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ARCHEOMODERNITAS Rivista semestrale di Ineffabili fatti d'Arte nr.1

Il neologismo “ARCHEOMODERNITAS" che intitola la rivista, allude al processo che muove la ricerca artistica nell’ambito della tradizione creativa avvalendosi dell’esempio e dell’afflato del passato ma si connette funzionalmente e organicamente al patrimonio linguistico-espressivo del panorama contemporaneo all’epoca in cui tale processo si produce... www.exstudentiaccademiabellearti.org

Il neologismo “ARCHEOMODERNITAS" che intitola la rivista, allude al processo che muove la ricerca artistica nell’ambito della tradizione creativa avvalendosi dell’esempio e dell’afflato del passato ma si connette funzionalmente e organicamente al patrimonio linguistico-espressivo del panorama contemporaneo all’epoca in cui tale processo si produce... www.exstudentiaccademiabellearti.org

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Il lettore deve essere informato del fatto, non<br />

trascurabile, che le volumetrie cromatiche<br />

<strong>di</strong> Albers (le superfici <strong>di</strong> colore dei quadrati<br />

all’interno <strong>di</strong> altri quadrati) servivano a stabilire<br />

<strong>di</strong>stanze percettive <strong>di</strong>verse fra il piano<br />

e l’osservatore; al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> qualunque volontà<br />

<strong>di</strong> simulare una profon<strong>di</strong>tà prospettica; la<br />

spazialità evocata in quelle opere avrebbe<br />

dovuto abbandonare la superficie fisica del<br />

piano pittorico per invadere lo spazio reale,<br />

come quello, altrettanto solido e concreto.<br />

Ebbene, questa spazialità (il fatto <strong>di</strong> percepire<br />

realmente delle "<strong>di</strong>stanze" oltre ogni tipo<br />

<strong>di</strong> rappresentazione realistica) al <strong>di</strong> qua della<br />

superficie del piano pittorico intesa come<br />

piano <strong>di</strong> espansione avrebbe caratterizzato,<br />

alla fine degli anni sessanta, le invenzioni <strong>di</strong><br />

artisti come Mark Rothko (autore che Adele<br />

Plotkin teneva ben presente).<br />

Le superfici piatte dell’artista <strong>di</strong> Newark sviluppano<br />

(così come nelle opere <strong>di</strong> Albers o<br />

Rothko) un volume, oltre il piano pittorico. I<br />

margini percettivi denotati attraverso il cambio<br />

<strong>di</strong> tonalità dei cartoncini colorati, serve<br />

a suggerire <strong>di</strong>stanze <strong>di</strong>verse fra piani contigui.<br />

A proposito <strong>di</strong> quei cartoncini colorati, si<br />

tratta <strong>di</strong> un dettaglio che non tutti conoscono.<br />

Non è un caso che Adele Plotkin ne facesse<br />

largo uso; aveva in<strong>fatti</strong> imparato ad impiegarli<br />

proprio a Yale con Albers. Quest’ultimo<br />

chiedeva ai suoi studenti <strong>di</strong> portare con sé ritagli<br />

<strong>di</strong> carta colorata <strong>di</strong> ogni tipo, in questo<br />

modo, egli <strong>di</strong>ceva, si sarebbe evitato <strong>di</strong> perdere<br />

tempo a colorare gli spazi <strong>di</strong> carta per svolgere<br />

gli esercizi sull’interazione del colore. Le<br />

superfici colorate già pronte risultavano più<br />

versatili e adatte allo scopo da raggiungere.<br />

Questa praticità e, soprattutto, l’esclusione<br />

della parte manuale, introduceva un metodo<br />

<strong>di</strong>dattico che lei stessa avrebbe impiegato<br />

più tar<strong>di</strong> nelle sue lezioni. Ma abbiamo detto<br />

che negli anni in cui insegnò a Bari, Adele<br />

Plotkin non <strong>di</strong>ssociò quell’attività <strong>di</strong> docente<br />

con quella professionale. Anzi, così come per<br />

Albers, quest’ultima rappresentò una continuazione<br />

<strong>di</strong> quella. Nel suo stu<strong>di</strong>o preparava<br />

con un’accortezza maniacale i suoi cartoncini,<br />

rigorosamente blu-azzurro nelle sotto tonalità<br />

più calde o più fredde. Lo faceva tinteggiando<br />

uniformemente con colori acrilici<br />

vaste porzioni <strong>di</strong> carta <strong>di</strong> supporto. "Di tanti<br />

allegri colori - ebbe modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re - un salto ad<br />

