LUIGI CANCRINI Psichiatra, Psicoterapeuta ... - Fiore Del Deserto
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figure parentali introiettate estremamente crudeli, estremamente dure contro le quali si esprime<br />
una ribellione continua e totalmente inutile ed autolesiva. Ma c’è uno scontro con un qualcosa<br />
che uno si porta dentro, con una crudeltà che gli è stata inflitta. Nelle ricerche sui disturbi di<br />
personalità, si vede che laddove sono forti le componenti antisociali, è fortissima la<br />
trascuratezza che quel ragazzino ha subito: il neglect, dalla parola inglese, la “trascuratezza”, il<br />
fatto che non si sono accorti delle sue esigenze di base, corrisponde all’antisocialità ed è un<br />
genitore interno estremamente crudele e lontano quello che loro si portano dietro. Allora noi<br />
possiamo ragionevolmente immaginare che quando arrivano in un luogo dove qualcuno li<br />
“ferma” in un modo affettuoso, ma appunto fermo, loro si incontrano e reagiscono in tanti<br />
modi, con un genitore che non è distante, crudele, assurdo come quello che si portano dentro.<br />
Ma loro di questo hanno bisogno, perché al contrario con un atteggiamento troppo vicino,<br />
comprensivo, affettuoso e basato solo su quello, non si risolve niente; perché loro tanto non si<br />
possono fidare e il loro fidarsi passa attraverso la consuetudine con persone che danno loro un<br />
modello di comportamento a cui loro possono appoggiarsi. E’ vero, e Sabatello lo ricordava,<br />
che i disturbi antisociali di personalità sono quelli più difficili da trattare. Noi possiamo dire<br />
che quote antisociali ci sono nella gran parte dei ragazzi di cui stiamo parlando, di cui abbiamo<br />
discusso questa mattina. Più “pura” è l’antisocialità, più evidente e chiara è l’antisocialità, più<br />
difficile è la cura perché quello che è necessario è un tempo lungo per incontrare la persona<br />
dietro questa maschera continuamente beffarda, lontana, distante, aggressiva che fa saltare i<br />
nervi a qualsiasi operatore con tutta la sua pazienza. Però è anche vero che non è un’impresa<br />
impossibile, soprattutto finché sono giovani, finché sono adolescenti. Anche per un<br />
personaggio di Romanzo Criminale di De Cataldo, arrivato a 40 anni, che ha 30 anni di carcere<br />
da scontare, forse non è tanto facile da responsabilizzare, non è così semplice, e pertanto<br />
bisogna immaginare un carico maggiore di difficoltà.<br />
Anche se, guardate, io ho fatto per alcuni anni supervisione in un ospedale psichiatrico<br />
giudiziario e posso assicurarvi che c’è molta vita anche lì ! Ma l’antisociale “puro”<br />
difficilmente va in OPG, l’antisociale “puro” finisce magari nel 41bis e in altre di queste<br />
situazioni tutte segnate dalla repressività. Questo è un discorso che ci porterebbe lontano, ci<br />
porta verso la psicologia penitenziaria.<br />
Però è certa una cosa, stiamo parlando di adolescenti; sono storie che possono essere<br />
modificate quando si ha la possibilità di intervenire in adolescenza perché è ancora un<br />
materiale estremamente plastico. Allora noi dobbiamo passare da una cultura della diagnosi, in<br />
cui colui che fa diagnosi è uno che, con i raggi x della sua esperienza e cultura psicopatologica,<br />
fotografa il disturbo di chi ha davanti e quindi dice “questo che sta così, diventerà cosà”, ad<br />
una situazione in cui la diagnosi è una diagnosi funzionale che recita più o meno così “in<br />
questo momento della sua vita, in questo contesto, in questa situazione, in questo equilibrio<br />
complessivo dei suoi rapporti questa persona presenta questi tratti”, ma con tutte queste<br />
specificazioni intorno. Dopodiché la diagnosi reale da che cosa viene fuori, dal confronto fra<br />
questo e quello che accade a quella persona, man mano che i suoi contesti vengono cambiati<br />
dall’azione terapeutica. Noi dobbiamo sapere che quelli che vanno cambiati sono prima i<br />
contesti e poi la persona. La persona deve essere aiutata a vederle le situazioni di mutamento<br />
contestuale, senza averne paura. Deve essere aiutata a fidarsi, e spesso questa è la cosa più<br />
difficile.<br />
Ora vedete su questo punto, ho fatto in tanti anni un’esperienza significativa soprattutto con le<br />
comunità terapeutiche per tossicodipendenti che sono un’esperienza abbastanza straordinaria.<br />
Con Saman, abbiamo cominciato nel ’95 e sono passati tanti anni. L’accordo che io feci con<br />
Saman quando ho cominciato a lavorare con loro, era di affiancare agli educatori dentro<br />
ognuna delle comunità terapeutiche degli psicoterapeuti che avevano un loro referente, in parte<br />
io, in parte altre persone in altre città dove c’è Saman, per avere una supervisione sul loro<br />
lavoro. Avevamo stabilito un principio, che laddove sul programma c’era differenza di idea fra<br />
il responsabile di comunità, quindi il capo educatore, e i referenti terapeutici, quindi gli