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Magazzino di filosofia n. 38/2021

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m a g a z z i n o

d i

f i l o s o f i a

quadrimestrale di informazione, bilancio ed esercizio della filosofia

n° 38, anno XIII, 2021 (B13): s e g m e n t i (peer review)

PEM


M a g a z z i n o d i F i l o s o f i a

Quadrimestrale di informazione, bilancio ed esercizio della filosofia

*Direttore responsabile: Alfredo Marini (Pavia)

*Redazione: Fiorenza Bevilacqua (Milano), Luca Biolcati (Milano), Gianvito Brindisi

(Napoli), Davide D’Alessandro (Urbino), Riccardo Lazzari (Milano), Alfredo

Marini (Milano), Massimo Mezzanzanica (Milano), Claudio Paravati (Verona), Roberto

Redaelli (Univ. Erlangen-Nürnberg), Erasmo S. Storace (Milano), Roberto

Valentini (Milano), Alessandra Zambelli (Parigi).

*Comitato di consulenza e direzione scientifico-editoriale: Franco Bosio (Milano),

Francesca Brencio (Freiburg i.Br.), Gaetano Carlizzi (Napoli), Luigi Ceccarini (Milano),

Giorgio Galli (Milano), Franco Gallo (Crema), Friedrich-Wilhelm v.Herrmann

(Freiburg i.Br.), Santino Maletta (Bergamo), Renato Pettoello (Milano), Michele

Pacifico (Milano), Giacomo Rinaldi (Urbino), Marcello Zanatta (Milano/ Cosenza).

*Comitato scientifico: Laura Boella (Milano), Francesca Bonicalzi (Bergamo),

Claudio Bonvecchio (Varese), Silvana Borutti (Pavia), Ronald Bruzina✝ (Lexington,

Ky), Giuseppe Cacciatore (Napoli), Giuseppe Cantillo (Napoli), Renato Cristin

(Trieste), Gianfranco Dalmasso (Bergamo), Bianca Maria d’Ippolito (Salerno),

Carmine Di Martino (Milano), Dimitri Ginev (Sofia), Elio Franzini (Milano), Giulio

Giorello✝ (Milano), Klaus Held (Wuppertal), Hans-Ulrich Lessing (Bochum), Giovanni

Piana✝ (Cosenza), Stefano Poggi (Firenze), Frithjof Rodi (Bochum), Franz-

Anton Schwarz (Freiburg i.Br.), Corrado Sinigaglia (Milano), Guy van Kerckhoven

(Bruxelles/ Bochum), Augusta Uccelli (Milano), Mario Vegetti✝ (Pavia), Stefano

Zecchi (Milano).

*Collaboratori: Sergio Audano (Chiavari), Luigi Azzariti-Fumaroli (Napoli), Cristina

Boracchi (Gallarate), Pierpaolo Casarin (Milano), Flavio Cassinari✝ (Pavia),

Andrea Cudin (Trieste), Marco de Angelis (Urbino), Miriam Franchella (Milano),

Andrea Gilardoni (Milano), Simone L.Maestrone (Bonn), Pier Giuseppe Milanesi

(Pavia), Walter Minella (Pavia), Luca & Mirela Oliva (Houston, TX.), Fabrizio Palombi

(Roma), Alessandra Rauti (Alessandria), Emilio Renzi (Milano), Lina Rizzoli

(Milano), Amedeo Vigorelli (Milano).

*Recapiti redaz.: email: info@filosofiacontemporanea.it; Associazione P.E.M,

via Emilia 24, I-27100 Pavia (PV), tel.: +39.0382.475098; e-mail: “Alfredo Marini”

<eawqmbis@gmail.com>; “Riccardo Lazzari” <riccardo.federicolazzari@gmail.com;

“Massimo Mezzanzanica” <massimo.mezzanzanica@gmail.com>;

“Davide D’Alessandro” <vastopolis@gmail.com>, “Gianvito

Brindisi” <gvbrindisi@libero.it>

*SCHEDE/ RECENSIONI, inviare a: Riccardo Lazzari <riccardo.federicolazzari@gmail.com>/

o: “Massimo Mezzanzanica” <massimo.mezzanzanica@gmail.com>.

**LEGGI online:

a) i nn. correnti sul sito: www.filosofiacontemporanea.it (cli c sulla copertina desiderata,

poi su: “Expand”); b) una selezione dei nn. arretrati (anni 2001/10, nn.1-

18) sul sito www.francoangeli.it (clic su “Riviste”).

**ACQUISTA cartaceo:

a) i nn. correnti sul sito: www.filosofiacontemporanea.it/magazzinodifilosofia

(clic sulla copertina desiderata, poi su: “Copie Cartacee”); b) i nn. arretrati (nn.1-

18) con email “Alfredo Marini” eawqmbis@gmail.com.

*Autorizz.del Tribunale di Pavia n. 508 del 14.04.2000, Quadrimestrale elettr.,

Dir. resp.: Alfredo Marini.

