “le ragazzeche hanno subito queste operazioni non si/ Modelli di cultura e societàtradizionale /La cultura è sempre chiamata in causaquale responsabile di ogni azione,anche di quelle palesemente contrarieai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, come le MGF.Per una donna nigeriana la cultura è lalegge da rispettare:Per prima cosa in Nigeria non si usa iltermine mutilazione, ma circoncisione.Con il termine mutilazione si intende che la


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia166persona è indifesa, quello che noi facciamo ècultura, tradizione, religione e nessuno vuoleandare contro la cultura, la tradizione,la famiglia o la religione.Si noti l’identificazione tra cultura,religione e tradizione, tre nuclei prescrittivipotentissimi la cui sovrapposizionesemantica fa sì che la prassi delle MGFsia assolutamente interiorizzata 47 .La maggioranza delle affermazioni degliintervistati rivela, infatti, un’aderenzaautomatica alle prescrizioni: “Perchéè una cultura accettata da tutti” è unconcetto ricorrente, che ritroviamo in varieformulazioni, ma sempre con lo stessosignificato. Anche un’intervistata conun alto livello di istruzione e mediatriceculturale di professione, pur dichiarandosicontraria alle MGF e pur essendole statarisparmiata la mutilazione, sembra nonessersi mai posta il problema in modocritico, o almeno non tanto da trasformareil proprio giudizio di valore in una azionedi contrasto. Sembra essere anch’essacondizionata culturalmente, nonostanteviva da tempo in Italia.Il modello di cultura che emerge ècomunque sempre quello patriarcale,dove tutto viene fatto in funzionedel maschio, anche il matrimonio.Le donne “accettano”, “subiscono”tutto nell’aspettativa di rispondereadeguatamente al ruolo prefissato per ledonne, all’interno di un contesto nel qualeil maschio è il centro:Si intende che le donne accettano che allebambine piccole vengano fatte questeoperazioni, perché l’uomo desidera più ladonna che ha subito queste operazioniche una che non le ha subite. Anche perquanto riguarda gli aspetti sessuali, la donnarisponde meglio alle richieste dell’uomo, si47 Sulle componenti della cultura e sulle proprietàdistintive della cultura si veda, in particolare, il lavorodi Clyde Kluckhohn e Alfred L. Kroeber, Il concettodi cultura, Bologna, Il Mulino, 1963.crea una sudditanza psicologica e le donnesi sentono per sempre meno del maschio e alservizio del maschio.Ciò suggella il dominio maschilesull’ambiente sociale, sulle donne esui bambini: un modello che permetteall’uomo, e non alla donna, la poligamia,a prescindere dall’appartenenza religiosa.Una donna camerunese racconta:Il nostro problema è stata la poligamia,perché la convivenza di più donne nellastessa casa comporta tantissimi problemi.Uno <strong>dei</strong> motivi per cui mia mamma è qua,è proprio perché la convivenza era diventatadifficile con le altre mogli e quindi con miopadre.I rapporti purtroppo non sono mai statibuoni e per me parlare della mia famiglia èsempre un problema. Mia madre è la primamoglie e quindi siamo più uniti tra di noirispetto ai fratellastri. Comunque mio padrecontinua ancora a fare figli e ho un fratelloche è più giovane di mia figlia.Il modello culturale che emerge ancoradal racconto di altre intervistate, anche inrelazione alla loro esperienza personale,è quello di un mondo dominato dallatradizione, piuttosto chiuso e fortementeprescrittivo dove tutti devono “accettarequeste usanze” e, in particolare, le donne“devono essere preparate”, “devono esserecostrette”. Poiché il modello tradizionaleè patriarcale, la divisione fra i sessi èsempre presente e le donne vengonosocializzate da altre donne, soprattutto nelcampo della vita sessuale e riproduttiva.L’educazione che ricevono in genere èimprontata alla sottomissione al voleredel marito e alla passività, cioè adassumere comportamenti che violano illoro diritto a disporre liberamente dellapropria vita. Un ruolo fondamentale inquesto senso è svolto dai membri dellafamiglia allargata. Sembra che le “vestali”delle tradizioni siano le zie. Esse svolgonoun ruolo cruciale nella socializzazionedelle bambine e sono loro che subentrano


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia167nel “lavoro sporco”, ossia quando lamadre non si sente di portare avanti certidiscorsi sulla sessualità o certe pratiche,come le MGF:Sì, le zie premono molto perché lamamma può anche mollare, ma loro no,ci tengono. Sono anche le zie quelle chedevono raccontare <strong>dei</strong> segreti e sono loro ainsegnare la masturbazione alle bambine.(donna congolese)La struttura patriarcale della famigliacostituisce ancor oggi il fondamentodelle relazioni umane e dell’organizzazionedella società africana. I rapporti fra isessi, come ci vengono descritti dai/lleintervistati/e, sono di rigida separazione eimprontati a una discrezione reciproca e auna distanza affettiva che corrispondonoa strutturazioni ben consolidate di ruolidominanti e di ruoli subordinati all’internodell’ambiente familiare.Nelle dichiarazioni di una donna beninese:C’è sempre quasi una vergogna, se peresempio un uomo va in cucina a fare damangiare, lavare i piatti, o se guarda ibambini. Non è comune. Ci sono quelliche lo fanno, non puoi dire che tutti gliuomini africani siano contrari, però sonouna minoranza. E questi che lo fanno, sonocomunque quelli che sono stati all’estero equindi hanno visto che gli uomini possonofare queste cose senza perdere la loro dignitàdi uomo, hanno una veduta più ampia, sonopiù aperti. Però, per il vero uomo africano,al cento per cento, che ha sempre vissuto inAfrica, è difficile che ci sia questa parità”.Uno degli intervistati afferma che qui,in Italia, aiuta in casa e si rapporta con lamoglie in modo paritario, ma quando tornanel suo paese non osa avvicinarsi allacucina o ai bambini, altrimenti verrebbederiso da tutti.Anche le manifestazioni di affetto framoglie e marito sono, ancor oggi, moltocontenute, e i rapporti restano improntatia una certa formalità che, se non leesclude, certo le limita drasticamente:precisamente come avveniva tempo fain certe campagne italiane, dove maritoe moglie si davano del “voi” e la mogliedefiniva il marito “il padrone”.Questo dispositivo culturale, che renderigidi, formali e distanti i ruoli familiari,risulta con evidenza dall’intervistarilasciata da una donna keniota:R. Ho l’impressione che anche noi africanidimostriamo l’affetto fisicamente moltomeno di quanto si faccia qua.Qui la gente si bacia, si abbraccia,gli uomini con gli uomini, le donnecon le donne, i bambini, ma anche gliadolescenti si interessano in prima personaa bambini piccoli, cosa che difficilmente sivedrebbe in Kenya: un ragazzo di 15 anniche si occupa di un bambino di 4, mai.Qui in Italia, dove c’è, l’affetto in famigliaviene dimostrato continuamente, mentreda noi uno ha la sensazione che l’affetto c’èperché ci si incontra, ci si vede, si parla, simangia insieme, però quando si trattadi toccarsi, di abbracciarsi, lo facciamomolto meno.D. Dunque, secondo te gli italiani sono piùespressivi nei loro rapporti familiari?R. Certamente sì, verbalizzano l’affetto,ne parlano continuamente. Mentre i nostrigenitori non ce lo dimostrano con le parole,ma in altro modo: lavorano tante ore perfarci studiare, ci sgridano quando nonstudiamo bene. Si dimostra affetto con laricercatezza <strong>dei</strong> cibi, ci si assicura che laragazza li cucini in una certa maniera, che ivestiti <strong>dei</strong> figli siano puliti.D. E quindi forse puoi dire che siamo piùaperti qua, o non è la parola giusta?R. Non so se gli italiani sianonecessariamente più aperti.Quando sono cresciuta io i rapporti eranomolto più formali.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia168In un’altra testimonianza addirittura loscambio affettivo pubblico fra un uomoe una donna viene considerato come ladimostrazione dell’assenza di rispetto fragli esseri <strong>umani</strong> nel mondo occidentale:L’amore da noi non si manifesta così,alla luce del sole. Per la cultura africana,amoreggiare in pubblico non è giustoanche per rispetto degli altri. Nella culturaafricana le persone contano, mentre quiognuno pensa solo agli affari suoi”.Nella struttura familiare patriarcale l’unicoruolo cui la donna può aspirare è quellodi moglie e madre e “una donna, unavolta che si è sposata e ha avuto <strong>dei</strong> figli,ha compiuto il suo unico scopo nella vita.È per questo che in Africa l’avvenenza èriservata solo alle nubili: “un bel corposnello e scattante non è qualcosa dacoltivare da parte di coloro che sono giàsposate”. Anche in queste parole di unadonna nigeriana riconosciamo facilmenteil nostro passato.La netta divisione <strong>dei</strong> ruoli porta, moltevolte, a situazioni di disagio sociale.Anche in queste circostanze, tuttavia,l’uomo tenta in ogni modo di mantenere ilproprio dominio sulla donna:ogni volta che si vuole indicare qualcosadi giusto e di sacro, qualcosa a cui ci siaggancia per definire la propria identità,spesso ha il proprio centro proprio nelladiscriminazione della donna.Nelle parole di un’intervistata keniota:Si tende ad usare questa parola, ‘tradizione’,per obbligare le donne a restare in un certocontesto o comportarsi in una certa maniera:di fatto il mantenimento della tradizioneimplica che le donne continuino formalmentee praticamente ad essere cittadine disecondo grado per molte cose, purtroppo.Naturalmente, la sua invocazionefrequente sta a indicare di conversoche la tradizione è in qualche misuraindebolita, nel senso che può esseremessa in discussione e deve anzi essereriaffermata per richiamare al suo rispettocoloro che se ne allontano, o di cuisi teme che se ne allontanino. Di qui ilsuo uso argomentativo e strumentale,finalizzato a difendere i privilegi acquisitidegli uomini e il mantenimento di unostatus diseguale, che un tempo forse avevauna ragion d’essere, ma che attualmenteappare privo di fondamento.Secondo una testimonianza:I ruoli sono divisi e c’è un giudizio a priorisu quello che una donna e quello che unuomo dovrebbero rispettivamente fare checondiziona le scelte e la vita della donna.Poi si trovano situazioni di povertà, dovele donne lavorano, lavorano, lavorano permantenere la famiglia e gli uomini fannopoco, perché ci sono certe cose che gliuomini non fanno, ad esempio gli uomininon vanno a raccogliere l’acqua e in certeetnie le donne devono fare tutto, perché gliuomini devono fare solo i lavori da uomini ese questi lavori non ci sono, allora l’uomo staa casa e si fa mantenere in qualche mododalla moglie. (donna camerunense)In base a diverse testimonianze,il concetto di tradizione a cui ci si appellaLa nostra società nasce da un sistemapatriarcale in cui c’era l’uomo che eraforte e doveva proteggere la famiglia.E i costumi basati sul criterio della forzafisica, sui privilegi di chi è il capo del gruppo,sulla rigida organizzazione della famigliasono continuati, sono entrati nell’identitàdell’essere umano anche quando si è persala funzione di chi protegge, di chi portada mangiare a casa. Chi è uomo vieneidentificato come un essere privilegiatoe allora ci si dimentica che questi privilegierano di qualcuno che faceva qualcosaper averli.Sappiamo che la tradizione è donna nelsenso che le donne sono chiamate aconservare il bene prezioso dell’identità


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia169collettiva per tramandarlo ai figlimantenendo immutato un modellodi organizzazione sociale consolidato neltempo e infondendo un senso di sicurezzasociale. E la tradizione spesso si scrivesui loro corpi, passa attraverso i lorocomportamenti, le loro emozioni, gli abitiche devono indossare. Si scrive anche conil sangue per cementare il gruppo in unacomunità di affetti, e i corpi diventano lospazio dove poter esprimere i contenutidell’identità. Come scriveva Simone deBeauvoir, il compito della donnaconsiste appunto nell’integrare la morte allavita, alla società, al bene… Data l’influenzache la madre ha sui figli, è opportuno perla società farsela amica; per questa ragionela madre è circondata da tanti segni visibilidi rispetto, additata a simbolo di virtù eoggetto di culto che è proibito infrangeresotto la pena di sacrilegio e di bestemmia;lei è custode della morale; e, servadell’uomo, serva del potere, guideràdolcemente i figli sulle vie stabilite,(S. De Beauvoir, 1949, p. 49).La donna è forzata all’obbligo del rispettodella tradizione, dalla quale non puòsfuggire pena la stigmatizzazione el’esclusione sociale. In un mondo dove lasopravvivenza passa attraversola struttura dell’istituto del matrimonio,una donna che ne viene esclusa rischiala propria vita./ Permanenza/mutamentodel modello tradizionalenel processo di migrazione /della posizione sociale che viene loroassegnata. La disuguaglianza nei rapportifra i sessi, tuttora diffusa nei paesi africanidi provenienza, non si dissolve con tantafacilità a seguito, e in virtù, del processodi migrazione. Sembra che solo gli uominiche vivono in Europa da molti anni e chehanno studiato, per lo più all’università,riescano a modificare le proprie abitudinie le proprie convinzioni rispetto ai ruolifamiliari e quindi alle dinamiche di poterefra i sessi. Gli altri continuano con ilmodello tradizionale che assicura lorosicurezza e rispetto, perlomeno all’internodel nucleo familiare. Addirittura, come cirivela un’intervistata angolana, “assorbonoil peggio di là e il peggio di qua”, nel sensoche rimangono autoritari e prepotenticon le donne, ma anche si liberanodalle regole sociali e si mettono a fare i“farfalloni” con tutte.Quel percorso di mutamento,di modificazione e di espansionedell’identità che spesso viene associatoalla migrazione è tutt’altro che automaticoe scontato, e spesso per le donne la lealtàalla tradizione, la conformità ai valori e aicomportamenti ascritti, rimane immutata.Per alcune di loro l’impatto con il paesed’accoglienza è traumatico.Questo mondo le impaurisce e ledisorienta. Una donna beninese dice:Sono in un paese straniero. Al mio paesenon c’era tanta gente e vedere in stradacosì tanta gente mi fa paura. Io sto semprechiusa in casa. Anche la sera quando miomarito va al lavoro sono sempre chiusadentro, da sola. Non ho amici qua, ancheperché non so parlare italiano. Alla mattinaaccompagno mio marito alla stazionepoi faccio un giro e ritorno, l’italiano l’hoimparato così, sulla strada.La struttura familiare che ancoraappare dominante tra gli/le immigrati/edi origine africana è quella tipicadella famiglia patriarcale, in cui le donnevengono rispettate, ma solo all’internoIn un’altra testimonianza:Quando sono arrivata qui non mi piacevaper niente perché mio marito lavorava e ioero a casa tutto il giorno da sola. Nel nostro


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia170paese non rimaniamo mai soli, ci sono amici,c’è gente. La prima volta che lui è andatoa lavorare e io sono rimasta da sola, sonouscita dalla porta e non c’era nessuno e misono chiesta: ma che paese è questo?Ho detto a mio marito: non mi piace, chepaese è questo, io torno indietro. E lui mi hadetto: piano, piano capirai com’è la vita qui.I ricordi della vita passata, la nostalgiae la mancanza di punti di riferimentofanno sì che la tradizione, con tutte le sueimplicazioni, diventi l’unico ubi consistamdi queste persone.Molte donne africane che entrano inItalia con il permesso di soggiorno perricongiungimento familiare e che hannobambini piccoli non riescono in nessunmodo ad aprirsi alla nuova società.Il carico di lavoro familiare è tutto sulleloro spalle, poiché i mariti, conformementeai ruoli di genere tradizionali, noncollaborano o, pur volendo collaborare,non possono farlo per via degli impegnipesanti di lavoro. La donna è sola, privadella rete di sostegno familiare. Una donnasenegalese afferma:Con la stessa fatica che faccio qui perseguire due bambini, in Africa potreiallevarne cinque. Da noi è la famiglia, tuttala comunità, che si occupa <strong>dei</strong> bambini.Qui io sono sola.Questo aspetto della solitudine è presentein molte testimonianze. La donne chenon lavorano vivono molto isolate e tutteall’interno della propria famiglia ristretta.L’unico spazio di relazione sociale ècostituito dai propri mariti e da altri/eafricani/e residenti, non necessariamenteprovenienti dallo stesso paese.Spesso si dice che la solitudine è il prezzodella libertà. Se questo è vero, non loè certamente per le donne immigrate.L’isolamento e la frammentazione dellarete familiare allargata cui erano abituatenei paesi di provenienza non indebolisconoaffatto le pressioni sociali alle quali ledonne sono sottoposte. Sembra infatti cheil ruolo di alfieri della morale e custodidella tradizione, in assenza <strong>dei</strong> genitori,<strong>dei</strong> mariti, <strong>dei</strong> fratelli, delle zie, del capovillaggio, ecc. venga assunto dai membridella nuova comunità di riferimento,connazionali o africani provenientida altri paesi, che agiscono spietatamentecontro ogni scollamento dalla tradizionecontrollando i comportamenti delle“loro” donne.Molto eloquente è la testimonianza diuna mediatrice culturale sul caso di unagiovane eritrea che era stata de-infibulata:Lei era un po’ sconvolta, io l’ho vista anchedopo l’operazione, perché l’ha raccontataa qualche amica e queste sono andate adirlo a tutti i ragazzi dell’Eritrea che vivonoqui. Così ha subito una concentrazionedi attenzione, per il fatto che una ragazzava a fare questa operazione non è benvista, tutti domandano per quale motivoha fatto questa operazione…La de-infibulazione non è accettata,gli altri eritrei non l’hanno presa beneperché loro deducevano da questa notiziache questa ragazza, ora che è venuta inItalia ha cambiato costumi, invece dovevaessere sempre la stessa e vivere come inEritrea, sposando uno dell’Eritrea e solo almomento del matrimonio poteva fare questaoperazione, cioè aprire questa chiusura.La riprovazione sociale a cui erasottoposta la giovane donna era così forteche l’intervistata ha dovuto allontanarela ragazza dal gruppo e spostarla,in quanto rifugiata politica, in un’altra cittàper evitarle danni psichici:La ragazza reagiva in modo nervoso,qualche volta non mangiava, non si sentivaa suo agio. Si sentiva osservata da tutti.A volte invece lo scontro fra culture ècosì forte da produrre una sorta


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia171di incapsulamento dell’identità, ovverodi appropriazione di segni distintivitradizionali, o presunti tali, al fine dirafforzare la propria identità differenziata.È il caso di alcune donne “tradizionaliste”,che di fronte al tema delle MGF rimarcanola loro autonomia e la loro dignitàculturale, come hanno fatto ad esempiole donne nigeriane con le quali ha tentatodi parlare delle MGF Carla Corso e di cuiabbiamo riferito in apertura.Ma questo atteggiamento tradizionalistalo ritroviamo anche in donne che siappropriano di segni distintivi comesimboli di libertà, ad esempio la sceltadi indossare il velo islamico anche quandoquesto costume non corrisponde a quellodel proprio paese di origine, né il velo eramai stato indossato prima. In questi casiassistiamo frequentemente al fenomenodella “invenzione della tradizione”messo in luce da Hobsbawm (1989).In molte altre situazioni, tuttavia,il rapporto con il nuovo mondo stimola<strong>nelle</strong> donne un genuino processo diemancipazione. Ciò avviene, come è ovvio,soprattutto nel caso delle donne chelavorano. Queste iniziano, a volte per laprima volta nella loro vita, a gestire dellerisorse autonomamente. Inoltre essesi espongono a un mondo diverso, conpossibilità e opportunitàdi autorealizzazione che non pensavanoesistessero. Nella testimonianza dellamediatrice congolese, per esempio:Ci sono donne che vogliono avere la lorolibertà, donne che sono venute qua con ilricongiungimento familiare, poi nonsi trovano più con il marito, non glipiace più, hanno visto quanto valgono qua,si sono emancipate. Queste donnecercano di fare un’evoluzione e dicono:mi faccio da sola, voglio vivere da sola,voglio la mia libertà, voglio gestireda sola i miei soldi, voglio, voglio, voglio.Se si separa dal marito è libera e può farequello che vuole.Il primo passo verso l’emancipazione èspesso traumatico e, come si vede,va a influire direttamente sugli equilibrifamiliari, provocandone a volte il collasso.La rottura con la tradizione e il processodi emancipazione sembra portino,in mancanza di una parallela presadi coscienza <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> e <strong>dei</strong> doveri fra iconiugi, alla disgregazione della famigliatradizionale. Emergono crisi familiari chenon si sarebbero verificate se le donneavessero continuato a subire passivamenteun rapporto di potere consolidato,senza metterlo in discussione proprioper la mancanza di proprie risorseeconomiche e sociali.Secondo la mediatrice, ancora, questipercorsi di emancipazione avvengonoproprio qui, in Italia, perchéè tutta un’altra società: una donna lo capiscegià per il fatto che può andare a lavorare,che può avere il proprio stipendio, mentreprima dipendeva da lui. Adesso qua puòandare con il suo bancomat a prelevare isoldi, e quindi è tutto diverso, ci sono tantecose di cui occorre tenere conto, se nongestisce bene i suoi soldi, può perdere ilcontrollo di sé e magari distruggere lasua famiglia.La migrazione è vissuta come una crescitae, soprattutto, incide fortemente sullacostituzione di una nuova identità.Essa sgancia, in molti casi, le personedalla comunità di appartenenza e nefavorisce la crescita individuale, con tutti idrammi connessi.Le donne emancipate (le donne “con ilbancomat”) ovviamente si allontananodalla tradizione e dai modelli dicomportamento consolidati quali le MGF.Anche le emancipate “moderate”, cheriescono a mantenere alcune strutturedell’identità e a modificarne altre senzagrossi traumi, si allontanano comunquedai modelli del passato. Nelle paroledi una donna africana:


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia172Qui non ha più senso continuare con questetradizioni, ora il mondo è diverso e siamotutti cambiati.Sicuramente questo quadro vale peralcune donne. Tuttavia, come avevamogià anticipato, in molti casi è difficile direquanto il cambiamento sia profondo einvesta realmente i nuclei dell’identità.Sugli aspetti di crisi <strong>dei</strong> rapporti coniugalibasati tout court sulla tradizione esugli inevitabili processi di mutamentodell’identità delle donne africane nei paesioccidentali è forse esemplare questadiscussione raccolta nel corso di un focusgroup (con la lettera U si intende uomo econ la lettera D si intende donna.I numeri corrispondono a risposte dateda persone diverse):D. Ma c’è qualcosa in questo percorsodi migrazione che ti ha cambiato,sei diverso oppure sei rimasto sempreuguale? Sei migliorato, sei peggiorato?E se sei migliorato, in che cosa?R - U1. È più vicino a sua moglie.D. Adesso è meglio? Voi eravate già sposatiquando eravate in Africa?R - U2 e R - D3. Si!R - D3. Sì, aiuta un pochino, ma lui vaa lavorare.D. Ma voi (riferito alle donne) che lavoratefuori casa, come fate con i lavori domestici?R - D1. Io qua vedo tanti uomini africaniche sembra che sono obbligati ad aiutarein casa, perché in Africa un uomonon si metterebbe mai, ma proprio mai adaiutarti a fare le pulizie della casa.Qua lo fanno senza che la moglie o laragazza o la fidanzata glielo chiedano,spontaneamente, perciò è una cosa che gliuomini cambiano automaticamente.D. Perché secondo te automaticamente?R - D1. Non perché sono costretti,ma perché anche loro lavorano evedono quanto è difficile, quanto èfaticoso il lavoro fuori casa.Se hanno una moglie vicino è in base aquello che, secondo me, cambiano e laaiutano <strong>nelle</strong> faccende domestiche.E ne ho visti tanti che fanno così.Invece in Africa, anche quando tornoa casa, nessuno aiuta in casa, nonesiste proprio.D. Allora quando tu sei qui aiuti tua mogliein casa e quando torni al tuo paese non lo faipiù?D. Siete venuti su insieme?O prima lui e poi tu lo hai raggiunto?R - D3. Prima lui.D. E tu quando sei arrivata lo haivisto diverso?R - D3. È sempre uguale.D. Ma ti aiutava di più rispetto a quando erain Africa? A casa, tu aiuti?R - U2. Io sono il padrone di casa e allora ilpadrone cosa deve fare?R - U2. È anche una roba di religione.Io sono musulmano.D. E questo cosa c’entra?R - U2. L’uomo deve combattere perla donna, andare a cercare fuori e portare acasa, il lavoro di casa lo deve fare la donna!D. Invece un uomo di religione cristiana?R - U1. È uguale! Da noi è vietato chea casa il marito faccia qualunque cosa.Qua in Europa noi vediamo che il maritoprende il bambino… mamma mia! (risate)


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia173D. Ti fa impressione?R - U1. Io non tocco i bambini!U2. Però scusate, mio padre aiutava.R - D1. Lascia perdere, lui dice così, però acasa poi è diverso. Solo quando va giù nonmuove un dito, neanche per miracolo!R - D2. Loro hanno la volontà di aiutare,però se per caso viene gente che li vede,dice “Cosa fai? Lavi i piatti per tua moglie?”.R - U1. Non è più un uomo degnodi questo nome!R - D1. Il problema è che in Africale donne sono educate e crescono in basealla casa, da quando sei piccola devi sapercucinare, lavare i piatti, mettere a posto lacasa. Invece un uomo là cresce senza tuttoquesto, un maschio là ha tutto il tempolibero per andare a giocare, non fa i lavoridi casa. Hai mille punizioni, ti picchiano,non ti danno i soldi la mattina, perciò seicostrettissima a fare i lavori di casa,mentre i maschi sono liberi. Vorrei essereanch’io maschio, veramente!D. La gestione <strong>dei</strong> soldi come funziona?R - U2. Il marito mette i pantaloni,le donne non mettono i pantaloni.D. E quindi la gestione <strong>dei</strong> soldi ètutta in mano al marito?Ma per esempio i conti bancari,voi avete un conto bancario, ovviamente,intestato a chi, a te, a tua moglie oa entrambi?R - U2. Al marito!D. (rivolgendosi a una delle donneintervenute di meno) Tu hai un contobancario? A nome tuo o congiuntocon tuo marito? A dire il vero, ancheio ce l’ho congiunto con mio marito…R - D3. Sì.R - U4. Secondo me stiamo mischiando unpo’ le cose: in Africa questo ha senso, manon è come qua.Se noi viviamo a modo nostro, cioè comeviviamo in Africa, il marito ha il conto perchéè lui che dà i soldi alla moglie e se lei lavorai suoi soldi sono per lei, per i suoi figli,però il marito copre tutto. Se lei lavora puòanche avere più soldi dell’uomo e lei sevuole aiuta, però il carico della famiglia cel’ha l’uomo. Per quanto riguarda il contobancario, qua lo facciamo e lo facciamoperché siamo venuti qua e subiamo le vostreregole, però giù in Africa avere un contofamiliare non esiste o quasi.D. Conoscete qualcuno del vostro paesed’origine o di qualche altro paeseafricano che si è separato o divorziatoqui in Italia? Coppie che sono venute epoi si sono separate?R - D1. Sì, lo fanno, lo fanno.R - U4. Io prendo l’esempio di un nigerianoche conosco: il marito ha fatto venire suamoglie qui. Quello che lei pensava dell’Italiaquando era in Africa, era quello che vedevain TV, un’immaginazione, filmati di casebellissime, un sogno, e pensava che se fossevenuta qui avrebbe fatto la stessa vita.Poi quando è venuta, come hanno già dettoloro, ha visto che stava a casa da sola tuttoil giorno quando il marito andava fuori,un altro mondo…D. Certo. E le persone di vostra conoscenzache si sono separate, sono tante?R - U2. Sì, io so di un ghanese.È venuta prima la moglie e poi ha fattovenire suo marito e si è comportatada padrona, dava ordini a suo maritodi fare le pulizie.R - U4. Per dire che ha preso l’abitudinedi qui.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia174D. E poi si sono separati?R - U2. Sì, lui ha detto: “Ma come, nel miopaese non succedono queste robe!”.D. Perché ci sono separazioni che avvengonoqua e invece giù no?R - U4. Perché, quando arriva qua, trovail contrario rispetto a quello che pensavaprima partire.D. E cosa trova al contrario? Che differenze?tanto quando sono qui. Il cambiamento èsuperficiale o fittizio, come sostiene unamediatrice culturale:Non sembra esserci un dibattito all’internodelle comunità degli africani locali sultema delle MGF, né su altro e comunque,secondo me, le persone non cambiano le loroabitudini e meno che mai quelle ancestrali:“si è sempre fatto così”. Coloro che vivonol’esperienza della migrazione cambiano soloin apparenza, ma nel profondo rimangonocome erano.R - D1. Gli africani che divorziano quadimenticano la tradizione, l’originedel proprio paese. Per questo arrivano aldivorzio. Una donna dice: “Cucino io oggi,ma domani tocca a te, perché lavoriamotutti e due”. Invece, nella tradizione africana,anche se la donna lavora, in casa deve faretutto lei. Certo, anche il marito ti aiuta,ma deve farlo con il cuore.R - U1. Volontariamente, non un obbligo!R - D1. Non è che adesso ti metti a fissaredelle regole nuove: come siete abituati a farevoi qui è una cosa naturale e normale, pernoi invece è fuori regola, è per questo chetanti divorziano qua.D. Quindi divorziano, mi pare di capire,perché le donne impongono nuove regoleai mariti?R - D1. Non è che impongono, loro voglionoche i loro mariti siano come gli europei, che iloro mariti vivano nel modo in cui si vive qui.D. Quindi tu dici che la tradizione è piùrispettata dagli uomini che dalle donne?R - D1. Sì, perché gli uomini siavvantaggiano, hanno più <strong>diritti</strong>,la tradizione è più a loro favore.Secondo alcuni/e intervistati/e, gli/leimmigrati/e africani/e non cambianoDella stessa opinione è anche un medicoche ha lavorato in Africa e che conoscebene molti africani che da anni si sonotrasferiti qui:È tutta una finzione, la verità è cherimangono uguali a se stessi,non cambiano tanto, anche perchéper molti probabilmente la migrazioneè vissuta pensando sempre a un ritornonella propria terra.Nelle parole di un uomo beninese:Quando torno al mio paese mi sento felice.Non dobbiamo dimenticare che questoattaccamento alle tradizioni, tra le qualia volte figurano anche le MGF, è il risultatodello stesso percorso di migrazione.Un processo a volte doloroso. I percorsidi migrazione espongono infatti le personea molte incertezze e a prove di vita moltosevere. In molti casi non rimane più nulladell’identità di partenza, o solo pochielementi, qualche foto, qualche oggetto,qualche ricordo o un comportamento.Un uomo del Burkina Faso racconta cosìla sua esperienza in Italia:R. Io ho vissuto tanti anni nella migrazione,diciamo che sono cresciuto nella migrazione.Anche in Africa ero un migrante. Sono natoin Burkina Faso, però da giovane ho vissutoin Costa d’Avorio per tanti anni. Lì sono


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia175stato presidente di una grande associazionedella mia comunità, cioè delle persone delBurkina Faso in Costa d’Avorio. Tanti anni,perché noi siamo vicini alla Costa d’Avorio emolti burkinabé emigravano. L’associazionesi chiamava Union frater<strong>nelle</strong> des jeunesburkinabé in Costa d’Avorio. L’associazioneera una cosa incredibile. L’ho lasciata nel1992, proprio per venire in Italia. Ho lasciatoquesta associazione con grande difficoltàperché non ho potuto dire la verità alla miagente, non potevo dire che venivo in Italiaper tanto tempo, ed anche io non pensavodi fermarmi per tanti anni, però le cose sonoandate così. Sono arrivato, il 4 dicembre1992 nel ghetto di Villa Literno, in provinciadi Napoli – hai mai sentito parlare del ghettodi Villa Literno? In quegli anni non era perniente facile per noi immigrati, soprattuttoneri, perché gli italiani non erano abituatia questo colore. I primi tempi sono rimastoa Napoli, nel ghetto di Villa Literno. Sonoarrivato a Roma e sono andato direttamentelì, perché in quel momento guidavano tutti ineri in questo posto perché c’era un piccolovillaggio di immigrati neri, tutti raggruppatilì e ti facevano lavorare nei campi.D. E come sapevi che potevi andare lì?R. Eravamo guidati dalla gente, da altricome noi che erano arrivati prima di noi.Quando arrivavi a Roma ti dicevano: “Prendiil treno e quando arrivi a Villa Literno scendie troverai tanti altri africani”.Questa cosa era un po’ politica, anche seio non voglio entrare in queste cose, mal’incendio era stato appiccato di giorno e nondi notte, era stato appiccato da qualcunoche voleva toglierci da lì.Abbiamo avuto poi aiuti da personedi buona volontà e da associazioni.Ci hanno divisi nei centri di accoglienzaa Napoli. È stata dura, ma da quando iosono venuto in Italia ho sempre lavorato,perché sono sarto e faccio abbigliamentiper donne, uomini e bambini. A Napoli cisono piccole fabbriche dove io ho semprelavorato. Purtroppo tutto lavoro in nero, nonc’era nessun contratto. Sono rimasto lì persette anni, ho provato anche a far qualcosadi diverso, ma le aziende che mi davano illavoro mi facevano lavorare tanto e poi nonpagavano. Dopo sono venuto a Pordenone,ma per spostarsi dal Sud al Nord bisognaavere un posto per dormire. Avevo un mioamico qui e lui mi aveva promesso che mipoteva dare un posto per dormire, avevo giài documenti perché nel ’95-’96 con il decretoDini avevo avuto il permesso di soggiorno.Ecco perché mi sono trovato a Pordenonee quando sono arrivato ho subito lavoratoperché io ho una famiglia.Anche <strong>nelle</strong> testimonianze di un gruppodi africani/e (focus group) raccogliamoelementi che ci confermano la durezzae la violenza cui sono sottoposte moltepersone di origine africana che vivonoin Italia.D. Dove abitavano i braccianti agricoli lì?R. C’erano una vecchia casa colonica euna cascina dove una volta allevavano ilbestiame. Perché gli immigrati non trovanocasa, noi non avevamo documenti.Quando siamo arrivati avevamo idocumenti, siamo scesi dall’aereo cometutti, però poi non avevamo più il permesso.Siamo rimasti lì per tanto tempo, nel lugliodel 1994 il ghetto è stato bruciato.Il ghetto dove abitavamo. Siamo rimastifuori, senza casa per tanto tempo.U1. Napoli è la base per tutti gli africani.Napoli è come l’Africa!Anche senza documenti, oggi arrivi, domanivai in piazza e trovi un lavoro. Dopo averottenuto un documento, vai dove vuoi.Ora noi tutti lavoriamo.D1. Io ho lavorato in fabbrica per nove anni.Molto duro, difficile. Ci tengono come schiavisoprattutto per il nostro colore, è dura. Eroconsiderata meno degli altri. Il rapporto coni colleghi era buono, ma dovevo fare più diloro perché ero nera. Il padrone non era mai


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia176in fabbrica, ma c’era un altro che stava lì acontrollare, non potevo muovermi neancheun secondo, neanche girare la testa. Gli altripotevano fare tutto, io no. Dovevo stare lì eandare sempre avanti. Ho lavorato così pernove anni.D2. Da quando sono venuta qui,vado sempre in chiesa e se non ci vado sentoche mi manca qualcosa. Ma in chiesa lepersone italiane si sedevano lontano da me.U2. Robe da razzisti!/ Difformità di comportamentie prevenzione delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /In un mondo dominato da una culturatradizionale e maschile, dove la praticanon sempre viene messa seriamente indiscussione né dalle istituzioni politiche,né dalle istituzioni religiose e soloraramente dall’opinione pubblica,quasi sempre nell’ambito di campagneche beneficiano comunque di un sostegnoeconomico estero e che quindi vengonopercepite come “eterodirette” edestranee alla cultura locale, i padri difamiglia possono essere i soggetti piùindicati per definire un percorso diverso,ma all’interno dello stesso modello,che porti all’abbandono delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.Sappiamo di diversi casi in cui questi,influenzati dalla modernità e dalle proprieconoscenze poiché più esposti al mondo,si oppongono, talvolta ferocemente,all’applicazione delle regole tradizionalinella propria famiglia. Anche i figlimaggiori che hanno studiato o hannoavuto delle esperienze all’estero,possono svolgere un ruolo importante,come dimostra la testimonianza di unodegli intervistati:Nella mia famiglia solo le mie sorelle piùgrandi hanno subito l’escissione. Le altre no,grazie alla mia battaglia personale assiemea mio fratello che ha studiato le materiescientifiche a scuola (uomo senegalese).Sono questi uomini “illuminati” che,contro il parere diffuso, e a volte anchecontro quello della propria moglie,salvano le figlie:Io non sono stata circoncisa perché miopadre si era opposto alla pratica.Mia madre lo era, e avrebbe volutocontinuare la tradizione, ma mio padrenon voleva assolutamente. Spesso sono piùcontrari gli uomini delle donne.(donna egiziana)Inoltre le donne, per il tipo disocializzazione che subiscono, sonopiù inclini degli uomini a risponderepassivamente alle condizioni esterne,e hanno quindi una propensione ad aderireacriticamente ai modelli prescritti dicomportamento. Gli uomini sviluppanoinvece delle capacità di immaginazione erelazione con gli ambienti sociali superioria quelle delle donne e ciò li favoriscenell’adattamento a luoghi e mondidifferenziati. (M. Mead, 1989).L’interiorizzazione <strong>dei</strong> modelli dicomportamenti <strong>nelle</strong> donne è così forteche, più degli uomini, non ammettonoscollature dalla tradizione, come dice unadonna del Madagascar:Io credo che sia la donna a peggiorare lasituazione delle altre donne. Noi siamomolto intransigenti, severe verso le donnecome noi. Cioè, noi siamo donne, però avolte pensiamo con una mentalità maschilee credo che la donna abbia anche tantopotere se vuole esercitarlo.Quanto detto non intende minimamentesottovalutare l’importanza della politica edella legislazione. L’esperienza dimostrache nei paesi in cui la leadership


