sarebbe una mera violenzarepressiva, un abuso.Un motivo della negativitàdell'esperienza istituzionale,sta nell'isolamento dalcontesto sociale più ampio.Solo se la pena è strumentodi aiuto e di incontroai bisogni, unita ad un contestoeducativo, relazionale,propositivo, progettuale,affettivo, avrà una qualcheutilità; in caso contrario saràbrutalità istituzionalizzata econgegno di vendetta popolare.Il carcere, visto sottoogni prospettiva è la rappresentazionedeformata dellarealtà esterna, deformata ed enfatizzatae questo vale anche sotto il profilo delleemozioni, dei sentimenti.Il carcere, specie il carcere modernoe contemporaneo, grazie alla televisionenon è più un mondo a sé stante, è unmondo che si nutre delle stesse informazioni,degli stessi programmi televisivi,quindi delle stesse aspirazioni o culturedel momento che vive la società esterna,non come dire, precipitate e cristallizzatein un tempo immobile e in un luogo fisicoridotto. Tutto ciò appunto, può diventareanche esplosivo, ma è sicuramente,una deformazione della realtà.Queste deformazioni cambiano l'individuo?Possono migliorare una personache per qualche motivo si trova a doverscontare una pena? In linea generale iopenso che tutti gli individui cambino. Nelsenso che l'esperienza, la vita e le relazionicambiano ognuno di noi, che sia libero orecluso.Anche da questo punto di vista valeil discorso che in una situazione assairistretta dal punto di vista fisico, maanche dalla possibilità di relazione tenda acristallizzare la persona e quindi a ridurneanche la sua capacità socializzante.Forse uno dei luoghi comuni che sihanno sul carcere è che il carcere puòessere, proprio perché costringe ad unariflessione, anche ad un lavoro interiore,un luogo come dire che favorisce il cambiamentopositivo delle persone. Io credoche non sia affatto vero, credo che chicambia positivamente dentro il carcere lofa nonostante le istituzioni. Le modalitàin cui si svolge la vita all'interno dellecarceri possono cambiare solo in peggiole persone; è un duro lavoro di resistenzaprobabilmente che si fa in carcere pernon essere incattiviti o per non essereschiacciati.Sicuramente credo che dipenda deglistrumenti culturali e personali che ognunoha come proprio bagaglio, ma credoche dipende poi anche dalle opportunità,ed eventualmente dalla fortuna di avere,durante il periodo di detenzione, dei riferimentiaffettivi o di altro genere anchecon l'esterno.Chi vive solo nel carcere e solo delcarcere, sicuramente rischia di isterilirsida un punto di vista appunto, emotivo edelle capacità di cambiamento. E questoè un po' però anche il nocciolo vero e ildramma della questione penitenziaria.In carcere, al 90%, ci sono persone chevivono dei deficit strutturali, economici,materiali, familiari, quindi chi entrain carcere è già una persona povera dirisorse da questo punto di vista e mitrova d'accordo con quanto esternato inun suo intervento televisivo la dottoressaCastellano su questi temi e cioè che ilcarcere, nella stragrande maggioranza deicasi, rischia di schiacciare queste persone.Certo, ci sono piccole realtà all'internodi questo pianeta e <strong>Bollate</strong> ne èuna testimonianza. Realtà come quella diquesto carcere che offrono diverse opportunitàa persone che non ne hanno maiavute e che qui potranno sfruttare, daicorsi di formazione, ai corsi scolastici, agliincontri con i volontari. Per molti, tuttoquesto è un’opportunità che non hannomai avuto perché cresciuti in qualchequartiere degradato di qualche periferiao al Sud. Purtroppo, però, questo noncarte<strong>Bollate</strong> 16è generalizzato. Spesse voltemi è stato chiesto se il carcererieduca i detenuti. Ebbene,credo proprio di poter direche non si può rieducare chinon è stato mai educato. Insintesi, è il discorso che dicevoprima: chi ha dei deficit allespalle proprio per le ingiustiziesociali, per i meccanismi diesclusione sociale che vivonoall'esterno, ben difficilmenteil carcere può supplire a queitipi di percorsi e di risorse,di opportunità che sono statenegate, anzi, dal mio punto divista e venendo al piano personale,io non credo di esserestato educato né rieducato dalcarcere.In