*2° quadrimestre 2020 – Finito di stampare nel dicembre 2020.


verum

ipsum

factum

Sommario

Alfredo Marini, Giorgio Galli. Storia, modernità, sorriso 5

Stefano Peverada, Gorgia 1° 15

Chicche&Chiose&Lexikon

Alfredo Marini, Heidegger-Lexikon (3) 205

233

Chiuso in redazione il 31.12.2020

da Alfredo Marini


Rivista finanziata dalla

Fondazione Banca del Monte di Lombardia

ISBN: 979-8716898349

ISSN: 1592–5919

Questa rivista prodotta originariamente

in collaborazione con l’“Istituto Italiano per gli Studi Filosofici” di Napoli, è

espressione della ASSOCIAZIONE P.E.M. – SCIENZA ANTICA & SCIENZE UMANE

(Pavia)


Agostino Carracci 1595, Enea fugge dall’incendio di Troia

Alfredo Marini, Giorgio Galli. Storia, modernità, sorriso.

Un filosofo civile*

GIORGIO GALLI, mio antico collega in Statale, ha collaborato con la nostra rivista

e con i seminari dell’ “Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici” da me

diretti per l’Humaniter, dal 2001 fino alla morte del fondatore dell’Istituto, l’avv.

Mario Giacomini (due anni dopo quella del compianto Presidente dell’Umanitaria

Amos Nannini 2017).

Mi unisco al ricordo di tutta la ns. redazione ripubblicando questo elogio (che

gli ho dedicato nel 2008 per i suoi 80 anni) per ricordare il socialista milanese e lo

studioso italiano GIORGIO GALLI: un uomo giusto che se n’è andato,

per inseguirlo col pensiero,

per ringraziarlo di esserci stato,

per non cominciare subito a dimenticarlo,

per non raggiungerlo troppo presto (e neppure troppo tardi). A. M.

Fin dal mio primo incontro con GIORGIO GALLI, già noto studioso della

nostra costituzione materiale ovvero di quella idiosincrasia che rende la nostra

democrazia così speciale – e già famoso coniatore della formula (del

5


1966, ma storicamente insostituibile!) del “bipartitismo imperfetto” – fu il

suo sorriso a colpirmi. E la singolare “meccanica” di quel sorriso, sùbito

cordiale, mi conquistò. Sùbito cordiale e sempre uguale, come una formula

ufficiale di apertura e disponibilità comunicativa. Sùbito sospeso in un’attenzione

e in un ascolto indiscriminato, anzi, in una forma di “stupore di

principio” che non ti interromperà per nessuna ragione. Ma, alla ripresa, ti

accorgi di essere stato preso sul serio e vieni coinvolto nella responsabilità

di una maggior precisione, di una maggiore concretezza, o di un allargamento

del quadro. Un uomo che (per usare una formula socratica) è fatto

per rendere migliore chi lo incontra. Non ho mai avuto la sensazione che

con Giorgio si potesse “chiacchierare”, o parlare di parole. Il sorriso di Giorgio

è il filtro della sua cordialità personale e, insieme, della sua personalità

scientifica, attenta alla verità (un uomo di scienza resta tale anche quando

prende un caffè o racconta una barzelletta).

La profonda dottrina, il rigore metodologico, l’ampia informazione,

l’abilità professionale nell’uso dei documenti, sono doti diffuse, che volentieri

riconosciamo a molti colleghi “storici”. Ma l’essenza individuale della

personalità scientifica (quella che i fisici sperimentali dell’800 chiamavano

riduttivamente l’“equazione personale dello scienziato” e che consideravano

un limite negativo, ma incancellabile, rispetto all’esattezza impersonale

delle osservazioni o delle misurazioni strumentali) è unica e irripetibile e, in

quelle scienze che si sogliono chiamare “scienze umane” – nelle quali

l’avara esattezza è sostituita da un padrone spesso assai più esigente: il rigore

–, non è più un limite negativo ma una sostanza positiva, un centro

propulsivo, lo strumento stesso della comprensione, dell’espressione e della

comunicazione.

L’essenza individuale è difficile da definire come tale proprio perché,

oltre a essere oggetto di comprensione, di definizione o di studio, è essa

stessa il “soggetto” che comprende, lo strumento per comprendere! Si può

tentare di descrivere una lampada o un uomo, ma sarà sempre una descrizione

esteriore: il fatto principale, l’essenza della lampada, come quella di

un uomo, è che essa (come il dito che indica la Luna) illumina il mondo. È

nel mondo che la ritrovi, se in essa ritrovi il mondo.

Ma lo scienziato è un uomo con qualcosa di speciale in più. Ogni vero

scienziato fa consapevolmente della propria vita uno strumento per comprendere

e per far comprendere. L’affare dello storico è comprendere “uomini

e cose” e il loro rapporto: i soggetti, gli oggetti e il “mondo” che li

accoglie. E così, uomini e cose tornano a lui per guardarsi allo specchio.

Alla complessità delle situazioni si associa la complessità dei “soggetti” che,

ai più vari livelli associativi, si costituiscono socialmente e storicamente intorno

alle individualità come la perla intorno al granello di sabbia. Nel linguaggio

della fenomenologia husserliana e della relativa “psicologia

6


fenomenologica” (che io ho imparato da Enzo Paci), vengono studiati con

metodo i livelli costitutivi del cosiddetto “problema egologico”: dall’“io”

psico-sensoriale a quello scientifico e gnoseologico, a quello sentimentale

delle passioni individuali e sociali dei miti e dei simboli; per passare alla

soggettività etica e giuridica; fino alle forme collettive del “noi” (stati,

chiese, partiti, sette, etnie, classi, società massificate dalle prassi più diverse:

di produttori, di consumatori, di ascoltatori, di spettatori) e alle soggettività

cosiddette “storiche” (le culture, le “civiltà”). Il pensiero fenomenologico

della scuola friburghese (possiamo considerarne soci fondatori Husserl, Heidegger

e Fink, amministratore delegato Friedrich-Wilhelm von Herrmann)

riformula questa idea moderna di scientificità, capace di abbracciare scienze

naturali e scienze umane al di là delle specifiche peculiarità metodologiche,

rispettivamente nei concetti-guida di “epochē-riduzione fenomenologica”,

di “differenza ontologica” e di “cosmologia coesistenziale”. Ma nulla, per

la mente moderna, è più complesso del fenomeno storico e nessuna scienza

è più degna, più umana, della storia.

