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La ragione cartografica, ovvero la nascita dell'occidente

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le vie del<strong>la</strong> scienza, le vie dell’educazione<strong>La</strong> <strong>ragione</strong><strong>cartografica</strong>,<strong>ovvero</strong> <strong>la</strong> <strong>nascita</strong><strong>dell'occidente</strong>Franco FarinelliUniversità di BolognaModena, 7 settembre 2007


LA RAGIONE CARTOGRAFICA,OVVERO LA NASCITA DELL’OCCIDENTE“Wittgenstein, state pensando al<strong>la</strong> logica o ai vostripeccati?” . “A tutt’e due” rispose, e si richiuse nelsilenzio.B. Russell, Ritratti a memoria1. “Erano bei tempi, splendidi, quelli dell’Europa cristiana, quando un’unica cristianità abitavaquesto continente di forma umana”, scriveva Novalis nel 1799. Nel Medioevo l’Europa avevaforma umana perché allora non esisteva, o quasi, lo spazio, e il mondo si componeva di un insiemedi luoghi. Spazio è una paro<strong>la</strong> che deriva dal greco stàdion. Per gli antichi greci lo stadio era l’unitàdi misura delle distanze, e significava dunque al<strong>la</strong> lettera un intervallo metrico lineare standard. Nederiva che all’interno dello spazio tutte le parti sono l’un l’altra equivalenti, nel senso che sonosottomesse al<strong>la</strong> stessa astratta rego<strong>la</strong>, che non tiene affatto conto delle loro differenze qualitative.Tale rego<strong>la</strong> è quel<strong>la</strong> rappresentata dal<strong>la</strong> sca<strong>la</strong>, che dal Cinquecento inizia ad appariresistematicamente sulle carte, e indica il rapporto tra le distanze lineari del disegno e quelle cheesistono nel<strong>la</strong> realtà. Di conseguenza se il mondo è ridotto ad un unico spazio ogni parte può esseresostituita da un’altra senza che nul<strong>la</strong> venga alterato, proprio come quando due cose che hanno lostesso peso vengono spostate da un piatto all’altro di una bi<strong>la</strong>ncia senza che l’equilibrio vengacompromesso. Luogo, al contrario, è una parte del<strong>la</strong> superficie terrestre che non equivale a nessunaltra, che non può essere scambiata con nessun altra senza che tutto cambi, perché le qualità di unluogo sono irriducibili a quelle di qualsiasi altro. Va da sé che spazio e luogo non sono cose maimmagini o modelli che ci facciamo delle cose, non corrispondono al significato del mondo, perriprendere <strong>la</strong> distinzione di Frege, ma soltanto a due suoi diversi sensi, a due opposte maniere in cuiesso può presentarsi. E poiché ogni luogo ha <strong>la</strong> sua partico<strong>la</strong>re misura, nessuna di esse è standard.Se il mondo è un insieme di luoghi ,e lo pensiamo e rappresentiamo nel<strong>la</strong> sua interezza, le cose silimitano a stare tra loro in proporzione, come accade sul globo, per il quale non esiste sca<strong>la</strong>, sulquale non vi è, a rigore, nemmeno un pezzetto di spazio. Dunque, poiché lo spazio serve a ridurre ilmondo a tempo di percorrenza, a meno di non essere un messaggero o un soldato nel medioevo ilproblema del<strong>la</strong> velocità in genere non esisteva. Ciò valeva anche per i mercanti, l’arma dei quali era<strong>la</strong> segretezza delle re<strong>la</strong>zioni e delle fonti di approvvigionamento piuttosto che <strong>la</strong> rapidità.Si prenda il caso di Marco Polo, il più celebre dei mercanti e viaggiatori medievali, chenell’ultimo quarto del Duecento da Venezia arriva in Cina lungo <strong>la</strong> “via del<strong>la</strong> seta” attraverso <strong>la</strong>Persia, l’Afghanistan, il Turkestan. Egli cavalca lungo una strada lunga e pericolosa, sebbeneconosciuta da millenni, e ogni giorno si presenta l’opportunità, se non <strong>la</strong> necessità, del<strong>la</strong> correzionedell’itinerario, e