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marzo-aprile - Carte Bollate

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Un’Italia profondamente malataAl momento in cui scriviamo queste note (sono le 10 diAstranamente, non abbiamo ancora i dati definitivi delle martedì elezioni. 11 <strong>aprile</strong>),UnoAscrutinio lento, con ritardi assurdi, lavorato su una legge altrettanto assurda,fatta apposta per complicare tutto lo spoglio. E poi ancora ritardi per i votidegli italiani all’estero.Ragioniamo, quindi, sui dati che abbiamo, ma più che sui risultati sulclima complessivo di queste elezioni. Prodi non ha vinto e Berlusconi nonha perso e questo pareggio porta ad uno scenario futuro incerto non privo dipericoli. Certo, a sinistra, ci si consola con il grande risultato di Rifondazionecomunista, dei Comunisti Italiani, dei Verdi, ma è una consolazione dibottega anche se importante. Quello che emerge da questi risultati, è che,culturalmente, la destra non è stata sconfitta.Questa è la cosa peggiore. Ha vinto, o ha tenuto molto bene, la culturadel “sono tutti uguali”, ma voto a destra, la cultura (o l’incultura) di chi nonacquista mai un quotidiano, non legge un libro, riceve informazioni solo edesclusivamente dal totem da adorare, lo scatolone televisivo che il proprietariodi Mediaset sa usare molto bene. La cultura della famiglia Forrester, quelladi Beatiful e del telefonino, la cultura del Bagaglino con comici da strapazzo,delle domeniche passate davanti alle varie “Domeniche in” oppure in giro peripermercati, la cultura di chi al proprio cane fa fare i suoi bisogni sui marcia-piedi, che usa il fuoristrada per andare ad accompagnare il figlio a scuola, cheodia i “negri che ci rubano il lavoro” e i terroni, che vuole la pena di morte,la cultura dell’egoismo e dei reality.Dall’altra parte, dal centro-sinistra, si è seguita questa china; hanno segui-to quello che la destra imponeva. Abbiamo visto fare di tutto per appariresulle poltroncine bianche di Bruno Vespa, abbiamo visto scambiarsi regali frapersonaggi di opposte fazioni, abbiamo visto onorevoli della sinistra cantareassieme a quelli di destra, fare i risotti in diretta, buttarsi, vicendevolmente,le torte in faccia. E parlare di sicurezza, anzi della necesità di avere maggioresicurezza e disquisire sulla pena di morte.Mentre uscivano i risultati, il senatore Grillo di Forza Italia venivaufficialmente inquisito, iscritto nel registro degli indagati per la scalata diAntonveneta. Se si votava ancora con le preferenze, Grillo avrebbe preso piùvoti che nel passato. Perché ormai è così. Non basta più denunciare che ipartiti di destra sono pieni di inquisiti, che Totò Cuffaro è in odore di mafia.Di tutto questo, a 48 persone su 100, non gli frega nulla. Come non gli freganulla che nella notte fra venerdì e sabato scorso, a Bologna, un giovane stra-niero è stato selvaggiamente picchiato da un gruppo di naziskin con bottigliee bastoni. Credono solo alle promesse del teleimbonitore.Questo è il nostro Paese, questo hanno fatto diventare, dopo 12 annidi berlusconismo il nostro Paese. E coloro che hanno portato avanti questacultura, quelli delle magliette anti-islamiche, quelli che hanno bruciato iltricolore, quelli che facevano le corna nei consessi internazionali e che davanodel kapò a parlamentari esteri, che raccontavano barzellette sui disabili sonostati premiati.Di tutto ciò dobbiamo tener conto perché non sarà facile risalire la china.E non è facile neppure qua dentro, neppure in questo carcere dove spessosi sentono detenuti che parlano a favore della pena di morte e del diritto disparare per “difendere” la propria abitazione. Se siamo arrivati a tanta aber-razione significa che abbiamo perso, non tanto in termini di voti, quanto,appunto, culturalmente.------------------------Le ultime notizie danno una risicata vittoria del centro-sinistra. Secosì sarà, se a capo della Giustizia - dopo il nullismo pericoloso diCastelli - andrà un personaggio della sinistra, non potrà che farci piace-re. Ma sia ben chiaro che non faremo sconti. Vogliamo fatti concreti. E’già successo, nel passato, avere alla Giustizia personaggi di sinistra cheperò non hanno certo brillato per coraggio e determinatezza.Adriano TodaroEDITORIALE


LETTERE IN REDAZIONECara redazione,troppo spesso, si parla di carcereper il sovraffollamento, per lecondizioni sanitarie, la mancanza dipersonale, l’impossibilità di curarsi,per i troppi suicidi, per l’indultino,l’amnistia e poi ancora per tante altrecose, ma per lo più in negativo...Voglio raccontare, invece, un’esperienzaassolutamente di segno diversoche capita in quel di <strong>Bollate</strong>, dove danon molti anni è aperta una Casa direclusione.Nella mia vita il carcere non è statoestraneo e anche ora vi entro, spesso,per lavoro. La scorsa settimana misono trovato a uscire da <strong>Bollate</strong> contra le mani sacchetti pieni di fiori:avevo comprato una stella di Natale(bellissima), dei ciclamini, delle violettea un prezzo onestissimo.Di solito, quando si esce dal fioristaci si sente un po’ derubati, mentreda quel carcere si esce e quasi ci sivergogna per quanto poco si paghi.Ma, a parte il costo, che bella sensazioneavere quei colori, quei profumi,quei fiori e pensare che nasconolì dentro. Voglio pubblicamente ringraziareper questo la direzione checon grande attenzione e lungimiranzagestisce quel luogo e, ovviamente,tutte le persone che lì dentro vivono,lavorano e riflettono... sulla vita e sulfuturo.Certo, vi sono ancora molte coseda fare, ma, come si dice lì, sono incammino... Davvero grazie.Francesco GiordanoLettera apertaa tutti i volontariCari amici, volontari tutti,siamo qui riuniti per regalarvi lagioia di stare insieme. Abbiamo volutoquest’incontro di nostra spontaneavolontà per cercare di esprimervi ilnostro modesto ringraziamento perle vostre straordinarie testimonianzedi volontariato che assume unparticolare valore per ciascuno dinoi che lo “abitiamo” dipassaggio. Non possiamonascondere che cisentiamo accomunati esostenuti nelle difficilisituazioni che all’internodel carcere si trovano e sivivono.Voi, amici volontari, siete parteintegrante del nostro recupero,siete uno dei punti di riferimentodel sostegno morale, sociale eculturale. Spesso vi carichiamo deinostri problemi, delle nostre ansie,delle nostre miserie e sofferenze, dellenostre necessità quotidiane e tuttevengono esaudite.Tutti noi detenuti nel carcere,tendiamo le nostre disperate bracciaperché abbiamo bisogno della vostradisponibilità, della vostra solidarietàumana, della vostra carità cristiana,della vostra presenza instancabile.Siamo lieti della pace e della serenitàche ci offrite nel vostro camminopedagogico trattamentale come lascuola, la biblioteca, il cineforum, lamusica, il teatro, il lavoro, lo sportellogiuridico, i permessi, i colloqui,lo sport in tutte le varie discipline,l’arte e tutte le attività sociali e culturalipresenti nell’istituto e nei varireparti; insomma, un grande cresceredi bene che non possiamo ignorare.Speriamo che questo non resti unmomento isolato, ma che si trasformiin occasione fissa che ci permettadi accrescere la fiducia in noi stessie nella possibilità di riabilitarci, diesprimere quello che oggi stiamofacendo.Il bene che ci avete gratuitamenteregalato e che continuate ad offrirciin tutti i momenti della giornata nonè perso, né sciupato, anzi lo abbiamoaccolto. È un bene che conserveremoper tutta la nostra vita, un’esperienzad’amore che ci aiuterà lungo ilcammino della libertà che ci attendefuori di qui.Cari amici volontari delle varieassociazioni. Con la vostra disponibilitàe presenza ci sentiamo capaci dicarte<strong>Bollate</strong> 4mettere a frutto il tempo della nostradetenzione con più consapevolezza,come lavorare alle nostre responsabilitàdi cambiamento, lo vedete tuttii giorni incontrandoci nelle varieattività; siamo certi di sentirci sullastrada giusta di confronto e dialogo.Qui siamo in molti che desideriamoproporci bene all’uscita del carcere.Si esca una volta per sempre.Quindi, amici volontari, continuatequesta vostra speciale missionedi volontariato in mezzo a noi inquesto istituto di <strong>Bollate</strong>, invitandoviad aumentare la vostra disponibilitàsoprattutto nei colloqui personali,dove ci si conosce meglio ed è piùfacile comprendere i drammi di ciascuno.In questo luogo di pena, siamo inmolti e tanti non vi conoscono, machiedono della vostra disponibilitàper incontrarvi nei vari reparti.È molto bello sentirsi a fianco unvolontario che ti accompagna durantela detenzione, che possa aiutarti,diventando un vero supporto sottotutti gli aspetti, compreso il reinserimentosociale nella vita.Il nostro ringraziamento a tuttivoi lo regaliamo con il cuore, con inostri cambiamenti alla verità.Davide Ditail, quarto reparto


corsie del supermercato. E anche qui c'è unpiccolo problema.Il carrello, per essere sganciato, necessitadell'inserimento di 1 euro. Gennarosi confonde ancora una volta e deve intervenirela sorella. Poi fanno la spesa. Gestidi piccola normalità fra persone normali,libere: guardare gli scaffali, scegliere unprodotto invece di un altro, decidere cosaacquistare.Piccoli gesti ma, anche questa, soggiungeGennaro, è la libertà. La libertàè acquistare un gelato, farsi una doccia,comprarsi le patatine. Tutte piccole cose,spesso banali ma importanti che in carcerenon si possono fare. A casa ci si preparaper il pranzo. Anche qui Gennaro hasensazioni strane. Intanto è seduto assiemea persone di sesso diverso, la sorella e lanipote. Mangia il pane e trova che ha unsapore diverso.Poi chiacchierano di tutto, dei parenti,di cosa fa la nipote, dei suoi amici,dove andrà a festeggiare l’ultimo dell’anno.Mangia con posate vere, non di plastica.Tutte sensazioni, per lui, nuove o riappropriatedopo lunghi anni. La nipote,naturalmente, ha il telefonino che, comefanno i giovani, non se ne distacca mai. Lomanovra anche a tavola, schiaccia i tasti inrapida successione.Gennaro non ha mai avuto un telefoninonelle sue mani e vuole provare.Naturalmente – suscitando il riso deiparenti – s'ingarbuglia. Le sue grosse ditaschiacciano tasti sbagliati, “Non ci capivonulla – dice sconsolato –.Mia nipotecercava di spiegarmi come funzionava l'aggeggio per me ostico, ma non c’era nullaqueldafare”.Ormai è pomeriggio e nella mente diGennaro comincia ad affacciarsi un pensieroche lui cerca di scacciare: il rientro. Loscaccia pensando che ha ancora a disposizione"tante" ore e lui deve ancora andarea trovare una persona cara, ma prima devetelefonare ancora ad una sorella che abitaa Vignate e non vede da tempo, ad altriparenti.E tutti chiedono della sua salute, dicome si trova in carcere, vorrebbero – nelpoco tempo di una telefonata – saperetutto. Alla fine, la telefonata per lui piùemozionante. Trova la ragazza e prende unappuntamento.Dentro di lui è turbinio di pensieri edemozioni. Nell'attesa dell'ora dell'appuntamentonon riesce stare fermo e così si offredi andare in strada e spalare la neve dalposteggio dove è posizionata la macchinadella sorella. Un modo come un altro perscaricare la tensione accumulata.Poi, finalmente, il momento tanto atte-so. La ragazza lo accoglie sulla porta dicasa con un lungo abbraccio. “È È difficile– aggiunge Gennaro – descrivere questomomento. Non riesco a descrivere quello cheprovo. Dopo sette anni e mezzo abbracciouna donna, sento il suo odore, un odore cheavevo dimenticato, l'odore della sua pelle cheper me è quello della libertà.“Si fantastica molto, in carcere, pensandoa questo momento e spesso capita anche, perla troppa emozione e tensione, di bloccarsi, difare, come si dice, cilecca. Per me, invece, èstato tutto naturale. Siamo entrati, ci siamorilassati, abbiamo parlato molto, ci siamoraccontati tante cose, bevuto un caffè. Piccolecose, ma che hanno aiutato a rientrare, se cosìpossiamo dire, nella ‘normalità’ quotidiana.E allora sì che l'atto sessuale diventa comple-to e coinvolgente, non meccanico. Una cosamagnifica!”.Il tempo, però, è veramente terribile.Vola, passa in fretta, bisogna rientrare. Eallora è necessario distaccarsi dalle personeche ami, pur con fatica, con difficoltàestrema. Via, di corsa, a casa della sorella.“Ma come? Ti avevo preparato la cena e te nevai?”. Gennaro non ha tempo.Ormai la testa è tutta a <strong>Bollate</strong>, incarcere. Sa che perderà ancora tempo permotivi burocratici.Deve andare a firmare, di nuovo, adun posto di polizia alla fine di viale FulvioTesti. Non ha più tempo. Mangiare, poi,e l'ultimo dei suoi problemi. La preoccupazioneè che possa fare tardi. Rientrare incarcere dopo il tempo consentito significagiocarsi i futuri permessi e lui a questoci tiene. In carcere, dopo essere passato afirmare, lo accompagna un fratello maggiore.L'orario di rientro è fissato per le 21.Ci può essere sempre un inconveniente,una gomma forata, un piccolo incidente.Meglio non rischiare ed arrivare prima.Gennaro Sanarica rientra. Saluta il fratelloe oltrepassa il posto di blocco. Alle suespalle il cancello si richiude. Fuori, la cittàha un ritmo frenetico, si prepara a trascorrerela notte più lunga dell’anno.Ormai è buio, rientra nella sua cella.I compagni l'aspettano, vogliono sapere,ci sono lazzi e prese in giro bonarie. Luisorride consapevole di aver provato unagrande libertà: l'odore di una donna.carte<strong>Bollate</strong> 6Adriano TodaroRECLAMI &RECLAMIGentile direttrice, sono un detenutodel 1° reparto. Le scrivo per lamentare ladecisione presa da parte sua nel chiuderela socialità dei piani. Non si capisce lamotivazione di tale gesto che dimostra unacattiva politica, si fa tutto di un erba unfascio. Se la mela in un cesto risulta marcianon si getta tutto il contenuto del cesto,ma si elimina solo il frutto marcio.La direzione ha agito in modo drastico,deludendo la maggior parte deicomponenti del reparto che reputano taledecisione ingiusta; oltretutto alla richiestadi spiegazioni da parte dei detenuti, gliagenti fingono di non sapere il motivo.Se al primo reparto esistono dei problemi,questo è dovuto a chi prende le decisioni.Mi spiego: se alla staccata vengono vagliatele persone che dovranno essere inserite, alprimo reparto questo non succede. Se deidetenuti litigano al quarto, al secondo,oppure in un altro reparto, dove vengonotrasferiti? Al primo reparto è logico! Ilsistema costruisce le situazioni a rischio edora vuole far ricadere gli errori su di noi, lesembra una giusta valutazione?In attesa di una sua gradita rispostaporgo distinti saluti.Gabriele LigasRisponde la direttrice del carcere,dottoressa Lucia CastellanoGentile sig. Ligas la ringrazio per avermidato l’opportunità di affrontare unargomento che sta molto a cuore anche ame. Come tutti sapete, perché l’ho dettopiù volte, la decisione non è stata presavolentieri, né a cuor leggero. In mododrastico, così, come drastica e immediataè stata la causa che l’ha prodotta: il rifiutonetto, da parte del 1° reparto, di accoglierealcuni detenuti nuovi giunti, in più riprese(mi riferisco agli arrestati dell’11 <strong>marzo</strong> ead un altro compagno costretto ad abbandonareil reparto). La motivazione dellachiusura è quindi ben comprensibile: nonè stato possibile individuare gli autori delfatto, anche perché, al secondo piano, sitrovavano in quel momento molti detenutidi altri piani. Pertanto la famosa “melamarcia” non è stata identificata. Avrebbepotuto, la mela, farsi avanti con un po’ diContinua a pag. 23