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia177politica produce buone leggi e diffondeun messaggio culturale adeguatopromovendo campagne di informazionecontro le MGF, i comportamentitradizionali possono cambiare e stannodi fatto cambiando, come dimostrail tasso di prevalenza delle MGF,in declino progressivo nella stragrandemaggioranza <strong>dei</strong> paesi africani dovesono state realizzate più campagnedi sensibilizzazione. Molti si sono detticonvinti che una buona legge ed efficaciazioni repressive possano ridurredrasticamente la portata del fenomeno,soprattutto nei paesi africani dove lapratica è diffusa.Nella testimonianza raccolta inun’intervista con un uomo del Benin, inriferimento al proprio paese d’origine:Le MGF venivano praticate nel passatopoiché oggi c’è una legge che le vieta. Non èche oggi la pratica non si faccia più, ma èdiminuita del 60%. La fanno di nascosto ese le autorità scoprono che lo fai ti mandanoin galera e devi pagare una multa. È unreato, se ti scoprono vai in galera. Il governoha fatto della pubblicità, offre ricompensein denaro a chi denuncia le persone che lofanno e i loro complici e hanno mandatopersone dappertutto, anche <strong>nelle</strong> campagneper fare pubblicità a questa legge.Nei casi in cui la tradizione non trovaostacoli significativi né da parte delleistituzioni né da parte degli uominidi famiglia, le donne che escono daipercorsi stabiliti devono avere moltocoraggio e molta forza, perché possonodiventare causa di disonore e di vergognaper il gruppo. Il controllo sociale cui unadonna è sottoposta non cessa nemmenofuori dal suo paese e lontano dai proprifamiliari. Ne è un esempio la vicenda dellagiovane donna eritrea che, dopo esserestata de-infibulata a Gorizia, è stata presadi mira dal gruppo <strong>dei</strong> suoi compagni diviaggio, tutti richiedenti asilo politico.Il coraggio richiesto è così grande chepoche sono in grado di sfuggire alle regolesociali: “E quando cercano di fuggire,scappano anche dalle finestre…ma ci vuole coraggio a fuggire da quelloche tua madre, tua nonna, tua zia, tuttele donne del tuo clan ti dicono che è unacosa da fare e che l’ hanno fatta ancheloro”, sottolinea una donna del Kenya,dove si sono verificati diversi casidi gruppi di bambine fuggite letteralmenteal coltello, cioè dal luogo della cerimoniadi escissione, e che poi hanno trovatoprotezione presso centri gestiti daassociazioni o istituzioni religiose.Significativo in questo senso il casodell’avvocato keniota Ken Wafula,che tra il 2000 e il 2003 ha vinto 19 causecivili intentate da ragazze contro i proprigenitori e parenti per essere risparmiatealla mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>, in base alChildren’s Act, la legge che dal 2000 inKenya proibisce le MGF fino a 18 anni 48 .In alcuni casi sono invece le donneche, entrando in un circuito di presa dicoscienza collettiva attraverso il lavorodelle organizzazioni di donne, sono riuscitea farsi forza per combattere le MGF.I/le intervistati/e però non conosconomolto i movimenti di donne che da annioperano contro la diffusione della praticadelle MGF nei loro paesi e sostengonosemmai che essi ancora non riescono adaffermarsi come fenomeno di massa.La lotta nella società di immigrazioneavviene ancora attraverso alcuni/e leaderd’opinione, di solito investiti/e di qualcheruolo di autorità formale o informale,che diffondono messaggi di contrastoalla pratica. Nella nostra regione,particolarmente attivi sono, tra gli altri,48 Wafula, Ken, “Può la legge fermare la praticadelle MGF?”, in Norme legislative per la prevenzione dellemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, atti del Seminario afroarabodi esperti tenutosi al Cairo, 21-23 giugno 2003,a cura di AIDOS e NPSG.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia178un ex assessore di origine senegalese,che non perde l’occasione di far vedere ilfilm Moolaadé di Ousmane Sembène perindurre i suoi concittadini all’abbandonodella pratica e un responsabile diprogrammi di cooperazione a Udine,che combatte ancora contro i proprifamiliari e conoscenti per evitareche durante le vacanze estive possacapitare qualcosa alle bambine. A questipersonaggi dobbiamo aggiungere le moltedonne forti e impegnate socialmente checombattono con i mezzi della persuasionee della testimonianza. Queste donne,spesso impegnate nel settore dellamediazione culturale, nel sindacato onell’associazionismo, svolgono un ruolocruciale nella formazione di una coscienzacritica in molte cittadine africane, offrendoun modello di vita e di convivenza socialeaccettabile sia dalla “tradizione” sia dalleleggi e dai costumi italiani.Sarebbe ingenuo pensare che icambiamenti avvengano soltanto inconseguenza di scontri di idee odi conflitti familiari, sociali e istituzionali.Molto spesso un’abitudine, una pratica,una convinzione vengono cambiate perla stessa ragione per cui prima venivanomantenute: l’adeguamento all’ambiente.Basta una semplice accettazionedella realtà, del mutamento di società,<strong>dei</strong> costumi, <strong>dei</strong> significati dell’esistenzain un mondo diverso, e ciò che prima erainimmaginabile diventa scontato.Questo banale meccanismo operasoprattutto <strong>nelle</strong> persone la cui volontàdi integrazione è forte e che nonriconoscono più il senso <strong>dei</strong> ritualidi iniziazione, dell’organizzazione socialepatriarcale, <strong>dei</strong> rapporti diseguali fra isessi, ecc. In loro si verifica spesso unospontaneo quanto radicale rovesciamentonella gerarchia <strong>dei</strong> valori, come mostranobene queste parole di un uomo beninese:“Ormai siamo qui e il mondo è diversoda quello in cui siamo cresciuti.Le cose importanti ora sono altre”.Concetti non diversi sono espressida un uomo di origine senegalese,le cui asserzioni rivelano una profondacoscienza della logica del cambiamento:Le tradizioni, in generale, le culture e lelingue sono fenomeni dinamici, non sonofenomeni statici, per cui così come cambiala lingua e il linguaggio, in generale,cambia il significato delle cose: una parolache una volta significava una cosa con iltempo è mutata, figurarsi l’introduzionedi nuove parole, nuovi modi di pensare e viadicendo. Si tratta di fenomeni assolutamentedinamici, da sempre, perché una linguastatica, una cultura statica è destinata amorire di sicuro, non ci sono dubbi:se rimane ferma è destinata a scomparire.Eppure, nonostante questa evidenza,la gente ha la tendenza a difenderela cultura tradizionale soprattutto sesi sente minacciata, come qualsiasiessere animale che si difende quandosente di essere minacciato.E noi dove ci sentiamo minacciati?Proprio nella cultura, perché èla cosa piùprofonda che abbiamo, e abbiamo paura diperderla. Ma bisogna riconoscere le difficoltàche ci sono soprattutto per alcuni,e che alimentano questo modo di pensare:sono persone che hanno paura che chiarriva da fuori finisca per snaturare il loromondo, cioè la loro cultura.Ma non si tratta di snaturare, si trattasemplicemente di aggiungere note diversea una cultura, perché la cultura è destinatasempre e comunque ad avere un’evoluzione.L’importante è essere <strong>nelle</strong> condizionidi governare questa evoluzione: se non sigoverna questa evoluzione, è ovvio chepossono nascere <strong>dei</strong> problemi, la dinamicitànon deve essere troppo forte, perché uncambiamento repentino nella cultura crealacerazione. Tante donne che si oppongonoall’abbandono della pratica hanno pauradi questo, hanno paura di questagrandissima lacerazione, un’opposizionenetta tra generazioni diverse.Una discussione sana, graduale, continua,


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia179che porta a <strong>dei</strong> compromessi su alcunecose, che non crea lacerazione, è quelloche dovrebbero portare progetti per laprevenzione delle MGF: perché quando particon un’idea preconcetta e ti metti di frontealla persona dicendo ‘quello che stai facendoè sbagliato, devi mollare’, quella personasubito si chiude in un guscio.Se, invece, c’è un approccio in cui nonsi impone una cosa, ma la si fa capiretramite tutta una serie di argomentazioni,allora è diverso.Un ultimo aspetto interessanteriguarda la religione e i leader religiosi.Sebbene il rispetto della religione,come vedremo, sia sempre citatoquale motivazione fondamentale dellaperpetuazione della pratica – “L’Islamlo impone. Dobbiamo farlo per lanostra religione” – esso non gioca unruolo altrettanto importante nel suoabbandono. Probabilmente ciò avviene peril rimarchevole silenzio, sull’argomento,delle istituzioni religiose. Non ci sonotestimonianze, infatti, di una qualchepresa di posizione forte contro questeusanze né da parte della chiesa cattolicané da parte <strong>dei</strong> leader religiosi musulmanie le dichiarazioni scaturite da riunioniinterconfessionali organizzate dall’IAC– Comitato inter-africano sulle pratichetradizionali nocive per la salutedi donne e bambine, o le dichiarazionidi leader islamici, quali ad esempio quelledello Sheick Mohamed Sayed Tantawi,dell’Università Al-Alazar del Cairo, faticanoa farsi strada verso la base <strong>dei</strong> fedeli.il presidente sia consapevole delladifficoltà di distinguere fra la religionee la tradizione. Un messaggio non correttopuò essere utilizzato per altri fini:Quello che sta succedendo in tante tribùè che i capi religiosi sfruttano la religione outilizzano la religione per rafforzare il loropotere davanti alla tribù. Perché vivononell’ignoranza.L’ignoranza del vero messaggio dell’Islamè una delle cause della permanenzadella pratica, che va ascritta alla tradizionee non è mai nominata nel Corano.In questo senso, la diffusione delletraduzioni del testo del Corano in altrelingue ha consentito una conoscenzaprecisa del testo e delle regole islamiche.Nella testimonianza di un uomo somalo:Noi tutti pensavamo che l’infibulazionefosse prescritta dalla religione, ma quandonel 1984 è stato tradotto il Corano in linguasomala ci siamo accorti che nel testo nonc’era nessuna prescrizione al riguardo.Non sappiamo peraltro se, o quanto,questa conoscenza abbia inciso suicomportamenti effettivi./ Motivazioni e funzionidella pratica di mutilazione <strong>dei</strong><strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /Secondo il presidente del Centro CulturaleIslamico di Trieste e della Venezia Giulia,la questione non è stata mai sollevataperché: “Tutti sanno che noi non laaccettiamo e se praticano le MGF lofanno fuori, di nascosto, non all’internodella comunità islamica”. Sembra quindiessere talmente scontata la non coerenzafra l’Islam e la pratica di MGF che non ènecessario nemmeno parlarne, benchéLa distinzione tra motivazione e funzione,<strong>nelle</strong> scienze sociali, è notoriamenteproblematica, poiché sono entrambe“cause finali” e le spiegazioni che leinvocano sono entrambe teleologiche.Senza voler sollevare una dibattuttissimaquestione, ci limitiamo a osservare che,in linea di principio: 1) una motivazioneè un’orientamento della volontàdell’individuo rivolto consapevolmente


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia180a uno scopo, mentre una funzioneè la conseguenza (positiva, ma nonintenzionale, o non pienamente tale)che un comportamento o una praticahanno sul gruppo cui l’individuoappartiene; 2) una motivazione puòspiegare il venire in essere di una pratica,la funzione ne può spiegare la persistenza.Poiché tuttavia, come è stato osservato,il confine tra motivazione e funzione èlabile, assumiamo come accettabile l’ideache la funzione sia una “motivazioneistituzionalizzata”, cioè una motivazioneche viene normativamente incorporatain una prassi stabilmente accettata.In questo senso, quando le motivazionisi organizzano in schemi (pattern)stabili, possiamo riferirci a esse comea “funzioni”. Inoltre, il concettodi motivazione è più osservativo di quellodi funzione, che comporta un’operazionementale aggiuntiva ed è dunque piùastratto. Pertanto, considereremomotivazioni gli orientamenti della volontàdiscreti e inferibili direttamente; e funzionile aggregazioni di motivazioni secondocriteri di omogeneità di senso.La prima motivazione che vieneaddotta è quella igienica, esattamentecome nel caso della circoncisionemaschile. Ciò mostra con chiarezzacome nell’immaginario collettivo lapratica maschile e quella femminile sisovrappongano senza tenere in alcunconto le grandi differenze che intercorronotra le due, delle quali una è mutilantee l’altra no: ma, come sappiamo,nella dominante cultura maschile questonon è un tema di interesse generale.È significativo, e conferma la diffusionedella lettura della tradizione in chiavereligiosa, che le prescrizioni della religioneislamica si estendano, implicitamenteattraverso la motivazione sanitaria,anche alla pratica femminile.Inoltre dalla testimonianza di Carla Corso,seppur limitata a una visione dell’universoafricano abbastanza settoriale (prostituteafricane di origine nigeriana), veniamo asapere quanto l’igiene delle parti intimeconti per una donna africana, la puliziasia una pratica consueta e fondamentaledel corpo e le MGF percepite come unacondizione che agevola una maggiorpulizia del corpo. Racconta Carla Corso:Io, parlando con le donne africane, avevo unlivello di confidenza molto alto anche perchéloro non hanno tutti i tabù che abbiamo noi,sono molto libere e quindi dicono che noibianche puzziamo esattamente come noidiciamo che gli africani puzzano…lo stereotipo, no? Le donne africane dicevanoche noi bianche puzziamo <strong>nelle</strong> parti intimeperché non ci laviamo a sufficienza dentro,loro hanno un livello igienico molto alto, chesecondo i ginecologi non va bene, loro tuttii giorni praticano un lavaggio intra-vaginaleinterno con acqua, sapone, bagnoschiuma,quello che hanno, trattano l’interno dellavagina come qualsiasi altra parte del corpo.La lavano e se l’asciugano anche. Questo peri medici è eccessivo, però è vero che tra tuttele donne che abbiamo monitorato, e neglianni ne abbiamo monitorate veramentetante, le africane si sono rivelate le piùsane, non avevano vaginiti, non avevanocondilomi, ecc. Tra tutte le donne cheaccettavano di fare controlli sanitari connoi - per controllo sanitario io intendo uncheck up completo, non soltanto la vistaginecologica, ma anche esami del sangue,visita ginecologica, pap-test, mammografiae poi le vaccinazioni, e se d’accordo leintroducevamo ad un programma dicontraccezione – le africane erano le piùsane. Io non sono un medico per cui possoipotizzare che, oltre a un livello di puliziaaltissimo, probabilmente hanno ancheanticorpi molto forti.La pratica è definita come un eventorituale importante che segna l’individuonel suo percorso di crescita e di inclusionein un nuovo gruppo sociale (il gruppo degliadulti). Come spiega una donna keniota:


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia181È un rito di passaggio dall’età della giovaneverso l’età adulta. Quello che viene fatto inconcreto dipende dalla cultura del singlolopopolo. Perché i popoli della Somalia,dell’Etiopia, fanno tutto, tagliano e cucionotutto. Mentre gli altri gruppi etnici tendono atagliare solo il clitoride.Il rituale, quale comportamento formalee prescritto per circostanze non abituali efacente riferimento a credenze in entità opoteri mistici, è ancor oggi molto diffusoin Africa. Una donna angolana raccontacome nella sua etnia non ci sia il tagliodel clitoride, ma il passaggio nel mondodegli adulti avvenga attraverso un ritualecomplesso, messo in atto nel momentodella comparsa del menarca, che sanciscel’appartenenza a un’altra dimensionesimbolizzata in modo da rendere pubblicociò che è privato, sociale ciò che èpersonale (V. Turner, 1976).La donna, grazie alla mutilazione,diventa adulta, ma anche(paradossalmente) integra,nel senso che la mutilazione <strong>dei</strong><strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, spiega una donnacamerunense:È anche un voler salvaguardare la donnaperché sia integra per affrontare un nuovorapporto, cioè il matrimonio. Mantenendosiintegra acquisisce il rispetto della famigliae dell’uomo con cui andrà a costruire il suorapporto. Altrimenti ci saranno <strong>dei</strong> problemiper lei e per tutta la famiglia. Ci deve esserela prova del sangue: se il lenzuolo rimanebianco, la donna viene rimandata indietro.È una vergogna per la famiglia. In Africa èun orgoglio per la tribù che la gente sappiache la donna ha subito la circoncisione.La motivazione morale è associata comeabbiamo visto ai valori dell’integrità,dell’onore, della fedeltà:Facendo questo la donna è più fedele almarito. Perché non ha più il desiderio peri rapporti sessuali e di conseguenza nonsi guarda intorno. (donna beninese).In altre dichiarazioni la pratica è riferitaesplicitamente al controllo della sessualitàfemminile come modalità per essere “unavera donna”. Per una donna nigeriana:È una cosa buona: è tradizione, è unacultura, fa una donna più pura. La si fa perrendere una donna più donna e per nonfarla diventare una prostituta. Se lei ha fattola circoncisione, è una donna che possonotenere: se lui dovrà fare qualche viaggio,lei sicuramente non andrà con altri uomini.Tutta una serie di asserzioni cherimandano all’attenzione che molti africanihanno per la verginità della donna, che lamutilazione preserva fino al matrimonio,e per la fedeltà della propria moglie.Un’altra motivazione è la maggioreccitazione sessuale che la praticaprovocherebbe negli uomini: essa èfunzionale alla sessualità maschileperché gli uomini “dicono che la donna èpiù sensibile e più interessante a letto”,sostiene una donna egiziana. Il fattodi incontrare sessualmente una donnacon MGF provocherebbe, secondo unamediatrice beninese:Un maggior desiderio sessuale nell’uomo,perché la donna che ha subito MGFnecessita di un tempo maggiore perraggiungere l’orgasmo, quindi l’atto diventapiù interessante e la donna sembra esserepiù desiderosa.Collegata a questo aspetto èprobabilmente anche la motivazione legataall’orgoglio che un uomo manifesta sela propria donna è stata mutilata.Una donna camerunese afferma:L’uomo è orgoglioso di avere una donna cheha subito la mutilazione, è come se la donnasi fosse sacrificata per lui.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia182Un’ultima interessante motivazione che èemersa riguarda la forza della donna.Le MGF servono alle donne per svilupparela forza necessaria per la futura vita, comespiega ancora la donna keniota:Da noi credono che se una donna nonè circoncisa non può sopportare lacrudeltà della vita, perché non ha potutosperimentare il doloroso processo della vitaquando era giovane. Il dolore dovrebberafforzare, rendere forte il loro cuore ecapace di sopportare le cose negativedella vita.Possiamo ricondurre, in estrema sintesi,queste motivazioni a due categorie.Definisco la prima costruzione socialedel genere, femminile e maschile, e laseconda dinamiche morali e relazionalidel gruppi <strong>umani</strong>. Nella prima categoriaconfluiscono tutte le asserzioni cheriguardano i riti di passaggio, il doloree l’igiene personale che, per vie diverse,contribuiscono a formare il concettoidealtipico della donna africana; e tuttele asserzioni riguardanti gli aspettidi sacrificio della donna nei confrontidell’uomo, di controllo della sessualitàfemminile e di eventuale preferenzasessuale dell’uomo per donne sottopostea MGF, che vanno a costituire,nell’immaginario collettivo, il concettoidealtipico dell’uomo, della sua potenzalegata alla superiorità e alla virilità. Nellaseconda categoria entrano invece leasserzioni riguardanti l’onore,la purezza, l’integrità e la verginità,simboli depositari della tradizione,una sorta di memoria della società,e strumenti della conservazione e dellacontinuità della stessa.In base a queste considerazioni,le corrispondenti funzioni riguarderebberodue aspetti fondamentali degli esseri<strong>umani</strong>. La prima categoria, che hodefinito come costruzione socialedel genere, servirebbe a formare l’identitàdell’individuo, femmina e maschio,costruita attraverso un processodi socializzazione composto da molteprove e da pesanti sanzioni nel casodi trasgressione. Dal quadro che emergegrazie alle osservazioni delle personeintervistate, sembra che la socializzazionenel ruolo nella donna si compia attraversoazioni e simboli con ricadute negativesul suo corpo e sulla sua psiche, mentrela socializzazione nel ruolo maschile sicomponga di elementi che non intaccano ilsistema della personalità, ma al contrariola gratificano e la rafforzano.La “circoncisione”, proprio perchémutilante nella donna e non per l’uomo,viene vissuta in modo diverso.Secondo molte testimonianze, le bambinesanno che soffriranno molto e che ciò avràdelle conseguenze negative, in molticasi, per tutta la loro vita, visto che“si estirpa il clitoride negando alla donnail piacere sessuale, e non per sua scelta”(donna keniota) e “avranno difficoltà neirapporti sessuali e causa di forte doloree infezione” (donna nigeriana), “affinchél’atto sessuale sia solo per soddisfarel’uomo e per procreare” (donna keniota).Indubbiamente l’atto sembra esserevissuto o come violenza o al massimo consottomissione: “Quando possono fuggonoperché non vogliono farsi fare”,faceva notare una donna keniota.La manipolazione degli organi <strong>genitali</strong>,la nudità, il taglio degli organi <strong>genitali</strong>da parte di estranei, la manipolazionedel proprio corpo per fini non chiari oignoti produce <strong>nelle</strong> bambine delle lesionipsichiche che vanno a costituire il concettodi senso del proprio sé, come raccontatodalla psicologa francese DominiqueLutz-Fuchs a proposito della suaesperienza in Mali 49 . Nelle paroledi un’intervistata originaria del Benin:49 Lutz-Fuchs, Dominique, con Pierre Erny,Psychothérapies de femmes africaines, L’Harmattan ,Parigi, 1994.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia183Ai miei bambini, visto che c’è il problemadella pedofilia, dico: le parti intime sono tue,non te le deve toccare nessuno!Ma i bambini hanno molto il concettodi privacy, anche in bagno non voglionofarsi vedere da nessuno che non sia lamamma: ti immagini quando a unabambina vengono tagliate le parti intime,che tutti possono guardare, toccare,figuriamoci!.In un’altra dichiarazione il concetto sicolora emotivamente:Ci sarà vergogna, umiliazione, unasensazione di essere stata usata comeun oggetto, di essere stata trattatain maniera… non so se si possa direbestiale, perché gli animali hanno unafinalità diversa per la crudeltà.Noi esseri <strong>umani</strong> siamo bravi a torturarci avicenda. E poi la ragazza non ha nessunascelta se lo decide la famiglia.(donna keniota)Per questo oggigiorno, come fa notare unuomo nigeriano:Lo fanno prima, quando la bambina èpiccola, se loro aspettano che la figliadiventi grande rischiano che si rifiuti o cheli denunci.Sembra quindi che le bambine venganoconvinte con delle storie per intimorirlefino ad assoggettarle al volere del gruppo,come ricorda una donna senegalese:Mia nonna mi diceva: “Lo devi fare! Lo devifare! Perché vedi questa cosa pendente qui- il clitoride - se non si toglie, man manoche cresci, crescerà con te e non potrai piùcamminare”. Ed io non volevo portarmidietro questa cosa pendente.L’atto della circoncisione maschile,al contrario, sembra essere un attoconsapevole, quando avviene in etàadulta o comunque adolescenziale,e indubbiamente meno problematico.Così un uomo burkinabé ricorda ilmomento della sua circoncisione:Per me, per l’uomo, è normale perchénon sono stati i miei genitori che mihanno portato a fare la circoncisione,sono andato da solo, ero grande ed hopreso la decisione assieme a un amico.Così un giorno sono andato a dire amio papà: guarda che io voglio andarea fare la circoncisione.E lui era contento e mi ha detto: “Bene!”.E mi ha dato un pollo. Anche al mio amicosuo padre ha dato un pollo e così unamattina siamo andati, abbiamo fatto esiamo tornati a casa.Oltre al minor danno fisico e al minordolore fisico, nel racconto di quest’uomoemerge una chiara definizione diconsapevolezza dell’atto dettata da unelemento di scelta. L’interiorizzazionedi un modello, come quello maschile,meno problematico nei suoi effetti fisiciindubbiamente produce una maggiorconsapevolezza negli individui e tendea un rafforzamento della personalità.Quello femminile, che sembra non esseremai così “indolore”, è forse più difficileda interiorizzare se non dopo un processodi “addomesticazione”, perpetrato anchecon la violenza.La costruzione del genere maschileprende forma anche indirettamenteattraverso gli aspetti di inferioritàdella donna provocati e sanciti dallamutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>:La pratica inflitta alle bambine è terribile,perché è una violenza inspiegabile,un marchio che rimane per tutta la vita:rimane come un segno inspiegabile.L’unica spiegazione che un essere umanopuò darsi è che le è stato fatto questo perchéè una femmina. La sudditanza è assicurata:rimane per sempre inferiore all’uomo.(donna egiziana)


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia184L’uomo così si rapporterà, per sempre, conun individuo che gli assicurerà il godimentodella sua automatica superiorità e diogni potere connesso, senza alcunacontestazione. Parte dell’identità maschilesi costruisce dunque per riflesso: l’uomodiventa quello che è rispecchiandosi nellacondizione femminile ed è tanto più uomoquanto più questa è dipendente da lui.Viceversa la mutilazione è per la donna lapotente sanzione della propria inferiorità.Che diventa per converso, come ha messoin evidenza Nahid Toubia, dottoressasudanese e fondatrice di Rainbo(organizzazione finalizzata alla prevenzionedelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>),uno strumento per negoziare ambitidi autonomia e di potere attraversol’accesso al matrimonio 50 . Ci sono inoltrealtri elementi che indicano tutte unaserie di gratificazioni per l’uomo. Egli, peresempio, gode dell’onore nell’essersi unitocon una donna “pura”;o si vanta poiché “essa si è sacrificataper lui” (donna camerunese).È proprio il corpo della donna il luogoattraverso il quale affiora la sua dignità edove il suo potere si estrinseca:Gli uomini africani non vogliono che le donneusino i contraccettivi per un senso di potere,forse, più che altro. Decido io comee quando.(donna beninese)Oltre a formare il concetto di identitàmaschile e femminile, le MGF sembranosvolgere anche una fondamentale funzionesocio-economica per la sopravvivenza dellacomunità. Il tema delle MGF ruota infattitutto attorno all’istituzione del matrimonioe alla pretesa del marito di avere lacertezza di essere lui il padre genetico50 N. Toubia, La legge come strumento per il cambiamentosociale e comportamentale, in “Atti del SeminarioAfro-Arabo di esperti sulle norme legislative per laprevenzione delle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> femmini”, Cairo21-23 giugno 2003, a cura di AIDOS e NPSG.della prole. In tutte le dichiarazionidelle persone incontrate affiora semprel’ossessione della gestione della sessualitàfemminile:Se ha fatto la circoncisione è una donnache possono tenere: se lui dovrà fare qualcheviaggio, lei sicuramente non andrà conaltri uomini. (donna togolese)Inoltre, essendo diffusa la poligamia edessendoci la possibilità di avere più mogli,la mutilazione mitigherebbe i desideri e lerichieste delle donne, lasciando inalteratoil senso di potenza dell’uomo. Come diceun uomo senegalese:Quando si toglie quella parte lì, la donnaè meno sensibile, così se le donne sonomeglio vogliose è anche più facile per ilmarito soddisfarle.Il matrimonio è un’istituzionefondamentale per la struttura socialee ha un valore economico rilevantenella circolazione <strong>dei</strong> beni, in modoparticolare nei sistemi basati su economiedi sussistenza. La dote che accompagnaogni contratto matrimoniale si basa sullequalità della donna. Il prezzo della sposa èuna risorsa fondamentale per la famigliad’origine della ragazza e, grazie allaverginità, la donna diventa una fontedi sicurezza per la famiglia di acquisizione,perché garantisce la perpetuazione<strong>dei</strong> geni dello sposo. Le MGF danno lasicurezza che l’investimento economicodarà i suoi frutti, come argomenta unadonna keniota:Probabilmente gli uomini della famiglia lovedranno come un vanto, una questioned’onore per il fatto di avere una ragazza pura.La ragazza è una merce di scambio, è unavalorizzazione <strong>dei</strong> loro beni.Lo scambio economico implicatonel matrimonio è il motivo per il qualela socializzazione al ruolo femminile


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia185si manifesta in modo così pesante,con premi e sanzioni che inducono leragazze a un’interiorizzazione forzatadi regole e sacrifici a cui gli uomini nonsono sottoposti in modo tanto pressante.Anche il problema <strong>dei</strong> matrimoni precoci,come le MGF, sembra essere legatoallo scambio fruttuoso di denaro nella“commercializzazione” della donnanell’istituto del matrimonio:A volte queste ragazze vengono mutilateper poi farle sposare con persone anziane obenestanti che possono pagare con capre ocon altre cose la famiglia. (donna beninese)La donna, con la sua verginità, è unamerce che si paga a un prezzo elevatoe tanto più è giovane e tanto più èvisibilmente “integra”, cioè mutilata, tantopiù frutta alla famiglia un buon ricavo.In società povere, dove l’economia ètendenzialmente autarchica e lo scambiodi beni è necessario per la sopravvivenzadella comunità, la donna nel momentodel matrimonio funge da mezzo,o da canale, attraverso il quale simuovono le merci e il denaro necessarialla persistenza del gruppo.il clitoride, negando alla donna il piaceresessuale, e non per sua scelta. C’è ancheun problema psicologico a causa delcontinuo dolore, e ti può anche cambiarela vita completamente, puoi diventaredepressa”. Nella testimonianza di unadonna senegalese:È un trauma che si portano dietro, anche seormai fisicamente non provano più piacerela cosa più terribile è che hanno <strong>dei</strong> traumipsicologici per tutta la vita. A Udine ci sonomolti casi. Hanno problemi nel momentodel parto e quindi devono fare un cesareo,e poi hanno problemi anche per il loromatrimonio, che va in crisi perché la moglienon vuole subire i rapporti sessuali.Del resto nella pratica dell’infibulazione,come osserva il responsabiledell’ambulatorio dell’International Centrefor Theoretical Physics (ICTP) di Trieste:I <strong>genitali</strong> praticamente non esistono più,esiste la cute e basta. Le grandi labbranon esistono più, esiste un piccolo forod’uscita che permette appunto la fuoriuscitadell’urina e del flusso mestruale e basta.È difficile anche introdurre un dito./ Sessualità e mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /Le MGF incidono sulla sessualitàdelle donne e degli uomini e limitanol’uso <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> da parte delle donneeliminandone o diminuendone lasensibilità o rendendo doloroso ilrapporto sessuale. Esse limitano ildesiderio sessuale e inibiscono la liberaespressione della propria personalità.In molte interviste troviamo testimonianzedi donne che sanno di “difficoltà ad avererapporti sessuali a causa del forte doloree a causa di infezioni”, poiché si “estirpaIn queste forme così deturpanti,la sessualità della donna viene moltolimitata 51 , ma questo è un caso estremopoiché <strong>nelle</strong> altre pratiche di MGFl’intervento è molto più limitato edalle testimonianze sembra che nonincida in modo marcato né sul desiderio,né sull’esperienza sessuale. Una donnanigeriana afferma:51 L’orgasmo è molto problematico nell’infibulazioneanche se, come ha riferito una ricercatrice americana,H. Lighfoot-Klein, al primo Congresso Internazionalesull’Orgasmo di Nuova Delhi nel 1991, le donneprofondamente mutilate nel sesso, dimostranoinequivocabilmente di saper godere del rapporto intimoe di ricercarlo con una forte intensità. Infatti il corpoprofondamente mutilato <strong>nelle</strong> zone erogene primariesviluppa in altre (collo, ventre, spalle) tutta la sensibilitàdi cui era stato privato (Lightfoot-Klein H. , 1991).


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia186Secondo loro, facendo questo la donnaè più fedele al marito perché non ha piùil desiderio per i rapporti sessuali e diconseguenza non si guarda più intorno,ma secondo me questo non serve a nienteperché tante donne che sono state mutilatesono o prostitute o comunque infedeli.Anche Carla Corso, quando parladelle prostitute che lei seguiva e cheerano tutte escisse, dice:Vorrei dirti che hanno <strong>dei</strong> problemi,ma non è così: innanzitutto hanno unagrande promiscuità nei rapporti sessuali,le africane non sono legate come noialla religione, ai sensi di colpa, al fattoche il sesso dev’essere per forza legato alrapporto d’amore per cui vivono molto piùliberamente i loro rapporti sessuali,non c’è dubbio su questo.Dopo di che per loro il piacere esisteva.Non so dirti se questo piacere era ugualeal mio, se il mio orgasmo era più intenso odiverso: non sono mai riuscita a chiarirlo,anche perché era difficile spiegare a unadonna che cos’è un orgasmo, voglio dire,come glielo spieghi? Loro erano convintedi provare un piacere sessuale.Poi dipende, perché anche il transessualeche si è operato e che non ha più il pene,afferma di avere un piacere sessuale.Magari avrà un piacere spirituale,nel senso che è talmente forte il piaceredi essere finalmente donna, per cui ognivolta che un uomo lo penetra riconferma ilsuo essere femmina. Credo che sia la stessadinamica che le africane mettono in attoper mettere alla prova la loro fecondità:fanno contraccezione, poi la interromponoe rimangono incinte per mettere alla provail loro corpo. Credo che leghino il fattodi essere seduttive, il fatto di avere unrapporto sessuale, al piacere e che sentanodi rafforzare la loro identità femminileogni volta che restano incinte e ognivolta che hanno un partner e un rapportosessuale. Però non so dire quanto il piaceresia veramente legato alla <strong>genitali</strong>tà oa un’altro tipo di piacere, non sonoriuscita a capirlo.Dalle interviste emerge che le formedi mutilazione diverse dall’infibulazionepossono non influire direttamentesull’attività sessuale e, soprattutto,non sembrano limitare il desiderio eforgiare un vincolo morale, contraddicendonei fatti le stesse ragioni che vengonoaddotte per la loro esecuzione.Anzi, il fatto di essere state tagliatesembra portare molte donne a tematizzareil sesso e a concentrare la mente suipropri organi <strong>genitali</strong> in modo quasiossessivo. Una donna senegalese dice:Al mio paese avevo visto delle bambinecon dello sterco sui <strong>genitali</strong> per rimarginarele ferite. Una mia amica era stata escissae da allora non faceva altro che parlaredi sesso e mostrava i suoi <strong>genitali</strong>.Ecco, vedi questa per me è stata ladimostrazione che la pratica non serveaffatto per assicurare la verginità di unadonna, anzi.In questo senso abbiamo raccoltoanche testimonianze di uomini sulleproprie esperienze sessuali condonne mutilate e con donne intatte.Da quanto risulta, pare che la ricerca delpiacere sia più sviluppata in coloro chesono state mutilate piuttosto che in coloroche non lo sono state. In particolare unuomo beninese riferisce:Prima di incontrare mia moglie ho avutorapporti con donne di tutti i tipi e devo direche quelle escisse erano quelle che a lettochiedevano sempre di più e non riuscivimai a soddisfarle completamente, volevanosempre di più.È molto probabile che in queste donneil sesso diventi un centro di attenzionee che, probabilmente a causa di unaproblematicità nel raggiungimentodell’orgasmo, il sesso sia praticato


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia187con maggior ansietà e meccanicità infunzione di una ricerca di sensazioni maicompletamente soddisfatta – così comeavviene anche per le donne frigide.L’orgasmo è un tema difficile da trattare.Sembra comunque che esso non rivestauna grande importanza nella culturatradizionale poiché la donna viene vistain funzione esclusivamente riproduttiva.Eloquente è l’osservazione fatta da unamediatrice culturale maliana durante undibattito con altri mediatori:Il rapporto sessuale non deve essere micaun piacere per una donna!In molti casi probabilmente l’orgasmo nonè affatto sconosciuto. Come afferma unuomo ivoriano:forte e assolutamente invariabile dellavalenza differenziale <strong>dei</strong> sessi: la pulsionesessuale maschile non è stata né impeditané contrastata; è legittimo che vengaesercitata, tranne se accade in modoviolento e brutale contro il diritto dichiaratodi altri uomini. Essa è. […] Bisogna indagaretale evidenza, apparentemente naturale,della legittimità della pulsione sessualemaschile, non per reprimerla totalmente,perché non avrebbe senso, ma per arrivare aun suo esercizio che riconosca la legittimitàparallela della pulsione femminile edevitare che l’espressione dell’una si traducanell’annullamento dell’altra.(F. Héritier, 2004, pp. 200-201)Se una ragazza è stata tagliata primadel primo atto sessuale non saprà mai ladifferenza. Purtroppo ci sono quelle chehanno avuto rapporti sessuali primadi essere tagliate, e loro sì che si rendonoconto di come era prima e di come è dopo.L’orgasmo è, a causa delle MGF,un’esperienza mancata, anche seè probabile che nell’inconscio restil’insoddisfazione per qualcosa che, nonessendo mai stato vissuto, viene avvertitoe rimpianto come una potenzialità nonespressa. Inoltre nella cultura tradizionaleè riconosciuta la liceità della pulsionemaschile, ma mai quella femminile:quindi l’orgasmo per le donne restasempre qualcosa di socialmente nondesiderabile ed è questo che caratterizzafondamentalmente la differenziazionedi genere:Un punto non è mai stato messo indiscussione: la liceità esclusiva della pulsionemaschile, la sua necessità di esistere comecomponente legittima della natura dellecose, il suo diritto a esprimersi, tutti elementirifiutati alla pulsione sessuale femminile,fino all’esistenza stessa. È l’elemento più/ Religione e mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /Benché la pratica non sia nata da unqualche credo religioso, i rapporti con lareligione sono molteplici e stretti.Nella percezione delle personeintervistate, la tradizione – cioè l’insieme<strong>dei</strong> modelli culturali ereditati – va dipari passo con i precetti religiosi e ilsistema valoriale di ogni comunità socialeaffonda le proprie radici nel sistema dellecredenze religiose. Così nella percezionediffusa la cultura diventa tradizione e latradizione diventa religione.La risposta automatica di molte personesul perché si praticano le MGF è laseguente: “Perché è la nostra religioneche ci dice di farlo, è la nostra tradizione”;e, per molti, essere buoni cristiani o buonimusulmani significa aderire alle leggi ealla morale, incardinata nella religione,della comunità di appartenenza.Per cui si confondono sempre il pianodella prassi quotidiana, il pianodella morale e quello della religione.Lo dimostra in modo esemplare questaintervista a una donna nigeriana:


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia188D. Quindi la circoncisione si fa per tenere ladonna a casa?R. Sì all’inizio era così, questo è il pensierobase. Adesso nessuno pensa più così,si pensa come una nostra tradizione,una nostra cultura, la nostra religione.D. Quindi anche la religione sostienequesta pratica?e il consolidamento della famiglianella struttura sociale potenziano lepratiche di discriminazione delle donnee di mercificazione <strong>dei</strong> loro corpi.L’istituzione familiare nell’Islam è fortee le sanzioni cui i membri, particolarmentele donne, vanno incontro in caso dimancata osservanza delle rigide regolesono potenti e arrivano, in alcuni casi,addirittura all’omicidio.R. Sì, perché nella nostra tribù è un pattoche si fa con Dio.D. Quindi è forse basato sulla Bibbia?R. No, per le femmine no. Per i maschi invece sì.D. Quindi è un patto con Dio?R. Sì, ma non il Dio della Bibbia.Una donna beninese argomenta:È sbagliata non la pratica, ma il mododi farla senza strumenti giusti così che puòcausare anche la morte. Dovrebbe esserefatta in un ospedale e non nei villaggie sulla strada. È contro la religione faredel male a una donna. Questa praticaderiva dalla religione, ma deve essere fattasecondo i crismi.Sono particolarmente complessi i rapportifra le MGF e la religione musulmana.Nessun testo sacro dell’Islam la prescrivee tuttavia la pratica è largamente diffusain tutto il continente <strong>nelle</strong> aree islamiche.A mio avviso si tratta di una relazioneindiretta, legata alla forza dell’istituzionedel matrimonio che, nei paesi direligione islamica, è molto maggioreche non in quelli di tradizione cattolica:“I musulmani la praticano di più”, fanotare una donna camerunese, “perchéper loro il matrimonio è una cosa sacraper cui la donna va preservata vergine”.Come abbiamo già avuto modo di direprecedentemente, il modello tradizionaleNel mondo cattolico la famiglia patriarcaleè andata disgregandosi a vantaggiodella libertà di scelta e dell’uguaglianzadelle donne, con gli uomini in un modellodi relazione molto diverso da quellotradizionale, perché la religione cattolicaè stata storicamente più permeabileai processi di secolarizzazione e,suo malgrado, ha risentito maggiormente<strong>dei</strong> cambiamenti della società moderna.Non dobbiamo dimenticare inoltre chel’Islam, più di altre religioni monoteistiche,ha dimostrato di essere flessibile eduttile rispetto a pratiche socio-religiosepreesistenti: si è spesso sovrappostoad esse senza assimilarle, lasciandolesopravvivere purché non venissero messiin discussione i suoi principi generali.La pratica delle MGF risultava confacenteall’ordine simbolico dove la donna, con ilsuo corpo e la sua sessualità, si collocain una posizione di ambivalenza: matricedella vita, perciò santuario vivente, e altempo stesso espressione di una potenzanegativa che va controllata, circoscritta,protetta e mai esibita o lasciata liberadi espandersi, perché potenzialmenteveicolo di impurità (E. Pace, 1991).Da un’intervista a una donna del Burundiemerge la percezione che la pratica,nel suo paese, sia stata addiritturaveicolata dall’Islam, una percezioneche può essere legata alla diffusionedelle MGF in maniera più marcata tra lepopolazioni africane che hanno adottato lareligione islamica, come confermato perdiversi paesi dalle ricerche DHS:


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia189In Burundi non si praticava. Poi gli arabihanno voluto entrare in Burundi percolonizzare e hanno fatto una brutta figuraperché i burundesi si sono difesi bene e lihanno cacciati via, così sono dovuti ritornareindietro. Sono stati cacciati con archi efrecce. Pochi arabi sono rimasti ed hannoportato la religione musulmana, abitanonei centri, <strong>nelle</strong> città, fanno del piccolocommercio. In Burundi nessuno fa quellepratiche, eccetto quella piccola popolazione.Prima dell’arrivo <strong>dei</strong> musulmani nel miopaese non c’era l’infibulazione.Attualmente, le posizioni assuntesull’argomento da parte <strong>dei</strong> religiosi sonovariegate, a volte contrastanti, e lascianoall’interpretazione la possibile soluzione.Il presidente del Centro CulturaleIslamico di Trieste e della Venezia Giulia,Saleh Igbaria, ci illustra come la praticadella MGF sia incompatibile con i precettifondamentali dell’Islam sia per quantoriguarda l’aspetto dell’integrità edel rispetto del corpo, sia per quantoriguarda l’aspetto del piacere edell’affettività della donna. Riportiamol’intervista concessa per questa ricerca:D. Le MGF sono previste nel Coranooppure no?R. Tutte le regole sono sempre dainterpretare e da applicare, adeguandole alposto e al tempo, quando ci sono.Ma questa non esiste.D. Non esiste?R. Te lo confermo, come musulmano,nato e cresciuto in una famigliamusulmana e praticante da quando sonodiventato un po’ maturo, a nove, diecianni, vissuto sempre con la comunitàislamica, dove ho studiato con studiosi,Sheikh, Imam.D. Dove hai studiato?R. Ho studiato nella moschea, la migliorscuola, da piccolo. E si parlava di tutto.L’Islam parla di tutto. L’Islam è una normadi vita: parla del sistema economico,politico, sociale, dell’educazione, oltre chedel culto che è la cosa più importante.Si parla della dignità dell’uomo.L’uomo è la creatura di Dio per eccellenza.Il luogotenente di Dio sulla terra è ilCalifa, che deve coltivare la terra.L’uomo è nato e creato libero. Ma è creatoanche debole. Allora Dio gli dà sostegno.Ma Dio gli ha dato la libertà e la dignità.Guarda che noi il lavaggio della salmadi una persona lo dobbiamo fare con acquatiepida, non acqua fredda. Infatti a Triestenel cimitero c’era un caminetto, perché inquei tempi non esisteva il gas per riscaldarel’acqua e la riscaldavano col caminetto.D. Perché, a Trieste c’è un cimitero islamico?R. Sì, c’è un cimitero islamico.D. Da quando?R. Dal 1848. Lì c’è un pozzo d’acqua ec’è il caminetto. Il caminetto serviva perriscaldare l’acqua, perché la salma deveessere lavata con acqua tiepida, perché noicrediamo che la persona ancora senta.Noi non lo sentiamo, ma lui, il morto,sente. Per questo non dobbiamo neanchespezzare le ossa del morto, per seppellirlocon tutta la dignità, con tutto il rispetto.C’è il rispetto assoluto.Per l’Islam l’uomo deve vivere bene sullaterra. Per questo la pratica delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, dal punto di vistaislamico non esiste.D. Quindi questa tradizione era precedenteall’Islam?R. Era precedente, come dice anche il nome:infatti si chiama circoncisione faraonica.Una pratica che si faceva ai tempi <strong>dei</strong>faraoni, da cui ha preso il nome.Certamente noi non abbiamo trovato nella


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia190nostra letteratura, negli scritti <strong>dei</strong> nostristudiosi, una pratica del genere.E poi, nella società islamica dove vienepraticato l’Islam, si può dire, in maniera unpo’ più giusta - perché non viene praticatoda nessuna parte al cento per cento in modogiusto, c’è sempre un po’ di mentalità ancoratradizionale - che non esiste questa pratica.Anzi, dobbiamo sempre pensare alladignità e al rispetto della creazione.Io sono stato creato da Dio: il mio corpoè un dono divino, e devo restituire a Dioquesto corpo nel migliore <strong>dei</strong> modi.Dio mi dice: “Sì, le gambe non sono tue.Gli occhi, il cervello, le mani, tutto.Io ti ho dato questo e tu me lo devirestituire”. Come anche gli alberi.L’uomo fa parte della creazione.Noi dobbiamo restituire a Dio tutto nelmigliore <strong>dei</strong> modi.D. Quindi anche il corpo delle donne,delle bambine, deve essere restituito nelmigliore <strong>dei</strong> modi?R. Nel migliore <strong>dei</strong> modi. Per questo lapratica è di non distruggere il corpo.Per questo la mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> ècontraria al nostro insegnamento. È vietatain modo assoluto, come anche l’alcol, ladroga, qualsiasi cosa dannosa al corpo,introdurre o fare qualsiasi cosa che puòessere dannoso al corpo. Dobbiamo lavorare,ma anche riposare, dormire, mangiare,avere la quantità di vita che serve e bere laquantità che serve, respirare un’aria pulitaper portare il corpo sempre più avanti nelmigliore <strong>dei</strong> modi. In uno stato sano. Sanoin arabo vuol dire anche integro. Questo èmolto importante. Sano è integro.D. Dunque l’integrità del corpo è centrale.R. L’integrità. Il corpo deve essere rispettato.D. Quindi una mutilazione quale lacirconcisione, l’escissione o l’infibulazionenon corrisponde al precetto dell’integritàdell’Islam?R. No, certamente. Dio ha anche creatoil mondo in buona salute, il che vuol direintegro, cioè dove non manca niente.Gli unici interventi sul corpo che possiamofare sono quelli necessari per motivi di salute,cioè quando i medici lo stabiliscono.Io non posso modificare nemmeno una partedel mio viso, perché è una creazionedi Dio. Se dico: “Non mi piace questo”,non lo posso modificare. È vietato.Dio mi ha creato così. Se i medici stabilisconoche una certa parte non funziona bene edeve essere modificata per poter funzionareal meglio, allora in quel caso sì, si puòintervenire. Ma non si può per motividi bellezza, oppure per motivi di piacere.Questo non si può fare dal puntodi vista islamico.D. Nelle interviste che ho raccolto in questimesi, ho notato che le persone fanno unparallelismo fra gli interventi sul corpodella donna e quelli sul corpo dell’uomoe dicono:”‘Come gli uomini fanno lacirconcisione, anche le donne devonofare la circoncisione”, come se le due cosefossero uguali e come se fossero entrambepreviste dall’Islam.R. No, questo ragionamento è sbagliato,perché all’uomo la circoncisione serveper un motivo, come abbiamo detto,di salute, alla donna no.La circoncisione maschile serve perproteggere il corpo dell’uomo e anchedella donna, perché così anch’essa saràprotetta da tutte le malattie.La donna non è un animale chepartorisce bambini.D. Qual è dunque la posizione dell’Islamrispetto al piacere sessuale delle donne?È una cosa negativa?R. Ma no, assolutamente no. È un dirittodella donna.D. E invece con le pratiche di mutilazione sinega di fatto il piacere alla donna.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia191R. Guarda, se noi seguiamo il Profeta, quelloche ha detto, troviamo la risposta. Nell’arcodella sua vita, il Profeta ha insegnato aimusulmani le pratiche della vita in tutti icampi, e anche nella sessualità, nel rapportotra uomo e donna. Ci sono tanti suoiinsegnamenti riferiti alla sessualità. Lui hadetto: “Non saltate sulle vostre mogli comese fossero un animale. Lasciate tra di voiun mezzo”. Un mezzo vuol dire la paroladolce, vuol dire la carezza, vuol dire il bacio.Cioè una preparazione psicologica e fisica.Altrimenti avrebbe detto: fate così e basta.Ma lui ha parlato di un mezzo. E non soloquesto! Adesso ti do un esempio, perchénoi musulmani di oggi facciamo poco: Lui èandato con sua moglie, a fare jogging.A correre! Per vedere chi era più veloce.Sai, tutte le questioni <strong>dei</strong> rapporti tra uominie donne all’interno della famiglia… Lui eraun marito, non solo il Profeta, ma ancheil marito per eccellenza. L’esempio in tuttii campi della vita. Il Padre per eccellenza.Ma, se ci concentriamo su quell’aspetto, sulrapporto con sua moglie, dimmi tu quantiuomini, musulmani e non, adesso vanno acorrere con le loro mogli, a dire: “Guarda chiè più veloce”. Considera che Lui scherzavacon lei, la portava a fare una gita, un giro,una passeggiata. E all’inizio era lei più velocedi Lui, dopo Lui è diventato più velocedi lei, perché lei è ingrassata. Nella vitafamiliare, il rapporto sessuale è una cosamolto importante. Nell’Islam se uno compiequesto atto sperando di avere bambini,avrà un compenso. Se uno lo compie perprovare piacere, anche in questo caso avràun compenso.D. È un compenso inferiore o uguale?R. Questo lo valuta Dio. Perché fa parte diuna pratica religiosa. Tutto quello che fa beneall’uomo, se viene fatto con intenzioni pure,diventa tutto una pratica religiosa. Ancheandare a lavorare per mantenere la famigliadiventa una pratica religiosa. Il rapportosessuale, come dicono tutti, dopo l’aria,l’acqua, il cibo, è il desiderio più forte che hal’uomo. Praticando questo, abbiamo praticatoun dovere. Perché la creazione è questo, noisiamo stati creati cosìda Dio. Lui ha messo dentro di noi questecreazioni, l’Islam ha regolato le cose.Il rapporto sessuale fuori dal matrimonioinvece è un peccato. Lo ha detto il Profeta.Ma se uno lo compie all’interno dellafamiglia, avrà un compenso.E la donna ha il diritto al piacere,come ho detto, fa parte della creazione.D. Quindi le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, mi sembra di capire, sonoaddirittura contro i precetti fondamentalidell’Islam?R. Sì, sì, certamente. Gli uomini hannocontinuato a seguire anche le tradizionipresenti prima dell’arrivo dell’Islam. Comeabbiamo detto, nell’Islam c’è la libertàdell’uomo, la dignità, il benessere, lafratellanza.D. E anche l’integrità del corpo,come dicevi prima.R. In questo caso sì, per questo non si può.D. Però la pratica delle MGF è presentein tantissimi paesi che sono di tradizioneislamica: come mai non si è riusciti asradicarla?R. Adesso se ne parla, anche gli sheick,gli studiosi della università teologicaAl-Azahr del Cairo, una istituzioneislamica molto importante, hanno fattouna dichiarazione in tal senso, un decreto.Quando c’è un precetto religioso, allorac’è un limite. Adesso siamo nel mesedel Ramadan, io devo fare il digiunodall’alba fino al tramonto. Io non possoprotrarre il digiuno oltre il tramonto, perchéaltrimenti farei del male al mio corpo eandrei contro le regole. Se invece devoseguire una tradizione, la tradizionela faccio come mi va, in modo libero, secondoquello che posso sopportare.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia192E la pratica della mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, visto che è una tradizione dicerti popoli, ha una dimensione alla fineche nessuno può controllare. Le donnefesteggiano quando portano una bambina asoffrire, a subire <strong>dei</strong> danni per tutta la vita.Sai qual è il problema? Il problema è chec’è tanta ignoranza. Noi musulmani siamocolpevoli - parlo <strong>dei</strong> musulmani che sisono allontanati dalla religione vera,dalla pratica vera della religione.Ci siamo allontanatati dalla religione estiamo facendo tutti gli altri giochi,in nome della religione. Molti immigrati chearrivano in Europa vengono con un bagaglioculturale e pensano che è la religione.Invece no, è la tradizione!D. Però c’è un collegamento fortissimofra la pratica della MGF e la religione:molte persone sostengono: “L’Islam loimpone. Dobbiamo farlo per la nostrareligione”. Questa frase spesso ricorre <strong>nelle</strong>testimonianze di chi la pratica, di chi l’hasubita e di chi la vuol far subire.R. Vedi, Islam vuol dire obbedienza alleregole divine. Obbedienza alle regoledivine vuol dire Islam e vuol dire anchepace, Islam vuol dire pace. Si dice cheobbedendo alle regole divine puoi vivere inpace, con te stessa, con l’ambiente e conDio. Cosa succede però? Succede che nonposso prendere le regole divine e dare loroun’interpretazione sbagliata!D. Quindi l’importante è far capire ladifferenza tra quello che è religione e quelloche è tradizione?R. Sì. La religione per esempio dice:“Fai il digiuno”, ma in certe condizioni,durante la giornata, se non ti senti dicontinuare, se ti senti male e stai persvenire, devi interrompere subito.Perché così salverai il tuo corpo. Il digiunoè un pilastro dell’Islam, è un dovere.Ma interromperlo subito in certe condizionivuol dire salvare il corpo.D. Chiaro.R. Dio dice: “L’uomo è stato creato debole”,perciò Dio non darà all’uomo un peso chenon può sopportare. Allora perché dobbiamofarci del male da noi stessi e caricarcidi un peso che non possiamo sopportare?Se si dimostra scientificamente che lamutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> fa maleal fisico, all’anima, al corpo, alla società,allora deve essere abolita, così dicela religione. Vale per tutte le pratiche:se fanno male, devono essere abolite.Non c’è contraddizione tra legge scientificae religione. Quando il medico visita unapersona e dice: “Tu non puoi fare il digiuno”,l’uomo non deve fare il digiuno.D. Cioè utilizzare l’obbedienza peraltre cose?R. Proprio questo! Quello che sta succedendoin tante tribù: i capi religiosi utilizzano lareligione per rafforzare il loro potere.Questo avviene perché vivono nell’ignoranza.D. Per ciò che riguarda la supremaziadell’uomo sulla donna?R. Sì, sì, ma infatti, come sto dicendo,la dignità, il rispetto, la libertà sono valoriimportanti. L’uomo è stato creato da Diolibero. Quando il profeta dice: “Cercate lascienza dalla culla fino alla tomba”,non lo dice solo per i maschi, lo dice pertutti. L’istruzione è importante, tutti devonoandare a scuola, bambini e bambine.Non c’è distinzione tra maschi e femminenell’Islam in queste cose. Cioè hanno tuttigli stessi doveri. Anche davanti a Dio.D. Quali doveri?R. L’istruzione, l’obbligo di studiare.Le donne non devono essere ignoranti.E il lavoro in certe condizioni è un dovereanche per le donne. Il Profeta stessolavorava presso sua moglie, Khadija.Lei era commerciante e lui lavorava per lei.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia193Lei era imprenditrice, nella lingua moderna.Lui riceveva lo stipendio da lei. Lei avevaquaranta anni, lui venticinque. E lei avevauno zio cristiano, è andata a parlare con lui:“Guarda, questo ragazzo mi piace, vogliosposarlo”. Questo cosa vuol dire? Che ladonna ha il diritto di scegliere suo marito.D. Oggi cosa succede?R. Oggi, dov’è la tradizione? Oggi, in molteparti, c’è il padre che impone alla figliadi sposare un uomo.D. Il matrimonio è basato sull’uguaglianza?R. Assolutamente sì. Il Profeta ha dettoanche altre cose: “Il paradiso è sotto i piedidella madre”. Perché la madre dà il propriocontributo affinché il figlio possa entrare inparadiso se è obbediente, se rispetta, se vuolbene… C’è poi la storia di un uomo che hachiesto al Profeta: “Io ho portato mia madresulle mie spalle a fare il pellegrinaggio.Ho fatto il mio dovere verso di lei?”.E il profeta ha risposto: “No. Se tu servitua madre tutta la tua vita, non le restituisciil dolore che lei ha avuto durante il parto”.Allora un altro ha detto: “Chi è lapersona che merita il mio aiuto, la miasolidarietà, la volontà di stargli vicino?’.Il Profeta ha risposto: “Tua madre”.“E dopo?”, ha chiesto lui. “Tua madre”.“E dopo?’. “Tua madre”. “E dopo?”.“Tuo padre”. Sotto i piedi della madrec’è il paradiso… Ma tutto questo oggi dov’è?Il valore della donna dov’è? Quando Luiha detto: “Qualsiasi persona di voi, se avràtre bambini e li fa educare e crescere beneandrà nel paradiso”, hanno chiesto:“Anche due?”. Ha risposto: “Anche due”.E un altro ha chiesto: “E anche una?”.“Anche una! Se hai una femmina e lafai educare e crescere bene, entrerainel paradiso grazie a questa femmina”,ha risposto.R. Sì, parliamo sempre.D. Ci sono persone che hanno domandatodi fare la pratica della MGF? È mai capitatoche qualcuno chiedesse cosa deve fare con lapropria bambina, se deve fare la circoncisioneo l’escissione ?R. Noi predichiamo tutto quello che bisognafare per i bambini. Noi diciamo: l’Islam dicedi fare questo e questo. È consigliabile farequesto e questo. L’islam è completo.Fate così. Scegliete il buon nome.Fate l’azan 52 <strong>nelle</strong> orecchie dopo il parto.Dovete dare ai poveri il peso <strong>dei</strong> capelli inoro, che sono all’incirca tre-quattro grammi.Al settimo giorno potete fare un pranzo,una cena. Noi spieghiamo cosa dice l’Islam,per costruire un palazzo con le fondamentaforti. Noi diciamo quello che dice l’Islam.L’islam non ha detto di aggiungere altre cose.Specialmente quando sono negativeo fanno male.D. Nessuno vi ha mai chiesto nullariguardante la pratica sulle bambine?R. Noi parliamo. Tanta gente invita lacomunità a un pranzo, una celebrazione.E noi sappiamo che ha scelto un nome.Questa pratica dell’infibulazione, nessuno neha mai chiesto.D. Nessuno mai ha chiesto qualcosa rispettoalla circoncisione femminile?R. No, perché sanno che noi non laaccettiamo.D. Quindi secondo te quando lo fanno,lo fanno di nascosto?R. Sì, di nascosto tra di loro, se hannoqualche conoscente, qualcuno del loro stessopaese. Questa cosa non viene fattaD. Di questi argomenti parlate durantele preghiere, le riunioni?52 È il richiamo alla preghiera: il padre recita delle frasiin lode a Dio all’orecchio del neonato.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia194all’interno della comunità islamica.Nel Corano è scritto che non devi faredel male.D. Perciò non è scritto da nessuna parte chebisogna fare queste cose?R. No. Non c’è scritto né nel Corano, né negliHadith. Non esiste./ Il concetto di dirittoe la percezione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> /Dalle testimonianze della maggioranzadelle donne intervistate emerge moltochiaramente quanto esse abbiano unapiena percezione <strong>dei</strong> propri <strong>diritti</strong> equanto questi possano essere consideratitali solo se si realizzano delle condizionifavorevoli al loro riconoscimento e al lorogodimento: istruzione, autosufficienzaeconomica e, in generale, un contestosociale che promuova la libertà el’autonomia della persona. Invitate aesplicitare che cosa intendano per “<strong>diritti</strong><strong>umani</strong>”, molte donne rispondono conmolta precisione delineando chiaramentele condizioni della loro effettività.Per esempio una donna del Madagascarafferma:Il diritto ad esistere, quindi di conseguenzala casa, un lavoro dignitoso, l’istruzione,la possibilità di professare la propriareligione. Anche un vita, sarei tentatadi dire appagante, una vita dignitosa,salute in primis.Secondo le intervistate che vivono damolto tempo in Italia e che hannoun’esperienza di relazioni sociali conitaliani/e, la donna in Africa non èrispettata ed è alla mercé dell’uomo odella comunità. Esse dimostrano di saperepienamente riconoscere le situazioni<strong>nelle</strong> quali i <strong>diritti</strong> sono rispettati e quellein cui, viceversa, i <strong>diritti</strong> sono negati ocalpestati; e sono del tutto consapevolianche del fatto che l’essere titolaredi un diritto significa assumersi delleresponsabilità. Infine sottolineano chenella società di immigrazione esistono unquadro normativo e un contesto socialeche favoriscono il rispetto verso gli altri everso le donne, denunciando invecesituazioni di violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> edi abuso nei propri paesi d’origine.L’immagine che offrono dell’Africa sottoquesto profilo è una immagine impietosa.Una donna camerunese afferma:Il rapporto tra uomini e donne nel miopaese è di sottomissione da parte delladonna in tutti i campi, anche i lavoriattribuiti alle donne non comportanoresponsabilità. Per quanto riguarda i <strong>diritti</strong> ,la donna cerca sempre di conquistarseli,però quando manca l’istruzione vienefacilmente soggiogata perché non riescenemmeno a conoscere quali sono i propri<strong>diritti</strong>. Sono tantissime le donne chevengono picchiate o maltrattate econtinuano a restare sposate perché nonhanno un tetto. La stessa cosa è successaa mia madre. Queste donne non hanno unappoggio o un luogo dove poter andare,quindi restano con il marito e con i figli checontinuano a fare. Poi una donna in generalenon è per niente rispettata.Qui in Italia c’è più rispetto, c’è molta piùcollaborazione fra i coniugi. Il fatto chela legge consenta anche alle donnedi potersi difendere è già un aiuto.Se succede qualcosa, ci sono <strong>dei</strong> serviziche ti possono aiutare, ci sono moltissimestrutture a disposizione delle personemaltrattate. Mentre da noi questo nonesiste: o intraprendi una battaglia legale,senza avere la certezza di poterla vincereperché c’è molta corruzione, o subisci.La mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> èun’ulteriore prova della mancanza di rispetto<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> della donna, ma è anche unatestimonianza di ignoranza.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia195Nelle altre interviste viene ribadita questaapprovazione del sistema vigente nelnostro paese in materia di <strong>diritti</strong>,tutela e assistenza. Nell’insieme perònotiamo in molte dichiarazioni un cortocircuito fra il paese di provenienza equello di immigrazione. Spesso vengonocitate esperienze molto positive nelproprio paese nel campo degli affetti,delle amicizie e della solidarietà –tutte cose di cui la nostra società, piùfredda e distaccata, sarebbe carente –,nonché un intenso attaccamento allacultura e ai valori africani. Quando però ildiscorso si sposta sui <strong>diritti</strong>, allora emergeuno scollamento dell’appartenenza euna identificazione, forse strumentale,con il nostro sistema. Di fatto questepersone ammettono la superiorità di unmodello organizzativo che si fonda sumodelli culturali e valoriali in cui non siriconoscono pienamente, dimenticandoche i <strong>diritti</strong> in Occidente sono emersi inuna società che si fonda precisamente suquei valori e su quei modelli culturali cheessi giudicano in modo negativo.Esemplificativa, al riguardo, è l’intervistaa una donna keniota che in tutta la primaparte elogia la cultura africana e svalutaquella italiana ma poi, quando si trattadel diritto alla salute, all’assistenzamedica, all’eguaglianza, alla libertà,sferra un duro colpo al proprio paese eriempie di elogi l’Italia:D. Quando lei confronta l’Italia con il Kenya,come vede le relazioni tra le persone inKenya e qui?R. Qui sembra che alla gente non importitanto di te.D. Sono più individualisti?R. Sono più individualisti, mentre in Kenyasono più uniti.R. Le persone non ti salutano,non sorridono nemmeno.Per esempio sull’autobus, capitadi vedere una donna anziana in piedie nessuno <strong>dei</strong> giovani che si alzi a darle ilposto. Il modo in cui si vestono è terribile.Anche i giovani: piercing <strong>nelle</strong> orecchie,nel naso... non è proprio una bellaimmagine. Anche il tatuaggio è moltodiffuso. L’Italia è un paese cristiano ecredo che nella Bibbia Dio ci vieti di…D. Di modificare il corpo.R. Sì, visto che ciò è una pratica di culto,e anche il piercing su tutto il corpo è unapratica appartenente ad altre religioni.E Dio dice che non dobbiamo avere unaltro Dio tranne lui. Loro hanno dimenticatoil Creatore e questo non va bene per lavita morale.D. Allora lei pensa che la religione in Italianon sia abbastanza seguita?R. Sì. Specialmente se si pensa chel’Italia èun paese basato sul cristianesimo.D. Lei considera gli italiani freddi?R. Sì, in un certo senso.D. E il Kenya? Come lo descriverebbe?R. In Kenya la gente è timoratadi Dio, sono calorosi e ti salutanosempre, specialmente se vedono che seistraniero. A parte la povertà e la crisieconomica, il Kenya è un paesesocievole, la gente è calorosa.Sfortunatamente,la disoccupazione causainsicurezza e quindi i giovani a voltecercano il guadagno veloce, anche conmezzi sbagliati.D. Commettendo <strong>dei</strong> crimini?D. In che cosa lei percepisce questoindividualismo in Italia?R. Io credo che se la situazione economicafosse stabile, questi crimini cesserebbero.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia196D. Quindi lei percepisce il Kenya come unpaese più caldo, con gente più accoglienteanche verso gli stranieri, una cosa che lei quiin Italia non trova?R. Sì.D. Come la fa sentire tutto ciò?R. Qui? All’inizio mi sentivo comeun’estranea, non benvenuta, mi chiedevose potevo mai farcela a rimanere qui,se era questa la cosa che volevo.Con il tempo sto recuperando,sto migliorando almeno in quellecaratteristiche che vorrei imparareda loro.R. Ah! Molto buono.D. Lo ha apprezzato allora?R. Sì, sì.D. E l’assistenza sociale? Ha ricevutol’assistenza sociale che sentiva di meritare?R. Sì. Fortunatamente sì.D. Quindi ha un’opinione positivasull’assistenza sociale qui?R. Sì.D. E la questura?D. Come descriverebbe il modo direlazionarsi con il proprio corpo, qui in Italiae in Kenya? Ci sono delle differenze?R. Con il proprio corpo?D. Sì, quando menzionava ad esempio ilmodo di vestirsi: crede che qui in Italia ilcorpo venga esposto di più?R. Non hanno la cultura.Qui non importa la tua età o il livellod’istruzione, il modo di vestirsi non c’entra.La gente si veste a seconda della stagione,che siano giovani o vecchi.D. E in Kenya?R. In Kenya sì, si rispettano gli anziani.E il modo di vestirsi è decente.Anche se <strong>nelle</strong> grandi città c’è un po’di ribellione giovanile, ma la percentualeè bassa. È diverso.D. Allora secondo lei la gente in Kenyaprotegge di più il proprio corpo?La sessualità non è molto esposta?R. Non lo è.D. Come trova il sistema sanitario qui?R. Sì, arrivi lì e c’è sempre un poliziotto e uninterprete che parla l’inglese.D. Quindi non ha avuto problemi?Come è stata trattata?R. Bene.D. L’ hanno trattata con rispetto?R. Sì.D. E quanto alle relazioni tra uomini e donnein Kenya, che valutazione ne dà?R. In Kenya il matrimonio e la famiglia sonoper sempre, per la vita. Qui, non posso direche sono come un contratto, però le relazioniqui sono… la gente… non so cosa dire…D. Sono più instabili?R. Sì, visto il numero di divorzi qui.Il numero è molto alto.D. Quindi, secondo lei il senso della famigliain Kenya è molto più forte che qui?R. Sì, sì.D. E i rapporti tra uomo e donna?


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia197R. Uomo e donna, se li guardi qui, sembrache si amino molto di più che in Kenya,perché si baciano, si tengono per mano.Ma non lo so, forse è la cultura.Perché in Kenya non è così facile.L’espressione d’amore in Kenya non ècosì alla luce del sole, come dire.A causa della cultura africana.D. Lei crede che ci sia qualche ragione perquesto in Kenya?R. Esiste, ed è molto diffusa.D. Secondo lei, cosa provoca questaviolenza?R. Si tratta soprattutto di mancanzadi informazione, di istruzione, ma anchedel fatto che la cultura africana nonconsente alla donna di dire di no.D. L’uomo è dominante?R. Sì, c’è. La cultura africana. Amoreggiare inpubblico non è giusto.D. Perché secondo lei?R. Per la cultura africana. E anche perrispetto degli altri. Nella cultura africana lealtre persone contano. Mentre qui ognunopensa solo agli affari suoi, alla sua famiglia.Anche i parenti non contano.D. Cosa pensa dell’eguaglianza tra uomo edonna in Kenya?R. Non c’è eguaglianza tra i sessi.D. Può spiegare un po’?R. Prima di tutto, ci sono lavori che ledonne non possono fare o che gli uomininon possono fare. Per esempio il lavorofisico, le donne non lo possono fare, perchéè un lavoro duro. E in ufficio, per esempio,nel caso di una promozione a livelli più alti,anche se una ha un livello alto d’istruzione,non è facile che ottenga la posizione, proprioper la disuguaglianza tra uomini e donne.Gli uomini sono più dominanti inquelle posizioni. La ragione principaleè la cultura africana.D. La relazione tra uomini e donne dunquenon è paritaria?R. Sì, esiste una rigida separazione.D. La violenza sulle donne è diffusa?R. Sì.D. Mentre il posto della donna èin cucina…R. Sì. E partorire i bambini.Non di contribuire a costruire la società.D. Quindi la relazione non è paritaria.R. No, non lo è.D. Secondo lei questo fatto sta cambiando?R. Sì, <strong>nelle</strong> grandi città sta cambiando.D. E <strong>nelle</strong> zone rurali?R. Nelle zone rurali l’uguaglianza fra uominie donne quasi non esiste.D. La donna è quindi ancora, come dire,sottomessa?R. Sì, sì.D. Come vede la situazione qui in Italia?R. Oh! Qui, vedo che per esempioquella legge che hanno fatto per cuimarito e moglie devono ugualmentecontribuire alla famiglia, in funzionedell’importo <strong>dei</strong> loro salari e delle loropossibilità…D. Dunque secondo lei c’è più eguaglianzain Italia?


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia198R. Sì.D. E quanto ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, secondo lei sonorispettati in Kenya?R. No.D. Non sono rispettati?R. No.D. Per esempio?R. Per esempio, se la donna è stata picchiatadal marito, anche se va dalle organizzazioniper la protezione dalla violenza domestica,non succede niente, in sostanza non vieneconsiderato un problema. In Kenya laviolenza è normale, e non è giusto.D. Vuol dire che la violenza sulle donne èaccettata?R. Sì. Anche se <strong>nelle</strong> grandi città staemergendo come un problema, perché lagente è più informata.R. Sì, vengono ancora praticate.Particolarmente <strong>nelle</strong> zone rurali.D. A che età vengono fatte?R. Di solito verso i 12, 13 anni.D. Le ragazze sono d’accordo?R. Non hanno scelta.Gli fanno credere che si tratta di unaparte della nostra cultura, e che perquesto devono attraversare questoprocesso difficile.D. Cioè viene loro imposto?R. Sì.D. E quale importanza viene dataalla pratica?R. Viene vista come essere riconosciuta comeuna donna.D. Come un passaggio?D. Qui in Italia ha notato qualche differenza?R. Da quello che ho potuto sentire, qui vieneconsiderata un’offesa.D. C’è una legge che la vieta. In Kenya esisteuna legge simile?R. La chiamano “violenza domestica”,ma non c’è una legge così.D. Se la questione riguarda l’aspettodomestico, la legge non interviene?R. No, infatti le faccende domestichevengono risolte dagli anziani, dai “capi”.Non vai dalle autorità per i problemifamiliari. Non si va dalla polizia.D. Non si denunciano queste cose.E le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> in Kenya sonoancora praticate?R. Sì, come il passaggio a donna adulta.D. E come viene fatta?R. Oh, è una pratica non igienica.D. Cioè viene fatta in modo tradizionale?R. Sì.D. Le ragazze vanno all’ospedaleper essere circoncise?R. No, non ci vanno.D. La chiamano circoncisione?R. Sì, la chiamano così.D. Quali <strong>diritti</strong> ha una ragazza in Kenya?Se non vuole subire questa pratica,può decidere di non farlo e cercare aiuto?


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia199R. Non ha alcun diritto, ma se hai lapossibilità di scappare, in alcune zoneesistono le case per ragazze che sonosfuggite a questa pratica. Ma se scappano,vengono bandite, non vengono piùconsiderate parte della famiglia.D. E che tipo di aiuto cercano?R. Cercano un aiuto in questi luoghidi rifugio.D. Esistono delle organizzazioni che sioccupano di questo problema?R. Sì, ma sono sparse nel territorio.D. Le ragazze vengono protetteda queste organizzazioni?R. Sì, vengono protette. Ma a volte non èfacile entrare in queste case, perché non sonocase grandi e quindi se ci sono tante ragazzehanno <strong>dei</strong> problemi a sistemarle tutte, aoffrire loro cibo e istruzione.Perché queste strutture non sono abbastanzaaiutate economicamente dal governo oda altre organizzazioni e non hanno tantoaiuto estero.D. Il governo non contribuisce a mantenerequeste organizzazioni?R. No.D. Lei pensa che le persone che hannosubito questa mutilazione vengano rispettatequi in Italia?R. Le persone che hanno subito lamutilazione? Sì, sono rispettate.D. Il servizio sanitario è buono?R. Sì.D. Secondo lei gli immigranti che vivonoqui potrebbero imparare qualcosa daquesto paese?R. Sì: che la donna può rimanere una donnaanche se non è circoncisa.E che la donna ha diritto di dire di no aqualsiasi violenza sociale. Che anche ladonna ha voce. Che qui viene praticatal’uguaglianza.D. Secondo lei sarebbe una cosa buona se laloro cultura, per quanto riguarda le relazionifra uomo e donna, cambiasse?R. Sì.L’esperienza di vivere in una societàdi diritto e in un mondo dove è possibilefruire di <strong>diritti</strong> porta molte donne verso unpercorso di emancipazione, un percorsodi riconoscimento delle proprie potenzialitàe della propria individualità.La prima richiesta che emerge nelracconto di molte di queste storiedi emancipazione è la richiesta di libertà daparte delle donne. Spesso infatti, secondoun uomo beninese:Qua sono più gli uomini che le donne adessere attaccati alla propria cultura chele donne. Le donne si allontanano poichévedono che qua possono essere libere,mentre gli uomini perdono potere, è perquesto che rivendicano la propria cultura.La percezione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> fondamentali è peralcuni un’esperienza dirompente: le donneiniziano a comprendere qual è il loro valoree questo le porta a volte a voler romperequalsiasi schema, anche i propri vincolifamiliari: “Se si separa dal marito è liberae fa quello che vuole”, come già riportato<strong>nelle</strong> parole di una donna congolese.In Africa, invece, l’immagine <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>è opaca, e si presenta per lo più consituazioni di sopraffazione, corruzione emancanza di servizi sociali diffusi.Una mediatrice culturale ci fa notarecome sia impossibile godere di un dirittoumano, quale la salute e l’istruzione,in una società tutta privatizzata e dominatada minoranze elitarie:


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia200In Africa per avere <strong>diritti</strong> devi avere soldi,tante cose sono a pagamento. Sì, esisteuna sanità, ma l’assistenza sanitariapubblica non c’è. Se i genitori vogliono dareun’istruzione ai figli devono pagare.E ancora:I bambini devono essere sempre messi insituazioni di protezione, da africana soquanti abusi sono stati fatti nel mio paesesui bambini. In Africa non puoi andare adenunciare come qua, lì ci sono cose cheuno non ha il coraggio di dire, non può dire,perché se uno va a denunciare un capo tribù,chi ti crede? Nessuno ti crede, dicono:“Non dire più queste cose, sta zitta che nonlo puoi dire”. (donna congolese)Per le/gli africane/i che si trasferiscono inEuropa, il passaggio fra il riconoscimentodi un diritto, la percezione del suosignificato e la sua effettiva acquisizionepuò essere anche molto lungo e in talunicasi, a causa della marginalizzazionesociale, del tutto assente. Per il Dirigentedella Sezione Criminalità Organizzataper il Friuli Venezia Giulia, l’assenzadi segnalazioni o di denunce di reatidi violenza nell’ambito familiare fra glistranieri è frutto dell’omertà e del nonriconoscimento della violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>delle donne e <strong>dei</strong> bambini, ma anche,in molti casi, dell’assenza di informazioniriguardo la presenza sul territorio distrutture adeguate di sostegno. Nel caso<strong>dei</strong> cittadini italiani, invece, il ricorsoalla segnalazione è molto più facile efrequente: se una donna o un bambinosubiscono <strong>dei</strong> maltrattamenti in famiglia,in molti casi chiamano, chiedono aiutooppure denunciano il fatto alla polizia.La marginalizzazione sociale deglistranieri, in molti casi, fa sì che lastruttura <strong>dei</strong> rapporti familiari continuia essere improntata alle rigide regoledella modello tradizionale patriarcale;ed è abbastanza evidente che fino aquando non si sarà scardinata la struttura<strong>dei</strong> rapporti basata sulla tradizione,i <strong>diritti</strong> degli individui resteranno sullacarta e non diventeranno un effettivostatus giuridico. Cito al riguardo uninteressante spezzone dell’intervistaal Dirigente della Sezione CriminalitàOrganizzata per il Friuli Venezia Giulia:D. Siete a conoscenza di casi di violenzaall’interno delle famiglie di immigrati?R. Di violenza fra uomo e donna? Pochissimi.Noi, operando sempre con le organizzazioninon governative, abbiamo quasi semprelavorato sulla tratta degli esseri <strong>umani</strong>e lo sfruttamento della prostituzione eovviamente sull’immigrazione clandestina.Anche perché tutti i casi che abbiamotrattato noi non riguardavano mai famiglie,bensì il singolo, il soggetto o persone chevenivano inserite in questo circuito illegale,mentre difficilmente abbiamo trattato casidi violenza <strong>nelle</strong> famiglie.D. Però arrivano in ospedale donneche hanno segni di violenza subita inambito familiare.R. Arrivano situazioni dalle quali peròpoi non si riesce a far emergere il reato,proprio perché l’omertà familiare è fortissimae quindi anche, la paura da parte delladonna nei confronti dell’uomo o comunquedel marito; quindi difficilmente emerge laviolenza domestica all’interno della famigliaimmigrata. Casi di italiani purtroppo cene sono, anche Trieste ha una casisticaabbastanza elevata di violenze in ambitofamiliare.D. Questo perché si denuncia di più? Comemai secondo lei c’è questa discrepanza?R. Da una parte c’è un fortissimo sensocivico, quindi noi abbiamo tante segnalazionianche da parte di soggetti esterniall’ambiente familiare – parliamo dellascuola, per quanto riguarda i bambini,<strong>dei</strong> vicini di casa, per quanto riguarda


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia201le donne, o di strutture di assistenza che aTrieste sono abbastanza radicate e forti.Le segnalazioni che partono da questeistituzioni arrivano subito alla polizia.Abbiamo anche un Ufficio Minori che sioccupa delle violenze su minori, ma a cuipoi sono collegate anche le violenze sulledonne, quindi i maltrattamenti all’internodella famiglia. Per quanto riguarda gliitaliani residenti a Trieste – le segnalazionisono tante, i casi sono tanti, trattatianche dalla Procura <strong>dei</strong> minori proprioperché c’è l’immediata segnalazione.Difficilmente situazioni di maltrattamentoarrivano a degenerare perché si intervieneprima, perché c’è un tessuto sociale sano.Per quanto riguarda lo straniero, chenon è inserito in questo tessuto sociale,specialmente per certe nazionalità,difficilmente arrivano a noi le segnalazioni.Dovrebbe essere la donna o il minore chesubiscono i maltrattamenti a denunciare,il che è difficilissimo, se non è proprioun caso clamoroso. La discrepanza c’èper questo motivo.D. Quindi mi pare di capire che gli/leimmigrati/e non dispongono delle stessestrutture di tutela e protezione rispettoalla violenza domestica cui fanno riferimentogli/le italiani/e.R. No, anche perché lo straniero dovrebbe epuò accedere alle strutture previste pertutti, basta comunque essere residenteo dimorare a Trieste, però lo stranierodifficilmente vi si rivolge, proprio perchénon ha questa cultura dell’assistenza o nonsa che c’è un Ente, un Ufficio, un qualcunoche lo può aiutare. In più c’è anche la pauradella violenza conseguente alla denuncia ocomunque alla segnalazione.D. Però la paura esiste anche per gli italiani,ovviamente. Come mai abbiamo maggiorerichieste di aiuto?R. Perché noi parliamo di immigrati ostranieri che vengono da realtà,come dire, di ignoranza o non conoscenza<strong>dei</strong> propri <strong>diritti</strong>, vissuti da sempre in unasottocultura dove c’è la dominazione daparte del marito nei confronti della donna,all’interno del sistema familiare.Questo sicuramente è un qualcosa che<strong>nelle</strong> famiglie italiane non esiste più e ciò fasì che la donna e anche il minore, e parliamoa volte di minori di 10-12 anni, se sonosottoposti a violenze o a maltrattamentio se sono esposti a situazioni difficili,percepiscono che vengono lesi i loro <strong>diritti</strong> esi rivolgano alle strutture,ai numeri telefonici dove risponde unoperatore che li può aiutare e da lì cominciaun percorso che porta fino a noi, alle strutturedi assistenza o alla Procura <strong>dei</strong> minori.D. Questo per gli/le immigrati/enon avviene?R. Non avviene, non c’è questa spinta,un po’ per la paura, un po’ anche perché nonsanno, non conoscono.D. Non conoscono l’esistenza di questestrutture o non conoscono l’esistenza<strong>dei</strong> loro <strong>diritti</strong>?R. Non conoscono i loro <strong>diritti</strong>, nél’esistenza delle strutture di protezioneperché provengono da realtà dove tuttoquesto non esiste, e non esiste ancheculturalmente. Non sono in grado neanchedi percepire l’importanza di questo aspettoperché provengono da società dove tuttodeve essere risolto all’interno dell’ambitofamiliare, dove il senso patriarcale è ancoramolto forte e quindi c’è chi comanda e chideve subire all’interno della famiglia e di veri<strong>diritti</strong> non si parla. Per questo le campagneinformative sono sicuramente utili per glistranieri, anche se forse ancora non vengonofatte in modo adeguato.D. Vi è capitato forse di trovarvi insituazioni in cui il modello tradizionalepatriarcaleinibiva le persone nell’espressione<strong>dei</strong> propri <strong>diritti</strong>?