del<strong>la</strong> sosta. Nel<strong>la</strong> città cinese di Canpiciou (oggi Zhangye, passato il deserto delTak<strong>la</strong> Makan e ad ovest del Fiume Giallo) Marco, insieme con suo padre Niccolò e suo zio Maffeo,soggiornano ad esempio un anno intero, per fatti loro. Si comprende allora come Marco conoscessetutti gli idiomi dei paesi attraversati: il turco par<strong>la</strong>to dai mongoli, il persiano arabizzato, il mongolo,il turco che par<strong>la</strong>no gli Uiguri che abitano il Sinkiang. Prima di tornare indietro, i Polo vissero neidomini del gran Khan, l’imperatore dei mongoli, per quasi diciassette anni.1


Marco dunque cavalcava senza fretta, sostando ogni sera nei caravanserragli e per mesiinteri, all’occorrenza oppure a piacimento, nelle città, apprendendo lingue e costumi, informazioni eracconti. E ogni giorno le cose del mondo gli rive<strong>la</strong>vano <strong>la</strong> loro propria durata, e allo stesso tempomisuravano quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sua vita. Nel Milione infatti, lo straordinario resoconto dei viaggi di Marco,i deserti, le foreste, le montagne non hanno ancora lunghezza, così come le direzioni del camminonon sono ancora fissate secondo l’astratta rigidità dei punti cardinali. Per avanzare si prende atramontana oppure a greco, dunque secondo <strong>la</strong> direzione dei venti, seguendo il loro corso. E alriguardo si leggono espressioni del tipo: “Carcam è una provincia che dura cinque giornate”, oppure“Quando l’uomo si parte e à cavalcato queste venti giornate di montagne di Cuncum”, eccetera.Così come non esiste nel Milione lo spazio, allo stesso modo non esiste il tempo, se non nel<strong>la</strong> formadell’alternarsi del<strong>la</strong> notte e del dì e delle stagioni. Al contrario, luoghi e giornate sono <strong>la</strong> stessa cosa,coincidono nell’esperienza del cammino, e gli uni servono da misura alle altre e viceversa. Si trattadi una misura re<strong>la</strong>tiva che muta di volta in volta, e che non ha nul<strong>la</strong> di metrico, di lineare, distandard. Come i luoghi, anche le giornate non sono infatti uniformi. Intanto, le condizioniclimatiche variano in continuazione: per il loro ritorno in Cina i Polo impiegano tre anni e mezzo, acausa del<strong>la</strong> neve, del<strong>la</strong> pioggia e delle grandi inondazioni, e perché cavalcare d’inverno è tutt’altracosa che cavalcare d’estate. Inoltre, cambia di continuo <strong>la</strong> natura dei luoghi e di conseguenza ilmezzo di locomozione. Dalle fonti trecentesche si ricava che il tempo medio per arrivare da Tana inCrimea al<strong>la</strong> Cina era allora, per un mercante, di circa 9 mesi, nell’ordine così suddivisi: 25 giornicon carri trainati da buoi, 9 per via acqua, 50 giorni con una carovana di cammelli, 115 con somarisomeggiati, 75 a cavallo.Esisteva soltanto un’alternativa, grazie al<strong>la</strong> quale si impiegava fino ad un decimo del temponormale: lo yam, il sistema postale dell’impero mongolo, basato su una rete di stazioni permessaggeri che dal<strong>la</strong> capitale Canbaluc si diramavano per tutto il regno ad intervalli di 25 miglial’una dall’altra. E’ l’unico esempio di spazio che Marco descrive, dominio del<strong>la</strong> linearità e perciòdel<strong>la</strong> rapidità e dell’equivalenza delle parti, funzionale soltanto al controllo del territorio,all’esercizio del potere. Ma non è certo il mondo di Marco, se mai egli ne ha avuto uno. Di sicuroegli avrebbe ricordato molte più cose, si legge in un manoscritto inedito del Milione, se un giornoavesse mai pensato di tornare indietro. Soltanto lo spazio, che è uniforme e continuo, implica ilritorno, <strong>la</strong> reversibilità del movimento. Ma se il mondo si compone di