13.07.2015 Views

marzo-aprile - Carte Bollate

marzo-aprile - Carte Bollate

marzo-aprile - Carte Bollate

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

carte<strong>Bollate</strong><strong>marzo</strong> - <strong>aprile</strong> numero 2/2011il nuovoPeriodico di informazione della II Casa di reclusione di Milano-<strong>Bollate</strong>DOSSIERcarcere & mediaQuesta è la stampa, bellezza...Gli incontriallo Iulm p.3Carceriillegali p.4Affettireclusi p.5Diamocida fare p.20Entrare in galeraci ha reso miglioridi Ivan BerniIl sovraffollamentonon è un’attenuantedi Susanna RipamontiLa mediazionefamiliare serve?di Carmelo ImpusinoNon culliamocisul Progetto <strong>Bollate</strong>di Lucia Castellano


sommario <strong>marzo</strong> - <strong>aprile</strong> numero 2/2011fotografie di federica neeffin copertina: gli studenti dello iulmEditorialeEntrare in carcere ci ha reso migliori 3Quando a San Vittorel’arca dell’utopia prese il largo 4AffettivitàAffetti reclusi, sarebbe utilela mediazione familiare? 5Mogli, mariti, genitori e figlivittime dei nostri reati 7“Non voglio che i miei familiarisi abituino alla mia assenza” 9Se fossi uno dei miei genitori… 9Quando la moglie è in galera 10Dossier SeminarioQuesta è la stampa, bellezza... 11Un giorno in galera 12Il carcere, la pena e la speranza 14La passione criminale dei tg 15Raccontiamo la realtàsenza concetti presi a nolo 16Il 41 bis, un male necessario 17Intercettazioni: c’è una buona legge,basta applicarla 18Certezza della penanon vuol dire certezza della galera 19la visita alle serreNon culliamoci sul Progetto <strong>Bollate</strong> 20Le commissioni di reparto,uno strumento di democrazia 21Ottoni in concerto 21Nuovi progettiImpariamo insieme a fare musica 22Dal 7° reparto ortaggia km zero per tutto il carcere 23Sisifo, tra mitologia e attualità 24Quando è la slot-machine a dirti chi sei 25Poesia 26Il raccontoLa rivoluzione di Viola 27Dove ti portereiL’occasione fa l’uomo bambino 28Il carcere, se lo conosci lo eviti,se lo conosci non ti uccide 30Camus e le serate sociali 30CalcioVittorie spettacolaricon un pubblico da applausi 31Anime in pena 32102227312 carte<strong>Bollate</strong>


Entrare in carcereci ha reso miglioriQuant’è distante il carcere dallavita “normale”? La misura diquesta distanza sta nella nostrapaura (di entrarci) e nell’ideafantasmatica che ci siamo fatti della prigione.Come luogo dell’afflizione, della punizione,dell’espiazione, della privazione.Come luogo massimo della sfiga. Il carcereè tutto questo, certo, ma è anche il luogo didue definizioni omesse, che paiono debolisin dalla pretesa che implicano. Il carcerecome luogo della rieducazione e della “risocializzazione”.A ben pensarci, in fondo,è proprio questa pretesa a darci la misuradella distanza fra “normali” e detenuti,fra la società e gli antisociali. La Costituzioneci dice che quella è la missione delcarcere, ma noi sappiamo che si tratta diun’enunciazione di principio, un nobilebelletto per non chiamare l’inferno col suonome, un detersivo per lavarci la coscienza.Chi entra in carcere ne esce peggiore,non raccontiamoci balle… O no?L’esperienza del carcere di <strong>Bollate</strong> è lì adirci che il dubbio è fondato. Che la missionenon è impossibile. Che la Costituzionenon è stata scritta da un gruppo diillusi. Che quella finalità nobile di rieducazionee recupero è una strada percorribile.Faticosa, difficile, piena di ostacoli e contraddizionima percorribile. Una strada,una storia che va raccontata, mostrata,discussa, portata al confronto pubblico.Che va comunicata al mondo e prima ditutto a chi, come i giornalisti nel loro lavoro,trasmette e costruisce il cosiddettosenso comune. Ovvero costruisce l’idea, ela paura, che abbiamo del carcere.La redazione di carte<strong>Bollate</strong> ha volutoportare quest’esperienza agli allievi dellescuole di giornalismo di Milano, iniziandocon il master di giornalismo dell’universitàIulm, prevedendo poi di allargareil campo ai giornalisti professionisti. Iquattro incontri organizzati in università,e la giornata di “presa diretta” dei trentaallievi con la realtà del carcere, sono statiun’occasione straordinaria di rimessa indiscussione di luoghi comuni e cliché. Eanche un poderoso ripasso di principi giuridicie delle principali norme del codicedi procedura penale: dalla disamina degliarticoli della Costituzione su libertà, penee diritti, alla casistica d’applicazione dellemisure cautelari, del 41 bis (carcere duroper i mafiosi), delle pene alternative alcarcere, dell’ammissione al lavoro esternoo ad altri benefici, alla funzione del tribunaledel riesame e del magistrato di sorveglianza.Si è parlato anche di attualità,affrontando il tema delle intercettazionitelefoniche in relazione alle indagini ealla pubblicazione delle stesse. E si è affrontato,anche, il tema della devianza edei cosiddetti soggetti “criminogeni”, scoprendoattraverso la testimonianza dellacriminologa Patrizia Ciardiello quantosiamo, tutti, prigionieri di una somma diluoghi comuni. E quanto siamo incapacidi vedere le persone– le loro storie,le loro debolezze, laloro “normalità” criminale– dietro i fattidi cui devono rispondere.I seminari sono statitutti seguiti congrande passione esripamontis@gmail.comeditorialeSOSTENETECIcon una!donazionericeverete acasa il giornalecoinvolgimento. Aogni lectio magistralisè seguito un dibattitoserrato, connumerosi interventidegli allievi. E certamente hanno giocatoun grande ruolo l’autorevolezza e la competenzadelle personalità che carte<strong>Bollate</strong>ha coinvolto: il presidente emeritodella Corte Costituzionale Valerio Onida,il procuratore aggiunto di Milano AlbertoNobili, l’avvocato ed ex presidente dellaCommissione Giustizia della Camera GiulianoPisapia, il magistrato di sorveglianzaFrancesco Maisto. Il giurista UmbertoUrsetta oltre al direttore di carte<strong>Bollate</strong>Susanna Ripamonti e ad Assunta Sarlo, lecolleghe che con lo Sportello giuridico delcarcere hanno organizzato l’iniziativa.Chi ha avuto la possibilità di entrare e conoscereil carcere, stavolta, certamentene è uscito migliore.Iva n Be r n i,caporedattoreMaster in Giornalismo Università IulmIBAN: IT22 C 03051 01617 000030130049 BIC BARCITMMBKOIl nuovo carte<strong>Bollate</strong>via C. Belgioioso 12020157 MilanoRedazioneDritan AdemiSandra AriotaEdgardo BertulliElena CasulaAntonio D’AntonioAlessandro De LucaRomano Gallotta(impaginazione)Flavio GrugnettiHabib H’mamCarmelo ImpusinoAntonio LasalandraEnrico LazzaraStefano MaloyanClaudia MaddoloniMario MauriCarla MolteniFederica Neeff(art director)Remi N’diaye(fotoreporter)Silvia PalombiAndrea PasiniSusanna Ripamonti(direttrice responsabile)Nino SperaLella VegliaRoberta VillaMargit UrdlHanno collaborato aquesto numeroIvan BerniMaddalena CapalbiLucia CastellanoIchem CheikrouhouErika CrispoClaudio CurnisChiara DaffiniFabio FossatiLinda IricoGiuseppe LeoEmilio MariottiLuigi MirabelliRoberta ReiAssunta SarloIgnazio StagnoRoberto TortoraEditoregruppo carcereMario Cuminettionlusvia Tadino 1820131 MilanoComitato editorialeNicola De RienzoRenato MeleFranco Moro ViscontiMaria Chiara SettiDonazioneminimaannuale20 europer ricevere6 numeri delNuovo carte<strong>Bollate</strong>a casa vostra.Il versamentova effettuatocon un bonificointestato a “Amicidi carte<strong>Bollate</strong>” su:IT 22 C 03051 01617 000030130049bic barcitmmbkoindicando nellacausale il vostronome e indirizzo.Registrazione Tribunaledi Milanon. 862 del 13/11/2005Questo numero delNuovo carte<strong>Bollate</strong>è stato chiusoin redazione alle ore 18del 10/3/2011carte<strong>Bollate</strong>3


PRESA DIRETTA – Carceri illegali, il sovraffollamento non può essere un alibiQuando a San Vittore l’arcadell’utopia prese il largoAbbiamo visto in tanti la puntatadi Presadiretta dedicata allecarceri e chi in galera ci viveo ci lavora forse ha iniziato asperare che una denuncia così forte, cheha raggiunto quasi due milioni di telespettatori,non cada nel consueto silenzio.Abbiamo visto che ci sono quarantacarceri (secondo altre fonti 66) che sonostate completate, addirittura inauguratepiù volte dai guardasigilli che si sonosucceduti e che sono chiuse e inutilizzate.Alcune, come quella di Oristano,sono ormai irrecuperabili e possono soloessere demolite senza avere mai apertoi cancelli. Ci dicono che restano chiuseper mancanza di personale o di infrastrutture,ma è possibile che nessunopresenti il conto a chi è responsabile diquesto scempio? Il parlamento ha discussoa vuoto di piano-carceri, per poiaccantonare il progetto del ministro AngiolinoAlfano per mancanza di coperturafinanziaria. È ovvio che un pianodi recupero dell’edilizia carceraria inutilizzatanon sazierebbe gli appetiti deicostruttori edili, ma anche un modestoragioniere capirebbe che è l’unica stradapercorribile.Adesso tutti sanno che nelle carceriitaliane è legittimata la tortura: l’orroredella “cella liscia” in cui una detenutaè stata costretta a vivere in mutande,finché con quelle è riuscita a suicidarsinon è un’eccezione. Niente lenzuola,niente vestiti, solo un materasso e unacoperta sporchi. È la punizione (e noncerto il supporto) per chi in carceremanifesta vocazioni suicide. È possibileche la magistratura che viene a conoscenzadi fatti di questa gravità non siricordi che anche in questi casi esistel’obbligo dell’azione penale?Il problema, forse, è che in questo Paese,assuefatto alla mediocrità, nessunochiede mai conto delle inerzie, delleinadempienze, del lavoro fatto a spanne,senza intelligenza e passione. E ancheil sovraffollamento delle carceri rischiadi essere un lacero paravento chelegittima il vuoto di iniziative e di idee.In queste settimane, noi di carte<strong>Bollate</strong>assieme ai volontari dello Sportellogiuridico, abbiamo organizzato un seminariocon gli studenti dei master di4 carte<strong>Bollate</strong>I detenutinon devonorestare giornoe nottenegli stessispazi.Ordinamentopenitenziarioart.6giornalismo e con i giornalisti. Moltigiuristi, da Valerio Onida al candidatosindaco Giuliano Pisapia, hanno spiegatoagli studenti cosa prevedono le leggie la Costituzione in materia di carceree diritti dei detenuti. “Ma se è previstoper legge – ci chiedevano gli studenti– perché chi ha la responsabilità di applicarequelle norme non lo fa?”. Ce lochiediamo anche noi: perché gli operatoridella giustizia, siano essi “carcerieri”magistrati o avvocati, non provanoalmeno a far valere la loro autonomiaper cambiare per quanto possono laroutine operativa? Certo, ci sono milleostacoli che possono scoraggiare ancheil più eroico sostenitore della necessitàdi un cambiamento, ma da qualche partebisogna pure iniziare.Mi è capitato di chiedere alla direttricedi un carcere siciliano, sinceramenteconvinta della necessità di rispettarele norme previste dall’Ordinamento penitenziario,se era davvero inevitabiletenere i detenuti chiusi in cella 22 oresu 24. L’art 6 dell’ordinamento penitenziario(legge 354\75, promulgata 36 annifa e ancora inattuata) parla di “locali disoggiorno e locali di pernottamento”.È chiaro che questo significa che i detenutinon devono restare giorno e nottenegli stessi spazi e se non ci sono areetrattamentali, salette per la socialità, biblioteche,scuola o luoghi di lavoro pertutti, ci saranno pure i corridoi! Basterebbeattrezzarli con arredi minimi perrendere meno soffocante la vita in cella.Quando il provveditore Luigi Paganodirigeva San Vittore adottò proprio questasoluzione per affrontare il problemadel sovraffollamento, e San Vittore nonè certamente un carcere facile. Eravamonegli anni ’90, in piena Tangentopolie nel vecchio penitenziario milanesec’erano 2000 detenuti a fronte una capienzaregolamentare di 800 persone.Gli indagati eccellenti, arrestati per l’inchiestaMani Pulite, entravano e uscivanoogni giorno, i giornalisti bivaccavanodavanti ai cancelli a caccia di notizie ele telecamere erano tutte puntate suquel carcere, ma Pagano non si nascosedietro l’alibi del sovraffollamento.Ricordo detenuti che giocavano a pallavoloin un corridoio, altri che hannocostruito un’arca gigantesca, fabbricatapezzo per pezzo in una cella di due metriper tre e assemblata in un cortile. Lasituazione era rovente eppure, proprioin quegli anni, l’arca dell’utopia prese illargo. E anche a luci spente, San Vittorecontinua a essere un penitenziario cheva controcorrente, sfidando il sovraffollamentoe una struttura da archeologiacarceraria.Su s a n n a Ripa m o n t i


AffettivitàL’INCHIESTA – Lo abbiamo chiesto a tre psicologhe del SertAffetti reclusi, sarebbe utilela mediazione familiare?Abbiamo discusso in redazione di rapporti tra i detenuti e i loro familiari. Sono emersi problemiche nascono dalla difficoltà di gestire e mantenere i contatti a distanza, ma anche dalfatto che le conseguenze del reato e della detenzione si ripercuotono sulla famiglia del detenuto. Avolte tra reclusi e familiari liberi si alzano veri e propri muri di incomprensione, distacco, incapacitàdi dialogo, silenzi disarmanti che sono una pena aggiuntiva per chi è in carcere e motivo diulteriore sofferenza per chi sta fuori. Tante volte i rapporti familiari tra adulti rimangono aggrappatisolo a valori formali: si accetta per dovere il familiare recluso, ma il rapporto non si radicain una più profonda capacità relazionale. Molte volte questa sorta di dovere morale fa chiuderegli occhi anche davanti all’evidenza dei reati commessi e delle loro conseguenze. Altre volte la condannadei familiari è più severa e dolorosa di quella inflitta dai giudici. Ci siamo chiesti se nonsarebbe utile una figura istituzionale di mediatore familiare, che affronti i problemi specifici delladetenzione, nelle situazioni di maggiore conflittualità o quando c’è un’esplicita richiesta di aiuto.Domande e rispostea tre psicologhe del Sert1. Crede che i rapporti interpersonalitra reclusi e familiari debbano essereaffidati solo alla volontà e alla capacitàindividuale o sarebbe meglio che l’istituzionesvolgesse un ruolo di mediazione?Perché?2. Crede che i detenuti e i loro familiarisiano realmente consapevoli dell’importanzae dell’utilità del mantenimentodi un solido rapporto? Ritieneche siano consapevoli delle difficoltàdi gestirsi al meglio da soli?3. Crede che sia utile una figura istituzionaleche si adoperi unicamente aintermediare tra le parti?4. Chi attualmente ricopre al meglioquesto ruolo? Quanto rispetto alle esigenze?Come?Grazia Gnocchi1. Credo sia fondamentale nel casodei rapporti personali tra detenuti eè necessarioaiutarei familiariche si trovanotutti i giorniad affrontarenon solol’esperienzadel carcerema anchei pregiudizidella societàfamiliari, che vi sia la libertà di poterscegliere quando e se mantenerei rapporti, ovviamente questo nei casiin cui non ci siano divieti e limitazionida parte delle autorità, in tal casoè fondamentale l’intervento dell’istituzionecon l’obbiettivo della mediazionefamiliare (sportello stalking ecc.). Ècomunque auspicabile poter giungerea una consapevolezza da entrambe leparti, rispetto alle difficoltà derivantidalla situazione detentiva di un familiare,condizione questa, che tende aformare squilibri e conflitti all’internodel nucleo familiare.Per squilibri intendo quelli economici,affettivi, relazionali e sociali. Per talimotivi, la figura di un esperto esternoè da considerarsi una risorsa a cui poterfare riferimento e rivolgersi liberamentesulla base della condivisione dientrambe le parti.2. Non credo che sia possibile generalizzaredove ogni caso è a sé, sulla basedelle esperienze sulle relazioni dei legamiaffettivi.3. Nella società esistono figure idonee aintermediare tra le parti, queste figuresono psicologi, assistenti sociali, educatori,con una preparazione specificanel campo della mediazione. Una cosautile potrebbe essere quella di portarea conoscenza di tali opportunità chipotrebbe e vorrebbe usufruirne di voltain volta e in base alle necessità.4. Chiunque abbia una preparazionecome mediatore.carte<strong>Bollate</strong>5