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia202R. Beh, indirettamente. Le dicevoche abbiamo trattato pochissimi casidi violenza all’interno di nuclei familiaridi stranieri, però abbiamo visto quantoè importante <strong>nelle</strong> indagini l’aspettofamiliare e patriarcale.Per esempio abbiamo avuto con le donnenigeriane evidenti casi dove la famigliariusciva a telecomandare a distanzadi migliaia di chilometri la donna cheera stata sradicata dal suo territoriodi appartenenza con la minaccia di pratichemagiche e di riti vudù.Nel caso della mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>delle bambine le segnalazioni e le denuncenon arrivano mai perché, a quanto diconogli intervistati, bisogna agire sui genitori,parlare con loro e spiegare la nocivitàdella pratica. Tutti, compresi i mediatoriculturali, sono convinti di poter agireefficacemente con la persuasione e quasinessuno pensa all’utilità della denunciapenale, che appare troppo lesivanei confronti della famiglia.Gli abusi o i maltrattamenti in famiglia,se non arrivano sotto forma disegnalazioni agli enti preposti qualiassociazioni, sportelli del Comune,ecc., tanto meno danno luogo a veredenunce alla polizia. La polizia infatti,come ci fa notare il Dirigente dell’UfficioImmigrazione della Questura di Trieste,è vista in modo molto negativo daglistranieri e non gode in nessun mododella fiducia che spesso i cittadini italianile accordano:Noi qui in Italia abbiamo cercato daqualche anno di impostare un discorsosulla cosiddetta polizia di prossimità,quindi cerchiamo di far capire a coloro cherisiedono in Italia che la sicurezza è un benedi tutti, è un bene partecipato.In realtà i cittadini extracomunitari,oserei dire nella quasi totalità <strong>dei</strong> casi,vengono da paesi e da esperienze che sonodel tutto diverse da quelle che possiamoavere qui nell’Europa occidentale e,a casa loro, della polizia spesso si ha paura.Questo è il motivo per il quale, comedicevo prima, lo straniero si presenta quaassolutamente guardingo, presenta le suecarte per avere il permesso di soggiorno,quando è tutto regolare il suo ultimopensiero è quello di segnalare l’esistenzadi un possibile problema alla polizia.Questo effettivamente è un graveproblema con il quale ci scontriamoquotidianamente./ La conoscenza della legge sullemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong><strong>nelle</strong> comunità migranti /Da quanto risulta dalle interviste edai focus group, le persone sono aconoscenza del fatto che in Italia le MGFsono punite dal codice penale, ma nessunosa che, in base alla recente legge, il reatoè punibile anche se commesso all’estero.La maggioranza degli africani, secondole persone intervistate, ritiene infatti cheportare le bambine nel proprio paesed’origine e farle mutilare lì escluda laperseguibilità del reato; ed è per questoche la permanenza temporanea e ad hocdelle bambine all’estero sembra essereil modo per aggirare la legge italiana.Se questo aspetto della legge fossemaggiormente conosciuto, è ipotizzabileuna drastica riduzione della pratica nelcontesto della migrazione africana in Italia.Molti infatti sono attenti alla legislazioneitaliana e non vogliono incorrere inproblemi legali che potrebbero portarliall’espulsione o alla perdita del lavoro, oanche alla semplice stigmatizzazione daparte della società o della stessa comunitàafricana di riferimento, che in molti casiè contraria alle MGF: “Gli africani hannopaura delle leggi italiane”, sintetizza unadonna beninese.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia203Un grande deterrente è infine la certezzadell’illegalità della pratica anchenel proprio paese. Molti/e africani/eintervistati/e mostrano orgoglionell’affermare che nel proprio paese leMGF sono vietate, poiché, anche per chivive all’estero da tanti anni, il luogodi riferimento ideale rimane sempre ilpaese di origine.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia205/ Gli operaTORIdella mediazioneculturale di fronteal fenomenodelle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /di Ornella Urpisdal titolo “Disposizioni per la promozionedi <strong>diritti</strong> e di opportunità per l’infanzia el’adolescenza”, fanno riferimento ai/lemediatori/trici culturali/interculturaliqualificati/e, quali operatori sempre piùrichiesti nei servizi di welfare.Nonostante tale conferma e legittimazione,il/la mediatore/trice è un operatore nonancora riconosciuto/a e il dibattito sul suoprofilo, percorso formativo e ruolo è in unafase di confronto ancora molto aperta.In Italia la mediazione culturale fece lasua comparsa agli inizi degli anni Novanta,quando nel nostro paese si passòdalla fase di inserimento di singoli/eimmigrati/e all’accoglienza, stabilizzazioneed integrazione <strong>dei</strong> nuclei familiari.La mediazione culturale prese avvio,prima in modo circoscritto e poi inmodo sempre più diffuso, con una certaprevalenza <strong>nelle</strong> regioni del Nord delpaese. Furono proprio i centri del Norda sperimentare l’utilizzo di questa nuovafigura di operatore sociale: il/la mediatore/trice culturale. Era una partenza che avevatutte le connotazioni della novità,della sporadicità e della casualità nellascelta <strong>dei</strong> contesti di avvio dell’esperienza.Rapidamente, però, presero formainiziative di formazione finalizzate a unutilizzo più ampio ed esteso di questanuova figura professionale. Ciononostante,ancora oggi non esiste una codificazionenormativa e il conseguente profiloprofessionale della figura del del/lamediatore/trice culturale è ancora incerto.La legge 40/98, nell’art. 36 “Istruzionedegli stranieri – Educazione interculturale”e nell’art. 40 “Misure di integrazionesociale”, nonché la legge 285/97Riguardo al profilo e il ruolo del/lamediatore/trice, esistono non pochedivergenze di opinioni. I soggetti che daanni lavorano nel settore della mediazioneculturale hanno, comunque, cercato diconcordare alcuni tratti distintivi di questafigura professionale. Il/la mediatore/triceculturale dovrebbe essere un agente attivonel processo di integrazione degli individuie delle comunità nella società ospitante.Si pone come figura “ponte” fra gli/lestranieri/e e le istituzioni, i servizi pubblicie le strutture private, senza sostituirsiné agli uni né alle altre, per favorire inveceil raccordo fra soggetti di culture diversecome interprete delle esigenze e dellenecessità degli stranieri, contribuendo afavorire le condizioni per l’integrazionesociale, nonché valorizzando le risorsedi culture e valori diversi <strong>dei</strong> cittadiniimmigrati per promuovere e valorizzareil ruolo degli/lle stranieri/e come risorsadel tessuto sociale ed economico(L. Luatti, 2006)./ Conoscenza del fenomeno /Gli/le operatori/trici della mediazioneculturale, nei commenti delle personeavvicinate, sanno poco e in alcuni casiquasi nulla della pratica delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>. Come riferisce unamediatrice egiziana:


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia206Nella mediazione non si sa nulla, non c’èconoscenza. Poi spesso i mediatori assuntisono molto ignoranti. Per soddisfare leesigenze di appalto, l’ente gestore mettepersone non qualificate, sono ignoranti sututti gli aspetti”.Sembra quindi che, oltre a conoscerepoco o nulla delle MGF, in generalegli/le operatori/trici non sianopreparati/e sufficientemente ad affrontareil delicato compito della mediazionefra culture diverse.In Friuli Venezia Giulia si è tentatodi ovviare al problema della mancanzadi professionalità e di formazione<strong>dei</strong>/lle mediatori/trici culturaliistituendo un Elenco regionale, ma inseguito all’annullamento della leggesull’Immigrazione, anche l’Elenco èsparito e la mediazione continua adessere un settore gestito da associazioni ecooperative che non sempre garantisconoun’adeguata professionalità.Dalle informazioni fornite dai mediatoriculturali intervistati e raccolte negliincontri con esponenti del settore, si èpotuto osservare quanto il fenomeno siacomplesso da trattare e quanto scarsesiano le risorse a disposizione deglioperatori. Abbiamo già detto che spessoi mediatori culturali conoscono poco ilfenomeno. Addirittura, se sono uomini,non vogliono neppure toccare questitemi, perché “sono cose da donne”,come sottolinea un mediatore del BurkinaFaso. Inoltre, quand’anche volesseroimpegnarsi, spesso non avrebbero ilsostegno sufficiente per portare avantiefficacemente le loro iniziative.Spesso infatti sono lasciati/e soli eimpotenti dalle comunità che non liriconoscono più come interlocutori/triciefficaci cui affidarsi. Il rapporto conla propria comunità può essere moltoproblematico poiché i/le mediatori/trici,se da una parte facilitano il rapporto fra gliindividui e le istituzioni, dall’altro possonoessere considerati/e <strong>dei</strong> diversi poiché“ormai” troppo occidentali e troppo lontanidai “propri” modelli culturali.Come ha raccontato una donna burkinabé,rappresentante <strong>dei</strong>/lle mediatori/triciculturali di Pordenone al Tavolo regionaleorganizzato presso la Prefettura di Trieste:Io sono mediatrice, però quelli della miacomunità mi conoscono molto bene edovendo sempre parlare da sola con loronon riesco a convincerli. Dicono: “Ma èsempre lei che parla di queste cose”. Ci sonodelle donne che non vorrebbero farlo più,ma ce ne sono altre che ancora sostengonoquesta pratica. Chiedo il vostro aiuto, sonofelice che mi avete invitato per questariunione e ho fatto di tutto per esserci,perché è un’esperienza bruttissima, io l’hovissuta sulla mia pelle ed ho avuto moltiproblemi per il parto, ma non vorrei entrarein questi dettagli qui. Vi chiedo di aiutarmiper poter parlare con le comunità perchésentano altre voci oltre alla mia.Spesso infatti le comunità culturali sonochiuse, non permettono a nessuno dientrare, né consentono che altre ideepossano mettere in discussione i nucleivaloriali costitutivi grazie ai quali esse siautorappresentano. Secondo una donnadel Ciad:Le comunità sono delle rocce e non lascianoentrare nessuno. E nessuno può modificarei comportamenti del gruppo che si basanosulla tradizione.I/le mediatori/trici culturali sono moltopreziosi quali punti di contatto con lecomunità, poiché ne conoscono tutti imembri e, spesso, anche i loro problemie molti <strong>dei</strong> loro segreti. In molti casiriescono a intervenire efficacementenella promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>,se interiorizzano il sistema di valorioccidentale e le norme vigenti nelnostro paese. Quando ciò non accade,


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia207il rischio è che si trasformino in alfieri<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> “collettivi” del proprio gruppodi riferimento contro i “soprusi” degliitaliani e delle istituzioni italiane.Questi soggetti, pur vivendo da moltotempo in Italia, continuano a vederenella società ospitante un “contro sé”,se non un nemico, e si ergono a guidadel proprio gruppo grazie alle conoscenzedella realtà italiana (legislazione, percorsiistituzionali, ecc.). Essi, tipicamente,propugnano le specificità e le differenze,anche quando queste possono isolare,o mantenere isolate, le comunità:il che, come è ovvio, rafforza l’orgoglioculturale <strong>dei</strong> propri rappresentati nelmomento stesso in cui li priva dellerisorse di integrazione indispensabilia promuovere autonomamente i propriinteressi. Per questo devono rivolgersisempre ai/lle mediatori/trici, il cui ruolorisulta così rafforzato o almeno protettodalla tentazione, che qualcuno potrebbecoltivare, di scavalcarli e di fare da sé.problemi al/la mediatore/trice quandoquesti si trova davanti a una violenza,o a un sopruso, o a un caso di MGF.Il/la mediatore/trice non può permettersidi perdere la fiducia, costruita con tantolavoro, <strong>dei</strong> suoi concittadini o degliimmigrati, da cui è riconosciuto/a comeesponente di rilievo; tuttavia, davanti areati, dovrebbe sempre denunciare,ma questo è molto difficile. La persuasionesembra essere la strada indicata:Cercherei di farle capire, di farla ragionare,cercando di spiegare perché ci sono tanteinformazioni false, sbagliate. Le direi chedeve valutare, quando le fanno delle cose.L’operatrice inoltre è molto sensibileai <strong>diritti</strong> <strong>dei</strong> bambini e porta avanti unprogramma di cooperazione internazionaleper aiutare i bambini vittime di violenzain Congo. Essendo una donna combattivae certo non disposta a tollerare unaviolazione all’integrità fisica e psichicadi una bambina, afferma:/ Approccio professionale /Vediamo ora, a titolo di esempio, alcunidegli approcci più frequentemente adottatidai/lle mediatori/trici culturali di fronte alproblema delle MGF.Una mediatrice congolese interpreta ilproprio ruolo in modo molto complesso.Da una parte dimostra di offrire in modooggettivo informazioni agli/lle utenti,dall’altro usa queste informazioni perfavorirne la responsabilizzazione,per farli/e pensare e ragionare sullesoluzioni che possono dare ai loroproblemi. La sua idea del rapporto cheil mediatore deve avere con l’utente ècontemporaneamente di fiducia personalee di rispetto per le leggi e per le istituzioni.Questo atteggiamento provoca non pochiLì mi oppongo, e forse ci sarà il rischio di unadenuncia perché: giù le mani dai bambini!I bambini vanno protetti, i bambini devonoessere messi in situazione di protezione.Da africana so quanti abusi sono stati fattisui bambini.La sua conoscenza delle leggi è vaga.Per lo più si basa sulle sue conoscenzedella legislazione francese. Sa però che lapratica è illegale anche in Italia e ricorre aquesto argomento per dissuadere le donnedall’eseguirla sulle proprie figlie. Non siferma a questo, ma usa tutti gli strumentinecessari, e anche la sua négritude,per avvicinarsi alle persone e scoraggiarle:Da mediatrice e soprattutto da africana,da sorella, cercherò proprio in tutti i modidi far vedere alla mamma, alla personache non è così. Poi c’è anche il rischiodella legge: facendo questo tu rischi questo,questo e questo.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia208Diverso è il caso di una mediatricedi origine egiziana. Risulta dall’intervistache questa conosce in qualche modola pratica, ma non sa qualificarlaappropriatamente né in arabo né initaliano, cerca di esprimersi attraversostrumenti visivi, e solo con grandedifficoltà definisce a parole il tipo diintervento. È come se fosse un argomentotabù: si sa che c’è, ma non se ne parla.La donna è una persona con un altolivello di istruzione, per cui la difficoltà aparlare di MGF risulta particolarmentestridente. Che in generale le MGF sianoun argomento tabù anche nella classepiù colta è confermato dal fatto chesolo in risposta a una domanda circala conoscenza della pratica nel proprionucleo familiare emerge che la stessamadre è portatrice di MGF.La difficoltà a parlare della pratica siriconferma nel racconto dell’assistenzaprestata a una donna eritrea che,confidatasi con lei per alcuni problemiagli organi <strong>genitali</strong>, era stata inviataall’ospedale di Gorizia per un interventodi de-infibulazione. La forza del tabùaffiora nella terminologia usata, poiché lapratica non è mai menzionata e risulta inmodo allusivo e indiretto. La mediatricespiega che la donna:Ha subito quando era piccola questo taglioalle labbra ed è successo che le due partidelle labbra, dopo l’operazione, si sonolegate e lei non poteva avere un rapportoperché era quasi chiusa e quando è venutaqua in Italia, come richiedente asilo,l’abbiamo aiutata a andare in ospedalead aprire questa chiusura.Questo però non le impedisce di affrontaredirettamente la cosa e di aiutare esostenere la donna eritrea: quandocapisce che è soggetta a molte pressionipsicologiche da parte <strong>dei</strong> suoi connazionalisi adopera per cercarle un rifugio inun’altra casa, in una località diversa,al fine di proteggerla. Un mediatoredel Burkina Faso, invece, non conoscele differenze fra i tipi di MGF, ma sabenissimo che nel suo paese si pratical’escissione alle bambine e la circoncisioneai bambini. Non sa e non si era maiposto il problema di che cosa faccianoesattamente alle bambine, sa solo che“tolgono qualcosa alla donna come ancheagli uomini”. C’è dunque un parallelismonel rituale che segna l’avvio alla faseadulta della vita. Questi argomenti nonsono mai stati trattati nella sua attività dimediazione perché sono “cose di donne”.Ma anche altre mediatrici, provenienti dalSenegal, dal Burkina Faso, dal Benin edal Marocco riferiscono che il loro lavoro ècosì complesso che temi così “personali”non emergono tanto facilmente.Si imbattono piuttosto nei problemi chesono sentiti con grande forza dagli/lleimmigrati/e quali le pratiche <strong>dei</strong> permessidi soggiorno, la burocrazia, la casa,il lavoro, la scuola, ecc, e quindi nonresta molto spazio per sviluppare, nelrapporto di mediazione, argomenti cheriguardano la salute sessuale e l’intimitàdelle donne, a meno che non ci siano<strong>dei</strong> problemi specifici. È questo infatti uno<strong>dei</strong> limiti del lavoro di mediazione culturalesecondo un senegalese, presidentedi un’associazione. Secondo lui i/lemediatori/trici dovrebbero impegnarsidi più nell’affrontare questi discorsi,anche se non sono pagati per questo:Il mediatore si limita alle ore di lavoroconcordate. Credo, invece, che dovrebbefare anche un po’ di volontariato su questitemi. Io, come senegalese, ne ho parlatocon quelli della mia comunità e con quellidi etnia Peul.Il tratto che accomuna tutti gli approcci,pure diversi, è comunque la nettaavversione a ricorrere alla denuncia oalla segnalazione alle istituzioni e laspiccata propensione a tentare in ognicaso la via della persuasione, alla quale


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia209però si accompagna frequentemente unatteggiamento di rassegnazione.Solo i/le mediatori/trici italiani/e presentinel focus group sembrano più propensi/ea percorrere senza eccessivi indugi lastrada della denuncia ai servizi socioassistenziali.L’atteggiamento ricorrente sembraessere quello sintetizzato da unamediatrice etiope:Parlerei con i genitori per fargli capire cheè sbagliato, che ci sono delle conseguenzepenali e soprattutto delle gravi conseguenzefisiche per la salute della bambina ecercherei di capire perché lo hanno fatto,per trovare un punto di incontro tra il loroe il mio punto di vista. Ma se la bambina ègià stata mutilata purtroppo non si può farepiù niente. Cercherei di parlare con i genitoriaffinché non lo facciano più in futuro.La mediazione, se svolta bene, potrebbecontribuire efficacemente all’abbandonodella pratica. I/le mediatori/tricicompetenti e convinti/e della nocivitàdelle MGF potrebbero “diffondere unacultura contraria, con testimonianzedi persone che hanno vissuto questo condolore, perché ci sono persone che hannoproblemi”. I/le mediatori/trici si trovanosempre in contatto con molte personeprovenienti da paesi dove si praticanole MGF e alcune di loro provengono daesperienze molto difficili. Per esempio,le nigeriane che arrivano al Centrodi Prima Accoglienza, secondo latestimonianza della mediatrice egiziana:Non si confidano molto con gli operatori enon parlano mai della loro intimità perchéprima di arrivare in Italia hanno subitoanni di esperienza di prostituzione in Libiae quindi hanno alle spalle <strong>dei</strong> percorsidi grande sofferenza. Sono donne chedifficilmente si confidano e bisogna averegli strumenti necessari per entrare inrapporto con loro.Nel caso della donna eritrea citata inprecedenza, la mediatrice è riuscita,con l’aiuto dello staff del Centrodi Prima Accoglienza, ad aiutarlaprima portandola in ospedale perl’operazione di de-infibulazione e poiallontanandola dal gruppo di eritreiche la condannavano moralmente.Questa è stato indubbiamenteun’importante azione di mediazione eun esempio di come si possano aiutarele donne portatrici di MGF in situazionidi particolare fragilità esistenziale.Ma in altri casi, come in quello riferitodalla mediatrice etiope, è invece palesela difficoltà estrema, che sconfinanell’impotenza, ad avviare un discorso suquesti temi con le persone assistite:L’anno scorso c’erano delle ragazze arrivatedalla zona del Tigrai che erano stateinfibulate e le abbiamo portate in ospedale.Ma non abbiamo affrontato l’argomento pertimidezza e per paura da parte loro. Non sipuò affrontare questo tipo di argomento.Dall’intervista alla mediatrice congoleserisulta comunque evidente quanto la figuradel/della mediatore/trice sia fondamentalenella lotta alle MGF. Solo donne sensibili,preparate e motivate possono entrarein contatto con le madri africane ancoraimmerse nella comunità culturaledi appartenenza, dalla quale dipendonomaterialmente o psicologicamente edella quale tendono a seguire le norme,implicite o esplicite, e accompagnarequeste persone verso una trasformazione<strong>dei</strong> propri comportamenti.Il rapporto di confidenza che il/lamediatore/trice riesce a instaurarecon l’utente è la chiave che, se benemanovrata, può fare emergere i problemie i fatti culturali rilevanti legati al temadelle MGF; ma anche la consapevolezza<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e, in particolare,<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>dei</strong> bambini costituisce un


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia210grande elemento di forza in ogni azionedi mediazione su questo tema.Affinché la mediazione sia efficace perl’abbandono di pratiche contrassegnatedalla violenza sono quindi importantidue fattori, che devono operare inmodo congiunto e complementare:la vicinanza del/della mediatore/triceall’utente e il pieno riconoscimento delsuo ruolo; e la convinta e consapevoleadesione del/della mediatore/trice aun’etica universalistica fondata sui <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, indipendentemente dalla propriaappartenenza e cultura.dell’uomo, con la sua autorità. La volontàdella donna, da sola, non è sufficiente perl’abbandono della pratica.In questo settore servirebbe peròfondamentalmente un interventolegislativo nazionale che inquadri lafigura del/della mediatore/triceculturale fra le professioni riconosciute,istituzionalizzata attraverso un albonazionale o un Elenco regionale,cui accedere solo con requisiti specifici./ Interventi da attuare nel settoredella mediazione culturale /Gli interventi che servono nel settoredella mediazione riguardanofondamentalmente la preparazionedegli/lle operatori/trici attraverso unaformazione culturale adeguata anche sugliaspetti della salute sessuale e riproduttiva,in particolare per gli uomini che svolgonoquesto lavoro affinché possano interveniresu altri uomini. Inoltre viene segnalatala necessità di stimolare un dibattitosia all’interno delle famiglie sia a livellopubblico sui temi delle MGF e dellasessualità. Un senegalese, presidentedi un’associazione afferma:Occorre interloquire con le famiglieattraverso incontri, discorsi privati e poibisognerebbe parlare con i mediatoridi comunità che lavorano in ambitosanitario. Sul tema delle MGF credo chebisognerebbe lavorare con le comunità,favorire dibattiti, incontri per informare esensibilizzare. Tenendo sempre presente chein pubblico i musulmani non parlanodi sessualità. La legge c’è, ma non sarà lalegge a eliminare il fenomeno, bensì la presadi coscienza. Ed è essenziale il ruolo


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Una ricerca in Friuli Venezia Giulia213/ Alcune riflessionia partiredalle testimonianzeraccolte nel settoresocio-sanitario /di Sara CroccoLe testimonianze raccolte nel settoresocio-sanitario provengono da alcuni/eprofessionisti/e, medici e infermieri/e,della regione Friuli Venezia Giulia,che lavorano presso strutture sanitariediverse per tipologia - alcune sonopubbliche, altre private - e per utenza.I/le professionisti/e intervistati/elavorano presso strutture ospedaliere eambulatoriali che comprendono l’Istitutodi Ricovero e Cura a Carattere Scientificomaterno-infantile Burlo Garofolodi Trieste, l’Ospedale Santa Mariadegli Angeli di Pordenone, l’ambulatoriomedico dell’International Centre forTheoretical Physics (Centro Internazionaledi Fisica Teorica, ICTP) di Trieste,l’Ospedale Cattinara di Trieste, l’Ospedaledi Monfalcone (Go) e l’Azienda per i ServiziSanitari n. 1 “Triestina”.Alla luce delle testimonianze raccolte sipuò affermare che la casistica sanitariadelle mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> inqueste strutture non è molto rilevante.Gli/le intervistati/e, infatti, fannoriferimento a un numero esiguo di casie qualcuno di loro non ha mai avuto, sulterritorio regionale, un’esperienza direttadelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.Questo non significa che i sanitariintervistati abbiano una ridotta conoscenzadel fenomeno ma che, come vedremo piùavanti, l’esiguo numero di pazienti conMGF ha in parte determinato la mancanzadi una formazione specifica degli/lleoperatori/trici sul tema e l’assenza di unprotocollo sanitario per l’approccio e lagestione <strong>dei</strong> casi, lasciando il tutto allasensibilità del/la singolo/a professionista.Inoltre, la bassa incidenza di casi in ambitosanitario sembra non corrispondere aldato numerico di 3.339 donne africaneimmigrate nella regione Friuli VeneziaGiulia provenienti da paesi in cui èpresente la pratica delle MGF.Questa discrepanza potrebbe esseredovuta al fatto che tali donne seguonoaltri percorsi di cura, che la ricerca nonha potuto esplorare.Nelle interviste e nel focus group il temadelle MGF è stato affrontato nella suacomplessità di fenomeno trasversale cheriguarda sia la sfera privata, sia quellasociale e collettiva; infatti, oltre chedal punto di vista prettamente sanitariodelle complicanze e delle conseguenzesullo stato di salute della donna odella bambina mutilata, questo argomentoè stato discusso anche dal punto di vistasociale e culturale, con riferimento adaspetti legali ed etici.Infine, la ricerca ha riguardato anchegli interventi attuabili nel settore sociosanitario,la necessità di una formazionespecifica sul tema MGF per gli/le stessi/eoperatori/trici sanitari/e e le modalità concui il personale sanitario può contribuirealla prevenzione della pratica attraversoopere di sensibilizzazione e informazione apartire dagli ospedali e dagli ambulatori./ Conoscenza del fenomeno /Nelle testimonianze <strong>dei</strong>/lle professionisti/eavvicinati/e gli aggettivi “sconvolgente” e


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia214“scioccante” sono molto ricorrenti rispettoalle proprie esperienze dirette con le MGF;un medico dell’ambulatorio dell’ICTP adesempio racconta:Ne ho vista una in particolare ed èstata una cosa veramente sconvolgente,una giovane signora di 35 anni, mammadi due figli tra l’altro, infibulata. Aveva avutodelle perdite ematiche perciò si era rivoltaal servizio medico del Centro di fisica.In quell’occasione ho tentato di visitarla,ma è una cosa praticamente impossibile,se non per via rettale. I <strong>genitali</strong> in praticanon esistono, esiste la cute e basta. Le grandilabbra non esistono più, esiste un piccolo forod’uscita che permette appunto la fuoriuscitadell’urina e del flusso mestruale e basta.Cioè, è difficile anche introdurre un dito.L’infermiera dell’ICPT davanti allo stessocaso ha raccontato di aver avuto unareazione quasi paralizzante:Non riconoscevo l’anatomia, non avendomai visto niente di simile, sono rimastacosì scioccata che non ho nemmeno capitocos’era successo. Non riuscivo a trasferirele informazioni sulla persona che avevodavanti, per me è stato scioccante!Sono rimasta ferma, rigida, non avevoneanche il coraggio di muovermi.Al di là di queste significative reazionipersonali, dalle testimonianze raccolte èemerso che gli/le operatori/trici sanitari/ehanno avuto poche esperienze direttecon donne mutilate; la testimonianzadel medico legale dell’Ospedale Cattinaradi Trieste sembra confermare questo dato:Esistono delle normative molto recentisu questo fenomeno, ma da un controlloal registro generale della Procura dellaRepubblica di Trieste, non risulta iscrittoalcun reato 583 bis come previstodalla nuova normativa: cioè nella provinciadi Trieste non è mai stato segnalatoun caso per cui l’autorità giudiziaria deveprocedere. Né sono stati segnalati casidi questo tipo al servizio di medicina legale.Le motivazioni di questa scarsa incidenzain ambito sanitario possono esseredi varia natura, ma si possono ugualmentefare alcune ipotesi sulla base delletestimonianze raccolte.Innanzitutto, l’accesso ai servizi sanitariper molte donne immigrate non è sempresemplice e diretto: alcune non hannomai fatto una visita ginecologica e in certicasi partoriscono in casa.La spiegazione risiede in diversi fattori:cultura di appartenenza, grado diistruzione, livello di integrazione e statussocio-economico. Inoltre, le donne chehanno subito una qualche forma di MGFsembrano restie ad esporsi e a raccontareuna cosa così intima, sia perché <strong>nelle</strong>culture di provenienza non è cosadi cui si parla in pubblico, sia perchésanno che la pratica non è diffusa inItalia e temono le reazioni, emotive odi curiosità, che potrebbe suscitare la vista<strong>dei</strong> loro <strong>genitali</strong>.Un’altra motivazione risiede nellatipologia delle visite mediche: infatti,come testimoniano gli/le operatori/tricisanitari/e dell’ICTP, sembra che sia piùfacile che queste donne accedano adambulatori privati piuttosto che al serviziosanitario pubblico poiché in alcuni casi,in assenza di una ginecologa pressotali strutture, le donne che rifiutano lavisita di un professionista uomo vengonoindirizzate, dagli stessi operatori, versoambulatori privati di ginecologhe.Infine, alcuni medici intervistati hannoammesso che esiste una scarsapreparazione degli/lle operatori/tricisanitari/e sul tema e che loro stessisono a conoscenza di casi in cui alcunepazienti con MGF non hanno ricevutoun’accoglienza adeguata <strong>nelle</strong> strutturecui si sono rivolte.Come è emerso dalle testimonianzedi alcuni/e operatori/trici dell’AziendaSanitaria di Trieste durante il Tavolo


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia215di coordinamento del progetto nell’ambitodel quale questa ricerca è statarealizzata, organizzato presso laPrefettura di Trieste, un’altra ipotesiche concorrerebbe alla spiegazione delnumero ridotto di casi di MGF di cuivengono a conoscenza i servizi sanitari inregione è che alcuni tipi di mutilazione,quelle meno cruente, sarebbero di difficileindividuazione: talvolta, un “occhio pocoallenato” potrebbe non essere in gradodi diagnosticare alcune forme dimutilazione genitale. La sensazioneche si ricava davanti a queste ipotesiè che esistono percorsi di cura diversidal servizio sanitario e dove “tutto ècoperto molto bene perché il tutto vienefatto evidentemente a livello sommerso”,come sospetta l’anatomo–patologotriestino. Non sono però solo gli aspettirelativi alla salute che interessano ilpersonale sanitario intervistato, quantouna comprensione della pratica nella suacomplessità di fenomeno socio-culturale,legato alla tradizione e alla religione,che vada oltre gli stereotipi più comunicirca le sue origini e la sua diffusione.In particolare, <strong>nelle</strong> testimonianze raccolteviene sottolineata la volontà di smentiregli stereotipi diffusi in Occidente chevedono le MGF come una pratica dettatadalla religione islamica, perpetuataesclusivamente <strong>nelle</strong> zone rurali e legataper lo più alle classi sociali più povere econ un grado di istruzione poco elevato.Per quanto riguarda la religione, unamedica dell’IRCCS Burlo Garofolo haricordato quanto affermato dall’Unicef,e cioè che la pratica si riscontra trapersone che praticano tutte le religioni,aggiungendo che “anzi in alcuni paesiafricani lo fanno più i cristiani che imusulmani”.L’appartenenza religiosa, d’altra parte,risulta essere un elemento moltoimportante nell’accesso al serviziosanitario, infatti le donne di fe<strong>dei</strong>slamica generalmente chiedono di esserevisitate da medici di sesso femminile:Ovviamente ci vuole molta gentilezzacome con qualsiasi persona. Se abbiamodavanti una quarantenne bianca che hagià effettuato un certo numero di visiteginecologiche, il problema è relativo.Sappiamo, invece, che se ci si trova difronte a una ventenne vergine e musulmanaoccorre muoversi con molta cautela;però siamo sempre riuscite a convincerla afarsi visitare, magari non da un uomo.Se riusciamo a farlo fare dal nostroginecologo, preferiamo, perché cosìnoi stesse possiamo aiutare in tutta lagestione. Se la paziente insiste nel volereche la visita sia fatta da una donna,rispettiamo la sua scelta e organizziamoper lei una visita in città con una ginecologa.(infermiera ICPT)Pur non essendo in possesso di datiprecisi circa l’incidenza della pratica neipaesi di provenienza, i medici intervistatisembrano consapevoli che non si trattadi un fenomeno che riguarda solopersone provenienti da zone rurali edalle classi sociali meno abbienti e menoistruite. Talvolta tale percezione è fruttodell’esperienza personale, come nel casodi un anatomo-patologo triestino che neglianni Ottanta ha lavorato in Somalia:Mi è capitata la figlia di un personaggiomolto importante, un medico somaloche sosteneva che l’infibulazionedoveva prevedere almeno quattro puntidi sutura, altrimenti sua figlia nonl’avrebbero sposata.Oppure una medica dell’IRCCSBurlo Garofolo, secondo la quale:L’idea che noi abbiamo in Occidente èche questa sia una pratica di aree rurali,di persone di basso livello culturale, invececonosco due paesi nei quali il posto doveè meno frequente la pratica è la zona


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia216rurale e più povera, mentre va aumentandol’incidenza più si va avanti nel livellosocio-economico e culturale: parlodella Nigeria e dell’Etiopia.Come confermato anche dalle ricercheDHS, Demographic and Health Surveys(Sondaggi demografici e sanitari) condottein numerosi paesi africani da MacroInternational, il grado di istruzione noninfluenza ovunque l’incidenza della pratica,seppure si noti una certa flessione dellaprevalenza con l’innalzamento del livellodi istruzione. Questo spiega il fatto che neicasi conosciuti dal Centro di Fisica Teoricasiamo di fronte a donne mutilate con ungrado di istruzione molto elevato: si trattainfatti di fisiche e matematiche o moglidi scienziati che provengono da paesiafricani dove le MGF vengono più o menolargamente praticate.Il livello di istruzione, però, diventaun fattore molto rilevante rispetto almantenimento o all’abbandono dellapratica nel processo migratorio.Le donne con un livello di istruzione piùalto sono tendenzialmente quelle che,una volta stabilitesi in Italia, richiedonol’intervento della ricostruzione dell’organogenitale, stando alla testimonianza di unaginecologa dell’IRCCS Burlo Garofolo:Nella mia esperienza, a chiedere laricostruzione del clitoride o per lo menola riapertura delle piccole labbra, sonoin genere donne sposate, di alto livelloculturale, che vengono con il marito.Il grado di istruzione non è l’unicofattore che determina questo tipo dirichiesta: anche l’appoggio del maritoe della famiglia sono elementi chegiocano un ruolo fondamentale nelprocesso di maturazione della sceltadella <strong>dei</strong>nfibulazione, come la stessaginecologa afferma:Tutte quelle che noi abbiamo operato sonovenute con il marito: se il marito è d’accordo,anche il resto della famiglia approva ladecisione. Ma se la donna prende questadecisione da sola, rischia una frattura con lafamiglia, un isolamento tremendo, che allafine finisce per bloccarla./ Approccio professionale /Il focus group con il personale sanitario haaffrontato anche l’applicazione della leggen. 7 del 9 gennaio 2006 facendo scaturirealcune riflessioni in materia di bioetica.A proposito di questa legge, il medicolegale dell’Ospedale Cattinara di Trieste haricordato:In Italia c’è sì la normativa specifica,ma ancora prima c’è l’articolo 32 dellaCostituzione che garantisce il diritto allasalute e il Codice deontologico medicoche prevede chiaramente all’articolo 52che non debba essere fatta dal medicoalcuna forma di mutilazione o menomazioneo comunque alcun trattamento che nonabbia fini diagnostici o terapeutici.In effetti, il punto clou della normativavigente, che ha inserito nel Codice penalel’articolo 583 bis, è proprio quello di averstabilito che le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> sono un vero delitto, perché sonopunite molto severamente: si arriva finoa 12 anni di carcere.Non ci devono essere ovviamente esigenzeterapeutiche, perché se in ipotesi ci fosseun’esigenza terapeutica non sussisterebbeil reato. Secondo la nuova normativa,le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> sonoinserite tra le lesioni gravi e gravissime.Per gli operatori sanitari che pratichino MGFè prevista la pena accessoria dell’interdizionedall’esercizio della professione da 3 a 10anni, ed è inoltre prevista anche la sanzioneper la struttura ove sia accaduto, o possain ipotesi avvenire, uno di questi episodi,


