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STANLEY FISH - UCLA Department of Italian

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<strong>STANLEY</strong> <strong>FISH</strong>i«Il giorno della teoria sta morendo; ormai è tardi; l'unica cosa che rimaneda fare a un teorico è dirlo. È quanto ho fatto in questa sede, epenso non sia prematuro nemmeno per un istante» (Fish, 1989: 341). Èquesta l'ultima conclusione a cui perviene la teoria dell'interpretazionedi Stanley Fish, sviluppatasi con esiti sempre più sorprendenti dall'iniziodegli anni settanta in poi. Fish rappresenta la voce più forte della criticastatunitense degli ultimi vent'anni. Forte non nel senso che trovi un consensounanime, ma nel senso che s'impone all'attenzione di quasi l'interoschieramento degli intellettuali americani - storici della letteratura inglese,epistemologi e teorici della lingua, studiosi di estetica e di diritto,militanti dell'area femminista e marxista.Nato nel 1938 e laureatosi in letteratura inglese alla Yale University,Stanley Fish ha insegnato alla University <strong>of</strong> California at Berkeley (1962-1974) e alla Johns Hopkins University (dal 1974 al 1985). Nel 1985, dopoaver ottenuto un secondo dottorato in diritto, si è trasferito alla DukeUniversity, dove occupa attualmente due cattedre, una in letteratura el'altra in diritto. Da oltre due decenni il suo lavoro si rivolge, sotto formadi polemica, alle metodologie interpretative più diffuse nelle accademieamericane. Gli attacchi di Fish tendono ad essere sempre gli stessi. Partonodalla tesi che ogni regola o teoria ermeneutica non è altro che unacristallizzazione di certe pratiche o strategie interpretative che sussistonogià indipendentemente dalla loro razionalizzazione. Identici, secondoFish, sono anche i bersagli: teorici accomunati dal fatto che cadononel medesimo errore di costruire impalcature teoriche per le propriepratiche discorsive. Se molti critici dichiarano di non essere neanchesfiorati dalle frecce di Fish, rimane il fatto che le sue posizioni sulla naturadell'interpretazione sono diventate quasi egemoniche nelle univer-95


Harrisonsita americane. Ironicamente, è proprio grazie alla forza persuasiva deidiscorsi liberal, neo-pragmatici, e ormai anti-teorici di Fish che il dibattitoteorico e metodologico relativo alle discipline universitarie statunitensisia riuscito a diventare parte integrante dei curricoli stessi.Le ricerche ermeneutiche di Fish si sviluppano in tre fasi cronologicamentee logicamente successive: la teoria della ricezione {reader responsetheory), il concetto delle comunità interpretative {interpretivecommunities), e l'appello alla dissoluzione della teoria a favore del convenzionalismopratico. Il filo conduttore che percorre le tre fasi è costituitosemplicemente dall'importanza che Fish attribuisce, in ogni atto ermeneutico,all'interprete piuttosto che al fatto interpretato. Infatti, lapremessa su cui si basa la reader response theory (letteralmente: teoriadel responso del lettore) proviene da una rivalutazione dei meccanismistessi che regolano la comunicazione letteraria. Fin dallo studio su Miltondel 1967, Surprised by Sin: The Reader in Paradise Lost, Fish individuatali meccanismi nella coscienza del lettore e non nei dati obiettivamenteriscontrabili nel testo. Nella reader response theory il «messaggio»letterario viene interamente costituito dal lettore. Non che non esista piùun testo da interpretare (anche se la domanda-titolo del quarto libro diFish, Is There A Text In This Classi [Esiste un testo in questa classe?],sembra indicare di no), ma nel senso che il suo significato dipende dallaprocedura ermeneutica a cui viene sottoposto, procedura appunto dellettore e, come dirà Fish più tardi, di una comunità di interpreti storicamentedeterminata da norme morali, sociali, economiche, politiche e intellettuali.Pertanto la critica fishiana tende a spostare la sua attenzionedall'analisi delle proprietà linguistiche del testo - molto più radicalmenteche nel decostruzionismo e nell'ermeneutica della ricezione di HansRobert Jauss e Wolfgang Iser, che rimangono entrambi legati alla linguisticitàautonoma del testo - all'analisi delle strategie interpretative chereggono la lettura, strategie che a loro volta rivelano la costituzione intellettualee morale di una particolare comunità di lettori. Dal momentoin cui ogni lettura è semplice espressione di un sistema sociale ed intellettualeindipendente dal testo, l'analisi letteraria perde il suo caratterescientifico. Diventa invece un gesto politico, una proposta mascheratadi obiettività. A questo punto qualsiasi tentativo di proporre una normadi lettura diventa non solo ingenua, ma anche superflua.96