Osservando la personalità di Giorgio e leggendo nella sua vasta produzione

storiografica, essenzialmente contemporaneistica, si percepisce il paradigma

del vero storico del nostro tempo, che non onora più il cliché dello

scienziato positivista raccoglitore di “fatti” atomici da piegare après-coup a

un’arbitraria “ipotesi esplicativa”, ma neppure il mito del filosofo della storia

(di tipo idealista come Hegel, o positivista come Comte) capace di una

selezione dei fatti aprioristica e di alto tenore metafisico o ideologico. La

connotazione più caratteristica dello storico contemporaneo e della nuova

coscienza storica, come funziona nella pratica storiografica di Giorgio, è infatti

la rinuncia a racchiudere i fatti dentro una dottrina pregiudiziale: non

ha bisogno né di un concetto autosufficiente di “storia universale”, né della

correlativa “antropologia culturale”. Alla certezza arcaica di simili concezioni

storiografiche (che nascono dal mito idealista o scientista, ma assiderano

sia l’idea che la scientificità) si sostituisce, in lui, quella del rigore

scientifico e della libertà filosofica dei moderni. Nella sua serenità di fronte

alle forme molteplici dell’umano questa certezza

1) esercita un attento controllo dei singoli e molteplici processi descrittivi,

inferenziali ed ermeneutici; e

2) dispone della benedizione di una libera intelligenza a governare il

montaggio di questa nuova e flessibile coscienza storica, che ha nella coscienza

“storiografica” una propria componente essenziale.

Questa “nuova certezza” (che solo i nichilisti e bestemmiatori abituali

chiamano ateismo, laicismo, scetticismo o amoralismo) e poi la nuova fede

dei moderni, dove la degenerazione clericale, quella burocratica, quella del

dogmatismo e quella del fanatismo – che umiliano la religiosità del credente,

lo spirito critico del cittadino, il radicalismo filosofico dello

7


Stefano Peverada

Gorgia (1)*

Avvertenza dell’A.

Questo lavoro ha avuto uno strano destino. Scritto circa 15 anni fa, è stato subito

messo in un cassetto, dove è rimasto per quasi tre lustri senza avere avuto nemmeno

un lettore. Forse aspettava solo il momento giusto per vedere la luce, chissà, oggi

mi piace pensarlo. Le circostanze che hanno favorito il presentarsi di questa occasione

sono state oltremodo fortuite e paradossali, rocambolesche al limite del romanzesco.

Devo unicamente all’interesse del prof. Alfredo Marini se il presente

saggio (che è rimasto invariato nella sua stesura originale, senza alcun tipo di revisione)

ha avuto finalmente la possibilità di una pubblicazione. A lui vanno quindi i

miei più sentiti ringraziamenti, con stima e affetto.

Milano, Novembre 2020

NOTA DELL’AUTORE

Il presente saggio non è solamente un contributo critico alla riscoperta di una delle

grandi figure della filosofia occidentale, ma rappresenta un'occasione in vista di un

ripensamento radicale di quella stessa storia. L’evento cruciale che ne ha deciso

una volta per sempre la curvatura teoretica, vale a dire l'avvento della metafisica

platonica, viene infatti interpretato alla luce di nuove categorie di comprensione. In

estrema sintesi si può affermare che qui l’opera platonica è fatta oggetto di una profonda

ricontestualizzazione. Rigettata e per così dire re-immersa all’interno delle

sue originarie spinte speculative, essa viene esplicitamente interpretata, nei suoi

principali snodi concettuali, come una precisa risposta rispetto a quelle. Questo significa,

in ultima analisi, leggere il Platonismo come una elaborazione alternativa

rispetto alla Sofistica, con riferimento particolare alle figure dei due pensatori che

avevano costruito le linee-guida del movimento, Protagora di Abdera e Gorgia da

Lentini. In tal senso il saggio che segue è una sorta di creatura gemellare rispetto a

quello da noi precedentemente dedicato al sofista di Abdera** e ne costituisce la più

naturale prosecuzione, al punto che essi andrebbero coerentementi letti come

un’unica opera.

15


Con il testo su Protagora questo lavoro condivide anche l’uso particolare delle

note, intese come vere e proprie note di ritorsione. In esse non si operano solo gli

usuali rimandi bibliografici, ma si tenta anche di offrire al lettore una serie di stimoli

in direzione di una nuova visione della storia della metafisica occidentale, nichilisticamente

interpretata come un lento e costante esercizio di liberazione dalle sue

pesanti ipoteche platoniche e, scavalcando criticamente il Platonismo, come un progressivo

sforzo di avvicinamento alla grande stagione speculativa della Sofistica

greca. Tali note di ritorsione non hanno la pretesa di essere esaurienti e non aspirano

a un qualche ideale di completezza. L’autore è perfettamente conscio della loro

insufficienza e parzialità e sa bene che quasi ciascuna di esse presta il fianco a critiche

e appunti di varia natura. Da una parte spera che il loro limite potrà essere

scusato come inevitabile, dall’altra trova conforto al pensiero che avrà comunque

raggiunto il proprio scopo anche solo ove abbiano saputo fornire al lettore nuovi e

stimolanti spunti di riflessione.