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia217cui viene tolto l’accreditamento, per cui lastruttura chiude.Il focus group ha poi discusso delle diverseimplicazioni, in termini legali e sanitari,della circoncisione maschile e di quellafemminile. Riportiamo alcuni stralcidel dibattito:D. E questo si riferisce anche ai maschi?R1. No, questo è solo per le mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, per i maschi è unproblema completamente diverso ancheperché la circoncisione è prevista da certi usi,da certe religioni.invece è considerata come una praticadeturpante, una lesione gravissimaper il corpo e la mente, che va vietata econtrastata ricorrendo a sanzioni e penemolto aspre.Nella percezione <strong>dei</strong> partecipanti al focusgroup, la circoncisione maschile sembraessere più “tollerata” e compatibilecon l’ordinamento giuridico italiano e,per quanto riguarda la sua pratica, nonsembrano esserci prescrizioni giuridichechiare. Il problema semmai è se lacirconcisione rituale debba essere eseguitao meno come prestazione a carico delServizio Sanitario Nazionale italiano.R2. Anche quella femminile è previstada certi usi.R1. Sì, però c’è una differenza,la circoncisione maschile non cagiona unapermanente menomazione dell’integritàfisica, nel soggetto circonciso funziona tutto.R2. Gli episodi acuti che abbiamo avuto sonostati di quei due bambini.R3. Fatti in casa!R1. Di quello parla, infatti, anche unasentenza del tribunale di Padova che haaffrontato uno di questi casi di neonati in cuiperò c’era un problema di esercizio abusivodi professione sanitaria, (…) la sentenza diceche la circoncisione non cagiona diminuzionepermanente dell’integrità fisica, la ritieneuna pratica sanitaria da effettuare da unsanitario con le dovute precauzioni perevitare emorragie, infezioni, eccetera,ma non dice che non si può fare. Mentre perle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> la normaè categorica: non si fa punto e basta”.A livello giuridico la circoncisione maschilee quella femminile assumono significatidiversi: la prima è concepita come unrituale religioso che non cagiona unavera e propria menomazione, la secondaInfatti, in ambito sanitario ci sono pareridiscordanti sulla possibilità che lestrutture medico-ospedaliere effettuino lacirconcisione maschile al fine di ridurre leeventuali complicazioni derivantida circoncisioni “fatte in casa” e renderela pratica più sicura. Effettivamente,si sono registrati diversi casi di minoriarrivati al pronto soccorso per problemi,anche molto gravi, derivanti dacirconcisioni “domestiche” e rudimentali.Nel 2004 aveva suscitato notevole clamorela proposta di un ginecologo somalo,Omar Abdul Kader, impiegato pressol’Ospedale di Careggi (Firenze)di effettuare quella che la stampaaveva ribattezzato “infibulazione soft”o “punturina”, e cioè un taglio con unalancetta da insulina sul clitoride, al finedi farne uscire alcune gocce di sangue,certificando poi l’esecuzione del “rito”.Questo con l’idea di rispettare la culturad’origine delle famiglie africane immigratein Italia ed evitare che le bambine fosserosottoposte a forme tradizionali di MGFpiù nocive per la salute. Tale proposta erastata avversata da numerose associazionidi donne migranti, organizzazioni dicooperazione allo sviluppo attive nellaprevenzione delle MGF in Africa, tra cuiAIDOS, studiose e attiviste, convinte che


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia218l’introduzione di tale procedura avrebbelegittimato una visione della sessualitàfemminile come qualcosa di impuro,da limitare, seppure simbolicamente econ un ferita lieve; e che per le famiglie,e le nonne in particolare, rimaste in patriae che accolgono le bambine durante levacanze estive e organizzano le MGF,il certificato della struttura sanitariaitaliana non avrebbe avuto moltosignificato, se constatavano che i <strong>genitali</strong>delle bimbe erano sostanzialmente intatti.Infine, generava grande preoccupazioneil fatto che nella proposta si prevedeval’esecuzione della procedure anchepresso strutture mediche private,dove diventava più difficile verificare se,su richiesta <strong>dei</strong> genitori e dietrocompenso, non fosse stata eseguita unaprocedura più invasiva, vale a dire unavera escissione o infibulazione.L’approvazione della legge 7/2006 hadi fatto reso inapplicabile la proposta.Ciononostante, le opinioni <strong>dei</strong> medicirestano divise, come è emerso anchenel corso del focus group e delle intervistecon il personale sanitario realizzate perquesta ricerca, anche perché la propostanon aveva mancato di trovare sostenitoriin particolare tra antropologi/gheinteressati/e alla difesa e valorizzazionedella diversità culturale e persone convinteche tale operazione avrebbe comportatouna “riduzione del danno” derivantedalle MGF.Riportiamo perciò alcune battutetratte dal focus group che mettonoin evidenza come la “punturina”,il “male minore”, la “lesione lievissima”che non provoca complicazioni, continuia rappresentare per alcuni uncompromesso accettabile rispetto allepratiche di MGF, mentre per altri siauna proposta assolutamente inaccettabile,e questo indipendentemente dal fattoche la normativa vigente l’abbiaresa impraticabile.R1. Per quanto riguarda il problemadelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>c’è chi, un medico credo somalo, ha fattola proposta…R3. La proposta della puntura!R2. Sai che io invece non la trovo cosìterrificante? Se si tratta di compiere il rito…R1. Su questo il comitato di bioetica ha datoparere favorevole. (…) Sostanzialmentequesta proposta tende ad evitare lamutilazione che è ben più seria di unacirconcisione, la “punturina” è simbolicaperò evitiamo complicanze a breve, lungo emedio termine.R3. Sì però…R2. Tu cosa dici? Mi interessa.R3. A me la cosa che sembra grave è proprioil simbolismo della violazione del corpofemminile. Sono una epidemiologa e sonoin genere per la riduzione del danno,però questo entra in una sfera molto piùolistica, più ampia. A me sembra terribilesoprattutto in un paese come l’Italia, dovesono in vigore leggi contro qualunquecosa che provochi un danno, anchesimbolicamente. Non solo: penso che laproposta della “puntura” in parte rinforzal’idea che il corpo femminile deve esserepurificato in qualche modo, un’idea atavica.Un’altra riflessione etica, scaturitadall’analisi del testo legislativo, riguardal’asperità delle pene che possonoessere comminate ai genitori dellaminore sottoposta a mutilazione edelle conseguenze di queste condannesul suo stato di salute psichica.In effetti, se da un lato esiste la necessitàdi prendere posizione contro le MGF econtrastarne la pratica, dall’altro si poneil problema della tutela della minoreall’interno della sua famiglia.Fino a che punto i genitori di una bambina


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia219che subisce una mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong>possono essere considerati “colpevoli”o “complici” di un reato e quindipenalmente perseguibili? La tuteladella minore, in questo caso, può essereassicurata attraverso l’allontanamentodal nucleo familiare? Sono gli interrogativiche si è posta una ginecologa dell’IRCCSBurlo Garofolo, quando si è trovata davantiil caso di una bambina somala, così riferitonel colloquio:D. Dottoressa, lei ha seguito pazienti conMGF nella sua esperienza professionale?ha avuto la tua stessa esperienza; ormail’hai avuta ed è vissuta tutto sommato,tra virgolette, bene, può esserti vicina inquesta cosa. Inoltre c’è tutta una relazionefamiliare che per tutte le altre cose tiene,funziona benissimo. Quindi quando voiparlavate delle pene nei confronti <strong>dei</strong>genitori, io pensavo a cosa sia meglionella pratica. (…) Si peggiora la situazionepsichica della bambina, invece di aiutarlae di farle vedere che sua mamma allafine è vissuta, che si possono trovaredelle soluzioni e che la vita è fatta cosìe va avanti, no?”R. Sì, donne sì, ma non ho mai visto unabambina. Anche se una volta in una classe,durante un intervenento che aveva per temal’anatomia sessuale e la procreazione,ho notato una bambina di colore che miseguiva con le lacrime agli occhi e ho avutol’idea di parlare delle MGF, cercandodi sdrammatizzare per rassicurarla nel casole fosse successo. Ho spiegato che era unapratica presente in alcune culture. Parlandocon la bambina, successivamente, mi hadetto che lei aveva avuto questa cosa.Poi l’abbiamo affidata all’operatore sanitariodel Consultorio, era una bambina somala.D. E poi cos’è successo?R. È stata affidata agli operatoridel consultorio; queste pratiche, per quelche ne so io dai racconti, non avvengono inItalia. Le bambine vanno in vacanza dallanonna qualche volta anche senza i genitori equando sono lì le fanno questa cosa.D. Quanti anni aveva la bambina?R. Era in quarta elementare. La sua famiglia,peso le parole, ma se devo giudicarla,una famiglia premurosa e affettuosa versoi figli e io non so, una volta avvenuto questoepisodio, se sia meglio allontanare labambina dalla sua famiglia.Credo assolutamente di no, perché intantoè più rassicurante sapere che tua madreA fronte di questa sensibilità, come giàaccennato, <strong>nelle</strong> testimonianze raccoltesi registra l’assenza di protocollisocio-sanitari specifici e di pratichecomuni di approccio ai casi di MGF;una delle spiegazioni di questa assenzarisiede, probabilmente, nella casisticapoco rilevante sul territorio regionale.Come ricorda un’infermiera dell’ICTP:I protocolli nascono dall’uso perché quandoci si trova di fronte ad una cosa che siripropone in continuazione la prima cosa chesi fa, almeno per noi, è quella di cercare unriscontro legale.Quali sono allora gli approcci “ipotetici”degli/lle operatori/trici sanitari/edavanti a casi di donne o bambinemutilate? A questa domanda alcuni/edottori/esse hanno risposto evidenziandole mancanze del sistema sanitarioin questo ambito:D. Nel caso in futuro aveste delle donnein gravidanza che hanno qualcheforma di mutilazione, voi entrereste anchenel percorso di allontanamento daqueste pratiche?R1. Guardi, questa è una cosa che in realtànoi come gruppo non abbiamo per nientematurato e quindi dipende molto da chemedico questa signora si troverà davanti.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia220Noi abbiamo un comportamento diverso,approcci alle persone completamente diversi,legati ognuno alla sua storia, alla suasensibilità, al suo livello culturale rispettoall’argomento.D. Quindi non c’è un protocollo?R1. No, non c’è un protocollo di gruppo.R2. A me sembra un vuoto molto grossonel Servizio Sanitario perché restringe lepossibilità; io penso che basterebbe un corso,perché se dipende dalla persona sensibile ladifficoltà è grande; è un servizio nazionalepagato per tutti, pubblico, che dovrebbedare queste risposte, soprattutto perché ilproblema è più diffuso di quanto pensiamo,è un problema sommerso.D. Se adesso volgessimo lo sguardoun attimo ai bambini, in Pronto Soccorso,se dovesse arrivare una bambina conqualche forma di mutilazione cosa succede?R3 (pediatra del Burlo). Finora non homemoria che sia mai successo e quindipenso che verrebbe costruito sul momento,è una cosa della quale noi non abbiamo maidiscusso; quindi non so darti una risposta.A occhio, anche là noi siamo diversi, comediceva la dottoressa, abbiamo sensibilitàdiverse, mi verrebbe da pensare che laprima cosa che farebbero alcuni sarebbefarla vedere da un ginecologo e l’approccioalla famiglia potrebbe essere quello di unatteggiamento puramente sanzionatorio.Io penso che gran parte <strong>dei</strong> colleghi lovedrebbero come un maltrattamento equindi scatterebbe il protocollo; però, ripeto,non abbiamo mai fatto una discussione suquesto anche perché statisticamente per noiè difficile da riscontrare, non vediamo tantebambine somale.R1. Perché non c’è una grossissima comunità.R3. Non c’è una grossissima comunità;magari stanno bene, inoltre, non è che seun bambino ha mal d’orecchio gli visiti i<strong>genitali</strong>! Statisticamente la cosa si restringemoltissimo, però penso che un minimo dilinee guida su questo potrebbero servire.Dalla testimonianza dell’infermiera edell’ostetrica dell’ICTP emerge la volontàdi affrontare i casi in équipe medica,innanzitutto, e di richiedere ancheconsulenze esterne a mediatori/trici eprofessionisti/e che possano aver avutoesperienze in tal senso.Inoltre, viene sottolineato il rispettodella privacy e la necessità di un approccioestremamente delicato:La prima cosa che faremmo sicuramente èquella di riunirci, perché una delle cose cheprobabilmente ha permesso a questo gruppodi andare avanti bene per tutti questi anni èil fatto che ci confrontiamo in continuazione.Abbiamo capito che tutto quello cheriguarda la sfera genitale o anche affettivae familiare di una persona va trattata conestrema cautela e cura. Diciamo che l’ultimacosa che uscirebbe da questo ambulatorio,da questo gruppo, è il nome e la possibilitàdi rintracciare questa persona.Un’altro tipo di approccio riscontratoè quello ipotizzato da una Pediatradell’Ospedale di Pordenone, la qualealla domanda “Cosa farebbe se un domanile capitasse una bambina che ha subitouna qualche forma di mutilazione?”ha risposto:Bella domanda… Non saprei! Sicuramente miallarmerei. Al di là del discorso prettamenteginecologico, penso che attiverei i serviziterritoriali, il consultorio, qualcuno che seguapoi direttamente il bambino a domicilio”.Le difformità che emergono riguardoalle tipologie di approccio e l’assenzadi una procedura e di una prassi comune,allargano la riflessione alla necessitàdi attuare interventi “in-formativi”nel settore socio-sanitario.


Una ricerca in Friuli Venezia Giulia222coinvolgendo la struttura ospedaliera ealtre figure come, ad esempio, il/lapediatra di famiglia e altri/e operatori/trici.sociali. A questo proposito è importanteriportare il dibattito con una pediatra diPordenone:D. Non potreste fare la sensibilizzazioneanche qui in ospedale? Quando nascono ibambini potreste, ad esempio, pensare adun programma nel quale avvertire i genitoridella illegalità della pratica, anche se fattaall’estero?R. Non so. Bisognerebbe pensare a comestrutturarlo. Perché io ho sempre paura chemetterli in allerta in questa maniera provocal’effetto contrario, come quando vanno afarsi circoncidere dal primo che gli capita perstrada. Non so se la nascita è il momentoadeguato.D. Però il momento della nascita èimportante perché è il momento in cuisi pensa a queste cose, per cui, forse, è ilmomento più facile per fare una campagnadi informazione.MGF, da parte degli/lle operatori/tricisanitari/e intervistati/e, abbraccia aspettidiversi: infatti, oltre che da un punto divista prettamente medico, il tema è statoaffrontato anche tenendo conto <strong>dei</strong> fattoriculturali, degli stereotipi, delle prescrizionidi legge e delle implicazioni etiche.Sono state evidenziate le criticitàdel sistema sanitario rispetto alla gestione<strong>dei</strong> casi: una scarsa o inesistenteformazione specifica sul tema, l’assenzadi protocolli comuni e una conseguentedifformità degli approcci.Concludendo, si può affermare che seda un lato le testimonianze raccolte nelsettore socio-sanitario hanno evidenziatocriticità e mancanze <strong>dei</strong> servizi sanitari,dall’altro hanno messo in luce l’interessee la disponibilità degli/lle operatori/tricie delle istituzioni sanitarie ad esserecoinvolti e a farsi loro stessi promotoridi attività di sensibilizzazionee prevenzione.R. Sì, loro ci pensano, però è una cosa cheio credo avvenga molto più in là, quandodiventano più grandi, non quando nascono.Perché se tu glielo dici quando nasce, a diecianni è una cosa che già si sono scordati.Bisogna, a quel punto, lavorare sui pediatridi famiglia perché sono loro che poi alla finese ne occupano.D. Non fate ispezioni ginecologiche,ovviamente, a meno che non abbianoqualche problema?R. No, a meno che non abbiano un problemaginecologico, esatto. Questo lo potrebbe fareil pediatra di famiglia nel momento in cui vaa fare il suo bilancio di salute, o nell’ambitodi una visita generale.Nonostante la casistica poco rilevante,si è visto che la conoscenza del fenomeno


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Una ricerca in Friuli Venezia Giulia225/ Riferimentibibliografici /Bourdieu P., Il dominio maschile, Milano,Feltrinelli, 1998Dal Lago A. (a cura di), Lo stranieroe il nemico, Genova, Costa e Nolan,1997Delli Zotti G., Introduzione alla ricercasociale, Milano, Franco Angeli, 1997Duden B., Il corpo della donna come luogopubblico, Torino, Boringhieri, 1992Aa. Vv., Donne, migrazione, diversità,Roma, Presidenza del Consiglio<strong>dei</strong> Ministri, 2002Allport G., La natura del pregiudizio,Firenze, La Nuova Italia, 1976Badinter E., L’identità maschile, Milano,Longanesi, 1993Barbieri L., Amore negato. Societàmultietnica e mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>,Torino, Ananke Edizioni, 2005Beauvoir S. De, Il secondo sesso, Milano,Il Saggiatore, 1961Belpiede A. (a cura di), Mediazioneculturale. Esperienze e percorsi formativi,Torino, UTET, 2002Bertaux D., Histories de vies ou récitsde pratiques? Méthodologie de l’approchebiographique en sociologie, Parigi,Cordes, 1976Bourdieu P., “I riti come atti di istituzione”,in AA. VV., Il ritorno delle differenze,Milano, Franco Angeli, 1992Fainzang S., “Circoncision, excision etrapports de domination”, in Anthropologieet Sociétés, n. 9, 1985Germani G., Urbanizzazione emodernizzazione, Bologna, Il Mulino, 1975Héritier F., Dissolvere la gerarchia.Maschile/femminile II, Milano, Cortina,2004Hobsbawn E., Ranger T, L’invenzionedella tradizione, Torino, Einaudi, 1989Kluckhohn C., Kroeber A.L., Il concettodi cultura, Bologna, Il Mulino, 1963Levy R., The Social Structure of Islam,Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1957Lightfoot-Klein H., “Orgasm inritually circumcised african women”,in Kothari P. e Patel R. (a cura di)Proceedings of the 1st InternationalConferente on Orgasm (atti della primaConferenza internazionale sull’orgasmo),Bombay (attuale Mumbai),VRP Publishers 1991Luatti L. (a cura di), Atlante dellamediazione linguistico culturale.Nuove mappe per la professione dimediatore, Milano, Franco Angeli, 2006Mead M., Maschio e femmina, Milano,Il Saggiatore, 1972


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Approfondimenti // A cura diADUSU, Associazione <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> - sviluppo umano eAIDOS, Associazione italianadonne per lo sviluppo /Progetto <strong>Mutilazioni</strong><strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunitàmigranti. Percorso integratodi ricerca, formazione esensibilizzazione per laprevenzione e il contrastodi una pratica tradizionaleda abbandonare finanziatodal Dipartimento per le PariOpportunità nell’AMBITOdella legge 7/2006


APPROFONDIMENTI231/ <strong>Mutilazioni</strong><strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> /di Paola DeganiL’intervento di modificazione e mutilazioneeffettuato sui <strong>genitali</strong> esterni <strong>femminili</strong>(MGF) costituisce una manifestazionerituale profondamente radicata nellatradizione e nel contesto socio-culturaledi molte popolazioni, soprattutto africane.Per le modalità con cui vengono eseguitee per le ricadute e i significati simbolici emateriali attribuibili, le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> costituiscono un insiemedi pratiche drammaticamente violente neiconfronti delle donne e delle bambine, acui possono seguire conseguenze più omeno gravi sul piano della salute fisica eimplicazioni pesanti sul piano psicologico.Secondo quanto precisatodall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) nella definizione fornita nel 1996,con l’espressione “mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>” (MGF nell’acronimo italiano,FGM nell’acronimo inglese) si inten<strong>dei</strong>ndicare tutta una serie di pratiche diffusein molti paesi, che mirano ad “alterarela conformazione degli organi <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> esterni con finalità culturali,religiose o per altre ragioni comunquenon terapeutiche” e che possono essereindividuate in quattro tipologie distintesulla base della gravità del pregiudizioarrecato ai <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.MGF è perciò la denominazionegeneralistica con la quale si identificanodiverse pratiche tradizionali checomportano il taglio o l’incisione o altremanipolazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>effettuati a scopo rituale. La mutilazioneè comunemente effettuata su ragazzedi età compresa tra i quattro e i dodicianni e costituisce un rito di passaggio.In alcune culture è praticata nei giorniimmediatamente successivi la nascitae al più tardi appena prima del matrimonioo dopo la prima gravidanza.La MGF è generalmente eseguita dadonne che tradizionalmente si dedicano aquesta attività, ed è molto spesso collegataa forme di sapere che si tramandano digenerazione in generazione; la ripetizionenel tempo di queste pratiche ha anche unamatrice economica ben precisa.Tenendo presente che forme intermediesono comunque presenti e diffuse, lemutilazioni si distinguono in quattro tipi:Tipo 1: escissione del prepuzio con/senzaescissione di parte o di tutto il clitoride.È la forma di mutilazione meno cruenta eviene più comunemente definita “sunna”.Tale tipologia di mutilazione a volte èlimitata ad una piccola escoriazione dallaquale far stillare del sangue; in altri casiinvece può accompagnarsi oltre cheall’ablazione del prepuzio anche a quelladi parte del clitoride.Tipo 2: escissione del prepuzio e delclitoride con parziale o totale escissionedelle labbra minori. È una mutilazionepiù drastica e cruenta delle precedenti edè generalmente praticata in quegli statinei quali l’infibulazione è stata dichiaratafuori legge, come per esempio in Sudan.Questo tipo di mutilazione è comunementeidentificata con il termine clitoridectomia.Tipo 3: escissione di parte o di tuttii <strong>genitali</strong> esterni con restringimentoo chiusura dell’apertura vaginale(infibulazione). Questa tipologia prevede


APPROFONDIMENTI232la cruentazione delle piccole labbra,che vengono fatte aderire in modo dacicatrizzare unite, ricoprendo meatouretrale e introito vaginale.È la forma più drastica e distruttivadi mutilazione che, a causa della suainvasività, comporta drammaticheconseguenze per la salute psichica efisica della donna ed è più comunementeconosciuta come infibulazione;Tipo 4: in questa tipologia sono compresediverse pratiche lesive dell’apparatogenitale femminile che prevedono lalacerazione delle grandi labbra a scopomedico rituale, ad esempio per curarela sterilità, o che prevedono l’esecuzionedi punture, perforazioni o incisioni sulclitoride, grandi e piccole labbra; altreforme prevedono incisioni longitudinalidella vagina allo scopo di farla retrarre(gishiri, praticato ad esempio inpreparazione di un nuovo matrimonio),oppure consistono nella cauterizzazionedel clitoride e <strong>dei</strong> tessuti circostanti onel raschiamento dell’orifizio vaginale(angurya). Tra le varie forme consideratein questa quarta tipologia sono compreseanche l’introcisione, praticata da unatribù australiana e consistente nelladilatazione traumatica della vagina inpreparazione alla prima notte di nozze,nonché l’introduzione in vagina di sostanzevegetali corrosive aventi lo scopodi restringerla o di chiuderla.Inoltre va fatta menzione di altre duepratiche che avvengono a seguitodelle precedenti: la defibulazione e lareinfibulazione.Il termine “mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>”ha trovato una specifica legittimazionenel corso della terza Conferenzadel Comitato Inter-Africano sulle pratichetradizionali rilevanti per la salutedi donne e bambine/i, svoltasi ad AddisAbeba nel 1990, ma non ha ricevuto unriconoscimento pieno tra le popolazioniinteressate direttamente dalle pratichemutilatorie, che per anni ne hannocontestato la forte connotazione negativa.La denominazione più comune emaggiormente diffusa fra la maggior partedelle popolazioni che praticano le MGF è“circoncisione femminile”.L’uso di tale termine è però oggifortemente in discussione per lasovrapposizione terminologica conla circoncisione maschile, praticadecisamente meno drastica, meno cruentae soprattutto priva di tutta una serie divalenze negative, simboliche e materiali,rispetto a quella che si realizza sulledonne.Altri termini vengono generalmenteusati per indicare la mutilazione genitalefemminile, per esempio quello di sunna,di escissione e di infibulazione odi “circoncisione faraonica”, ma si trattadi interventi connotati l’uno rispettoall’altro in modo diverso.Ci sono quattro ragioni che si ricolleganonella letteratura alla pratica delle MGF.La prima rimanda a motivazioni di tipoculturale, ove viene ad essere interessatoanzitutto il problema dell’identità dellecomunità in cui si praticano le MGF e dirimando la necessità di preservare usanzee tradizioni di un popolo.La seconda rinvia a questioni inerenti lasessualità della donna e i tentatividi esercitare su di essa un controllo di tiposociale mediante la reiterazione di usanzeche di fatto possono implicare gravi disagifisici e psicologici. La terza richiama lepratiche religiose e il loro mescolarsiad elementi culturali. L’ultima ragioneinfine concerne la pressione socialeche una comunità esercita affinchési mantenga in vita una pratica checostituisce un requisito per l’integrazionenella vita di comunità, soprattutto laddovela maggior parte delle donne risultanodi fatto essere mutilate.


233Nel mondo si calcola che siano circatra i 100 e i 140 milioni le bambine e ledonne che hanno subito le MGF. La stessavalutazione, trasposta su base annuale,si traduce in tre milioni di donne“a rischio” di subire una qualche formadi intervento mutilatorio di tipo rituale 53 .Le proporzioni di questo fenomenorendono perciò evidente l’urgenza ditrovare degli approcci al problema che, inun’ottica di rispetto della dignità e dellalibertà femminile, permettano l’adozionedi politiche che favoriscano i processi diabbandono e accrescano la sensibilità neiconfronti <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> sessuali e riproduttividelle donne. Tale ricerca peraltro non puòprescindere da una lettura complessivadel fenomeno discriminatorio femminilee più in generale da una attenta analisi<strong>dei</strong> rapporti di genere, poiché tali pratichesi inseriscono in contesti socio-culturalidefiniti da meccanismi relazionali edinamiche di potere tra i sessi fortementepregiudicanti il riconoscimento el’effettività <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle donne.Storicamente, le prime iniziative percontrastare le MGF risalgono all’iniziodel secolo scorso, e precisamente alperiodo delle colonizzazioni, quando si èassistito a tentativi, peraltro abbastanzaisolati, di porre fine a queste pratiche,soprattutto in quei contesti dove imissionari riuscivano meglio ad integrarsicon la popolazione autoctona.Tuttavia, la battaglia per l’eliminazionedelle MGF non fu sviluppata con impegnosistematico da parte <strong>dei</strong> governi coloniali,non essendo le pratiche mutilatorieconfliggenti con gli interessi <strong>dei</strong> governistranieri. I tentativi effettuati nonhanno peraltro riscosso successo,tanto che in questi paesi di fatto ladiffusione del fenomeno non ha subitomodificazioni sensibili.53 Dati Unicef, 2005.Le prime norme concernenti il divietodi effettuazione delle MGF risalgono aglianni ‘40 e ‘50, quando il Sudan e l’Egittoadottarono provvedimenti in questo sensoche rimasero però del tutto disattesi,trattandosi di misure che non eranoaccompagnate da iniziative volte allaprevenzione e sensibilizzazione rispettoa tali pratiche.Tra il 1960 e il 1970 l’emergere di gruppidi donne che in molti paesi lavoravano persensibilizzare le popolazioni su questoproblema ha portato ad un incrementodelle campagne circa gli effetti delleMGF sulla salute. Contemporaneamente,andava crescendo tra gli/le operatori/tricisanitari/e di molti paesi interessati daquesto fenomeno, tra cui Sudan, Somaliae Nigeria, il bisogno di considerare estudiare con un diverso approccio lecomplicazioni cliniche collegate alle MGF,impegno che ha trovato poi riscontroanche <strong>nelle</strong> prime pubblicazioni <strong>nelle</strong>riviste mediche.Sul piano internazionale, nel 1959 54l’Organizzazione Mondiale della Sanità,sulla base di una richiesta avanzata l’annoprecedente dal Consiglio economicoe sociale (Ecosoc) delle Nazioni Unite,affermò che le operazioni mutilatorierituali dovevano ritenersi il risultatodi concezioni sociali e culturali <strong>dei</strong> paesiin cui venivano eseguite e pertanto nonrientranti nella sfera di competenzadell’OMS 55 .Durante gli anni sessanta in più occasionisi discusse dell’opportunità o menodi inserire la questione delle MGFnell’agenda politica degli organismidella comunità internazionale.APPROFONDIMENTI54 Nel 1952 la Commissione delle Nazioni Unite sui<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> affronta per la prima volta il problema dellapratica mutilatoria.55 OMS, 12ª Assemblea Mondiale per la Sanità,11ª sessione plenaria, 28 maggio 1959.


APPROFONDIMENTI234Tuttavia, le difficoltà che questofenomeno incontrava rispetto ad una suaconsiderazione da parte degli organismipreposti alla tutela <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>,indicavano che non vi era di fatto la volontàdi riconoscere la discriminazionecontro la donna come l’ambito privilegiatoentro il quale cominciare a trattare sulpiano politico e normativo le MGF;soprattutto, continuava a pesare moltol’idea che spettava ai singoli paesil’eventuale adozione di provvedimenti,nel più pieno rispetto del principio delladomestic jurisdiction.Nel 1960, all’interno di un meetingorganizzato dalle Nazioni Unite ad AddisAbeba, il problema delle MGF vennediscusso pubblicamente; nei risultaticonclusivi del Seminario si sollecitaval’OMS ad adottare una dichiarazionedi condanna di tutte le formedi medicalizzazione delle pratichemutilatorie, allo scopo di evitarnequalsiasi forma di istituzionalizzazionee di legittimazione.Nel 1962 l’Ecosoc invitò nuovamente l’OMSad esaminare le conseguenze medicosanitarieprovocate dalle MGF, ma solo nel1976 l’Ufficio regionale per il MediterraneoOrientale della stessa OrganizzazioneMondiale della Sanità mise a punto unprogramma di attività a cui seguì lapubblicazione del lavoro di ricercadi Fran P. Hosken, The Hosken Report(1977), che per la prima volta stimava ilfenomeno e dava conto della drammaticitàdelle situazioni ad esso collegabili.Due anni dopo, nel 1979, a Khartoum,in Sudan, si tenne il primo seminariodedicato al tema delle MGF, organizzatodall’Ufficio regionale dell’OMS per ilMediterraneo Orientale. In tale circostanzaper la prima volta si assistette ad unconfronto sul tema tra rappresentantidi alcuni paesi africani e l’Unicef, da cuiderivò la presa d’atto pubblica che le MGFnon erano semplicemente il prodottodi alcune culture, ma costituivano,in primo luogo, un problema di salutepubblica. Il seminario di Khartoum segnòun passo importante e un’occasionesenza precedenti per condannare inmodo esplicito tutte le possibili tipologieattraverso le quali si attuano le MGF,comprese quelle compiute <strong>nelle</strong> struttureospedaliere.A partire da questa prima presadi posizione anche istituzionale sul temafurono organizzate altre iniziative dicarattere internazionale in paesi differenti.Di estrema importanza il secondoSeminario sulle pratiche tradizionalipregiudizievoli per la salute di donnee bambine, del 1984, nel quale l’OMSe altre organizzazioni internazionaliriuscirono a portare a Dakar, in Senegal,i rappresentanti di venti paesi coinvoltidal fenomeno. Fu durante questomeeting, organizzato in collaborazionecon l’Unicef e l’Unfpa, che venneistituito, ad opera del Working Groupsulle pratiche tradizionali dannose dellaSottocommissione per la protezione e lapromozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, dell’Unescoe dell’Oms, l’Inter-African Committeeon Traditional Practices Affectingthe Health of Women and Children(IAC nell’acronimo inglese).In questa fase perciò, per la prima volta,si può riconoscere l’avvio di quel processodi orientamento della trattazione dellequestioni collegate alle MGF nell’ambitodel sistema <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delleNazioni Unite, che ha portato in unprimo tempo all’identificazione e alriconoscimento delle molteplici violazioni<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> di donne e bambineche la pratica delle MGF implica,per giungere oggi ad un loro più specificoinquadramento nel novero delle condotteidentificabili come manifestazioni diviolenza contro la donna.


APPROFONDIMENTI235Nella seconda metà degli anni Novanta,sulla base delle diverse classificazioniproposte, l’OMS procedette, oltre che alladefinizione e classificazione definitivadel fenomeno che ora tutti conosciamocome “mutilazione genitale femminile”,a sviluppare prese di posizione ufficialicontro le mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> inseno alla Commissione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>dell’ONU, raccomandando specifichepolitiche nazionali al fine di contrastarnela diffusione e invitando i medici a nonrealizzare interventi di questo tipo inqualunque situazione, né negli ospedali néin qualsivoglia altro centro specializzato.Attualmente, le MGF sono praticate in 28paesi, per lo più africani, con prevalenzadi diffusione nell’Africa sub-saharianae <strong>nelle</strong> regioni del Nord Africa, ma conun’incidenza molto diversa nei singolicontesti nazionali. A questo propositobasti fare riferimento alle differenze cheintercorrono tra la diffusione della praticanell’Africa settentrionale e orientale, contassi di diffusione che arrivano a toccare il97/% in Egitto e l’80% in Etiopia, nell’Africaoccidentale, il 99% in Guinea, il 71% inMauritania, il 17% in Benin e il 5% inNiger, rispetto al Sud-Est, in cui si registrail 32% del Kenya e il 18% della Tanzania 56 .Il dato che oggi maggiormente rileva,anche per l’attenzione che si dedicaa questo problema, è rappresentatotuttavia dalla diffusione delle MGFin contesti prima non coinvolti,ma sempre più interessati in via direttadal fenomeno a seguito <strong>dei</strong> processi diinternazionalizzazione e, in particolare,dalle migrazioni./ Diritti <strong>umani</strong> e mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: implicazioni eorientamenti /La pratica delle mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> ha ricevuto molta attenzionenegli ultimi anni, sia a livello nazionale,nei paesi dove è tradizionalmente diffusae in quelli di immigrazione, sia sul pianointernazionale.Una delle questioni più dibattute concerneil ruolo che dovrebbe svolgere il dirittonel favorire il progressivo venir menodelle MGF e nel sanzionare coloro i quali,nonostante i divieti esistenti in moltipaesi, continuano a permettere il ricorsoa questa pratica o vi sono direttamentecoinvolti, agevolandone la reiterazione.Se una serie di evidenze storichesuggerisce inequivocabilmente che lalegge da sola non può cambiare unacondotta che sul piano sociale risultaessere così diffusa come il ricorso a formediversificate di MGF, la recente adozionein molti paesi di norme penali ad hoc hatuttavia dato spazio ad un processo diistituzionalizzazione e forte legittimazionedell’idea che attraverso il divieto si possafavorire la dismissione del ricorso a questepratiche, anche con l’obiettivo di favorireil processo di integrazione sociale dellecomunità tradizionalmente interessatedal problema nei paesi di immigrazione.Un’altra questione di rilievo concernel’inquadramento delle MGF fra le violazioni<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> di cui sono vittime ledonne e le bambine.56 Fonte Unicef, 2005.Tale lettura, pur essendo oggi accettatada tutti i soggetti istituzionali che ne sonoinvestiti a diversi livelli, non riceve unconsenso unanime, sebbene sia evidente ilcollegamento tra MGF e discriminazionidi genere, peraltro messo in luce,


APPROFONDIMENTI236negli ultimi anni, in tutti i documentisul tema, sia di carattere internazionaleche regionale. Ne deriva che l’esserele MGF pratiche consuetudinarieprofondamente radicate in taluni gruppietnici e nazionali non può costituireun’attenuante rispetto al fatto che essesono la manifestazione più conclamatadella disuguaglianza sociale di cui èvittima la donna ancora oggi.Tale disuguaglianza, con le MGF, si spingeinfatti fino alla necessità di marcarei corpi <strong>femminili</strong> con interventi chepossono risultare anche assai invasivi;questi interventi sono inoltre attuatisenza particolari attenzioni rispetto allanecessità di ridurre le conseguenzein termini di dolore e di funzionalitàdelle parti anatomiche interessate,oltre che senza un’adeguata attenzionealle situazioni traumatiche sul pianopsicologico che comportano, soprattuttoquando il decorso post-operatorio presentiproblemi di varia natura che provocanouna maggiore sofferenza per la donna e untempo maggiore di adattamento del corpoalle modificazioni collegate all’intervento.L’ottica <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> rispetto alle MGFoggi non si ferma al dato internazionaleo regionale, ma investe direttamente lescelte <strong>dei</strong> legislatori nazionali.In questo senso va anche la nostra attualenormativa: la Legge 9 gennaio 2006 n.7, recante Disposizioni concernenti laprevenzione e il divieto delle pratichedi mutilazione genitale femminile, sirichiama espressamente, oltre agliarticoli 2, 3 e 32 della Costituzione, aquanto sancito nella Dichiarazione enel Programma di azione adottati aPechino il 15 settembre 1995 nella quartaConferenza Mondiale delle NazioniUnite sulle donne, introducendo misurenecessarie per prevenire, contrastaree reprimere le pratiche di mutilazionegenitale femminile, in quanto consideraqueste ultime quali violazioni <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>fondamentali all’integrità della persona ealla salute delle donne e delle bambine.Tale orientamento si pone in linea congli obblighi derivanti dall’adozione di unaserie di trattati internazionali in materia di<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e risponde all’impegno che igoverni sottoscrivono con l’atto di ratificadegli stessi.La pratica delle mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> costituisce infatti una verae propria forma di ingiustizia sociale,attraverso la quale si viene di fatto anegare alle donne in quanto personedignità e autonomia. Per questo,inquadrare il problema delle mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> nella prospettiva<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> significa misurarsi con ladipendenza economica-sociale e l’assolutamancanza di potere delle donne in moltipaesi del mondo, nonostante si registrinonegli ultimi due decenni sensibilimodificazioni delle condotte socialiorientate ad una diversa considerazione<strong>dei</strong> soggetti <strong>femminili</strong> sul piano giuridico,culturale e anche sociale.In questo senso l’interdipendenza el’indivisibilità <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> politici e civili edi quelli economici, sociali e culturali,solennemente sancite dall’AssembleaGenerale delle Nazioni Unite, costituisconoil necessario punto di partenza per dareevidenza alle molteplici violazioni <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> che si realizzano con le MGF ealla complessità delle questioni chela reiterazione di queste condottesottende e implica.Un ruolo importante nello sviluppodi una sensibilità orientata ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>a riguardo delle MGF è stato giocato inquesti anni da molte Organizzazioni nongovernative (Ong) presenti nei paesidi origine come in quelli occidentali,che continuano a svolgere anche oggi,rispetto al processo di progressivoabbandono della pratica, attivitàdi promozione e diffusione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> e di cooperazione orientata


APPROFONDIMENTI237all’empowerment delle donne.Queste iniziative, sviluppate spessocon il sostegno delle Organizzazioniintergovernative, hanno favorito la presadi consapevolezza da parte <strong>dei</strong> governi<strong>dei</strong> paesi interessati della drammaticitàdi questo problema, denunciando leresponsabilità <strong>dei</strong> governi, che devonoprevenire e vietare questa pratica,e la loro inerzia o le loro negligenzerispetto alla realizzazione di strategie eazioni tese a modificare talune condottesociali funzionali alla reiterazionedi comportamenti discriminatori.Nella letteratura sulle MGF l’interesse perla pratica si è concentrato principalmentesul danno fisico e psicologico che derivadall’effettuazione di questi interventisui corpi delle donne e delle bambine.Ciò però non deve portare a porre insecondo piano l’essenza stessa dell’attomutilatorio, vale a dire la violazionedell’integrità fisica della donne, a cuisi collegano numerose altre violazionidi <strong>diritti</strong> fondamentali posti a tutela<strong>dei</strong> principi di dignità e libertà dellapersona umana e riconosciuti oggi comemeritevoli di protezione sul piano deldiritto interno e internazionale. Le MGFnon vanno perciò lette, anche sul pianogiuridico, solo come un problema dinatura medica e perciò esclusivamentecome un danno di tipo fisico e psicologico,bensì come una questione che investedirettamente l’affermazione del principiodi eguaglianza tra uomini e donne, ildivieto di discriminazione su base sessualee, in genere, la salvaguardia della libertà edella dignità delle donne e delle bambine.Già si è accennato al fatto che lacomunità internazionale ha iniziatoad occuparsi del problema delle MGFall’interno della prospettiva <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>con incredibile e imperdonabile ritardo.Saranno gli anni ‘90 a consacrare allapolitica tale questione che, letta nel noverodelle plurali manifestazioni della violenzacontro la donna, diverrà ad un certo puntocentrale nel dibattito sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delledonne, anche per le implicazioni rispettoal paradigma universalista e, nei paesidi immigrazione, al problema della tutela<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle minoranze con riguardosoprattutto alla libertà di espressionereligiosa. La Conferenza di Vienna sui<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> del 1993 ha rappresentato inquesto senso un passaggio fondamentale.Nella seconda metà degli anni ‘90 le MGFrientrano a pieno titolo tra le issue presentinell’agenda politica degli organismidel sistema <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> della comunitàinternazionale; la Dichiarazione congiuntadel febbraio 1996 sottoscritta dall’Unfpa,dall’OMS e dall’Unicef è esemplificativadell’orientamento con cui si andavasviluppando il dibattito:(...) La comunità internazionale non puòrimanere inerme di fronte a cotantaviolenza in nome di una distorta visionedel multiculturalismo. La cultura,infatti, non è statica ma in continuaevoluzione e i popoli devono mutare le loroabitudini e i loro comportamenti di fronteai pericoli e all’inutilità di certe pratichetradizionali, senza che questo significhirinunciare all’identità e all’integritàdella propria cultura.Sebbene non manchino voci di dissenso,con la Conferenza mondiale sui <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> di Vienna del 1993, la Conferenzainternazionale su popolazione esviluppo (ICPD) del Cairo del 1994e la Quarta Conferenza mondiale sulledonne (Conferenza di Pechino)del 1995 si realizza sul piano formale ilriconoscimento pieno delle MGFquali manifestazione della violenza controla donna; viene pertanto indicata lanecessità che gli Stati contrastinoqueste pratiche attraverso la previsionedi interventi orientati alla loro prevenzionee criminalizzazione, oltre che allaprotezione e alla reintegrazione socialedelle vittime.


