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ELBA: I FIORI DELLA TERRA

La straordinaria diversità geo-minerologica della terra degli etruschi.

La straordinaria diversità geo-minerologica della terra degli etruschi.

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I QUADERNI DI ENJOYELBA

N°2

Andrea Dini, Graziano Rinaldi, Patrizia Lupi

ELBA: I FIORI DELLA TERRA - La straordinaria diversità geo-mineralogica della terra degli Etruschi

Progetto e Coordinamento Editoriale:

Patrizia Lupi per Enjoy Elba and the Tuscan Archipelago

www.enjoyelba.eu – info@enjoyelba.eu

Coordinamento progetto Elba degli Etruschi:

Sabrina Busato

Foto: Andrea Dini, Graziano Rinaldi, Antonio Miglioli, Marco Lorenzoni, Paolo Orlandi, Cristian Biagioni,

Massimo D’Orazio, Piero Ambrino, Museo La Specola, Laura Pagliantini, Franco Sammartino,

Gian Mario Gentini, Paolo Calcara.

Progetto grafico e impaginazione:

Federico Del Vecchio per Studio Mezzanotte - Pisa

Stampa: IGV srl – San Giovanni Valdarno

ISBN 9788894615609

© 2021 Movability Books - Roma

Tutti i diritti sono riservati

SIMTUR – Società Italiana professionisti della mobilità e del turismo sostenibile

www.simtur.it | segreteria@simtur.it

Foto di Copertina: Ematite - cristalli iridescenti di 3 cm con cristalli prismatici di quarzo;

cantiere Bacino, miniera di Rio Marina (coll. Lorenzoni, foto©Dini)

Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta

senza l’autorizzazione del titolare del copyright e degli autori.

1° edizione: dicembre 2021

Pubblicazione realizzata con la compartecipazione della Regione Toscana,

nell’ambito delle celebrazioni della Giornata degli Etruschi 2021 del Consiglio Regionale della Toscana


ELBA: LA TERRA DEGLI ETRUSCHI

-

L’Elba è conosciuta dall’antichità per la ricchezza dei suoi giacimenti minerari, utilizzati fin

dall’età del bronzo e del ferro dai popoli del Tirreno. Gli Etruschi trovarono nella lavorazione del

ferro una delle loro principali fonti di ricchezza.

Numerosissime ancora le testimonianze della lavorazione di questo prezioso minerale, a volte

poco conosciute, sparse per tutta l’isola, in particolare sul versante orientale dove numerose

erano le miniere che sono state sfruttate fino agli anni ’80.

Elba degli Etruschi racconta il patrimonio etrusco dell’isola, valorizzandolo con una serie di

azioni che puntano ad approfondirne la conoscenza storica, valorizzandone nel contempo

anche il patrimonio geo-mineralogico, minerario e paesaggistico.

Avvicinarsi alle radici della comunità elbana, all’immenso patrimonio minerario e paesaggistico,

e farne un occasione per divulgarne la conoscenza attraverso le tracce di una antichissima

quotidianità: dalle lavorazioni dei metalli, in particolare il ferro, ai momenti di vita quotidiana,

il cibo, i paesaggi. Attraverso il tempo, per rimanere connessi ai nostri antenati, ed accrescere

la consapevolezza del patrimonio culturale e paesaggistico che i nostri progenitori etruschi ci

hanno consegnato, e che dobbiamo ora continuare a studiare e tutelare per consegnarlo alle

generazioni future.

Il volume “I Fiori della Terra” fissa in un’opera editoriale la diversità geo-mineralogica del

territorio e le informazioni sulla civiltà etrusca elbana.

I soggetti partner che hanno aderito all’iniziativa appartengono a vari ambiti: scientifico, storico,

turistico, divulgativo, culturale, e rappresentano loro stessi un grande patrimonio collaborativo,

sul quale l’Isola d’Elba può contare: una rete di rapporti in grado di offrire le migliori competenze

e conoscenze per gli approfondimenti storici, ed una collaborazione ottimale per la produzione

del volume, la realizzazione delle passeggiate, e la divulgazione delle attività previste nel progetto.