AffettivitàValentina Margna1. La volontà è alla base di ogni rapporto,solo in qualche caso abbiamo il doveredi prenderci cura di qualcuno (figlio genitori anziani o in difficoltà), manon vi può essere quasi mai obbligo frapersone maggiorenni. L’istituzione puòdare sentenze, disposizioni o cercare difavorire i rapporti con i familiari. L’istituzionepuò solo favorire e cercare ditutelare gli interessi delle persone, masempre nel rispetto di tutti.2. La capacità del rapportarsi, capire irapporti, i vissuti e i propri pensieri èsempre utile per stare al meglio congli altri, ma ci vuole un lungo lavoro euna forte messa in discussione che nontutti sono disposti a fare. I rapporti familiarisono spesso considerati privati,e l’inserirsi di un’istituzione o di unafigura professionale non è sempre facile.La consapevolezza di gestirsi non c’ènemmeno fuori dal carcere, questo è unproblema globale.3. I servizi di mediazione familiare esistonogià, come i consultori o i servizi perle famiglie in difficoltà. La mediazionerisolve molti conflitti e difficoltà di comprensione,ma se non ci si vuole capire sipuò mediare all’infinito, ma si continuaa non capire. Poi la mediazione è in duesensi… tu sei pronto a metterti in discussionee cambiare idea per andare in controalla persona che più ti ha ferito?4. Servizi di mediazione familiare, psicoterapiedi coppia e individuale, colloquidi counseling (terapia) informativi,servizi per la famiglia, consultori. Cisono servizi costosi, ma anche servizipubblici, figure più idonee di altre, a secondadelle problematiche.Spesso le esigenze del paziente sonoquelle di risolvere in fretta il problema,e c’è la pretesa che tutti converganole proprie idee verso di sé. Il segreto èforse imparare a non credere sempreche quello che si fa sia giusto, ma lottareper capire dove sta la realtà. Lamediazione cerca il mezzo, il punto diincontro. Sei disposto a lasciare le tuecertezze (almeno in parte) e credere inquelle dell’altro?1. I rapporti interpersonali tra reclusie familiari sono importanti e devono,a mio parere, essere curati. Il familiareè una figura che collega il recluso conl’esterno ma è anche colui che può diventarela base solida e certa per la costruzionedi un futuro, una volta uscitidal carcere. Quando si parla di personeadulte credo che la presenza dell’istituzionesia un po’ ingombrante. È anchevero che se il familiare e il recluso nonriescono a ripristinare il loro rapporto,si rischia di perdere una risorsa importanteper avviare un percorso di recuperoa tutti gli affetti.Credo che se il recluso ha l’appoggio ela fiducia dei familiari, si senta più sicurodi potercela fare. Al contempo ènecessario aiutare i familiari che sitrovano tutti i giorni ad affrontare nonsolo l’esperienza del carcere ma anchei pregiudizi della società. Tutti questiaspetti tuttavia spesso vengono sottovalutatie i problemi vengono, inveceche affrontati, mascherati.2. Credo che ci sia scarsa consapevolezzadell’importanza del legame familiare.Per il recluso il legame con il familiarepuò, a lungo andare, diventarela fonte dei suoi sensi di colpa, del suosenso di fallimento e frustrazione. Per ilfamiliare invece il recluso diventa fontedella sua sofferenza, la figura che mettein discussione la propria autostima(dove ho sbagliato?), la fonte di alcunedomande che spesso non trovano risposta.Penso tuttavia che molti legamifamiliari abbiano subito delle rottureancor prima di affrontare l’esperienzadella carcerazione.Purtroppo c’è sempre scarsa consapevolezzae ci si convince che va sempretutto bene. A volte si tace per non daredispiaceri quando invece, a mio parere,il dialogo e il confronto con l’assunzionereciproca di responsabilità, è la primamossa per affrontare e cucire quellerotture familiari di cui parlavo prima.3. All’interno del carcere manca unafigura che si occupi della cura dei rapportifamiliari, ma manca anche nellasocietà esterna, con il rischio che alcunesituazioni familiari portate al limitee non affrontate preventivamente conducanoad esperienze come quelle delcarcere, che creano distanze non solofisiche ma affettive. Purtroppo a voltesi corre il rischio di pensare che l’essereadulti, in automatico conferisca dellecapacità di relazione, quando invecespesso è difficile affrontare e superaredelle conflittualità, soprattutto per gliadulti che si portano dietro un propriobagaglio di esperienza e di convinzionipersonali.4. Non credo che allo stato attuale ci siauna figura che ricopre al meglio questoruolo. Penso che sia necessaria una formazioneben definita per fare il mediatore,perché è un ruolo delicato. Immaginoil mediatore come una figura in grado dinon schierarsi né dalla parte dei genitoriné dalla parte dei figli. Una figura accettatada entrambe le parti, che entri incontatto con le istanze più profonde diun genitore e di un figlio, è una figurache manca nella nostra società, che siregge sulla convinzione che la famigliasia una sfera privata della persona. Peresserci un mediatore penso che vi sia lanecessità di avere due condizioni: consapevolezzaall’interno della famigliadell’esistenza di un problema – richiestachiara ed esplicita di aiuto.Pagina a cura di Ca r m e l o Im p u s in oElisa Mutino6 carte<strong>Bollate</strong>


EFFETTO CARCERE 1 – Come la detenzione cambia i rapporti con i familiariMogli, mariti, genitori e figlivittime dei nostri reatiLa detenzione cambia i rapporticon i familiari, crea vuoti, assenzeche a volte diventano incolmabili.Oppure i legami restano forti etenaci malgrado le sbarre, la fatica deicolloqui, l’angoscia di entrare in carcereper incontrare i propri cari, le paroleche mancano quando si deve spiegare aifigli perché papà o mamma sono chiusilì dentro e non torneranno a casa. Quelleche seguono sono le testimonianze dialcune donne detenute: storie di affettilacerati o ritrovati, ma sempre storie disofferenza.Elena CasulaIl carcere cambia le persone? Una rispostacerta non c’è, dipende da noi. Mi domandose cambia anche i rapporti con ifamiliari che stanno fuori, vittime innocentidei nostri errori. La mia esperienzapersonale è stata molto particolare,io che non avevo nessun tipo di rapportocon mia madre, adesso posso dire diaverla ritrovata come figura importantenella mia vita.Il carcere ci ha fatto mettere da partel’orgoglio, l’astio, le incomprensioni. Michiama “figlia mia” e tutto questo mi piacee mi dà coraggio. Ricordo che non miha mai fatto una carezza, non mi ha maichiesto come andavo a scuola, quandouscivo non mi ha mai chiesto dove andavoe a che ora sarei tornata, un rapportoabulico, senza sentimento, nemmenoun rapporto formale. Oggi aspetta contrepidazione la mia telefonata, si preoccupase mangio abbastanza e quando leho detto che peso 80 chili si è messa apiangere, ha paura per il colesterolo, perl’infarto e dio sa cos’altroTutto questo ha l’aria di essere un veromiracolo, un effetto benefico del carcere.Chissà se quando uscirò lei ci saràancora: ora ha 84 anni, vive in Sardegnae non può venirmi a trovare. Mi chiedose la rivedrò. Ma questo esserci ritrovatesono convinta che faccia bene anchea lei: se è vero che io ho ritrovato unamadre, lei ha ritrovato una figlia.Io chenon avevonessun tipodi rapportocon miamadre,adessoposso diredi averlaritrovatacome figuraimportantenella mia vitaSandra AriotaDalla mia cella, vedo un alto muro biancoche trattiene la mia vita, ma anchecustodisce le mie speranze di rinnovarlaperché una porta permette sia di entraresia di uscire. Invalicabile è inveceil muro di ostilità, indifferenza, oblioche la mia famiglia d’origine mi ha erettointorno, lasciandomi senza nessunconforto di affetti.La disperazione ha accompagnato spessoi primi momenti della mia entratain carcere e nessuno di loro è venuto aquietarla, anzi l’ha aggravata con il silenzio.Mille volte mi sono chiesta perché,perché la mia mamma e i miei fratellimi hanno chiuso la porta del lorocuore e hanno alzato questo muro didolore e indifferenza.Ho guardato in me, nel mio comportamento,nelle mie azioni per avere unarisposta e non ho ancora capito. Hocercato il perdono, la consolazione, ilrimpianto, ma non ho ricevuto nulla.Poi ho ascoltato altre compagne e hocondiviso con loro questo problema:non ero la sola a essere abbandonatadalla famiglia. Forse i perché andavanoanche cercati nei condizionamenti dellasocietà, nelle parole dette malamenteda altri, nella difficoltà di vivere una situazionedi conflitto e contrastante conle aspettative che la famiglia ha su di tee che tu hai deluso.Tutte le ragioni che ho voluto trovarenon giustificano però ai miei occhi unabbandono così totale, una condannapiù pesante di quella giudiziaria e vorreipoter dire alla mia famiglia che io liamo comunque, ma quando il muro delcarcere cesserà di chiudermi, non so sesaprò abbattere nel mio cuore il muroche hanno voluto erigere. Non so se potròo saprò trovare la porta giusta perfarli ritornare nella mia vita.Claudia MaddaloniÈ da un anno e due mesi che mi trovo incarcere, dopo poco hanno arrestato ancheil mio convivente. Appena mi hannoarrestata sono stata per poco tempo aSan Vittore e poi trasferita in quel di<strong>Bollate</strong>. Il mio compagno è rimasto aSan Vittore. Risultato: non lo vedo dal 9dicembre del 2009. Non conto neppurepiù le istanze che abbiamo fatto per poterciincontrare per i consueti colloqui.A me le hanno accettate ma a lui no.La ragione? In un primo tempo la motivazioneè stata che non risultava chefossimo conviventi. Ho presentato ladocumentazione con atto di convivenza,ma non è stata sufficiente, la voltasuccessiva non avevano la scorta. Hostefano pavesicarte<strong>Bollate</strong>7


Affettivitàparlato con la direttrice del nostro carcere,la dottoressa Castellano, visto chesi avvicinava il Natale, e ho chiesto semi poteva concedere questo benedettoe sospirato colloquio. Mi ha risposto cheda parte sua, ovvero della Casa di reclusione<strong>Bollate</strong>, non vi era nessun impedimento.Ovviamente questo non bastase non si sblocca la situazione anche aSan Vittore.Le mie compagne si lamentano in continuazioneperché vengono chiamate peril colloquio e a volte devono aspettareanche un paio d’ore per vedere i loro familiari,ma voglio esagerare: io aspettereianche una giornata intera sapendoperò che alla fine me lo vedrei davanti.Continuo a chiedere di questo benedettocolloquio anche perché il carcere miha allontanato dalla mia famiglia chenon concepisce che la propria figlia ola sorella sia richiusa fra queste quattomura. Mentre Maurizio, il mio compagno,che ha vissuto la mia stessa esperienza,mi è rimasto vicino.Paola UmanaCome mamma e come figlia ho una profondaamarezza e una grande preoccupazione.Perché un giorno trascorso inquesto posto è un giorno in meno chenon mi permette di stare con questedue persone che hanno tanto bisogno dime, come io di loro.È per questo che ogni istante il miopensiero e impegno sono di lottare controquesta assenza.Assenza che non deve lasciare spazioall’abitudine. La carcerazione è e saràun periodo per riflettere e accettareche ho sbagliato, oggi mi ha insegnatoche la mia unica condanna è non essereaccanto a loro. Mi consolano le letterinepiene di affetto che mi scrive mia figlia,che mi fanno sperare nel nostro futuro.Carla MolteniSono due anni e sette mesi per la precisioneche sono in questo carcere e intutto questo tempo la mia famiglia nonstefano pavesimi ha mai lasciata sola. Mio marito tuttii sacrosanti venerdì lo vedo, lo guardodalla finestra arrivare con il passo stancodi chi soffre per quello che gli è capitato.Io so quello che pensa: “mi sareiaspettato tutto nella vita, ma la mogliein carcere no”.Lui che non ha mai avuto a che fare conla giustizia, lui che appena arriva unasemplice multa si agita e corre a pagarlaper non avere noie. I miei figli, duesplendidi ragazzi seri, corretti, educatie molto umili vengono in carcere pertrovare la mamma e lo fanno nei sabaticonsentiti. La moglie di mio figlio quandole è possibile viene da me, i miei consuocericon le loro parole di conforto misono accanto.La mia mamma, oramai novantenne, lasento ugualmente molto vicina. Nonostantetutto la mia famiglia è accanto ame. In cambio del loro amore, del lorostarmi vicino, cosa posso dare? Tantoamore, quello che ho sempre dato loro,aggiunto alla consapevolezza degli errorifatti e alla volontà di non ripeterli, perme e per loro. La loro sofferenza mi fatroppo male, la vergogna mi tormenta,spesso mi chiedo se sono stata io a faretutto ciò o se mi sono bevuta il cervellocon una cannuccia. Ecco cosa vogliodare loro, una moglie, una mamma, unafiglia. Una persona capace di dimostrarenella quotidianità di aver capito. Incambio cosa vorrei? Il loro amore, la lorodisponibilità a continuare a restarmivicino, senza più provare vergogna percausa mia.federica neeff8 carte<strong>Bollate</strong>