Stanley FishCome osserva Jane P. Tompkins (1980: 9-10), all'origine della teoriadel reader response sta l'importanza assegnata dal primp Fish ai giochispesso conflittuali e incoerenti suscitati dal testo nella mente del lettore.Ad esempio, l'epopea di Milton, Fish osserva in Surprised By Sin, produceregolarmente «piccoli momenti di oblio» durante i quali il lettore silascia prendere nelle maglie della retorica satanica. Immediatamente,comunque, il lettore si ravvede e riconosce la propria disattenzione.L'epopea stessa lo obbliga a rivedere continuamente il suo rapporto conla ragione, da un lato, e con la fede, dall'altro, fino al punto in cui emergeun'analogia fra la sua propria disgrazia conoscitiva e quella di Adamoed Eva scacciati dal paradiso terrestre.La storia del Paradiso perduto è quindi rivissuta nell'avventura mentaledel lettore che tenta, dal canto suo, di capire il testo, rendendosiconto che «la sua incapacità di leggere il poema senza dubitare dellesue percezioni è il punto centrale del poema stesso» (Fish, 1980: 21).Dallo studio su John Donne e altri poeti inglesi in Self-Consuming Artifacts:The Experience <strong>of</strong> Seventeenth Century Literature (1972) emergeuna simile conclusione. I testi del Seicento spingono il lettore verso unaserie di valutazioni, deduzioni, e tentativi di comprensione che sfocianodi nuovo nel riconoscimento della invalidità o impossibilità di ogni conclusionedefinitiva. Insomma, viene minata la fede del lettore nel processostesso dell'interpretazione.I trabocchetti interpretativi prodotti da ogni procedimento di letturaforniscono la prima spinta alla teoria del reader response. Tale teoria -proposta esplicitamente nei sedici saggi raccolti in Is There a Text inThis Class? The Authority <strong>of</strong> Interpretive Communities (1980) - vieneformulata a partire da una serie di domande rivolte alla natura dellacomprensione letteraria. Qual è la fonte del significato, il testo o il lettore?Il testo è un insieme di tratti fissi e conoscibili in sé, o solo un pretestoper una sua sempre rinnovata trascrizione soggettiva? È l'opera a regolarela lettura o viceversa? Nell'introduzione a Is There A Text in ThisClass? Fish descrive la teoria del reader response come la contestazionedi due tesi dell'allora egemonico New Criticism americano: l'autonomiadel testo e la «fallacia affettiva». Secondo quest'ultima tesi, l'effetto emotivoprovocato da un testo non è da spiegarsi in relazione alla costituzionesoggettiva del lettore quanto ai meccanismi retorici insiti nel testo97


Harrisonstesso. La fallacia affettiva, sostengono i New Critics, «consiste in unaconfusione fra la poesia e i suoi risultati [...] Comincia dal voler derivarelo standard critico dagli effetti psicologici di una poesia e finisce nell'impressionismoe nel relativismo. Il risultato [...] è che la poesia stessa, inquanto oggetto di giudizio specificamente critico, tende a scomparire»(Wimsatt and Beardsley, 1954: 21).Fish risponde esplicitamente a queste tesi del New Criticism nel saggiodel 1970, «Literature in the Reader: Affective Stylistics» (Fish, 1980:21-67). Egli osserva che la fissità spaziale ed obiettiva del fatto letterarioè sempre contrastata dalla variabilità temporale e soggettiva della conoscenzain cui tale fatto si attualizza. In fondo, l'esperienza letteraria nonè altro che l'esperienza di un soggetto che legge: l'insieme dei suoi processimentali, delle sue decisioni, revisioni, anticipazioni, inversioni, erecuperi nel momento in cui si appropria del testo, riga dopo riga e frasedopo frase. Qui c'è da rivalutare il concetto stesso di «significato»{meaning) del testo. Non è qualcosa che anticipa o posticipa la letturadecodificante, come se fosse indipendente dall'interpretazione. Esso èpuro evento mentale, «qualcosa che avviene al lettore, e con la sua partecipazione.Ed è questo evento, questo avvenimento [...] che [...] costituisceil significato della frase» (Fish, 1980: 25).Il senso linguistico, in altre parole, (e qui Fish fa appello alla teoriadegli atti linguistici di J. L. Austin e John Searle), è da identificarsi noncon ciò che il testo dice, ma con ciò che il testo fa. Ne consegue che laletteratura si trova nel lettore (come sostiene il titolo stesso del saggio diFish), nelle sue «graduali risposte» a «parole che si susseguono nel tempo»(Fish, 1980: 27). L'esperienza letteraria non è altro che un drammaesegetico. In questa prima fase, la teoria del reader response si distinguedalla teoria della ricezione della scuola di Costanza in quanto s'interessanon alle strategie dei testi che suscitano le cosiddette risposte del lettorequanto alle risposte stesse, soprattutto alle loro sottigliezze. Il compitodell'analisi critica non è più quello di costruire una sintesi del significatoa lettura compiuta, ma quello di mettere in chiara evidenza la rispostadettagliata del lettore. Proprio in quanto «il luogo in cui il significato{meaning) avviene [...] è la mente del lettore e non la pagina stampata»,la stilistica formale dei New Critics dovrà mutarsi in «stilistica affettiva»(Fish, cit. Tompkins, xvii).98