Sabrina Busato

Coordinatrice del progetto

.


4

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


PREFAZIONE

L’Isola d’Elba va vissuta con tutti e cinque i sensi, solo così se ne potrà

apprezzare la ricchezza e l’unicità, oltre ad ammirarne la bellezza, dovunque

si guardi.

L’Elba va vissuta palmo a palmo perché, a partire dagli scogli che come lunghe

dita afferrano i fondali più profondi ricchi di ogni specie marina, alla cima dei

suoi monti più alti che brillano al sole, è tutta da scoprire.

Gli antichi la conoscevano, non c’è popolo che non sia sbarcato sulle sue coste

frastagliate o sulle spiagge dai mille colori, rifugio e approdo, avamposti di una

terra generosa che prometteva doni e ricchezza. Gli Etruschi, fra i primi, ne

hanno tratto vantaggio per i loro commerci in tutto il Mediterraneo.

La lavorazione dei metalli ha seminato tracce in ogni versante. La morfologia

dell’Isola è cambiata nei secoli secondo l’azione dei suoi abitanti che ne

traevano sostentamento per vivere: le cave di granito al centro, le miniere

a Oriente, i ricami delle vigne con i muretti a secco arroccati sui graniti ad

Occidente.

In molti ne hanno studiato la flora, i minerali, il mare. Un patrimonio che oggi

diventa attrazione per un turismo consapevole, attento, rispettoso, curioso.

Un turismo lento capace di osservare la natura, le sfumature dei paesaggi

al cambiare delle stagioni, i profumi e l’arcobaleno dei colori, le voci degli

abitanti che raccontano leggende, i sapori dei prodotti della terra e del mare.

Vi invitiamo a farlo anche con questo volume, cercando nelle rocce che

incontrate qualche traccia, che sia una storia, un graffito o una gemma

preziosa.

A metà fra favola e guida turistica, fra memoria e voglia di futuro, fra scienza

e fantasia, fra immagini e parole, abbiamo voluto presentarvi l’anima di un

Isola, farvi vedere anche tutto quello che non si vede, perché si sappia che

l’orizzonte è anche sotto i nostri piedi.

Patrizia Lupi

Direttore Responsabile

Enjoy Elba and the Tuscan Archipelago

5


INDICE

01. STORIE GEO-MINERALOGICHE

08

02. DIVERSITÀ GEO-MINERALOGICA

10

03. RINALDONIANI, ARGONAUTI, ETRUSCHI, ... TOSCANI

20

04. COME È NATA LA DIVERSITÀ GEO-MINERALOGICA ELBANA

26

05. ELBA OCCIDENTALE - IL REGNO DI PLOUTŌN

-

5.1 Il regno di Ploutōn

5.2 Elbaite & Co. - I minerali delle pegmatiti di San Piero

5.3 Cocktail magmatico - Megacristalli e inclusi mafici a Capo Sant’Andrea

5.4 La tavolozza oceanica - Le rodingiti di Punta Polveraia

5.5 Forme uniche - Il granato ottaedrico dell’Affaccata

5.6 Misteri della cristallizzazione - Il quarzo “gommoide” di Palombaia

5.7 Fluidi in fuga - Le nuove tormaline di San Piero

5.8 Rimedi naturali - La magnesite di San Piero

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


06. ELBA CENTRALE - IL VULCANO MANCATO

-

6.1 Il vulcano mancato

6.2 Capo Bianco - Tormalina o sudore degli Argonauti?

6.3 Il fascino delle forme - Il quarzo della zona Biodola-Procchio

6.4 Voglia di Brasile - Il quarzo ametistino di Casa Ischia

6.5 I cristalli di Foresi - La calcite di Forte Falcone

6.6 Campo ai Peri - I granati venuti da lontano

6.7 Meglio beta o alfa? - I quarzi “bipiramidali” di Campo all’Aia

6.8 Piccolo è bello - Le cavità miarolitiche di San Martino

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07. ELBA ORIENTALE - FERRO MEDITERRANEO

