A yellow strelizia grows in the corner of the Walter Sisulu National Botanical Garden in Johannesburg (previously known as Witwatersrand): endemic, it is one of the Garden’s showpieces. It was discovered, ago, and the name given to it, Mandela’s Gold, is an homage to the moral leader of the rainbow nation. Public/private partnerships or private initiatives have proved to be indispensable for ensuring the survival of the botanical gardens of Amani, in Tanzania, the arboretum of Nairobi (supported by the “Friends of Nairobi Arboretum”) and the arboretum of Seibang, near Libreville, Gabon, to which the university and international supporters – mainly Scandinavian – contribute funding. The ECOFAC cooperation program, on which the fate of the Obo National Garden on the Atlantic island of São Tomè depends, ended in December 2003, and the garden, characterized by a collection of orchids native to the islands of São Tomè and Principe, appears to be at the mercy of the precarious availability of local La storia dei parchi urbani e dei giardini botanici africani si intreccia con le vicende politiche o sociali degli stati, i processi di colonizzazione e decolonizzazione, l’instaurarsi delle nuove nazioni; e in modi alterni con la storia dell’agricoltura e della foresta. Si intreccia soprattutto con una fantasia profondamente inscritta nell’immaginazione coloniale europea, quella di un Eden africano adatto alla caccia e alle emozioni senza tempo, e con le norme, le demarcazioni, i divieti che le hanno dato vita attraverso la creazione di parchi naturali e aree protette, sottratte all’uso delle popolazioni locali. Un giardino botanico coloniale, a differenza del giardino botanico metropolitano, è in origine la rappresentazione in scala di un’idea del paesaggio indigeno: il modello paesaggistico-architettonico del territorio entro cui sorge. E’ forse possibile, e in parte sorprendente, ricostruire la storia di un miraggio attraverso le vicissitudini di un frammento su perstite. Anche più sorprendente considerare come il miraggio desti ogni giorno, per botanici e giardinieri, della manutenzione. cente passato) circa 40 giardini botanici. Acquisita l’indipendenza, i singoli paesi hanno applicato politiche di conservazione e tutela con sensibilità culturali e gere e decisamente decentrati: sprovvisti di sito web, presuppongono ognuno uno spostamento dedicato e il desiderio di raggiungerli (solo dal 2002 esistono un network di giardini botanici africani a livello continentale). Per le amministrazioni coloniali europee responsabili della creazione di giardi- secolo o nella prima metà del ventesimo i giardini hanno grande importanza: giocano una parte di primo piano nei progetti di studio e conservazione delle risorse vegetali di vaste aree del continente e contribuiscono in misura decisiva al successo dei progetti agroindustriali da avviare. Distribuiti in modo irregolare sul territorio, i giardini coloniali sono usati come luoghi di acclimatazione di piante tropicali di uso alimentare: caffè, cacao, cotone, palme da olio, banane, arachidi etc. Accolgono varietà pregiate di alberi da taglio e vivai di piante ornamentali. Offrono opportunità di formazione agli africani, esclusi da università e istituti superiori: vi si insegnano scienze forestali e tecniche di agricoltura. Il Laboratoire de Botanique di Abidjan, in Costa d’Avorio, gli Aburi Botanical Gardens in Ghana, il Limbe Botanical Garden in Camerun, gli Eala e Kisantu Botanical Gardens in Congo, lo Zomba Bo- l’intreccio di sperimentazione agroindustriale e didattica tecnico-pratica caratterizzante il progetto coloniale A partire dagli anni della seconda guerra mondiale i giardini botanici sembrano non essere più utili, e conoscono un primo momento di declino: i progetti agroindustriali sono ormai avviati e l’economia della piantagione ampiamente diffusa. Nei decenni successivi all’indipenden- prolungati e sanguinosi, il decadimento di un gran numero di giardini botanici africani diviene più esteso e consistente. Circostanze storiche concrete come analfabetismo, povertà, malattia, disoccupazione impongono ai