APPROFONDIMENTI238Se la Conferenza di Vienna ha dato nuovoslancio alla campagna internazionale diprotezione e promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>delle donne iniziata nei primi anni Settantacon la I Conferenza internazionale sulledonne di Città del Messico, focalizzandol’attenzione soprattutto sul problemadella violenza, quella del Cairo harichiamato l’obbligo di eliminare tuttele forme di discriminazione sessuale,anche con l’obiettivo di smantellare tuttigli atti immorali o dis<strong>umani</strong>, tra cui leMGF, considerati lesivi <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>fondamentali ed estremamente rischiosiper la vita, la salute e il benessere didonne e bambine (paragrafo 7.35 delProgramma d’azione della Conferenzadel Cairo su Popolazione e sviluppo, 1994).giustificarne la violazione.Nel corso dell’assise internazionalematurò la consapevolezza chel’uguaglianza tra i due sessi non dovevaessere intesa come un fine, ma come unmezzo indispensabile per ottenere la pacee uno sviluppo più equo. In questo sensosi riconosceva perciò che il problema dellediscriminazioni tra uomini e donne dovevaessere ricondotto alle questioni inerentila giustizia sociale quale ambito entro ilquale inscrivere anche la problematicadella detenzione delle risorse come veicoloper l’acquisizione di quegli elementidi potere che proprio la mancanzadi autonomia economica non rendonopossibili sul piano sociale.Le argomentazioni della Conferenzadi Vienna sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> sono stateriprese durante la Quarta ConferenzaMondiale delle donne svoltasi a Pechinonel 1995. Si tratta di una Conferenzala cui valenza sul piano del dibattitointernazionale segna un momentodi ridefinizione complessivo delleproblematiche di genere. Il principalerisultato della Conferenza di Pechinoè stato quello di ripensare l’impegnoglobale in favore dell’attribuzionedi potere e responsabilità alle donnedel mondo intero, sollecitandoun’attenzione internazionale senzaprecedenti nei confronti di tutta unaserie di temi, primo fra tutti quello dellaviolenza, che a partire dalla conferenzadi Vienna ha costituito uno degli ambitidi maggior impegno politico per lapromozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle donneda parte della comunità internazionale.Nel corso della Conferenza di Pechinovenne ribadito il carattere universale<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle donne per cui,come era già stato dibattuto e sancitoproprio a Vienna nel 1993, nessunacultura, fede, religione o qualsivoglia tipodi appartenenza poteva in alcun modo/ Pratiche di mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e paradigma<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> /Lo sviluppo del paradigma <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>si deve soprattutto all’adozione di unnumero crescente di trattati internazionalisuccessivi alla Seconda guerra mondialeead una cospicua produzione di documentinon vincolanti sul piano giuridico madecisamente rilevanti sotto il profilodell’indirizzo politico.In generale, gli accordi di natura giuridicahanno cercato di stabilire standarduniversali riconoscendo una serie di <strong>diritti</strong>fondamentali e richiedendo ai governi diimpegnarsi affinché questi <strong>diritti</strong> venisseroriconosciuti, resi effettivi e protettiall’interno <strong>dei</strong> singoli ordinamenti.Il riconoscimento sul piano del dirittointerno di queste norme internazionalirappresenta un momento chiave per losviluppo stesso <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e perla loro piena affermazione, soprattuttoquando vi è la necessità di interventicomplessi sul piano della loro traduzione


239in policies, come può essere per le MGF,oggi anche nei paesi di destinazione<strong>dei</strong> migranti.La maggiore attenzione al problemadelle MGF come questione che investel’effettività <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle donne hafavorito lo sviluppo di un impegno semprepiù forte da parte sia dell’associazionismonon governativo che delle istituzioni,e ha portato allo sviluppo di un corredodi atti vincolanti e non, di carattere siainternazionale che regionale, a cui oggi cisi può richiamare.Le norme di riferimento più citate quandosi parla di MGF e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> sono quellecontenute nella Dichiarazione universale<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 57 , nel Patto internazionalesui <strong>diritti</strong> civili e politici 58 e nel Pattointernazionale sui <strong>diritti</strong> economici,sociali e culturali 59 relative alla dignitàdella persona, al principio di nondiscriminazione su base di genere,al diritto alla libertà personale, allaprotezione dai trattamenti in<strong>umani</strong>,al diritto alla salute. Un riferimentopiù diretto alle MGF si ritrova nellaConvenzione delle Nazioni unite perl’eliminazione di tutte le forme didiscriminazione nei confronti delledonne (CEDAW) 60 e nella Convenzioneinternazionale sui <strong>diritti</strong> dell’infanzia 61 .Questi trattati internazionali sono staticompletati da norme adottate a livello57 Adottata e proclamata dall’Assemblea Generaledelle Nazioni Unite con risoluzione 217A (III)del 10 dicembre 1948.58 Adottato dall’Assemblea Generale delle NazioniUnite il 16 dicembre 1966. Entrato in vigoreil 23 marzo 1976.59 Adottato dall’Assemblea Generale delle NazioniUnite il 16 dicembre 1966. Entrato in vigoreil 3 gennaio 1976.60 Adottata dall’Assemblea Generale delle NazioniUnite il 18 dicembre 1979. Entrata in vigoreil 3 settembre 1981.61 Adottata dall’Assemblea Generale delle NazioniUnite con Risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989.Entrata in vigore il 2 settembre 1990.regionale, compresa la Carta africanasui <strong>diritti</strong> dell’uomo e <strong>dei</strong> popoli 62 ,e specificamente nel Protocollo sui<strong>diritti</strong> delle donne 63 . Rileva inoltre,a livello europeo, la Convenzioneeuropea per la salvaguardia <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>dell’uomo e delle libertà fondamentali 64 ,che contiene disposizioni che tutelano i<strong>diritti</strong> delle donne attraverso il divieto didiscriminazione, l’affermazione del dirittoalla vita, il divieto di tortura, ecc. Vi è peròda dire che di questi trattati risultanoessere Stati parte molti paesi ove sipraticano le MGF.Altre fonti inerenti i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> che,pur non essendo vincolanti sul pianogiuridico, rilevano a livello internazionalecome impegni di natura politica per lalotta alle MGF sono la Dichiarazionesull’eliminazione della violenzacontro le donne 65 , che è stata adottatadall’Assemblea generale delle NazioniUnite nel 1993, e una serie di altridocumenti redatti a conclusionedelle Conferenze Mondiali soprarichiamate, come il Programma d’Azionedella Conferenza su popolazione e sviluppodel Cairo, la Dichiarazione di Pechino ela Piattaforma d’Azione, tutti atti nei qualisi chiede ai governi di adottare misureadeguate relativamente al problemadelle MGF e di cui si è fatto cenno sopra.È importante ricordare che la maggiorparte <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> protetti a livellointernazionale e contenuti anche innumerosi strumenti regionali trovanoAPPROFONDIMENTI62 Adottata a Nairobi il 28 giugno 1981 dalla Conferenza<strong>dei</strong> Capi di Stato e di Governo dell’Organizzazionedell’Unità Africana. Entrata in vigore il 21 ottobre 1986.63 Adottato a Maputo, Mozambico, l’11 luglio 2003, 2°sessione ordinaria dell’Assemblea dell’Unione Africana.Entrato in vigore l'11 novembre 2005.64 Adottata dal Comitato <strong>dei</strong> Ministri del Consigliod’Europa il 4 novembre 1950. Entrata in vigore il3 settembre 1953.65 Risoluzione dell’Assemblea Generale delle NazioniUnite 48/104.


APPROFONDIMENTI240riconoscimento a livello nazionale neglistrumenti giuridici interni. Ciò dovrebbetradursi nella possibilità per le donne diaccedere a sedi di giustiziabilità <strong>dei</strong> loro<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> violati nei paesi che sonoparte delle Convenzioni internazionali.Il problema della giustiziabilità <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> violati rappresenta oggi, per losviluppo dell’empowerment delle donnee del mainstreaming di genere,un passaggio fondamentale; infatti a frontedi un riconoscimento sul piano formaledel principio di non discriminazionesu base sessuale e <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> che nediscendono, oramai maturo e consolidato<strong>nelle</strong> fonti, sembra essere ancoraaperto il problema dell’accessodelle donne ai meccanismi della giustizia,e forse ancora in fieri quella presa diconsapevolezza di talune condizioni checonnotano l’esistenza delle donne e cherappresentano vere e proprie situazionidi vittimizzazione.Se si esaminano con più attenzione leimplicazioni sul piano <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle MGF,bisogna considerare che la responsabilitàdegli Stati di garantire il godimento <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> all’interno delle giurisdizioninazionali investe ambiti diversi.Dal 1980, il progressivo inquadramentodelle pratiche mutilatorie all’internodella questione delle discriminazionisu base sessuale e segnatamente dellaviolenza contro la donna, ha fatto sì che simettessero in luce numerosi ambitidi criticità sul piano <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> chesono intrinseci alle MGF.Sottoponendo ragazze e donne nonconsenzienti alle pratiche di mutilazione,le violazioni rinvenibili sul pianodel diritto internazionale riguardano<strong>diritti</strong> di natura diversa:−−il diritto a non subire discriminazioni;−−il diritto alla vita e all’integrità fisica;−−il diritto alla salute;−−il diritto a non subire tortura otrattamenti in<strong>umani</strong>, crudeli edegradanti;−−il diritto <strong>dei</strong> bambini a formedi protezione particolari informatedal principio del miglior interessedel fanciullo.A questa lista vanno poi aggiunti i <strong>diritti</strong>riproduttivi e sessuali, vale a dire:−−il diritto alla salute riproduttiva e allapianificazione familiare;−−il diritto di decidere il numero e lospazio di tempo tra un figlio e l’altro;−−il diritto ad acconsentire al matrimonio;−−il diritto alla privacy;−−il diritto a modificare tradizioni ecostumi che violano i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>delle donne;−−il diritto di vivere libere dalla violenzasessuale;−−il diritto di godere del progressoscientifico e di prendere parte asperimentazioni solo con il proprioconsenso libero e informato.Per quanto concerne il principio di nondiscriminazione, la norma di riferimentofondamentale quando si parla di MGFè la Convenzione per l’eliminazionedi ogni forma di discriminazione neiconfronti delle donne (CEDAW), sebbenequesto principio sia previsto anche daglistrumenti generalisti inerenti i <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, sia internazionali che regionali.L’articolo 1 della CEDAW definisce ladiscriminazione nei confronti delle donnein modo ampio come:Ogni distinzione, esclusione olimitazione basata sul sesso che abbiacome conseguenza, o come scopo,di compromettere o distruggere ilriconoscimento, il godimento o l’esercizioda parte delle donne, quale che sia il lorostato matrimoniale, <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> edelle libertà fondamentali in campo politico,


241economico, sociale, culturale e civile o inogni altro campo, su base di parità tral’uomo e la donna.Tale Convenzione è rilevante rispetto alproblema delle mutilazioni anche agliartt. 5 e 12. Più specificamente l’art. 5 siriferisce all’obbligo degli Stati parte diadottare misure idonee a:Modificare gli schemi e i modelli dicomportamento socio-culturale degliuomini e delle donne e giungere ad unaeliminazione <strong>dei</strong> pregiudizi e delle praticheconsuetudinarie o di altro genere, che sianobasate sulla convinzione dell’inferioritào della superiorità dell’uno o dell’altrosesso o sull’idea di ruoli stereotipati degliuomini e delle donne, e finalizzate a farsì che l’educazione familiare contribuiscaalla comprensione che la maternità è unafunzione sociale e che uomini e donne hannoresponsabilità comuni nella cura di allevare ifigli e di assicurare il loro sviluppo, restandointeso che l’interesse <strong>dei</strong> figli è in ogni casola considerazione principale.L’art. 12 riguarda invece la protezione dalladiscriminazione per le donne nel campodelle cure sanitarie, al fine di garantire,in condizione di parità, i mezzi peraccedere ai servizi sanitari, compresiquelli che si riferiscono alla pianificazionefamiliare. Gli Stati parte si obbliganoinoltre a fornire alle donne, durante lagravidanza, al momento del parto e dopo ilparto, i servizi appropriati e, se necessario,gratuiti, e una alimentazione adeguatasia durante la gravidanza che durantel’allattamento.Il Comitato per l’eliminazione di ogni formadi discriminazione nei confronti delledonne (CEDAW), organo di origine pattiziache assolve alla funzione di controllarel’attuazione della omonima Convenzione,è più volte intervenuto con riferimentoalla pratiche consuetudinarie lesive <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> delle donne, qualificandole comepratiche di discriminazione, oltre che<strong>nelle</strong> Concluding Observations redatte inoccasione della presentazione <strong>dei</strong> rapportiperiodici di Stati investiti dal problema,anche in più General Recommendations.Tra queste la più significativa è la n. 14,dedicata alla circoncisione femminile 66 ;rilevanti in tema di MGF sono però anchela n. 19, sul problema della violenza 67 ,e la n. 24 68 , dedicata al rapporto donnae salute, nella quale il Comitato haraccomandato che i governi elaborinopolitiche sanitarie che tengano conto delleesigenze delle bambine e delle adolescentiappartenenti a gruppi vulnerabili rispettoalle pratiche tradizionali come le MGF.Le MGF sul piano culturale rispondonoanzitutto all’esigenza di controllare lasessualità delle donne con l’obiettivodi mantenere inalterata la condizionedi subordinazione e dipendenza rispettoal marito, attraverso un marcatoreidentitario, la mutilazione, che puòdivenire elemento di riconoscimentosociale dell’appartenenza ad unadeterminata comunità, ma anche vettoredi esclusione e stigmatizzazione nelcaso in cui una donna non sia mutilata,o ancora di allontanamento dai processidi integrazione sociale nei paesi diimmigrazione. Perciò ogni qual volta unadonna viene mutilata si è di fronte ad unatto di discriminazione su base sessualeestremamente grave per le conseguenzeche ne derivano, non solo sul pianodella salute e della vita riproduttiva,ma anche sotto altri profili che investonocomplessivamente la libertà e la dignitàdella persona anche oltre la sfera dellasoggettività individuale, interessandoAPPROFONDIMENTI66 Cedaw, General Recommendation 14, 9a sessione1990, UN Doc. HRI/GEN/1/Rev.5 (2001).67 Cedaw, General Recommendation 19, 11a sessione1992, UN Doc. HRI/GEN/1/Rev.5 (2001).68 Cedaw, General Recommendation 24, 20a sessione1999, UN Doc. HRI/GEN/1/Rev.5 (2001).


APPROFONDIMENTI242l’ambito del riconoscimento del suoruolo sociale.Il problema rimane ovviamente quellodella debolezza della donna proprio sulpiano sociale in molti contesti, della scarsacapacità di negoziazione del soggettofemminile all’interno della famiglia in temadi gestione delle risorse e della comunità,in quanto soggetto sostanzialmentedipendente, anche al di fuori <strong>dei</strong> circuitidell’economia di mercato, dall’uomo o daimeccanismi della globalizzazione edal progressivo impoverimento che questihanno creato in molte zone del mondo,in primis l’Africa.Le MGF pongono inequivocabilmente apregiudizio la vita e l’integrità fisica.Si tratta di beni protetti dagli ordinamentiinterni di tutti i paesi e generalmenteritenuti indisponibili, vale a dire che anchenel caso in cui le MGF riguardino donneadulte consenzienti, in linea di massimasi tratta di un consenso non ammesso,poiché dall’atto mutilatorio derivanodanni permanenti e gravi. I <strong>diritti</strong> allavita e all’integrità fisica sono consideratifondamentali nel codice <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> ein certa misura indisponibili.Il diritto alla vita cosi come il divietodi tortura e di trattamenti in<strong>umani</strong>, crudelie degradanti sono enunciati in numerositrattati sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, tra cui il Pattosui <strong>diritti</strong> civili e politici rispettivamenteagli artt. 6 e 7.Il Comitato <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, l’organismo checontrolla l’attuazione del Patto attraversoil sistema di reporting e mediante larealizzazione di General Comments prodottianche sulla base delle segnalazioni chegli pervengono attraverso il meccanismodelle comunicazioni individuali,ha esplicitamente riconosciuto chel’obbligo per i governi derivantedalla ratifica al Patto stesso relativamenteal diritto alla vita implica l’adozionedi misure idonee a preservarla.Le MGF possono configurare unaviolazione del diritto alla vita nei casi in cuila realizzazione della pratica mutilatoriaprovochi la morte. Il diritto all’integritàfisica, spesso associato al diritto di nonsubire tortura o trattamenti in<strong>umani</strong>,crudeli o degradanti, tocca un numero piùampio di principi inerenti i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>,tra cui quello dell’intrinseca dignitàdella persona, e perciò il diritto alla libertàe alla sicurezza e il diritto alla privacy.Atti di violenza che possono rappresentareuna minaccia per la sicurezza delledonne e delle bambine, come le MGF,si realizzano nell’ambito di violazionidel diritto all’integrità fisica.Collegato al diritto all’integrità fisica èanche il diritto di assumere delle decisioniin modo indipendente su questioni checoncernono la propria esistenza.Le MGF di fatto sono un atto che prescindedalla volontà <strong>dei</strong> soggetti che ne sonocoinvolti, per le modalità con cui sirealizzano e per il significato socialeche assumono soprattutto in certi paesi.È evidente infatti come la realizzazionedelle pratiche mutilatorie si traduca,anche sul piano materiale, in un attodi coercizione fisica e di disprezzo moraledel corpo della donna che senza dubbioimplica un livello di violenza definibilecome atto di tortura.Per questo il Comitato <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> siè espresso in merito alle MGF in piùoccasioni rilevando la necessità chegli Stati riconoscano il rischio di subirequeste pratiche come condizione idonea alriconoscimento dello status di rifugiato 69 .Per quanto concerne il diritto alla salute,è necessario far riferimento all’art. 12del Patto sui <strong>diritti</strong> economici, sociali eculturali, ove si stabilisce che gli individuihanno il diritto di godere del massimolivello raggiungibile di standard di salute69 UN. DOC. CCPR/CO/72/NET, 20 luglio 2001.


APPROFONDIMENTI243fisica e mentale. Tale articolo è rilevanteanche al 2° comma, laddove si chiedeagli Stati di provvedere allo sviluppodella salute del minore.Le complicazioni associate alle MGFspesso hanno gravi conseguenze sullasalute fisica e mentale di chi ne èvittima. Vi è inoltre da considerare chele pratiche mutilatorie <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, realizzandosi al di fuoridi indicazioni mediche di tipo terapeutico,comportano sempre una lesionedel diritto alla salute.Se si considera che sono i soggetti diminore età quelli più esposti al rischiodi subire le MGF, è evidente che lasalvaguardia <strong>dei</strong> loro <strong>diritti</strong> alla vita,all’integrità fisica, alla sicurezza e allasalute possono richiedere forme specialidi protezione in contesti dove vi è unparticolare rischio di subire le MGF.La Convenzione internazionale per i <strong>diritti</strong>dell’infanzia definisce all’art. 1 il minorecome una persona di età inferiore ai 18anni, salvo nel caso in cui abbia raggiuntoprima la maturità in virtù della legislazioneapplicabile. Di particolare rilevanza risultaessere in questo trattato l’art. 3,che introduce il “principio del migliorinteresse del minore”. È evidentel’incompatibilità esistente tra lasalvaguardia di questo principio e lepratiche mutilatorie, per i danni che esseproducono sul piano fisico e psicologico eper la lesione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> fondamentali cheesse implicano.La comunità internazionale hageneralmente riconosciuto le MGF comeuna violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> del minore,in quanto generalmente effettuate susoggetti di età inferiore ai 12 anni, ritenutiincapaci di esprimere un libero consenso.Ma il corredo di norme della Convenzionedel 1989 che possono entrare in giocorispetto al fenomeno delle MGF è moltopiù esteso. L’art. 24 chiede ai governi diriconoscere il diritto del minore digodere del miglior stato di salutepossibile e di beneficiare di servizimedici e di riabilitazione.Questo obbligo si integra con la previsionedi misure atte a garantire che nessunminore sia privato del diritto di avereaccesso a tali servizi. Al comma 3lo stesso articolo prevede espressamenteche gli Stati Parti adottino ogni misuraefficace atta ad abolire le pratichetradizionali pregiudizievoli per la salute<strong>dei</strong> minori e si impegnino a favoriree a incoraggiare la cooperazioneinternazionale per realizzaregradualmente una completa attuazionedel diritto riconosciuto in tale articolo.A tal fine saranno tenute in particolareconsiderazione le necessità <strong>dei</strong> paesi invia di sviluppo (art. 24.4). La Convenzioneprevede inoltre l’obbligo di protezione<strong>dei</strong> minori da ogni forma di abuso,sfruttamento e di tortura. Misure analoghesono peraltro contenute anche nellaCarta africana sui <strong>diritti</strong> e il benesseredel fanciullo, che è stata adottatadall’Unione Africana nel 1990 70 .Quando si affronta il problema delle MGFin relazione ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> è necessarioconsiderare la dimensione etnicadi questo fenomeno. Per questo anche laConvenzione contro la discriminazionerazziale può costituire uno strumentodi riferimento 71 . In particolare l’art. 5(b)stabilisce, sulla base degli obblighiprevisti all’art. 2 della stessa Convenzione,l’impegno per gli Stati contraenti di vietareed eliminare la discriminazione razziale intutte le sue forme e garantire a ciascunoil diritto all’eguaglianza dinanzi alla70 African Charter on the Rights and Welfare of theChild, OAU Doc. CAB/LEG/24.9/49 (1990), entrata invigore il 29 novembre 1999. Riferimenti nella partesuccessiva del testo.71 Adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre1965. Entrata in vigore il 4 gennaio 1969.


APPROFONDIMENTI244legge senza distinzione di razza, coloreod origine nazionale o etnica e a goderedi una serie di <strong>diritti</strong> esplicitamentemenzionati nello stesso articolo, tra cuiil diritto alla sicurezza personale e allaprotezione dello Stato contro le violenzeo le sevizie da parte sia di funzionarigovernativi, sia di ogni individuo, gruppoo istituzione e il diritto alla sanità, allecure mediche, alla previdenza sociale e aiservizi sociali.Il Comitato istituito dalla Convenzioneha considerato la dimensione di generecollegata alla discriminazione razzialenella General Recommendation n. 25 72 .Si tratta di un documento moltoimportante che ha introdotto il dibattitosulle discriminazioni multiple negliorganismi di origine pattizia delle NazioniUnite, segnalando l’urgenza di consideraresempre i profili di genere <strong>dei</strong> fenomenidiscriminatori e il loro impatto sullacondizione femminile <strong>nelle</strong> diverse materiedi cui si occupano le singole istituzioni./ Gli sviluppi più recenti nellapromozione e protezione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> delle donne: le praticheconsuetudinarie nel Protocollosulle donne alla Carta africanasui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e <strong>dei</strong> popoli /Il Protocollo sulle donne alla Cartaafricana sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e <strong>dei</strong> popoliadottato a Maputo l’11 luglio 2003nel corso della 2ª sessione ordinariadell’Assemblea dell’Unione Africanaintroduce misure ad hoc in materiadi discriminazione femminile, riprendendol’art. 2 della Carta africana sui <strong>diritti</strong>72 General Recommendation n. 25, Gender relateddimension of racial discrimination, (56a session, 2000).dell’uomo e <strong>dei</strong> popoli che sancisceil principio di eguaglianza a prescindereda ogni differenza basata su razza,appartenenza etnica, colore, sesso,lingua, religione, opinione politica o altra,origine nazionale e sociale, fortuna,nascita o altra condizione. L’art. 18della Carta africana rivolge inoltre unpreciso appello agli Stati Parti affinchéeliminino ogni discriminazione contro ledonne e garantiscano la protezione<strong>dei</strong> loro <strong>diritti</strong> come stabiliti <strong>nelle</strong>Dichiarazioni e Convenzioni internazionali.Il Protocollo risponde complessivamentealla necessità di riconoscere un’attenzionespecifica ai <strong>diritti</strong> delle donne allaluce degli strumenti internazionali sui<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> rivolti alla tutela e allapromozione della condizione femminile,declinando però nel contempo il principiodi non discriminazione nel quadro dellaspecificità del contesto e delle cultureafricane. E questo è sicuramentel’elemento più significativo di questointeressante accordo, il cui testo sembraben conciliare inclinazioni di stampouniversalistico con esigenze di tipoparticolaristico.L’intero testo normativo è perciòsostanzialmente caratterizzato dallatensione verso i valori universali e dallanecessità di trattare la condizione delladonna africana come una condizioneunica, che richiede forti correzioni sottoil profilo <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e un’adeguataattenzione alla salvaguardia del propriopatrimonio culturale e sociale.Come la Carta africana sui <strong>diritti</strong> e ilbenessere del fanciullo, il Protocollosulle donne è volto anzitutto ad enunciareuna serie di <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> in un’otticaantidiscriminatoria.Nel testo si richiamano non solo il codiceinternazionale <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e leconvenzioni ad hoc previste per le donne,ma anche quelle risoluzioni e dichiarazioniche in questi ultimissimi anni hannosostanzialmente tradotto in termini politici


APPROFONDIMENTI245e di soft law alcuni elementi del dibattitopiù recente sulla condizione femminile.Trovano perciò menzione i Piani d’Azionedelle Nazioni Unite su ambientee sviluppo (1992), sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> (1993),su popolazione e sviluppo (1994) esullo sviluppo sociale (1995), la Risoluzione1325 (2000) del Consiglio di Sicurezzadelle Nazioni Unite sul ruolo delle donnenella promozione della pace e dellasicurezza, il principio della promozionedell’uguaglianza di genere contenutonell’Atto costitutivo dell’Unione Africanacosì come nella Nuova partnership per losviluppo dell’Africa, la Piattaforma d’Azioneafricana e la Dichiarazione di Dakardel 1994, nonché la Piattaforma d’Azionedi Pechino del 1995.Nel Preambolo vi è un esplicito riferimentoal tema della violenza contro la donna ealla centralità della funzione che le donnerivestono nel preservare i valori africani,fondati sui principi di uguaglianza, pace,libertà, dignità, giustizia, solidarietà edemocrazia. L’esigenza di eguaglianzaassume in questa parte del testo toniquasi pedagogici laddove si riconosce cheogni pratica che impedisce o danneggiala normalità della crescita e colpiscelo sviluppo fisico e psicologico delledonne e delle bambine dovrebbe esserecondannata ed eliminata.È questa una materia assai delicatanel panorama culturale africano,essendo molteplici le pratiche socialidi carattere consuetudinario lesive,proprio ai sensi del diritto internazionale<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> fondamentalidella donna e della bambina.Il Protocollo si sviluppa in 32 articoli cheregolano materie molto delicate e rilevantiper la condizione femminile. Si trattadi norme estremamente interessanti,oltre che per i contenuti concernentiuna molteplicità di situazioni del tuttomeritevoli di attenzione sul piano dellapromozione e della protezione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>della donna africana, anche per laspecificità con cui vengono trattatedal legislatore 73 .Nell’articolato un’attenzione particolareviene riservata sia al problemadelle mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> cheall’istituto del matrimonio, che comeè noto, molto spesso ha ancora naturapoligamica.All’art. 5, gli Stati Parti proibiscono econdannano ogni forma di pratichepregiudizievoli che si ripercuotononegativamente sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>delle donne e contrari agli standardinternazionalmente riconosciuti.Gli Stati Parti sono inoltre tenuti adadottare ogni misura legislativa odi altro tipo per eliminare tali pratiche,comprese le seguenti:/ A / sensibilizzazione in tutti i settorisociali in tema di pratiche pregiudizievoliattraverso l’informazione, l’educazioneformale e informale e programmidi recupero;73 Articolo 2 Eliminazione della discriminazione controle donne; Articolo 3 Diritto alla dignità; Articolo 4Diritti alla vita, all’integrità e alla sicurezza dellapersona; Articolo 5 Eliminazione delle pratichepregiudizievoli; Articolo 6 Matrimonio; Articolo 7Separazione, divorzio e annullamento del matrimonio;Articolo 8 Accesso alla giustizia e pari protezione davantialla legge; Articolo 9 Diritto di partecipare ai processipolitici e decisionali; Articolo 10 Diritto alla pace;Articolo 11 Protezione delle donne nei conflitti armati;Articolo 12 Diritto all’educazione e alla formazione;Articolo 13 Diritti di cittadinanza sociale ed economica;Articolo 14 Diritti in materia di salute e saluteriproduttiva; Articolo 15 Diritto alla sicurezza alimentare;Articolo 16 Diritto ad un alloggio adeguato; Articolo 17Diritto ad un contesto culturale positivo; Articolo 18Diritto ad un ambiente sano e sostenibile; Articolo 19Diritto ad uno sviluppo sostenibile; Articolo 20 Dirittidelle vedove; Articolo 21 Diritto ad ereditare; Articolo 23Protezione speciale delle donne con disabilità;Articolo 24 Protezione speciale per le donne in statodi bisogno; Articolo 25 Garanzie; Articolo 26 Applicazionee vigilanza; Articolo 27 Interpretazione; Articolo 28Firma, ratifica e accessioni; Articolo 29 Entrata in vigore;Articolo 30 Emendamenti e revisione; Articolo 31 Valoredel Protocollo; Articolo 32 Norme transitorie.


APPROFONDIMENTI246/ B / proibizione, anche attraversoprovvedimenti legislativi forniti diadeguata sanzione, di tutte le formedi mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>,scarificazioni, trattamento medico oparamedico delle mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e ogni altra pratica, al finedi sradicarle;/ C / previsione delle forme necessariedi sostegno alle vittime delle pratichepregiudizievoli attraverso servizi essenzialiquali servizi medici, legali, sostegnogiudiziario, assistenza emotiva e psicologica,nonché formazione professionale al finedi rendere le donne capaci di sostenersireciprocamente;/ G / il diritto all’educazione,alla pianificazione familiare.Gli Stati Parti assumono misure adeguateal fine di:/ A / fornire servizi sanitari adeguati, a buonprezzo e accessibili, compresi programmidi informazione, di educazione edi comunicazione per le donne, in particolarele donne in aree rurali;/ B / istituire e rafforzare i servizi sanitari enutrizionali per il parto e le fasi pre epost-parto e prenatali già esistenti per ledonne durante la gravidanza e l’allattamentoal seno;/ D / protezione delle donne che corronoil rischio di essere sottoposte a pratichepregiudizievoli o ad ogni altra formadi violenza, abuso e intolleranza.L’art. 14 concerne i <strong>diritti</strong> in materiadi salute e salute riproduttiva,comprendenti:/ A / il diritto al controllo sulla propriafertilità;/ B / il diritto di decidere se avere o nonavere figli, il numero di figli e la distanza trauna gravidanza e l’altra;/ C / il diritto di scegliere l’uno o l’altromezzo di contraccezione;/ D / il diritto di tutelarsi e di essere tutelatein relazione alle infezioni sessualmentetrasmissibili, compreso l’HIV/AIDS;/ E / il diritto di ogni donna ad essereinformata in merito al proprio stato di salutee allo stato di salute del proprio partner,in particolare nel caso sia affettoda infezione sessualmente trasmissibile,compreso l’HIV/AIDS, nel rispettodegli standard e delle migliori praticheinternazionalmente riconosciuti;/ C / proteggere i <strong>diritti</strong> riproduttivi delledonne autorizzando l’aborto terapeutico neicasi di violenza sessuale, stupro, incestoe quando portare avanti la gravidanzacomprometterebbe la salute mentale e fisicadella donna o la vita della donna o del feto.La nozione di discriminazione adottatadal Protocollo è contenuta all’art. 1 ericalca quella prevista dalla Convenzionedelle Nazioni Unite sull’eliminazione diogni forma di discriminazione nei confrontidelle donne. Al punto f) questo articolospecifica che:Discriminazione contro le donne significaogni distinzione, esclusione o restrizioneo qualsiasi trattamento differenzialebasato sul sesso il cui scopo o il suoeffetto sia compromettere o distruggere ilriconoscimento, il godimento o l’esercizioda parte delle donne, indipendentementedalla loro condizione maritale, <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> e delle libertà fondamentali inqualunque sfera della vita.Si tratta di una norma che rispetto a quellacorrispondente proposta nella CEDAW,oltre a specificare la questionedella condizione maritale, fa esplicitoriferimento ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> senza


APPROFONDIMENTI247distinguere tra <strong>diritti</strong> di natura civilee politica e <strong>diritti</strong> economici, sociali eculturali, ma che sostanzialmente neriprende l’impianto.Per ciò che concerne il sistema dellegaranzie vi è da segnalare che conl’adozione del Protocollo gli Stati Parti siimpegnano a fornire appropriati rimedilegali a vantaggio di qualunque donna icui <strong>diritti</strong> e libertà riconosciuti in questoaccordo siano stati violati, nonché adassicurare che tali rimedi siano decisidalle competenti autorità giudiziarie,amministrative o legislative (art. 25).Il meccanismo di applicazione e vigilanzaè regolato all’art. 26, che espressamentesancisce l’obbligo per gli Stati di indicarenei rapporti periodici presentati ai sensidell’art. 62 della Carta africana le misurelegislative e di altro tipo intraprese perla piena realizzazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> quiriconosciuti. Gli Stati Parti si impegnanoinoltre ad adottare ogni misura necessariaper la piena ed effettiva attuazione <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> riconosciuti in questo strumento./ La responsabilità degli Statirispetto alle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /Anche con riferimento al codice <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> sono state proposte argomentazioniin qualche modo a giustificazione senon a sostegno delle MGF.In particolare il riferimento ai <strong>diritti</strong>culturali, a quelli delle minoranze ealla libertà di espressione religiosa hasollevato una serie di polemiche sulruolo che le donne hanno all’interno <strong>dei</strong>gruppi etnici o nazionali che praticano leMGF. In questo senso il conflitto investeil problema del bilanciamento tra <strong>diritti</strong>individuali e <strong>diritti</strong> <strong>dei</strong> gruppi. Ma sembradavvero difficile poter in qualche modoaccreditare talune forme di relativismoculturale che si spingono fino allarivendicazione di pratiche consuetudinariecosì in evidente conflitto con il rispettodella dignità della persona umana e conl’eliminazione di ogniforma di discriminazione nei confrontidelle donne.Tale questione è oggi oggetto di dibattitoin molti paesi occidentali poiché, a seguito<strong>dei</strong> processi migratori, il problema dellacompatibilità di una serie di costumi epratiche con il sistema normativo <strong>dei</strong>paesi di accoglienza si presenta consempre maggior insistenza, soprattuttocon riferimento alla poligamia.Appare comunque del tutto scollegatadal paradigma <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>quell’interpretazione per la quale taluni<strong>diritti</strong> delle minoranze, ad esempioquello a veder salvaguardata la libertà diespressione della propria cultura e dellareligione, non debbono in nessun modoesser regolati dall’intervento <strong>dei</strong> governi.Ciò assume un rilievo particolare alla lucedegli obblighi che il diritto internazionale<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> crea rispetto al problemadella violenza contro la donna. In questosenso è utile fare riferimento allo studiodel Segretario Generale delle Nazioni unitedel 2006 74 . Si tratta di un documento che,oltre a sistematizzare questa materia allaluce del paradigma <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, pone inevidenza le ricadute per gli ordinamentiinterni degli obblighi derivanti dalla ratificadi trattati internazionali e regionali cherilevano rispetto al tema della violenza eperciò anche delle MGF.È evidente che di fronte a pratiche chepregiudicano potenzialmente la vita delledonne e delle bambine, la lorosicurezza, la loro integrità psico-fisica e74 General Assembly, In depth study on all formsof violence against women, Report of the SecretaryGeneral, A/61/122/Add.1, 6 luglio 2006.