Stanley FishÈ chiaro che la conclusione a cui perviene «Literature in the Reader»sfocia in pieno nel problema del relativismo epistemologico. Cercando dievitare lo scoglio dell'autonomia testuale, Fish si dirige verso quello delsoggettivismo, in cui i significati dipendono interamente dal lettore. Per ripararsidal pericolo del relativismo, Fish si rifa ad una versione del concettochomskiano di competenza linguistica, cioè, alla nozione dell'informedreader. Il lettore informato è colui il quale si è impadronito dei sistemigrammaticali, semantici, storici e letterari in cui il testo è inserito (Fish,1980: 48-49). È la norma <strong>of</strong>ferta dall' informed reader a garantire che l'interpretazionesoggettiva non sarà mai del tutto libera; date certe convenzionidi lettura, la risposta del lettore a un dato testo sarà «fino a un certopunto prevedibile e regolare» (Fish, 1980: 44-45).Per quanto riguarda le divergenze d'interpretazione fra lettori, sarebberogiudizi e valutazioni aggiunte alla prima lettura «competente»,al livello «primario o basilare» di analisi letteraria che è «identificabilepiù o meno con la percezione stessa». A questo livello fondamentaleviene imposto «un livello secondario o successivo [...] in cui le differenzefra individui si manifestano» (Fish, 1980: 5). Il secondo livello è costituitodalla «interpretazione», il primo dalla pura «descrizione». L'erroretradizionale della critica letteraria è quello di spostare l'interesse dal primolivello di lettura, condiviso da tutti gli interpreti, verso il secondo livello,retto da interessi personali e retorici (da qui l'<strong>of</strong>fuscamento delprimo livello). Con la nozione di informed reader Fish propone inveceun tipo di critica terapeutica « il cui principio distintivo [è] quello di nonconsiderarsi affatto critica, ma un progetto per riparare i danni causatidalla critica» (Fish, 1980: 6).Tuttavia, il tentativo di fornire un carattere obiettivo alla lettura generaconseguenze inattese. Esso riconduce Fish nell'ambito di quellostesso formalismo da cui voleva allontanarsi. Nella sua funzione descrittiva,il lettore informato rimane legato, non meno del superreader di MichaelRiffaterre e dei lettori di Jauss e Iser, ai tratti linguistici che pretendevadi padroneggiare. Le regole di competenza del lettore sono determinatedal testo e dalle sue proprietà immanenti. In questa fase dellasua teoria, Fish si vede costretto a riconoscere una contraddizione fral'attribuzione del senso ai meccanismi conoscitivi dell'interprete e l'ammissioneche questi meccanismi dipendono da sistemi linguistici indi-99


Harrisonpendenti dal lettore (contraddizione messa in luce anche da Abrams,1979: 575-81; Culler, 1982: 65-75; de Man, 1972: 188-92). In quanto ogniazione del lettore informato è «strettamente controllata dalle proprietàdel testo», l'antiformalismo di Fish sfocia in una ulteriore estensione delformalismo (Fish, 1980: 7). Mentre la negazione dell'obiettività del testosembra conferire al lettore l'autorità per la produzione testuale del senso,questa nuova autorità risulta ancora più illusoria di quella del testo.Affinché l'evento della produzione del significato si verifichi, come osservaFreund, Fish deve presupporre «che l'illusorio oggetto testuale <strong>of</strong>frain qualche modo anche un modello stabile ed obiettivo in relazioneal quale l'evento della lettura ha luogo» (Freund, 1987: 96).In fondo, il problema può essere riportato alla riluttanza del primoFish ad abbandonare l'antìtesi fra soggetto e oggetto ermeneutico. Fishtrova una prima soluzione a questa antitesi nel saggio «How Ordinary isOrdinary Language?» (1973). In questo testo il critico rivolge l'attenzioneal contrasto tradizionale fra linguaggio comune, visto come espressioneneutra o rispecchiante uno stato di fatto, e linguaggio letterario, visto invececome espressione di una visione particolare, inconsueta e individuale.Fish ora si rende conto che lo stesso linguaggio comune contienegià quel tessuto di «valori», di «soggettività» e di prospettiva che caratterizzanoil linguaggio letterario. Da un punto di vista puramente formale,linguaggio comune e linguaggio letterario sono ugualmente soggettivi eoggettivi. L'antitesi comincia a fondersi. La distinzione fra i due tipi dilinguaggio è solo di ordine convenzionale. Ne risulta che la letteratura èuna categoria fissata da decisioni sociali, da idee variabili circa le proprietàche la dovrebbero costituire. In fondo, la differenza tra il linguaggiocomune e il linguaggio letterario va ricondotta a una differenza tradue modi di leggere. Non è la letteratura a rivelare proprietà formali cherichiedono un particolare tipo di attenzione. «Anzi, è il tipo di attenzionerivolta al testo (e conseguenza di una particolare concezione di 'letteratura')a causare Pevidenziazione di quelle proprietà che riconosciamo inantìcipo come letterarie». In verità, continua Fish, è «il lettore che 'crea'la letteratura», e non viceversa (Fish, 1980: 10-11).La tesi di «How Ordinary is Ordinary Language?» trova un ulterioresviluppo in «Interpreting the Variorum» (1976), saggio in cui la polemicacontro il formalismo diventa decisiva. Se le unità semantiche, le strut-100