Una rapina finita maleI FATTI, LE POLEMICHE, LE CONSIDERAZIONISU UNA RAPINA DI UN DETENUTOCHE ERA A BOLLATEfatti – Sembrava una rapina facile-facile.Rapinare un supermer-Icato in una sera di fine febbraionon dovrebbe presentare difficoltà. E,invece, ci scappa il morto e due feriti.Il supermercato è in via Isonzo, aCusano Milanino, a pochi chilometrida Milano. I rapinatori sono attesi daicarabinieri. C'è una sparatoria. MuoreGino Amenta, 41 anni. Ferito, invece,l'altro rapinatore, Michele Trotta,35 anni e il carabiniere FrancescoCastronovo, 28 anni.Gino Amenta il rapinatore checon Michele Trotta ha assaltato ilsupermercato di Cusano Milanino,non godeva di nessun beneficio. Luiaveva terminato da tempo la sua pena.Non è vero che era una persona freddae spietata come si sono permessi discrivere alcuni giornalisti, loro nonsono mai stati in contatto con Gino.Conoscendolo non avrebbero maiscritto quelle cose su di lui.Nessuno si è chiesto cosa ha portatoGino a recarsi all'appuntamentocon la morte, quali fossero le condizionieconomiche della famiglia,come viveva.Gino Amenta lavorava da annipresso l'unica azienda che gli avevadato fiducia, un'azienda che gli avevateso una mano, prima assumendoloin articolo 21, poi confermandole ilcontratto anche dopo aver terminatola pena.Questo consorzio Onlus, fornendolavoro concede la possibilità a moltidetenuti di poter scontare la pena condignità. Purtroppo per chi si trovaall'esterno del carcere con sulle spalleil peso di una famiglia numerosa comequella di Gino, moglie e tre figli, glistipendi di un consorzio Onlus, purringraziando i datori di lavoro, nonsono certo la manna dal cielo.Tutto questo non giustifica, dicerto, l’azione compiuta da Gino. Sonoconvinto che non è certo una rapina,anche se dovesse finire nel miglioredei modi, a risolvere i problemi economicidi una persona. Sottolineosoltanto che, spesso, le condizionieconomiche negative fanno assumereposizioni e atti che in altre circostanzenon si sarebbero prese.Probabilmente Gino aveva deidebiti accumulati nel tempo, l'esasperazionedi doverli sanare e questopotrebbe essere il motivo che l'hacondotto a commettere quella rapinafinita con la sua morte.Una morte inutile che si potevaevitare. Chi ha conosciuto GinoAmenta, ha un ricordo positivo. Erauna persona umile, educata, disponibilee non violenta.Le polemiche – Una rapina finitanel sangue con conseguenti polemichesui cosiddetti "permessi facili" ele pene alternative. In queste polemichesi è distinto, soprattutto, ilgenerale dei carabinieri GianfrancescoSiazzu che pensavamo avesse miglioreinformazione considerato la carica chericopre.Il generale deve sapere che a Milanonon esistono né permessi facili, népene alternative concesse con leggerezza.Il magistrato, dopo aver acquisitoil parere di diversi organi prepostial raccoglimento dei dati informativisulla persona che richiede il beneficio,valuta attentamente se il soggetto puòessere ammesso al beneficio. Il piùdelle volte anche se il soggetto ha tuttii presupposti per accedervi, il beneficioè respinto.Questo è quello che avviene pressoil Tribunale di sorveglianza diMilano.Se è vero che fra i detenuti che fruisconodi pene alternative, una piccolaparte torna a delinquere, è altrettantovero che la stragrande maggioranza,carte<strong>Bollate</strong> 8grazie alla legge Gozzini, s'inseriscenella comunità civile.Questa legge ha debellato le varierivolte che si scatenavano nelle carcerifacendo così risparmiare allo Statodiversi miliardi, a causa del disfacimentodelle strutture, ha fatto crescereil detenuto, che con grande razionalitàsconta la sua condanna senzaincidenti di percorso che possanoincidere sulla riduzione della pena.Non bisogna in ogni modo dimenticareche dopo tale legge, le penesono state inasprite esageratamentee ancor di più dopo l'assassinio deimagistrati Falcone e Borsellino.Una strage di mafia e anche i detenutiche nulla hanno a che fare contali organizzazioni, pagano le conseguenze.Ricordiamo che per un reatoche prima della legge la pena era diquattro anni, oggi, per lo stesso reato,gli anni da espiare sono diventati diecie il detenuto potrà usufruire dei beneficidi legge dopo aver espiato metàdella pena. Inoltre, dovrà espiare cinqueanni di pena alternativa che nongli sarà concessa prima di altri dueanni di detenzione sempre che tuttovada bene. Altro che permessi facili!Il generale Siazzu sa bene che l'essereumano è una macchina difficilmentecontrollabile. Purtroppo esistonoi buoni ed i cattivi.Questa è un'eredità lasciata daCaino e Abele ed ognuno di noi lacustodisce nel proprio Dna.D'altronde anche il generale ha isuoi problemi. Non è passato moltotempo dall'arresto di diversi carabinieriche sottraevano beni degli arrestati.Le carceri militari pullulano dipersone che erano al servizio delloStato, che percepivano lo stipendioattraverso i contribuenti e che invecedi porsi a difesa del popolo, si sonodati ad intrallazzi e a connessionicon organizzazioni mafiose–criminali.


Come dimenticare il generale Delfinoe Bruno Contrada?Facendo una ricerca capillarepotremmo riempire un libro dei reaticommessi da chi ha tradito il giuramentofatto, politici compresi. Ma,come dicevo, siamo umani ed a volteè difficile voltare le spalle alla tentazione.Quel che dice "Radio carcere"– Le dichiarazioni del generale Siazzufanno ricadere la colpa su quei magistratiche hanno concesso i permessipremio attenendosi alle regole stabilitedalla legge. In pratica, che hannofatto il loro dovere. Chiede di cambiarele leggi perché un detenuto su millecommette un reato e non comprendeche proprio in questi dati sta il successodella giustizia. Non bisogna maidimenticare che anche un solo uomorecuperato al consesso civile è un beneimmenso per la società.Sappiamo che fra le forze dell'ordineci sono tanti padri di famigliache rispettano i regolamenti e fanno illoro dovere pur in situazioni difficili.Ma nello stesso tempo, proprioperché "addetti ai lavori", sappiamoanche che a volte, troppe volte, cisono deviazioni che non arrivano algrande pubblico perché nessuno liha ripresi con il telefonino. Siamoconvinti che il crimine deve essereprevenuto, non lasciato consumare alfine di prendere gradi ed encomi sullapelle di altri. Quando ci sono dellesoffiate che indicano delle personein procinto di commettere un reato,Ecco i dati che fanno fintadi non conoscereNel 2005 le misure alternative sono state 49.943, le revoche per missione di nuovi reati sono state lo 0,24%, 122 casi in totale. È ben veroche sono 122 casi di troppo, pur se spesso si tratta di piccoli reati. In ognicom-caso, una percentuale bassissima che certifica il funzionamento di un sistemache favorisce il recupero e, assieme, anche la sicurezza dei cittadini.Da alcune ricerche, risulta infatti che se è molto alta la percentuale direcidiva (sino al 75%) da parte di chi sconta per intero la condanna inprigione, essa scende vistosamente nei casi in cui il detenuto abbia scontatouna parte della condanna in misura alternativa al carcere e sia stato affidatoai servizi sociali: in questo caso la commissione di nuovi reati cala al 12%(al 27% nel caso di detenuti tossicodipendenti).è necessario mettere in atto tutte lemisure per scongiurarlo.Come dice “Radio carcere”, a propositodi questo episodio, i carabinieridovevano intervenire prima della rapinae non dopo perché inevitabilmentequesto comportamento porta, com’èavvenuto, ai conflitti a fuoco, a fare iltiro al bersaglio che, invece, si dovrebbefare solo nei poligoni di tiro.Da diverso tempo sembra che tuttiabbiano acquisito il diritto di sparareaddosso agli ex detenuti. Chi commetteun reato deve essere giudicatoda un tribunale che ne sentenzia lacondanna. In Italia non esiste la penadi morte, anche se sembra che, recentemente,sia stata ripristinata con ilbeneplacito di alcuni nostalgici sostenitoridel passato regìme.Ricordiamoci che questi metodisono deleteri, possono coinvolgere lepersone che non hanno mai impugnatoun'arma inducendoli ad esserespietati e sparando ancor prima chegli sia intimato l'alt.Non facciamo diventare questonostro bel Paese un Far West; lasciamoagli americani questo primato.Evitiamo tutti di sparare con facilità;cerchiamo di pensare che con quellapallottola si sta togliendo la vita diun padre ai suoi figli, un figlio allamadre, un marito alla moglie.Diamo alla vita il giusto valorelasciando le armi nelle fondine. Cisaranno meno persone che piangerannoi loro cari.Mario CurtoneLo stigma deldetenutoMolte sono le cose che condivido nell’articolodi Mario Curtone. Soprattuttoquando condanna la rapina ma cerca,nello stesso tempo, di capire perchémai un detenuto, a fine pena, decidadi andare a rapinare. E condivido laparte che riguarda “Radio carcere”quando parla di prevenzione.Sono convinto che sia necessariodenunciare tutti gli abusi da parte delleforze dell’ordine perché il loro ruolo,proprio perché indossano una divisa,è della massima responsabilità. Quelloche è successo recentemente a Sassuoloe prima ancora al G8 di Genova ela morte del giovanissimo FrancescoAldrovandi, sono pagine vergognose chenon aiutano, di certo, un’identificazionedi gran parte dei cittadini con leforze dell’ordine.Detto questo, però, bisogna anchedire che essere dalla parte dei detenutinon significa, a mio parere, non tenerconto della realtà che ci circonda.Non so se Gino Amenta avesse problemieconomici. Quello che però sottolineoè che in Italia ci sono milioni dipersone con famiglia numerosa che pertirare la fine del mese non vanno certoa rapinare supermercati. Milioni dipersone, con famiglia, prendono 700 opoco più euro al mese. I metalmeccanicihanno fatto più di sei mesi di scioperoper un aumento di circa 80 euro. Eallora? Se non ce la fanno cosa dovrebberofare, rapinare supermercati?Il problema è diverso. La realtà èche Amenta aveva terminato di espiarela sua pena. Era quindi un uomo liberoe, come tale, avrebbe dovuto avere tuttele possibilità che hanno gli altri. Maquesto stato di cose cozza con la realtà:comunque vada, Amenta aveva il mar-chio, quel marchio che non permette diessere assunto da nessuna parte se nonda qualche cooperativa che lavora coni detenuti.Questo è il problema principe. Suquesto ci dobbiamo battere. Senza stificazioni di sorta e senza nasconderenulla.giu-A.T.carte<strong>Bollate</strong> 9