luoghi, di parti non continue,non omogenee cioè non composte del<strong>la</strong> stessa sostanza, non isotropiche cioè non voltate nel<strong>la</strong> stessadirezione, non è detto che il ritorno del viaggiatore avvenga. Anzi. E il mondo di Marco, dove iluoghi durano piuttosto che essere estesi, è senza spazio perché egli viaggia senza mappe.2. Nel caso di Cristoforo Colombo, il primo dei viaggiatori moderni, vale invece tutto il contrario.Il suo problema è <strong>la</strong> fretta, tornare indietro quanto prima. E’ per questo che cerca il levante andandoverso ponente. In quel che resta del suo diario di bordo del primo viaggio, sono riportati anzituttocalcoli, rapporti cioè tra grandezze spaziali e temporali del tutto convenzionali (l’ora, <strong>la</strong> lega, ilmiglio) giustificate soltanto dal fatto che quel che preme è <strong>la</strong> velocità, cioè l’astratto rapporto traastratte quantità. E tali re<strong>la</strong>zioni si situano all’interno di un ambito altrettanto astratto, non piùdefinito dal nome dei venti, che pure continuano a soffiare, ma dal<strong>la</strong> invariabile geometria dei punticardinali. Questo accade perché <strong>la</strong> rappresentazione geografica ha già preso il posto del mondo, lospazio ha già ricompreso e assorbito tutti i luoghi, <strong>la</strong> carta fa già le veci di quel che raffigura fino adanticiparne <strong>la</strong> natura e le fattezze, e prefigurarne addirittura l’esistenza. Si consideri quanto èriportato, in quel che resta del diario di bordo, al<strong>la</strong> data del 25 settembre. Sia Colombo che MartinPinzòn, il comandante del<strong>la</strong> Pinta, sono ormai convinti di essere vicini al<strong>la</strong> terra. Tale convinzionesi fonda sul semplice fatto che ambedue hanno “trovato dipinte certe isole in quelle acque”,verosimilmente sul<strong>la</strong> carta dell’oceano preparata per Fernando Martinez, canonico di Lisbona, daPaolo dal Pozzo Toscanelli, il più grande e misterioso tra i cosmografi moderni, e da questitrasmessa in copia al navigatore genovese. Soltanto il giorno dopo “ci s’avvide che quel<strong>la</strong> cheavevano detto esser terra, non era terra, ma cielo”.2


Si dirà che si tratta di semplice impazienza, e che comunque non erano molto lontani dal<strong>la</strong>costa, avendo ormai percorso circa tre quarti del<strong>la</strong> distanza. Resta il fatto che, una volta arrivati,sono convinti di essere dove non sono. Soltanto verso <strong>la</strong> fine dei suoi giorni, nel corso del<strong>la</strong> quartaspedizione, Colombo sarà colto dal sospetto che <strong>la</strong> terra da lui toccata non sia il favoloso Catai diMarco Polo ma un “altro mondo”, un “nuovo mondo”, termini che significativamente iniziano acomparire soltanto nel<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione del terzo viaggio. E se non fosse in fondo tragica, <strong>la</strong> serie diequivoci che ne segue sarebbe, come le autentiche tragedie, a tratti davvero esi<strong>la</strong>rante. Quel che inogni caso riesce commovente è lo sforzo di Colombo, giunto davvero in vista del<strong>la</strong> terra, per farcoincidere quel che vede, e che Toscanelli non ha mai visto, con i tratti e i lineamenti dipinti sul<strong>la</strong>carta che porta con sé, cui crede ciecamente. In altre parole: pur di rendere conforme <strong>la</strong> terra al<strong>la</strong>sua immagine <strong>cartografica</strong>, egli piglia a calci il mondo. Se nel mondo di Marco Polo, dove nonesiste né spazio né tempo, le cose durano, in quello di Colombo, dominato invece dall’astrazionespazio-temporale, esse al contrario sono estese: le miniere di Beragua, spiega ad esempio nel<strong>la</strong>re<strong>la</strong>zione del suo ultimo viaggio, “si estendono lo spazio di venti giornate a ponente