Stanley Fishture stilistiche e gli scarti dalla norma sono rintracciabili nel testo - ogiungono all'attenzione del lettore diventando tratti «distintivi» dell'opera- è solo come conseguenza di una particolare modalità di lettura. Lestesse «proprietà formali» da cui prendono lo spunto le analisi stilistichesono >ilprodotto dei principi interpretativi di cui rappresentano presumibilmentela prova» (Fish, 1980: 12). Viene dunque rovesciato l'interorapporto interpretazione-testo. Le strategie interpretative non sono messein atto dopo un confronto con il testo; esse « sono la forma stessa dellalettura, e in quanto tali, danno anche ai testi le proprie forme, creandoliinvece che derivare da loro, come viene normalmente presunto» (Fish,1980: 13).Se il rischio dell'interpretazione soggettiva sembra ancora sussistere,esso comincia a sparire ad iniziare dalla seconda fase delle teorie di Fish.Quel lettore-soggetto che «crea» la letteratura non è mai un agente libero.È esso stesso creazione della comunità interpretativa a cui appartiene,«i cui presupposti determinano il tipo di attenzione che presterà ognisingolo lettore e quindi il tipo di letteratura che verrà 'creata'» (Fish,1980: 10-11). Ogni lettore storico è solo un epifenomeno, segno e «testo»del sistema pratico-linguistico a cui appartiene (Michaels, 1977; Culler,1982). In un testo successivo a «Interpreting the Variorum», Fish <strong>of</strong>fredegli esempi concreti di comunità interpretative: giurie, leghe politiche,organizzazioni pr<strong>of</strong>essionali, classi sociali, gruppi etnici, e, per quantoriguarda la creazione-definizione della letteratura, la comunità dei letterati.Sono proprio i sistemi normativi di quest'ultima comunità, e non ledescrizioni «pre-interpretative» del singolo informato, a garantire sia lavarietà che la stabilità dell'interpretazione letteraria (Fish, 1980: 171).Con il testo e il lettore uniti in un circolo ermeneutico, sparisce nonsolo il problema del soggettivismo epistemologico, ma la stessa distinzionefra soggettività e obiettività. I significati linguistici non sono proprietàné di testi fissi e stabili né di lettori liberi e indipendenti, ma di«comunità interpretative responsabili sia delle modalità relative alle attivitàdel lettore sia dei testi prodotti da quelle attività» (Fish, 1980: 322).La nozione di interpretive communities cancella il dilemma stesso cheha promosso il dibattito fra i sostenitori del testo e gli apologeti del lettore.Vengono minate non solo le basi della critica formalistica ma anchequelle dell'alternativa al formalismo, e cioè la critica del reader re-101


Harrisonsponse del primo Fish (Fish, 1980: 14). D'ora in poi sia l'obiettività chela soggettività del significato dovranno sparire come argomenti nellamisura in cui il fondamento dell'autorità interpretativa» è ravvisabile,allo stesso momento, in entrambi e in nessuna dei due», ravvisabile,cioè, nel patrimonio linguistico che inquadra sia l'oggetto dello studio(la letteratura) sia il modo in cui viene studiato (le modalità della lettura)(Fish, 1980: 14). In quanto sparisce la struttura diadica su cui poggianole distinzioni tradizionali del discorso critico - linguaggio scientificoe linguaggio emotivo, descrizione e interpretazione, scrittura e lettura,forma e contenuto — una critica che si concentra sul reader responsediventa non meno incoerente di quella che si concentra sullemodalità stilistiche e formali (Fish, 1980: 246-67).Eppure, con questo appello alle tradizioni linguistiche che reggonola lettura, il decentramento dell'autorità interpretativa effettuato da Fishnon corre mai il rischio dell'indeterminatezza e dell'«indecidibilità» [undecidability]del senso come nel caso della critica di stampo decostruzionista.Rispondendo al timore di molti critici che la perdita del concettosia di testo che di lettore implichi un'assenza di criteri interpretativi,Fish distìngue la sua teoria dell'interpretazione da «una certa caratterizzazione(in verità una caricatura) della posizione poststrutturalista oderridiana» (Fish, 1980: 268). Proprio in quanto il senso è sempre giàcontestualizzato in sistemi comuni di interesse, di scopi, e di modalitàdiscorsive, esso ha sempre un carattere determinato e decifrabile. Rifacendosidi nuovo alla speech act theory di Austin e Searle, Fish ribadisceil fatto che nessuna frase può avere senso al di fuori delle circostanzepratico-discorsive in cui viene espressa. Per quanto possano cambiare icostumi e gli usi linguistici, nessun cambiamento produrrà mai un'assenza«delle norme, degli standards, e delle certezze» che temiamo diperdere (Fish, 1980: 268). Sia i consensi che i disaccordi ermeneutici sarannosempre regolati.La paura dell'indeterminatezza del senso è, dunque, in verità, solouna paura del convenzionalismo relativistico. Se il senso non è mai decifrabilein modo autonomo e universale, non esiste più nessuna letturaunica e corretta. Ecco il passo decisivo compiuto tramite la sostituzionedella nozione di informed reader con quella dell'autorità della comunitàinterpretativa. Il concetto del lettore informato proponeva almeno un102