In una cella grande 20 quotidianiPENSIERI DENTRO UNPARALLELEPIPEDO.A NOVEMBRE, UN GIORNO...Da questo numero, Francesco Giordano inizia la sua collaborazionecon carte<strong>Bollate</strong>,Giordano lavora come educatore presso “Il Girasole” di ColognoMonzese, un centro diurno che si occupa di lotta contro tutte le emar-ginazioni, dai tossicodipendenti ai malati di Aids.Lui stesso, nel passato, ha avuto esperienze carcerarie.succede, ora credo di aver compreso comeho acquisito questo "vizio": guardo le fessuresopra e sotto la porta e penso a queidetenuti che le chiudono.Il mio sguardo resta lì, fisso e mi dicoche non le chiuderò mai, anche se entranogelide correnti d'aria e bagliori di notte.Se lo facessi mi sentirei completamenteed ermeticamente chiuso fra i circa 20quotidiani che ricopronole mura, mancherebbela speranza chequella porta si possa,un giorno aprire persempre.Questo rappresentanoper me le fessure e suquesto gli occhi, testimonidell'anima, hanno imparatoa fermarsi.Non nel vuoto quindi, masulla speranza.Sono le 6.30.Ancora mezz'ora ed una guardia verràad aprire le porte. Lo aspetto nella mia solitapostura: sdraiato a letto, con le braccia sottola testa, come se fossi in questa posizione daieri sera. Come ad aspettare un loro intervento.In questi 30 minuti, i pensieri sono quelliche più assomigliano al sogno, arrivano dallepiù disparate parti del corpo: sangue, pancia,cervello...Sono loro a parlare.Nell'attesa penso al parallelepipedo di cuis'è parlato a scuola."Disegnate un parallelepipedo", proposeil professore.Eccolo il parallelepipedo, le misure sonoqueste: lunghezza metri 3.30; larghezza metri1.90; altezza 3.30.È la cella.Non si riesce a riportarla sopra un normalefoglio da disegno, però ho calcolato checon 3 giornali e mezzo, mediamente, si puòricoprirne comodamente un lato. Dentrocirca 20 quotidiani ho vissuto per anni.Alla tivù Sting sta cantando il suo meravigliosomessaggio a "Mister Pinochet": Verràil giorno in cui danzeremo sulla tua tomba, ecanteremo la libertà".Sarà un bel giorno.Ma è giusto uccidere un tiranno? Si, èmille volte giusto, cari intellettuali, e lo sapetebene. Peccato che non avete più voglia e forzaper pensare.Da qualche minuto le 7 sono passate el’agente ha messo la chiave dentro la primaserratura dalla parte opposta della sezione,sono 62 passi.Il rumore lo sento come se stesse aprendola cella dove sono rinchiuso. Ad ognisuo movimento mi arriva quel rumore,che non è metallo che tocca altro metalloa provocarlo, è il rancore dell’agente che tivuole svegliare... perché devi dormire mentreio non lo posso fare? (In altri momentied altri luoghi eravamo costretti a stare inpiedi).Se stai dormendo non ti svegli col sorrisocome vorresti, ma con una imprecazionenei suoi confronti: trattenuta, brontolata,urlata.Viene in mente un libro, nel qualequesti ed altri simili rumori, sono descritticome provocati da buontemponi, assomigliantigli amici che vanno alla stazionedando schiaffi burloni a quanti sono affacciatiai finestrini dei treni in partenza.Il libro lo ha scritto un detenuto. Chetristezza!!!Un giorno la mia compagna scrisse inuna lettera che a volte il mio sguardo siblocca. Ho pensato molto al perché micarte<strong>Bollate</strong> 11Sono in piedi e per prima cosavado a riscaldare una tazza di orzo elatte.Ora si sente il gelo che passa dalle fessureed istintivamente penso di chiuderle,ma non cedo, resisto, preferisco reagire alfreddo.In attesa che giunga l'ora per poterscendere nel cortile dell'aria posso starmeneancora a letto e “sognare”, oppuresedermi al tavolino a leggere o scrivere.Il tavolino sta accanto alla finestra,anch'essa piena di spifferi.Metto l'accappatoio sopra le spalle epoche pagine di un libro mi tengono compagniasino alle 9.Ma oggi non esco all'aria, resto a leggeree scrivere, continuo a stare seduto altavolino.Mi alzo soltanto per svegliarmi definitivamente.Il momento è scandito da unaltro caffè d'orzo, dalla pulizia dei denti edel viso.Quello dell'acqua è il solo freddo chemi piace, dà libertà sentirlo sulla pelle.È quella libertà che si prova tuffandosinel mare infinito.Rammento un verso regalato: "Amartiè come immergersi nell'acqua limpida delmare".È l'opposto del freddo che viene daimuri di cemento.Dall'acciaio del blindato.Cancello. Finestra. Sbarre.Entro cui vivo.Francesco Giordano


LA PAGINA ROSAQuesta "Pagina rosa" è aperta alla collaborazione delle donnedetenute delle varie carceri italiane che vogliono far conoscere i loro pensieri.Maledetta miopia!Era una piovosa mattina di primaveraintorno alla fine d'<strong>aprile</strong>. La mia storiacon Franco, il mio compagno, era ancoraagli albori. Quel giorno c'eravamo datiappuntamento alla stazione di Porta Susaperché la mia auto, come sempre, avevapensato bene di guastarsi nel momentomeno opportuno e ora languiva nella rimessadel mio meccanico che, più impegnatodi un cardiochirurgo, aveva già diagnosticatouna prognosi di almeno tre giorni.Avevo quindi deciso di spostarmi in trenoe l'amore mio sarebbe venuto a prendermiall'arrivo, in stazione.In fondo era così romantico!Quella mattina, dopo una vestizionedegna di Sharon Stone in “Basic Instict”,un'acconciatura da far invidia a Jean LuisDavid e un trucco alla Diego della Palma,avevo combattuto una strenua battagliacon una lente a contatto che proprio nonne voleva sapere di stare al suo posto nell'occhio.Alla fine aveva vinto lei, ma io,testarda, ero comunque uscita senza occhiali,percorrendo a memoria la strada da casaalla stazione, di corsa perché nel frattemposi era fatto tardi e rischiavo anche di perdereil treno.Dopo aver occupato il posto nello scompartimento,avevo eseguito un accuratocontrollo della mia mise.La gonna corta con i tacchi alti avrebbecertamente fatto colpo; trucco e pettinaturanon parevano aver risentito della corsa aperdifiato e… sì! Gli occhiali avrebberoproprio rovinato tutto! Avevo preso la decisionegiusta, in fondo mi sarebbe bastatoavvicinarmi a sufficienza all'oggetto dellamia attenzione e non ci sarebbero statiproblemi.Giunta a destinazione, ero scesa daltreno disinvolta e sorridente come se civedessi benissimo. Pioveva a dirotto, unvero diluvio! Dal piazzale antistante la stazioneavevo visto arrivare l'auto del mioamore: grande, blu, con solo il guidatore abordo. Era lui! Salii in tutta fretta e, con laportiera ancora aperta, girata verso l'esternodell'auto nel disperato tentativo di chiuderel'ombrello, esclamai: “Mio Dio, che tempoda lupi!”. Mentre continuavo a lottare coldiabolico oggetto, che proprio non ne volevasapere di chiudersi, sentii le parole: “Già,piove a dirotto!”.Di per sé la frase era sensata e perfettamenteadatta alla situazione, ma mi si gelòil sangue nelle vene perché… quella nonera la voce di Franco! In una frazione disecondo la mia mente elaborò il concettoche neppure l'auto era quella di Franco!Avevo il terrore di voltarmi, ma ovviamentelo feci. Mi trovai di fronte il visodivertito di un signore di una certa età,molto distinto, ma a me perfettamentesconosciuto. Imbarazzatissima cominciai abalbettare una serie confusa di scuse, ma luiesplose in una sonora risata e disse: “Pensisignorina che io stamani ho litigato con miamoglie perché con questo tempo mi seccavavenire a prendere mia suocera alla stazione.Certamente se avessi saputo che mi sarebbesaltata in auto una bionda in minigonna,non avrei fatto tutte quelle storie!”.Ringraziai il galante sconosciuto e, sem-pre scusandomi, scesi dalla vettura maledicendomentalmente la mia indisciplinatalente a contatto. Poco più in là, nel mioristretto raggio visivo, scorsi Franco che miguardava sbalordito sotto l'ombrello.Pensai subito: “Mio Dio! Questo è purecalabrese. Adesso cosa gli racconto?”.“Amore, te lo giuro, mi sono svegliataall'alba per farmi bella per te. Non ho neppuremesso gli occhiali e adesso… guarda chedisastro! ”.Lui, capito al volo l'equivoco, scoppiò aridere e mi disse una frase che avrei sentitomolte altre volte in seguito: “Sei bellissima,amore mio! ”.Vittoria 61Sognando la libertàIl carcere ha una musica tutta sua.Lo scalpiccio dei passi sul cemento,le porte di ferro che sbattono,gli urli di giorno e i bisbigli di notte,il suono metallico dei vassoi all'ora dei pasti.C'è il muro altissimo, la solitudine, l'atmosfera d'odio.Nonostante ciò le nostre menti viaggianoe immaginano il giorno quando le porte si apronoper ognuno di noi, e allora, rivedremo la nostra libertàche non sarà più una parola qualunque.Sarà una cosa tangibile,una condizione fisica da assaporare e da viveremomento per momento.La libertà vuol dire respirare aria pura,non dover aspettare da mangiare.Vuol dire avere un nome,non essere più un numero.Vuol dire bagni caldi e saponette profumate,biancheria delicata, bei vestiti e scarpe col tacco alto.Libertà significa sfuggire alla monotonia quotidiana del carcere.carte<strong>Bollate</strong> 12Curiosa


Ormai da qualche tempo si è conclusa,alla Triennale di Milano, la mostrache aveva come tema la rappresentazionedella pena.Un convegno che, come evidenziatodalla lunga lista del programma, mettevaa confronto diverse scienze della sferapenale, giuridica, sociologica, psichiatricaecc.Spesso ho ascoltato alla televisione ilparere di uomini politici, illustri professoriuniversitari, docenti di diritto penale,esperti di politica penitenziaria che hannotrattato e disquisito sul concetto di “culturadella legalità”, “risocializzazione” edaltro.A quel convegno, io nonc’ero e anche volendo nonavrei potuto esserci consideratoche sono un detenuto.Non so, quindi, cosa si siadetto di preciso in quel convegno.Posso solo fare dellesupposizioni convinto chesia stato lanciato un invitouniversale affinché si possaraggiungere la responsabilitàinteriore così che ogni individuopossa comprendere dovenasce e dove muore la demarcazionedel confine tra malee bene.Io sono detenuto, persona per cui intempi ormai lontani imperava e dilagavala cultura della forza, della clava, dellasolitudine, ma sono anche un uomo chedal proprio passato ha riesumato unacultura sconosciuta ai più: quella delrispetto e dell'amore inteso come valorizzazionedi sé.La cultura della legalità, a mio modestoavviso, è la divinazione della perfezionechecché se ne pensi e se ne dica, mal'imperativo categorico in voga in questonostro mondo degli anni duemila è tuttotranne che legale o perfetto.Anche l'intelligenza ha subìto gravicontraccolpi a causa dell'abbassamentodi valore istruttivo della nostra scuola,Affettività in carcereUN DIRITTO INCOMPRIMIBILEPER IL RISPETTODELLA DIGNITÀ UMANAfiguriamoci dunque i valori etici e moralie, perché no, umanistici.La perfezione è una vetta irraggiungibilee sperare di riuscire a scalarla è utopiaspicciola, accontentiamoci di evitareretoriche di poco conto, melense diatribeverbali che alla fine del loro percorsorimangono astruse più che mai.Non sono nella posizione ottimaleper istruire o interloquire o consigliare,so di essere tra gli ultimi degli uomini ein molti vorrebbero magari che facessi delsilenzio la mia normativa principale, male culture si incontrano, si conoscono, siconfrontano anche all'interno di un carceree accade che d'improvviso ci si iniziaa chiedere quale fu il mal tolto e quale fuil peggiore dei mali.La cultura fraternizza e non conoscebarriere, tanto meno preconcetti e prevenzioni,la cultura insegna e fa riflettere,la cultura ridona la parola ai muti e isuoni ai sordi, la cultura, a differenza deibei discorsi, è verità e come tale fa male,ma trascina la ragione al cuore, comel'arte.Il carcere è indubbiamente un'esperienzamodificante, pervasiva, viscerale,educativa e formativa nel suo senso piùproprio. Modifica il corpo recluso, le sensazioni,i tempi e gli spazi di noi reclusi,il modo di vivere e percepire le relazioni,carte<strong>Bollate</strong> 15di essere gioiosi, di ridere, di piangere e diamare. Conduce a degli stati modificatidella coscienza.Stati che consisterebbero in un tagliarle radici generative di ogni libertà personalee quotidiana. Ma anche una torsioneinevitabile che spinge noi detenuti avarcar la soglia degli stati ordinari dicoscienza. Per sopravvivere, anzitutto. Pernon morire. Senza la valvola degli statimodificati di coscienza, credo che nessundetenuto si manterebbe a lungo in vita.Il carcere è anche un luogo chiusoall'interno del quale dobbiamo viverciper periodi più o meno lunghi, per cuinon è pensabile non intenderlocome luogo di speranza in cuisi impara a formare pensieri,sentimenti, relazioni, amiciziee inimicizie.Se a volte l'esperienza carcerariapuò sembrare completamentedifferente rispetto agliabituali spazi di esistenza, condinamiche proprie e separateda quelle quotidiane, altre voltenel ripercorre le emozioni, ipensieri di noi dannati dellaterra e le dinamiche del vivere,si ha il sospetto che invece noireclusi siamo come tutti gliuomini liberi che vivono fuoridal carcere. O forse, tutte e due questiaspetti.Il carcere come istituzione nasce, daun punto di vista storico, dall'identificazionedi fenomeni tra loro molto diversi:il carcere come luogo dove poter custodirein attesa di altro destino e dove siscontano pene, è stato identificato con lareclusione intesa come istituzionalizzata.Luogo in cui si pensa che l'uomo isolatopossa scontare il suo debito sociale e ritornarealla comunità purificato.Tuttavia è evidente a coloro che confidanonelle potenzialità ed affettivitàdei mezzi e strumenti educativi, comela punizione necessiti di una progettualitàperché senza una visione del futuro