e si trovano adeguale distanza dal polo e dal<strong>la</strong> linea equinoziale”. Lo spazio significa qui l’intervallo tra un nodo el’altro del reticolo dei meridiani e dei paralleli, esattamente secondo il metodo messo a punto daTolomeo nel secondo secolo d.C. per trasformare il globo terrestre in una mappa. Ed è proprio taleastrattissima misura a ricomprendere ed inghiottire per sempre, come il suo letterale significatoevidentemente esprime, i giorni (i viaggi, il mondo) di Marco Polo.Le cose stanno quindi esattamente all’opposto di quel che ancora oggi spesso si crede:l’effetto dell’impresa di Colombo, il primo viaggiatore che viaggia con una mappa, non fu affattoquello di rendere sferica l’immagine del<strong>la</strong> Terra che prima si supponeva piatta, ma al contrario ditrasformare tutta <strong>la</strong> Terra, da sferica che era e si credeva, in una gigantesca tavo<strong>la</strong>, in un gigantescospazio, in un’unica gigantesca mappa. Così nasce, con l’impresa colombiana, l’Occidente: essonasce quando l’Europa perde <strong>la</strong> propria “forma umana”, quel<strong>la</strong> che Novalis tanto rimpiangeva.3. Ma quando <strong>la</strong> Terra aveva assunto forma umana, e a quale prezzo? Già per Tolomeo, il piùgrande geografo dell’antichità, <strong>la</strong> Terra “è una testa”. Ma <strong>la</strong> testa di chi? <strong>La</strong> storia di Salomèinsegna che si tratta del<strong>la</strong> testa di Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti e il primo degli apostolicristiani. “Tabu<strong>la</strong> rasa del desiderio”: è questa per René Girard 1 <strong>la</strong> definizione di Salomè, <strong>la</strong> cuidanza ha sedotto l’intera immaginazione occidentale. Per Girard tale definizione resta soltanto unametafora ma invece essa va intesa assolutamente al<strong>la</strong> lettera, come <strong>la</strong> più folgorante e precisadefinizione del<strong>la</strong> carta geografica. Si pensi al partico<strong>la</strong>re decisivo dell’intero racconto, l’”unico dicui ci si ricorda quando si è dimenticato tutto”, perché è su di esso “che tutto riposa,indubitabilmente”: il “vassoio”, il piatto su cui Salomè comanda le sia portato il capo di Giovanni.A Girard ciò pare soltanto “un riflesso da buona casalinga”, e comunque “il massimo del<strong>la</strong>piattezza”. Ma sia Marco che Matteo, gli evangelisti che sono stati i primi a narrarci questa storia,non dicono affatto che si tratta di un semplice piatto. Ambedue adoperano il termine pínax (discustraduce <strong>la</strong> versione <strong>la</strong>tina) che significa, prima di vassoio, tavo<strong>la</strong> che reca un disegno oppure unapittura e comunque una figura. Vale a dire esattamente <strong>la</strong> stessa paro<strong>la</strong> con cui Strabone prima edAgatemero poi designano quel che sbrigativamente indichiamo come <strong>la</strong> prima carta, ma che piùpropriamente costituisce <strong>la</strong> prima raffigurazione geografica del<strong>la</strong> Terra che <strong>la</strong> nostra cultura ricordi:<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> di Anassimandro. <strong>La</strong> cui “tracotanza”, <strong>la</strong> cui empietà consiste appunto, a differenza diquanto sostengono le interpretazioni correnti, nell’aver per primo osato fissare e perciò uccidere,con <strong>la</strong> sua scultura filosofica, <strong>la</strong> natura, che per definizione era per i Greci perpetuo processo emovimento, nell’aver perciò sacrificato <strong>la</strong> vita del mondo in funzione del<strong>la</strong> conoscenza (deldominio del mondo stesso, nell’aver dunque introdotto l’equivalenza tra rigore scientifico e rigore(rigidità) del<strong>la</strong> morte - soltanto il rigor mortis consente <strong>la</strong> misurazione di quel che nasce vivo.1 R. Girard, “<strong>La</strong> danse de Salomè”, in P. Dumouchel, J. Dupuy et al., L’auto-organisation. De <strong>la</strong> physique au politique,Paris, Seuil, 1983, pp. 336-52.3


