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marzo-aprile - Carte Bollate

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sarebbe una mera violenzarepressiva, un abuso.Un motivo della negativitàdell'esperienza istituzionale,sta nell'isolamento dalcontesto sociale più ampio.Solo se la pena è strumentodi aiuto e di incontroai bisogni, unita ad un contestoeducativo, relazionale,propositivo, progettuale,affettivo, avrà una qualcheutilità; in caso contrario saràbrutalità istituzionalizzata econgegno di vendetta popolare.Il carcere, visto sottoogni prospettiva è la rappresentazionedeformata dellarealtà esterna, deformata ed enfatizzatae questo vale anche sotto il profilo delleemozioni, dei sentimenti.Il carcere, specie il carcere modernoe contemporaneo, grazie alla televisionenon è più un mondo a sé stante, è unmondo che si nutre delle stesse informazioni,degli stessi programmi televisivi,quindi delle stesse aspirazioni o culturedel momento che vive la società esterna,non come dire, precipitate e cristallizzatein un tempo immobile e in un luogo fisicoridotto. Tutto ciò appunto, può diventareanche esplosivo, ma è sicuramente,una deformazione della realtà.Queste deformazioni cambiano l'individuo?Possono migliorare una personache per qualche motivo si trova a doverscontare una pena? In linea generale iopenso che tutti gli individui cambino. Nelsenso che l'esperienza, la vita e le relazionicambiano ognuno di noi, che sia libero orecluso.Anche da questo punto di vista valeil discorso che in una situazione assairistretta dal punto di vista fisico, maanche dalla possibilità di relazione tenda acristallizzare la persona e quindi a ridurneanche la sua capacità socializzante.Forse uno dei luoghi comuni che sihanno sul carcere è che il carcere puòessere, proprio perché costringe ad unariflessione, anche ad un lavoro interiore,un luogo come dire che favorisce il cambiamentopositivo delle persone. Io credoche non sia affatto vero, credo che chicambia positivamente dentro il carcere lofa nonostante le istituzioni. Le modalitàin cui si svolge la vita all'interno dellecarceri possono cambiare solo in peggiole persone; è un duro lavoro di resistenzaprobabilmente che si fa in carcere pernon essere incattiviti o per non essereschiacciati.Sicuramente credo che dipenda deglistrumenti culturali e personali che ognunoha come proprio bagaglio, ma credoche dipende poi anche dalle opportunità,ed eventualmente dalla fortuna di avere,durante il periodo di detenzione, dei riferimentiaffettivi o di altro genere anchecon l'esterno.Chi vive solo nel carcere e solo delcarcere, sicuramente rischia di isterilirsida un punto di vista appunto, emotivo edelle capacità di cambiamento. E questoè un po' però anche il nocciolo vero e ildramma della questione penitenziaria.In carcere, al 90%, ci sono persone chevivono dei deficit strutturali, economici,materiali, familiari, quindi chi entrain carcere è già una persona povera dirisorse da questo punto di vista e mitrova d'accordo con quanto esternato inun suo intervento televisivo la dottoressaCastellano su questi temi e cioè che ilcarcere, nella stragrande maggioranza deicasi, rischia di schiacciare queste persone.Certo, ci sono piccole realtà all'internodi questo pianeta e <strong>Bollate</strong> ne èuna testimonianza. Realtà come quella diquesto carcere che offrono diverse opportunitàa persone che non ne hanno maiavute e che qui potranno sfruttare, daicorsi di formazione, ai corsi scolastici, agliincontri con i volontari. Per molti, tuttoquesto è un’opportunità che non hannomai avuto perché cresciuti in qualchequartiere degradato di qualche periferiao al Sud. Purtroppo, però, questo noncarte<strong>Bollate</strong> 16è generalizzato. Spesse voltemi è stato chiesto se il carcererieduca i detenuti. Ebbene,credo proprio di poter direche non si può rieducare chinon è stato mai educato. Insintesi, è il discorso che dicevoprima: chi ha dei deficit allespalle proprio per le ingiustiziesociali, per i meccanismi diesclusione sociale che vivonoall'esterno, ben difficilmenteil carcere può supplire a queitipi di percorsi e di risorse,di opportunità che sono statenegate, anzi, dal mio punto divista e venendo al piano personale,io non credo di esserestato educato né rieducato dalcarcere.In questo luogo ci sto da più di trentaanni e credo di essere profondamentecambiato nonostante il carcere. Il carcereè veramente una macchina che schiacciale persone al di là delle singole buonevolontà che possono avere gli operatoripenitenziari o i direttori. Ho conosciutodei direttori molto, come dire, intelligentie sensibili, ma la funzione materialedell'istituzione travalica le singole buonevolontà degli operatori. E quella funzioneschiaccia le persone perché il carcerequotidianamente umilia la persona. Nonsi può pretendere di educare una personamentre la si umilia in mille modi, quotidianamente.La radice etimologica di educare, sidice che è il venir fuori. Mi domando:come si può pretendere di far venir fuorie quindi di far crescere una persona nelmomento in cui la si isola dal resto dellasocietà?E' un paradosso, la contraddizioneoriginaria dell'istituzione penitenziariache è separatezza dal resto della società,ma che pretende di rieducare. I processie percorsi educativi si hanno solo nellarelazione con l'altro, con gli altri. Nelmomento in cui tu isoli una persona, larinchiudi, le impedisci di avere rapporti,relazioni eccetera, automaticamente sitaglia, si nega in radice qualsiasi possibilitàeducativa. Questo vale in termini generali,ma vale anche per me e per chiunquesi trova rinchiuso in galera.Il carcere dal punto di vista educativocredo sia un fallimento. E' difficile direquali siano le alternative, ma è vero chequi non sono mai state cercate delle

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