sarebbe una mera violenzarepressiva, un abuso.Un motivo della negativitàdell'esperienza istituzionale,sta nell'isolamento dalcontesto sociale più ampio.Solo se la pena è strumentodi aiuto e di incontroai bisogni, unita ad un contestoeducativo, relazionale,propositivo, progettuale,affettivo, avrà una qualcheutilità; in caso contrario saràbrutalità istituzionalizzata econgegno di vendetta popolare.Il carcere, visto sottoogni prospettiva è la rappresentazionedeformata dellarealtà esterna, deformata ed enfatizzatae questo vale anche sotto il profilo delleemozioni, dei sentimenti.Il carcere, specie il carcere modernoe contemporaneo, grazie alla televisionenon è più un mondo a sé stante, è unmondo che si nutre delle stesse informazioni,degli stessi programmi televisivi,quindi delle stesse aspirazioni o culturedel momento che vive la società esterna,non come dire, precipitate e cristallizzatein un tempo immobile e in un luogo fisicoridotto. Tutto ciò appunto, può diventareanche esplosivo, ma è sicuramente,una deformazione della realtà.Queste deformazioni cambiano l'individuo?Possono migliorare una personache per qualche motivo si trova a doverscontare una pena? In linea generale iopenso che tutti gli individui cambino. Nelsenso che l'esperienza, la vita e le relazionicambiano ognuno di noi, che sia libero orecluso.Anche da questo punto di vista valeil discorso che in una situazione assairistretta dal punto di vista fisico, maanche dalla possibilità di relazione tenda acristallizzare la persona e quindi a ridurneanche la sua capacità socializzante.Forse uno dei luoghi comuni che sihanno sul carcere è che il carcere puòessere, proprio perché costringe ad unariflessione, anche ad un lavoro interiore,un luogo come dire che favorisce il cambiamentopositivo delle persone. Io credoche non sia affatto vero, credo che chicambia positivamente dentro il carcere lofa nonostante le istituzioni. Le modalitàin cui si svolge la vita all'interno dellecarceri possono cambiare solo in peggiole persone; è un duro lavoro di resistenzaprobabilmente che si fa in carcere pernon essere incattiviti o per non essereschiacciati.Sicuramente credo che dipenda deglistrumenti culturali e personali che ognunoha come proprio bagaglio, ma credoche dipende poi anche dalle opportunità,ed eventualmente dalla fortuna di avere,durante il periodo di detenzione, dei riferimentiaffettivi o di altro genere anchecon l'esterno.Chi vive solo nel carcere e solo delcarcere, sicuramente rischia di isterilirsida un punto di vista appunto, emotivo edelle capacità di cambiamento. E questoè un po' però anche il nocciolo vero e ildramma della questione penitenziaria.In carcere, al 90%, ci sono persone chevivono dei deficit strutturali, economici,materiali, familiari, quindi chi entrain carcere è già una persona povera dirisorse da questo punto di vista e mitrova d'accordo con quanto esternato inun suo intervento televisivo la dottoressaCastellano su questi temi e cioè che ilcarcere, nella stragrande maggioranza deicasi, rischia di schiacciare queste persone.Certo, ci sono piccole realtà all'internodi questo pianeta e <strong>Bollate</strong> ne èuna testimonianza. Realtà come quella diquesto carcere che offrono diverse opportunitàa persone che non ne hanno maiavute e che qui potranno sfruttare, daicorsi di formazione, ai corsi scolastici, agliincontri con i volontari. Per molti, tuttoquesto è un’opportunità che non hannomai avuto perché cresciuti in qualchequartiere degradato di qualche periferiao al Sud. Purtroppo, però, questo noncarte<strong>Bollate</strong> 16è generalizzato. Spesse voltemi è stato chiesto se il carcererieduca i detenuti. Ebbene,credo proprio di poter direche non si può rieducare chinon è stato mai educato. Insintesi, è il discorso che dicevoprima: chi ha dei deficit allespalle proprio per le ingiustiziesociali, per i meccanismi diesclusione sociale che vivonoall'esterno, ben difficilmenteil carcere può supplire a queitipi di percorsi e di risorse,di opportunità che sono statenegate, anzi, dal mio punto divista e venendo al piano personale,io non credo di esserestato educato né rieducato dalcarcere.In questo luogo ci sto da più di trentaanni e credo di essere profondamentecambiato nonostante il carcere. Il carcereè veramente una macchina che schiacciale persone al di là delle singole buonevolontà che possono avere gli operatoripenitenziari o i direttori. Ho conosciutodei direttori molto, come dire, intelligentie sensibili, ma la funzione materialedell'istituzione travalica le singole buonevolontà degli operatori. E quella funzioneschiaccia le persone perché il carcerequotidianamente umilia la persona. Nonsi può pretendere di educare una personamentre la si umilia in mille modi, quotidianamente.La radice etimologica di educare, sidice che è il venir fuori. Mi domando:come si può pretendere di far venir fuorie quindi di far crescere una persona nelmomento in cui la si isola dal resto dellasocietà?E' un paradosso, la contraddizioneoriginaria dell'istituzione penitenziariache è separatezza dal resto della società,ma che pretende di rieducare. I processie percorsi educativi si hanno solo nellarelazione con l'altro, con gli altri. Nelmomento in cui tu isoli una persona, larinchiudi, le impedisci di avere rapporti,relazioni eccetera, automaticamente sitaglia, si nega in radice qualsiasi possibilitàeducativa. Questo vale in termini generali,ma vale anche per me e per chiunquesi trova rinchiuso in galera.Il carcere dal punto di vista educativocredo sia un fallimento. E' difficile direquali siano le alternative, ma è vero chequi non sono mai state cercate delle


alternative. Forse per cambiare il carcerebisogna aspettare un cambiamento sociale.Credo che oggi si tratti come di tantialtri problemi sociali laceranti, di ridurreun po' il danno e ridurre un po' il dannosignifica correggere ove possibile gli aspettidrammatici e più ingiusti del sistemapenitenziario.Il sistema delle pene alternative è unsistema che concettualmente riconfermail carcere e anzi addirittura lo esportasul territorio perché ne esporta la logicadel controllo, del contenimento, dimezzamento.In carcere il detenuto è uncittadino dimezzato e lo è anche quandotorna nella società; le misure alternative,addirittura, continuano ad esserci anchequando finisce la pena. E’ il medesimosistema. Quando esci non sei un cittadinocome gli altri perché ti viene negata lapatria potestà, ti viene ritirata la patente,ti viene proibito di accedere a impieghipubblici, insomma, la logica delle istituzionicontinua. In ogni caso è comunqueuna riduzione del danno anche questa.La stessa legge Gozzini, con tutti isuoi limiti e difetti (ad esempio la concezionepremiale), è una riforma che noistessi detenuti negli anni passati abbiamocontribuito a produrre e credo che sia unbeneficio per chi sta in carcere e sia complessivamenteuna valvola di sfogo per unsistema che veramente antiquato è destinatoad esplodere se non mutano radicalmentei paradigmi su cui è costruito.Auspicherei un cambiamento neiparadigmi, ma ci credo poco e quindicredo che almeno vadano garantite questevalvole di sfogo cioè garantire i diritti e ibisogni di chi sta in carcere.Il carcere produce, specie per coloroche hanno pene lunghe, il fenomenodella prigionizzazione. Molti, dopo tantianni di carcere difficilmente riescono adadattarsi alla vita esterna. E questo è unaltro paradosso del mondo carcerario.La società tiene in carcere per moltissimianni delle persone, in una logica di completaseparazione con la società civile epoi pretende di ributtarle come se nullafosse nel contesto sociale.Chi ha meno risorse - sia comerete solidale e amicale di protezione, siacome attrezzatura culturale pregressa -in questo passaggio rischia di nuovo diessere schiacciato, di smarrirsi. Anche quic'è un percorso di accompagnamento,di riaccompagnamento alla libertà cheandrebbe in qualche modo garantito, masoprattutto andrebbe modificata la logicaper cui una reclusione deve essere necessariamenteuna separatezza totale dal restodel mondo e della società. E c’è un ragionamentoche non può essere disatteso.In carcere ci finiscono i poveri. Unpovero che era già povero prima di entrarein carcere quando uscirà dopo una lungapena o meno lunga che sia, sarà doppiamenteescluso e doppiamente povero,quindi sarà doppiamente privo di risorseall'esterno. Molto spesso, il rientro inlibertà è l'ingresso in un deserto: il detenutonon ha una nuova rete di opportunità,non ha prospettive per il futuro.Il discorso del tempo carcerario, radicalmentealtro e scisso, pur avendo amodello la società esterna, è un tempototalmente vuoto, frammentato e regolatodagli orari e dai ritmi del carcereche sono inviolabili e che sono talmenteframmentati che alla fine della giornatauno non ha fatto nulla.Il rapporto che il carcere impone coni propri affetti è difficile da descrivere eanalizzare perché espone tematiche cheprovocano grandi sofferenze e coinvolgimentipersonali eccessivi. L’affettività– bisogno irrinunciabile dell'uomo inogni sua forma – è soppressa dal carcere,con risvolti spesso drammatici.Il carcere recide tutti i rapporti e miraad essere unico interlocutore privilegiato,annebbia e confonde la fantasia e la sostituiscecon il nulla di un'eternità destinataa guardare verso il vuoto.Convivenze durate anche anni, siincrinano perché la mancanza di manifestazioniaffettive ed emotive scava,modifica nel profondo e induce ad unaumento della violenza come eruzione diquella frustrazione che il carcere inesorabilmentealimenta.L'isolamento dal mondo esterno, dagliaffetti e dalle persone care, l'uniformitàdi vita, le punizioni, la coercizione delsistema carcerario, l'interdizione di ogniiniziativa, i ricordi dolorosi del passatoporta all’esasperazione, alla ribellione,alla disperazione. Più volte questo statod'animo sfocia in atti di violenza, diautolesionismo, perché appare impossibilesopportare a lungo un'esistenza di tortura.Talvolta la morte è vista come unaliberazione. La lunga lista di suicidi chesi verificano ogni anno nei penitenziari,per non parlare poi dei tantissimi tentatisuicidi, è una prova evidente.Il dolore di un'affettività assente noncarte<strong>Bollate</strong> 17è solo incisivo perché viene vissuto comeuna mancanza personale presente, maanche perché induce ad una disconfermadella vita affettiva precedente e aduna totale indeterminatezza per quantoriguarda la propria capacità relazionalefutura: mentre qui dentro si continua avivere con la sofferenza di una sessualitàmutilata, all'esterno la vita continua e siriproduce. La vita esterna nel corso deltempo diventa sempre più qualcosa diestraneo, di totalmente altro e minacciosoperché non conosciuto. Noi reclusi siamoconsapevoli dello scorrere naturale dellavita al di fuori del carcere e forse temiamodi perdere anche quel poco di affetto sucui oggi possiamo contare.La forzata aridità affettiva carceraria,conduce per un verso all'indifferenzaemotiva, mentre per l'altro porta aduna valorizzazione esponenziale di ognimomento di affezione, di amicizia, dilegami. L'affetto solitamente si esprimeanche con la vicinanza fisica, col tatto,con l'abbraccio, gesti che si possono concepiresolo con gli amici. Il carcere comeluogo privilegiato di elaborazione di codiciimpliciti, esiste anche un codice delladistanza, per cui tutti quei rapporti chemettono in gioco il corpo sono rarissimi:darsi una mano è un gesto raro e mettersiuna mano sulla spalla è ancora più raro.Il corpo e la fisicità sono qualcosa di lontanoe che deve forzatamente rimaneredistante se si vuole imparare a vivere in unluogo dove il corpo è espropriato.Io credo che l'affettività va concepita,dichiarata e normata come un dirittodella persona reclusa e di coloro chesono in relazione con lei. Né premio,né concessione, dunque. Gli spazi dimantenimento, crescita ed espressionedelle relazioni sociali, degli affetti a anchedella sessualità sono un fattore potente eimprescindibile dell'identità di ciascuno.Perciò hanno a che fare con la dignitàumana. Gli spazi per l'affettività devonoallora essere intesi e rispettati quali dirittiincomprimibili della persona.Il cammino per riconoscere l'affettivitàdei detenuti non è ancora concluso.Siamo solo agli inizi e c'è molto da fare.Ma il punto di partenza è sicuramentequello di abbandonare la concezione inbase alla quale punire significa apportaresofferenza gratuita, recidere un uomo eannientare la sua dignità.Santo Tucci


UN MAGNIFICO VERNISSAGEPER SANTI SINDONI ALLAGALLERIA ARTEUTOPIASanti Sindoni, il “nostro” pittore, hafatto tante mostre, ha ricevuto tantiriconoscimenti e premi da quanto, nel1972, si è trasferito a Milano e ha comincitoa frequentare la scuola superiored’arte del Castello Sforzesco e, in seguito,l’Accademia di Brera. Eppure la sera del 7<strong>marzo</strong> scorso, al momento dell’inaugurazionedella sua mostra, era particolarmenteemozionato.La mostra – titolata Anime – siè tenuta, sino al 19 <strong>marzo</strong>, presso laGalleria Arteutopia, a Porta Romana.Sindoni ha esposto 16 quadri di grandeformato e quattro disegni a penna.L’inaugurazione avvenuta martedì 7<strong>marzo</strong>, ha visto riuniti nelle sale dellaGalleria, numeroso pubblico. Diversioperatori del carcere, addetti ai lavori,amanti della pittura e particolamentedel percorso che sta conducendo SantiSindoni, critici e, anche, qualche parentedi Santi.Un’emozione, quella di Santi, che siè sciolta man mano è proseguita la seratad’inaugurazione.La simpatica cerimonia ha avuto iniziocon un intervento del direttore dellaGalleria Arteutopia, Luigi Pedrazzi, cheha voluto sottolineare come la galleriache dirige si sia subito mostrata interessataad organizzare una mostra proprio perl’interesse che ha nei confronti di SantiSindoni e del suo travagliato percorsoartistico.Anche Santi è intervenuto, dapprimain modo stentato e poi, via via, semprepiù sicuro soprattutto quando hacominciato a parlare di quello che sentemaggiormente e cioè del suo rapportocon la sua dea ispiratrice, Artè. Lui, haaffermato di non considerarsi un pittore.“Sono uno – ha sotolineato – che non hamai terminato un quadro”. Pur tuttaviale sue opere dimostrano come questaaffermazione sia capziosa. I quadri cisono, sono opere anche molto dure, i visi,hanno espressioni spesso di dolore, maesistono, lui li ha dipinti, lui ha volutocomunicare quello che ha dentro di sèattraverso i colori, i pennelli, nella ricercadi un percorso non certo facile.Il colore per Sindoni non è una funzionesolo decorativa, ma è una forzanaturale che diventa forma, sostanza,spazio. Insomma, verità. Una pennellatavigorosa così come lo è lui stesso cheamalgama il suo essere siciliano e le esperienzedi vita che ha vissuto. Esperienzanegativa come può essere il carcere, mache lui riesce a tramutare in espressionepittorica.A conclusione del suo intervento, ilpittore non ha dimenticato di parlaredell’imminente festa delle donne e si èappellato ai rapitori affinché rilascino ilpiccolo Tommaso.Nato in una frazione di BarcellonaPozzo di Gotto, in provincia di Messina,nel 1954, Santi Sindoni, dopo aver frequentatola scuola del Castello e l’Accademiadi Breraritorna in Sicilia,poi, nel 1991,nuovamente alnord, a Luino,in provincia diVarese. Nel 1999,purtroppo, il carcereṄella sua carriera,Santi, haesposto in più di20 mostre e partecipatoa numerosiconcorsi ancheinternazionaliottenendo meritatepremiazioni.La personale diArteutopia havisto anche lapresenza dell’assesoraprovincialeFrancescaCorso che nelsuo breve interventoha volutosottolineare comela sua presenzaall’inaugurazionenon voleva essereformale, ma unapresenza a dimostrazionedi come la Provincia sta seguendo,da tempo, questo artista. E non èun caso, infatti, che la mostra sia statapatrocinata, appunto dalla Provincia.La direzione del carcere ha delegato ilsovrintendente Luigi Arras e l’educatoreRoberto Bezzi a rappresentarla.Tutti e due sono intervenuti con brevidiscorsi dove hanno messo in evidenza la“diversità” di questo carcere, non più esolo luogo di pena, ma anche consolidamentodi un rapporto diverso con i detenutiche produce, nel tempo, situazionicome quella di Santi Sindoni. Un carcereche possa, pur luogo di segregazione, dareuna visione del futuro possibilista pertanti detenuti.Una bella mostra, resa possibiledalla volontà caparbia del direttore dellaGalleria, Luigi Pedrazzi, da FrancescoGiordano, educatore del centro diurno“Il Girasole”, dal grafico del nostro giornaleVincenzo Mennuni, dagli agenti delcarcere e dalla direzione.E, naturalmente, dall’arte di SantiSindoni.carte<strong>Bollate</strong> 18