Ma che tavo<strong>la</strong> di Salomè sia una carta (che, anzi, l’episodio del<strong>la</strong> decol<strong>la</strong>zione del Battistasia <strong>la</strong> prima compiuta illustrazione delle micidiali conseguenze di quel che oggi spensieratamentedefiniamo il processo del<strong>la</strong> riduzione <strong>cartografica</strong>) è suggerito, oltre che dal termine che serve al<strong>la</strong>sua designazione, dal meccanismo del linguaggio di cui <strong>la</strong> figlia di Erodiade, che per tutta <strong>la</strong> storianon desidera nè pensa autonomamente, è semplice portavoce: un linguaggio che procede soltantoper nomi propri, come soltanto sulle carte accade. Per nome proprio qui s’intende, esattamentecome Whitehead e Russell nei Principia Mathematica prescrivono, ogni “nome che rappresenti inmaniera diretta qualche oggetto”. Ovvero, con il Wittgestein del Tractatus: “Il nome è ilrappresentante, nel<strong>la</strong> proposizione, dell’oggetto” (3.22). Cioè: “Il nome significa l’oggetto.L’oggetto è il suo significato” (3.203), che è <strong>la</strong> prima e principale rego<strong>la</strong> del<strong>la</strong> logica <strong>cartografica</strong>.Come testimonia Norman Malcolm a proposito dell’idea centrale del Tractatus, secondo <strong>la</strong> qualeogni proposizione è un’immagine, cioè in definitiva una mappa: “L’idea venne a Wittgensteinmentre militava nell’esercito austriaco, durante <strong>la</strong> prima guerra mondiale. Lesse una rivista chedescriveva le circostanze e il luogo di un incidente automobilistico per mezzo di un diagramma o diuna cartina; gli venne fatto allora di pensare che quel<strong>la</strong> cartina era una proposizione, e che in essa sirive<strong>la</strong>va <strong>la</strong> natura essenziale delle proposizioni, vale a dire <strong>la</strong> raffigurazione del<strong>la</strong> realtà” 2 .Girard ha <strong>ragione</strong>: chiedere <strong>la</strong> testa di qualcuno, come Erodiade fa con Salomé, implica unadimensione retorica. Salomè invece “prende sua madre al<strong>la</strong> lettera. Non lo fa apposta”. Ma nonperché, come Girard aggiunge, bisogna essere adulti per distinguere le parole dalle cose. Non èsemplice questione di età. Al contrario Salomè assume <strong>la</strong> figura di una bambina appunto perché ilsuo ruolo consiste nel far coincidere al<strong>la</strong> lettera le parole con le cose, e non viceversa, nel sostituirecioè alle imprevedibili e indisciplinabili metafore del discorsivo linguaggio quotidiano leprevedibili e disciplinate corrispondenze biunivoche tra cose e parole che rego<strong>la</strong>no ogni linguaggiotecnico, di cui quello cartografico assume pertanto valore archetipico e originario. Esattamente: “ilmedium è il messaggio”, è il mezzo, nel<strong>la</strong> duplice, letterale accezione di ciò che sta tra due estremie che pertanto funziona da tramite e perciò da arnese, e che dice non soltanto come le cose si fannoma anche, prima ancora, che cosa le cose sono. E sul<strong>la</strong> carta, e soltanto sul<strong>la</strong> carta, una testa ènient’altro che una testa. Soltanto in virtù di tale (inconsapevole e irriflessa: tra poco si vedrà)funzione ontologica prima ancora che logico-modale il mezzo — il linguaggio cartografico — è ingrado di dettare le modalità dell'esecuzione. Di ogni esecuzione, da quel<strong>la</strong> emblematica e cruenta diGiovanni ad ogni successiva realizzazione di un qualsivoglia progetto. Sicché tutto quello che diarchitettato e costruito vediamo intorno a noi discende dal primigenio sacrificio del Battista, <strong>la</strong> cuimorte, inaugurando