EFFETTO CARCERE 2 – Come una scacchiera senza un pezzo“Non voglio che i mieisi abituino alla mia assenza”Non voglio scomparire completamente.Voglio rimanere nellavita, nel pensiero, nella vicinanzadei miei familiari. Lavita quotidiana di una qualsiasi personaè fatta di continui rapporti di affetto coipropri familiari, di amicizia e cordialitàcon amici e persone che ci vedono esalutano tutti i giorni, il barista, il tabaccaio,l’edicolante. D’un tratto tuttoscompare. Rimane un vuoto da ogniparte, quasi come se da una scacchierasi togliesse un pezzo all’improvviso.La rete di relazioni creata man manointorno a noi si smaglia. I nostri familiaridevono imparare a vivere senza dinoi. Non siamo morti. Esistiamo ancora.Ma la loro vita deve riorganizzarsicompletamente come se realmente fossimomigrati all’altro capo del mondo.Nella famiglia di una persona detenuta,quando i rapporti familiari rimangonointegri, si crea all’improvviso un grandevuoto, la perdita di un pilastro diquella struttura familiare data da genitorie figli, e coloro che rimangono soliad affrontare i continui problemi dellavita quotidiana devono a poco a pocoindurirsi, farsi forza, reagire e agireper sopperire alla mancanza di quelsostegno così importante che ora nonè più insieme a loro. A poco a poco riprendeun nuovo tran-tran, una nuovaquotidianità da cui la persona detenutaè esclusa. Possono vivere senza di lui!Non è bello pensarlo, ma è necessario;il tempo deve far rimarginare le ferite;non si può continuare a sanguinare. Bisognaandare avanti.Eppure non è completamente così. Bisognache la ferita dell’allontanamentonon si rimargini del tutto; bisogna chevi sia sempre il senso della mancanza.Tutto passa. Il tempo assesta, guarisce,rimuove. Si deve mantenere il sensodell’appartenenza. Sia il detenuto siala famiglia devono continuare a sentire,anche a lungo nel tempo, di esseregruppo, di essere un’unione di affettie di volontà per un futuro diverso, insieme.Naturalmente perché questo sirealizzi bisogna che le persone possanoritrovarsi con continuità, che le regoledegli istituti di pena permettano dimantenere quel legame esile ma tenaceche dà al detenuto il senso di non esserecompletamente isolato e alla famigliaquello di poterlo ritrovare senza difficoltàburocratiche e normative, finchétutto avrà fine. Quando poi i rapporticon la famiglia sono alterati o addiritturaconflittuali le cose non cambiano.I problemi dell’assenza rimangono glistessi, mentre le sofferenze e le ricadutepsicologiche possono essere moltopeggiori.La società può e deve aiutare queste famigliead affrontare le difficoltà di talicambiamenti e le forti reazioni psicologicheche conseguono a queste situazioni;tanto più ciò è importante quando visono coinvolti figli piccoli, che hannobisogno di non perdere troppo a lungoe radicalmente la figura del genitore.Mille sono i casi diversi che soggettivamenteognuno potrebbe portare perproporre esempi, consigli o soluzioni.Non si può quadrare il cerchio.È però importante che tutti coloro checollaborano all’interno del mondo carcerarioabbiano ben presente che a ognipersona detenuta corrisponde una famiglia,di genitori e figli, che, al di fuori,sta soffrendo un’assenza totale cherende difficile una vita quotidiana chenon è più normale.Penso che il grado e l’efficacia con cuiuna società interviene su questi problemipotrebbero essere considerati unindice specifico della sua evoluzionecivile, così come la si valuta per la mortalitàneonatale. L’accostamento non èdel tutto casuale. In entrambi i casi siha a che fare con l’esistenza e la sofferenzadell’essere umano.St e fa n o Ma l o ya nEFFETTO CARCERE 3 – Proviamo a metterci nei loro panniSe fossi uno dei miei genitori…Spesso ci troviamo a discutere su chi siano le vittime deinostri comportamenti e molto di frequente la rispostaè univoca: i nostri familiari risultano sempre in cimaalla lista. Come se non ci importasse minimamentedella società o della persona che ha subito in prima personail nostro reato.I nostri familiari sono quindi visti da noi come gli unici a soffrireed è verso di loro che ci sentiamo in colpa. Questa voltainvece abbiamo preso in considerazione le reazioni che i nostriparenti hanno avuto quando la nostra vita si è incrociata conl’illegalità e col carcere.In questo caso è stato praticamente impossibile stilare unaclassifica: c’è chi afferma senza alcun possibilità di dubbio che“la mamma è sempre la mamma” e mai potrebbe chiudere lasua porta o il suo cuore al figlio che ha sbagliato, ma c’è purechi, pur avendo avuto nel corso della sua vita un legame stret- segue a pagina 10carte<strong>Bollate</strong>9


AffettivitàEFFETTO CARCERE 4 – Tra amore e rabbia parla il marito di una detenutaQuando la moglie è in galeraIl primoquarto d’oraprovouna talerabbiache sepotessicon unosguardola fulminerei.Poila rabbialascia il postoallacomprensioneCredetemi, è veramente durodover andare in un carcereper vedere la propria moglie.Tutto avrei pensato di provarenella vita, ma questo, ve lo garantisco,neppure lontanamente me lo sareiimmaginato. Eppure eccomi qui, a raccontarecosa provo con questa impensataesperienza.Una moglie meravigliosa, una mammameravigliosa, piena di attenzioni, e chipiù ne ha più ne metta. Una persona sichiede: ma come mai? Non lo sto a dire,non mi sembra il caso, ma voglio spiegareciò che provo ogni volta che attraversoi cancelli del carcere.Arrivato alla porta d’ingresso il cuoresi stringe sempre più. Il solito percorso,poliziotti gentili per quanto mi riguarda,non ho mai incontrato nessuno diloro che mi abbia irritato, come invecemi era capitato nel carcere precedente,insomma, la gentilezza non guasta mai.Questa è la parte esteriore del percorsod’ingresso, poi vedere la propria moglie,abbracciarla, per quel che possodire mai serenamente, per me è quasiimpossibile.Il primo quarto d’ora provo una talerabbia che se potessi con uno sguardola fulminerei. Perché? Io e i miei figliabbiamo tanto bisogno di lei ma ognigiorno dobbiamo fare i conti con la suaassenza. Poi la rabbia lascia il posto allacomprensione e mi ripeto mentalmente:“se ha sbagliato è giusto che paghi”,ma mi chiedo se è giusto che anche noipaghiamo. Purtroppo sì.Penso all’amore che ci ha dato, all’attenzioneche ci ha sempre riservato eso che non possono essere lasciati indisparte. Allora cambio atteggiamentoe lascio che il mio cuore e la mia testatrovino quella comprensione che possodonare.Ho cercato di descrivere cosa si puòprovare quanto ti capita una cosa comequesta, non so se ci sono riuscito ancheperché è la prima volta, come si suoldire, che metto nero su bianco questisentimenti contraddittori, ma di unacosa sono più che certo: se la tua famigliaè un valore in cui credi, se l’amoreè stato e continua a essere un legameforte, tutto questo ti sorregge e aspettiche non una porta ma un portone siapra per ricominciare a vivere la normalità.R.B.M.fotografie di federica neeffcontinua da pagina 9tissimo con la propria famiglia, non solonon ha avuto il conforto dei familiari, manon ha nemmeno avuto la possibilità dispiegare o di chiedere scusa.Di fronte ad una tale varietà di reazioniche lascia in ogni caso perplessi per lacategoricità che la contraddistingue (ilmammismo estremo o l’orgoglio feritoche non permette il perdono) ho provatoa pensare a come reagirei se fossi io ilfamiliare di un detenuto.Inizialmente pensavo fosse difficile nonessere condizionato dallo stato di ristretto che comunque vivo,ma in fondo si è rivelato abbastanza semplice. Il grande poetaGibran, in una delle sue poesie più intimistiche e realistichesul tema della famiglia, afferma che noi non apparteniamo ainostri genitori, ma siamo solo figli della sete di vita che pervadeil mondo. In tale contesto i genitori per lui non sono altroche un arco con la funzione di lanciare le proprie frecce, noifigli, nel mondo, prendendo sì la mira, ma essendo comunquecoscienti che tanti altri elementi possono influenzare la traiettoriaperfetta.I miei genitori, che sicuramente non conosconoGibran (la cultura è importantema il buon senso e l’esperienza lo sonodi più), mi hanno sempre messo di frontealle situazioni della vita indicandomicosa è giusto e cosa non lo è, lasciandomiperò la responsabilità di scegliere edi pagare in prima persona per i mieierrori. È con questa consapevolezza cheposso rispondere con certezza come micomporterei se il detenuto fosse miofiglio: data la mia esperienza di sicuronon potrei essere il padre che tutto perdona come se nullafosse successo perché mi sembrerebbe di avallare o di esserecomplice del reato, ma nemmeno essere un padre giudice checondanna e abbandona.In fondo sarebbe molto semplice e costruttivo secondo meresponsabilizzare il proprio figlio, senza giustificarlo mai, marestandogli vicino per far in modo che rifletta sull’errore, consapevoledi poter contare sempre su qualcuno che non lo lasceràsolo.An t o n io D’a n t o n io10 carte<strong>Bollate</strong>


mo nelle loro storie, impariamo a conoscerli.Siamo sempre lì, tra sbarre e porteblindate, circondati da quelli che permolti rimangono dei reietti. Scorrendolo sguardo sui volti, soffermandosi suisorrisi, è difficile accorgersene. Rosarioci racconta che è nato a Palermo eall’età di tre anni è arrivato al Nord e havissuto a Buccinasco, pochi chilometrifuori Milano. Lui deve scontare ancoravent’anni, ne ha 38 e pensa a sua mogliefuori. Poi Rosario ci invita a tagliareun’altra pizza che è rimasta sul tavolo.La mangiamo per cortesia, non perchéavessimo un residuo di fame ma perapprezzare il gesto. In fondo sembravaquasi ci avessero ospitato a casa loro. Equando si è ospiti è meglio accettare.Aiutiamo a sparecchiare e andiamo giùa pianterreno a fumare una sigaretta.Su quelle pareti sempre dipinte con coloriinfantili spicca una stampa appesaal muro che riproduce la struttura delcarcere di San Vittore. Il Panopticon èfacilmente riconoscibile, come le rigidemura seicentesche di cinta e le torri diavvistamento. Anche quel disegno ci ricordache siamo in un carcere.Usciamo e insieme ai detenuti e alle poliziotteandiamo a vedere dove si lavora.Visitiamo la serra. Se ne occupano seidetenuti. Coltivano piante di nicchia chemagari sono poco reperibili sul mercato.I primi acquirenti sono proprio i carcerati.Antonio spiega che compra ancheortaggi nella serra e poi che tiene unapianta in cella che cura giorno per giorno.Sentirlo dire a chi sta recluso per uncrimine lascia un po’ sorpresi.Uscendo dalla serra Nino abbracciaAntonio e sorridendo dice: «Con luieravamo insieme a San Vittore nel ’76».Antonio aggiunge: «Sì, eravamo insieme,ma sui tetti» riferendosi alle rivoltedei detenuti nelle carceri italiane deglianni Settanta. Passeggiando lungo ilviale che circonda i settori del carcereci fermiamo a guardare alcuni detenutiche si prendono cura di 7 cavalli e dellerelative stalle. Anche loro imparano unmestiere. Poi, mentre andiamo a vederegli altri luoghi di lavoro, incontriamo lasquadra del Cr <strong>Bollate</strong>. Giocano a calcioin terza categoria. Scambiamo duechiacchiere con il tecnico NazzarenoPrenna. Ci racconta degli insulti gratuitiche i suoi uomini, detenuti, devonosubire durante le partite. «Loro nonreagiscono – spiega - e questo ci rendefieri del loro comportamento. Ma èdifficile giocare su campi dove non c’èil rispetto». I detenuti, infatti, devonosempre mantenere una condotta digara corretta all’insegna del fair play.Una squalifica significa dover stare incella anche la domenica, mentre i compagniescono per disputare la partita.Entriamo nella sala call center. Sembradi essere davvero nella sede di una societàtelefonica. C’è anche un coordinatorein giacca e cravatta che dirige illavoro. Pc e detenuti seduti davanti alloschermo con cuffie in testa che ricevonole telefonate. Chi ci lavora è moltosoddisfatto. Guadagnano secondo ilcontratto nazionale, come se fossero inuna qualunque azienda esterna al carcere.Dall’altro lato del corridoio c’è ungrande salone dove detenuti in camicebianco, riparano cellulari guasti. Facciamoqualche passo e siamo al centrodi un palcoscenico: è il teatro, un altrodei fiori all’occhiello di <strong>Bollate</strong>. Antoniospiega che dentro il carcere si recita eche l’ingresso, con una offerta, è apertoal pubblico. Le prove sono, quanto maiin un carcere,“a porte chiuse”.Poi andiamo in sartoria, dove lavoranole donne. Le detenute, mentre osserviamole macchine per cucire e i tavoli dadisegno, in silenzio sistemano le stoffelasciate in disordine. Nessuno dice unaparola, c’è un po’ di imbarazzo. Sembradi vedere delle semplici casalingheche mettono ordine in cucina. Mancaun quarto alle cinque e arriva l’ultimatappa, le celle. Saliamo al terzo reparto,un poliziotto ci guida. I detenuti gradisconola visita improvvisa. Qualcuno ciinvita a entrare in quello “stanzone” aquattro letti a bere un bicchiere di Cocacola. Mentre usciamo dalla sua cella unodi loro ci dice: «Ragazzi, cercate di nonfinirci mai qui dentro». Di colpo l’ospitalitàe il vento di apparente normalitàsi arresta e muta in riflessione. In silenzioci allontaniamo. In quelle parole c’èun consiglio che va oltre le mura dellaretorica. In quella frase c’è la voglia dievitare che altri provino questa sofferenza.Le donne ci accompagnano allaporta, il loro settore è sulla strada, stannoper rientrare in cella. Il saluto è forseil momento più difficile. Dopo un giornoinsieme, dopo averli visti parlare, lavorare,sembra, per un attimo, che possanovenir via con noi. Qui finisce la lorolibertà e ricomincia la nostra normalità.Oltre la porta il piazzale, le nostre auto,le voci dei passanti. Qualcuno prende ilbus per rientrare a casa. Adesso siamotornati fuori e loro sono rimasti dentro.Continuiamo a chiederci camminandocosa ci è rimasto di questa esperienza.Nessuno sa esprimerlo a parole.Su una cosa siamo d’accordo: siamo unpo’ spaesati. La confusione in metrò ciriporta all’assenza di disciplina. Eravamoabituati all’ordine, al muoversi ingruppo. La metro è quella di ogni giorno.Quella della Milano che torna casadopo il lavoro. Ma noi siamo un po’ diversi.Ora sappiamo cosa significhi peruna persona oscillare per anni fra rigoree disciplina e poi un giorno ritrovarsinel grande mare della vita quotidiana.Siamo stati in carcere per un giorno. Lanostra riflessione su quel mondo di ferro,sbarre, e decorazioni sui muri continueràancora a lungo…Lin d a Irico e Ig n a z io Sta g n ocarte<strong>Bollate</strong>13