* Presentiamo questa prima parte dell’opera Gorgia di Stefano Peverada, primo

assaggio e annuncio in vista di una sua possibile pubblicazione integrale nella collana

“I libri del Magazzino” (una collana di autoedizioni da parte dei singoli Autori,

a cura della redazione della rivista “Magazzinodifilosofia”). Ndr

** Stefano Peverada: Il Canto delle Sirene. Protagora e la metafisica. Ed.

Mimesis, Milano, 2002.

Avvertenza dell’A. p. 11

Nota dell’A. p. 11

PREFAZIONE (§§ 1-5), p. 12

PRIMA TESI

Indice dei §§

Considerazioni preliminari (§§ 1-6) p. 25 <§ 1. Impostazione del problema

p. 25; § 2. Le origini della riflessione greca sull’essere p. 30; § 3.

La situazione ontologica p. 35; § 4. Parmenide e la positività pura

dell’essere p. 37; § 5. Per assurdo p. 55; § 6. Sintesi ontica e sintesi

ontologica p. 65>

Ipotesi sull’essere (§§ 7-11), p. 85 <§ 7. Struttura dell’argomento p.

85; § 8. Eternità e Illimitatezza p. 91; § 9. L’ente come generato p. 104;

§ 10. Unità e molteplicità p. 116; § 11. Il limite trascendentale p. 132>

Ipotesi sul non-essere (§§ 12-16) p.143 <§ 12. Il paradosso dell’ente

p. 143; § 13. Insufficienza del principio di alterità p. 148; § 14. Non

meno di… p. 157; § 15. L’identità impossibile p. 166; § 16. Le critiche

dello Pseudo-Aristotele p. 174>

16


Ipotesi su essere e non-essere (§§ 17- 18) <§ 17. Ambigua presenza e

compresenza p. 179; § 18. Oltre la metafora del dualismo p. 184>

NB = continua sul MAG n. 39 con i §§ conclusivi sulla Prima Tesi. A seguire,

la Seconda Tesi e la Terza Tesi. (Ndr)

PREFAZIONE

§ 1. Il sofista Gorgia da Lentini 1 occupa un posto del tutto particolare nella

storia del pensiero occidentale. Se Protagora, il maestro del relativismo, è

considerato l’iniziatore e il padre spirituale del complesso movimento di

pensiero che viene sin troppo semplicisticamente etichettato sotto la denominazione

di Sofistica, Gorgia ne è in qualche modo l’espressione massima,

il modello compiuto, l’insuperabile punto di riferimento. Già agli occhi dei

contemporanei incarnava ciò che di più elevato un sofista potesse essere.

Riconosciuto campione della dialettica preplatonica, per tutti egli è ancora il

grande negatore e da sempre il suo nome evoca la straripante potenza di dissoluzione

della ragione umana. Si è trovato un termine unico per esprimere

l’idea: Gorgia sarebbe il nichilista perfetto.

1

Gorgia nasce a Lentini, colonia di Calcide nella terra di Sicilia, in un periodo che, considerate

le comprensibili difficoltà di una datazione datazione certa, pare da collocarsi come

presumibilmente compreso fra il 490 e il 480 a.C. Secondo Diogene Laerzio fu discepolo di

Empedocle (Vite dei filosofi, VIII, 58:

[Ἐµπεδοκλῆς] καὶ ἰατρὸς ἦν καὶῥήτωρ ἄριστος. Γοργίαν γοῦν τὸν Λεοντῖνον

αὐτοῦ γενέσϑαι µαϑητήν, ἄνδρα ὑπερέχοντα ἐν ῥητορικῆ).

La notizia è confermata anche dal lessico Suda (Γ388=82 A 2DK), che chiama Gorgia

µαϑητὴς Ἐµπεδοκλέους, né vi è ragione alcuna di dubitare dell’informazione, che pare

anzi probabile dato che Empedocle viene anche indicato come l’inventore della retorica (Sesto

Empirico, Adv.math., VII,6). Il dato più certo della sua vita è l’ambasciata che egli guidò

con successo ad Atene, nel 427, per chiedere l’aiuto della potente metropoli attica contro il

tentativo espansionistico di Siracusa. Fattosi subito ammirare per la sua prepotente abilità

dialettica, iniziò con strepitoso successo la carriera di sofista, che lo portò a girovagare, accumulando

ingenti ricchezze, soprattutto tra l’Attica, la Beozia e la Tessaglia, dove la sua

influenza fu talmente forte che Filostrato ricorda che “il fare retorica prese il nome di ‘gorgizzare’”

(γοργιάζειν, Epistulae 73=82 A 35 DK), ma anche a Delfi ed Olimpia (dove fu

chiamato a tenere discorsi in importanti occasioni pubbliche) e -pare (ma la notizia qui è

incerta)- ad Argo, dove secondo Olimpiodoro (Schol. ad Gorg.7.2) venne emanato un divieto

alla cittadinanza di seguirne le lezioni. Trascorse gli ultimi anni di una vita lunghissima e

fortunata nella città tessala di Fere, ospite del tiranno Giasone. Morì più che centenario, forse

a Larissa, intorno al 380 a.C. Tra i suoi allievi figurano personalità eminenti come Isocrate,

Tucidide, Crizia, Aristippo, Antistene ed Alcibiade.