uno solo, l’azzurro. Senza un perché, ma una<br />

semplice necessità viscerale che irrompe; un<br />

blu opaco, denso, che assorbe la luce e racconta<br />

poco. Tutt’ora mi tiene compagnia, in<br />

una forma o un’altra" (3).<br />

Da Albers aveva imparato a <strong>di</strong>stinguere fra<br />

un margine "tagliato" <strong>di</strong> netto ed uno semplicemente<br />

"strappato". L’effetto risultava <strong>di</strong>verso.<br />

Invito il lettore più curioso a notare questi<br />

importanti dettagli. I lavori eseguiti fra il<br />

1987 ed il 1990 cono caratterizzati da questa<br />

tecnica raffinatissima e, a mio parere, raggiungono<br />

la massima complessità sintattica.<br />

I piani pittorici <strong>di</strong> questo periodo non hanno<br />

una forma, non sono nemmeno circolari; perché<br />

quella forma era sembrata, in un primo<br />

momento, rispecchiare meglio l’idea <strong>di</strong> uno<br />

spazio senza limiti. In effetti, che <strong>di</strong>fferenza<br />

vi è fra un punto ed un <strong>di</strong>sco? L’infinitamente<br />

piccolo (ma quanto) e l’infinitamente grande<br />

(ma quanto). Così lo stesso Kan<strong>di</strong>nsky aveva<br />

osservato. No, lo spazio non si può definire se<br />

non attraverso l’esperienza dei sensi e persino<br />

attraverso una forma simbolica come il quadrato<br />

o il cerchio, si rischierebbe <strong>di</strong> rimanere<br />

vincolati a dei limiti rigi<strong>di</strong>. Quelle non-forme<br />

sembrano, all’artista <strong>di</strong> Newark, le più adatte<br />

ad incarnare questo concetto. La circonferenza<br />

rimane, all’interno <strong>di</strong> quelle non-forme<br />

con il solo scopo <strong>di</strong> evidenziare (quasi come<br />

avviene per il meccanismo delle forme frattali)<br />

che a partire da qualunque punto <strong>di</strong> quello<br />

spazio <strong>di</strong> superficie, è possibile una iterazione<br />

all’infinito, verso l’interno e verso l’esterno.<br />

Più precisamente: se una forma circolare riassume<br />

simbolicamente lo spazio circostante<br />

(come a <strong>di</strong>re, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questi bor<strong>di</strong> lo spazio<br />

"continua"), uno spazio <strong>di</strong> superficie delimitato<br />

da margini fluttuanti e casualmente asimmetrici<br />

può a sua volta contenere (come un<br />

pianeta rispetto al sistema solare), o meglio,<br />

contiene in sé qualsiasi altra forma, come<br />

quella circolare. Spesso queste composizioni<br />

rivelano (a volte in maniera assai celata, come<br />

se quel particolare fosse stato sottoposto ad<br />

un ingran<strong>di</strong>mento) un frammento <strong>di</strong> circonferenza<br />

interrotto dai bor<strong>di</strong> curvilinei del piano<br />

<strong>di</strong> supporto, quasi lo tagliano bruscamente;<br />

come a <strong>di</strong>re: al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa superficie tutto<br />

può continuare "come se". È quel che accade<br />

in una <strong>di</strong> queste composizioni senza titolo<br />

del 1990, in cui uno <strong>di</strong> questi margini anomali<br />

risulta rettilineo e coincidente con lo spigolo<br />

del muro <strong>di</strong> supporto, come se attraversasse<br />

la parete continuando al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> essa.<br />

Tra il 1993 ed il 2001 Adele Plotkin realizza<br />

moltissimi <strong>di</strong>segni, in realtà si tratta quasi<br />

sempre <strong>di</strong> acquerelli <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni<br />

eseguiti su cartoncino bianco. Nell’estrema<br />

varietà dei motivi grafici è evidente un unico<br />

tema progettuale: la verifica dell’ambiguità<br />

percettiva del rapporto figura-fondo. L’obiettivo<br />

non è certamente nuovo, essendo invece<br />

costantemente presente nelle serie dei lavori<br />

del periodo precedente eseguiti su tavola con<br />

margini asimmetrici. Questa volta il margine<br />

squadrato del foglio <strong>di</strong> supporto non assume<br />

alcuna importanza ai fini dell’obiettivo. Il lettore<br />

deve sapere che vi è una continuità degli<br />

intenti, visto che il tema del rapporto figura-fondo<br />

è all’origine (almeno per quanto<br />

riguarda la Gestaltpsychologie) del problema<br />

della percezione (e dalla rappresentazione)<br />

dello spazio. Il tema centrale è semplicemente<br />

questo: esiste una figura se esiste lo sfondo,<br />

e dato che non vi è la percezione <strong>di</strong> spazio (inteso<br />

come profon<strong>di</strong>tà) senza una stimolazione<br />

retinica procurata dalla presenza <strong>di</strong> qualcosa<br />

che si trovi sopra-davanti ad un’altra. Dunque,<br />

la <strong>di</strong>fformità fra due superfici contigue<br />

genera la percezione dei margini. Questi margini<br />

circoscrivono almeno due oggetti visivi<br />

<strong>di</strong>versi, me<strong>di</strong>ante qualcosa che sta sopra-davanti<br />