DOSSIERONIDA – I principi costituzionali a tutela dell’imputato e del detenutoIl carcere, la pena e la speranza14 carte<strong>Bollate</strong>Un Paese misura il grado disviluppo della propria democraziadalle scuole e dalle carceri,quando le carceri sonopiù scuole e le scuole meno carceri.Può la pena essere un percorso di riabilitazionecerta o possibile per nonincorrere nella reiterazione dell’errorecommesso? La chiave di una cellava buttata o può essere utilizzata peraprire le porte verso il cambiamento?La giustizia deve essere il senso ultimodella legge e del diritto. “La materiadei reati e delle pene”, così come introdottada Valerio Onida, presidenteemerito della Corte costituzionale, “vaanalizzata attentamente, per evitareerrori di interpretazione”, soprattuttose non si è in costante contatto con larealtà carceraria. Una serie di elementiincosapevolmente acquisiti, di luoghicomuni inconsci riguardo il problemadel carcere e della pena, sono il primoostacolo da abbattere per elaboraredelle rappresentazioni, e quindi anchedelle proposte, che possono sottrarsialle costruzioni prevalenti, acquisite edate per scontate. La rappresentazionemediatica di tematiche che attengonoal diritto penale è anch’essa spessouno strumento di diffusione di notizieansiogene e di ossessioni securitarie.Secondo il professor Onida sono i giornalisti“coloro che devono esercitare lafunzione più delicata, quella di informaree far conoscere la realtà” e chedevono affrontare consapevolmente ilproblema della cultura e della conoscenzadei fenomeni che riguardano ildiritto penale. La nostra Costituzionefornisce una serie di principi a tuteladell’imputato e del detenuto, racchiusinegli articoli 25, 26 e 27, e “dalla cuianalisi attenta - secondo il giurista -emergono i principi cardine del dirittopenale”. Il brocardo latino nullumcrimen, nulla poena sine praevialege, ad esempio, ben esemplifica l’importantissimafunzione di garanziaattribuita alla legge penale, che trovala sua esplicazione attraverso il principiodi legalità. Non è possibile imporreuna pena se questa non è espressamenteprevista dalla legge. Ulterioredato fortemente garantista del dirittopenale è il principio di tassatività dellanorma, secondo cui la descrizione legaledella condotta deve essere precisae di contro è prevista una particolareresponsabilità del legislatore nella formulazionedella norma penale.Nessuno inoltre puòessere punito se non inforza di una legge che siaentrata in vigore prima delfatto commesso. Principiodi irretroattività per il qualela legge non dispone che perl’avvenire. Qualora infatti,sia punito un fatto che, secondouna legge posteriore,non costituisce più reato,se vi è stata condanna, necessano l’esecuzione e glieffetti penali. Onida sottolineacome sia “cruciale considerareche la valutazionedel legislatore, lungi dall’esseredi tipo contrattuale, hacome fine unico la difesasociale”. Così come centraleè il principio della personalità dellaresponsabilità penale che in materiapenale non è oggettiva, o il principiodella presunzione di non colpevolezza,per cui ne consegue che “talmente ègrave l’applicazione di una sanzionepenale, che non si può presumere lacolpevolezza”. Spesso l’opinione pubblicaconfonde tra la misura cautelaree l’applicazione di sanzioni comminatedalla sentenza definitiva, “quantevolte si sente la frase: è lui l’assassino,arrestatelo - dice Onida - senza esserecerti della colpa. La misura cautelaredeve essere l’apprezzamento concretoe reale nei confronti di una persona”.Quando la colpa dell’altro autorizza ainfierire sul colpevole, si entra nell’ingiustizia.Il percorso che ci porta a nonusare la colpa dell’altro contro la suapersona è molto esigente e difficile, maè l’unica vera premessa di giustizia. Lacondanna deve condannare a capiree a capirsi. Quali sono dunque le funzionidella pena? “La pena non è vendetta”sottolinea Onida. Il sistema deldiritto penale nasce per sostituire lavendetta privata. La pena è la reazionedella società al male che qualcunoha inflitto, è giustizia e non vendetta,quindi non può essere rimessa alla liberavolontà di chi ha subito il male.Quando in molti chiedono pene immediate,severissime, ci si trova sul pianodelle reazioni spontanee. La leggepenale si pone a un livello differenterispetto a quello personale delle vittime.Una volta determinata la pena, sipassa all’esecuzione: è qui che scattala funzione principale prevista dallaCostituzione, quella della rieducazione.Come può essere considerato ilcarcere, alla luce di queste riflessioni?Lo scarto tra la teoria e la prassi è profondo.“Il carcere non è sempre un ambientecriminogeno, deve bensì essereconforme a una funzione rieducativae, laddove sia previsto, al reinserimentodel reo nella società” afferma Onida.“Si deve partire dalla premessa antropologicae filosofica che scommettesul fatto che l’uomo può cambiare e -continua il giurista -, attraverso la suarieducazione, assisterlo in un percorsodi reinserimento”. Onida ammette cheè una “scommessa sulla speranza”.Qualunque pena, anche se perpetua,è ammissibile solo se “limitatamenteperpetua”. Anche nel caso di ergastoliplurimi, uno spiraglio deve esserci.La certezza della pena è un principioche non viene intaccato, “il fatto che cisiano delle misure alternative al carcere,non significa che la pena non verràeseguita”. L’errore più grande sarebbequindi considerare che l’unica pena siail carcere, e che sia un luogo di segregazione,di contenimento di problemisociali irrisolti, di solitudine. È giocoforzaperò riuscire a capire quanto lafunzione della rieducazione sia attuabilenel contesto reale dell’istituzionepenitenziaria. Il primo passo è quellodi dare la speranza di un futuro, e difar sì che, dinanzi alla certezza dellapena, la condanna non diventi certezzadella fine.Roberta Re i


DISTORSIONI – Una strategia per distogliere l’attenzione dai veri problemiLa passione criminale dei TgLe notizie dedicate dai mass mediaa fatti criminali sono forse di piùdei crimini stessi. “Ci troviamodi fronte a una vera e propria distorsionemediatica” è la tesi delle duegiornaliste Susanna Ripamonti, direttoredi carte<strong>Bollate</strong> e di Assunta Sarlo,caporedattore del mensile E . Nel 2010il Tg1 ha dedicato 1000 notizie a fatticriminali, il doppio del Tg pubblico spagnolo,il triplo di quello inglese, quattrovolte quello francese e 18 volte l’ARDtedesco. I mezzi di comunicazione dimassa sono strumenti potentissimi checontribuiscono in maniera determinantealla costruzione dell’immaginariocollettivo, influenzano e formano l’opinionepubblica. Per questo dovrebberoessere il più trasparenti e obiettivi possibiletrasmettendo le informazioni conla giusta cautela senza creare eccessiviallarmismi. Purtroppo ciò non accade,specialmente per quanto riguarda larappresentazione della criminalità daparte dei media. Negli ultimi quattromesi i telegiornali in prima serata (coni soli Tg3 e TgLa7 in controtendenza)hanno dedicato circa 1200 servizi alcaso Scazzi e alla scomparsa di Yara.Abbiamo assistito alla trasformazionedella criminalità in reality show, l’informazionetelevisiva si è spostata dallacriminalità comune alla spettacolarizzazionedel caso eccezionale (o resotale). Come scrive Ilvo Diamanti nel IVRapporto sulla rappresentazione socialee mediatica della sicurezza “c’è il sospetto(…) che il tema della criminalitàvenga popolarizzato, trattato come unargomento di vita quotidiana e sceneggiato(quasi estetizzato) per bilanciarela spinta emotiva prodotta dalle preoccupazionieconomiche e dalla paura suscitatadalla disoccupazione. Il criminecome reality usato come un antidoto,un tema alternativo a cui appassionarsi.Perché ritenuto maggiormente notiziabilee in grado di tenere alta l’audience”.Ilvo Diamanti ha indagato l’effettoche fa questo tipo di informazione sullepaure della gente. Sei italiani su diecipercepiscono come questione urgenteda affrontare i problemi economici,mentre solo il 5% indica la criminalitàcome emergenza primaria. Le preoccupazionie le insicurezze sono dettate daaltri problemi e fattori come la salute, ilfuturo dei figli e la crisi economica. Sipuò dunque a tutti gli effetti parlare diuna distorsione dell’informazione vistoche i delitti sono addirittura in calo. Lacriminalità è seguita dai media televisiviin modo “seriale” occupando unospazio ricorrente e ripetuto ogni sera,che la trasforma in una specie di “rubrica”fissa. A questo proposito giocano unruolo molto importante le trasmissionipomeridiane che coniugano intrattenimentoe informazione e hanno semprepiù peso nel determinare questa situazionedi insicurezza, di paura, la cosiddetta“angoscia sociale”. I più colpiti daquesto tipo di informazione sono ovviamentecoloro che maggiormente dipendonodalla televisione e sono sensibili altema: anziani, casalinghe, residenti nelleregioni meridionali ed elettori dellaLega e del centrodestra, ma soprattuttocoloro che per varie ragioni (solitudine,ignoranza, povertà) hanno menostrumenti per decodificare queste notizie.Infatti, come ha scritto il sociologoEnrico Pugliese, “i media veicolanostereotipi e luoghi comuni che hannopresa tra il pubblico proprio perché neconfermano la visione del mondo”. Percui l’equazione immigrati=criminali èfin troppo semplice. Non è un caso seil 31% degli italiani percepisce gli straniericome un pericolo per la sicurezzadelle persone e il 30% li vede comeuna minaccia all’occupazione. Eppurese mettiamo a confronto i tassi di criminalitàdi italiani e stranieri vediamoche sono molto simili: tra i 18 e i 44 annila criminalità fra gli italiani è dell’1,5%,mentre per gli stranieri è dell’1,89%;tra i 45 e i 64 anni sono rispettivamentedello 0,65% e dello 0,44%; oltre i 65anni è in entrambi i casi dello 0,12%. Eallora forse si dovrebbe prendere esempiodai Paesi anglosassoni dove negliarticoli di cronaca solitamente non si fariferimento alla nazionalità delle personecoinvolte.Er ik a Crispocarte<strong>Bollate</strong>15


NOBILI – Il punto di vista del pubblico ministeroIl 41 bis, un male necessarioHo scoperto dell’attentato neiconfronti della mia personagrazie a un’intercettazioneambientale a Buccinasco,nell’ambito di un’indagine che riguardavai traffici di droga al Nord del clanBarbaro e della ‘ndrina dei Papalia:racconta anche di se stesso e dei rischida magistrato in prima linea AlbertoNobili, procuratore aggiunto presso ilTribunale di Milano, dal ’92 alla Direzionedistrettuale antimafia, che parlaagli studenti del master in giornalismoIulm. Una ricostruzione, attraversole sue vicende umane e professionali,dell’evolversi della politica mafiosa inItalia e del suo ramificarsi nel tessutoproduttivo del Nord. Dall’illustrazionedel lavoro dei magistrati che coordinanole indagini (inquirenti) alle misurecoercitive, interdittive e di sicurezzache si attuano nei confronti degli indagati,fino ai temi caldi: mafia e intercettazioni,Nobili racconta un’esperienzadi vita, più che impartire una lezionedi diritto penale. Partendo dall’art. 27,comma 2 della Costituzione, il qualesancisce che “l’imputato non è consideratocolpevole sino alla condannadefinitiva”, ci si confronta, poi, con ilcatalogo delle libertà personali, inviolabilisecondo l’art.13, a eccezione diquelle persone che, in attesa di esseregiudicate, vengono sottoposte a detenzionepreventiva nei casi in cui ci sia ilpericolo che si sottraggano al processo,reiterino il reato di cui sono accusati oinquinino le prove a loro carico. Provvedimentidisposti dai pm e valutatidal gip. In teoria, una macchina perfettamenteoliata per un veloce decorsodelle cause, ma, in realtà, un mosaicointricato, spesso lento nel comporsi.“Una statistica recente assesta l’Italiaal 156° posto, nel mondo, per velocitàdi svolgimento delle cause civili e penali.Siamo dietro a Paesi del Terzomondo, come Togo, Gabon e Gibuti. Ilguaio è che, su una popolazione di circa70.000 detenuti – spiega il pubblico ministero– circa il 50% è ancora in attesadi giudizio definitivo e il 25% non haavuto nemmeno un grado di giudizio.La macchina della giustizia ha le ruotequadrate: siamo gli unici magistratial mondo che hanno dovuto scioperareper ottenere gli strumenti necessariall’esercizio della nostra professione. Il70% dei reati meno gravi – prosegue ilmagistrato – non viene neanche affron-Falconedicevachela forzadello statosi valutain baseal numerodei pentititato. Io stesso – conclude il procuratore– ho circa 2000 casi in sospeso sullascrivania”. Alberto Nobili si confrontacon gli studenti anche su questionietiche che riguardano i principi rieducatividella carcerazione, per esempiocome il regime restrittivo di detenzioneapplicato ai mafiosi, ovvero il 41/bis, siconcili con la rieducazione del detenuto:“Il carcere dovrebbe rieducare, manella maggior parte dei casi abbiamola reiterazione del reato. Il 41/bis è unmale necessario – chiarisce Nobili –che si limita ai capi mafiosi e a tutti queisoggetti ritenuti pericolosi. Personaggicome Riina e Provenzano hanno fattoun giuramento solenne a Cosa Nostrae, se non lo ripudiano, è difficile pensarea un loro recupero. Anche dal carcereimpartiscono direttive per chi stafuori e, per questo, si applica il carcereduro – continua il procuratore – con ored’aria, colloqui e attività molto limitate.Falcone diceva che la forza dello Statosi valuta in base al numero dei pentiti.Solo dopo le stragi del ’93 c’è stata unareazione che ha assestato duri colpi allamafia, soprattutto grazie al pentitismo”.Infine, il tema intercettazioni, l’ultima epiù importante tecnica investigativa inmano alla magistratura. Anche in questocaso, i pubblici ministeri passano lecarte in mano al gip che, secondo l’articolo266 del Codice di procedura penale,determina i limiti di ammissibilità delleintercettazioni in base al reato. Quantoalla loro diffusione attraverso i media,Nobili la pensa così: “Rispetto per le regole,dovrebbero essere rese note solole telefonate che hanno rilevanza penale.L’esasperazione della turbativa allaprivacy ha posto problemi su una leggeche in realtà non va modificata. Vannoinasprite le pene, sanzionate le fughedi notizie o le pubblicazioni illegali, cheinfangano le persone, ma non hanno rilevanzapenale. Ma per l’intercettazionecome mezzo di ricerca della prova,quindi come strumento d’indagine, ildesiderio è che non si giunga a una modificao, peggio, a una limitazione delcampo d’azione”.carte<strong>Bollate</strong>17


federica neeffDOSSIERPropongodi punirecon sanzioniamministrativegli editoriche traggonoun vantaggioeconomicodallapubblicazioneabusivadelleintercettazioni.La soluzione?Sanzionarechi da notiziecoperteda segretoistruttorioPISAPIA – Ci vogliono nuove regole per la loro pubblicazioneIntercettazioni: c’è una buona legge,basta applicarlaUna buona legge sulle intercettazioniesiste già. Basta applicarla.Parole dell’avvocatopenalista Giuliano Pisapia, expresidente della commissione Giustiziadella Camera e candidato sindaco alComune di Milano. L’occasione per l’interventoè stata un seminario promossoe organizzato da carte<strong>Bollate</strong>. Pisapianon ha voluto commentare i recenti fattidi cronaca che vedono protagonistail Presidente del Consiglio, concentrandosisugli aspetti tecnici e giuridici.L’avvocato ha tentato di fare chiarezzasu un argomento delicato e mal conosciutoda un’opinione pubblica chespesso, come dice lo stesso Pisapia,confonde le intercettazioni telefonichecon la loro pubblicazione sui giornali. Ilclima politico di conflitto permanentenon permette di distinguere le due questioni.“Abbiamo la legge migliore d’Europa, lapiù garantista. L’articolo 267 del Codicedi procedura penale regola la predisposizionedelle intercettazioni telefonichein maniera stretta e”, dice l’ex deputatodi Rifondazione Comunista, “molte dellerichieste fatte al giudice per le indaginipreliminari dai pubblici ministerivengono rigettate”.18 carte<strong>Bollate</strong>L’articolo in questione ne limita l’usoai soli casi in cui siano indispensabilie alla presenza di gravi indizi di reato.I presupposti per la disposizione delleintercettazioni sono più stringentidi quelli per la richiesta delle misuredi custodia cautelare, tanto da esserel’unica norma che usi le parole “assolutaindispensabilità”.È evidente come le polemiche tese alimitare l’uso delle intercettazioni sianocapziose, motivate più dalla foga delmomento che da una reale mancanzalegislativa.Per Pisapia il vero problema starebbenella pubblicazione delle trascrizioni,quando avviene prima della conclusionedelle indagini preliminari contravvenendol’articolo 114 del Codice diprocedura penale. Le violazioni sonopunite con un’ammenda di 150 euro ea volte non vengono nemmeno perseguite,quindi la punizione o non c’è o èsimbolica.L’avvocato ha voluto rilevare, inoltre,come la stampa tenda a confondere ilruolo delle intercettazioni nelle indagini,considerandole prove certe e nonstrumenti per la ricerca di elementi utilial processo.Lo scontro politico, quindi, porta adassolutizzare trascrizioni telefonicheche magari non hanno alcuna rilevanzaprocessuale. Altra distorsione attuatada parte dell’opinione pubblica è quelladi mettere al centro del problemaintercettazioni la privacy. Secondo l’expresidente della commissione Giustiziala pubblicazione delle trascrizioni primadel deposito degli atti può comprometterele indagini e questo sarebbel’aspetto da mettere all’attenzione deicittadini.A conclusione del dibattito Pisapia hapresentato le sue proposte per evitaregli abusi: “Propongo di punire consanzioni amministrative gli editori chetraggono un vantaggio economico dallapubblicazione abusiva delle intercettazioni.Si eviterebbe, così, l’inutile punizionedei giornalisti, obbligati dalladeontologia professionale a informare ilpubblico in caso di fatti notiziabili”.Il rischio, però, è che il direttore dellatestata giornalistica, in quanto tramitefra l’editore e i giornalisti, tenda a censurarearticoli pericolosi.Forse la soluzione sta nel tentare di individuaree di sanzionare chi forniscele intercettazioni ai quotidiani primadel tempo.Emilio Mariotti