17


La cosa ha indubbiamente un lato maestoso. Per molti versi Gorgia

rappresenta un momento trionfante del razionale, quello della più alta

capacità del discernimento, di una furia analitica senza precedenti, di una

scomposizione e ricomposizione logica del reale che non lascia nulla fuori

di sé e che tutto assorbe e trasforma: con lui la parola diventa il regno di una

metamorfosi completa e inarrestabile del mondo e dei suoi significati, al

limite del paradosso e anche oltre. Dalla prospettiva estrema della

negazione, il continuo gioco dei capovolgimenti di senso fa risaltare, con

evidenza insospettata, lo straordinario potere del λόγος e conferisce un

vigore eroico alla capacità dell’uomo di plasmare il mondo – in questo senso

la fiducia nella parola fa tutt’uno con la consapevolezza di sapersi

dominatore della realtà. Ma se il primato della dialettica è una forma

sublime di padroneggiamento, esso comporta anche una negazione,

altrettanto decisa, dell’autosufficienza del mondo: quanto appare, infatti, ha

sempre molti più sensi di quello che ci si aspetta e cui si è abituati, per cui

la verità delle cose dilegua nell’incertezza, oscillando sul perenne bilico

della persuasione. Poiché tutto può essere messo in discussione,

adeguandosi di volta in volta alle più diverse prospettive del convincimento,

lo strumento di dominio alla fine sottrae la propria preda. È il regno del

dubbio, di cui Gorgia è signore incontrastato. Non solo egli dubita del

mondo nel suo complesso ma, con sconcertante decisione, giunge a negarne

l’esistenza. L’affermazione secondo cui “nulla esiste”, una delle più celebri

posizioni filosofiche del pensiero occidentale, stupisce ancor oggi per

l’inconsueta, sfrontata, arditezza e projetta un’ombra sinistra sul suo autore,

ponendolo subito e di diritto tra le grandi manifestazioni storiche del

demoniaco.

Già la vita dell'uomo sembra frutto di un patto contratto con le potenze

della Notte. Giovane allievo del mago Empedocle, che si gettò nell’Etna,

Gorgia ebbe una vita lunghissima, ai limiti di quanto all’uomo è concesso,

circondata dal timorato rispetto degli avversari, celebrata in tutto il mondo

greco come quella di un dio e smisuratamente colma di agi e ricchezze, –

persino la morte gli giunse solo attraverso uno straordinario e innaturale atto

di volontà superiore. 2 Proteo e Prometeo al tempo stesso, Gorgia sembra in

ogni istante travalicare i confini dell’umano e la sua personalità imporsi

nell'esatta misura in cui riesce a trasformarsi e nascondersi: da una parte

l’uomo, implacabilmente sicuro, dotato di un’incrollabile fiducia nelle

proprie capacità, titanico e sprezzante, circonfuso da un alone regale e quasi

2

Giunto a 108 anni ancora in piena salute psicofisica (Filostrato, Vite dei sofisti, 494),

Gorgia si sarebbe lasciato volontariamente morire di fame (cf. DK 82 A 13)!

18


ultraterreno di autosufficienza; 3 dall’altra il personaggio, tra mitico e

mistico, impareggiabile manipolatore di anime e straordinario affabulatore,

camaleontico sostenitore degli opposti, artista dell’impossibile, dell’assurdo

e del paradossale, che con raffinata seduzione incantatoria sfugge

continuamente tra le nostre dita. Grande illusionista, egli è sempre altrove

rispetto alla percezione pubblica della sua immagine. 4

Somma di tutte le contraddizioni, nella pratica ininterrotta di

padroneggiamento del mondo il sofista venuto da Lentini ne ha proclamato

l’irrealtà; eccellente nel pensiero, ha dichiarato l’universale impensabilità

dell’esistente; infine, da superiore maestro del dire ha dimostrato come

limite necessario quello di un’assoluta e radicale indicibilità. Tenere

l’irreale, pensare l’impensabile e dire l’indicibile – il compito perverso di

una totale soppressione e di una completa confusione dei confini giunge qui

al compimento definitivo, tanto che la forma perfetta della sua parola sembra

dissolversi a ogni passo nell’informità assurda che tutto sfuma e confonde.

Con un gioco di prestigio il sofista ha fatto apparire e al contempo

scomparire il mondo. Il suo gesto, estremo e destabilizzante, traccia il

cerchio perfetto del diabolico: il male infatti assume tutti i volti e nega di

continuo di essere ciò che appare.