ad un’altra. Una figura. Questi <strong>di</strong>segni<br />

offrono all’osservatore una straor<strong>di</strong>naria tavolozza<br />

<strong>di</strong> possibilità <strong>di</strong> ruoli assunti dalla linea<br />

intesa come margine. È indubbio che tali<br />

obiettivi siano stati affrontati da numerosi<br />

artisti, da Hans Harp a Henry Moore, da William<br />

Baziotes a Victor Pasmore. Quest’ultimo<br />

in particolare, deve avere offerto ad Adele<br />

Plotkin un notevole motivo <strong>di</strong> riscontro (ricordo<br />

nella sua stanza <strong>di</strong> lettura un’importante<br />

monografia dell’artista lon<strong>di</strong>nese).<br />

A Yale aveva imparato, stu<strong>di</strong>ando Arnheim,<br />

che la figurazione visuale è il risultato <strong>di</strong> rapporti<br />

funzionali fra le singole parti; che vi sono<br />

infinite possibilità <strong>di</strong> rintracciare un equilibrio<br />

visivo e che un punto o una linea instaurano<br />

sempre un rapporto con lo spazio bi<strong>di</strong>mensionale<br />

che li delimita. Da Albers aveva<br />

appreso che due colori a<strong>di</strong>acenti, <strong>di</strong>versi fra<br />

loro, possono raggiungere la similitu<strong>di</strong>ne del<br />

contrasto tonale, ma mai l’identità. Che una<br />

linea (in quanto margine) è semplicemente il<br />

risultato percettivo del contrasto fra pattern<br />

<strong>di</strong>versi. Non solo. Aveva ascoltato dal maestro<br />

tedesco i ricor<strong>di</strong> delle lezioni al Bauhaus, particolarmente<br />

quelle <strong>di</strong> Paul Klee. È innegabile<br />

che questi acquerelli rappresentino la sintesi<br />

<strong>di</strong> quelle esperienze. La parsimonia delle figure,<br />

quasi presenza <strong>di</strong>screta <strong>di</strong> esse, rievoca<br />

alcuni <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Klee.<br />

Questi <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Adele Plotkin raccontano<br />

una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> configurazioni possibili in<br />

cui la linea-margine è l’attore principale: la linea<br />

come contorno <strong>di</strong> una figura (ad esempio<br />

una forma circolare) si richiude su se stessa<br />

decretando la <strong>di</strong>fferenza fra una parte racchiusa<br />

(lo spazio intorno ad essa) e la parte<br />

racchiudente (vale a <strong>di</strong>re lo sfondo, ovvero lo<br />

spazio esterno ad essa). Ma quando quest’ultimo<br />

richiama a sé quella linea-margine (nei<br />

casi in cui questa non si richiude su se stessa<br />

o quando lo spazio racchiuso è troppo grande)<br />

i ruoli si invertono lasciando l’osservatore<br />

<strong>di</strong>sorientato. Si capisce che il rapporto tra figura<br />

e fondo è analogo a quello fra convessità<br />

e concavità. Una figura è convessa (perché<br />

racchiude uno spazio escludendolo dal fondo<br />

e attribuendogli una maggiore compattezza<br />

visiva); il fondo è concavo (perché lo sono i<br />

contorni) quando circonda interamente o in<br />

massima parte la figura. Ma quando il margine<br />

viene richiamato dallo sfondo, quando<br />

cioè viene messo in rapporto con esso da<br />

un gioco <strong>di</strong> ombre che gli attribuiscono una<br />

maggiore densità, ecco che improvvisamente<br />

vene "in avanti" facendo sì che la figura ora<br />

appaia come una specie <strong>di</strong> bucatura, <strong>di</strong> lacerazione,<br />

<strong>di</strong> finestra al <strong>di</strong> là (<strong>di</strong>etro o sotto) <strong>di</strong><br />

esso. Questo complesso racconto delle regole<br />

gestaltiche della semplicità, avviene attraverso<br />

un’abile <strong>di</strong>slocazione degli elementi ottici<br />

all’interno del foglio <strong>di</strong> carta, campo d’azione<br />

<strong>di</strong> questa interazione <strong>di</strong>namica.<br />

Quelli della sovrapposizione e della trasparenza<br />

fenomenica sono temi affrontati dalla<br />

psicologia della percezione visiva. Argomenti<br />

trattati negli ultimi lavori <strong>di</strong> Adele Plotkin,<br />

eseguiti fra il 2011 e il 2013 durante un periodo<br />

<strong>di</strong> lavoro frammentato, interrotto da riposo<br />

forzato o degenza a causa <strong>di</strong> una grave<br />

<strong>di</strong>scopatia che le impe<strong>di</strong>sce movimenti o<br />

stazionamenti in posizione eretta. […] Queste<br />

composizioni risentono certamente <strong>di</strong> alcuni<br />

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