nuovi stati di non distogliere fondi dalle politiche sanitarie, scolastiche e del lavoro e di assegnare priorità alle emergenze socia- le nuove classi dirigenti, delle istituzioni di origine coloniale: tra queste appunto gli enti responsabili della conservazione ambientale. Giardini storici in Africa orientale e australe, a Nairobi in Kenya come a Entebbe in Uganda o a Lusaka in Zambia, conoscono distruzioni parziali e processi di inselvatichimento. Altrove, a Calabar ad esempio, nella Nigeria sudorientale, vanno completamen- etnici rendono impraticabili i compiti di conservazione in paesi come Sierra Leone, Congo, Mozambico. In Ghana, a Ac- to di fondi si rivelano particolarmente acute: istituiti nel 1842 e formalmente inaugurati nel 1890, gli Aburi Botanical Gardens ricoprono un’area di circa 160 acri e offrono un’impressionante testimonianza del tentativo coloniale di importare e mettere a coltura in Africa occidentale specie arboree originarie di Malesia, India, Caraibi, America centrale, Africa orientale. Esistono episodi in controtendenza: è il governo del Botswana, in anni recenti, a avviare la creazione del giardino botanico di Gaborone, che non esisteva al tempo del protettorato inglese. Consequenza diretta dell’adesione del Botswana agli accordi internazionali sulla tutela delle biodiversità siglati a Rio de Janeiro nel 1992, il giardino è destinato ad accogliere specie vegetali endemiche delle regioni aride o semiaride del Kalahari e del delta palustre dell’Okavango, insidiato dai progetti nene: gigli d’acqua, acacia, aloe etc. Dal 2002 il governo sudafricano mostra maggiore attenzione per le politiche ambientali e le attività di conservazione: i fondi destinati agli otto giardini botanici nazionali non sono però cresciuti ha colpito duramente il rand, incide in misura considerevole sulle risorse a disposizione. Gli attuali conservatori tendono a privilegiare progetti che abbiano interesse e utilità pratiche immediate, che producano reddito e la- l’interlocutore politico in merito alla sviluppano i vivai e si cerca di avviare coltivazioni di piante da frutto indigene, ancora poco conosciute. Il trionfale latino linneiano della tradizione tassonomica si scompone, nelle segnaletiche dei giardini, nel prisma degli idiomi e dei dialetti locali, ma la trasformazione di istituzioni paternalistiche in agenzie solidali è complessa. Nella tradizione europea la scienza non ha implicazioni politiche e sociali immediate. Nelle lingue indigene, zulu o matabele, shona, xhosa, sotho, vemba, tshangani non esiste un termine per “giardino botanico”: savana o foresta non sono mai state a rischio di distruzione prima d’ora. Al tempo stesso, nella città africana, il verde è diffuso e sembra in un angolo del Walter Sisulu National Botanical Garden di Johannesburg (già Witwatersrand): endemica, ne costituisce un vanto. E’ stata scoperta, studiata e clas- stato dato, Mandela’s Gold, è un omaggio al leader morale della nazione arcobaleno. Partnerships pubblico/privato o iniziative private si sono rivelate indispensabili per assicurare la sopravvivenza dei giardini botanici di Amani, in Tanzania, dell’arboretum di Nairobi (supportato dai “Friends of Nairobi arboretum”) e dell’arboretum di Seibang, nei pressi di Libreville, Gabon, al cui tà e sostenitori internazionali, per lo più scandinavi. Il programma ECOFAC di cooperazione da cui dipendono le sorti dello Obo National Garden dell’isola atlantica di São Tomè è terminato nel dicembre del 2003, e la sorte del giardino, caratterizzato dalla collezione di orchidee endemiche delle isole di locali e volontari.
Fondazione Sistema Toscana nasce nel 2005 per volontà di Regione Toscana e Banca gli scopi di missione, che la Fondazione realizza in partenariato con soggetti di rappresentazione dell’immaginario emergeranno pellicole in vari paesi del registi che hanno colto l’occasione nel la potenza politica di rivendicarsi dalla dall’esterno intorno ai loro popoli e esportato attraverso il mondo del cinema Sono vari i registi che tramite le loro opere ritraggono la storia e i contrasti di MEDIATECA TOSCANA / MATIAS MESQUITA