Questo superbo atleta del ragionamento, questo sublime genio del male

intrinseco alla ratio, ha consegnato all’Occidente una dottrina che non solo

resiste come summa perpetua del nichilismo teoretico, ma porta con sé l’eco

di una maledizione che non si riesce a disinnescare. Con un morso alla

giugulare, come un vampiro, Gorgia ha da tempo immemorabile avvelenato

3

Filostrato riferisce che Gorgia “arrivato al teatro di Atene, fu così ardito [ἐϑάρρησεν]

da affermare: ‘Proponete un argomento’ e per primo lanciò questa sfida, dimostrando apertamente

di sapere tutto [πάντα µὲν εἰδέναι], poiché sarebbe stato in grado di parlare di tutto

[περὶ παντὸς] nella maniera più conveniente [τῷ καιρῷ]” (Vite dei Sofisti, I, 482). Il punto

è confermato anche da Platone (Menone 70a-c). L’estrema arditezza del sofista, al limite del

sostenibile, è riecheggiata anche da Isocrate: “E infatti come potrebbe qualcuno superare

Gorgia, che ebbe l’arditezza [τολµήσαντα] di affermare che nessuno degli enti è?” (riportato

da Atanasio di Alessandria, Proleg. Syll.= 82 B 5a DK). Sempre Filostrato, ricordando le

innovazioni gorgiane nella tecnica dei sofisti [σοφιστῶν τέχνη] e considerandolo “come

padre” [ὥσπερ ἐς πατέρα] della stessa, lo paragona addirittura, per importanza, alla figura

di Eschilo nell’ambito della tragedia (ivi, 492) e afferma che “non vi è in alcun modo da

stupirsi se egli fu ammirato da tutti” [εἰ µὲν ὑπὸ τῶν πολλῶν ἐϑαυµάσϑη, οὔπω ϑαῦµα],

al punto che in occasione del suo Discorso Pitico gli sarebbe stata consacrata una statua d’oro

nel santuario di Apollo a Delfi (ivi, 493, ma ne parla anche Ateneo di Naucrati riportando

Ermippo, 82 A 15a DK e Pausania, 82 A7 DK).

Quando gli fu chiesto il segreto di una vita tanto longeva, Gorgia avrebbe risposto così:

“il non avere mai fatto nulla per qualcun altro” (Athen., XII, 548 D = DK 82 A 11).

4

È tema spiccatamente platonico, per cui si veda oltre.

19


la filosofia nei suoi più profondi istinti vitali, inoculando un morbo che

succhia la linfa di ogni costruzione del vero che pretenda di dare

un’immagine stabile del mondo. Il tentativo sempre rinnovato di esorcizzare

la sua opera relegandola nel territorio della semplice retorica è forse il

sintomo più appariscente della gravità del contagio. Ma come potrebbe la

filosofia non prendere sul serio l’operare del λόγος e non farsi carico di tutti

i suoi processi, per quanto scomodi, inusitati o apparentemente paradossali?

Come potrebbe la ragione disinteressarsi della ragione stessa? Non è dato

alla filosofia dimenticare tanto facilmente Gorgia con il pretesto del colpo

di teatro o, peggio ancora, partendo dal presupposto indiscusso dell’evidente

insostenibilità delle sue posizioni: qui è infatti proprio l’idea di evidenza a

essere esplicitamente al centro del dibattito, e questo interrogativo non

riguarda la legittimità o meno di una appartenenza, né la consistenza di una

critica, e neppure richiama uno sforzo che sia teso allo smascheramento di

trucchi e trabocchetti – l’insegnamento gorgiano non si misura dalla sua

capacità di inserirsi nel solco di una tradizione (ancora a venire), la sua

parola non rappresenta il semplice esercizio di una confutazione diretta, per

quanto elevato possa essere il suo avversario occasionale, e il suo discorso

non ha nulla a che vedere con presunti artifici e giochi dialettici. Ed è ovvio

che una denigrazione preventiva dell’avversario non lo rende più debole nel

momento del conflitto. Se davvero vogliamo comprendere il peso e la

portata della dottrina del sofista di Lentini, dobbiamo invece accostarci ad

esso spogli di ogni pregiudizio, disinteressati rispetto alle possibili

conseguenze e con spirito autenticamente speculativo, con la cautela con cui

si maneggia un materiale pericoloso, con la volontà di indagare le nostre

certezze più scontate, col coraggio e la volontà di affrontare fino al fondo le

nostre paure. Qui si tratta infatti di una forma estrema di criticismo, di un

pensiero che esplora il limite delle proprie possibilità di costituzione del

senso.

Una volta esercitata al massimo grado la nostra perizia di interpreti, non

rimarrà al lettore che un ultimo passo, forse il più rischioso: stabilire fino a

che punto anche il nostro pensiero non possa prescindere dai risultati del

filosofo Gorgia. Fino a che punto egli può ancora affascinare e sedurre?

Fino a che punto riesce ancora a vincerci e convincere? E fino a che punto

il nichilismo contemporaneo non è che una metamorfosi tardiva

dell’originario nichilismo gorgiano? È forse già stato, una volta per tutte,

stabilito un punto di non ritorno?

Per ora non ci è dato che di tentare un movimento di ritorsione… 5

5

Nel nostro saggio dedicato al sofista di Abdera (Il canto delle Sirene. Protagora e la

metafisica) abbiamo proposto una lettura complessiva del millenario percorso storico della

20


“Chicche & Chiose & Lexikon”

di Sein und Zeit

LEXIKON di ESSERE E TEMPO (3ª parte: PRIM/-VOLG)

di Alfredo Marini

I riferimenti alla trad it di Pietro Chiodi (1ª ediz. Bocca, Milano-Roma 1953; 2ª

ediz. UTET, Torino 1970, ristampata integralm. dalla Longanesi & C. Milano 1976)

sono indicati così: it: <«Ch» 1. ediz./ 2.ediz.…>.

Alcuni suggerimenti di Cases-Mazzone (in: K. Löwith, Saggi su Heidegger,

Torino 1966) sono indicati con: C-M.