È lo Stato che, per primo, non rispetta la CostituzioneL’ASSORDANTE SILENZIO DI QUASI TUTTI IMEZZI D’INFORMAZIONE SUL CARCEREA l convegno nazionale, “La salute inAcarcere: parliamone senza censu-Are” svoltosi a Roma l’1 <strong>marzo</strong> scorso,il Dipartimento affari penitenziari hacomunicato i dati sulla allarmante situazionedelle carceri italiane.Da un’attenta lettura di quasi tutti iquotidiani di questo Paese, è desolanteconstatare come la stampa non abbiafatto altro che riportare semplicementedei numeri, delle fredde percentuali,senza fare alcun commento sull’incivilesituazione carceraria italiana.Soltanto due quotidiani, uno d’estremasinistra ed uno cattolico, hannoaccennato un leggero commento sullasituazione. Sarebbe stato troppo pretenderequalcosa di più?Questa è la palese dimostrazione dell’assolutae colpevole indifferenza dellacarta stampata che soddisfa il poterepolitico.Il silenzio è, sicuramente, il migliorsistema per non affrontare uno dei piùgravi problemi del nostro Paese.In Italia, il primo soggetto a nonrispettare la nostra Costituzione e, diconseguenza le leggi, è lo Stato, sia essoguidato da un potere politico di destrao di sinistra. Non a caso negli ultimiquindici anni tutti i partiti hanno basatole campagne elettorali sulla sicurezza deicittadini, compresa quella che stiamovivendo in questi giorni.Chi ha guidato questo Paese negliultimi quindici anni, riguardo i problemidella giustizia, ha deliberatamenteperseguito la politica dello struzzo, o siè dedicato a risolvere i suoi problemipersonali.L’articolo 3 della Costituzione recitache tutti i cittadini sono uguali. “Tutti”,anche coloro che commettono errori,Ritengo di avere il dovere, ma ancheil diritto, di scontare la mia pena, anchese giunta dopo ben nove anni di limbocivile, in un luogo dignitoso, dove devoessere rispettato e curato, come un qualsiasicittadino di questo Paese. Per me, loStato può togliermi la libertà, ma non lavita, cosa che in Italia, invece, non accade.Vi sono carceri dove si vive e si muorecome degli animali, si annulla la dignitàumana. L’essere s’abbruttisce e s’incattivisce,invece di essere rieducato. Come sipuò, poi, pretendere di rispettare lo Stato,una volta liberi?Certo, il carcere non può essere unhotel, come qualcuno ha a suo temposentenziato con molta leggerezza. Iosostengo, comunque, che non deve neppureessere un luogo di tortura psicologicae morale.Che senso ha costruire nuove carceri,quando poi diminuiscono le risorse economichedestinate all'amministrazionepenitenziaria? Forse, qualcuno ha intenzionedi costruire dei penitenziari piùsimili a Guantànamo che ad un hotel.Allora, mi chiedo: com’è possibileche nella patria del diritto romano possaaccadere di vedere nascere e crescere deibambini o di tenere dei malati terminaliin un penitenziario? Credo proprio cheun Paese del genere, non si possa definirecivile.È proprio giusto, che AmnestyInternational ci annoveri tra i Paesi dovesi calpestano i diritti dell'uomo e che laCorte europea ci multi continuamente.I nostri illustri giuristi e politicidel tempo, inserirono nella CartaCostituzionale del 1948 l'art. 27 chedeterminò il diritto del condannato alcarte<strong>Bollate</strong> 21 0reinserimento nella società una volta terminatala giusta pena.Analizziamo un momento come puòessere messo in atto questo diritto.Un giovane esce per fine pena e loStato, o chi per esso, dovrebbe preoccuparsidi dargli un posto di lavoro e untetto per potersi ricostruire una vita. Virisulta che tutto ciò avvenga? Al contrario,lo Stato lo marchia per il resto dellavitaṄegli Stati Uniti, nel 1700 le adulterevenivano obbligate ad esibire, cucita sugliabiti, la lettera A. Hitler marchiava, nellostesso modo, gli ebrei con la stella diDavide.Nel nostro Paese lo Stato toglie agliex detenuti ogni possibilità di ricostruirsiuna nuova vita, perché infligge le peneaccessorie che, insieme alle schedature,negano di fatto i diritti civili.Tutto ciò, non si chiama razzismo?Sicuramente sono io a sbagliare, ancheperché sono solo un detenuto, un cittadinodi serie B e la Costituzione non valeper quelli come me.Negli ultimi quindici anni abbiamovisto i nostri governanti, sia di destrache di sinistra, percorrere la strada dell’inasprimentosproporzionato dellepene, senza mai preoccuparsi di provare arimuovere le cause di un disagio sociale.Lo scopo di questa manovra è quellodi guadagnare consensi, in parole povere“voti”, per soddisfare l'ambizione sfrenatadi potere.Poco importa se si calpesta laCostituzione o i diritti di 30, 40 e,ultimamente, 60.000 detenuti. Si trattasolo di una minoranza e, per di più, nontutelata.Conosciamo tutti il famoso proverbiosiciliano “meglio comandare che fottere”.Ci tengo a ribadire che finora la classepolitica ha perseguito il suo disegno conil silenzio e l'omertà dei giornali dell'interoPaese e questo è ancora più scandaloso.Pertanto, a mio parere, siamo un popolocertamente progredito, ma, sicuramenteincivile.Antonio Cirianni


Gli immigratiVITE VISSUTE NELL’OMBRA.NECESSARI ALL’ECONOMIAMA DA NASCONDEREL'immigrato è sempre stato percepitocome una forza-lavoro, talvolta, comeun parassita per le società sviluppate.Raramente è stato considerato come unuomo, cioè come un essere con un’anima,uno spirito, un cuore con delle emozioni,dei desideri e, perché no, anche ricco difantasia e di senso dell’umorismo. Misono sempre interessato, frequentando inostri luoghi di ritrovo, al nostro stile divita, alla nostra vita privata “anche se nonne avevamo davvero una”.In carcere parliamo spesso di libertà,a come è possibile essere liberi, vivendonella miseria economica e affettiva.Quando, con gli avvocati delloSportello giuridico, mi recavo nei varireparti per incontrare i miei connazionali,spesso li osservavo a loro insaputa.Guardandoli. mi veniva in mente il titolodi un libro di Primo Levi, “Se questo èun uomo”.Non so perché, ma l'immagine dellamorte veniva a sovrapporsi, nella miamente, a questa realtà che è certo menotragica ma, tuttavia, mi ricorda qualcosache assomiglia alla reclusione forzata,all'espulsione e anche a una forma dipunizione. Gli immigrati arrivavano inItalia senza moglie e senza bambini. Nonveniva chiesto loro alcun parere. Il piùdelle volte erano caricati su dei camion,poi su dei treni, quindi, mandati a lavorarein cantieri o in mezzo alla strada.Questo trapianto, questo sradicamento,veniva organizzato in modo cinico,senza scrupoli. Gli immigrati erano trattaticome il bestiame. Considerati al paridi schiavi. Fu Jean Paul Sartre a utilizzare,a proposito dell'immigrazione, l’espressione“schiavitù dell'epoca moderna”.Questi uomini vivevano ai marginidella vita sociale, si nascondevano, venivanonascosti.Non era possibile vederli, non esistevano,erano delle ombre, dei fantasmidestinati a vivere nell'ombra. Qualcheanno fa, il governo italiano decise diaccordare agli immigrati il diritto di trasferirela famiglia.Questa decisione cambiava il volto e ildestino dell’immigrazione.Si pensava di avere trovato un rimedio:una vita in famiglia, una vita normale: lanostalgia del Paese abbandonato nonaveva più ragione d’essere. Insomma, ci sisforzava di introdurre un po’ d’umanitàin una schiavitù che è stata decisamenteutile.Ma la solitudine è rimasta sempre lastessa. Anche se condivisa con la famiglia.I problemi si sono riversati sui figli. Igenitori hanno deposto le armi di fronteai loro bambini, nati in un Paese occidentale.Questi bambini sono rifiutati. Tutticontribuiscono a farlo: il Paese in cuisono nati, i genitori che non li capiscono,il Paese d’origine dei genitori che non nevuole sapere di loro.A questi uomini che vengono strappatialla loro terra, alla loro famiglia, allaloro cultura, viene chiesto soltanto laforza-lavoro; il resto non si vuol sapere. Ilresto, però, è molto.Provate a valutare in un uomo il bisognodi essere accettato, amato, riconosciuto;l’esigenza di vivere nella dignità,il desiderio di essere con i propri cari,nell’amore della terra, nell’amicizia delsole. Non si vuol sapere se quei corpidesiderano.Non lo si vuole sapere, però, vengonousati e accusati di comportamenti criminosio, comunque, di pregiudizio graveper la morale e l’ordine sociale. Di essivengono proposte e diffuse immaginiterrificanti. La stampa razzista fomentaquest’odio e in pari tempo nega a questiuomini, venuti da un’altra dimensionetemporale, il diritto all’affettività e aldesiderio.L'Italia si risveglia all’inizio di questomillennio e scopre che non potrà viveresenza i suoi immigrati. All’improvviso,si rende conto che ne ha bisogno e chesarà costretta ad andare a cercali nei loroPaesi d’origine. Non per generosità, maper interesse.Come sempre le parole sono menocrudeli, ma la sostanza del problemaè questa. L'ex governo, non ha forsedichiarato che bisogna accogliere nuoviimmigrati? Il permesso di trasferire lafamiglia è un diritto e l’Europa, tenutoconto dei suoi indici demografici, dovràricorrere, senza dubbio, alla manodoperastraniera.Chi si ritira dal lavoro, prima o poi, sidovrà avvalere del contributo di giovaniche lavorino e paghino i suoi contributi.Bisogna smetterla con la discriminazionesul lavoro, finirla col razzismo e la xenofobia.È ora di un’integrazione dal voltoumano.L’Europa deve organizzare una politicacomune per l’immigrazione. Finoad oggi, spesso, i Paesi europei hannomesso a punto delle azioni concertate inmateria di repressione o di lotta control’illegalità. Forse riusciranno a prendereaccordi comuni per una nuova politica incui ai milioni di uomini e donne, che lapovertà ha espulso dal loro Paese, sia datoun posto effettivo e dignitoso.L'Italia da Paese d'emigrazione èdiventato Paese di immigrazione; tuttavia,è un Paese europeo e, qualunque siail suo bisogno di manodopera straniera,sarà costretta ad allinearsi con la politicaeuropea, quella del diritto e delle legge.Quanto alla solitudine, ogni essere laporta dentro di sé e l'Italia non susciteràe alimenterà questa desolazione che hochiamato “vivere nell'ombra”. Al contrario,diventerà un Paese accogliente,ospitale e generoso che poi significa profondamentemediterraneo.Pervaso io stesso da quella culturadifferente, ho preferito mantenermi allivello della testimonianza e dell’esperienzavissuta.Nel rapporto osservatore-osservato,mi sono sempre sentito implicato in unprocesso imprevisto e più forte. Non misono mai estraniato da ciò che accadeva.Non ero assente.La mia presenza e la mia esperienzami introduceva nell’interiorità degli altri:non so fino a qual punto mi ci insediassie, di conseguenza, non so più chi osservavachi.Cherqaoui Redounecarte<strong>Bollate</strong> 22