-

7.1 Ferro mediterraneo

7.2 Ferro o stagno e tungsteno? - La strana ematite di Terranera

7.3 I cristalli di Stenone - L’ematite del Cantiere Bacino

7.4 L’eleganza di Platone - La pirite di Rio Marina

7.5 I metalli di Pseudo-Aristotele- Le meraviglie di Grotta Rame

7.6 Crisi diplomatiche - L’ilvaite della Torre di Rio

7.7 Fiori di cobalto - l’eritrite del Cantiere Francesche

7.8 La scoperta di Alfeo - Il quarzo prasio di Porticciolo

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134

LETTURE CONSIGLIATE

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08. GLI ETRUSCHI ALL’ISOLA D’ELBA

140

PARTNERS

146

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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01. Storie Geo - Mineralogiche

Un’isola, tre zone geologiche distinte, otto storie geomineralogiche

per zona. Storie da guardare e da leggere,

anche in ordine sparso, e da far riaffiorare alla memoria

durante le escursioni sull’isola. Un libro da piegare e

infilare nello zaino o nella borsa per poi leggerne un

capitolo stesi su una cote di granito o su una spiaggia

di quarzo. Non aspettatevi di trovare la descrizione di

tutti i minerali elbani o la storia geologica dettagliata

dell’isola degli ultimi 500 milioni di anni. Per quello ci

sono già molti libri divulgativi e scientifici, come pure

molte centinaia di articoli scientifici su riviste nazionali

e internazionali. Abbiamo provato a parlare di geologia

e mineralogia raccontando storie e aneddoti scientifici,

umani, storici, politici e mitologici. Anche molte delle

foto che accompagnano il testo raccontano storie

brevi, sintetiche ma evocative. I colori, le geometrie e le

tessiture del paesaggio e degli esemplari mineralogici

sono stati immortalati da abili fotografi amanti della

natura elbana .

Attenzione, sono prevedibili vari tipi di reazione alla

lettura del libro. Potreste annoiarvi dopo cinque minuti

e buttare via il libro perché sapete già tutto, oppure

appassionarvi ai temi storico-scientifico-naturalistici e

diventare topi di biblioteca alla ricerca di sempre nuovi

dettagli delle storie. Un’altra possibilità è che vi facciate

prendere dallo spirito dell’esploratore e che diventiate

collezionisti di minerali. In ogni caso l’obiettivo è

raggiunto: far aumentare la vostra percezione del

pianeta parlando di geodiversità. La geodiversità sta

alla base di ogni ecosistema e quella elbana è talmente

eccezionale da aver attirato gli esseri umani sull’isola

fin da epoche remote: Rinaldoniani, Etruschi, forse gli

Argonauti, insomma Toscani.

Le parti introduttive potete anche saltarle o tornare a leggerle

dopo una o più storie, giusto per approfondire qualche

dettaglio. L’auspicio è che almeno una delle ventiquattro

storie vi faccia venire voglia di conoscere meglio il pianeta

che sta sotto i nostri piedi. È da almeno dodici mila anni che

lo sfruttiamo sempre più intensamente e ora sta dando chiari

segni di insofferenza. Il cambiamento climatico ci fa alzare gli

occhi verso il cielo alla ricerca di nuvole impazzite ma sarebbe

meglio abbassarli per imparare a conoscere la parte di pianeta

che diamo per scontata, quella che percepiamo solo quando si

scuote o erutta.

