UNA SCALATA LUNGA VENT’ANNIEugenio Manni e Pietro Riva sulla vetta dello Schreckhornnon abbiamo più mangiato.Al secondo bivacco invece, a sorpresa, ci ha raggiunti un elicotteromandato lassù poiché dal basso avevano notato un po’di movimento in parete. Ci puntava, diritto davanti a noi, con lepale che ci sfioravano e vedevamo distintamente nella cabinapilota e copilota. C’è stato un attimo di suspance in cui ci siamoguardati: se in quel momento qualcuno avesse ceduto e avessedetto “saltiamo su” ci saremmo giocati la via. Fortunatamentenessuno ha aperto bocca e il giorno dopo siamo arrivati in vetta.Eravamo affamati, disidratati, stanchi ma anche così gasati chein quattro ore siamo tornati al campeggio: siamo arrivati alle 4 dipomeriggio ed è stata festa grande. Il cuoco, Pier, ha cominciatoa spadellare e siamo andati avanti a mangiare, ridere e festeggiarefino a notte.LA STORIA1600 di sviluppo. E’ stata una vera avventura soprattutto quandola sera del primo bivacco ho chiesto ai compagni chi avessepreso la busta con la roba da mangiare… ci siamo guardati infaccia ma nessuno aveva il cibo nello zaino. Uno scherzo? Purtroppono, avevamo lasciato i viveri in macchina! La cena è statauna busta di riso liofilizzato in quattro, mentre la colazione dellamattina seguente l’abbiamo fatta con mezzo Mars a testa… poiLA SCOPERTA DEL CLUB DEI 4000Da quella volta ho fatto altri 4000 in maniera sporadica, e sempreperché stavo facendo altro non pensando alla fatidica quota cherappresentavano. Il Maudit, ad esempio, l’ho salito perché sonoandato a ripetere la via Kuffner, la Punta Walker alle GrandesJorasses perché ho salito la via Cassin sulla Nord, il Lenzspitzee il Breithorn per le loro pareti Nord in piolet, e via di questo passo…Nel 2005, però, ho scoperto che esisteva un Club dei 4000(www.club4000.it) e sono entrato quando ne avevo già una cinquantinaall’attivo. Solo allora salire tutti gli 82 quattromila delleAlpi è diventato un progetto e quindi ho cambiato un po’ l’allenamento:i gradi si abbassavano, ma avevi bisogno di muoverti inquota, stare in ballo tante ore, muoverti sul misto con scarponi eramponi. Il botto l’ho fatto nel 2008 quando ho salito ben 20 cime.Con l’allenamento raggiunto riuscivo ad andare in giro anche con“giovinastri” di vent’anni più giovani rispetto a me come GiacomoBianchi Bazzi (compagno anche al Mc Kinley e ideatore diquella bella spedizione) puntando a fare concatenamenti anchedi 5/6 quattromila alla volta. Quelli tecnicamente più impegnativicredo siano stati l’Aretè du Diable e l’Aiguille Blanche de Peutéreydal versante Nord in piolet con prosieguo lungo la cresta diPeutérey, entrambi saliti con Fabio Valseschini. Questi, insiemeall’integrale del Brouillard e al concatenamento Schreckhorn -Lauteraarhorn, sono stati i più “fisici” ma anche i più belli perchéabbiamo scelto delle vie di salita particolari.L’AVVENTURA PRIMA DI TUTTODurante il mio percorso non ho quasi mai salito una via normale,ho sempre cercato qualcosa in più. Ad esempio lo Schreckhorne il Lauteraahorn di solito si fanno uno da un versante e unodall’altro, ma io mi ero messo in testa di concatenarli, lo fannoin pochi perché è una mattata e se cerchi documentazione nontrovi praticamente niente. Però mi son detto: “Perché andar su indue week-end diversi quando si può fare tutto in una volta sola?”In quel caso andai con Pietro Riva, figlio dell’Ermanno Riva carissimoamico di Sergio Longoni a cui ha dedicato il bivacco ai26
LA STORIAComolli. Pietro è stato campione nazionale di Wintertriathlon equando vai in giro con lui corri, e io avevo giusto bisogno di unsocio così. Eravamo i primi, quest’anno, a tentare il concatenamentoe tra l’altro io non stavo troppo bene. Alla fine ci abbiamomesso 6 ore per salire sullo Schreckhorn e 9 ore per compierela traversata e arrivare sul Lauteraahorn. Proprio durante quellauscita ho conosciuto due ragazzi di Cuneo Roberto Garnero eDiego Fiorito, proprio quest’ultimo mi ha accompagnato a fare gliultimi due quattromila: il Taschhorn e il Dom. A Lecco non trovavonessuno che poteva accompagnarmi, chi per un motivo e chi perl’altro, allora ho chiesto a Diego e con lui sono riuscito a completarela mia avventura nel 2011. Anche in quel caso