Iniziativa unica a <strong>Bollate</strong>CHI RICORDA, VIVE MEGLIOE PIU’ INTENSAMENTEUN CORSO PER NON DIMENTICARENon siamo per nulla stupiti cheun’iniziativa interessante come ilcorso memoria sia partito proprio daquesto carcere.È ormai risaputo che qui, in questocarcere, si realizzano numerosi progettipilota che poi hanno una cascata positivaper l’intero istituto.Due detenuti“La memoriase vorace eviolenta, è unargomentosquisito”Osvaldo Soriano,scrittore argentinointraprendenti,cogliendo la grandeopportunitàche è stata loroconcessa, hannoorganizzato uncorso autogestitosulle tecniche dimemorizzazione.Gli stessi– Franco Palazzesie Libero Vanutelli– si sono impegnatia metterequesta tecnicaa disposizione ditutti.È importante rilevare, che questaarte, promossa da un grande “mnemonista”,Gianni Golfera, è utile a tutti coloroche desiderano sviluppare la memoria,troppo spesso oppressa dalla carcerazioneo, semplicemente, atrofizzata sia permancanza d'esercizio, sia per l’uso ormaicomune di calcolatrici o elaboratori elettroniciche sostituiscono lo sforzo mnemonico,causando una degenerazionedel ricordo.Quante volte ci siamo trovati davantiad una persona con la precisa sensazioned'averla già conosciuta, ma non siamoriusciti a ricordare chi fosse?Quante altre volte abbiamo cercato,disperatamente, dentro la nostra testa,un numero di telefono, il nome di unlibro o una data? Ah, se solo avessi piùmemoria! Ci siamo detti sconsolati.Eppure non è così, non esistono personeche “ricordano” e altre che “dimenticano”.Siamo tutti dotati di straordinariefacoltà mentali, solo che dobbiamoimpararle ad usarle.Purtroppo, le sfruttiamo soltantoin parte. E allora la soluzione qual è?La risposta è tutta nella“memoria emotiva”.Avete mai notato chele cose che ci sono piaciute,o gli avvenimentiche ci hanno fatto emozionare,non si dimenticanomai?Noi vi spieghiamo ilmetodo, facile e alla portatadi tutti.La prima regolaè quella di abbinareun’emozione ad un datoda memorizzare: s’imprimerànella nostra mentepiù facilmente. In questomodo il grosso dellavoro è fatto.Basterà poi inserire le cartellette congli stessi dati in tanti contenitori benordinati e poi, a loro volta, collocarequesti ultimi nelle “stanze” del nostrocervello.Rifacendosi a metodi antichissimi,semplificati e attualizzati, si svela unastrada per non perdere mai più quel chec’interessa.Perché vivere è ricordare, e chi ricordavive meglio e più intensamente.Ricordare significa essere più brillanti,più colti, più efficienti.Un uomo è tale per come ha vissuto,e per il modo in cui la crescita personaleperdura nel ricordo.Il corso è in svolgimento per i detenutidel sesto reparto, ma presto nesaranno organizzati altri due, uno di basee uno avanzato, riservato a coloro chehanno frequentato il primo corso all'areatrattamentale.Continua da pag. 6coraggio e di dignità e assumersi la responsabilitàdi quanto è accaduto. Ma le regoledel carcere non sono queste. E allora, miperdoni la franchezza, smettete di chiederesempre e solo a noi di cambiare e di farele rivoluzioni. Noi non possiamo rischiaresolo sulla nostra pelle. Ci aspettiamo da chiè costretto a vivere qui per un po’, quel giustosenso di responsabilità che garantisca atutti noi una convivenza civile e pacifica,anche se costretta. Altrimenti, si va indietro,e la sperimentazione resta un’utopia,con il rammarico di tutti, anche il mio.Morire in unasquallida cellaUna domenica come tante. Una domenicad'<strong>aprile</strong>, come altre passate in carcere.Per Oliviero De Moro, 45 anni, non èstata certo una domenica di normale carcerazione.La sera precedente era andatoa dormire, tranquillo, senza problemi edinvece l'indomani mattina, alle 8, i compagnidi cella l'hanno trovato esanime, mortonel sonno, probabilmente per infarto. Unamorte "naturale", senza responsabilità néda parte del carcere, né del tribunale. Ilfurgone mortuario, e la Croce rossa, l'haportato via sotto lo sguardo silenzioso,attonito dei compagni di reparto, senzaclamori come avviene nei casi di morte violenta,senza frastuoni. Solo la quiete dellamorte. Eppure, anche un evento comequesto porta a fare delle considerazioni.Siamo abituati a sentire e vedere mortiviolente all'interno delle carceri. Quandosuccede si discute, si fanno considerazioni,si ricercano responsabilità, tutti elementiche servono per esorcizzare l'evento terribileche abbiamo appreso o assistito.Quando, invece, avviene che un detenutomuore per cause naturali, non c'ènulla da dire e questo silenzio ci spinge afare altre considerazioni. La prima è quellache a tutti noi può capitare la dolce morte.La seconda è una domanda che rivolgiamoa noi stessi: come si può morire così?Come si può morire da solo, senza nessunapersona cara che ti è vicina, nello squalloredi una cella?Invece è possibile. Può succedere achiunque. Quando facciamo i conti deidanni che la carcerazione provoca allenostre vite, mettiamoci anche questo: ilrischio della morte dolce tra le quattromura di una squallida cella.Libero Vanutellicarte<strong>Bollate</strong> 23


UN ESORCISTA ALLASTACCATA FRA DIAVOLI E SUPERSTIZIONEIncredibilmente, all'inizio del terzo millennio,in un mondo tecnologicamenteavanzato, con problemi enormi, dallafame, alle carestie, alle guerre, abbiamoconosciuto un esorcista. E, quello che èpiù incredibile, è che l'abbiamo conosciutoin carcere, alla Staccata.Viviamo in un mondo che si autodefiniscerazionale, illuminista, aperto alprogresso, un mondo dove la ricerca scientificacerca di sconfiggere malattie terribili,eppure non fa nessuna fatica a credereancora al diavolo. Quindi, se si crede aldiavolo, è necessario avere anche l'antidotoe cioè l'esorcista.E così, con molti dubbi e perplessità,sabato 11 <strong>marzo</strong> scorso, ho conosciuto unsacerdote.Si tratta di don Luigi, prete in pensioneda tempo, esorcista "ufficiale" consideratoche l'ha nominato il vescovo.Fisico minuto e sguardo vispo di unoche la sa lunga, don Luigi ha raccontatoalcuni episodi che ha dovuto debellarecome esorcista, come il caso di quellaragazza “posseduta” dal demonio cheprima del trattamento camminava addirittura“ingobbita sotto il peso del diavolo”,bestemmiava e andava facilmentein escandescenza. Durante un'udienza inVaticano, la ragazza, 25 anni, vedendopassare vicino a sé il papa, aveva persol'autocontrollo. Tanto che, anche le famoseGuardie svizzere erano intervenute perplacare la sua furia. Successivamente, inun attimo di calma, il papa in personale aveva consigliato di rivolgersi ad unesorcista.La racconta così don Luigi questavicenda e addirittura afferma che unavolta ha parlato anche con il diavolo ilquale gli ha promesso ricchezze enormise il sacerdote lo avesse lasciato in pace.Naturalmente don Luigi si era ben guardatodall'accettare.Chi si rivolge all'esorcista? “Le personeche ricorrono a me– ha risposto – sonocredenti, perché al diavolo non interessanole altre”.Poi ha sottolineato che anche i terapeutiindirizzano i loro pazienti dall'esorcistae, ha spiegato, che si entra in contatto conil diavolo tramite “la l magia nera, fatture,malocchi, riti malefici ecc.”.Allora Wanna Marchi e compagniaerano attendibili? La risposta è lapidariae secca: “In qualche modo, sì”.Perciò, secondo lei, se ci è antipa-tico qualcuno, possiamo re qualche maleficio? È così semplice?pratica-Don Luigi non ha dubbi nel rispondereaffermativamente e, soggiunge, “conl'aiuto di qualche fattucchiera”. “Conoscoil caso di una ragazza – precisa –il cuimaleficio le era stato procurato dalla suocera.Anche gli sputi e le bestemmie sipossono attribuire a casi di possessione”.Sono molto perplesso. Io sono unapersona di fede, ma sono anche praticoe non credo alla superstizione. Inoltre,so benissimo che le tesi sostenute dadon Luigi non riscuotono l'approvazionedelle stesse gerarchie ecclesiastiche.Le bestemmie, gli sputi e le botte, sisentono e si vedono di frequente in variesituazioni, dalle feste di partito alle partitedi calcio, ma non credo che basti un esorcismoper purificarle.Speriamo che don Luigi non venga,anche lui, considerato un manipolatoreperché, se così fosse, dovrà ricorrere a tuttii mezzi in suo possesso per liberarsene.Franco PalazzesiGiulio SaliernoIn memoria diun amico deidetenutiIl 28 febbraio scorso, a 71 anni di età, ci ha lasciato Giulio Salierno, un intellettuale,un profondo conoscitore del carcere, ma soprattutto una persona che ha saputoindicare a tanti di noi il mondo del carcere, ha saputo spiegarlo questo mondo nellasua interezza, senza snobismi, senza indulgenze e nello stesso tempo con tanta umanitàe passione.La vita di Giulio Salierno è un romanzo. Nato a Roma nel 1935, a 18 anni è unragazzo di estrema destra e finisce coinvolto, durante una rapina, in un delitto. Fuggenella Legione Straniera. Arrestato nel 1954 in Algeria, si schiera istintivamente congli arabi torturati, perseguitati e convive con i condannati a morte. Estradato in Italia,inizia una sua lenta, tormentata conquista di una nuova coscienza sociale e politica,occupandosi di problemi sociali ed economici.In carcere riesce anche a formarsi sui testi classici del marxismo. Graziato nel 1968, mentre la contestazione comincia adalzare la temperatura politica italiana, si batte contro ogni forma di esclusione assieme allo psichiatra Franco Basaglia. Insiemea lui conduce la lotta contro le istituzioni manicomiali e, con altri esponenti politici, tra cui Umberto Terracini, si batte perla riforma del sistema carcerario.Docente di sociologia all’università, Giulio Salerno ha lasciato una sterminata mole di scritti. In particolare vogliamoricordare il libro su cui si sono formati tantissimi volontari delle carceri, appunto “Il carcere in Italia” (1971) e “Autobiografiadi un picchiatore fascista” (1976). Ma poi anche “La spirale della violenza”, “Il sottoproletariato in Italia”, “La violenza inItalia”, “Fuori margine. Testimonianze di ladri, prostitute, rapinatori, camorristi”. Per il teatro ha scritto “La gabbia. Il carcerecome metafora della violenza quotidiana”, interpretato da detenuti.Lo vogliamo salutare pubblicamente e ringraziarlo per tutto quello che ha fatto per tutti noi.carte<strong>Bollate</strong> 24


“LA BEAUTÉ EST ENCORE DANS LA RUE”(La bellezza è ancora nella strada)Vogliono imporre il precaricato. I giovani francesirispondono decisamente per progettarsi il futuroLa gioventù francese, da circa un mese,sta ricreando nell'immaginario collettivoeuropeo quel clima di generalizzazionedella protesta studentesca creatasi nelMaggio 1968.Tale revival, ahimè, rappresenta unacostruzione politica estremamente forzata,frutto della stereotipizzazione iconograficapropinata dai mass-media.Vi è, infatti, una sostanziale differenzatra le motivazioni che spinsero in piazzai "sessantottini" d'Oltralpee l'universo giovanile che hamesso al muro il primo ministrofrancese Dominique DeVillepin: la generazione delMaggio parigino chiedeva ildiritto a poter sognare, la generazionedel <strong>marzo</strong> 2006 chiedeil diritto a poter vivere.Ad oggi circa 68 delle 85università francesi sono ufficialmenteoccupate dagli studenti,con la conseguente paralisi delladidattica, in contrapposizioneall'applicazione della nuovalegge che regolamenta i contrattidi prima assunzione.Il Cpe (Contract PrèmierEmbauche) fortemente volutoda Villepin istituisce un periododi prova lungo 2 anni conlicenziamenti senza giusta causae senza indennità di disoccupazione,per i giovani al di sottodei 26 anni.La protesta contro il Cpe,presto rinominato goliardicamente"Contract Precarité Eternelle", èstata in grado di creare un movimento controla precarietà "en general" che ha oltrepassatole linee di confine tra le università,le scuole e le banlieues (le periferie).Infatti, tra le richieste di tale movimentocreatosi autonomamente e dal basso,non vi è solamente il ritiro o l'abrogazionedel Cpe, ma anche di tutta la legge,paradossalmente chiamata "sulle egualiopportunità", fatta per le banlieues che sirivoltarono contro le politiche dell'Eliseo ilnovembre scorso.La posta in gioco, secondo l'Unef(principale organizzazione studentesca) èil diritto d'esistenza, la possibilità per igiovani di costruirsi un futuro.In effetti quale banca consentirebbe unmutuo per la casa ad una persona che puòessere licenziata in qualsiasi momento?Quale proprietario d'appartamentoconcederebbe un contratto d'affitto adun giovane che non può dimostrare unreddito garantito? Come si può desiderared'avere figli in una simile situazionedi precarietà economica? E gli studentilavoratori,con che tranquillità possonoproseguire gli studi senza aver la certezza dipoter riuscire a pagare la retta successiva?Queste sono alcune delle più che legittimedomande urlate a squarciagola nei cortei enelle assemblee dagli studenti e dall'interasocietà civile francese.carte<strong>Bollate</strong> 25Una parte considerevole dei mezzi dicomunicazione, megafono del partito conservatoredi Villepin, tendono ad argomentarela "elevata pericolosità sociale"di alcuni manifestanti che si sono accaniticontro i cordoni delle forze dell'ordine.Pur non condividendo particolarmentele pratiche espresse da questa "minoranza"credo che non ci sia da stupirsi se ormai lagente sia diventata così violenta contro sestessi, gli altri o il mondo.Questa generazione non ha più lapossibilità di progettarsi un futuro inquesto contesto che la lascia sempremeno capace di trasformare i suoiistinti o pulsioni in progetti che utilizzanol'energia per la realizzazionedi opere umane socialmente utili.Questa impossibilità pesa inmodo più gravoso sui giovani perchéhanno allo stesso tempo più energiae meno futuro.Senza la possibilità di un divenireattraverso il progettarsi un futuro,l'umanità come tale non può esistere.Come è possibile costruirsi unavvenire dignitoso con una legge diquesto tipo?L'energia, l'immaginazione, lafantasia coinvolti per l'elaborazionedi una vita sono annichiliti o dispersisenza che possano divenire creativitàcostruttiva.L'insegnamento francese ha scavalcatole Alpi, ricordandoci che laglobalizzazione non è un'esclusivadei capitali, ma anche delle proteste.Andrea DascanioUltima oraIl presidente francese Jaques Chirac,ha deciso di sostituire il Cpe, il contrattodi primo impiego. La lotta unitaria, ancorauna volta, paga!