APPROFONDIMENTI248la loro salute, esiste un preciso obbligodi prevenire questi atti, di proteggere levittime e di perseguire coloro i quali sirendono responsabili di tali violazioni.Spetta perciò ai governi decidere in chemodo contrastare le MGF e dare effettivitàa tutta una serie di norme derivantidal diritto internazionale e dai trattatiregionali, pur nel rispetto <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delleminoranze e <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> culturali di cui ognipopolo è portatore.Un approccio incentrato sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>guarda al problema delle MGF come aduna questione di giustizia sociale e ditutela complessiva <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> delle donne.Ma quale è la misura del dovere<strong>dei</strong> governi nazionali di garantire alledonne e alle bambine l’esercizio <strong>dei</strong> loro<strong>diritti</strong>, e perciò anche l’accesso alle sedidi giustiziabilità, rispetto alla volontàdi sottrarsi alle pratiche mutilatorie?Bisogna partire dal presupposto che lamessa a punto di norme e di politicheorientate a favorire l’abbandono di questepratiche costituisce un obbligo per gli Statimembri delle Convenzioni internazionalisui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e un diritto delle personea rischio di subire le mutilazioni.Più specificamente, occorre tenere contodel fatto che è ormai stabilito ai sensi deldiritto internazionale che la violenza controle donne è una forma di discriminazionee una violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Daquesto riconoscimento deriva il dovereper gli Stati di rispettare, proteggere epromuovere i <strong>diritti</strong> delle donne. Taleassunto si declina rispetto alla violenzacome attribuzione di responsabilità diprevenire, indagare e perseguire tuttele forme di violenza e proteggere ledonne da tali atti, anche mediante laperseguibilità penale e il riconoscimentodella colpevolezza degli autori. Gli Statimembri sono responsabili in base al dirittointernazionale delle violazioni <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> e degli atti di violenza perpetraticontro le donne da parte dello Stato o dauno <strong>dei</strong> suoi agenti. Tale responsabilitàè collegata non solo alle azioni postein essere da agenti statali, ma anchealle omissioni e alla scarsa effettivitàdelle misure adottate per la protezionee promozione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Gli Statimembri perciò non solo devono astenersidal commettere violazioni <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>attraverso i propri agenti, ma hanno ancheil dovere di impedire che i privati ponganoin essere tali violazioni, così come hannouna precisa responsabilità a riguardodelle indagini e della previsione dinorme penali adeguate a sanzionare icolpevoli e a risarcire le vittime. Perciò laresponsabilità statuale in materia di MGFimplica per gli Stati membri l’applicazionedel principio della diligenza dovuta nellaprevenzione, investigazione, punizionedi tali atti e risarcimento per le vittime.A conclusione di queste brevi osservazioniva ricordato che il dovere di garantireun ordine sociale in grado di garantire i<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> universalmente riconosciutiè rinvenibile già nella Dichiarazioneuniversale, laddove si riconosce che:Ogni persona ha diritto a un contesto socialee ad ordine internazionale in cui i <strong>diritti</strong> ele libertà enunciate in questa Dichiarazionepossano essere pienamente realizzati.Tale disposizione implica che i governihanno il dovere di identificare gli ambitidi intervento sociale ed economico chepossono aiutare l’implementazione el’effettività <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> per quei gruppiche presentano particolari situazioni divulnerabilità. L’abbandono delle MGF saràpossibile solo attraverso la costruzionedi livelli diversi di consapevolezza, da partedelle comunità circa i danni che essecomportano per la salute femminile, e daparte delle donne attraverso l’adozionedi misure che riconoscano la loro dignitàsul piano sociale a partire dai <strong>diritti</strong>riconosciuti oggi a livello internazionale.In questo senso l’empowerment delledonne, come processo di ricerca di nuovi


APPROFONDIMENTI249livelli di autonomia a livello personalee riconoscimento del ruolo socialerappresenta probabilmente la strada dapercorrere per contrastare la reiterazionedi condotte che non solo non sembranoconoscere un ridimensionamento sulpiano quantitativo così sensibile da indurrea pensare ad un progressivo abbandono,ma che al contrario si diffondono incontesti sociali estranei, provocando unallargamento delle fratture già esistentitra donne mutilate e non.−−Convenzione contro la tortura e altritrattamenti o punizioni in<strong>umani</strong>,crudeli e degradanti, adottata e apertaalla firma, ratifica e accessioneil 10 Dicembre 2004 (G.A. Res. 39/46,entrata in vigore il 26 giugno 1987).−−Convenzione sui <strong>diritti</strong> del fanciullo,adottata il 20 novembre 1989(G.A., Res. 44/25. UN GAOR 44thSession, Supp.No. 49. UN Doc. A/44/49,entrata in vigore il 2 settembre 1990)./ Trattati internazionali e regionalisui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> rilevanti in materia dimutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> /Trattati internazionali−−Dichiarazione universale <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, adottata il 10 Dicembre 1948(G.A., Res. 217. UN Doc. A/810).−−Convenzione relativa allo statusdi rifugiato, adottata il 28 Luglio 1951(entrata in vigore il 22 aprile 1954).−−Protocollo relativo allo status dirifugiato, adottato il 31 Gennaio 1967(entrato in vigore il 4 ottobre 1967).−−Patto internazionale sui <strong>diritti</strong> civili epolitici, adottato il 16 dicembre 1966(entrato in vigore il 23 marzo 1976).−−Patto internazionale sui <strong>diritti</strong>economici, sociali e culturali, adottatoil 16 Dicembre 1966 (entrato in vigoreil 3 gennaio 1976).−−Convenzione per l’eliminazionedi ogni forma di discriminazione neiconfronti delle donne, adottatail 18 Dicembre 1979 (entrata in vigoreil 3 settembre 1981).Trattati regionali−−Convenzione europea per la protezione<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e delle libertàfondamentali, adottata il 4 Novembre1950 dal Consiglio d’Europa (entratain vigore il 3 settembre 1953).−−Convenzione americana sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>(entrata in vigore il 18 luglio 1978).−−Carta Africana sui <strong>diritti</strong> dell’uomo e<strong>dei</strong> popoli (Banjul Charter), adottatail 27 Giugno 1981. (Organizzazionedell’Unità Africana, Doc. CAB/LEG/67/3/Rev. 5 (1981), entrata in vigoreil 21 ottobre 1986).−−Carta Africana sui <strong>diritti</strong> e il benesseredel minore, adottata l’11 Luglio 1990.(Organizzazione dell’Unità Africana.Doc. CAB/LEG/24.9/49, entrata in vigoreil 29 novembre 1999).− − Protocollo alla Carta Africana sui<strong>diritti</strong> dell’uomo e <strong>dei</strong> popoli sui <strong>diritti</strong>delle donne, adottato l’11 Luglio 2003dall’Assemblea dell’Unione Africana(entrato in vigore il 25 novembre 2005).


251/ Aspetti medico –legali della leggen. 7/2006 e doveredi segnalazionedi reaTO all’aUTORITàgiudiziaria /di Anna Aprile*e Giorgia Ducolin**La legge 9 gennaio 2006, n. 7, Disposizioniconcernenti la prevenzione ed il divietodelle pratiche di mutilazione genitalefemminile, si prefigge, tra i suoi scopi,di attuare misure finalizzate a prevenire,contrastare e reprimere le pratichedi mutilazione <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.Tali misure si realizzano, secondoil dettato normativo, attraversola sensibilizzazione <strong>nelle</strong> comunità arischio, la formazione <strong>dei</strong> professionistidella salute, l’informazione del personalescolastico, al fine di garantire laprevenzione, il monitoraggio del fenomenoe la diffusione di una cultura che contrastie reprima tali pratiche nel territorioitaliano e all’estero – in tal caso,qualora si tratti di fatto commessoda cittadini italiani o stranieri residentiin Italia – all’interno di un programmacoordinato a livello internazionale.La stessa legge sancisce in modospecifico l’illegittimità di tali pratiche.* Dipartimento di Medicina ambientale e sanitàpubblica – Sede di Medicina Legale Università degli Studidi Padova** Medicina Legale – ULSS 16 PadovaDi seguito, dopo una breve disaminadella legge 75 , si propongono alcuneconsiderazioni in riferimento ai doveridi segnalazione del professionistadella salute all’autorità giudiziariache discendono dall’introduzionedell’art. 583-bis previsto all’art. 6.L’art. 1 di suddetta legge richiama ifondamenti costituzionali sui quali sifondano i presupposti di tutela di donne ebambine, ovvero i principi secondo i qualila Repubblica si pone a garanzia dellatutela <strong>dei</strong> “<strong>diritti</strong> inviolabili dell’uomo”,della “pari dignità sociale” e della “salutecome fondamentale diritto dell’uomo edinteresse della collettività”, come sancitorispettivamente dagli artt. 2, 3 e 32della Costituzione italiana 76 .Vengono affidate al Dipartimento per lepari opportunità funzioni di promozionee coordinamento delle attività finalizzatealla prevenzione, assistenza alle vittime,APPROFONDIMENTI75 Per un esame degli aspetti medico-legali dellanorma in questione rinviamo anche a Rodriguez D.,Arseni A., Aprile A., “Riflessioni minime sulla legge7/2006 volta a prevenire, contrastare e reprimere lepratiche di mutilazione genitale femminile”, in Rivistadi diritto delle professioni sanitarie, 8, 146-152, 2005 e aGentiluomo A., Piga A., Kustermann A., “<strong>Mutilazioni</strong><strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: la risposta giudiziaria”, in Rivistaitaliana di medicina legale, 21, 1124-3376, 2008.76 Art. 2. Cost. La Repubblica riconosce e garantiscei <strong>diritti</strong> inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia <strong>nelle</strong>formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, erichiede l'adempimento <strong>dei</strong> doveri inderogabilidi solidarietà politica, economica e sociale.Art. 3. Cost. Tutti i cittadini hanno pari dignità socialee sono eguali davanti alla legge, senza distinzionedi sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinionipolitiche, di condizioni personali e sociali. È compitodella Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordineeconomico e sociale, che, limitando di fatto la libertà el'eguaglianza <strong>dei</strong> cittadini, impediscono il pieno sviluppodella persona umana e l'effettiva partecipazione di tuttii lavoratori all'organizzazione politica, economica esociale del paese.Art. 32 Cost. La Repubblica tutela la salute comefondamentale diritto dell'individuo e interesse dellacollettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.Nessuno può essere obbligato a un determinatotrattamento sanitario se non per disposizione di legge.La legge non può in nessun caso violare i limiti impostidal rispetto della persona umana.


APPROFONDIMENTI252eliminazione delle pratiche di mutilazionegenitale femminile. A tale dipartimentoviene attribuita anche l’attivitàdi acquisizione di dati e informazioni,a livello nazionale e internazionale,sull’attività svolta per la prevenzione e larepressione e sulle strategie di contrastoprogrammate o realizzate da altri Stati.L’art. 3 specifica l’attività informativaaffidata al Ministro per le pari opportunità,suddivisa in:/ A / campagne informative rivolte agliimmigrati provenienti dai paesi in cuisono effettuate le pratiche di cuiall’articolo 583-bis del codice penale,finalizzate a diffondere la conoscenza<strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> fondamentali della persona,in particolare delle donne e delle bambine,e della normativa vigente in Italia chesancisce l’illegittimità delle pratichedi mutilazione genitale femminile;/ B / iniziative di sensibilizzazione, checoinvolgono organizzazioni di volontariato,organizzazioni no profit, strutture sanitarie,comunità di immigrati provenienti dai paesidove sono praticate le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, per sviluppare l’integrazionesocio-culturale nel rispetto <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>fondamentali della persona;/ C / corsi di informazione per le donneinfibulate in stato di gravidanza, finalizzatiad una corretta preparazione al parto;La formazione del personale sanitarioviene demandata al Ministero della Salute,attraverso l’emanazione di linee guidadestinate alle figure professionali sanitarieche operano con le comunitàdi immigrati provenienti da paesi in cui sipraticano mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>per garantire attività di prevenzione maanche assistenza e riabilitazione a donne ebambine sottoposte a tali pratiche.L’art. 5 prevede inoltre l’istituzione pressoil Ministero dell’Interno di un numeroverde che raccolga le segnalazioniprovenienti da chiunque venga aconoscenza dell’attuazione sul territorioitaliano di pratiche di mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e fornisca informazioni suorganizzazioni di volontariato e strutturesanitarie che operano nel territorioper contrastare, prevenire e informarele comunità di immigrati provenientida paesi in cui le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> vengono ancora praticate.Questa segnalazione, che coinvolge ancheil professionista della salute, ha unafunzione di monitoraggio del fenomeno,diversamente dall’obbligo di segnalazioneche incombe sui professionisti sanitari inrelazione alle ipotesi di reato sottese dalsuccessivo articolo 6.L’articolo 6, infatti, introduce una modificadel codice penale, inserendo, dopol’articolo 583 che, ricordiamo, è l’articoloche indica le circostanze aggravanti delreato di lesione personale 77 , il reato 583-bis/ D / programmi di aggiornamento per gliinsegnanti delle scuole dell’obbligo,che attraverso il coinvolgimento <strong>dei</strong> genitoridelle bambine e <strong>dei</strong> bambini immigraticonsenta di prevenire le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> attraverso la diffusione di unacultura che riconosca i <strong>diritti</strong> delle donne edelle bambine;/ E / monitoraggio <strong>dei</strong> casi pregressi giànoti e rilevati localmente presso le strutturesanitarie e i servizi sociali.77 Art. 582 c.p. Lesione personale. Chiunque cagionaad alcuno una lesione personale, dalla quale derivauna malattia nel corpo o nella mente, è punito con lareclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha unadurata non superiore ai venti giorni e non concorrealcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt.583 e 585, ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 enell'ultima parte dell'articolo 577, il delitto è punibile aquerela della persona offesa.Art. 583 c.p. Circostanze aggravanti. La lesionepersonale è grave, e si applica la reclusione da trea sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia chemetta in pericolo la vita della persona offesa, ovverouna malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarieoccupazioni per un tempo superiore >


253(Pratiche di mutilazione degli organi<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>).Tale articolo opera una definizionedelle pratiche di mutilazione degli organi<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> al di fuori di esigenzeterapeutiche, introducendo due distintefattispecie delittuose a seconda che sitratti di mutilazioni ovvero di lesioni.Il primo comma dell’articolo 583-bisprevede la pena della reclusione daquattro a dodici anni per chi cagionimutilazioni degli organi <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.questa preveda l’escissioneparziale/totale <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> esterni e lasutura/riduzione dell’orifizio vaginale)sia delle compromissioni permanentidi una delle funzioni, riproduttiva osessuale, dell’organo genitale femminile(infibulazione con sutura/riduzionedell’orifizio vaginale, allungamentodella clitoride e/o delle labbra,introduzione di sostanze corrosiveo di particolari erbe nella vaginacon conseguente restringimentodella stessa).APPROFONDIMENTIQueste vengono distinte in quattrodiverse tipologie:−−clitoridectomia−−escissione−−infibulazione−−qualsiasi altra pratica che cagioni effettidello stesso tipo.Il secondo comma dell’articolo 583-bisprevede la pena della reclusione da trea sette anni per chi cagioni lesioni agliorgani <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> diverse da quelleindicate al punto precedente, dalle qualiderivi una malattia nel corpo o nellamente, che siano finalizzate a menomarele funzioni sessuali.Tale suddivisione può essere consideratasovrapponibile alla classificazione in IVclassi dell’OMS se il termine mutilazione acui fa riferimento il primo commadell’art. 583-bis viene consideratocomprensivo sia delle perdite anatomichepropriamente dette (clitoridectomia,escissione e infibulazione qualoraai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l'indebolimentopermanente di un senso o di un organo. La lesionepersonale è gravissima, e si applica la reclusione dasei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattiacertamente o probabilmente insanabile; 2) la perditadi un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazioneche renda l'arto inservibile, ovvero la perdita dell'usodi un organo o della capacità di procreare, ovverouna permanente e grave difficoltà della favella; 4) ladeformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso.Per quanto riguarda il secondo commadell’art. 583-bis, questo prevede il reatodi lesioni agli organi <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.Tale ipotesi delittuosa si verrebbe aconfigurare quindi anche qualora non siverifichi una menomazione ma quando lalesione sia “semplicemente” connotatada una finalità menomante.Da questa interpretazione deriva unasuddivisone delle fattispecie di delittopreviste all’art. 583-bis in:/ A / mutilazioni degli organi <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> (comma 1), nel contestodelle quali verrebbero ad esserecomprese tutte le condotte checomportano tanto una menomazionefunzionale (sessuale e riproduttiva)quanto una perdita anatomica;/ B / lesioni agli organi <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>(comma 2), nel contesto delle qualiverrebbero ad essere comprese tutte lelesioni, appunto, provocate al finedi menomare i <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> masenza che tale menomazione si producapoiché, in tale evenienza, si verrebbe aricadere nell’ipotesi delittuosa previstadal comma 1.In altri termini il comma 2 verrebbea descrivere una condotta lesivafinalizzata a menomare, ma non latricedi menomazioni bensì di malattia nelcorpo e nella mente.


APPROFONDIMENTI254Da tale lettura discende anche unaulteriore considerazioni rispetto allaprevisione, contenuta anch’essa nelcomma 2, di una pena ridotta in casodi lesione di lieve entità. La lieve entitàdi cui al 583-bis potrebbe rendere questaipotesi sovrapponibile alla fattispeciedi cui all’articolo 582 del codice penale.La sovrapposizione con l’articolo 583(aggravanti biologiche) andrebbecircoscritta all’ipotesi della aggravanteprevista dalla durata della malattiaqualora, a seguito della lesione cagionatacon finalità mutilanti, derivasse unamalattia di durata superiore a quarantagiorni; un’ulteriore sovrapposizioneverrebbe a realizzarsi nel caso in cuidalla lesione degli organi <strong>genitali</strong>condotta con finalità mutilante derivasseun’infezione o un’emorragia profusain grado di comportare un pericolo perla vita della donna. In tale evenienzasi tratterebbe di malattia conseguentealle lesioni di cui al secondo commadell’articolo 583-bis, in sostanzialesovrapposizione con l’aggravante del 583c.p. (malattia che metta in pericolo la vita).Non sussiste invece la sovrapposizionecon le altre aggravanti dell’articolo 583c.p. (indebolimento permanente, perdita omutilazione di un senso e/o di un organoo della capacità di procreare) che trovanoprecisa collocazione nel primo commadell’articolo 583-bis.In base alla durata della malattiaandrebbe definita anche la gravità dellalesione responsabile di un eventuale dannopsichico conseguito alla pratica subita.L’interpretazione esposta appare a nostroavviso la sola condivisibile, in quantoconsiderare i postumi menomanti qualiaggravanti biologiche che, insieme alladurata della malattia del corpo e dellamente, consentono di operare unadistinzione della gravità delle lesioni,spoglierebbe le ipotesi più gravidel primo comma dell’articolo 583–bisdella componente menomante chenecessariamente deriva dal caratteremutilante di tali pratiche.La pena previstaall’art. 583-bis è aumentata quando lepratiche mutilanti/lesive sono commessea danno di un minore ovvero se il fatto ècommesso per fini di lucro.Una ulteriore aggravante previstadall’art. 583-bis riguarda il caso in cuitali pratiche siano effettuate da partedi personale sanitario, con interdizionedella professione da tre a dieci anni.Solo per i medici, ma tale scelta legislativaappare poco condivisibile, visto che diversesono le figure sanitarie che possonoessere coinvolte <strong>nelle</strong> previsionidi delitto sopra discusse, è prevista lasegnalazione all’Ordine.Infine l’art. 8 stabilisce pene anche perle strutture coinvolte nella pratica dellemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>./ Il dovere di segnalazione /Il nostro ordinamento prevedel’obbligatorietà della segnalazione <strong>dei</strong>delitti/reati procedibili d’ufficio all’autoritàgiudiziaria. Tale obbligatorietà per ilprofessionista sanitario viene sancitada tre diversi articoli del codice penale,a seconda della veste giuridica delprofessionista stesso: l’art. 361 e 362 c.p.trattano dell’omessa denuncia da partedi un pubblico ufficiale e di incaricatodi pubblico servizio, mentre l’art. 365tratta dell’omissione di referto da partedi persona esercente di una professionesanitaria 78 . Ricordiamo che i professionisti78 Art. 361 c.p. Omessa denuncia di reato da parte delpubblico ufficiale. Il pubblico ufficiale, il quale ometteo ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria, o adun'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferire,un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o acausa delle sue funzioni, è punito con la multa da liresessantamila a un milione. La pena è della reclusione >


255che operano all’interno delle strutture e<strong>dei</strong> servizi del Servizio sanitario nazionale,sia come dipendenti sia come personalein convenzione, rivestono la qualificapubblica, mentre per coloro che operanoin regime libero professionale la vestegiuridica è quella dell’esercente unaprofessione sanitaria.L’obbligo di referto sussiste qualoral’esercente una professione sanitariapresti assistenza od opera in un caso chepuò presentare i caratteri di un delittoperseguibile d’ufficio.L’obbligo di denuncia si realizza qualora ilpubblico ufficiale/l’incaricato di pubblicoservizio abbia avuto notizia di un reatoperseguibile d’ufficio nell’esercizio o acausa delle sue funzioni/del suo servizio.Nel caso del referto il dovere dellasegnalazione deriva anche dal solosospetto (ovviamente motivato)del delitto, nel caso della denunciail professionista sanitario è tenuto acircostanziare la notizia di reato con lefonti di prova già note.Differenza sostanziale tra l’obbligatorietàdella denuncia rispetto al referto èfino a un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agentedi polizia giudiziaria, che ha avuto comunque notiziadi un reato del quale doveva fare rapporto.Le disposizioni precedenti non si applicano se si trattadi delitto punibile a querela della persona offesa.Art. 362 c. p. Omessa denuncia da parte di un incaricatodi pubblico servizio. L'incaricato di un pubblico servizio,che omette o ritarda di denunciare all'Autorità indicatanell'articolo precedente un reato del quale abbia avutonotizia nell'esercizio o a causa del suo servizio,è punito con la multa fino a lire duecentomila.Tale disposizione non si applica se si tratta di un reatopunibile a querela della persona offesa.Art. 365 c.p. Omissione di referto. Chiunque, avendonell'esercizio di una professione sanitaria prestatola propria assistenza od opera in casi che possonopresentare i caratteri di un delitto pel quale si debbaprocedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirneall'Autorità indicata nell'art. 361, è punito con la multafino a lire un milione. Questa disposizione non si applicaquando il referto esporrebbe la persona assistita aprocedimento penale.che per quest’ultimo è prevista lafacoltà di omissione quando il refertopotrebbe esporre la persona assistita aprocedimento penale. Ai sensidell’art. 384 c.p. 79 viene esclusa lapunibilità per omessa denuncia/refertoqualora l’omissione derivi dalla “necessitàdi salvare se medesimo o un prossimocongiunto da un grave e inevitabilenocumento della libertà o dell’onore”.Denuncia e referto si differenzianoanche per il contenuto e la modalitàdi presentazione (rispettivamenteart. 331, 332, 334, c.p.p 80 ).APPROFONDIMENTI79 Art. 384 c.p. Casi di non punibilità Nei casi previstidagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis,372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso ilfatto per esservi stato costretto dalla necessitàdi salvare sè medesimo o un prossimo congiunto da ungrave e inevitabile nocumento nella libertà e nell'onore.Nei casi previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373,la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi perlegge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornireinformazioni ai fini delle indagini o assunto cometestimonio, perito, consulente tecnico o interpreteovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltàdi astenersi dal rendere informazioni, testimonianza,perizia, consulenza o interpretazione.80 Art. 331 c.p.p. Denuncia da parte di pubblici ufficialie incaricati di un pubblico servizio. 1. Salvo quantostabilito dallart. 347, i pubblici ufficiali (357 c.p.) egli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) chenell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loroservizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficiodevono farne denuncia per iscritto, anche quando nonsia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardoal pubblico ministero (51) o a un ufficiale (57) di poliziagiudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alladenuncia per il medesimo fatto, esse possono ancheredigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corsodi un procedimento civile o amministrativo, emerge unfatto nel quale si può configurare un reato perseguibiledi ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senzaritardo la denuncia al pubblico ministero (106 att.).Art. 332 c.p.p. Contenuto della denuncia. 1. La denunciacontiene la esposizione degli elementi essenzialidel fatto e indica il giorno dell’acquisizione della notizianonchè le fonti di prova già note. Contiene inoltrequando è possibile, le generalità, il domicilio e quantoaltro valga alla identificazione della persona allaquale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloroche siano in grado di riferire su circostanze rilevantiper la ricostruzione <strong>dei</strong> fatti.Art. 334 c.p.p. Referto. 1. Chi ha l’obbligo del referto(365 c.p.) deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, sevi è pericolo nel ritardo immediatamente al pubblico >


APPROFONDIMENTI256Il referto deve giungere entro 48 ore o, sevi è pericolo nel ritardo, immediatamente.Esso indica:La persona alla quale è stata prestataassistenza e, ove possibile, le sue generalità,il luogo ove si trova attualmente e quantoaltro valga ad identificarla nonché il luogo, iltempo e le altre circostanze dell’intervento;dà inoltre le notizie che servono a stabilire lecircostanze del fatto, i mezzi con il quale èstato commesso e gli effetti che ha causatoo può causare”. Inoltre se più professionistidella salute hanno prestato la loro assistenzanella medesima occasione, sono tuttiobbligati al referto, con facoltà di redigere esottoscrivere un unico atto.La denuncia, per la quale è prevista laforma scritta, deve essere inoltrata nonappena sia formata la notizia di reato e:Contiene la esposizione degli elementiessenziali del fatto e indica il giornodell’acquisizione della notizia, nonché lefonti di prova già note. Contiene inoltre,quando è possibile, le generalità, il domicilioe quanto altro valga alla identificazionedella persona alla quale il fatto è attribuito,della persona offesa e di coloro che siano ingrado di riferire su circostanze rilevanti per laricostruzione <strong>dei</strong> fatti.Le fattispecie delittuose di cuiall’art. 583-bis introdotto dalla normativadel 2006 costituiscono delitti procedibiliministero (51) o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria(57) del luogo in cui ha prestato la propria opera oassistenza ovvero, in loro mancanza all’ufficiale di poliziagiudiziaria più vicino. 2. Il referto indica la personaalla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile,le sue generalità, il luogo dove si trova attualmentee quanto altro valga a identificarla nonchè il luogo, iltempo e le altre circostanze dell’intervento; dà inoltrele notizie che servono a stabilire le circostanze delfatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effettiche ha causato o può causare. 3. Se più persone hannoprestato la loro assistenza nella medesima occasione,sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere esottoscrivere un unico atto.d’ufficio da cui deriva per il professionistasanitario, in linea generale, l’obbligo disegnalazione all’autorità giudiziaria comeregolamentata dalle norme sopra citate.Devono pertanto essere segnalateall’autorità giudiziaria sia le mutilazioniresponsabili di perdita anatomica ocompromissione della funzione sessuale/riproduttiva sia le altre lesioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> responsabili di una malattia delcorpo e della mente.Sulla scorta di suddetta classificazionerimarrebbero escluse dal dovere dellasegnalazione lesioni di scarso rilievo(puntura del clitoride o circoncisione)qualora si potesse affermare che talipratiche sono state realizzate senzaprovocare alcuna alterazione idoneaa configurare la sussistenza di unamalattia del corpo o della mente.Una interpretazione maggiormente“repressiva” della norma, considerandoindistintamente tutte le azioni chedeterminino lesioni ai <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>connotate dall’intenzionalità di menomarele funzioni sessuali delitti perseguibilid’ufficio, renderebbe invece obbligatoriala segnalazione anche di lesioni di scarsaentità, ma con rilevante connotazioneculturale, in quanto la legge è finalizzata areprimere tutte le pratiche che contrastinocon i principi sanciti dagli art. 2, 3 e 32della Costituzione.Un altro aspetto che riveste un certointeresse riguarda il doveredi segnalazione di soggetti adulti chehanno subíto in giovane età tali pratiche.Il pieno rispetto degli articoli cheobbligano alla segnalazione all’autoritàgiudiziaria <strong>dei</strong> reati procedibili d’ufficiosuggerisce anche la segnalazionedi circostanze di questo tipo, in quantola finalità dell’obbligo è quellache all’autorità giudiziaria giungal’informazione indipendentementedalla punibilità del reato. Va comunque


APPROFONDIMENTI257considerato che il trascorrere di un lungoperiodo di tempo tra la data in cui è statocommesso il reato di cui all’art. 583-bis el’osservazione della lesione e/o <strong>dei</strong> suoiesiti potrebbe far scattare la prescrizionedel reato stesso.


259/ Tracciaper le interviste /Sezione II. Migrazione, arrivo einserimento in ItaliaMi racconti come è cominciata la tuaesperienza migratoria?−−Ragioni della scelta migratoria−−Percorso migratorio−−Primo impatto con la realtà italiana−−Condizioni abitative e lavorative−−Sostegno, amicizie (connazionali-italiani)−−Relazioni affettive, familiari e amicali−−Relazioni con il paese d’origine−−Acquisizione e perdite nell’esperienzamigratoriaAPPROFONDIMENTI/ A / Traccia di intervista a donneafricane /Sezione I. Contesto di vitanel paese d’origineMi racconti com’era la tua vita nel tuopaese d’origine?−−Paese di provenienza: contestourbano/rurale−−Famiglia d’origine: rapporto congenitori, fratelli/sorelle, parenti, vicini(comunità)−−Ruoli e rapporti sociali all’internodella famiglia−−Figure di riferimento e principidi autorità−−Condizioni socio-economiche/classesociale−−Scuola/lavoro−−Relazioni affettive e amicali−−Religione−−Valori più importantiSezione III. Trasformazioninella migrazioneCome è cambiata la tua vita dopo averlasciato il tuo paese d’origine?−−In rapporto ai ruoli sociali, lavoro,aspirazioni−−In rapporto alla situazione economica−−In rapporto ai ruoli familiari e neiconfronti dell’uomo−−In rapporto alla quotidianità−−In rapporto alle relazioni sociali−−In rapporto alla sessualità (numero <strong>dei</strong>figli, contraccezione)−−In rapporto con il proprio corpo−−In rapporti ai valoriSezione IV. Relazioni conle istituzioni locali e figure istituzionaliMi puoi raccontare quali sono state leistituzioni e le figure istituzionali allequali ti sei rivolta da quando sei arrivatain Italia?−−Accesso ai servizi/istituzioni−−Informazione su <strong>diritti</strong>/tutela/accoglienza rispetto a:−−Salute−−Lavoro/istruzione/formazione−−Scuola−−Assistenza sociale−−Questura/forze dell’ordine−−Associazioni−−Istituzioni religiose


260APPROFONDIMENTISezione V. Relazioni di genere, parità,violenza di genere e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>:contesto nel paese d’origine e in ItaliaQuali sono, secondo te, le differenzeesistenti nei rapporti tra uomo e donnanel tuo paese d’origine e in Italia?−−Rapporti uomo donna: differenze esimilitudini in africa (paesedi provenienza) e in Italia−−Ruolo e intervento dell’uomonell’ambito familiare, sociale, religioso−−Concetto di parità tra uomo e donna:comprensione e condivisione in Africa(paese specifico di provenienza)e in Italia−−Violenza sulle donne: comprensionee condivisione in Africa(paese specifico di provenienza)e in Italia−−Diritti <strong>umani</strong>: comprensione econdivisione in africa (paese specificodi provenienza) e in Italia<strong>dei</strong> significati attribuiti alla pratica omantenimento degli stessi−−Seconde generazioni: condivisione econfronto rispetto alla pratica−−Ruolo delle figure familiari (uomo,donna) e parentali (famiglia allargatain Africa e in Italia) in meritoalla pratica−−Condivisioni culturali e prospettiveper il futuroSezione VIII. MGF, servizi sanitari e saluteriproduttivaTi è mai capitato di rivolgerti ai servizisanitari per problemi ginecologici,gravidanza/parto?−−Accesso ai servizi−−Relazione con gli operatori−−Conoscenza della pratica−−Confronto e condivisione di significati−−Esperienza della gravidanza e parto inItalia e in AfricaSezione VI. MGF: contesto d’origineNel tuo paese d’origine esistel’infibulazione/escissione/circoncisione<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: che cosa ne pensitu di questa pratica?−−Significato attribuito alla praticanel paese d’origine−−Atteggiamento della personasottoposta a MGF−−Atteggiamento di familiari e amici−−Atteggiamento degli uomini−−Persistenze e mutamenti nelpaese d’origine−−Problemi di salute sessuale eriproduttivaSezione VII. MGF: contesto italianoSecondo te, in Italia, che cosa si conoscedi questa pratica?−−Atteggiamento degli italiani rispetto allapratica: esperienze di confronto−−Significato della pratica attribuito dai/dalle connazionali in Italia: mutamentoSezione IX. MGF e legislazioneSei a conoscenza della legge italianacontro le MGF promulgata nel gennaio2006?−−Significato, effettività, conseguenze easpettative rispetto alla legge in Italia ein Africa−−Conoscenza della legislazione nel paesed’origine contro le MGF−−Conoscenza della realtà dell’attivismodelle donne e della società civilerispetto alle MGFSezione X. Formazione e prevenzioneQuali sono secondo te gli strumentida utilizzare per formare le istituzioni,sensibilizzare e prevenire questa pratica?−−Soggetti istituzionali da coinvolgere−−Ruolo degli africani nel territorio ein Africa−−Temi da affrontare−−Strumenti da utilizzare


261−−Risorse nel territorio−−Scambi di risorse culturali−−Bisogni di conservazione e/ocambiamento culturale/ B / Traccia di intervista permediatori culturali/rappresentantidi comunità /Sezione I. Introduzione alla figura delmediatore/mediatriceMi può raccontare del suo percorsomigratorio e professionale?−−Paese d’origine−−Arrivo in Italia−−Contatto con la realtà italiana−−Interazioni sociali con connazionali eitaliani−−Inserimento lavorativoSezione III. Mediazione culturale, parità,relazioni di genere, <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> eviolenza di genereSecondo lei, che cosa si intende per paritàtra uomo e donna? Che cosa sono,secondo lei, i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>?−−Comprensione e condivisione tra lecomunità africane del concetto di paritàtra uomo e donna, <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, violenzadi genere/sulle donne−−Rapporti tra uomo e donna <strong>nelle</strong>comunità africane: poligamia, dirittodi famiglia, ruoli di genere−−Interventi in ambito familiare:implicazioni derivanti da ruoli di genere,tradizioni, religione e cultura del paesed’origine−−Esperienza e condizioni di vita delledonne africane delle diverse comunitàpresenti nel territorio−−Seconde generazioni: tensioni,continuità e cambiamento culturaleAPPROFONDIMENTISezione II. Introduzione al servizio/associazioneQuali sono le attività svolte dal servizio/associazione?−−Relazione con istituzioni locali eassociazioni di immigrati−−Interventi erogati: domanda,risposta, punti di forza e debolezzanell’erogazione del servizio−−Utenti stranieri: diversità,caratteristiche e necessità delle diversecomunità africane−−Differenza di genere nella richiestad’intervento−−Comprensione di significati rispettoalla mediazioneSezione IV. Mediazione culturale e MGFNella sua professione ed esperienza le ècapito di imbattersi in casi di MGF?−−Ruolo della mediazione−−Persone e istituzioni coinvolte nei casiincontrati: collaborazioni e conflitti−−Significati attribuiti alla pratica nelpaese d’origine e in Italia−−Incidenza della pratica nel paesed’origine e in Italia−−Atteggiamento degli italiani rispetto allapratica: esperienze di confronto−−Significato della pratica attribuito dai/dalle connazionali in Italia: mutamento<strong>dei</strong> significati attribuiti alla pratica omantenimento degli stessi−−Ruolo delle figure familiari (uomo,donna) e parentali (famiglia allargata inAfrica e in Italia) in merito alla pratica−−Condivisione di informazioni e saperi trale comunità africane rispetto alle MGF


262APPROFONDIMENTISezione V. MGF e legislazioneCosa pensa della legge italiana sulleMGF del 2006?−−Conoscenza della legge italiana edelle leggi africane da parte dellecomunità africane−−Ruolo della mediazione nelladivulgazione della conoscenza dellalegge italiana−−Effetti, conseguenze e aspettativedell’intervento legislativo in Italia−−e in Africa−−Conoscenza della realtà dell’attivismodelle donne e della società civilerispetto alle MGFSezione VI. Formazione e prevenzione/ C / Traccia di intervistaper operatori sanitari /Sezione I. Servizi sanitari e utenti africaneQuali sono gli ambiti per i quali sirichiede l’intervento del suo servizio daparte delle donne africane?−−Differenze che caratterizzano il rapportocon le diverse donne africane−−Difficoltà rilevate nella relazione con ledonne africane nel rapporto con i servizisanitari del territorio−−Collaborazioni con figure istituzionali esanitarie negli interventi con le donneafricaneQuali sono secondo lei gli strumentida utilizzare per formare le istituzioni,sensibilizzare e prevenire questa pratica?−−Esperienze personali di formazione eprevenzione−−Competenze da incrementare−−Soggetti istituzionali da coinvolgere−−Ruolo della mediazione−−Sinergie da attivare−−Ruolo degli africani nel territorio ein Africa−−Temi da affrontare e argomentazionida sostenere contro le MGF−−Strumenti da utilizzare−−Risorse nel territorio−−Scambi di risorse culturali−−Bisogni di conservazione e/ocambiamento culturaleSezione II. Intervento socio-sanitario,parità, relazioni di genere, <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> eviolenza di genereSecondo lei, che cosa si intende perparità tra uomo e donna? Che cosa sono,secondo lei, i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>?−−Comprensione e condivisione tra lecomunità africane del concetto di paritàtra uomo e donna, <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, violenzadi genere/sulle donne−−Esperienze personali di osservazionedelle caratteristiche <strong>dei</strong> rapporti trauomo e donna, violazione di <strong>diritti</strong>e violenza nei confronti delle donneafricaneSezione II. Servizi socio-sanitari e MGFQual è la sua conoscenza rispettoalle MGF?−−Paesi in cui si pratica, differenze nellapratica delle MGF, ragioni e significatilegati alla pratica−−Incidenza delle MGF <strong>nelle</strong> comunitàpresenti in questo territorio−−Condivisione di conoscenza edesperienza tra colleghi−−Possibile attuazione della pratica nelterritorio italiano: soggetti coinvolti


263Sezione III. MGF, implicazionimediche e partoNella sua attività ha avuto mododi confrontarsi con questa realtà?−−Intervento richiesto−−Caratteristiche della donna(età, nazionalità, stato civile,livello culturale, tipologia di MGF)−−Prime impressioni, attitudine personalee professionale nei confronti delle MGF−−Condivisione con colleghi, mediatoriculturali o altre figure istituzionali−−Differenze che distinguono, da unpunto di vista medico, le donnesottoposte a MGF−−Differenze che distinguono il partodi una donna sottoposta a MGF:intervento praticato prima, durantee dopo il parto−−Eventuali richieste di <strong>dei</strong>nfibulazionee reinfibulazioneSezione IV. MGF e legislazioneCosa pensa della legge italiana sulle MGFdel 2006?−−Conoscenza della legge italiana edelle leggi africane da parte dellecomunità africane−−Ruolo <strong>dei</strong> servizi sanitari nelladivulgazione della conoscenza dellalegge italiana−−Effetti, conseguenze e aspettativedell’intervento legislativo in Italiae in Africa−−Conoscenza della realtà dell’attivismodelle donne e della società civilerispetto alle MGFSezione V. Formazione e prevenzioneQuali sono secondo lei gli strumentida utilizzare per formare le istituzioni,sensibilizzare e prevenire questa pratica?−−Esperienze personali di formazionee prevenzione−−Competenze da incrementare−−Soggetti istituzionali da coinvolgere−−Ruolo <strong>dei</strong> servizi sanitari−−Sinergie da attivare−−Ruolo degli africani nel territorioe in Africa−−Temi da affrontare e argomentazioni dasostenere contro le MGF−−Strumenti da utilizzare−−Risorse nel territorio−−Scambi di risorse culturali−−Bisogni di conservazione e/ocambiamento culturale/ D / Traccia di intervistaa rappresentanti di polizia/magistratura /Introduzione all’intervistaNegli ultimi anni sempre più donnedi origine africana si sono stabilite nelnostro paese. Via via che il loro numerocresceva e loro cominciavano a utilizzarei servizi pubblici in Italia, si è cominciatoa parlare anche qui di escissione einfibulazione.APPROFONDIMENTISono stati i medici per primi a renderseneconto, quando le donne si rivolgevanoper esempio a un/a ginecologo/a peruna gravidanza o altro, ma segnalazionicirca l’esistenza di questo fenomenosono arrivate in questi anni anche daiservizi sociali. La casistica giudiziaria ècomunque irrisoria, poiché gli interventidella magistratura noti al pubblico sicontano di fatto sulla dita di una mano.I giornali e la tv hanno comunquecominciato a parlarne, e sull’onda delriconoscimento avvenuto sul pianointernazionale delle MGF quali forma diviolenza contro la donna e i minori, nonchésull’incremento della presenza stranieranel nostro territorio nazionale, anche diquelle comunità che di fatto praticano leMGF, il nostro Parlamento ha approvatola Legge n. 7/2006 Disposizioni concernenti


APPROFONDIMENTI264la prevenzione e il divieto delle pratiche dimutilazione degli organi <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>,che introduce due fattispecie penalial nuovo art. 583-bis c.p.: il delitto dimutilazioni <strong>genitali</strong> (comma 1)e quello di lesioni <strong>genitali</strong> (comma 2),unitamente a misure di caratterepreventivo di vario genere e all’istituzionepresso il Ministero dell’Interno di unnumero verde.La disciplina sanzionatoria sia penale cheamministrativa è assai pesante.Non vi è dubbio comunque che la novitàprincipale sia rappresentata da questedue nuove fattispecie che di fatto vanno adoccupare l’ambito applicativo del reatodi lesioni personali, considerando che finoall’introduzione di questa nuova normala repressione penale passava per gliartt. 582 e 583 c.p..La Legge n. 7/2006 mette in lucecomunque la consapevolezza dellegislatore di dover intervenire su questofenomeno con strumenti di tipo diverso,soprattutto con la finalità di prevenire lareiterazione di queste pratiche nelnostro territorio.In altre parole, che cosa pensa dellascelta del legislatore di introdurre unanorma incriminatrice ad hoc per i delittidi mutilazioni <strong>genitali</strong> e di lesioni <strong>genitali</strong>(583 bis c.p. 1 e 2 comma)?Ritiene che il ricorso prima di questalegge agli artt 582 e 583 c.p. in tema dilesioni personali (gravi e gravissime) fosseinadeguato rispetto al fornire una rispostaefficace sul piano repressivo al fenomenodelle MGF?Nei paesi che da più anni hanno adottatouna normativa simile alla nostra siriscontrano parecchi problemi applicativipoiché in queste comunità l’idea chel’adesione ai sistemi sociali di riferimentopassi anche attraverso la reiterazione diqueste pratiche è molto forte.Lei pensa che in Italia questo fenomenomeriterebbe maggior attenzione di quellache di fatto riceve dall’istituzione che leirappresenta?Come mai la casistica è così povera?Crede che questa situazione sia daricollegarsi al tipo di comunità coinvolte?/ Traccia intervista /Che conoscenza ha lei di questo fenomenosul piano professionale?Le è mai capitato di dover indagare su fattidi questo tipo?Se sì, mi racconta come si sono svolti i fattioggetto di indagine?Lei crede che il nuovo corredo normativomesso a punto dal nostro legislatoresia adeguato a contrastare e prevenirequesto fenomeno?Chi secondo lei dovrebbe collaborare convoi per far emergere queste situazioni?Lei pensa che vi sia un nesso tra questecondotte e altri comportamenti illeciti?In altre parole lei crede che chi in Italiaesegue le MGF possa essere coinvoltoanche in altre situazioni che per noiconfigurano un comportamento illecitodi altro tipo?Di quali risorse/informazioni/supportiritiene di avere bisogno per poterintervenire su questo tipo di condotte?−−maggiori informazioni sulla pratica, lesue cause, le ragioni per cui si continuaa praticare?−−maggiori informazioni sugli altri aspetticulturali <strong>dei</strong> paesi di provenienza?