Attraverso le varie storie farete la conoscenza di scienziati,

commercianti di minerali, naturalisti, direttori minerari,

nobili e politici. Tutti personaggi importanti che hanno legato

il proprio nome o tratto profitto dalla mineralogia elbana ma

che, in gran parte, non sarebbero stati capaci di estrarre un

singolo cristallo di minerale dalle dure rocce dell’isola. È per

questo motivo che ricorderemo con piacere gli straordinari

personaggi elbani che estrassero i magnifici esemplari che

ammiriamo nei musei di tutto il mondo. Alcuni sono rimasti

immortalati nei documenti del passato, altri, cavatori del

granito o minatori del ferro, non hanno lasciato traccia. Due

per tutti, Luigi Celleri e Alfeo Ricci. Il primo, un sanpierese che,

nella seconda metà del 1800, ha legato il suo nome ai minerali

dell’Elba centro-occidentale. A lui è dedicato il Museo MUM

di San Piero come pure l’ultimo nuovo minerale scoperto

sull’isola: la celleriite. Il secondo, riese e figlio di minatori, si

dedicò ai minerali dell’Elba orientale diventando guida di

riferimento per curatori di museo, scienziati e collezionisti

che nel secondo dopoguerra sbarcavano sull’isola. La sua

collezione è esposta nel Museo “Alfeo Ricci” di Capoliveri.

A questo punto non resta che augurarvi

un buon viaggio di scoperta

Andrea Dini e Graziano Rinaldi

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Miniera di Rio Albano. Le mille sfumature di colore del minerale ferrifero

lungo la scogliera tra Topinetti e Cala Seregola. Sullo sfondo l’Isola di Palmaiola e Piombino

Foto©Rinaldi

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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02. Diversità Geo - Mineralogica

IL MONDO SOTTO I NOSTRI PIEDI

Provate a uscire di casa e a guardare

cosa avete sotto i piedi. Asfalto,

marciapiedi di cemento, nel migliore

dei casi l’erba di qualche giardino.

L’ambiente urbano è fatto così,

deve rendere facile la vita. I nostri

spostamenti a piedi, o con i mezzi di

locomozione, devono essere veloci e

soprattutto non ci dobbiamo sporcare

le scarpe! Non ci sarebbe da stupirsi

se di fronte alla domanda “di cosa è

fatto l’interno del pianeta Terra?” una

ragazzina o un ragazzino delle scuole

rispondesse “di cemento e di asfalto”.

Spesso ci lamentiamo, giustamente,

della carenza di verde urbano ma non

ci rendiamo conto che l’urbanizzazione

intensiva ci fa perdere il contatto

anche con un altro aspetto, banale ma

allo stesso tempo caratterizzante, del

pianeta su cui viviamo. La pellicola di

asfalto e cemento ci isola dalla “dura”

realtà: viviamo su uno dei quattro

pianeti rocciosi del Sistema Solare

(Mercurio, Venere e Marte oltre alla

Terra).

Ma dove stanno queste rocce? I più fortunati che vivono in qualche borgo storico

sanno sicuramente che il palazzo pretorio è fatto di arenaria ed invece la facciata

del duomo di marmi colorati. Ma chi li ha portati e, soprattutto, dove sono stati presi

questi bellissimi blocchi di roccia? Nascono già squadrati come il pollo nel cellofan

del supermercato? Fuori dalle città può andare meglio, ma non ci illudiamo. Tutte le

zone pianeggianti e collinari dove era possibile coltivare sono state profondamente

modificate. È da migliaia di anni che i contadini rimuovono pietre, rivoltano il suolo,

modellano la topografia per rendere sempre più facile e redditizia la loro attività

produttiva; e sempre meno visibile la struttura interna del pianeta.

Stiamo esagerando, è vero. A scuola ci vengono insegnate molte cose e anche che

l’interno della Terra è costituito da rocce e minerali. Ma quale percezione possiamo

averne se non riusciamo a vederlo? La vera natura rocciosa del pianeta emerge con

prepotenza solo quando ci spostiamo in zone montuose o costiere dove i gradienti

topografici e l’erosione creano pareti, creste, falesie. È li che si fa la conoscenza con

l’ossatura profonda della Terra, con le rocce, i minerali, le stratificazioni del tempo

geologico scandite dai fossili e le deformazioni indotte dalle immani forze tettoniche

sprigionate dal movimento delle placche. Partendo dallo studio di queste sezioni

geologiche naturali gli scienziati hanno iniziato a capire di cosa è fatto e come

funziona il pianeta dinamico che sta sotto i nostri piedi.

