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Il Quartiere - Anno V - Numero VI

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DESSERT DAVANTI AL FOCOLARE: DAL PANDÜÇE ALLE MICHETTE

IL “PANE DEL MARINAIO” È UNA TRADIZIONE TUTTA LIGURE CHE SI ESPRIME IN MILLE FORME E SAPORI DAL PONENTE AL LEVANTE

Laura Parigi

In Liguria, se diciamo

“pane dolce”, diciamo

“Pane del Marinaio”,

che da Levante a Ponente

si rivela, alto o basso che

sia, un prodotto speciale,

genuino, dalla lunghissima

lavorazione e legato

a cerimoniali antichi

e lenti. Originariamente

era dato appunto ai marinai

o ai pescatori che per

lungo tempo non potevano

disporre di cibi freschi.

È rappresentativo

di una regione affacciata

sul mare e di Genova che

ebbe rapporti commerciali

intensi con i Persiani.

Infatti, così come a Capodanno,

in Persia, il suddito

più giovane portava al

sovrano un pane di grandi

dimensioni con frutta,

canditi, pinoli e zibibbo,

anche a Genova la tradizione

vuole che il più giovane

della famiglia, alla

fine del pranzo di Natale,

debba portare in tavola il

pandolce guarnito con un

rametto d'olivo o di alloro,

simboli di fortuna e

benessere. La prima fetta,

tagliata dal più anziano

della famiglia, va alla

mamma, le successive ai

restanti membri, una fetta

poi è conservata per un

indigente, mentre un’altra

fetta ancora, avvolta in un

tovagliolo, si dovrà dividere

fra tutti il 3 febbraio

per San Biagio, protettore

della gola.

Ma come veniva e viene

ancora preparato quello

che oggi è un rinomato

dessert? Un tempo le donne,

confezionati dei gros-

GASTRONOMIA NATALIZIA

si pani, lasciavano volutamente

da parte riserve di

pasta per u pandüçe che,

nonostante la modernizzazione,

ha conservato

quasi invariata la sua lavorazione,

con gli ingredienti

di una volta, quali

farina, zucchero, uova,

olio evo, uvetta, pinoli e

semi di anice. Un dolce

irresistibile, di fragrante

dolcezza, che nel mondo

è conosciuto come il “Genoa

Cake”.

Nel Ponente il pandolce,

più basso, di consistenza

più morbida, è chiamato

“Pan du Bambin”. Fino

agli anni Trenta, a Camporosso

e in Val Verbone

(entroterra di Vallecrosia),

con gli stessi ingredienti

del pandolce e l’aggiunta

di miele si confezionavano

i “scunföghi”, che appena

fuori del forno si gustavano

attorno al falò in

piazza, distribuiti a tutti.

A Taggia i bis-cotti della

Quaresima, con semi

di finocchio, simili nella

forma ai biscotti del Lagaccio

genovesi e nel sapore

al canestrello di Brugnato,

con miele e semi di

anice, si offrivano durante

la settimana santa. Oggi

sono reperibili durante

tutto l’anno. Anche i biscotti

di Gavenola (frazione

di Borghetto d'Arroscia

nell'Imperiese) e gli

anicini liguri ponentini e

levantini, in formato piccolo,

da inzuppo, a metà

strada fra focaccia e biscotto

vero e proprio, per

tradizione vengono apprezzati

per l'anice in essi

contenuta dalle proprietà

benefiche e terapeutiche.

In val Nervia, precisamente

a Dolceacqua,

caratteristica resta la

“michetta”, che non ha

nulla in comune con quella

lombarda: si tratta di

un pan brioche cosparso

di zucchero, dalla storia

molto curiosa. Una storia

di amore e morte del XIV

secolo. Una paesana diciannovenne,

Lucrezia, fu

infatti rapita dal marchese

del luogo innamoratosi

di lei. Ma la ragazza, già

sposata, si lasciò morire

per non concedersi a lui.

In occasione della festa

del 16 agosto in onore della

virtuosa Lucrezia, così,

si realizza ancora oggi la

michetta, la cui forma è

legata all'organo genitale

femminile. È un panino

dolce che, nel tempo,

è diventato simbolo della

liberazione delle donne

del paese dall'obbligo

dello Ius primae noctis da

parte del signorotto locale.

La “crocetta”, anch’essa

originaria di Dolceacqua,

è semplicemente una variante

della michetta, arricchita

con scorze di limone.

Condividere il pane significa

rinsaldare l'amicizia

e l'unione con il divino.

In questo senso i pani

dolci liguri sono esemplificativi

e profondamente

simbolici.

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