URSETTA/MAISTO – Le misure alternative previste per leggeCertezza della pena non vuol direcertezza della galeraCertezza della pena, misure alternative,principi e finalitàdella loro applicazione. Questii temi affrontati dal giuristaUmberto Ursetta e dal magistrato di sorveglianzaFrancesco Maisto.Fino alla fine del Settecento il carcere cosìcome lo intendiamo oggi non era concepito:le pene per i reati consistevano prevalentementein punizioni corporali. Con ilpassare del tempo e il mutare della società,è stato introdotto il concetto di “privazionedella libertà” in risposta al crimine.Tre sono state le principali teorie sullafunzione della pena formulate nel corsodel secolo scorso: retributiva, di prevenzionegenerale, di prevenzione speciale.La prima pone l’accento sul lato afflittivo,cioè di risarcimento nei confronti dellevittime. La seconda eleva la sanzionea deterrente per l’intera società, agiscequindi non tanto sul reo, quanto sullacomunità che deve trarre esempio dallapunizione inflitta al condannato. Infine laterza funzione della pena si concentra sulsoggetto, rieducandolo alla vita civile.I codici pre-unitari, come il Codice Sardoe il Codice Zanardelli, erano incentratisulla funzione afflittiva della pena, ovveroconsideravano prioritari il principio retributivoe quello di prevenzione generale.Anche il Codice Rocco, istituito negli anniTrenta, marcava fortemente il ruolo punitivodella sanzione.Con la Costituzione entrata in vigore nel1948 cambia la concezione della pena.L’art. 27 stabilisce che essa debba rieducareil reo e non essere contraria aiprincipi di umanità. Ma la rivoluzionedel diritto penale rimane per lo più sullacarta. Infatti la mancata epurazione dibuona parte della magistratura fascista,che aveva assorbito i principi del CodiceRocco, determina una stasi applicativa. Icodici penali in vigore restano in apertocontrasto all’articolo 27. È la società civilea dare una spinta decisiva per rinnovarel’ordinamento penitenziario. Una leggedel 1975 stabilisce quali sono i diritti e idoveri dei detenuti, considerandoli primacome persone e poi come rei. Assumequindi maggiore forza il principio rieducativodella pena. Dopo un’iniziale battutad’arresto dovuta alla tensione deglianni di piombo, sono gli anni Ottanta acelebrare quella cultura garantista checaratterizza oggi il nostro Paese. La leggeGozzini del 1986 personalizzala pena, la adatta ai singolicasi e ne garantisce la reversibilità.Proprio in riferimentoalla Gozzini, si parla spesso dide-carcerizzazione: la prigionedeve essere la soluzione piùestrema, cui sono preferibilimisure in grado di garantireil reinserimento nella società.La stessa carcerazione vieneripensata: deve permetterela rieducazione del soggettomediante attività di sviluppodella personalità individualee attraverso il mantenimentodei rapporti con la famiglia.Dopo questo excursus sullastoria del diritto penale, Ursettasi pone e ci pone unadomanda: il carcere così comeoggi è strutturato in Italia rieducadavvero i carcerati?La sua risposta è no. Sia perla mancanza di personale chesvolga questa funzione nelle prigioni sia,e specialmente, per il sovraffollamentodelle carceri. In Italia oggi ci sono quasi70.000 carcerati, contro i 42.000 postiprevisti. A questo problema si è tentatodi ovviare con amnistie e indulti, ma ilvero ostacolo è la mentalità penale chevige nel nostro Paese. Anziché guardareil tasso di recidiva, che per esempio tra lepersone che hanno beneficiato dell’indultodel 2006 è sceso dal 68 al 27%, si puntasolo sul debito che il condannato devepagare nei confronti della società. Le misurealternative e la libertà condizionatasono quindi considerate ingiusti alleggerimentidella pena. Chi ha sbagliato devepagare e più paga, meglio è. E dopo? Unex-detenuto uscito dalle carceri italianedi oggi – o almeno dalla maggior parte diesse – è più arrabbiato e disorientato diprima, perciò sarà più facile che reiteriil crimine. Invece è stato calcolato che iltasso medio di recidiva tra chi ha espiatola pena usufruendo di misure alternativeè del 19% e che solo nello 0,23 % dei casiil giudice ha disposto la revoca di misurealternative per la commissione di nuovireati. Se il fine che la società si prefigge èun benessere per l’intera comunità, quindila rieducazione e la non reiterazionedel crimine, il carcere spesso non è la soluzioneadeguata. Ma se invece l’obiettivoè una sorta di giustizia privata, in cui vigel’occhio per occhio dente per dente, è ovvioche ogni misura alternativa al carcereduro susciti scalpore e indignazione.Il magistrato di sorveglianza FrancescoMaisto espone il passaggio di testimonedalla Pubblica Amministrazione alla Giurisdizioneper quanto riguarda le sanzionipenali. Se un tempo queste erano affidateal Ministero degli Interni, nel 1975 è statacreata una magistratura di sorveglianzacon il compito di valutare la legittimitàcostituzionale delle misure detentive. Lacontinua e improduttiva lotta tra amministrazionee giurisdizione, che in fin deiconti si riduce al modo in cui viene concepitala funzione della pena, porta a un’eccessivamodificazione della legge penale,quando invece sarebbe opportuno rivederela sua applicazione. Basti pensareche la Gozzini, pur essendo stata approvatacon unanimità parlamentare, è statasnaturata da ben dodici successive modifiche,che ne hanno ristretto le possibilitàdi attuazione fino ad annullarne gli effetti.Un filo conduttore lega gli interventi diUrsetta e Maisto: per risolvere i problemilegati all’ordinamento penitenziario non èla legge a dover cambiare, bensì la mentalitàgiustizialista ancora fortemente radicatanella società italiana.Ch ia r a Daffinicarte<strong>Bollate</strong>19


isposte – Il confronto tra istutuzione e utenti è il nostro metodoNon culliamoci sul progetto<strong>Bollate</strong>, c’è ancora molto da fare20 carte<strong>Bollate</strong>Professionalitàdegli operatorie onestàintellettualedei detenutiper farcrescerel’istitutoe renderlosempre piùconformeal dettatocostituzionalelate”. È giusto andare avanti e lottareperché siano garantiti la qualità dellavita e l’effettività dell’esercizio dei diritti,tanto di chi lavora quanto di chivive all’interno dell’istituto. Siamo ancoralontani dall’essere in regola con lanormativa.La caratteristica di <strong>Bollate</strong>, a mio parere,sta nel far emergere le proprie criticitàquotidiane, nel continuo confrontocon l’utenza. Non solo. Ciascun detenutodi questo istituto sa perfettamenteche la conoscenza dei problemi del postoin cui vive, la dialettica nel rapportocon l’Istituzione sono le premesse peraffrontarli. E per risolvere le questioniche possono essere risolte. I momentidi confronto sono molti: le riunionicon il direttore, gli incontri dei delegatidi piano (e degli altri detenuti) con isottufficiali responsabili dei reparti, lacommissione cultura, per citarne soloalcuni. Vi viene spiegato con chiarezzacome stanno le cose. E vi viene data lapossibilità di esprimere, con altrettantachiarezza, i vostri bisogni e rivendicareRingrazio Flavio Grugnetti e MicheleDe Biase per le loro riflessioni,pubblicate sul numero digennaio di carte<strong>Bollate</strong>. Toccanoargomenti che mi stanno a cuore esui quali mi fa piacere dirvi il mio pensiero,da direttore di questo istituto.<strong>Bollate</strong> è un carcere, pieno di problemicome tutti gli istituti penitenziari. Grugnettiha ragione.Come in tutti gli istituti, l’ordinamentopenitenziario non contempla i rapportisessuali all’interno, quindi è evidenteche il giornalista della trasmissione diLucarelli si riferisse al locale destinatoalle famiglie (che, peraltro, esiste anchein altri istituti, Opera ad esempio).I 13 educatori qui in servizio hanno incarico 1100 detenuti (tutti condannati),quindi 85 a testa, circa. Ognuno di lorosegue, inoltre, uno specifico settore (lavoro,cultura, sopravvitto ecc). Capitache non riescano a ricevere i detenuticon cadenza regolare, cosi come prevedela normativa. I direttori, poi, nonriescono mai a sentire singolarmentea colloquio i detenuti (siamo due per1100 ospiti). Sostituiamo questo impegnocon le riunioni mensili di reparto(ma neanche questo adempimentoviene sempre garantito con puntualità,può capitare che qualche appuntamentosalti). Il sostegno psicologico èassolutamente insufficiente a coprire leesigenze dell’istituto.L’ufficio colloqui, con lo stesso personalee lo stesso numero di sale, devefar fronte a un numero di utenti quasiraddoppiato nell’ultimo anno. Abbiamoaperto l’ufficio tre pomeriggi alla settimana,per andare incontro alle esigenzedelle famiglie, ma nemmeno questoè sufficiente a garantire il diritto all’affettività.Inoltre, siamo costretti a limitarea due al mese i colloqui di sabato,perché siete troppi e il sabato è il giornopiù richiesto.Niente di nuovo sotto il sole, concordocon Grugnetti. Questo è il carceredi <strong>Bollate</strong>, questi (e molti altri!) i suoiproblemi. Sono la prima a sostenerlo,sempre, anche quando parlo pubblicamente.È giusto non accontentarsi di comevanno le cose, solo “perché si è a Bolivostri diritti. Credo che questa sia lacaratteristica del carcere di <strong>Bollate</strong>: ilconfronto tra istituzione e utenti.Sta alla professionalità degli operatori eall’onestà intellettuale dei detenuti farsì che questo confronto faccia crescerel’istituto e lo renda sempre più costituzionalmentelegittimo.È questo aspetto che, credo, manchi dipiù alle persone allontanate dall’istituto,per aver infranto una regola. E ancheper noi, che abbiamo lavorato tanto conloro, è una sconfitta doverli allontanareinterrompendo un percorso dialetticoin cui avevamo investito le nostre risorseprofessionali.A <strong>Bollate</strong> il detenuto è un interlocutoredell’Istituzione, nonché una risorsa peril territorio esterno (mi riferisco ai tantilavori che svolgete per il Comune, ilTribunale, l’Amsa ecc).Credo che qui ci si senta più considerati,come persone, intendo. Le riflessionidi Michele De Biase mi sembrano moltosignificative in proposito.Lu c ia c a s t e l l a n o


SEMINARIO - Così se ne è discusso con Alessandro BattistellaLe commissioni di reparto,strumento di democraziaNegli scorsi mesi sono state rinnovatele Commissioni dei delegatidi piano del primo e delterzo reparto e, constatando ilcrescente entusiasmo che anima i componenti,è sembrato opportuno ai volontaridell’associazione Cuminetti organizzareun seminario in biblioteca dell’Istitutosull’argomento: a tenere questo seminarioè stato invitato Alessandro Battistellaresponsabile dell’area programmazione esviluppo organizzativo dell’Istituto per laricerca sociale.Il seminario si è tenuto il 4 febbraio conla partecipazione di tutti i delegati delprimo e terzo reparto, i coordinatoridel Gruppo Libero, gli educatori di entrambii reparti e i volontari Cuminetti.A introdurre l’argomento e tenere lefile della discussione, i volontari Cuminetti.Battistella dopo una brevissimapresentazione entra subito nel vivodell’argomento, chiedendo ai presentila loro visione sul significato del ruoloche stanno ricoprendo. Da lì è partitaun’ampia disamina sul ruolo del delegatodi commissione e come possa essereinterpretato. Lo scambio di opinioni èstato vivace e partecipato.Il relatore ha messo in evidenza a quantesfumature ed interpretazioni possaessere soggetta l’identificazione del ruoloe quanto sia forte la dose di responsabilitàdel delegato poiché quest’ultimosi è proposto in prima persona, edè stato votato poi dai compagni; perciòsi è caricato di un compito sicuramentedelicato, che implica una forte autoresponsabilitàverso chi l’ha votato.Con stupore siamo venuti a scoprire aquanti significati possa essere associatoil compito del delegato: dalla reciprocaautoresponsabilità, all’ascolto dei problemiche vengono segnalati o di quellinuovi che di volta in volta vengono individuati.Tanto che il relatore paragona edistingue il delegato in: pescatore o cacciatoredi problemi e idee a secondo delleesigenze che man mano emergono.È emerso il punto più delicato di questoincarico: quello di fungere da filtro trale innumerevoli richieste dei compagniverso l’Istituzione; alcune percorribilialtre meno. Un compito quanto mai delicatonell’individuare le priorità, senzaperdere di vista il luogo dove ci troviamo”.Battistella fa notare ai presentiche le richieste pervengono al delegatoanche da coloro che non l’hanno votato:motivo in più per sentire su di sé l’importanzadi questa funzione.I naturali interlocutori delle commissionisono molteplici: compagni, agenti dipolizia penitenziaria compreso il caporeparto, gli educatori, la Direzione e soprattuttoi delegati stessi. Questo nondeve significare che le commissionidebbano essere sottomesse o usate daisoggetti appena elencati, perché è implicitonel ruolo mantenere libertà valutativain relazione alle iniziative da assumere,individuando quelle che hannomaggiore possibilità di essere accolte.Battistella ricorda che occorre diventarel’altoparlante dei compagni peracquisire credibilità e autorevolezza.Questo riconoscimento potrà inizialmentedare fastidio ai vari interlocutori,ma col tempo, di fronte alla concretezzadelle richieste avanzate, non potrà cheessere anche di supporto nel facilitarela vita di tutti internamente, compresigli agenti di polizia penitenziaria. Cosifacendo l’eventuale retropensiero o perplessitàdei compagni e delle istituzioniin buona misura svanirannoDopo tre ore di dibattito e scambio diopinioni, dove ognuno ha imparato amettere a fuoco il proprio ruolo, ci si èlasciati con la voglia di rivederci e continuarel’approfondimento del lavoro iniziato.Abbiamo cosi ottenuto la promessadi Battistella che tornerà quanto primatra noi in vista anche dell’allargamentodelle commissioni ad altri reparti.Lu i g i Mi r a b e l l i e Hic h e m Ch e i k r o u h o u.MUSICAOttoni in concertometà febbraio, sul palco del teatro di <strong>Bollate</strong>, si è svoltoun piccolo concerto tutto per noi. Una band di ottoniAcomposta da cinque elementi più un giovanissimo batterista,hanno dato uno spettacolo davvero apprezzato. Il repertorioeseguito andava dal blues al jazz spaziando fino a brani diEnnio Morricone e i sei hanno dimostrando ottime capacitàartistiche e una notevole preparazione musicale. L’esibizioneè durata quasi un’ora e mezzo, intramezzando brani musicalia numeri di cabaret, interpretati da Marco Cavalli, primatromba del gruppo.Un sabato sera diverso e degno d’essere visto e, soprattutto,ascoltato. Bravi tutti i musicisti, anche il batterista AlessandroBrivio che, malgrado la sua giovane età, dimostra già ungrande talento.Ca r l a Mo lt e n icarte<strong>Bollate</strong>21