la vicendafu travagliata: infatti verso la fine di agosto ho trovato un socioche mi avrebbe accompagnato solo fino al Taschhorn ma non intraversata al Dom. Quindi rinunciai nonostante un preziosissimoweek-end di bel tempo perché per me quella salita aveva sensosolo se fatta in traversata. Un po’ perché era il luogo dove eramorto Patrick Berhault proprio mentre stava tentando il concatenamentointegrale dei quattromila; un po’ perché ci avevo giàprovato nel 2004 con Fabio Valseschini, Marco Perego, un amicoscomparso, e Antonio Orsenigo. Insomma, pur di seguire i mieiprincipi e fare queste due cime a modo mio, ho rischiato di nonriuscire a chiudere la mia collezione nel 2011.QUESTIONE DI NUMERI E APPETITOL’11 settembre 2011, a dieci anni dall’attentato delle torri Gemelle,esattamente alle 11.11 sono arrivato in cima al Dom. Hochiuso la partita a modo mio perché, in fondo, ho sempre cercatoqualcosa che rendesse queste salite più intriganti. E’ stata unabellissima esperienza, nata per caso. Poi è diventato un modoper andare in montagna e conoscere quasi ogni valle da qui alDelfinato, all’Oberland. Ho sempre cercato compagni particolari,la cerchia è sempre stata abbastanza ristretta. Ma soprattutto,dopo l’ultima salita, non c’è mai stato un momento in cui ho detto“è finita” perché ho capito che questa “collezione” è stata solo unpassaggio. Ho capito che non smetterò mai di andare in montagnaperché di vie da fare ce ne sono ancora una valanga e fra isogni nel cassetto ci sarebbe anche la ripetizione del via sul pilonedel Freney che, con Marco Perego, sfumò nel 2003. Quandosono arrivato in cima al Dom mi sono reso conto che è statocome quando ho finito un qualsiasi altro 4000. Ingenuamentepensavo sarebbe stato diverso, credevo mi sarei sentito sazio,ma questa voglia di fare e questa ricerca che hai dentro non conoscesazietà. Finito un progetto riparti per un altro.UNA MONTAGNA DI SENTIMENTIE’ un progetto talmente lungo che sicuramente richiede determinazione,anche se penso sia alla portata di molte persone.Passi week-end bestiali: ore di macchina e metri di dislivello persalire al rifugio, ti svegli all’una di notte, scali la montagna e arriviin vetta, poi altre migliaia di metri di discesa per ritornare allaIl panorama dalla vetta del Taschhornmacchina con le prime luci della sera e ti metti alla guida perchéil lunedì mattina devi andare al lavoro… quelle poche volte chetornavo da solo mi è anche capitato di dovermi fermare in unapiazzola di sosta in autostrada, buttar giù i sedili e dormire unpo’ nel bagagliaio perchè avevo dei colpi di sonno pazzeschi!Alcuni mi chiedono come faccio ogni volta ad avere la voglia diripartire. Ma c’è un fascino particolare dietro a ogni salita perchéte la studi sulle cartine, ti costruisci il percorso migliore, e cosìinizia a prendere corpo una nuova avventura. Ti senti pioniere,come se mai nessuno avesse salito quella cima. In fondo su 82cime, una quarantina sono quasi sconosciute. E’ un’esperienzache ti consente di raggiungere la maturità completa comealpinista: ti muovi su ghiaccio, roccia, misto, ti devi districareda solo dai problemi, devi trovare la via di salita. Ho passatoanche la fase in cui vai e ripeti un vione, ti dà soddisfazione maalla fine è poco più che un gesto atletico … mancano in partel’aspetto della ricerca, il romanticismo e l’avventura. Al di là cheuna montagna sia più o meno di 4000 metri, quello che conta èl’esperienza a tutto tondo che si vive. Un ingaggio completo cheti spreme in più ambiti, la fisicità dello stare in giro anche 24 ore,il piacere dell’arrampicata fine a se stessa, l’ambiente di granderespiro, la lontananza dalla massa e dai tracciati comuni…questa la considero la perfezione. E, ovviamente, quello chefa grande un percorso del genere non è la meta ma il viaggio.Conosci nuovi posti, nuove persone, crei amicizie e trovi personaggiche aumentano il tuo bagaglio di conoscenze. Il fatto diracchiudere queste cose nella salita di 82 montagne è solo unmodo per mettere un po’ di ordine. Ma in mezzo c’è un pezzodi vita, il matrimonio, la nascita dei figli, il lavoro, creare unaazienda, andare in vacanza al mare… i week-end passati inmontagna sono solo i pezzetti di un filo che collega tutto.27