L’ISOLA DEI FAMOSIAscoli: : anziché stare con i parentipreferisce il carcere"Piuttosto che stare chiuso in casa con voi ritorno in galera!".Magari non glielo avrà detto espressamente ai suoi genitori, ma dicerto l'ha pensato e, soprattutto, l'ha fatto.Federico, 28 anni, sanbenedettese, una vita difficile alle presecon problemi di droga, ieri mattina ha abbandonato la casa deglizii ad Osimo dove si trovava agli arresti per ordine del Tribunaledi Ascoli e si è presentato al commissariato di San Benedetto. Agliincreduli poliziotti ha detto: "Sono evaso dai domiciliari, per cuidovete riportarmi in carcere".E pensare che dal penitenziario ascolano era uscito non più diuna settimana fa e vi era stato rinchiuso per una ventina di giorni.E così, accompagnato dai poliziotti che lo hanno arrestato perl'evasione, Federico ieri pomeriggio ha varcato il pesante cancellodel carcere di Marino del Tronto.Una storia che sorprende visto che solitamente chi sta in galeraha un unico desiderio, uscirne al più presto. Federico invece ierinon desiderava altro che tornare in una cella del supercarcereascolano, poco importa se piccola, sovraffollata e dalla quale il sole,quando c'è, si può vedere, come si suol dire, solo "a quadrucci".Perché? All'origine della decisione ci sarebbero i rapporti difficilicon i familiari. Nella casa degli zii ad Osimo c'erano infatti anchei suoi genitori e con questi evidentemente qualcosa non ha funzionato.Il giovane sanbenedettese era stato arrestato circa un mese faperché trovato in possesso di eroina. Dopo una ventina di giorniil giudice Annalisa Gianfelice aveva accolto l'istanza di scarcerazionepresentata dall'avvocato Umberto Gramenzi. Il magistratoascolano aveva disposto per lui la detenzione domiciliare a casa deiparenti ad Osimo con la possibilità di uscire tutti i giorni dalle 9alle 12 per andare al Sert.Il Messaggero, 21 febbraio 2006Verona: detenuto albanese trasferitoal posto di un altroLo hanno fatto uscire dalla cella del carcere di Montorio perchéa Venezia lo stavano attendendo i giudici del tribunale del riesame.Ma il detenuto albanese ha tentato subito di spiegare agli agentidi polizia penitenziaria che c'era un errore: "Non sono io quelloche deve andare a Venezia". Ma gli agenti non potevano fare nulla:avevano l'ordine di far uscire Arben, un nome di battesimo ugualeall'altro detenuto, quello giusto, che aveva presentato il ricorso aVenezia.Così, l'Arben "sbagliato" è salito sul pullmino insieme conquattro indagati arrestati per spaccio di droga con il "vero" Arbene anche loro, quando hanno visto che sul mezzo c'era uno sconosciuto,hanno tentato di dire agli agenti che si stavano sbagliando,che quell'uomo non era il loro coindagato.Niente da fare. Dopo un viaggio di centoventi chilometri eil trasferimento nel palazzo di giustizia, Arben è rimasto per treore nella gabbia del bunker, in attesa che arrivasse il suo turno. omeglio, quello dell'altro detenuto, e di poter dire ai giudici, nellasperanza di essere preso sul serio, che lui con quell'udienza nonc'entrava nulla. Il suo momento è giunto a mezzogiorno e mezza.Quando l'ha visto, l'avvocato Luca Tirapelle che difende l'altroArben, ha chiesto spiegazioni. In aula ci sono stati minuti d'imbarazzo.Anche i magistrati hanno iniziato a fare domande: "E alloralei chi è?". Lui ha risposto che da ore ce la stava mettendo tuttaper evitare quel pasticcio e che nessuno aveva voluto credergli. Perquesto equivoco, l'udienza stava per andare all'aria perché mancavail detenuto Arben che aveva fatto richiesta di essere presentea Venezia. È un suo diritto assistere al procedimento e, di conse-guenza, anche gli altri quattro indagati erano sul punto di doverrinunciare alla discussione sulla richiesta di scarcerazione. Invece,il "vero" Arben, attraverso l'avvocato Tirapelle, ha fatto arrivare difretta e furia un fax dal carcere di Montorio con il quale rinunciavaa presenziare all'udienza.Il tribunale ha così potuto esaminare i ricorsi, mentre l'altroArben ha atteso pazientemente fino alla fine. Poi, è nuovamentesalito sul pullmino che l'ha riportato a Verona.L'Arena di Verona, 9 <strong>marzo</strong> 2006Roma: : va all'ospedale,lo arrestano per evasione dai domiciliariAgli arresti domiciliari per una forte crisi ansioso-depressiva,è stato arrestato per evasione e condotto di nuovo in carcere peressersi recato al Centro di Igiene Mentale per le cure del caso,nonostante avesse le autorizzazioni necessarie.Protagonista della vicenda – segnalata dal Garante Regionaledei diritti dei Detenuti Angiolo Marroni al magistrato diSorveglianza di Roma – un uomo di 32 anni residente a Segni,Pietro M., ora rinchiuso nel carcere di Velletri.Dal 3 agosto del 2005 a Pietro M. sono stati concessi gli arrestidomiciliari. Al verificarsi di crisi depressive l'uomo, per disposizionedel magistrato, ha la facoltà di recarsi al Centro di IgieneMentale (Cim) di Segni, previa segnalazione ai carabinieri delpaese. Lo scorso 24 gennaio, dopo una forte crisi, Pietro M. haavuto la necessità di andare al Centro, ha telefonato alla stazionedei carabinieri di Segni. Non rispondendo nessuno, la chiamataè stata trasferita alla compagnia dei carabinieri di Colleferro che,secondo quanto raccontato dallo stesso detenuto, lo avrebberotranquillizzato dicendogli che si sarebbero occupati di avvertirei colleghi di Segni."Ma così non è stato – ha detto il Garante Angiolo Marroni–. Pietro è stato raggiunto dai carabinieri al Cim, dove gli è stataverbalizzata l'evasione e la revoca dei domiciliari. A segnalarci ilcaso sono stati gli agenti di polizia penitenziaria di Velletri, preoccupatidello stato psicofisico del detenuto.“Spero che chi di dovere possa, al più presto, valutare quantoaccaduto e ripristinare gli arresti domiciliari. Qui è in gioco lavita di un uomo, che non può essere segnata da una mancatacomunicazione o da un disguido burocratico”.Garante Regionale detenuti, 14 <strong>marzo</strong> 2006carte<strong>Bollate</strong> 26


Genova: : ex gangster torna in carcereper un furto di 25 anni faNegli anni '70 e '80 era stato un gangster di primissimopiano, ma adesso per racimolare qualcosa doveva lavorare comelavascale. E probabilmente ha scosso la testa, quando i poliziottilo hanno arrestato per fargli scontare quattro mesi di carcerecon l'accusa di furto.Perché Luigi Aversano, 53 anni, potrebbe raccontare unpezzo di storia criminale genovese: amico e complice di CesareChiti, il “boia delle carceri”, luogotenente di Marietto Rossi,e poi coinvolto nell'inchiesta sul sequestro di Sara Domini e"pentito" dopo la morte di Luigi Torchia, rapinatore ucciso ebruciato nelle campagne di Mornese.Più recentemente era stato protagonista dell'aggressione aun uomo cui addebitava di averlo contagiato con un virus; unastoria vissuta quando ormai era uscito dal giro e le prime paginedei giornali, gli inseguimenti, le sparatorie, i maxi-processi e leurla dalla "gabbia" erano un pallido ricordo.Aversano, che negli ultimi tempi aveva abitato in un palazzonepopolare sulle alture di Rivarolo, aveva l'aspetto dimesso ehanno persino stentato a riconoscere in lui il protagonista dellarivolta a Marassi durante la quale furono sequestrate cinqueguardie, o il criminale indagato per favoreggiamento nell'assaltoai carabinieri (uno, Ruggero Volpi, morì durante il conflitto afuoco) che permise a Cesare Chiti di evadere e seminare altroterrore.Ci vorrebbe un'antologia, forse, per raccogliere le sue confidenzesui banditi – alcuni sfiorati dal terrorismo rosso – chemisero a ferro e fuoco la Liguria e non solo.Una storia di sangue, romanzesca e irripetibile, che lui stessoaveva deciso di cancellare con un improvviso pentimento nel1987. "Vorrei rifarmi una vita", ripeteva ai giudici. E però ilpassato, anche i suoi frammenti più piccoli, ritorna sempre.Secolo XIX, 16 <strong>marzo</strong> 2006Roma: : evade, ma solo per tornarein carcere in GermaniaNon è una storia stile banda bassotti in cui un detenuto,armato di cucchiaio e pazienza, scava un tunnel che sbuca nellacella vicina.Giacinto Corbo, un siciliano di Canicattì emigrato inGermania, è il protagonista di un paradosso giudiziario chelo ha portato ad evadere per tornare in carcere. L'incredibilevicenda – diffusa oggi dal Tempo – risale a cinque anni fa, masolo oggi la notizia diventa di dominio pubblico.Tutto è iniziato vent'anni fa quando Corbo, allora 18enne,decide di partire per raggiungere il fratello che si trova inGermania già da qualche anno. Appena arrivato in un sobborgodi Francoforte, le cose cominciano a girare per il meglio:raggiunto il fratello, Giacinto trova un lavoro. Purtroppo unasera il giovane siciliano si ritrova coinvolto in una discussionecon due ubriachi molesti che presto degenera in rissa, durantela quale uccide uno dei due ubriachi e viene ferito a sua volta.La polizia lo arresta e lui confessa addossandosi tutta la responsabilità.Il processo si conclude con una condanna all'ergastolo,ma la legislazione tedesca prevede la possibilità, per il Tribunaledi sorveglianza, di stabilire quando far uscire un detenuto cheabbia scontato almeno 15 anni. Corbo aveva buone possibilitàdi essere rilasciato dopo 18 anni.Grazie alla Convenzione di Strasburgo che prevede per idetenuti in carceri europee la possibilità di scontare la pena nelproprio Paese natale, nel 1999 si apre la possibilità di tornarein Italia dopo 13 anni di carcere. Ovviamente Giacinto accetta,ma una volta a Rebibbia gli agenti gli comunicano che in Italiala pena viene commutata in un normale ergastolo. Gli appelli egli scioperi della fame non servono a nulla e durante una licenzapremio decide di tornare in Germania perché, in base alla stessaconvenzione, un detenuto evaso e riarrestato deve tornare alcarcere d'origine.Così Corbo lascia passare la mezzanotte dell'ultimo giornodi permesso e si ripresenta al carcere di Diez. I tedeschi, stupìti,lo arrestano. La condotta in carcere è impeccabile, tanto che traun paio di anni Giacinto sarà definitivamente scarcerato, ma lapantomima non è ancora conclusa. Dall'Italia fanno sapere cheper la legge il siciliano è ancora ricercato e appena varcherà ilconfine sarà arrestato."Sono pronto ad affrontare un secondo processo in Italia– dichiara Corbo durante un'intervista telefonica – ma vogliofarlo da uomo libero, come prevede il codice penale per l'evasione,grazie a quella libertà che avrò guadagnato con oltrevent'anni di galera".Roma One, 17 <strong>marzo</strong> 2006Napoli: : 81enne evade dagli arresti domiciliarie torna in carcereCastel Volturno. Territorio caratterizzato da forti contraddizionied infiniti paradossi, è anche il paese dei detenuti agliarresti domiciliari. Negli appositi registri della sola stazione deicarabinieri di via Cavour sono un centinaio quelli che hannoeletto in zona il proprio domicilio per beneficiare di questamisura detentiva.E in quella lista, fino a ieri, c'era anche Raffaele Cardone, 81anni, condannato a sei anni dal tribunale di Bari per reati legatial contrabbando e che, data l'età avanzata, era riuscito a ottenereappunto i domiciliari. C'era, perché da ieri Raffaele Cardonesi trova nuovamente rinchiuso nel carcere di San Tammaro.Il nonnetto, infatti, è evaso ed è stato sorpreso dai carabinierinei pressi dell'ufficio postale di Soccavo, suo vecchioquartiere di residenza.Adesso il giudice dovrà decidere se lasciarlo in carcere oconcedergli nuovamente i domiciliari. Ma il nonnetto a quantopare, è refrattario a questo tipo di misura detentiva.Già l'anno scorso, infatti, evase per andare a trovare dei vecchiamici a Napoli e fu sorpreso dalle forze dell'ordine mentrescendeva da un autobus di linea. E ieri, come allora, si è giustificatoalla stessa maniera: "Non posso continuare a vivere conmia figlia, ho bisogno di indipendenza".Il Mattino, 25 <strong>marzo</strong> 2006carte<strong>Bollate</strong> 27