Il noto giornalista scientifico Luigi Bignami, alcuni anni fa pubblicò un articolo dove

utilizzava lo stratagemma dell’ascensore immaginario per scendere nelle viscere

del pianeta, attraversando crosta e mantello fino a raggiungere, 6371 km più in

basso, il nucleo e il centro della Terra. Prendiamolo per risalire verso la superficie

descrivendo, in modo estremamente semplificato, le rocce e i minerali dei diversi

gusci. I primi 1200 km di risalita (nucleo interno) sono estremamente noiosi e caldi

(4900-4700 °C). Vediamo un solo minerale, una lega di ferro e nickel a struttura

esagonale. Secondo alcuni scienziati si potrebbe trattare di un singolo, enorme

cristallo! Tra 5150 e 2891 km (nucleo esterno) la temperatura rimane superiore ai

10

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


3500°C ma la pressione diminuisce molto

e il ferro fonde. Quindi per circa 2200 km

non vediamo nemmeno un minerale.

Meno male che la risalita nel ferro fuso è

“veloce” e raggiungiamo rapidamente la

base del mantello inferiore (2891 km).

Da qui in poi viaggiamo più “freschi”

poichè la temperatura scende

progressivamente fino a 900°C. Il

panorama geo-mineralogico diventa

meno noioso perchè il mantello terrestre

ha una maggiore variabilità chimica

e possiamo incontrare alcune decine

di minerali diversi, anche se l’80-90 %

del mantello è comunque costituito da

pochissimi silicati di magnesio, ferro e

calcio: bridgmanite e Ca-Si perovskite nel

mantello inferiore; olivina, clinopirosseno

e ortopirosseno nel mantello superiore.

Pochi minerali significa avere un numero

limitato di combinazioni per creare rocce

diverse. Infatti gran parte del mantello

superiore è costituito da un solo tipo di

roccia: la peridotite.

Questa foto, scattata da Cima del Monte - tra Porto Azzurro e Rio Elba - verso il Monte Capanne e con alle spalle il Canale di Piombino, fa capire la posizione baricentrica dell'isola d'Elba tra Mar Tirreno

Settentrionale e Mar Ligure (Foto©Dini). Sull'orizzonte a destra si vede l'isola di Capraia, a sinistra invece l'isola di Pianosa e le montagne della Corsica. Grazie ai suoi 150 km di costa e a montagne alte fino a

1000 metri, l'Isola d'Elba offre le migliori esposizioni di rocce della crosta continentale nell'area tirrenica. Il crinale di rocce sedimentarie da cui è stata scattata la foto fa parte del settore orientale dell'isola

(tra Cavo e Capo Calamita), dove troviamo i giacimenti di ferro ed ogni tipo di roccia: idrotermale, magmatica, metamorfica, sedimentaria e metasomatica. Nella parte centrale, tra Portoferraio e Marina di

Campo, affiorano intrusioni granitiche sub-vulcaniche incassate in rocce sedimentarie. Infine la parte occidentale è occupata dal più grande plutone granitico della Toscana (Monte Capanne, 1018m) e dalla

sua aureola metamorfica di contatto.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

11


Arriviamo così a circa 40 km di

profondità; siamo alla base della crosta

terrestre. Rispetto al mantello e al

nucleo terrestri, la crosta è ben poca

cosa: come la sottile buccia di una

pesca. La temperatura da ora in poi

cala rapidamente, dai 600-700°C della

base della crosta ai pochi gradi della

superficie. Tuttavia i pochi chilometri

che ci separano dalla superficie ci

riservano molte sorprese. Nel corso

delle ere geologiche, tutti gli elementi

chimici che non riuscivano a trovare

posto stabile nella rigida struttura

del mantello e del nucleo si sono

concentrati nel guscio più esterno.