Nuovi progettiEDUCAZIONE MUSICALE – Sono iniziati i laboratori di Freedom SoundImpariamo insieme a fare musicaSiamo già 70 e pensiamo che moltopresto saremo molti di più. CosìMarco Caboni, presidente dellaFreedom Sound, inizia a risponderealle nostre domande.Come nasce questo progetto e cos’è laFreedom Sound?La Freedom è un progetto nato daun mio sogno nel 2007, condiviso conMario, anche lui musicista e ospite diquesto Istituto. Trovandoci nelle areepasseggiodel carcere di San Vittore fantasticavamosulla possibilità di creareun gruppo musicale che all’interno delcarcere potesse far musica e coinvolgerealtri compagni. Ma rimanevano solofantasticherie. Poi un giorno ci siamoritrovati qui, a <strong>Bollate</strong>, e grazie al nonabbandono di quell’idea, all’aiuto delladirezione, degli educatori, della cooperativaArticolo 3, di alcuni agenti e allapazienza di Andrea Carminati (assistentedi Rete) quel sogno diventava realtà.Abbiamo cercato di reperire strumentidi ogni tipo in tutti i modi.Avete avuto aiuti da privati?La Fondazione De Andrè è stata la primaa fare una donazione, poi la Roland Italia,la Fondazione Monzino, la Carisch,e la Ibanez. La Cooperativa E.s.t.i.a. ciha sempre aiutato e sostenuto (grazieMichelina). Da allora sono state tante leiniziative intraprese e portate a terminedalla Freedom. Abbiamo curato laregia audio-luci per le rappresentazioniteatrali di Gerardo Placido, i concertininelle aree-passeggio dei vari reparti,l’intrattenimento per i bambini nei colloquinatalizi e altro.L’evento più importante?È stato il 5 novembre 2010 nel teatrodel carcere. Quell’ occasione è statail battesimo ufficiale nel mondo dellospettacolo. Infatti oltre a un padrino dieccezione, Cesareo (chitarrista di Elio ele Storie Tese), che si è unito a noi suonandola chitarra, erano presenti tuttii nostri donatori e diversi giornalisti.Quella serata, grazie agli applausi delpubblico esterno e interno, ai consensiricevuti dalla stampa e dagli altri musicisti,ci ha fatto capire che questo patrimonioculturale era di tutti i detenutiche ne volessero godere. Il 5 novembreci ha confermato quanto era vero ciòin cui abbiamo creduto, ovvero che lamusica non è un gioco ma una vera disciplinaeducativa. Essa è socializzazione,rispetto, è mezzo di esternazione disentimenti e di emozioni, è antidoto alla22 carte<strong>Bollate</strong>Un gruppomusicaleche all’internodel carcerepossafar musicae coinvolgerealtri compagniviolenza, favorisce l’autostima e aiuta aridimensionare il proprio ego stimolandoil gioco di squadra. Dopo un breveperiodo di smarrimento, in quanto ilnostro referente Carminati era stato trasferito,ci siamo riuniti rimettendoci ingioco e ripartendo.Che organizzazione vi siete dati?Si è costituita una commissione artistica,un comitato di valutazione, abbiamovotato un presidente, nominato un segretario,eletto un esecutivo. Sulla basedi questi principi ci siamo organizzati eregolamentati. Grazie a un instancabilee determinato segretario, Roberto Messina,in poco tempo sono state compiutetutte quelle attività di base per partire.Si sono stesi un codice etico e un regolamento,abbiamo un nuovo referente, cisiamo presentati in commissione cultura,reperiti i tutor per dare inizio ai laboratorie tanto altro. Non è stato tuttosemplice, siamo in un carcere. Ma grazieall’impegno di tutti noi, oggi sono già attiviben nove laboratori, pianoforte, tastiere,chitarra, basso, batteria, percussioni,hi-pop /haus, e scienza del suono.Perché chiamarli laboratori e noncorsi di musica?All’interno di queste mura non abbiamorintracciato insegnanti diplomati che potesserodare lezione di musica, ci piacerebbemolto averne, ma non ce ne sono.Pertanto in questo momento, utilizzandole risorse umane esistenti, abbiamo creatolaboratori dove si studia lo strumentocon l’aiuto dei tutor musicisti.Come si fa ad iscriversi ai laboratorie che durata hanno?I laboratori hanno una durata di tremesi, (primo livello) e sono aperti a tutti,senza discriminazione alcuna. Le lezionisono tenute ogni giorno compresala domenica, in quanto ci sono detenutiche durante la settimana sono impegnaticon il lavoro. A fine corso ogni allievofarà un saggio-esibizione che metterà inluce il livello di conoscenza raggiunto.Per iscriversi è sufficiente una semplicedomandina (393) indirizzata alla FreedomSound.Esiste un criterio di ammissione?Attualmente no, ma la detenzione soffertae il fine-pena costituiscono titolopreferenziale per le ammissioni chevengono effettuate dagli educatori e daicapo reparto. In ogni caso ci sono quattrocorsi l’anno, quindi c’è possibilità pertutti.Vuoi lanciare un messaggio ai lettori?Sì! La musica fa evadere legalmente, faremusica è vita, è libertà…..Enrico Lazzara


CASCINA BOLLATE – Un nuovo progetto e nuovi posti di lavoroDal 7° reparto ortaggi a km zeroper tutto il carcereAdicembre scorso è partito ilbando di assunzione per detenutidel 7° reparto destinatoal nuovo progetto di orticoltura;in pratica si tratta della creazione diuna nuova cooperativa, collegata a Cascina<strong>Bollate</strong>, che già da diversi anni sioccupa della produzione di fiori, piantee prodotti ortofrutticoli all’interno delcarcere.Come spesso succede con i nuovi progettidi lavoro che nascono all’internodel carcere, questo è uno start up: per ilprimo anno i lavoratori saranno assuntidall’amministrazione penitenziaria.Poi, una volta verificata la capacità distare sul mercato della neonata struttura,si creerà una nuova cooperativasociale che dovrà camminare sulleproprie gambe. Il progetto non ha immediatamenteriscosso pareri favorevolida parte dei detenuti perché lacostruzione delle strutture adibite allaproduzione orto-vivaistica prevedeva lasoppressione del tanto agognato campodi calcetto, ossia dell’unico spazio disponibileper le attività sportive all’ariaaperta. Ma ci siamo consolati pensandoche si sarebbero aperte nuove opportunitàoccupazionali.Le selezioni sono infatti terminate conl’assunzione di ben sette detenuti, dicui cinque con contratto full-time edue part-time (per permettere loro lafrequenza scolastica); una volta prontoil “cast”, i responsabili del progetto,Susanna Magistretti e Fausto Galli, chesegue i lavori e che ha già fatto un’esperienzasimile all’istituto penitenziariominorile Beccaria, hanno organizzatodegli incontri per illustrare il piano dilavoro, gli obiettivi da perseguire e letecniche di base. Praticamente si trattadi avviare una produzione di verduree degli ortaggi più richiesti, chesaranno poi destinati sia alla venditainterna all’istituto - detenuti, agenti dipolizia e operatori vari - sia a soddisfarel’eventuale richiesta di ristoratori e deiGAS (gruppi di acquisto solidale) dellazona.È prevista anche la partecipazione aqualche mercatino bio a Milano, adesempio quello di Slow Food, che si tieneuna volta al mese in Largo Marinaid’Italia.La partenza dei lavori si è avuta tra finedicembre e gli inizi di gennaio quando,nonostante le condizioni climatiche avverse,si è riusciti a vangare e dissodaretutto il terreno e a predisporre l’interaarea per la realizzazione dell’impiantodi irrigazione. Questa parte del lavoro siè rivelata abbastanza dura soprattuttoper la presenza di una gran quantità dimassi e di pietre che, una volta estratti,sono stati estremamente utili per la costruzionedi più di sessanta piccoli muria secco sulle zone più scoscese in mododa riportarle in piano e renderle adattealla coltivazione.A metà gennaio sono stati consegnatigli attrezzi da lavoro, otto bancali diconcime organico e tutto il materialeper costruire una bella serra fredda da240 metri quadri, la cui struttura è statarealizzata in pochi giorni.In attesa del completamento dell’impiantodi irrigazione, i detenuti del 7°sono finalmente usciti dal reparto esono andati nel vivaio di Cascina <strong>Bollate</strong>dove hanno iniziato la semina delleprime verdure, soprattutto insalate,che tra un mese verranno trasferite nellanuova serra. Appena inizierà la buonastagione le semine verranno fattedirettamente nella serra del 7° e tuttala terra a disposizione verrà coltivataa orto. Oltre alle verdure tradizionali,verranno prodotte anche alcune verduredal mondo: insalate, peperoncini,cucurbitacee (ovvero della famiglia dizucche, cetrioli, meloni) provenienti daIndia, Nord Africa, America Latina. Ègià iniziato il passa-parola tra giardinieridi Cascina <strong>Bollate</strong> e detenuti chechiederanno ad amici e parenti all’esterodi mandar loro i semi.Il messaggio che tutti i protagonisti delnuovo progetto vogliono far passare atutta la popolazione dell’istituto è chele verdure coltivate non subiscono alcuntrattamento chimico: si tratta di unprocesso di produzione assolutamentebiologico che, oltre a non inquinare,non altera in alcun modo i prodotti.Quindi, quando assaggerete le verduredell’orto, sarete sicuri della loro qualità,gusto e genuinità e soprattutto, graziealle minime spese di imballaggio e trasporto(altro che a chilometri zero), aun prezzo assolutamente competitivo.An t o n io D’An t o n io e Cl a u d io Cu r n i sCome si acquistano le verdure dell’ortoI detenuti di tutti i reparti possono, come al solito, fare una domandinaindirizzata a Cascina <strong>Bollate</strong>/Orto del 7° e le verdure verranno consegnatein reparto.Gli operatori del carcere (poliziotti, educatori e volontari) troverannouna volta alla settimana un banchetto con i prodotti dell’orto in AreaTrattamentale e potranno fare gli ordini e le prenotazioni. Per i loroacquisti, avranno una tessera prepagata da 20 € che potranno richiederealle serre o nel negozio di Cascina <strong>Bollate</strong> (dal 16 <strong>aprile</strong> apertomercoledì e venerdì dalle 14,30 alle 18 e sabato dalle 10 alle 13,30).carte<strong>Bollate</strong>23


OFFICINA BELGIOIOSO 1 – Un convegno per parlare di dipendenze e trasgressioneSisifo, tra mitologia e attualitàIl 28 e 29 gennaio, presso il teatrodella 2 a Casa di reclusione Milano<strong>Bollate</strong>, si sono svolti due convegnirappresentazionefacenti parte delprogetto Sert Officina di via Belgioioso.Il progetto, nato da un idea in collaborazionetra reclusi e operatori, è statoappoggiato da Francesco Scopelliti,dirigente del Sert di <strong>Bollate</strong> e messo inpiedi dall’équipe medica del servizio,in collaborazione con Angelo Aparo,fondatore e timoniere del Gruppo Trasgressione,che opera nelle carceri diSan Vittore, Opera e <strong>Bollate</strong>, ma ha ancheun gruppo esterno con sede pressol’Asl di Milano. Al gruppo partecipanoreclusi, psicologi, insegnanti, studentitirocinanti e chiunque abbia voglia difarne parte. Il gruppo si ritrova settimanalmenteper parlare di problematicheche affliggono e accomunano esseriumani e società. Gli obiettivi vanno benoltre la volontà di rendere consapevolee aiutare chi vi partecipa. È come unapalestra dove ci si allena a riflettere e ainteragire, confrontandosi anche con larealtà della società italiana fatta di debolezze,carenze e incapacità individuali ecollettive, degli esseri umani come delleistituzioni. La due giorni si è aperta conun convegno dedicato al mito di Sisifo,mentre il 29 si è parlato di dipendenzeda droghe e gioco: “Una slot machine perchiedere chi sono”.Cominciamo dal mito di Sisifo e dallasua storia. Nella mitologia greca Sisifo èil figlio di Eolo, re di Tessaglia. Fondatoree re di Corinto, Sisifo divenne famosoper i suoi modi scaltri quanto subdolie ingannevoli, che non si fece scrupoli autilizzare per raggiungere i suoi scopinel modo più sbrigativo, facile e menoimpegnativo (si trattava di risolvere ilproblema della siccità che affliggeva ilsuo regno). Arrogante e presuntuoso,sfidò l’Olimpo scatenando la collera diZeus, che mandò la morte (Thanatos)a prelevarlo per condurlo nel Tartaro,la regione più profonda degli Inferi. Sisifotuttavia riuscì a ingannare anche lamorte, morendo però poi di vecchiaia.Questo lo portò inevitabilmente al cospettodi Zeus, che in modo beffardo glidiede una punizione esemplare, eternaquanto inutile. La punizione consistevanello spingere un masso su per unamontagna, fino a quando questo, unavolta arrivato in cima, non ricadesse avalle, ricominciando così nuovamente24 carte<strong>Bollate</strong>la risalita… all’infinito. Il bello di questoracconto mitologico e dei suoi personaggiè che sono una metafora della societàattuale, fatta di persone con problemi diruolo, di potere, con vizi, virtù e delirid’onnipotenza. Fondamentale è il concettodei limiti: riconoscere i propri,quelli imposti dalla società e dalla vita ecapire cosa comporta il non riconoscerli,sottovalutarli, non rispettarli. C’è poiil discorso di chi dovrebbe avere il doveredi farti riconoscere questi limiti, lacredibilità di questi limiti e di chi te liimpone. Il senso del limite visto e interpretatocome ostacolo o come aiuto allapropria crescita. Tutti questi discorsi siinterpongono in una sorta di conflittualeinterazione tra comune cittadino eistituzioni, genitori e figli, vita e morte.A questo si aggiunge un altro elemento:l’effetto delle conseguenze. Quantole conseguenze delle nostre azioni ricadonosui nostri familiari e quanto cirendiamo conto di questo. Per ultimo èd’obbligo pensare al fattore punizione; ilsuo senso, quando la punizione assumele sembianze di una vendetta e quandoè realmente costruttiva, per chi ha sbagliatoe per la società.Nel caso di Sisifo si è voluto narrare lastoria mitologica di un comune mortaleafflitto da un grosso problema. Questoproblema fu l’inizio di una reazione acatena, di concause che loportarono a cercare sempredelle scorciatoie per risolveretutto, attuando stratagemmie osando sfide fino all’inverosimile,pur di tener fede alsuo ruolo e di non pagare leconseguenze delle sue azioni.Con metodi poco ortodossiSisifo riuscì a risolvere il problemadella siccità, ma dato che non sempreil fine giustifica i mezzi, alla fine dovettepagare le conseguenze delle suetrasgressioni subendo una punizioneapparentemente senza senso, ai limitidella vendetta.In una chiave di letturapiù attuale e approfondita, la storia diSisifo dà spazio a un’interpretazionedalle sfumature abbastanza drammatiche:il conflitto di un uomo che per necessitàè costretto a trasgredire al finedi raggiungere il suo scopo.L’acqua in questione questa volta sitramuta in esigenza di vivere e nonsopravvivere, mentre i sotterfugi sonol’incoscienza di sfidare i propri limiti ei limiti imposti dalle istituzioni e dalleleggi, come dalla vita stessa, senzapensare alle conseguenze delle proprieazioni. La credibilità di chi impone i limiticosì come quella di chi dovrebbefarli riconoscere sono anch’esse oggettodi riflessione assieme al significato stessodel limite, che dovrebbe esistere edessere spiegato come evidente e significativostrumento di crescita, ma chesoprattutto non deve diventare spuntodi illusione, regresso e annullamentoper sé, la propria famiglia e la società.Infine c’è il significato della pena, chedovrebbe sempre essere costruttiva.Carmelo Im p u s in o