L’ATM E GLIEX BURLONI DELL’ART. 21Vi ricordate le lettere pubblicate dal nostro giornale, nel numero scorso, a propositodel servizio, o meglio del disservizio dell’Atm (Azienda trasporti milanesi)?In quell’occasione, alcuni detenuti in articolo 21, si lamentarono, in manierasimpatica, con il funzionario della stessa azienda, Luigi Fojeni, delle carrozze, freddee fatiscenti.Ebbene, quasi incredibilmente è arrivata una risposta succulenta che vi vado aricopiare senza nulla tralasciare, neppure l’inflazione delle maiuscole e, come nellealtre, lascio a voi le considerazioni che riterrete più opportune.F.P.Gentili Signori,Vi scriviamo in seguito alle Vostre comunicazioni fax, inerenti alla linea tranviaria"19", pervenuteci in data 06,15 e 28 dicembre 2005.In merito alle problematiche d'esercizio da Voi rilevate, Vi informiamo che le Vostreosservazioni sono state inoltrate al Settore aziendale responsabile della gestione dellelinee di superficie che, tramite la Sala operativa, sorveglia in modo costante e in temporeale l'andamento dell'intera rete di trasporto. Ciò consente, in particolari contesti,di effettuare rapidi interventi per la soluzione di specifiche situazioni, evitando disagiaggiuntivi alla Clientela.Purtroppo può capitare che, nonostante i crescenti sforzi da parte di ATM per evitareogni disagio, si verifichino comunque dei disservizi. ATM continuerà ad impegnarsiattivamente per ridurre sempre di più la frequenza di tali inconvenienti.Inoltre Vi indichiamo che è stata nostra cura sollecitare un monitoraggio della lineain oggetto, al fine di garantirne la regolarità.Nel contempo, Vi comunichiamo che ATM, attenta alle esigenze dei propri Clienti,investe di continuo per migliorare la qualità del servizio offerto.L'Azienda, infatti, ha dedicato ingenti risorse al progressivo rinnovo del parco veicoli,attraverso l'acquisizione di mezzi più accessibili, più confortevoli ed ecoefficenti;contestualmente all'inserimento delle nuove vetture, sarà avviato un piano di gradualesostituzione dei tram più datati attualmente in servizio.Con l'occasione, ci preme farVi sapere che l'ATM considera l'informazione e lacomunicazione ai Clienti due fattori fondamentali per creare valore aggiunto e, quindi,per offrire un servizio di qualità.L'Azienda riceve quotidianamente molte comunicazioni da parte dei propri Clientiche, attraverso lettere, e-mail, fax o telefono, chiedono informazioni, sporgono reclamio semplicemente suggeriscono proposte per il miglioramento del servizio di trasporto.Per gestire i rapporti diretti con i Cittadini, ATM ha predisposto una serie di canalicomunicativi e informativi, rendendo operativa un'apposita struttura, la RipartizioneRelazione con i Clienti, che: cura la ricezione e la risposta a tutte le segnalazioni della Clientela; per le comunicazionipervenute in forma scritta, ATM si impegna a rispondere entro 25 giornilavorativi dalla data di ricevimento presso la Ripartizione Relazioni con i Clienti. trasmette le informazioni ricevute dalla Clientela agli altri Settori aziendali all'internodi ATM; garantisce il rispetto degli standard di risposta ai Clienti attraverso la gestione delproprio team; gestisce il flusso di informazioni che ogni giorno vengono fornite al call centerCordiali saluti.Franco e Lino,artisti della ceramicae della terracottaDopo l'atelier del maestro Sindoni, illaboratorio artistico del vetro di SantoTucci e la saletta hobby dove GiovanniRinaldin, chiamato simpaticamente"Nanun", costruiva i suoi famosi galeoni,oggi abbiamo incontrato Franco Brunettie Lino Faggiani, due giovani detenuti ubicatial primo reparto.I giovani artisti si sono insediati in unpiccolo locale che hanno adibito a laboratorioper la modellazione di suppellettili,vasi in ceramica e terracotta. L'arte dellalavorazione e trasformazione del materialein oggetti artistici, è stata appresa nel carceredi Busto Arsizio durante il periodo cheli ha visti ospiti.I manufatti non si possono ancoraammirare nella loro completezza per lamancanza di un forno che possa permettere,dopo averli decorati, di fissare con lagiusta cottura ciò che l'artista intendevaesprimere.La mancanza di quel forno, che èbasilare per la finitura dei manufatti, nonha bloccato i due nostri compagni, ma liha spronati a improntare diversi pezzi chesperiamo restino per poco in attesa dellatanto agognata cottura.Ammirata la lavorazione greggia diqueste suppellettili, possiamo avanzare concertezza l'ipotesi che sarà un altro fioreall'occhiello per il reparto e di riflesso perl'istituto.Auspicando di ammirare al più prestola completezza nella lavorazione, auguriamoa questi nostri compagni un buonlavoro.carte<strong>Bollate</strong> 28Il FunzionarioLuigi Fojeni


CommissioneculturaGrazie all'efficace lavoro svolto dallaCommissione cultura in questi ultimidue mesi, si sono potute, finalmente, sistemarele lavasciuga nei reparti, ottenere la verniceper imbiancare e organizzare diversi concertitra cui uno di jazz, un altro di Gospel con 25voci e il concerto di Baiardi.Oltre a ciò, un maestro di canto delConservatorio sta eseguendo audizioni neidiversi reparti, con lo scopo di creare uncoro folk. Al momento, c'è anche un granfermento di concorsi da quello di poesia edrammaturgia, ai corsi di yoga e ancora dipoesia. Quest'ultimo sarà tenuto da un poetae maestro d'arte. Il gruppo più attivo è, senzadubbio, quello dell'associazione Cuminetti.I loro rappresentanti propongono sempreiniziative molto valide. Le prove più significativesono la risistemazione della bibliotecacentrale e di quella "on line".Questa efficienza dimostra la volontà difare funzionare tutto nel migliore dei modi,utilizzando le persone adatte nel posto giusto.Per quanto riguarda i progetti già realizzati,sono da segnalare gli incontri nei reparticon gli avvocati e i volontari dello sportellogiuridico.Questo momento, tanto auspicato dalladirezione, è stato particolarmente utile, siaper il tema trattato, che per le informazionifornite ai detenuti. Altrettanto interessantee divertente è stato il corso, appena svolto,studiato per esercitare la memoria. Presto neseguirà un altro, ma ad un livello avanzato.Fra le novità in "lavorazione", certamenteimportante il collegamento con Sky-tv.Il canale, si potrà vedere in tutti i repartiattraverso un circuito televisivo interno. Sipotranno, quindi, vedere tutte le partite dicalcio dei prossimi mondiali. Un'altra novitàè quella, sostenuta anche dalla direzione,di montare dei telefoni a scheda prepagatache permetteranno di effettuare telefonate ainumeri autorizzati.Per concludere, visto il grande coinvolgimentoe successo finora ottenuto, auguriamobuon lavoro, a tutti i membri della commissione,nella speranza che sia sempre svoltoun lavoro proficuo e d'interesse comune, permigliorare la qualità della vita carceraria.SPIGOLATURE CARCERARIEdiFranco Palazzesi…La scuola, leassenzeCi stiamo avviando verso la conclusionedell'anno scolastico e sembra che tuttofili liscio. La direttrice ha trovato un lavoroagli studenti che ancora non l’avevano, dasvolgere al di fuori dell’orario scolastico.Lavorare di mattina e frequentare la scuoladi pomeriggio, mi sembra una buona soluzione,altrimenti, se gli impegni si sovrappongonoè un peccato dover rinunciare auno dei due. Nel mese di <strong>marzo</strong>, la professoressaFernanda Tucci, coordinatricedella scuola, ha convocato tutti gli studentiper ascoltare le problematiche, le richiestee i suggerimenti di ciascuno con lo scopodi migliorare questo servizio. La Tucci haaffrontato anche il problema dell'assenteismoche, pur essendo "fisiologico" inquesto periodo, andrebbe risolto.Le cause dell'abbandono possono esseremolteplici come, per esempio: aspettativedeluse, calo di concentrazione, liberazioni,oppure reazioni emotive del tipo "ma chime lo fa fare", visto che non ottengo niente,oppure "non mi serve a nulla".Credo fermamente, invece, che l'andarea scuola sia un arricchimento personale,svincolato da tutto il resto.Tuttavia, secondo me, per risolvere ilproblema della dispersione scolastica, ladirezione potrebbe incentivare gli studenti,concedendo loro delle "corsie preferenziali"più snelle per ottenere le sintesi o altribenefici. Rinvigorire l'attività scolasticacon iniziative nuove e interessanti, sarebbeutile, ma credo che le stesse verrebberoapprezzate solo dagli "habitué", mentrenon sarebbero, comunque, attraenti per i"disertori". Frequentando la scuola da dueanni, ritengo che, pur essendo migliorata,dovrebbe offrire un sistema parallelo difrequenza = benefici per mantenere glistudenti "agganciati" fino alla fine.----------Si ringrazia per la donazione dei libridi testo:LibreriaDani 2000 srlEditrice Ghisetti e CorviAgenzia editoriale Arché snccarte<strong>Bollate</strong> 29 0I bravi esternidella StaccataIn questa rubrica, da questo numero,voglio proporvi le brave persone esterneche vengono in Staccata; ce ne sonomolte, una meglio dell'altra e tutte conun unico scopo: fare del bene, aiutare inqualche modo i detenuti.Oggi, comincio a parlarvi di NazarenoPrenna, l'allenatore della squadra di calcio;lo vedo qui quasi tutte le domenichea prendere i suoi "ragazzi" per portarlialla partita.È passionale, motivato; con grandeslancio lo vedo dare gli ultimi consigli aisuoi giocatori prima dell'incontro. Nellasua frenetica attività di allenatore sembrache dimentichi tutto il resto. Il suo tempolibero è per la maggior parte dedicato alcampionato e quando raggiunge buonirisultati glielo si legge in faccia ancoraprima che parli.La sua passionalità la trasmette conl'entusiasmo, con la contestazione, conl'incitamento; per lui è primario su tuttoil "far bene" per i detenuti, perché credeche il reinserimento nella società avvengaanche attraverso l'educazione sportiva,grazie a una sana competizione. È schiet-to nell'esprimersi, ti dice come la pensasenza tanti fronzoli e la sua filosofia è:impegno uguale risultato.Una bella persona che noi tutti siamoorgogliosi di ospitare qui in Staccata,e alla quale auguriamo di continuarea impegnarsi nello sport e a darci unamano a "crescere", perché questo è possibileanche attraverso persone comeNazareno.Più di 3000 €sottoscritti daidetenuti perTommy


I FURBETTI DELLA LOTTERIATelevisioni e giornali ci hanno fatto vedere e ci hanno raccontatodelle interminabili code davanti agli uffici postalidi tutta Italia. Code all’addiaccio che hanno interessato gli stranieriche volevano farsi regolarizzare. Code cominciate giorniprima, con gente che per non perdere il posto ha dormito perstrada.Una vergogna! Ma come si fa a conciare le strade in questomodo?E poi questepersone hannomangiato lì,davanti agli ufficipostali, hannosporcato la strada,gozzovigliando,facendo fracasso,VALLE D’AOSTA 575 LOMBARDIA 16.570 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO 8.555PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO 2.955PIEMONTE 11.950urlando, discutendoanimatamenteper la fila,per il posto. Ma perchénon stanno a casaloro invece di perderetempo davanti allePoste. I soliti buontemponisi sono lamentati del governoper aver costretto centinaiadi migliaia di immigrati astare in fila per giorni. Perfortuna qualche pensatorelibero e colto esiste. Adesempio il leghista ex ministroRoberto Calderoli chein modo illuminato ha sottolineatoche “tutti i giornigli italiani fanno la coda” daqualche parte.Ben detto! Infatti anch’io sonoLIGURIA 4.015TOSCANA 10.950UMBRIA 2.615SARDEGNA 1.820LAZIO 14.760andato a Saint Moritz a sciare e ho dovutofare la coda per prendere lo skilift. E poi ilministro dell’Interno Pisanu che giustamente se l’èpresa con la sinistra perché ha fatto le sanatorie, mentreil suo governo no ed anche il grande, ineffabile, magnificoministro Roberto Castelli che però se l’è presa con il collegaPisanu: “Spiace dirlo, ma la colpa è di chi doveva fare rispettarela legge Bossi-Fini e non lo ha fatto”. È vero. Come dice RobertoMaroni, intanto che erano in fila, visto che sono tutti clandestini,si poteva arrestarli.Le domande sono state più di 500 mila per 170 mila postidisponibili. Una riffa. L’Italia è il Paese delle lotterie e questa èuna delle tante. Perché lamentarsi? Mi fanno ridere le organizza-zioni di volontariato e i semplici cittadini che hanno portato ainegri generi di conforto. È vero, non tutti erano negri, ma perme sono tutti negri, gente che viene nel nostro Paese a delinquere,a stuprare, gente che non ha voglia di lavorare e non sapendocosa fare vive due giorni davanti alle Poste.Sono dei furbetti. Non del quartierino, ma della lotteria.FRIULI VENEZIA GIULIA 6.885VENETO 19.765EMILIA ROMAGNA 24.435MARCHE 3.500CAMPANIA 7.040ABRUZZO 3.845BASILICATA 2.520SICILIA 4.220Quello che non si diceCALABRIA 2.505MOLISE 970PUGLIA 5.390diA.T.Hanno trovato così il sistema di mangiare senza lavorare. I problemiveri ce l’hanno, invece, chi sgobba tutto il giorno e perdereddito. Pensate, ad esempio, al signor Silvio Berlusconi che havisto il suo reddito personale diminuire, tra il 2003 e il 2004 diben 9 milioni di euro. Questo dato mi ha messo in ambascia. Ecosì ho cercato di documentarmi perché ero molto preoccupatodella sua sorte economica. La ricerca è andata a buon fine eoggi sono un po’ più rinfrancato.L’impoverimento nonè a causa della crisi economica,ma l’effetto dellanuova legge sulla tassazionedelle rendite finanziarie:nel patrimonio non vanno piùannoverati i dividendi di azionirelative a società nelle quali sipossiede una partecipazione nonqualificata. Sono computati solo per il 40per cento, invece, i guadagni concernentiuna posizione maggioritaria nelle impresequotate. Questo mi ha tirato un po’ su. Eancora di più quando ho appreso che nel2005 le otto società che controllano laFininvest (la cassaforte di Mediasetdella quale Berlusconi possiede4.294.342 azioni) hannochiuso il bilancio con 172,9milioni di euro, che si sonotradotti in 141 milioni didividendi a fronte dei 79intascati nel 2004.Di tutto ciò, di questoprimato di profitti, nel 740del premier (consultabilecome tutti quelli degli altriparlamentari) non c’è traccia. E aproposito di parlamentari, un altroche se la passa bene è il senatore diAn Giuseppe Consolo che ha dichiarato3.288.292 euro, un paio di milioni in più diMarcello Dell’Utri. Il paperone del centro-sinistraè, invece, Clemente Mastella con 233.916euro poco più avanti di Piero Fassino con 170mila. Fra il presidente del Senato e quello dellaCamera vince Marcello Pera che batte con 15 mila euro in piùPier Ferdinando Casini che dichiara 210 mila euro di imponibilementre Giulio Andreotti ne dichiara 471 mila euro. Il più “povero”è Giovanni Rainisio della Quercia che denuncia 90 mila euromentre Enrico Boselli 114 mila. I più ricchi, comunque, siedononei banchi del centro-destra. E per lo più sono gli avvocati diSilvio Berlusconi (Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella) a riprovache fare l’avvocato è un bel mestiere.Soprattutto quando si trovano i giusti clienti. In questomodo le code non si fanno. Non solo davanti agli uffici postali,ma neppure davanti agli skilift di Saint Moritz.carte<strong>Bollate</strong> 30 0


Vivere attraverso la luce la magia dei sogniRealizzazione di oggetti in vetro artistico contecniche TiffanyLampade, vetrate in legatura a piombo, oggettisticadi ogni genere, piatta, con rilievo e tridimensionaleParalumi, mosaici, specchiere, corniciLampade in carta e tessuto vetrificato e colorato,realizzate con prodotti naturali, cellulosa e fibre,e montate su vasi di rame o ottoneSculture in vetro su spirali in ramesempre diversificateInterpretazione di modelli stile liberty-florealeArte sacra: restauri e progettazioneI lavori artistici sono eseguitida Santo Tucci presso laII Casa di reclusione di Milano – <strong>Bollate</strong>Per informazioni e acquisti rivolgersi all’associazione“Incontro e presenza”, Sandra MacarioTelefono 338 6727015

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