La tettonica delle placche e l’abbondanza

di acqua, sia come fase liquida di

superficie sia come molecole nei

minerali della crosta terrestre, hanno

fatto il resto. L’acqua, specialmente

quella calda, è il più potente solvente

naturale e, quando si allea con alcuni

elementi (cloro, solfo, fluoro, carbonio)

è in grado di trasportare in soluzione

gran parte degli elementi chimici della

Tavola Periodica. L’acqua altera le rocce

in superficie e, quando si scalda in

profondità, diventa fluido idrotermale

che trasforma le rocce che attraversa

per poi andare a creare nuove rocce

idrotermali: i giacimenti minerari. Se

i movimenti delle placche tettoniche

portano a grande profondità delle rocce

ricche di minerali idrati, l’aumento

di temperatura fa uscire l’acqua dai

minerali. Questi fluidi acquosi possono

contaminare il mantello superiore

permettendogli di fondere. Si formano

così i magmi che spesso vediamo

eruttare dai vulcani delle Ande,

dell’Indonesia o delle Isole Eolie. Anche

l’ossigeno dell’atmosfera fa la sua parte

e, a partire da 2,5 miliardi di anni fa,

la mineralogia della crosta terrestre è

stata modificata anche dai processi di

ossidazione superficiale.

Tutti questi processi, e altri ancora,

hanno combinato in innumerevoli

modi gli elementi chimici

disponibili nella crosta terrestre

complicandone in modo crescente,

col trascorrere delle ere geologiche,

la sua composizione mineralogica.

Nella crosta terrestre sono stati

identificati circa 5000 minerali

diversi e ogni anno gli scienziati

ne scoprono di nuovi. I processi

geologici (magmatismo, alterazione

idrotermale, alterazione superficiale,

sedimentazione e metamorfismo)

hanno potuto “attingere” a questo

inventario di possibili combinazioni

cristallochimiche creando un catalogo

estremamente diversificato di

associazioni mineralogiche: le rocce

della crosta terrestre.

A destra: La falesia a sud della Torre di Rio Marina è attraversata

da un banco di roccia verde-marrone-nera, chiamata “skarn”,

costituita da silicati di ferro e calcio (hedenbergite, ilvaite e

epidoto). Lo skarn si è formato per reazione tra le rocce carbonatiche

e gli stessi fluidi idrotermali che generarono i giacimenti

ferriferi. La violenta reazione chimica è avvenuta circa 5,5 milioni

di anni fa quando questo settore dell’isola si trovava ancora a

molti chilometri di profondità. Foto©Dini

12

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


GEODIVERSITÀ: ALL’ORIGINE

DI TUTTE LE DIVERSITÀ

Siamo appena usciti dall’ascensore e

possiamo camminare sul nostro bel

pianeta un po' più consapevoli di cosa

abbiamo sotto i piedi. Ci fermiamo, e un

pensiero assurdo ci viene alla mente:

come sarebbe vivere su un pianeta

geologicamente, mineralogicamente

e geomorfologicamente uniforme

e monotono? Il geomorfologo

inglese Murray Gray, nel suo libro

“Geodiversity”, fa l’esempio di un

ipotetico pianeta costituito da un solo

tipo di roccia (quarzite) e da un solo

minerale (quarzo). L’omogeneità non

aiuta. Non esisterebbero i giacimenti

dei metalli che hanno permesso

all’umanità di sviluppare tecnologie

complesse. Non esisterebbero le fonti

energetiche fossili che, pur responsabili

del cambiamento climatico in corso, ci

hanno fornito l’energia per l’evoluzione

tecnologica. Probabilmente non sarebbe

attiva la tettonica delle placche e anche

i processi di superficie (erosione,

alterazione) sarebbero molto diversi. In

assenza di diversità fisica, chimica, geomineralogica,

pedologica e morfologica

l’evoluzione biologica sarebbe stata

ostacolata e non si sarebbero evolute

forme complesse di vita. In sostanza

Homo Sapiens non esisterebbe!