Stanley Fishmodello di lettura - un metro di giudizio di tutte le altre letture. Ora,però, con la nozione delle numerose comunità interpretative, non c'èpiù lettura giusta, corretta o universale. Ogni lettura è valida localmente,ossia secondo le norme della comunità in cui viene fatta. I consensiemergono tra membri della stessa comunità interpretativa; i disaccordirappresentano solo le differenze che separano una comunità da un'altra.Eppure, come mostra la storia della critica, anche questi stessi dissensi«possono essere dibattuti seguendo determinati principi» (Fish,1980: 15). Il concetto delle comunità interpretative riesce quindi a dareuna spiegazione anche per quelle divergenze di lettura che emergonodalla critica formalistica.Inoltre, la nozione di interpretive communities libera la critica letterariada un'illusione pr<strong>of</strong>essionale. La critica non dovrà più cercare, comeavveniva nel primo Fish, di descrivere con esattezza l'esperienza letterariaideale. Il critico, consapevole della sua necessaria appartenenzaa una (e talvolta a molte) comunità di interpreti, dovrà abbandonare lapretesa di scoprire o seguire i principi di una lettura corretta e universale.Anzi, confesserà di non <strong>of</strong>frire altro che una sola lettura fra tante -quella appunto che si integra meglio con i suoi presupposti. L'epoca incui la critica letteraria mirava a stabilire una determinazione ermeneuticauna volta per tutte è finita. Ora i giudizi critici saranno fatti e rifatti« ogniqualvolta gli interessi e gli scopi impliciti di una comunità interpretativarimpiazzano o spostano gli interessi e gli scopi di un'altra» (Fish,1980: 16). Non cercando più di fondare la «verità» su metodi disinteressatied oggettivi, la critica diventa quella che in fondo è sempre stata:un'attività retorica e non dimostrativa. Il critico è semplicemente coluiche si arroga il diritto di ritenere giusta, « tramite mezzi politici e persuasivi(che sono poi la stessa cosa)», una particolare lettura, una letturache « se accettata, sarebbe considerata almeno per un determinato periodo,quella vera» (Fish, 1980: 16).Qui Fish mette in evidenza un paradosso. Non potendo eludere il sistemadi presupposti sociali, politici e culturali da cui è determinata, ognilettura non potrà che prendere una posizione, presentandosi come se fossequella vera in assoluto. Anche se riconosciamo che i nostri presuppostisono epistemologicamente «deboli» o relativi, ritìene Fish, non potrem<strong>of</strong>are a meno di promuoverli retoricamente (Fish, 1989: 18-21). Anzi, può103