265−−maggiori informazioni sui profili sanitariche si collegano a queste pratiche?−−maggiore utilizzo di mediatori culturali?Al di là del divieto posto dal legislatoree della disciplina penale assai pesantesul piano punitivo, lei ritiene che le MGFsiano una forma di violenza contro ladonna e i minori?APPROFONDIMENTIChe idea si è fatto lei <strong>dei</strong> rapporti di genererelativamente a queste comunità?Secondo lei quali strumenti dovrebberoessere utilizzati per prevenire questesituazioni che rappresentano sottoprofili diversi una grave violazioni <strong>dei</strong><strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>?Lei ritiene che la distribuzione di materialidi sensibilizzazione dove sono presenti lecomunità migranti interessate da questofenomeno possa essere utile a prevenirequesta pratica?Pensa che questo nostro colloquio siastato utile?


APPROFONDIMENTI267/ Bibliografia /a cura diGiovanna Ermini,Centro documentazionedi AIDOSperché riferiti più in generale al quadrodi riferimento adottato. Questo vale inparticolare per la sezione relativa alconcetto di genere, poiché la praticadelle MGF è funzionale alla costruzionedell’identità di genere, alla definizione<strong>dei</strong> ruoli di genere ed entra in gioco <strong>nelle</strong>dinamiche di potere tra uomini e donne.Sono riportate in elenco anche numerosetesi di laurea. non pubblicate e realizzatein buona parte anche con il contributodel Centro documentazione dell’AIDOS,a testimonianza del crescente interesse,nella comunità scientifica italiana, versole mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>.Fin dalla sua creazione, il Centrodocumentazione di AIDOS, Associazioneitaliana donne per lo sviluppo, ha curatola raccolta e classificazione bibliograficadi ricerche e saggi sulle mutilazioni <strong>dei</strong><strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>. Moltissimo materialeè oggigiorno disponibile online, e quindiquesta bibliografia non è assolutamenteda considerarsi esaustiva. In particolare,non sono stati riportati che alcuni <strong>dei</strong>numerosi saggi e rapporti di ricerca sullapratica delle MGF in specifiche localitàe paesi africani, perché ritenuti oltre loscopo della presente bibliografia, perquanto invece utili per avere una migliorecomprensione del “bagaglio culturale”riguardo alla pratica con cui molti/eafricani/e arrivano nel nostro paese.I saggi e volumi in elenco sono stati scelticon riferimento alle tematiche affrontatedal progetto “<strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunitàmigranti”, di cui la presente ricerca è parteintegrante. Alcuni testi, che contengonouna varietà di saggi, sono riportati soloin una delle sezioni, anche se i contenutiriflettono anche le altre tematiche in cui èstata suddivisa la bibliografia.Altri testi, che non contengono riferimentispecifici alla pratica delle mutilazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, sono stati riportatiAIDOS cura inoltre l’aggiornamentoperiodico della bibliografia sullemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>contenuta nel portale web www.stopfgmc.org, in lingua inglese, dove è presenteanche una ampia rassegna stampainternazionale avente per oggetto lapratica, testimonianza del rilievo checomincia ad assumere questo tema sianei media africani, che in quelli <strong>dei</strong> paesidi immigrazione./ Aspetti antropologicie sociali /Amselle, Jean-Loup, Logiques métisses.Anthropologie de l’identité en Afrique etailleurs, Parigi, Payot, 1990Askew, Ian, “Methodological issues inmeasuring the impact of interventionsagainst female genital cutting”, in Culture,Health, Sexuality, 7(5): 463-477, Routledge,settembre-ottobre 2005Bogalech, Alemu - Mengistu, Asnake,Women’s empowerment in Ethiopia: newsolutions to ancient problems, Addis Ababa(Ethiopia), Pathfinder International, 2007


APPROFONDIMENTI268Busoni, Mila e Laurenzi, Elena(a cura di), Il corpo <strong>dei</strong> simboli.Nodi teorici e politici di un dibattito sullemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, Firenze,SEID Edizioni, 2005Colombo, Daniela - Scoppa, Cristiana(a cura di), Moolaadé: la forza delle donne,Milano, Feltrinelli, 2006. Volume allegatoal DVD del film Moolaadé del registaOusmane SembèneDenniston, George C. - Mansfield Hodges,Frederick - Fayre Milos, Marilyn (a cura di),Flesh and blood: perspectives on the problemof circumcision in contemporary society,New York (USA), Kluwer Academic/PlenumPublishers, 2004Deutsche Gesellschaft für TechnischeZusammenarbeit (GTZ), Good governanceand female genital mutilation: a politicalframework for social change, Eschborn(Germany), GTZ, 2007Izett, Susan - Toubia, Nahid, Learning aboutsocial change: a research and evaluationguidebook using female circumcision as acase study, New York (USA), Rainbo, 1999Lightfoot Klein, Hanny, Prisoners of ritual:an odyssey into female genital circumcisionin Africa, New York (USA), Haworth Press,1989.Mackie, Gerry, Ending female genitalcutting. Saggio per la riunione di espertiorganizzata dall’Unicef – Istituto degliInnocenti, Firenze, ottobre 2004Masocco, Valentina, Antropologia dellemodificazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: il corpodelle donne nei processi di cambiamentoculturale (tesi non pubblicata), 2005Morrone, Aldo - Vulpiani, Pietro, Corpie simboli: immigrazione, sessualità emutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> in Europa,Roma, Armando Editore, 2004Fusaschi, Michela, I segni sul corpo:per un’antropologia delle modificazioni<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, Torino, BollatiBoringhieri, 2003Gruenbaum, Ellen, The female circumcisioncontroversy: an anthropological perspective,Philadelphia (USA), University ofPennsylvania Press, 2001Gunning, Isabelle R., “Arrogant perception,world travelling and multiculturalfeminism: the case of female genitalsurgeries”, in Columbia Human RightsLaw Raview, Vol. 23:189 (1991-92)Hannerz, Ulf, La diversità culturale,Bologna, Il Mulino, 2001Heger Boyle, Elizabeth, FemalGenital Cutting. Cultural Conflict inthe Global Community, Baltimore(USA), The Johns Hopkins UniversityPress, 2002Nnaemeka, Obioma (a cura di), Femalcircumcision and the Politics of Knowledge.African Women in the ImperialistDiscourses, Westport (USA), Praeger, 2005Nussbaum, Martha C., “Judging othercultures: the case of genital mutilation”,in Nussbaum, M.C., Sex and social justice,Oxford (UK), Oxford University Press, 1999Pasini, Nicola (a cura di), <strong>Mutilazioni</strong><strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: riflessioni teoriche epratiche: il caso della regione Lombardia,Milano (Italia), Fondazione ISMU, 2007Pasquinelli, Carla, Infibulazione, Roma,Meltemi, 2007Pasquinelli, Carla (a cura di), con lacollaborazione di Cenci, Cristina -Manganelli, Silvia - Guelfi, Valeria,Antropologia delle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>: una ricerca in Italia, Roma,AIDOS, 2000


APPROFONDIMENTI269Petit, Véronique e Carillon séverine,Société, familles et individus face à une“questions des femmes”. Déconstruireet analyser les decisions relatives à lapratique des mutilations genitals fémininesà Djibouti, Parigi (Francia), Populationset interdisciplinarité, Université RenéDescartes Paris 5, 2007Population Council, Using operationsresearch to strengthen programmes forencouraging abandonment of femalegenital cutting. Report of the ConsultativeMeeting on methodological issuesfor FGC research, April 9-11 2002,Nairobi, Kenya, Population Council. -Washington (USA), PopulationCouncil, 2002della escissione/mutilazione genitalefemminile, Firenze, UNICEF InnocentiResearch Centre, 2005UNICEF, Technical note. Coordinatedstrategy to abandon female genitalmutilation/cutting in one generation:a human rights-based approach toprogramming. Leveraging social dynamicsfor collective change, New York (USA),UNICEF, 2007/ Diritti <strong>umani</strong> e applicazionedelle misure legali /Shell-Duncan, Bettina - Hernlund,Ylva, “Are there “stages of change”in the practice of female genital cutting?:qualitative research findings fromSenegal and the Gambia”, in AfricanJournal of Reproductive Health,Vol.10, no.2 (2006)Shell-Duncan, Bettina - Hernlund, Ylva,(a cura di), Female “Circumcision” in Africa:culture, controversy and change, Londra,Lynne Rienner Publishers, 2001Singleton, M., Ethique des enjeux:développement, population, environnement.Essai de considérations éthiques surl’excision, 2000Toubia, Nahid - Sharief, E.H.,“Female genital mutilation: have wemade progress?”, in International Journalof Gynecology and Obstetrics, Vol. 82,no.3 (2003)UNFPA, Global consultation on femalegenital mutilation/cutting: technical report,New York (USA), UNFPA, 2008UNICEF, Innocenti Digest “Cambiare unaconvenzione sociale dannosa. la praticaAbusharaf, Rogaia Mustafa - AbdelHalim, Asma Mohamed, “Questioningthe tradition: female genital mutilation”,in Meredeth Turshen (a cura di), Africanwomen’s health, Trenton (USA),Africa World Press, 2000AIDOS - COMITE INTER AFRICAIN(CI-AF), Centre International de Formation(ILO), Mutilations génitales féminines unequestion de relations entre hommes etfemmes, droits humains et santé: un manuelde formation, Roma, AIDOS, 2000AIDOS, La legge giusta: il trattamentogiuridico delle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>, saggio introduttivo di TamarPitch, Roma, AIDOS, 2000AIDOS – NPWJ – ESPHP, Normelegislative per la prevenzione dellemutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>,atti del Seminario Afro -arabo di espertiorganizzato al Cairo (21-23 giugno 2003)nell’ambito della Campagna internazionale“STOP FGM”, Roma, AIDOS (Associazioneitaliana donne per lo sviluppo), NPWJ(No Peace Without Justice); ESPHP(Egyptian Society for the Prevention ofHarmful Practices), 2004


APPROFONDIMENTI270Barbieri, Luca, Amore negato: societàmultietnica e mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>,Torino, Ananke, 2006Barbieri, Luca, Aspetti penali dellemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: profilicomparatistici e prospettive italiane,tesi di laurea (non pubblicata), 2002Basile, Fabio, Il delitto di “pratichedi mutilazione degli organi <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>” (art. 583 bis c.p.) quale reatoculturalmente orientato, 2006Berti, Daniela, Le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>: aspetti penali. Tesi di laurea indiritto penale (non pubblicata), 2004Caldera, Clara, Le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> e la tutela della donna nel dirittointernazionale. Tesi di laurea in dirittointernazionale (non pubblicata), 2001Center for Reproductive Rights (CRR),Female genital mutilation: a matter ofhuman rights. An advocate’s guide to action,New York (USA), CRR, 2006Centre pour le droit et les politiquesen matiere de sante et de reproduction(CRLP), Les droits de la personne:un outil pour combattre les mutilationsgénitales féminines: guide pratique auservice des militants, New York (USA),CRLP, 2000Commissione regionale pari opportunitàdonna-uomo della Toscana, Protocollodella Carta africana <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong> dell’uomo e<strong>dei</strong> popoli relativo ai <strong>diritti</strong> delle donne,a cura di Diye Ndiaye e Cristina Trugli,Firenze, Commissione Regionale PariOpportunità, 2007Di Pietro, Francesco, “Le norme sul divietodelle pratiche di mutilazione genitalefemminile”, in Diritto & Diritti, rivistagiuridica online, reperibile all’indirizzo webhttp://www.crtinterculturalc.it/documentazione/<strong>Mutilazioni</strong>%20<strong>femminili</strong>.pdfEsposito, Ornella, Donne spezzate: lemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>. Tesi di laureain etnologia delle culture mediterranee(non pubblicata), 2005Facchi, Alessandra, “L’escissione ritualefemminile: da consuetudine a crimine”,in A. Facchi, I <strong>diritti</strong> nell’Europamulticulturale: pluralismo normativo eimmigrazione, Bari, Laterza, 2001Facchi, Alessandra, “Modificazioni <strong>genitali</strong>e intervento pubblico: alcuni rilievi nellaprospettiva di genere”, in Jura Gentium.Rivista di filosofia del diritto e della politicaglobale, I(2005), 1Fluehr-Lobban, Carolyn, “Culturalrelativism and universal human rights”,in AnthroNotes, Vol. 20, no. 2 (inverno 1998)Fratepietro, Carmela, Abolizione dellepratiche tradizionali nocive: MGF traprevenzione e diritto, Tesi di laurea(non pubblicata), 2003Freedman, Jane - Valluy, Jérome(a cura di), Persécutions des femmes:savoirs, mobilisations et protections,Broissieux (Francia), Editions duCroquant, 2007Gillette-Faye, Isabelle, La juridiciarisationde l’excision: historique, Parigi (Francia),GAMS, 2000Cook, Rebecca J. - Dickens, BernardM. - Fathalla, Mahmoud F., Santé de lareproduction et droits humains: intégrer lamédecine, l’éthique et le droit, Issy-les-Moulineaux (Francia), Masson, 2005Gunning, Isabelle R., “Arrogant perception,world travelling and multiculturalfeminism: the case of female genitalsurgeries”, in Columbia Human Rights LawRaview, Vol. 23:189 (1991-92)


APPROFONDIMENTI271Karim, Mahamoud, Female genitalmutilation (circumcision), historical, social,religious, sexual and legal aspects illustrated,Cairo (Egitto), National Population Councilof Egypt, n.d.Laurenzi, Elena (a cura di), Profiloinformativo del fenomeno delle mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: conoscerle per prevenirle.Documento preparato nell’ambitodel progetto della ASL 3 di Pistoiain collaborazione con l’associazioneNosotras, S. Giovanni Val D’Arno (AR), 2006Legal and Human Rights Centre (LHRC),The legal process, can it save girls fromFGM? “A case of three Masaai girls inMorogoro”, a cura di Kaleh LameckGamaya, con Helen Kijo-Bisimba e JodieHierlmeier, Dar-Es-Salaam (Tanzania),LHRC –Equality Now, 2004Moller Okin, Susan, Diritti delle donne emulticulturalismo, Milano, Raffaello CortinaEditore, 2007Monducci, Alessandra, Genesi e contenutidella legge italiana sulle mutilazioni <strong>genitali</strong>:una lettura al femminile. Tesi di laurea perDiploma universitario in servizio sociale(non pubblicata), 2007Niggli, M.A. - Berkemeier, Anne,La question de la punissabilité de lamutilation génitale féminine des types I etIV: expertise juridique, Zurigo (Svizzera),Comité suisse pour l’UNICEF, 2007Nnaemeka, Obioma e Ngozi Ezeilo Joy(a cura di), Engendering Human Rights.Cultural and socio-economic realities inAfrica. Comparative Feminist Studies,New York, Palgrave MacMillan, 2005Leye, Els - Deblonde, Jessika, Acomparative analysis of the differentlegal approaches towards female genitalmutilation in the 15 EU member States, andthe respective judicial outcomes in Belgium,France, Spain, Sweden and the UnitedKingdom, Gand (Belgium), InternationalCentre for Reproductive Health, 2004(disponibile anche in francese)Leye, Els - Deblonde, Jessika - Garcia-Anon, José...(et al.), “An analysis of theimplementation of laws with regard tofemale genital mutilation in Europe”, inCrime, Law and Social Change, Vol. 47 (2007)Mancinelli, Federica, “La ‘LeggeConsolo’ per la prevenzione e il divietodelle pratiche di mutilazione genitalefemminile”, in www.osservatoriominori.org/webgiornale.htm, anno I, n. 2,Luglio-Agosto 2006Marchesi, Francesca, Le mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> nel diritto internazionale.Tesi di laurea in diritto internazionale(non pubblicata), 2006Olivieri Maccarone, Sabrina,I <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> al femminile: la “circoncisione”femminile quale violazione <strong>dei</strong> <strong>diritti</strong>della donna. Tesi di laurea(non pubblicata), 2002Packer, Corinne A.A., Using Human Rightsto Ch’ange Tradition. Traditional PracticesHarmful to Women’s Reproductive Healthin sub-Saharan Africa, Utrecht (Olanda),School of Human Rights Research,Intersentia, 2002Pitch, Tamar, I <strong>diritti</strong> fondamentali:differenze culturali, disuguaglienze sociali,differenza sessuale, Torino, GiappichelliEditore, 2004Rahman, Anika - Toubia, Nahid(a cura di), Female genital mutilation:a guide to laws and policiesworldwide, Londra (Regno Unito),Zed Books, 2000Ricci, Maria Rosaria, “Le mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>”, in Archivio giuridico,vol. CCXXIII, fascicolo 4 (2003)


APPROFONDIMENTI272Skaine, Rosemarie, Female genitalmutilation: legal, cultural and medicalissues, Londra (Regno Unito),McFarland, 2005Spalletta, Alessandra, “Le mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> nel mondo islamico”,in Diritto e Libertà: rivista di politicatransnazionale e di iniziativa radicale,Anno III, no. 5 (gennaio/giugno 2002)UNHCR, Guidance Note on RefugeeClaims relating to Female GenitalMutilation, Ginevra (Svizzera), UNHCR –Alto Commissariato delle Nazioni Uniteper i rifugiati, 2009Verrecchia, Simona, Le “mutilazioni<strong>genitali</strong>” fra istanze etnico religiose e diritto.Tesi di laurea in diritto ecclesiastico(non pubblicata), 2001Villani, Michela, Le corps féminin dubiologique au culturel: la problématisationdes mutilations génitales féminines.Tesi de master (non pubblicata), 2006Weil-CurieL, Linda, “Female genitalmutilation in France: a crime punishableby law”, in Perry S. e G. Schenk (a cura di),Eye to eye. Women practicing developmentacross cultures, Londra (Regno Unito),Zed Books, 2000Welchman, Lynn (a cura di), Women’sRights & Islamic Law. Perspectives onreform, Londra Zed Books, 2004/ Le MGF nell’incontrotra culture /Baron, Erika M. - Denmark, FlorenceL., “An exploration of female genitalmutilation”, in Annals, New York Academyof Science, vol. 1087, 2006Canavacci, Laura, “Le mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>: il ruolo delmulticulturalismo nella riflessioneliberale sul problema delle donne”,in Prodromo R. (a cura di), Medicinae multicuralismo: dilemmi epistemologicied etici <strong>nelle</strong> politiche sanitarie, Bologna,Aperion, 2000Del Missier, Giovanni, “Le mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>”, in Medicina e Morale:rivista di Bioetica e Deontologia Medica,fascicolo 2000/6, Roma (Italia), UniversitàCattolica del Sacro Cuore, 2000Enwereuzor, Udo, “Culture, differenzee <strong>diritti</strong> della persona”, in Busoni M. eLaurenzi E. (a cura di), Il corpo <strong>dei</strong> simboli:nodi teorici e politici di un dibattito sullemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, Firenze, SEIDEditori, 2005Favali, Lyda - Pateman, Roy, “Femalegenital mutilation: symbol, tradition orsurvival?”, in Blood, land and sex: legal andpolitical pluralism in Eritrea, Bloomington(USA), Indiana University Press, 2003Zanotti, Elisa, Le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> nell’ordinamento giuridicoitaliano. Tesi in diritto ecclesiastico(non pubblicata), 2007Zuhur, Sherifa - Ilkkaracan, Pinar -Clark, Megan (a cura di), Gender,sexuality and the criminal lawsin the Middle East and North Africa:a comparative study, Istanbul (Turchia),WWHR- NEW WAYS, 2005Fluehr-Lobban, Carolyn, “Culturalrelativism and universal human rights”,in AnthroNotes, Vol.20, no.2 (Winter 1998)Grez, Emmanuel, “L’intolérable alibiculturel: l’excision et ses bonnes excuses”,in Quasimodo. Fictions de l’étranger, no. 6.,www.revue-quasimodo.orgGunning, Isabelle R., “Arrogant perception,world travelling and multicultural


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APPROFONDIMENTI274delle <strong>Mutilazioni</strong> Genitali Femminili MGF),studio clinico e psicopatologico su ungruppo di immigrate in Sicilia”,in Rivista di Psichiatria, vol. 39, no. 4(luglio-agosto 2004)Lutz-Fuchs, Dominique, avec lacollaboration de Pierre Erny ,Psychothérapies de femmes africaines(Mali), Paris (France), L’Harmattan, 1994Ministero della Salute, Commissioneper la prevenzione e il divietodelle pratiche di mutilazione genitalefemminile (D.M. 6 settemnre 2006),Rapporto al Ministro della salute,Linee guida destinate alle figureprofessionali sanitarie nonché ad altrefigure professionali che operano con lecomunità di immigrati provenientida paesi dove sono effettuate le pratichedi mutilazione genitale femminile perrealizzare una attività di prevenzione,assistenza e riabilitazione delle donnee delle bambine già sottoposte al talipratiche, Roma, Ministero della Salute,9 marzo 2007Toubia, Nahid, Caring for Women withCircumcision. A Technical Manual for HealthCare Providers, Londra (Regno Unito),Rainbo, 1999WHO, Femal Genital Mutilation.Integrating the Prevention and theManagement of the Health Complicationsinto the curricula of nursing and midwifery.A Teacher’s Guide, Ginevra (Svizzera),WHO, 2001WHO, Femal Genital Mutilation. Integratingthe Prevention and the Management of theHealth Complications into the curricula ofnursing snd midwifery. A Student’s Manual,Ginevra (Svizzera), WHO, 2001WHO, Femal genital Mutilation. PolicyGuidelines for nurses and midwives,Ginevra (Svizzera), WHO, 2001/ Esperienze di vita e testimonianze /Mazzetti, Marco (a cura di), Senza le ali:le mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>, Milano,Franco Angeli, 2000Moro, M.R. - De la Noe, Q. - Mouchenik,Y. (a cura di), Manuel de psychiatrietransculturelle: travail clinique, travail social,Parigi, La Pensée Sauvage, 2006Mwangaza Action, Rapport de l’étudesur les causes de persistance des MGF,les conséquences psychologiques sur lasexualité, la typologie et la qualité des soinstraditionnel (rapporto non pubblicato),Mwangaza Action, 2008Sheldon Sally – Wilkinson, Stephen,“Female Genital Mutilation and CosmeticSurgery : Regulating Non-TherapeuticBody Modifications”, in Bioethics,Vol. 12, n° 4, 1998Ali Farah, Cristina, Madre piccola, Milano,Frassinelli, 2007Barnes, Virginia L. - Boddy, Janice,Aman: the story of a Somali girl by Amanas told to Virginia Lee Barnes and JaniceBoddy, Londra (Regno Unito), BloomsburyPublishing, 1994Catania, Lucrezia - Abdulcadir,Omar Hussen, Ferite per sempre:le mutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e laproposta del rito alternativo, Roma (Italia),Derive Approdi, 2005Diallo, Khadidiatou, Mon jardin dévasté,Bruxelles, GAMS, n.d.Dirie, Waris con Corinna Milborn,Desert children, Londra (Regno Unito),Virago Press, 2005


APPROFONDIMENTI275Dirie, Waris con Cathleen Miller, Fioredel deserto: storia di una donna, Milano,Garzanti, 1998Dirie, Waris, Figlie del dolore, Milano,Garzanti, 2006Henry, Natacha - Weil-Curiel, Linda,Exciseuse: entretien avec Hawa Gréou,Parigi (Francia), City Editions, 2007Kassindja, Fauziya, con Layly Miller Bashir,Do they hear you when you cry, NewYork(USA), Delacorte Press, 1998Khady con la collaborazione di Marie-Thérèse Cuny, Mutilata: vittima di unrituale crudele , Milano, Cairo editore, 2006Sestero, Ottavio, Il sacrificio delsettimo anno, Torino, Edizioni MissioniConsolata, s.d.Thiam, Awa, La parole aux négresses,Parigi, Denoel/Gonthier, 1978Unali, Lina, Regina d’Africa: incantodell’infanzia nomadica. Infibulazione,matrimonio, guerra civile <strong>nelle</strong> boscagliedella Somalia, Roma, EdizioniAssociate, 1993Zabus, Chantal, Between rites and rights:excision in women’s experiential texts andhuman contexts, Stanford (USA), StanfordUniversity Press, 2007Ravenna (Italia), Unità Operativa LineeEditoriali, 2002Creel, Liz – Ashford, Lori – Carr, Dara …(et al.), Abandoning female genital cutting:prevalence, attitudes, and efforts to endthe practice, Washington (USA), PRB(Population Reference Bureau), 2001Feldman-Jacobs, Charlotte - Clifton,Donna, Female genital mutilation/Cutting:data and trends, Washington (USA),Population Reference Bureau, 2008Gallo, Raffaella, Dalla parte dellebambine immigrate. <strong>Mutilazioni</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>: conoscenza del fenomeno e analisidella realtà torinese, Tesi di laurea(non pubblicata), 2000Gori, Gianfranco, Le mutilazioni <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong> nella popolazione immigratain Emilia-Romagna: 1) Attitudini <strong>dei</strong>professionisti al riconoscimento ed altrattamento delle problematiche legate alleMGF indagine condotta sui professionistidel Sistema sanitario regionale in EmiliaRomagna; 2) Attitudini delle immigratesomale in Emilia Romagna rispetto allemutilazioni <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> - coordinatorericerca Gianfranco Gori. Saggio presentatoin occasione del Seminario “DallaConferenza del Cairo alle iniziativeregionali e nazionali” nell’ambito dellaCampagna Stop FGM! coordinata da AIDOSin collaborazione con NPWJ, Bologna,27-28-ottobre 2003/ Statistiche /Azienda USL di Forlì, Le mutilazioni<strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> (MGF) nella popolazioneimmigrata (dicembre 2000-febbraio 2001),risultati dell’indagine regionale - AUSLRavenna; AUSL Forlì; relazione finalecurata da Gianfranco Gori e Enzo Esposito,Loaiza, Edilberto, FGM/C: indicators, surveydata and results (PowerPoint presentation)presentato in occasione dell’UNICEFGlobal Consultation on FGM and earlymarraige indicators, New York,11-13 novembre 2003Loaiza, Edilberto - Cappa, Claudia - Jones,Gareth, Gender statistics and some existingevidence, Firenze, UNICEF, InnocentiResearch Centre, 2006


APPROFONDIMENTI276UNICEF, Female genital mutilation/cutting:a statistical exploration, New York,UNICEF, 2005UNICEF, FGM/C: indicators, survey data,and results (Sources: UNICEF MultipleIndicator Cluster Survey; Macro InternationalDemographic and health Surveys),New York, UNICEF, 2003Yoder, Stanley P. - Abderrahim,Noureddine - Zhuzhuni, Arlinda,Female genital cutting in the Demographicand Health Surveys: a critical andcomparative analysis, Calverton (USA),Macro International, 2004Yoder, Stanley P. - Khan, Shane,Numbers of women circumcised in Africa:the production of a total, Calverton (USA),Macro International, 2008Favali, Lyda - Pateman, Roy,“The virgin, the wife, the spinster andthe concubine: gender roles and genderrelations” in Favali L. – Pateman R.,Blood, land and sex: legal and politicalpluralism in Eritrea, Bloomington (USA),Indiana University Press, 2003Forni, S.- Pennacini, C.- Pussetti, C.,Antropologia, genere, riproduzione: lacostruzione culturale della <strong>femminili</strong>tà,Roma, Carocci, 2006Goetz, Anne Marie, “A review of genderequality dimensions of all eight MDGs”,in Goetz A.M., Progress of the world’swomen 2008/2009: who answers towomen? Gender accountability, New York(USA), UNIFEM, 2008Henshall Momsen, Janet, Gender anddevelopment, Londra (Regno Unito),Routledge, 2004/ Il concetto di genere /Bhasin, Kamla, Understanding gender,New Delhi (India), Kali for Women, 2000Bimbi, Franca (a cura di), Differenze ediseguaglianze: prospettive per gli studi digenere in Italia, Bologna, Il Mulino, 2003Busoni, Mila, Genere, sesso e cultura,uno sguardo antropologico, Roma,Carocci, 2000Connel, Robert W., Questioni di genere,Bologna, Il Mulino, 2006De Lauretis, Teresa, Sui generis: scritti diteoria femminista, Milano, Feltrinelli, 1996El-Bushra, Judy, “Rethinking gender anddevelopment practice for the twenty-firstcentury”, in Gender and development vol. 8,no.1, marzo 2000Héritier, Françoise, Maschile efemminile: il pensiero della differenza,Bari, Laterza, 2002Jolly, Susie, Gender and cultural change:overview report, Brighton (Regno Unito),IDS, 2002Kabeer, Naila, Reversed realities: genderhierarchies in development thought,Londra (Regno Unito), Verso, 1994Meyer, Mary K. - Prugl, Elisabeth(a cura di), Gender politics in globalgovernance, Lanham (USA), RowmanLittlefield Publishers Inc., 1999Miller, Carol - Razavi, Shahra (a curadi), Missionaries and mandarines: feministengagement with development institutions,Londra (Regno Unito), IntermediateTechnology Publications, 1998Parpart, Jane L. - Rai, Shirin M. -Staudt, Kathleen (a cura di), Rethinking


APPROFONDIMENTI277empowerment: gender and development ina global/local world, Londra (Regno Unito),Routledge, 2002Piccone Stella, Simonetta - Saraceno,Chiara (a cura di), Genere: la costruzionesociale del femminile e del maschile,Bologna, Il Mulino, 1996Reevs, Hazel - Baden, Sally, Genderand development: concepts anddefinitions, Brighton (Regno Unito),BRIDGE, 2000Ruspini, Elisabetta, Le identità di genere,Roma, Carocci, 2003Donato, Maria Clara (a cura di),Femminismi e culture. Oltre l’Europa,Roma, in Genesis. Rivista della Societàitaliana delle Storiche, no. 2, Viella, 2005Urpis, Ornella, “Genere e ruoli sociali, duemodelli interpretativi a confronto: TalcottParsons e Margaret Mead”, in Donne,politica e istituzioni: quaderno 2008 -Trieste, Edizioni Università di Trieste, 2008Verschuur, Christine (a cura di),Quel genre d’homme? Construction socialede la masculinité, relations de genre etdéveloppement, Ginevra (Svizzera),IUED, 2000Visvanathan, Nalini - Duggan, Lynn -Nisonoff, Laurie - Wiegersma, Nan(a cura di), The women, gender anddevelopment reader, Londra,Zed Books, 1997Sweetman, Caroline (a cura di),Gender in the 21st century, Oxford(Regno Unito), Oxfam, 2000The World Bank, Engendering development:through gender equality in rights, resourcesand voice, New York (USA), OxfordUniversity Press, 2001The World Bank, Global MonitoringReport 2007: Millennium DevelopmentGoals: Confronting the challenges ofgender equality and fragile states,Washington (USA), World Bank, 2007UNFPA, Lo stato della popolazione nelmondo 2005: la promessa dell’uguaglianza:equità di genere, salute riproduttiva eObiettivi di sviluppo del Millennio.Edizione italiana a cura di AIDOS,Roma, AIDOS, 2005UNFPA, Lo stato della popolazionenel mondo 2008: punti di convergenza:cultura, genere e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, edizioneitaliana a cura di AIDOS, Roma,AIDOS, 2008


Ricerca a cura diASSOCIAZIONEDIRITTI UMANISVILUPPO UMANOCULTURE/APERTE /associazione di promozionesociale compostada mediatori culturaliIn collaborazione conAssociazione Italiana donneper lo sviluppoProgetto finanziato da/ Ricerca realizzata nell’ambitodel progetto <strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong><strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunità migrantifinanziato dal Dipartimento perle Pari Opportunità dellaPresidenza del Consiglio <strong>dei</strong>Ministri attraverso la Legge7/2006.


Negli ultimi anni l’immigrazione italiana hacominciato a stabilizzarsi. Ora sono intere famiglie,nate a Sud del Sahara, nel Corno d’Africa, lungo lerive del maestoso Nilo, ad aver scelto l’Italia percostruire il proprio futuro.Portano con sé culture diverse, e tradizioni cheaffondano le proprie radici in complesse dinamichesocio-culturali. Tra queste, le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong><strong>femminili</strong>. Una pratica cui sono state sottoposte giá130 milioni di donne nel mondo, prevalentemente inAfrica, che costituisce una grave violazione <strong>dei</strong> loro<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e che, dopo quasi trent’anni dimobilitazione da parte di associazioni eorganizzazioni comunitarie, governi, organizzazioninon governative e organizzazioni internazionali,sembra oggi finalmente avviata a scomparire.Ma non è facile, per chi è cresciuto in un mondo incui le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> fanno partedel “normale” percorso di costruzione dell’identitàfemminile e di strutturazione delle relazioni trai sessi, per chi proviene da paesi dove questa èuna tradizione da rispettare e un norma socialeche fonda le relazioni familiari e comunitarie,decidere di collocarsi al di fuori della propriacultura d’origine abbandonando la pratica.Per questo le mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong>resistono, magari cambiando forma, diventandomeno invasive e cruente. E migrano. Per cui inOccidente, in Italia, si corre il rischio che lebambine di origine africana vi siano sottoposte.Nel rispetto del mandato della legge 7/2006 cheprevede la realizzazione di misure di prevenzionedelle mutilazioni <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> in Italia,questa ricerca ha voluto tracciare una primafotografia della percezione della pratica tra lepersone di origine africana che vivono nel Venetoe in Friuli Venezia Giulia, e tra chi opera a contattocon loro, <strong>nelle</strong> istituzioni, <strong>nelle</strong> strutture sanitarie,sociali, giudiziarie, attraverso la mediazioneculturale e nell’associazionismo.Sotto la lente è finito il campo <strong>dei</strong> processidecisionali che circondano la pratica nell’esperienzadella migrazione, le motivazioni alla base della suapersistenza, le relazioni di genere e familiari,i rapporti sociali, i percorsi che sono giá statiavviati sul territorio per promuoverne l’abbandono,l’impatto che l’introduzione del reato di mutilazione<strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> in Italia attraverso la legge7/2006 potrebbe avere.Per trarne proposte e suggerimenti per chi lavorasul campo, ma anche per noi tutti che oggi viviamoinsieme a persone di origine africana, spessoingiustamente viste come rigidamente legate alleproprie tradizioni, quando invece sono giá – comeemerge dalla ricerca – avviate sulla strada delcambiamento.La ricerca è stata realizzata nell’ambito delprogetto “<strong>Mutilazioni</strong> <strong>dei</strong> <strong>genitali</strong> <strong>femminili</strong> e <strong>diritti</strong><strong>umani</strong> <strong>nelle</strong> comunitá migranti”, finanziato dalDipartimento per le pari opportunitá nell’ambitoLegge 7/2006, coordinato da AIDOS – Associazioneitaliana donne per lo sviluppo, in collaborazione conADUSU, Associazione <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> – sviluppo umanodi Padova e Culture Aperte di Trieste.Il progetto è patrocinato dalla Regione Veneto –Assessorato alle Politiche di bilancio, ai <strong>diritti</strong><strong>umani</strong>, alla cooperazione allo sviluppo e alle pariopportunitá – Direzione Regionale RelazioniInternazionali, e dalla Regione Friuli Venezia Giulia –Direzione centrale salute e protezione sociale, ed èrealizzato con la partecipazione dell’ANOLF – CISL,Associazione nazionale Oltre le frontiere, dellaStruttura Alta Professionalità Immigrazionedell’Unitá locale socio sanitaria (ULSS) 16 di Padova,dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste e dell’ENFAP, Entenazionale formazione addestramento professionale– sede regionale del Friuli Venezia Giulia./ ISBN 9788890443503/ Immagine di copertina di Cristina Chiappini

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