Citazioni di G. Zaccaria, L’inizio greco del pensiero. Heidegger e l’essenza

futura della filosofia, Christian Marinotti Edizioni, Milano1999, sono indicate con:

Zac.

Proposte di F. Volpi, curatore di M. Heidegger, Wegmarken, Frankfurt a.M.

1976 (Segnavia, Milano 1987).

Le considerazioni di A. Fabris (trad. it. di M. Heidegger, I problemi fondamentali

della fenomenologia (GA 24) Genova 1988 e autore del vol. Filosofia, storia e

temporalità. Heidegger e ‘I problemi fondamentali della fenomenologia’, ETS, Pisa

1988) sono indicate con: Fabr. TR. e Fabr FST.

Riferimenti a scelte terminologiche di traduzione in altre lingue sono fatti esclusivamente

alle segg. traduzioni spagnole, francesi, inglesi:

sp: J. Gaos, presso Fondo de Cultura Económica, México 1986 (la più vicina

alla «perfezione ideale» e la più radicalmente «latina»): «Gaos»; + J.E. Rivera

Cruchaga, presso la Editorial Universitaria, Santiago de Chile 1997: «Riv»;

fr: R. Boehm et Alphonse De Waelhens, presso Gallimard (solo l’Introduzione

e la 1ª Sezione <§§ 1-44>, la 2ª Sezione non ha mai visto la luce), Paris 1964: «B-

DeW»; E. Martineau, presso Authentica, Paris 1985 «Mart»; F. Vezin, presso Gallimard,

Paris 1986: «Vez»;

ingl: J. Macquarrie & E. Robinson, presso SCM Press Ltd, London 1962 (la più

accurata e volonterosa di esattezza): «M-R»; + J. Stambaugh, presso la University

of New York Press 1996: «Stamb».

Le ns. inserzioni tra <…> sono rimandi a voci del Lexikon, oppure indicazioni

di criptocitazioni o uso di terminologia estranea <per lo più da Aristotele, Kant,

Dilthey, Nietzsche, Husserl> nel testo di Heidegger.

205


PRIMATO ONTICO-ONTOLOGICO/ P. dell’AVVENIRE

(ONTISCH-ONTOLOGISCHER VORRANG/ V. der ZUKUNFT) §§ 3, 4, 65

a) P. ONTICO-ONTOLOGICO. “L’ontologia fondamentale, dalla quale soltanto

tutte le altre possono risultare, deve essere necessariamente cercata nell’analitica

esistenziale dell’esserci. L’esserci possiede allora un molteplice primato su

ogni altro ente. Il PRIMO PRIMATO è ONTICO: questo ente, nel suo essere, è

determinato dall’esistenza. Il SECONDO PRIMATO è ONTOLOGICO: l’esserci

in base alla determinatezza della sua esistenza è in se stesso «ontologico». Ma

all’esserci appartiene anche, cooriginariamente⇐ – come elemento costitutivo della

comprensione d’esistenza – una comprensione dell’essere di ogni ente altro dall’esserci.

L’esserci guadagna perciò il suo TERZO PRIMATO in quanto è la condizione

ONTICO-ONTOLOGICA della possibilità di tutte le ontologie. L’esserci si

è così dimostrato come quell’ente che ontologicamente è da sottoporre a inchiesta

per primo rispetto ad ogni altro ente” (13).

b) P. dell’AVVENIRE. “La temporalità originaria e autentica si temporizza a

partire dall’autentico AVVENIRE, e precisamente in modo che, solo in quanto a-

venire essendo-stata essa susciti la presenza⇐. Il fenomeno primario della temporalità

originaria e autentica è l’avvenire. Il PRIMATO dell’AVVENIRE varierà in

corrispondenza con la modificata temporizzazione della temporalità inautentica

stessa, ma comparirà anche nel «tempo» di provenienza secondaria” <Presenza>

(329).

ANALITICA ESISTENZIALE/ ONTOLOGIA FONDAMENTALE; DO-

MANDA/ PROBLEMA DELL’ESSERE; ESSERCI; TRASCENDENTI; PRE-

SENZA; INDICAZIONE FORMALE

PROBLEMA/ DOMANDA (FRAGE)

DOMANDA

PROBLEMATIZZAZIONE ONTOLOGICA

(ONTOLOGISCHE PROBLEMATIK) (p. 88)

“Le strutture e le dimensioni della PROBLEMATIZZAZIONE ONTOLOGICA

vengono tenute fondamentalmente distinte, e sono:

1. l’essere dell’ente intramondano che si incontra in prima istanza (esser

allamano⇐);

2. l’essere dell’ente (esser-sottomano⇐) reperibile e determinabile grazie a un

autonomo passaggio svelante attraverso l’ente incontrato in prima istanza;

3. l’essere della condizione ontica, che rende possibile svelare un ente

intramondano in quanto tale: la mondanità di un mondo. Quest’ultimo essere è una

determinazione esistenziale⇐ dell’esser-nel-mondo, cioè dell’esserci. I primi due

concetti di essere, che abbiamo nominato, sono categorie⇐ e riguardano un ente, il

cui essere non è del tipo di quello dell’esserci. La connessione di rimandi, che sotto

206


forma di significatività costituisce la mondanità⇐, può essere individuata

formalmente come un sistema di relazioni <Relationssystem>. Solo va notato che

simili formalizzazioni livellano <nivellieren> i fenomeni al punto che ne va perduto

l’autentico contenuto fenomenale, soprattutto nel caso di rapporti così «semplici»

come quelli racchiusi nella significatività⇐. Queste «relazioni» e questi «relati»:

l’«a-(far sì)-che», l’«in-grazia-di»⇐, il «di-cui» di un’opportunità⇐ si oppongono

nel loro stesso contenuto fenomenale a qualsiasi funzionalizzazione matematica”

(88).