l'«epoca dell'immagine del mondo», per riprendere l'espressione di Heidegger,segna<strong>la</strong> l'avvento del Moderno e ne anticipa <strong>la</strong> natura.Con precisione, a sua volta, tecnica. “Voglio che tu mi dia subito su una tavo<strong>la</strong> <strong>la</strong> testa diGiovanni il Battista”, esc<strong>la</strong>ma quel<strong>la</strong> che noi chiamiamo Salomé: né Marco né Matteo le danno inrealtà un nome, e noi <strong>la</strong> chiamiamo così soltanto perché lo storico ebreo Giuseppe F<strong>la</strong>vio par<strong>la</strong> diuna figlia di Erodiade così nominata. “Subito”: come <strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>, anche <strong>la</strong> velocotà dell'esecuzione (<strong>la</strong>rapidità nel<strong>la</strong> realizzazione del<strong>la</strong> fase finale del piano) è qualcosa che <strong>la</strong> figlia aggiunge per contoproprio, ma non in maniera autonoma, al<strong>la</strong> richiesta del<strong>la</strong> madre. Ed è proprio Girard, altrove esenza saperlo, a dare <strong>ragione</strong> di tale aggiunta: nel ripercorrere, sulle orme di Giobbe, l'antica stradadegli uomini perversi, e rintracciando nel<strong>la</strong> metafora del torrente l'illustrazione del<strong>la</strong> logica deldesiderio. Spiega Girard: “In un clima semidesertico, i corsi d'acqua non forniscono mai agli uominiciò che essi desiderano. Quando le nevi si sciolgono l'acqua sovrabbonda e rigurgita, ma durante ilresto dell'anno, quando regna <strong>la</strong> sete, non resta che sabbia”. E aggiunge che sono proprio tale“assenza di moderazione”, tale “perpetua congiunzione del<strong>la</strong> mancanza e dell'eccesso” 3 acaratterizzare l’universo delle re<strong>la</strong>zioni che riguardano quel che desideriamo. Prima ancora, però,questo è il meccanismo del<strong>la</strong> logica binaria, fondato sull'esclusione di ogni termine intermedio,come soltanto nel<strong>la</strong> rappresentazione <strong>cartografica</strong> accade. Soltanto su di una tavo<strong>la</strong> geografica una2 N. Malcolm, Ludwig Wittgenstein, Oxford, Oxford University Press, 1958, p. 37.3 R. Girard, <strong>La</strong> route antique des hommes pervers, Paris, Grasset, 1985, pp. 75, 77.4


cosa c’è o non c’è, esiste o non esiste: a differenza di quanta accade nel linguaggio, all'occorrenzacarico di sfumature e sapientemente allusivo, tertium non datur. E’ questa <strong>la</strong> seconda rego<strong>la</strong> del<strong>la</strong>logica <strong>cartografica</strong>. Ed è a questa rego<strong>la</strong>, appunto, che va riferita <strong>la</strong> subitaneità nel<strong>la</strong> richiesta del<strong>la</strong>ballerina: proprio come non ammette, sul piano logico, termini mediani, il regime torrenziale deldesiderio (dell'atto mimetico, cioè del<strong>la</strong> cartografia) non consente, dal punto di vista del processo,stadi intermedi, <strong>ovvero</strong> intervalli temporali nel passaggio da uno stadio all'altro. Così, il “vassoio”,cioè <strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>, implica il “subito”, il “subito” <strong>la</strong> tavo<strong>la</strong>. Altrimenti detto: ciascuno dei due termini staper una delle due principali norme che governano il linguaggio del<strong>la</strong> carta geografica, che conRussell e Whitehead, prima ancora che con Wittgenstein, diventa il linguaggio del<strong>la</strong> logica.In altre parole: <strong>la</strong> messa in atto del<strong>la</strong> richiesta di Erodiade si traduce in una trasformazioneontologica che equivale ad una letterale cosificazione. Esattamente come per il giovane Marx, ilprodotto del <strong>la</strong>voro umano si presenta qui “come un essere estraneo, come una potenzaindipendente da colui che lo produce”. E