Harrisondarsi il caso che più riteniamo deboli e soggettive queste nostre posizioni,più ci sforzeremo, al livello retorico, di renderle convincenti (tenendod'occhio la varietà delle comunità con cui comunichiamo).La conseguenza di questa ricollocazione del senso, prima nel lettore epoi nella sua costìtuzione interpretativa, rappresenta essenzialmente «laripoliticizzazione della letteratura e della critica letteraria» (Tompkins,1980: xxv). Inserita di nuovo nel territorio del discorso comune e interessatoda cui il formalismo l'aveva sottratta, la letteratura non costituiscepiù un'attività kantianamente indipendente. Anzi promuove numerositratti del contesto storico, economico, politico e morale da cui sorge.Sono questi tratti e le loro determinazioni che diventeranno il verooggetto dell'analisi letteraria di stampo fishiano, un'analisi che oserà anchevalutare anziché solamente descrivere questi tratti. Di conseguenza,con la scoperta delle comunità interpretative, le ricerche di Fish si estendonoverso aree molto più vaste di quella esclusivamente letteraria.Questa è la svolta rappresentata dal suo lavoro degli anni ottanta, raccoltoin Doing What Comes Naturally- Change, Rhetoric, and the Practice<strong>of</strong> Theory in Literary and Legal Studies (1989), un volume che analizzanon solo la retorica della letteratura e della critica letteraria, ma anchedelle istituzioni sociali, dei ragionamenti morali, e delle deliberazionilegali.Nei lavori successivi a Is There A Text In This Class?, Fish cominciaad indagare le strategie e i presupposti di tutta una varietà di atti ermeneuticiche si vogliono «neutri» o esatti. Fish polemizza apertamente sudue fronti: in primo luogo contro tutti coloro che, in campo teorico,propongono o ricercano una metodologia universalmente valida o disinteressata,e poi - partendo dal presupposto che la critica è sempre undiscorso politico - contro tutti coloro che difendono, nel corso del lavorointerpretativo, posizioni politiche contrarie a quelle di Fish. Il primogruppo è composto da vari teorici dell'ermeneutica, anche da quelli chesi schierano contro l'egemonia di letture fisse e coercitive (vulnerabiliproprio in quanto mirano ad attingere a letture più fondamentali, neutre,flessibili o giuste). Il secondo gruppo è composto soprattutto da coloroche si ribellano contro la pluralità e il convenzionalismo della culturain movimento. In fondo, però, i due gruppi si riducono ad uno solo,quello intento a dettare una forma d'interpretazione universale.104


Stanley FishPer quanto siano vari i loro temi ed argomenti, i diciannove saggiche compongono Doing What Comes Naturally si schierano tutti controla fede cieca nel «senso letterale», o contro la credenza nel potere fondante del pensiero, e quindi contro l'attività teorica stessa. Ogni capitolodi questo grosso volume, ritiene Fish, «si riduce, in ultima analisi, aduna sola tesi in cui i guai e i vantaggi della teoria interpretativa sonosciolti in un più ampio concetto della prassi». Semmai, è questo concettodi prassi che deve venire considerato «un nuovo, seppur sempre cangiante,'universale'» (Fish, 1989: ix, 26). L'ipotesi più radicale di DoingWhat Comes Naturally è l'antifondazionalismo il quale ritiene che nel'ambitodella prassi sociale l'attività teorica non ha il potere attribuitoledalla tradizione critica. Non fonda mai le basi della prassi; è invece fondatada esse. Le teorie non producono mai visioni del mondo; sono solol'immagine di quelle stesse visioni, che si sviluppano casualmente, inmodo più o meno contingente ed imprevedibile. Gli unici cambiamentiche le teorie apportano alla storia sono quelli che erano già immanentiad essa. I cambiamenti che sembrano scaturire dalle teorie, sostiene Fishnel saggio intitolato «Change», derivano invece da nuove forme diquella stessa retorica che la teoria tende a voler contrastare: abitudinilinguistiche e consuetudini interpretative. Per avere effetti diretti sullascena intellettuale, una teoria deve essere prima compresa; per esserecompresa, deve prima manifestare i principi interpretativi di chi la comprende.In questo circolo ermeneutico la concettualizzazione teoricanon è altro che frutto e razionalizzazione di quelle pratiche discorsiveche la teoria cerca di controllare. Infine, se mai una teoria riesca a convincereun pubblico, è grazie non al suo valore concettuale (politico,sociale, o morale), ma alla forza persuasiva del suo stile formale.Di conseguenza l'antifondazionalismo di Doing What Comes Naturallyequivale ad una apologia della retorica. Si potrebbe anche dire, aggiungeFish, che «l'antifondazionalismo moderno è il vecchio s<strong>of</strong>ismadiventato analitico» (Fish, 1989: 347). Il primo compito di questo s<strong>of</strong>ismaanalitico è di smascherare ogni tentativo di ribadire una lettura stabiledell'esperienza umana. Il secondo compito è di smascherare propriola tendenza opposta: quella di teorizzare un agire senza fondamenta.In «Critical Self-Consciousness, or Can We Know What We're Doing?»Fish nega perfino che la coscienza possa avere autocritica (Fish, 1989:105