• Il termine ted Problematik va tradotto in SuZ quasi sempre in senso attivo e

non statico: la “problematizzazione” e non la “problematica”.

BEDEUTSAMKEIT (Relationssystem); ANALITICA ESISTENZIALE

PRO-CURARE (BESORGEN)

CURA

PROGETTO (ENTWURF)

DEJEZIONE

PUBBLICITA’

(ÖFFENTLICHKEIT) §§ 27, 79-80

“Distanzialità, medietà, appiattimento, come maniere d’essere del si, costituiscono

quella che noi conosciamo come «la dimensione PUBBLICA»” (127). “L’«ora»

pronunciato è detto da ciascuno nella PUBBLICITÀ dell’esser-‘l’un con l’altro’-

nel-mondo. Grazie al suo estatico essere-nel-mondo, il tempo spiegato e pronunciato

del rispettivo esserci è perciò, come tale, anche via via già divenuto PUB-

BLICO”. “La PUBBLICIZZAZIONE del tempo non accade a posteriori e occasionalmente.

Ma piuttosto: poiché l’esserci in quanto estaticamente temporale è

via via già dischiuso e incluso nella spiegazione comprendente l’esistenza, nel procurare

si è anche già pubblicizzato il tempo. Ci si orienta secondo il tempo, cosicché

esso deve essere in qualche modo reperibile per chiunque” (411).

STATO DI SPIEGAZIONE pubblico: 178, 187, 252, 408 (Ch: “stato interpretativo

pubblico”).

SPIEGAZIONE; SI; CHI?; QUOTIDIANITÀ; MEDIETÀ

“QUALCOSA IN QUANTO QUALCOSA” (ETWAS als ETWAS)

“IN QUANTO”/ STRUTTURA DI

207


QUOTIDIANITÀ / MEDIETÀ

(ALLTÄGLICHKEIT/ DURCHSCHNITTLICHKEIT)

p. 43, §§ 26, 27, 34B, 51-52, Cap.IV, § 71

[La risposta alla domanda, quale sia la corretta presentazione (die rechte Vorgabe)

il giusto inizio (der rechte Ansatz) per l’analisi del Dasein, è disarmante: non nulla,

e neppure una determinata differenza specifica del Dasein, ma l’indifferente

ZUNÄCHST UND ZUMEIST (il dato immediato e il suo ripresentarsi abituale),

cioè un positivo carattere fenomenale di questo ente: l’indifferenza della quotidianità

media, il dato di prima istanza, il proteron pros hēmas di Aristotele <non certo

l’“innanzittutto…” di Pi. Chiodi). Dunque, l’“in prima istanza e per lo più” è la

definizione temporale di quell’indifferenza quotidiana che chiamiamo medietà e,

insieme, il principio del radicale empirismo metodologico heideggeriano, piccozza

Cassin per scalare l’Everest della Seinsfrage. Vedi p. 43].

“Questa indifferenza della QUOTIDIANITÀ dell’esserci non è nulla ma è un

carattere fenomenale positivo di questo ente. Ogni esistere, così com’è, parte da

questo modo d’essere e vi ritorna. Noi chiamiamo questa indifferenza quotidiana

dell’esserci MEDIETÀ. […] Poiché la quotidianità media costituisce l’«in prima

istanza» ontico di questo ente, essa è stata e viene sempre di nuovo SALTATA VIA

in ogni spiegazione dell’esserci. Ciò che onticamente è il più vicino e noto è ontologicamente

il più lontano, sconosciuto e, quanto alla sua importanza ontologica,

mai notato.” (43)

“La FILOSOFIA è ONTOLOGIA FENOMENOLOGICA E UNIVERSALE che

parte dall’ermeneutica⇐ dell’esserci e che, come analitica⇐ dell’esistenza, ha fissato

il capo del filo conduttore di ogni domandare⇐ filosofico nel punto dal quale

risulta e sul quale torna a ribaltarsi” (38, 43, 436).

CHI?; SCADIMENTO

RAPPRESENTARE

ENUNCIATO

REALITÀ

(REALITÄT) § 43

“Anche là dove non si tratta solo di esperienza ontica, ma di comprensione ontologica,

la spiegazione dell’essere si orienta in prima istanza secondo l’essere dell’ente

intramondano. Con ciò viene SALTATO VIA l’essere dell’ente allamano più vicino

e l’ente viene innanzitutto concepito come connessione cosale sottomano (res).

L’essere acquista il senso di realità. La determinazione fondamentale dell’essere

diventa quella di sostanzialità. […] Anche l’esserci, come ogni altro ente, sarà realmente

sottomano” (201). “Se lasciamo a questa parola il suo significato tradizionale,

allora essa significa l’essere nel senso del puro, cosale esser-sottomano”. Ma

“tutti i modi d’essere dell’ente intramondano sono ontologicamente fondati nella

mondanità del mondo e quindi nel fenomeno dell’esser-nel-mondo. Donde

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