questo luogo ci sto da più di trentaanni e credo di essere profondamentecambiato nonostante il carcere. Il carcereè veramente una macchina che schiacciale persone al di là delle singole buonevolontà che possono avere gli operatoripenitenziari o i direttori. Ho conosciutodei direttori molto, come dire, intelligentie sensibili, ma la funzione materialedell'istituzione travalica le singole buonevolontà degli operatori. E quella funzioneschiaccia le persone perché il carcerequotidianamente umilia la persona. Nonsi può pretendere di educare una personamentre la si umilia in mille modi, quotidianamente.La radice etimologica di educare, sidice che è il venir fuori. Mi domando:come si può pretendere di far venir fuorie quindi di far crescere una persona nelmomento in cui la si isola dal resto dellasocietà?E' un paradosso, la contraddizioneoriginaria dell'istituzione penitenziariache è separatezza dal resto della società,ma che pretende di rieducare. I processie percorsi educativi si hanno solo nellarelazione con l'altro, con gli altri. Nelmomento in cui tu isoli una persona, larinchiudi, le impedisci di avere rapporti,relazioni eccetera, automaticamente sitaglia, si nega in radice qualsiasi possibilitàeducativa. Questo vale in termini generali,ma vale anche per me e per chiunquesi trova rinchiuso in galera.Il carcere dal punto di vista educativocredo sia un fallimento. E' difficile direquali siano le alternative, ma è vero chequi non sono mai state cercate delle
alternative. Forse per cambiare il carcerebisogna aspettare un cambiamento sociale.Credo che oggi si tratti come di tantialtri problemi sociali laceranti, di ridurreun po' il danno e ridurre un po' il dannosignifica correggere ove possibile gli aspettidrammatici e più ingiusti del sistemapenitenziario.Il sistema delle pene alternative è unsistema che concettualmente riconfermail carcere e anzi addirittura lo esportasul territorio perché ne esporta la logicadel controllo, del contenimento, dimezzamento.In carcere il detenuto è uncittadino dimezzato e lo è anche quandotorna nella società; le misure alternative,addirittura, continuano ad esserci anchequando finisce la pena. E’ il medesimosistema. Quando esci non sei un cittadinocome gli altri perché ti viene negata lapatria potestà, ti viene ritirata la patente,ti viene proibito di accedere a impieghipubblici, insomma, la logica delle istituzionicontinua. In ogni caso è comunqueuna riduzione del danno anche questa.La stessa legge Gozzini, con tutti isuoi limiti e difetti (ad esempio la concezionepremiale), è una riforma che noistessi detenuti negli anni passati abbiamocontribuito a produrre e credo che sia unbeneficio per chi sta in carcere e sia complessivamenteuna valvola di sfogo per unsistema che veramente antiquato è destinatoad esplodere se non mutano radicalmentei paradigmi su cui è costruito.Auspicherei un cambiamento neiparadigmi, ma ci credo poco e quindicredo che almeno vadano garantite questevalvole di sfogo cioè garantire i diritti e ibisogni di chi sta in carcere.Il carcere produce, specie per coloroche hanno pene lunghe, il fenomenodella prigionizzazione. Molti, dopo tantianni di carcere difficilmente riescono adadattarsi alla vita esterna. E questo è unaltro paradosso del mondo carcerario.La società tiene in carcere per moltissimianni delle persone, in una logica di completaseparazione con la società civile epoi pretende di ributtarle come se nullafosse nel contesto sociale.Chi ha meno risorse - sia comerete solidale e amicale di protezione, siacome attrezzatura culturale pregressa -in questo passaggio rischia di nuovo diessere schiacciato, di smarrirsi. Anche quic'è un percorso di accompagnamento,di riaccompagnamento alla libertà cheandrebbe in qualche modo garantito, masoprattutto andrebbe modificata la logicaper cui una reclusione deve essere necessariamenteuna separatezza totale dal restodel mondo e della società. E c’è un ragionamentoche non può essere disatteso.In carcere ci finiscono i poveri. Unpovero che era già povero prima di entrarein carcere quando uscirà dopo una lungapena o meno lunga che sia, sarà doppiamenteescluso e doppiamente