Harrison436-467). Nessun antìfondazionalismo può esistere non sorretto dal suocontrario; nessun artificio teorico può essere cancellato senza nuove sostituzioni.Lo stesso titolo della raccolta comunica che ogni soggetto osocietà non può fare che «quello che gli viene naturale», cioè unicamentequello che gli è dato culturalmente da fare e da pensare, anche perquanto riguarda la contestazione. Nessuno si può sottrarre dal suo propriocontesto discorsivo; a maggior ragione, non può - come pretendonodi fare, per esempio, i pensatori di stampo franc<strong>of</strong>ortese - valutarlo.Infatti, il bersaglio più sorprendente dei saggi di Doing What ComesNaturally non è l'intellettuale di stampo dogmatico e conservatore checerca di salvare la teoria nel mezzo della tempesta del pluralismo. È l'intellettualeradicale: colui che cerca di mutare i fondamenti dell'agire sociale.Bersaglio sorprendente in quanto Fish stesso è un vigoroso difensoredel pluralismo politico, se non addirittura degli emarginati sociali.Se l'intellettuale conservatore agisce in base a un'intolleranza ideologicaabbastanza trasparente, quello radicale sogna qualcosa di non meno assoluto:un nuovo ordine teorico liberato da tutti i vincoli puramentecontìngenti. Anche se il radicale parte da decostruzioni estremamente risolutedei punti saldi dell'interpretazione convenzionale, finisce di nuovoper proporre modi più autentici o disinteressati su cui fondare laprassi. Questa è la speranza della teoria stessa - la theory hope- a cui sirivolgono gli ultimi saggi di Fish, una speranza che sarebbe più caratteristicadi pensatori della sinistra che quelli della destra: del femminismo,per esempio, con la sua «epistemologia aperta»; dei marxisti, con il lororichiamo alle basi umane e umanistiche dell'agire pratico; di EdwardSaid, con la sua polemica contro il « pr<strong>of</strong>essionalismo accademico» chesottrae l'intellettuale dal campo dell'azione politica. Con la loro tendenzaa promuovere un'ermeneutica vera o corretta, tali teorici, scrive Fish,<strong>of</strong>frono « una conferma clamorosa della mia regola generale secondo cuil'anti-pr<strong>of</strong>essionista di sinistra è sempre un intellettuale di destra travestito»(Fish, 1989: 234).Nella sua critica al pensiero radicalmente antifondazionalista (equindi al pensiero mirante a raggiungere un fondamento di tutt'altro tiporispetto a quelli correnti) il convenzionalismo di Fish si collega alpensiero debole di Gianni Vattimo. Il suo post mortem della teoria - nessunateoria ha conseguenze seppur minime - è invece più vicino al106


Stanley Fishneo-pragmatismo del filos<strong>of</strong>o Richard Rorty. Eppure, il neo-pragmatismoconvenzionalista di Fish, apparentemente passivo e di tipo « laissezfaire», ha più conseguenze di quelle che vorrebbe ammettere. Per principio,esso difende il diritto di tutti gli atteggiamenti intellettuali trannequelli che affermano l'esclusività, cioè quelli che escludono la possibilitàdi altri atteggiamenti (un'etica, tra l'altro, implicita anche nel pensierodebole). Ed è qui che Fish si trasforma da critico letterario in intellettualemilitante, inserendo la sua voce nel vasto dibattito condotto nellacomunità accademica americana sotto l'egida della political correctness,ovvero la correttezza politica (si veda, per esempio, l'articolo in Timedel 20 maggio, 1991, con la risposta di Fish del 1 aprile). La politicaicorrectness si esprime nell'istituzionalizzazione della pluralità sessuale,razziale, ed etnica. Non e azzardato attribuire gran parte della diffusionedi questo movimento negli Stati Uniti alla retorica autorevole delle teoriedi Fish, teorie che hanno influito moltissimo sia sulla intellighenziaamericana sia sulla gestione generale delle università.Date le nuove premesse riguardo alla costituzione del senso da partedelle comunità interpretative, risulta inevitabile che opere ritenute classicheo canoniche nell'ambito di una disciplina come quella della letteraturainglese (Chaucer, Shakespeare, Milton, ecc.) vengano sostituite da testipiù variati, locali, e di natura pluriculturale, testi in apparenza più rappresentatividegli interessi di lettori attuali. Crollata la fede non soltanto inogni semiotica puramente formale, ma anche nell'obiettività di qualsiasimetodologia interpretativa, le materie degli studi umanistici subiscono unnotevole indebolimento. La nozione di community response tende a svalutare«l'essenza» di queste materie (storia, letteratura, ecc.) e delle lorometodologie a favore sia degli usi che ne vengono fatti sia della costituzionestorica degli interpreti e dei loro punti di vista. Fra tutte le ermeneuticheattualmente vigenti in America, è quella di Fish che sostienemaggiormente la nuova tendenza dell'accademia statunitense a promuoverenei curricoli quella che è stata chiamata una well-directed tension(una tensione ben diretta), cioè, una tendenza ad accordare un valore incontestabileal pluralismo storico, politico, e culturale.È in questo contesto politico che molti teorici radicali vedono il liberalismodi Fish solo come un addomesticamento della militanza intellettuale.Fin dall'inizio, le critiche più pesanti rivolte all'ermeneutica di Fish107