OFFICINA BELGIOIOSO 2 – Il lavoro del Gruppo - giornale del SertQuando è la slot-machinea dirti chi seiUna slot-machine per chiederechi sono, ovvero un modoper parlare di dipendenze dadroghe e dal gioco. È questo iltema attorno al quale è girata la secondagiornata del convegno-rappresentazionedell’Officina di via Belgioioso, che si ètenuto in carcere il 29 gennaio.Questa parte del lavoro è nata dalGruppo Giornale, un progetto del Sertcoordinato da Grazia Gnocchi e PaolaCarleo, coadiuvate da Karen Papaziane Veronica Silvestri. Ci si proponeva dileggere alcuni giornali per poi approfondireinsieme le tematiche ritenute piùinteressanti per la discussione, così dapoter confrontare i tagli dati alle notiziedai differenti quotidiani, soprattutto dalCorriere della Sera o da Repubblica.Molti sono stati i temi affrontati: droga,devianza giovanile, bullismo, modeestreme, del tipo guidare a tutta velocitàcontromano o il balcon jumping. Comecomune denominatore, la sfida per affermarsi.Tra gli argomenti di maggiorecoinvolgimento, quello che ha suscitatol’interesse del gruppo è stato la dipendenzadal gioco delle macchinette, fenomenoche i due quotidiani esaminatiriportavano evidenziando dati statisticiinquietanti. La lettura ha suscitato riflessionisul proprio vissuto: fatti personali,fatti inerenti alla propria dipendenza esoprattutto le debolezze di ognuno dinoi. Tutti si sono messi in gioco, anchele persone più chiuse, in una discussionemolto animata. L’ostacolo principaleè stato quello di superare il primo confrontocon le operatrici - persone chefanno parte dell’istituzione -, vincere isoliti stereotipi dei tossicodipendenti enon solo: il fatto di sentirsi giudicati è dasempre un blocco mentale.Superato questo primo scoglio con tuttoil gruppo del Sert, psicologi e assistentisociali, il gruppo è riuscito a scioglierequell’iceberg alla base del quale sta ilmalessere che accompagna ogni dipendenza.Possiamo dire che da subito, toltoqualche elemento un po’ resistente, c’èstata aggregazione fra tutti, ma ciò cheha dato veramente sale alle discussioniè il fatto che gli operatori ci hanno fattosentire delle persone e non dei malati daassistere. Un metodo che ha funzionatosubito perché i ragazzi si sono aperti,raccontando le emozioni che rivivevanoritrovandosi nelle storie che leggevamo,cercando un punto da dove ricominciare,una sorta di ricerca della propriaidentità, la più reale possibile.Nel discutere sono venute fuori esperienzeinteressanti e altrettanti aneddotisul bisogno di cercare di dimenticare colgioco tutti i problemi che la vita ci metteduramente davanti. Subito abbiamo trovatointeressante il racconto di Tiziano,che oltre a essere, come lui si definisce,un accanito giocatore di slot-machine,è anche un tossicodipendente da eroina,definita in assoluto la dipendenza tra ledipendenze.A questo punto si è pensato di metterein scena il suo racconto proprio percondividere con altre persone, fuori daqueste logiche di dipendenza, le frustrazionie gli stati emotivi che crea.L’euforia di ritrovarsi in un luogo, il bar,dove lui si sentiva a suo agio, calato nelruolo del bauscia di turno, dove potevaessere qualcuno e non il solito maltrattatodalla famiglia per la sua dipendenzadall’eroina e per i suoi fallimenti; oquello che si sentiva trasparente anchequando camminava per strada strafatto,urtando la gente senza farci neanchecaso, quasi annientato.Una volta entrato nel bar diventava opensava di diventare una persona piùsicura di sé e di poter in quel luogo vinceretutte le paure e le sconfitte, per poiritrovarsi a un certo punto davanti al bivio:o il richiamo della “scimmia”, con idolori fisici e il continuare a giocare pervincere la debolezze - e l’eroina nellafase della “scimmia” è più forte di qualsiasirichiamo -; o quello della macchinetta,che anche quando lo paga bene,lo trova nella condizione di non esserepiù in grado di raccogliere le monetineperché il bisogno di farsi è più forte.L’esperienza di questi incontri-confronto,sulla scia di quello di Tiziano, è statadunque per tutti fonte di ricchezza interiore.Come ha detto il coordinatoredel Sert Francesco Scopelliti “la tossicodipendenzaè un luogo dove convengonodisagi nati e cresciuti negli anni, manon dimentichiamo che la droga dà lasensazione di star bene, bisogna essereconcorrenziali al piacere delle sostanze.Non sappiamo come si cura la tossicodipendenza,sappiamo che, a oggi, non èstata trovata la soluzione”.Niente di meglio che ripercorrere la geografiadei disagi e dei malesseri esistenzialidegli altri, per soccorrere e assisterel’essere umano in difficoltà, niente dipiù piacevole che darsi al prossimo nellapienezza delle proprie fragilità.Nin o Sp e r acarte<strong>Bollate</strong>25


poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesia ✍ poesiaIL BACIOOgnuno lo desideraquello stranoe fatale tocco,sottile e delicatoquando il palpitorintocca comel’orologio della piazzae l’elettrico nervosoporta su l’adrenalina,desiderio di sfiorarela cornicedi quel soave sorrisoche tanto ha incantato.Pierfranco SortinoBOLLATE, AREATRATTAMENTALESe la guardi dal di fuori,sembra un centro commerciale.Quando entri dentro,colori, quadri, vetrinee tante ragazze bellefotomodelle.Lavorano per noi detenuti,cattivi e buoni,tutte e quattro le stagioni.Combattono con i computer,carte, penne e raccomandate,che sudate,loro sono pure laureate!Quando vien la sera,alla chiusura,c’è un po’ di confusione,qualcuna va in bagnooppure aspetta fuori.Con questa poesia,ve lo dico io,- siete tutte brave -dateci voi la benedizione,Signore Dio.Antonio VadalàI SOGNI DI VETROMentre camminavonella strada della vitacon mille pensieri e sognidi felicità,mi ritrovai in un vicolo buioe vidi i sogni infrangersicome vetro.Incubi riempivano le nottitenebre e oscurità il mondo.Non c’era più amore per me.Ancora mi chiedo perché.Amarildo ZiuCANTO D’AMORESento il vento,è come un dolcecanto d’amore,la tua vocemi porta lontanoquanto le carezzeche mi sfiorano,ti sento dentroper uscirne pienodella tua essenza.L’EVASIONEAngelo PalmisanoEvasione dalla realtà,soffocante nel tortuosocammino dalla vita alla morte,dal passato al presente.Il passo appare breve,lungo si sperail sempre incerto futuro,ma se troppo disegnataè la stradascipito è il sapore della vitamentre ambigue presenzemi fanno apprezzarela mia voluta solitudine.Luciano PetroniIL TEMPOInizia la vita correndocosì forteda non riuscirequasi a starci dentro.Il tempo passapoi arriva in questepatrie galeredove è luiche deve fermarsiper starci dietro.Tatiana MogaveroMI MANCHIAmore mioÈ il sedicesimo giornoDi lontananzaÈ una bella giornata di soleChe non riesco a godereMi manchi come l’ariaMi manca il tuo sorrisoMi manca il tuo bacio quotidianoMi manca il tuo modo di essereMi manchi tuAmore mio.Gianfranco FerraroDESIDERIO MANCATOIn mezzo al silenzio della pianurami risveglio con gli occhi della pauraportando sulla fronte le righedel mio vecchio giornale,di quello che è rimastodell’oscuro orizzontee quello che ho trovato:fantasie verticaligabbie arrugginite dalle dimensioni,cenere delle emozioniil volere lacerato delle passioni.Così si presenta il mio breve metraggio,cerca di avere nell’assenza del giornoun po’ di vantaggio,sono da solo, isolato e devoessere pienamente colpitodai sani richiami di soccorso.Quando splendeva l’ultimo respirosul suo adorato lettopronunciava appena il mio nomein agonia e io non c’ero, ero vialontano dal suo ultimo salutobella giovane mammamisteriosa, affascinante patria.Jomaà BassanTEMPO SOSPESOInizia la vita correndocosì forteda non riuscirequasi a starci dentro.Il tempo passapoi arriva in questepatrie galeredove è luiche deve fermarsiper starci dietro.DESTINOTu che sei l’ombradel destino,insegui sempresenza sconto fare.Conducimi per manosenza nulla inventaremolte sono le volteche ho bramato…Il destino tra le manispesso è sfuggitomai un’emozione forteo un segno percettibiledella natura non temi leggeo chiunque esso sia.Vorrei credere in un destinofatto di sguardi intensie sorrisi a pieni denti.Megri FauziNino Spera26 carte<strong>Bollate</strong>


A il racconto – 2 a puntataLa rivoluzione di ViolaViola è in cella alle prese con sestessa e sta prendendo confidenzacon i libri; nella bibliotecadel carcere c’è una bellascelta ma per lei un libro vale l’altro,sceglie in base alla misura, troppo spessile fanno paura, e alla copertina. Il titoloè secondario, l’autore conta zero, nonne conosce uno.Così dopo Dieci piccoli indiani, chepensava fosse la storia di una tribù diApache e invece Agatha Christie erariuscita ad appassionarla e anche divertirla,e l’immancabile Giro del mondoin 80 giorni, ecco Resurrezione. Saràla storia di Gesucristo, aveva pensato ricordandola noia del catechismo.In effetti il libro comincia con tre citazionidai Vangeli di Matteo e Luca, sicchésbuffando comincia Per quanto gliuomini, raccogliendosi su un brevespazio in parecchie centinaia dimigliaia, si sforzassero di snaturarequel tratto di terra su cui s’accalcavano;per quanto avessero ricacciatosotto le pietre la terra, affinché nullaci crescesse sopra, e rinettasseroqualsiasi erba ne spuntasse fuori,e affumicassero tutto di carbone edi petrolio, e mozzassero gli alberi,e allontanassero tutte le bestie e gliuccelli, la primavera era primaveraanche in città. Il sole scaldava, l’erbatornata a vita, saliva e verdeggiavadovunque non fosse stata sarchiata,non solo nelle aiuole dei viali, maperfino fra le lastre delle strade; e leacacie, i platani, i vìscioli dilatavanole gommose, profumate foglioline, e itigli gonfiavano le gemme, che scoppiavano;e le gracchie, i passeri, ipiccioni, con quel brio che hanno aprimavera, avevano già preparatoi nidi, mentre le mosche ronzavanolungo i muri riscaldandosi al sole.Allegri erano tutti: piante, e uccelli,e insetti, e bambini. Ma gli uomini –gli uomini grandi, gli uomini adulti– non smettevano d’ingannare e ditormentare se stessi e gli altri. Credevano,gli uomini, che la cosa piùsacra e più importante non fossequella mattinata di primavera, nonfosse quella bellezza del mondo, concessaper il bene di tutte le creature,giacché era una bellezza che disponevaalla pace, all’accordo e all’amore:ma fosse, la cosa più sacra e piùimportante, ciò che essi stessi avevanoescogitato per poter dominare gliuni sugli altri. Così, nell’ufficio dellaprigione di quel capoluogo di governatorato…Qua Gesù non c’entra niente, e c’è anchela prigione. Rilegge una, due volte.La primavera, e chi se n’è mai accorto.E si mette a piangere, disperata per lasfortuna che le è capitata di essere cosìe di essere lì, e pensa che è lì perché ècosì e piange sconsolata per un tempoche non finisce mai.Poi si placa, coi singhiozzi che ogni tantotornano come le onde a schiaffeggiaregli scogli dopo le mareggiate. E quando irubinetti non gocciano più, col naso tappato,respirando con la bocca, si sentepiù leggera, come quando si toglieva lozaino dalle spalle tornando a casa dascuola, le poche volte che c’era andata.Riprende a leggere, prigione Russia 28<strong>aprile</strong> reparto femminile, la coincidenzala irretisce, si infila dritta nella storia:una detenuta, le azioni dei secondini,corte d’assise, tribunale, avvocati. Tuttocome stava capitando a lei.E dopo neanche troppe pagine si intravedela possibilità di rivoluzione umana delprotagonista. Per risorgere, appunto.E si appassiona, la ragazza non può averfatto quello di cui la si accusa, sicurol’hanno imbrogliata, e se l’ha fatto unaragione ci sarà stata che una mica avvelenauna persona sennò.Eppure solo perché lei era stata fortunatanon aveva ferito quel poveraccio dell’ufficiopostale. L’avessi ferito a quest’orasarei incatenata nelle segrete come questipoveracci in Russia, e se moriva? Omamma mia se moriva mi incarceravanoa vita. Giù un altro pianto. Ma quello nonera nemmeno stato graffiato e Viola eranello stato d’animo perfetto per la fraseche stava per arrivarle Eppure basterebbeche ci fosse stata una persona,una persona che avesse avuto penadi lui (...) e avesse alleviato quel bisogno(...) e dopo dodici ore di lavoroin fabbrica, trascinato dai compagnipiù anziani, se n’andava all’osteria,se anche allora si fosse trovata unapersona, che gli avesse detto: “non ciandare Vanja, è una brutta cosa” ilragazzo non ci sarebbe andato, nonsi sarebbe gonfiato di chiacchiere, enon avrebbe fatto nulla di male. Maquesta persona che avesse pena di luinon s’è mai trovata, per tutto il tempoche come una bestiola selvatica è vissutoin città… che i ragazzi in gambasono quelli che ingannano, che devono,che ingiuriano, che picchiano,che fanno i dissoluti.Chiude di scatto il libro turbata: nemmenoio l’ho avuta mai questa personache avesse pena di me!¬¬¬¬E ripensa alla vita sciamannata che hafatto fino al giorno dell’ufficio postale etutto a un tratto non la trova divertente,come a togliersi gli occhiali affumicativede le fesserie che ha continuato afare, quasi non si capacita.Quando viene mia madre mi sente, perchénon mi ha mai detto niente? Perchénon mi ha mai sgridato?La madre in verità ci provava a sgridarla,o meglio a redarguirla, il rischio cheaveva corso nascendo era un freno amano sempre tirato, la sordina davantialla tromba, un elastico che non le permettevadi spingersi fino al punto giustodei rimproveri. Le sembrava di sgridarla,ma quella si imbizzarriva e la madre rientravacome un paguro nella chiocciolapensando crescerà, capirà, cambierà.L’arresto da quel punto di vista era statouna fortuna, dentro Viola stava crescendo,capendo, cambiando.E rimuginando sulle vicende di Nechljudovpensando a se stessa come la Maslova,sente la chiave girare e l’agente spingedentro una ragazza minuta, spaurita,malvestita, che rimane in piedi al centrodella cella col corredino della galeotta inbraccio e gli occhi per terra.Ciao, fa Viola, come ti chiami? Silenzio.Io sono Viola. Che hai combinato? Silenzio.Io ho partecipato ... ho sparato...Silenzio.Bè il tuo letto è quello, se hai bisogno diqualcosa chiedi, io vado avanti a leggere.Devo.Silvia Pa l o m b icarte<strong>Bollate</strong>27


Dove ti portereiEURO DISNEYLAND – La vacanza in un’altra dimensioneL’occasione fa l’uomo bambinoIn Europa ho fatto qualche viaggio,tra città, mari e monti. Un belgiorno però, assieme alla mia compagna,abbiamo deciso di fare unavacanza all’insegna del divertimento;un divertimento diverso dagli stereotipidei ragazzi metropolitani, un po’libertini e senza prole. Questa vacanzadi una settimana ci avrebbe proiettatoin una dimensione che per sopraggiuntilimiti di età non avrebbe più dovuto appartenerci,perché regno incontrastatodei bambini. Sto parlando della fantasiamagica di Euro Disneyland.Situata fuori Parigi, Euro Disneyland èuna vera e propria cittadella del divertimento,ogni quartiere ha un tema checaratterizza hotel, ristoranti, negozi epub. Se non ricordo male, c’erano quattropercorsi tematici dove soggiornaree fare varie attività. Il più fantastico,affascinante e costoso era quello dedicatoa Walt Disney. Comprendeva ungigantesco e suggestivo hotel a 5 stelle,in stile vittoriano, che si affacciava suun laghetto artificiale grande come uncampo da calcio regolamentare, dove sipoteva navigare su pedalò a forma di cigno.All’interno di questo grandissimohotel, oltre ai camerieri in livrea, giravanointrattenitori vestiti con i costumidei personaggi classici di Walt Disney,pronti a coinvolgere e far divertire ibambini come i grandi.Il quartiere dove io e la mia compagnaalloggiavamo si ispirava ai classici paesinimessicani all’epoca del rivoluzionarioPancho Villa. Il mio quartiere sicollegava al quartiere Far West, contornatoda caseggiati e sfondi tipiciDecinedi personeerano in filaad acquistarei bigliettid’entrataal parcocome saloon e stores realistici. La sera,al bar del nostro hotel, musicisti vestiticon poncho e sombrero intrattenevanogli ospiti con musiche e canti latinomessicani.Strada facendo si entrava in un quartierein stile futuristico. Continuandoa camminare lungo il percorso prestabilito,tra prati, canali e contesti vari,si arrivava al quartiere Walt Disney, ilpiù vicino al vero e proprio parco dei divertimenti.Sorpassato il quartiere WaltDisney si entrava nel viale della movida,dove ristoranti, pub e negozi, eranoaccomunati dalla loro stravaganza.Si potevano trovare il classico Hard28 carte<strong>Bollate</strong>


