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GENITORI rivista Maggio 2020

in questo numero: Quanto è importante socializzare per i nostri bambini? Come interpretare i disagi sia fisici che psichici dei nostri bambini? Proteggerli e aiutarli anche con l’aiuto delle “favole”... come?

in questo numero:
Quanto è importante socializzare per i nostri bambini?
Come interpretare i disagi sia fisici che psichici dei nostri bambini?
Proteggerli e aiutarli anche con l’aiuto delle “favole”... come?

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In altre parole, l’individuo esprime con

un sintomo o un disagio una disfunzionalità

di una dinamica di gruppo.

Questa dinamica, tuttavia, è universale

perché non viene espressa solamente

dagli adulti, ma anche i bambini possono

diventare dei veri e propri termometri

emotivi e segnalare a modo

loro situazioni famigliari complicate o

in grande difficoltà.

Facciamo degli

esempi: un bambino che non si concentra

a scuola non è necessariamente

svogliato o non motivato, ma può essere

altresì interessato ad altre situazioni

che sono più importanti dal suo

punto di vista, e che lo preoccupano

eccessivamente, a maggior ragione se

non c’è stata una buona comunicazione

o una buona opera di contenimento genitoriale.

Penso ad es. una imminente

separazione, una coppia coniugale che

finge di andare d’accordo, alla malattia

di un genitore o ad un lutto, alle violenze

domestiche…

E’ cosi che possono

partire mal di pancia e sensazioni di

nausea, svogliatezza ed altri segnali

molto comuni che hanno un unico

obiettivo: il controllo (inconsapevole).

Controllare cioè che nella mia assenza,

proprio quando sono a scuola, quel

genitore non si aggravi, che la coppia

non scoppi definitivamente perché solo

il pensiero mi terrorizza, che i miei

genitori non si organizzino per fare un

altro figlio e volermi meno bene, che

magari un genitore non diventi eccessivamente

violento verso l’altro.

Perché i bambini, lo sappiamo, ascoltano

e sentono tutto, soprattutto emotivamente,

ma non sempre sono in

grado di tradurre in pensieri e parole

le emozioni che provano. Quello sarebbe

un compito genitoriale, per quanto

possibile.

Ricordo una

bambina che

seguivo tanti

anni fa in terapia;

passava le giornate a guardare il cielo

fuori dalla finestra della sua classe,

non stava mai attenta, spesso assente

mentalmente, e per questo motivo diventava

lo zimbello dei suoi compagni

di classe e veniva ripresa puntualmente

dalla maestra.

Finche un giorno, in seduta, mi spiego’

che stava cercando di vedere il suo

papa’, in cielo, perché i nonni le avevano

detto che era volato fin lassù. Aveva

indubbiamente ottimi motivi per non

prestare attenzione in classe. Dietro a

quei sintomi c’era qualcosa di più serio

e importante per lei, soprattutto

rispetto alla lezione di storia o matematica.

Pertanto, ci sono

disagi o sintomi che possono essere la

naturale conseguenza di cambiamenti

in corso e che pertanto lasciano il tempo

che trovano, nel senso che vanno ad

esaurirsi spontaneamente con l’evoluzione

o con l’adattamento alla nuova

situazione esperita (es. tic, mangiarsi

le unghie); diversamente, ci sono sintomatologie

più strutturate che sono

alla base di dinamiche famigliari molto

più complesse e complicate, ma che

esistono proprio perché hanno un significato

ben preciso e fondato.

Scoprirlo, è parte del lavoro terapeutico.

Y

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