Harrisonhanno insistito non tanto sul suo relativismo culturale quanto sul suoconvenzionalismo. Come sostiene Paul de Man, il primo problema cobconvenzionalismo retorico è di ordine epistemologico. Secondo de Mane altri, la lettura fishiana è un'attività troppo compiaciuta, un'attività checonsiste interamente nell'incontro di una convenzione interpretativacon un'altra (oppure con se stessa sotto una nuova forma). Il testo concepitoda Fish non <strong>of</strong>fre mai punti semiotici che resistono ai mezzi interpretatividel lettore, costringendolo a ripensare i propri orizzonti d'attesa,e magari spingendolo verso i margini della comprensione in cui sitroverà al cospetto di insuperabili trabocchetti interpretativi (de Man,1972: 181-92). Secondo de Man, le teorie della lettura di Fish non teorizzanol'epistemologia della lettura stessa la quale invece sembra esserecondotta in base alle regole di una retorica che permette a ogni significantedi trovare il suo significato corrispettivo. Respingere la teoria, sostienede Man, è in fondo respingere la lettura stessa, intesa come ricercadell'alterità (de Man, 1986: 17-18). Anche il fatto che Fish si ostina anon ammettere differenze fra linguaggio poetico e linguaggio comunerivela la sua resistenza a un tipo di lettura «pr<strong>of</strong>onda» da cui sorgel'esperienza della retorica intesa non come persuasione, ma come criticalinguistica, come spunto proprio per quella ricerca epistemologica cheFish non ritiene valida. Avendo ricondotto tutte le funzioni linguistiche agesti di persuasione. Fish evita gli ostacoli che la retorica stessa pone aogni tentativo di ridurre il senso al consenso.Inoltre, viene spesso messo in evidenza che la retorica del consensonon <strong>of</strong>fre una spiegazione convincente dei mutamenti storici del senso.La lettura convenzionalistica di Fish tende ad escludere dal processo ermeneuticoquei fraintendimenti che <strong>of</strong>frono la possibilità di un dialogocritico. Imprigionato nelle norme comunitarie di interpretazione, e addiritturasottomesso alla loro autorità, il soggetto fishiano non può avventurarsinei tratti più complessi, individuali e problematici di un testo.Egli può «solo appropriarsene ciecamente», sostiene Freund, «come sesi trattasse di elementi sempre disponibili ad un processo di normalizzazione.Non può neanche conoscere le condizioni che determinano ilsuo sapere o la sua ignoranza; può solo ripeterle. E questo lettore le ripeteràsenza angoscia o ansia, in quanto, basandosi sempre su atti di fede,non inciampa e non perde mai l'equilibrio: esiste sempre la rete di108


Stanley Fishun'altra convenzione a fermare la sua caduta» (Freund, 1987: HO). Dalmomento in cui la teoria di Fish non è in grado di spiegare « l'autoesamecritico e l'incontro con casi resistenti o problematici» che spesso scuotonole discipline intellettuali, diventa difficile comprendere il modo in cuivengono effettuati cambiamenti radicali nella storia del pensiero (Norris,1990: 126). Questa critica a Fish proviene non solo dal campo decostruzionistadi de Man e Norris ma anche da quello ermeneutico di HansRobert Jauss e Wolfgang Iser con cui Fish ha tenuto un dibattito moltoteso negli anni ottanta. Il circolo ermeneutico di Fish ribadirebbe semprela «pre-comprensione» del lettore e, di conseguenza, escluderebbela possibilità di pervenire a risultati imprevedibili o a scoperte radicalirese fattibili dagli scontri inattesi di idee.Una delle altre critiche rivolte alle teorie di Fish accentua il loropragmatismo paralizzante. Proprio in quanto l'ermeneutica delle comunitàinterpretative riduce ogni atto interpretativo ad un inevitabile giocodi convenzioni, non può proporre nessun cambiamento nell'operazioneattuale del pensiero storico. «L'imperialismo del consenso», secondoFreund, non presenta nessuna aspirazione verso nuove idee o impresesociali. Qui la teoria è davvero senza conseguenze in quanto non riescea liberarsi dalla prassi attuale. Non potendo liberarsene non può neanchecambiarla. L'unico consiglio di Fish è quello di abbandonare persempre la teoria e lasciar correre il mondo a modo suo - che è poi ilmodo in cui viviamo, ma non necessariamente quello che avremmo voluto.Dopo aver letto Fish (il quale è sempre pronto ad accettare questecritiche alle sue teorie, e non solo alle sue), il critico o il teorico si ritrovaa dover compiere questa scelta: respingere del tutto l'attività teorica,convinto della sua inutilità, o proseguire a sviluppare le proprie teoriecome se niente fosse. In entrambi i casi le idee di Fish non potrannoaiutarlo a prendere quelle decisioni che dovrà tuttavia prendere, decisionidi ordine politico, morale e anche teorico.Thomas HarrisonUniversity <strong>of</strong> Pennsylvania109

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