povero,quindi sarà doppiamente privo di risorseall'esterno. Molto spesso, il rientro inlibertà è l'ingresso in un deserto: il detenutonon ha una nuova rete di opportunità,non ha prospettive per il futuro.Il discorso del tempo carcerario, radicalmentealtro e scisso, pur avendo amodello la società esterna, è un tempototalmente vuoto, frammentato e regolatodagli orari e dai ritmi del carcereche sono inviolabili e che sono talmenteframmentati che alla fine della giornatauno non ha fatto nulla.Il rapporto che il carcere impone coni propri affetti è difficile da descrivere eanalizzare perché espone tematiche cheprovocano grandi sofferenze e coinvolgimentipersonali eccessivi. L’affettività– bisogno irrinunciabile dell'uomo inogni sua forma – è soppressa dal carcere,con risvolti spesso drammatici.Il carcere recide tutti i rapporti e miraad essere unico interlocutore privilegiato,annebbia e confonde la fantasia e la sostituiscecon il nulla di un'eternità destinataa guardare verso il vuoto.Convivenze durate anche anni, siincrinano perché la mancanza di manifestazioniaffettive ed emotive scava,modifica nel profondo e induce ad unaumento della violenza come eruzione diquella frustrazione che il carcere inesorabilmentealimenta.L'isolamento dal mondo esterno, dagliaffetti e dalle persone care, l'uniformitàdi vita, le punizioni, la coercizione delsistema carcerario, l'interdizione di ogniiniziativa, i ricordi dolorosi del passatoporta all’esasperazione, alla ribellione,alla disperazione. Più volte questo statod'animo sfocia in atti di violenza, diautolesionismo, perché appare impossibilesopportare a lungo un'esistenza di tortura.Talvolta la morte è vista come unaliberazione. La lunga lista di suicidi chesi verificano ogni anno nei penitenziari,per non parlare poi dei tantissimi tentatisuicidi, è una prova evidente.Il dolore di un'affettività assente noncarte<strong>Bollate</strong> 17è solo incisivo perché viene vissuto comeuna mancanza personale presente, maanche perché induce ad una disconfermadella vita affettiva precedente e aduna totale indeterminatezza per quantoriguarda la propria capacità relazionalefutura: mentre qui dentro si continua avivere con la sofferenza di una sessualitàmutilata, all'esterno la vita continua e siriproduce. La vita esterna nel corso deltempo diventa sempre più qualcosa diestraneo, di totalmente altro e minacciosoperché non conosciuto. Noi reclusi siamoconsapevoli dello scorrere naturale dellavita al di fuori del carcere e forse temiamodi perdere anche quel poco di affetto sucui oggi possiamo contare.La forzata aridità affettiva carceraria,conduce per un verso all'indifferenzaemotiva, mentre per l'altro porta aduna valorizzazione esponenziale di ognimomento di affezione, di amicizia, dilegami. L'affetto solitamente si esprimeanche con la vicinanza fisica, col tatto,con l'abbraccio, gesti che si possono concepiresolo con gli amici. Il carcere comeluogo privilegiato di elaborazione di codiciimpliciti, esiste anche un codice delladistanza, per cui tutti quei rapporti chemettono in gioco il corpo sono rarissimi:darsi una mano è un gesto raro e mettersiuna mano sulla spalla è ancora più raro.Il corpo e la fisicità sono qualcosa di lontanoe che deve forzatamente rimaneredistante se si vuole imparare a vivere in unluogo dove il corpo è espropriato.Io credo che l'affettività va concepita,dichiarata e normata come un dirittodella persona reclusa e di coloro chesono in relazione con lei. Né premio,né concessione, dunque. Gli spazi dimantenimento, crescita ed espressionedelle relazioni sociali, degli affetti a anchedella sessualità sono un fattore potente eimprescindibile dell'identità di ciascuno.Perciò hanno a che fare con la dignitàumana. Gli spazi per l'affettività devonoallora essere intesi e rispettati quali dirittiincomprimibili della persona.Il cammino per riconoscere l'affettivitàdei detenuti non è ancora concluso.Siamo solo agli inizi e c'è molto da fare.Ma il punto di partenza è sicuramentequello di abbandonare la concezione inbase alla quale punire significa apportaresofferenza gratuita, recidere un uomo eannientare la sua dignità.Santo Tucci