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LUIGI CANCRINI Psichiatra, Psicoterapeuta ... - Fiore Del Deserto

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vedono solo per poco, restano fondamentali. Allora noi con Saman, anche con persone più<br />

adulte, abbiamo messo come regola di ingaggio, cioè come regola per accettare i pazienti in<br />

comunità, il fatto che la loro famiglia, potremmo usare un linguaggio poliziesco, “si<br />

costituisca” per un lavoro terapeutico; proponiamo l’idea che, mentre loro cambiano in<br />

comunità, anche gli altri cambiano a casa, anche perché sennò a che serve quel cambiamento ?<br />

Ecco su questo ci si può mettere l’accento un po’ più forte, un po’ meno forte a seconda delle<br />

situazioni, però questa è una cosa importante. Noi non possiamo immaginare e su questo i<br />

terapeuti familiari hanno ragione e io lo rivendico con forza, la terapia non può essere<br />

“rimettere a posto”, cioè non è un meccanico a cui dici “ti porto il figlio, facciamo un controllo<br />

e poi me lo ridai così io continuo e vado avanti”. I comportamenti del figlio sono da rivedere<br />

all’interno di sequenze comunicative che lui ha con i familiari più significativi, il papà, la<br />

mamma, i fratelli; quel che sia, ogni volta c’è da rifletterci bene sopra. Allora questa, secondo<br />

me, se la comunità terapeutica la sceglie come regola d’ingaggio, è una cosa molto importante.<br />

Io credo che questo valga anche per quelli che lavorano in contatto con il minorile penale.<br />

Devo dire che oggi, sentendo la Dottoressa Spagnoletti, capisco quanto il lavoro del magistrato<br />

sia difficile, però credo che noi abbiamo un codice penale minorile straordinario, perché è una<br />

cosa bella quella che si può fare con i nostri minori. Penso a quello che succede in altri paesi in<br />

cui non è assolutamente così. Noi abbiamo la possibilità di progettare con il minore con questa<br />

straordinaria “messa alla prova” all’interno della quale si può fare un progetto importante.<br />

Secondo me, non è tanto importante il fatto che la si chiami “limitazione della libertà<br />

personale”, ma se la comunità terapeutica sta dentro a un progetto di messa alla prova in cui si<br />

coinvolgono terapeuticamente i familiari, quando è possibile farlo chiaramente, questo è uno<br />

strumento. Forse alla parola “messa alla prova” dovremmo aggiungere l’idea che si tratta di un<br />

provvedimento finalizzato ad un lavoro terapeutico, cioè un cambiamento della situazione, non<br />

della persona. “Messa alla prova” è una brutta espressione, come dire “vediamo quanto sei<br />

tarato”, ma se si intende “messa alla prova” in termini di “ti diamo un’occasione e lavoriamo<br />

con te affinché questa occasione ti sia utile” diventa anche un termine interessante. Però la<br />

progettualità che al giudice viene suggerita dall’equipe che si occupa della situazione, deve<br />

comprendere una serie di aspetti che sono quelli della terapia di questo ragazzo, che può<br />

prevedere il suo stare in una comunità, che può prevedere il suo frequentare un centro diurno e<br />

deve prevedere anche la sua attività presso una struttura in cui fa un lavoro socialmente utile, la<br />

sua frequenza alla scuola, quel che sia; ma dentro a questo, ci deve essere il lavoro con la<br />

famiglia, altrimenti è difficile che questa persona possa cambiare solo lei; può capitare perché<br />

abbiamo visto che si guarisce spontaneamente in tante situazioni, a volte la paura che uno si è<br />

preso lo fa tornare indietro. Però nelle situazioni un po’ più complesse, l’intervento terapeutico<br />

deve tener conto dei fattori che sono rilevanti per l’equilibrio psicologico e per il recupero della<br />

possibilità e della capacità di crescere. Queste sono le sfide che abbiamo davanti.<br />

Aggiungo una piccola osservazione in merito a ciò che è stato detto oggi dalla dottoressa<br />

Spagnoletti. Io sto facendo un lavoro di supervisione con un gruppo di psicoterapeute che<br />

prepara dei progetti terapeutici per il Tribunale. Consiglio sempre a loro di dire “Io sono il<br />

terapeuta e dico questo, ma quello che decide è il giudice”. Perché penso che il giudice che<br />

decide entro certi limiti, che sono quelli scanditi dalla scrittura della legge; la dottoressa<br />

Spagnoletti l’ha detto benissimo stamattina. Io credo che ci sono tante situazioni in cui i tempi<br />

non coincidono esattamente e allora il ragazzo deve capire che la realtà è questa. La realtà della<br />

vita non è una realtà in cui le cose si accomodano secondo i tuoi tempi. Il giudice decide e “tu<br />

devi adeguarti, anche se la cosa non ti sembra completamente giusta, ne puoi discutere, ma<br />

devi discuterla nelle sedi giuste” e il terapeuta deve aiutare a comprendere che ci sono nella<br />

vita delle realtà a cui ci si deve adattare, cioè il rispetto della norma, dell’istituzione come<br />

anche dei genitori, dei compagni, dell’insegnante, un domani dei datori di lavoro, del<br />

compagno o della compagna. Il rispetto è un qualche cosa che si basa sull’idea per cui, tante<br />

volte, io penso di aver ragione però abbozzo, perché è così; se non sono capace di abbozzare,

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