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DESSERT DAVANTI AL FOCOLARE: DAL PANDÜÇE ALLE MICHETTE
IL “PANE DEL MARINAIO” È UNA TRADIZIONE TUTTA LIGURE CHE SI ESPRIME IN MILLE FORME E SAPORI DAL PONENTE AL LEVANTE
Laura Parigi
In Liguria, se diciamo
“pane dolce”, diciamo
“Pane del Marinaio”,
che da Levante a Ponente
si rivela, alto o basso che
sia, un prodotto speciale,
genuino, dalla lunghissima
lavorazione e legato
a cerimoniali antichi
e lenti. Originariamente
era dato appunto ai marinai
o ai pescatori che per
lungo tempo non potevano
disporre di cibi freschi.
È rappresentativo
di una regione affacciata
sul mare e di Genova che
ebbe rapporti commerciali
intensi con i Persiani.
Infatti, così come a Capodanno,
in Persia, il suddito
più giovane portava al
sovrano un pane di grandi
dimensioni con frutta,
canditi, pinoli e zibibbo,
anche a Genova la tradizione
vuole che il più giovane
della famiglia, alla
fine del pranzo di Natale,
debba portare in tavola il
pandolce guarnito con un
rametto d'olivo o di alloro,
simboli di fortuna e
benessere. La prima fetta,
tagliata dal più anziano
della famiglia, va alla
mamma, le successive ai
restanti membri, una fetta
poi è conservata per un
indigente, mentre un’altra
fetta ancora, avvolta in un
tovagliolo, si dovrà dividere
fra tutti il 3 febbraio
per San Biagio, protettore
della gola.
Ma come veniva e viene
ancora preparato quello
che oggi è un rinomato
dessert? Un tempo le donne,
confezionati dei gros-
GASTRONOMIA NATALIZIA
si pani, lasciavano volutamente
da parte riserve di
pasta per u pandüçe che,
nonostante la modernizzazione,
ha conservato
quasi invariata la sua lavorazione,
con gli ingredienti
di una volta, quali
farina, zucchero, uova,
olio evo, uvetta, pinoli e
semi di anice. Un dolce
irresistibile, di fragrante
dolcezza, che nel mondo
è conosciuto come il “Genoa
Cake”.
Nel Ponente il pandolce,
più basso, di consistenza
più morbida, è chiamato
“Pan du Bambin”. Fino
agli anni Trenta, a Camporosso
e in Val Verbone
(entroterra di Vallecrosia),
con gli stessi ingredienti
del pandolce e l’aggiunta
di miele si confezionavano
i “scunföghi”, che appena
fuori del forno si gustavano
attorno al falò in
piazza, distribuiti a tutti.
A Taggia i bis-cotti della
Quaresima, con semi
di finocchio, simili nella
forma ai biscotti del Lagaccio
genovesi e nel sapore
al canestrello di Brugnato,
con miele e semi di
anice, si offrivano durante
la settimana santa. Oggi
sono reperibili durante
tutto l’anno. Anche i biscotti
di Gavenola (frazione
di Borghetto d'Arroscia
nell'Imperiese) e gli
anicini liguri ponentini e
levantini, in formato piccolo,
da inzuppo, a metà
strada fra focaccia e biscotto
vero e proprio, per
tradizione vengono apprezzati
per l'anice in essi
contenuta dalle proprietà
benefiche e terapeutiche.
In val Nervia, precisamente
a Dolceacqua,
caratteristica resta la
“michetta”, che non ha
nulla in comune con quella
lombarda: si tratta di
un pan brioche cosparso
di zucchero, dalla storia
molto curiosa. Una storia
di amore e morte del XIV
secolo. Una paesana diciannovenne,
Lucrezia, fu
infatti rapita dal marchese
del luogo innamoratosi
di lei. Ma la ragazza, già
sposata, si lasciò morire
per non concedersi a lui.
In occasione della festa
del 16 agosto in onore della
virtuosa Lucrezia, così,
si realizza ancora oggi la
michetta, la cui forma è
legata all'organo genitale
femminile. È un panino
dolce che, nel tempo,
è diventato simbolo della
liberazione delle donne
del paese dall'obbligo
dello Ius primae noctis da
parte del signorotto locale.
La “crocetta”, anch’essa
originaria di Dolceacqua,
è semplicemente una variante
della michetta, arricchita
con scorze di limone.
Condividere il pane significa
rinsaldare l'amicizia
e l'unione con il divino.
In questo senso i pani
dolci liguri sono esemplificativi
e profondamente
simbolici.
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