Rock Café, o il Planet Hollywood,che sfoggiava statue agrandezza naturale dei personaggidi film hollywoodiani: ilrobot di Terminator, l’ibernatodi Dredd; e poi pub che mostravanosuggestive e giganteschecopie di mostri e animalidi film passati alla storia,dallo Squalo a Jurassic Park.Oppure pub e discoteche cheall’esterno esibivano vecchieCadillac e Harley. Anche i ristorantierano pittoreschi per ipersonaggi che ci lavoravano.Ricordo bene un ristorante nelquale ero solito mangiare. Aun certo orario della sera tuttii camerieri abbandonavano piatti eclienti per inscenare in mezzo alla salaun vero e proprio balletto collettivo conmusica a volume alto, coinvolgendo iclienti. La danza durava una decina diminuti. Ricordo come questa cosa imbarazzassenon poco la mia compagnache rimaneva in disparte; mentre io,incoraggiato dall’allegria, complici unpaio di bicchieri di vino, mi lasciavotrascinare divertito da quella particolareesperienza.Il vero e proprio parco divertimenti, invece,era recintato e con orari di aperturaprecisi. Sembrava di entrare in ungrande stadio per assistere a un concerto,solo che le sue vaste dimensioninon ne lasciavano intravedere i confini.Al mattino decine e decine di personeerano in fila alle casse per acquistare ibiglietti d’entrata al parco. Io fortunatamenteavevo acquistato un pacchettovacanze con il pass per il parco divertimenti,quindi non dovevo mettermi infila. L’interno del parco era molto suggestivo,con musica a volume sostenuto,i cartoon più conosciuti, incantevoliedifici, fontane e monumenti fiabeschi.Nelle strade di quello che era una sortadi anticamera del parco-giochi, si assistevaa continue parate di tutti i personaggiDisney, allestite con belle coreografie,accompagnate da carri allegorici,bande musicali e soubrette, mentre inogni angolo e strada si trovavano laboratori,officine, piccoli musei, carretti enegozi di dolci e ristoro, gadget, vestiti,palloncini, giocattoli, nonché personein costume che si prestavano a foto emomenti giocosi con bambini e adulti;tutto dava l’idea di ritrovarsi nel paesedei balocchi.Dopo qualche centinaia di metri, diversipercorsi portavano alle varie areedi divertimento: da quella disneyanaa quella fantascientifica, dall’area westerna quelle piratesche, medioevali,egizie. In ogni contesto c’erano giochie rappresentazioni di ogni genere, cinematograficheo teatrali. Ecco percorsida affrontare a piedi, con treninie barchette. Galeoni, montagne russe,fortini, castelletti, tunnel fantastici incui ci si poteva addentrare. C’era ancheun canale dove un vaporetto-circo navigavalungo tutto il percorso, in un’atmosferamolto suggestiva e curata inogni dettaglio.Per accedere ad alcuni giochie giostre bisognava fare fileanche di un’ora, ma il più dellevolte ne valeva la pena. Perpoter visitare al meglio un solosettore occorreva una interagiornata; questo può darvil’idea dell’ampiezza dei luoghi.A sera inoltrata, puntualmentedal laghetto dell’hotel WaltDisney, illuminato in modoincantevole, partiva una spettacolarecoreografia di fuochid’artificio che, specchiandosinell’acqua del laghetto, davanomaggiore risalto alla cornicefiabesca dell’hotel.Poiché è impensabile l’andarea Parigi senza visitare un po’ la città,non ci siamo fatti mancare la giornataparigina. Peccato che per la visita dellasola Tour Eiffel abbiamo avuto unagiornata piena, tra la fila per i biglietti eper salire con l’ascensore ai vari livelli.Comunque una volta arrivati in cima, lavista era davvero mozzafiato, grazie anchealla splendida giornata di sole. Scesidalla torre ci siamo sdraiati sull’erbadel prato sottostante, insieme a personedi tutte le età che come noi si riposavanoe abbronzavano. Quello è statol’unico giorno che abbiamo passato incittà, poiché essendo abituati a Milano,in quel momento avevamo realmentevoglia di evadere dalle metropoli.E durante questa vacanza siamo vissutirealmente in un’altra dimensione, doveci si dimentica della propria identità. Ilmodo migliore per vivere questa parentesiè lasciarsi rapire dalle situazioni,lasciando spazio al piacere di ritornarebambini. A fine giornata, stanchi e appagati,eravamo pronti a immergerci inun dolce sonno che ci proiettava in unmeritato sogno senza età.Ca r m e l o Im p u s in ocarte<strong>Bollate</strong>29


TUTTOBOLLATE – Quando partendo bene si è davvero a metà dell’operaIl carcere, se lo conosci lo eviti,se lo conosci non ti uccideCome si sente un, diciamo così,“novellino” strappato alla vitacivile?Una volta scaraventato in unpenitenziario un nuovo giunto ricevel’accoglienza non sempre calorosa deisuoi compagni di cella e di sezione, chein modo abbastanza superficiale dannorisposte sul “come funziona qui”.Ed è in quel momento che ti senti ancorapiù solo: perché l’educatrice non tichiama? Ma la sintesi (la relazione concui viene valutato il percorso detentivodi una persona) non è il dono delle personebrave a fare i riassunti? Quandopotrò andare in permesso?A tutti questi quesiti sarebbe praticamenteimpossibile trovare una rispostaomogenea attraverso il passaparola,anche parlando con detenuti esperti econ un curriculum tale da conoscere lavita carceraria in ogni sua sfaccettatura.Ma l’uso del condizionale è d’obbligoqui a <strong>Bollate</strong>, dove da qualche settimanaè disponibile TUTTOBOLLATE, tuttoquello che devi sapere sul carcere diMilano <strong>Bollate</strong>.Una guida che, come indicato nellapresentazione della direttrice LuciaCastellano, mira “a rendere le personedetenute più consapevoli, più autonomee in grado di attivarsi, quindi menosoggette al potere altrimenti schiacciantedell’istituzione”.Grazie allo splendido lavoro svoltodall’Associazione Contigua e dalla CooperativaArticolo 3, che hanno studiatoe riprodotto dettagliatamente ilfunzionamento dell’istituto, oggi sia idetenuti sia i loro parenti, i volontari egli operatori possono usufruire di unostrumento estremamente valido e rapidoper riuscire a orientarsi non solonella struttura carcere ma anche nellavita dietro le sbarre.Già sfogliando il sommario ci si puòfacilmente rendere conto della vastitàdegli argomenti e della meticolosità concui sono stati trattati, senza tralasciarealcun particolare. Colori diversi indicanol’argomento generale affrontato:l’organizzazione della vita carcerariapersonale e i rapporti con l’esterno, ilpercorso trattamentale, l’assistenzamedica e gli operatori, i diritti civili, gliuffici dell’istituto eccetera.Caratteristica fondamentale di questomanuale è anche la chiarezza dei testi:essendo destinato a un’utenza moltovaria è stato utilizzato un linguaggiosemplice e diretto che risulti facilmentecomprensibile da tutti; per le parolepiù difficili e per le sigle, in molti casiindispensabili, sono stati inseriti, a latodei paragrafi, dei riquadri esplicativi.Una nota dolente che contiamo sia risoltapresto è la difficile reperibilità delTUTTOBOLLATE, di cui a oggi esistonopoche copie: un responsabile ci assicuraperò che per tutti i detenuti ne sarannopresto disponibili diverse copie.An t o n io D’An t o n ioTEATRO - Apprezzata iniziativa della Cooperativa E.s.t.i.a.Camus e le serate socialiSerate sociali a ingresso gratuito e libere donazioni. L’iniziativa,svoltasi tra gennaio e febbraio, era finalizzata allapromozione delle attività formativo-lavorative di CooperativaE.s.t.i.a. e al reperimento di fondi per la sopravvivenzadi queste attività. Tre appuntamenti serali con le replichedell’ultima produzione di Teatro In-Stabile Il rovescio e il diritto,liberamente ispirato agli scritti giovanili di Albert Camus. A unanno dal debutto, lo spettacolo ha raccolto già oltre 1300 presenzedi pubblico e prosegue il personale percorso di ricerca poeticafinalizzato alla costruzione di un linguaggio scenico che si avvaledi forme non codificate fra danza e teatro. Oltre alle rappresentazioniper il pubblico, si sono finalmente potute realizzare alcunerepliche anche per i quattro reparti che non avevano ancorapotuto vedere il lavoro e che, a giudicare dalla loro calorosa partecipazione,sembrano averlo apprezzato. Così come l’ha apprezzatoil pubblico esterno composto anche da giornalisti e addettiai lavori. Ciò che rende ogni spettacolo di Teatro In-Stabile unaconquista personale e collettiva è il continuo “gioco al tassello”che si deve operare per far fronte ai cambiamenti che nel tempoavvengono all’interno del gruppo. Alle recenti repliche hannopreso parte ben quattro nuovi attori alla loro prima vera esperienzateatrale. Questo comporta la capacità di integrare nuovepersone nel lavoro teatrale per convergere verso l’obbiettivo comune,facendo sì che le dinamiche relazionali e comportamentalipossano liberarsi da schemi mentali che ci bloccano e spesso sitraducono in atteggiamenti coatti di facciata; significa aiutare inuovi arrivati a livello professionale e favorire la crescita grazie alreciproco scambio e alla condivisione delle proprie esperienze,dei propri vissuti. La stagione teatrale proseguirà con le replichedi uno dei nostri precedenti lavori (ancora da decidere) e condue nuove produzioni su cui si è già iniziato a lavorare. Un particolareringraziamento va a tutte le persone esterne che partecipanoai nostri laboratori teatrali e che si sono volontariamenterese disponibili per l’organizzazione logistica dell’evento.Fl av io Gr u g n e t t i30 carte<strong>Bollate</strong>


SportCAMPIONATO - Il progetto calcio <strong>Bollate</strong> a PresadirettaVittorie spettacolaricon un pubblico da applausiCi eravamo lasciati dopo la bellissimavittoria sul campo diVillapizzone e con la mancatadisputa della partita controil Lions rimandata per le disastrosecondizioni climatiche. In questo frangentedi pausa del campionato abbiamoavuto modo però di portare il Progettocalcio <strong>Bollate</strong> sempre più all’esternoe a un pubblico ancora più vasto. Il 19febbraio è andato in onda il programmatelevisivo Presadiretta, in prima seratasu Rai 3, proponendo uno specialesulla situazione delle carceri italiane.Tra i vari servizi un’ampia pagina è stataproprio dedicata al progetto calciocome parte integrante e fondamentalenell’ambito del percorso trattamentalee rieducativo dei detenuti. Il discorsodel nostro capitano è stato anche ripresodai colleghi della redazione di RistrettiOrizzonti che hanno condivisoleparole che sono state pronunciate e ilvalore che esse hanno nella creazionedi un’idea più condivisa di un carcereche può rieducare senza reprimere.Ritornando alle questioni meramentesportive, il 23 gennaio è cominciato ilgirone di ritorno. Si gioca subito in casacontro un’altra delle pretendenti allacorsa per i play-off, la Virtus Cornaredo.Nonostante il valore della compagineavversaria si allunga ancora la strisciadi vittorie ottenute nel finale dell’andata.Risultato finale 2 a 1 per noi con goldi Gatti e raddoppio di Ademi su splendidapunizione procurata dall’atterramentodel nostro fantasista Testa dopoun azione travolgente.Il 26 gennaio si recupera la partita conil Lions: una vera battaglia su un terreno,il nostro, molto più simile, per l’occasione,ad una palude che a un campodi gioco. Nonostante tutto arriva un’altravittoria per 2 a 1 con gol di Greco eCrisiglione.Il 30 gennaio si va in casa del Viscontini:lontani dal nostro campo e falcidiatidagli infortuni, arriva la sconfitta per 1a 0 ma il risultato ci va anche bene datele numerose occasioni da gol create dainostri avversari. Giunti negli spogliatoiMister Nazzareno ha strigliato i suoigiocatori scesi in campo, secondo lui,“convinti di vincere e quindi con un approccionon giustoalla partita”.La lezione ottenutasul campo dagliavversari e neglispogliatoi dal mistersembra averesubito effetto sulnostro team che il6 febbraio scendein campo, in casacontro la VirtusSedriano, con unadeterminazione diversa e il risultato ladice lunga sull’andamento della gara:un 4 a 1 senza storie con doppietta diGreco e gol di Palmieri e Ghizzardi.La domenica successiva si va ancorafuori casa sul campo del Masseroni.Una partita rocambolesca e dall’esitoincerto fino al novantesimo. Si partesubito malissimo e alla fine del primotempo siamo in svantaggio per 2 a 0. Manel secondo tempo sembra scendere incampo un’altra squadra, approfittandodel calo di concentrazione dei nostri avversarie nel giro di dieci minuti primaaccorciamo le distanze, poi pareggiamoe infine ci portiamo addirittura invantaggio con i gol di Palmieri, Grecoe Gatti. Al novantesimo accade peròquello che non ti aspetti e su un’azionenon pericolosa, il Masseroni guadagnaun calcio di rigore alquanto discutibilee pareggia.Il 20 febbraio la partita clou della giornataci vede impegnati sul campo dellaNuova San Romano: i nostri avversariconfermano di essere la migliore formazionedella nostra categoria infliggendociuna delle più sonore sconfittefin qui subite: usciamo dal campo a testabassa e con 4 reti al passivo.Fantastico e degno di nota invece per lasua eccezionalità è stato l’evento del 27febbraio: per la prima volta la Direzione,in accordo con la Polizia Penitenziaria,autorizza la presenza del pubblico auna nostra partita interna. Ben duecentodetenuti in rappresentanza di tutti ireparti maschili hanno fatto da cornicealla partita contro il Seguro. Un pubblicoinizialmente freddo, un po’ ancheper le condizioni climatiche polari, mache poi ha iniziato pian piano a darecalore ed a seguire la partita con interessee partecipazione. Anche i nostriundici in campo sembravano inizialmenteemozionati ma dopo qualche minutodi calcio non troppo spettacolare,ci pensa Gatti ad infiammare il pubblicocon uno splendido tiro da fuori areache si stampa sotto la traversa e finiscein rete. Un’ovazione accompagna i festeggiamentidei nostri e la dedica delgoleador a qualcuno del pubblico a luicaro. Anche il secondo tempo riprendele cadenze della prima parte di gara esale un po’ di nervosismo.Mister Prenna corre ai ripari sostituendoprima Gatti e poi uno stanchissimoCrisiglione, entrambi tra i miglioriin campo. I nuovi entrati fanno subitosentire la loro freschezza e dopo pochiminuti, su punizione di Testa, Greco incornail pallone indirizzandolo imparabilmentealle spalle del portiere avversario.Secondo gol e partita finita conlungo applauso finale dell’infreddolitoma soddisfatto e correttissimo pubblico,cosa assai rara negli stadi di oggi.Speriamo non si sia trattato solo di unevento sporadico e ci auguriamo che lanostra squadra possa sempre in futuroavere un pubblico che la sostiene comemerita.Unica nota dolente è la struttura che accoglieil progetto calcio <strong>Bollate</strong>: il camponon solo versa in condizioni pessimeprovocando numerosi e spesso graviinfortuni, ma è anche sprovvisto di serviziigienici e di acqua, nonché di doccee spogliatoi. Speriamo che la Direzionepossa ascoltare la nostra segnalazionee, per quello che è possibile, soddisfarein qualche modo queste necessità.An t o n io D’An t o n iocarte<strong>Bollate</strong>31


Anime in pena

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!