proprio l’estraneazione del produttore dal prodotto del<strong>la</strong>sua attività (dal pensiero) determina l’estraneazione dall’attività produttiva stessa, dal linguaggio.Anche in questo caso, come già per Feuerbach prima ancora che per Marx, l'alienazione si fondasullo scambio di ruolo tra soggetto e predicato: il primo sottomesso, nonostante le proprie umanesembianze, al dominio del secondo. Con <strong>la</strong> differenza, decisiva, che il predicato in questione (di cuiil soggetto diventa predicato: predicato del proprio predicato) non è semplicemente ciò che delsoggetto si dice, ma investe al<strong>la</strong> radice <strong>la</strong> possibilità stessa che il soggetto ha di dire: è insomma,riguardando l’origine stessa del dire, il predicato originario, quello dal quale tutti gli altridipendono. E proprio tale carattere stabilisce <strong>la</strong> primazia (l'originarietà, se si vuole, il carattereprimordiale) dell'alienazione di natura linguistico-<strong>cartografica</strong> rispetto a tutte le altre forme, tuttesuccessive e conseguenti. Sostiene Jean-Pierre Vernant che tutti i miti raccontano un'unica storia:quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> differenza tra chi è primo dal punto di vista temporale e chi è primo dal punto di vistadel dominio, tra chi è cronologicamente all'origine del mondo e chi presiede al suo funzionamento.Se cosi è, da Hegel fino ai giorni nostri altro non si è fatto che continuare quest'unico, lunghissimoracconto, con una so<strong>la</strong> novità: <strong>la</strong> sostituzione, nel ruolo del prevalente, del “che cosa” al “chi”.Sostituzione che proprio <strong>la</strong> storia di Giovanni Battista e del<strong>la</strong> sua morte avvia.Di nuovo: Girard si arresta all'analogia, e non si accorge dell'identità. Così scrive: perché“più leggera, più maneggevole, veramente portatile, <strong>la</strong> testa assicura una rappresentazione miglioredopo che <strong>la</strong> si è staccata dal corpo”. E’ evidente che <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione tra il corpo e <strong>la</strong> testa di Giovanniviene qui pensata in termini analoghi a quelli che esistono tra <strong>la</strong> superficie terrestre e <strong>la</strong> cartageografica, di cui il capo assume tutte le caratteristiche esteriori. Ma, di nuovo, esattamente (edesclusivamente) in tale amputazione consiste il procedimento del<strong>la</strong> raffigurazione <strong>cartografica</strong>: nel<strong>la</strong>meccanica muti<strong>la</strong>zione del rappresentato, che coincide, come ogni esercizio nominalistico,nell’abolizione del<strong>la</strong> questione stessa dell'essenza delle cose, e del<strong>la</strong> riduzione dell'esistenza —dell'unico possibile livello cui <strong>la</strong> realtà viene schiacciata — a pura e semplice presenza, sprovvistad’ogni ontologica risonanza. Riduzione del reale a semplice presenza (a forma fenomenica, se sivuole) che è appunto <strong>la</strong> terza e suprema rego<strong>la</strong> dell'atto cartografico.Quest’ultima segna <strong>la</strong> sparizione di ogni forma di soggetto: non soltanto di Erode, delsoggetto che appare, ma anzitutto di Erodiade, che proprio in quanto nascosta, fuori dal<strong>la</strong> stanzadove Salomé bal<strong>la</strong>, è il soggetto reale. Nessuno dei due raggiunge il proprio scopo, che èl'esclusività del proprio rapporto con <strong>la</strong> radice stessa del potere, quel<strong>la</strong> che consiste nel<strong>la</strong> funzionedel<strong>la</strong> nominazione: per questo, e soltanto per questo, ambedue si contendono Giovanni il Battista,colui che per definizione (per nome) impone i nomi alle cose, dunque stabilisce l’ambito e ilperimetro stesso al cui interno il potere dello stesso re può esercitarsi. E che fa questo in virtù non diun altro potere ma del<strong>la</strong> Legge: il potente Erode, scrive l’evangelista Marco, “temeva Giovanni,sapendolo giusto e santo, e vigi<strong>la</strong>va su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso,tuttavia lo ascoltava volentieri”. Erodiade raggira Erode ma non annul<strong>la</strong> <strong>la</strong> Legge, sconfigge anzi ilpotere ma soltanto a prezzo del<strong>la</strong> possibilità del<strong>la</strong> manifestazione in termini umani (del<strong>la</strong> visibilità,in fondo) del<strong>la</strong> Legge stessa. Il momento del suo oggettivo trionfo è perciò quello del<strong>la</strong> sua5


personale sconfitta: con l'uccisione del Battista essa cessa di funzionare da “presupposto” delprocesso in atto, cioè del mondo, e il suo ruolo viene preso dal Presupposto, dal disumano congegnologico-linguistico che corrisponde al<strong>la</strong> cartografia. Disumano perché impersonale (sebbene nonpropriamente metafisico) e perché, come <strong>la</strong> Legge nei romanzi di Kafka, non rimanda a nessun“oltre”, a nessuna verità nascosta. Una sorta di fondamento che precisamente nell’assenza di ogniquestione re<strong>la</strong>tiva all’essere trova il proprio silenzioso e nascosto Fondamento. L'innominata figlia(non può aver nome chi uccide e perciò muta in disumana <strong>la</strong> radice stessa del<strong>la</strong> nominazione) danzaancora oggi sotto gli occhi di tutti, e sono le sue sempre più vorticose mosse a produrre il nostromondo: un computer è nient'altro che una mappa che produce altre mappe. Il regno di Erodiade,invece, non fu mai di questo mondo. L'astutissima donna restò sempre lì, sul<strong>la</strong> soglia dove s'eranascosta, arrischiandosi sul<strong>la</strong> Terra soltanto di notte, e il suo destino coincise con quello del sabba,del gran raduno c<strong>la</strong>ndestino, da lei guidato, di coloro capaci di partecipare al mondo dei vivi e insiemea quello dei morti, al<strong>la</strong> sfera del visibile e a quel<strong>la</strong> dell'invisibile. E’ dal Seicento che di essanon si sente più par<strong>la</strong>re 4 — ancora oggi, tertium non datur, cioè non videtur.Davvero perciò, come dice Girard, “il desiderio non è saggio”. Non lo è nemmeno ilpeccato, che è <strong>la</strong> sua realizzazione, così come non è saggia <strong>la</strong> logica, che — abbiamo visto — è ilsuo strumento (per questo Wittgenstein pensava al<strong>la</strong> logica quando pensava ai propri peccati, eviceversa). <strong>La</strong> barra di de Saussure, <strong>la</strong> linea orizzontale che con <strong>la</strong> sua interposizione permette didistinguere, all’interno del segno del segno, il significante dal significato, diventa un bar perchè è <strong>la</strong>stessa cosa del vassoio di Girard: <strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> Legge, <strong>la</strong> subdo<strong>la</strong> matrice di ciò che Wittgensteinchiamava “spazio logico”, l’altare quale <strong>la</strong> realtà viene scomposta e allo stesso tempo tenutainsieme, ciò che non si può toccare si muta in ciò che si può toccare, <strong>la</strong> presenza in assenza,l'assenza in presenza, le categorie insomma s'incontrano l'un l'altra, l'esistente si muta nelsussistente e viceversa, l’”è” nel “dovrebbe”. Tale altare è <strong>la</strong> carta geografica, <strong>la</strong> Carta, “l’agenziaproduttrice di pensiero”, come avrebbe detto Freud, da cui l’intera pratica moderna, cioè l’Occidente, discende. Essa è il Metodo, paro<strong>la</strong> che al<strong>la</strong> lettera significa “quel che viene dopo (o chesta oltre, cioè di là da) il viaggio”.FRANCO FARINELLI4 C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino. Einaudi, 1989, passim.6

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