Fortunatamente la Terra non è

un pianeta di quarzo e la grande

geodiversità della crosta terrestre ha

agito da catalizzatore per creare una

biosfera altrettanto ricca di diversità.

Minerali, rocce, fossili, suoli, sedimenti,

forme del terreno, topografia, processi

geologici, idrologici e morfogenetici

sono tutti elementi fondamentali della

geodiversità che ci circonda.

Gli elementi che compongono la

geodiversità offrono molti vantaggi per

le persone e la società. La geodiversità

è alla base di tutto: dalle risorse

naturali su cui è fondata la nostra

società, ai terreni in cui coltiviamo;

dalla regolamentazione geologica

del nostro ambiente, ai paesaggi

all’aperto che le persone visitano per

svago. La geodiversità è alla base della

biodiversità e di ogni ecosistema. I suoi

paesaggi ispirano l’arte, sostengono

il turismo e rafforzano una vita

sana. Ogni singolo elemento della

geodiversità ci insegna la storia della

Terra, indirizzando i nostri approcci per

fronteggiare il cambiamento climatico.

Ma per la maggior parte delle persone,

dal pubblico al decisore politico, tutto

questo è sconosciuto. Per questo motivo

c’è un urgente bisogno di aumentare

la comprensione pubblica della

geodiversità.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

13


La geodiversità è un concetto molto ampio e in questo libro,

per motivi di spazio e di competenze degli autori, abbiamo

posto l’accento solo sulla diversità mineralogica, litologica e

dei processi geologici che formano appunto minerali e rocce.

5000 minerali e centinaia di rocce diverse, ma non sempre

la diversità geo-mineralogica si concentra nello stesso luogo

della crosta terrestre. Ci sono regioni del pianeta dove, per

centinaia di migliaia di chilometri quadrati affiora solo roccia

calcarea. Il calcare è costituito da un solo minerale, la calcite

(carbonato di calcio). Quindi, un minerale per un solo tipo di

roccia. I famosi paesaggi carsici nei calcari delle province di

Guizhou e Guangxi (Cina) si estendono per una superficie più

grande dell’Italia. Basta cambiare tipo di roccia e facilmente si

passa da uno ad una decina di minerali diversi. Chi ha visitato

il parco di Yosemite in California sa che si può camminare

per molti giorni attraverso il grande batolite granitico della

Sierra Nevada (circa 10000 km 2 ; la metà della superficie

della Toscana). In questo caso i 10-15 minerali presenti

si combinano per formare solo 3-4 tipi diversi di rocce

granitiche. È monotono il mantello ma anche la crosta a volte

non scherza!

Esistono però singole località dove in un’area di pochi chilometri

quadrati sono stati identificati centinaia di minerali diversi. In

genere si tratta di giacimenti minerari (ad esempio Tsumeb,

Namibia; Mont Saint’Hilaire, Canada; Laurion, Grecia; Val

Graveglia, Liguria; Lengenbach, Svizzera) o di particolari vulcani

attivi (Vesuvio e Vulcano, Italia; Tolbachik, Kamchatka, Russia).

Il record mondiale di specie minerali è detenuto dalla piccola

miniera di barite, fluorite e solfuri di rame-piombo-argento

conosciuta come “Grube Clara” (Valle di Rankach, Wolfach,

Germania): 456 minerali diversi di cui 17 sono stati scoperti per la

prima volta in questa località. La miniera coltiva tre filoni lunghi

600 metri, spessi 3 metri e profondi circa 800 m. L’incredibile

diversità mineralogica di Grube Clara (456) è concentrata in un

volume di quattro millesimi di chilometro cubo. Circa il 10 %

delle specie esistenti sul pianeta in una briciola della crosta

terrestre.

Questo è un esempio di estrema diversità mineralogica

puntuale. Tuttavia la diversità litologica della zona di Grube

Clara è bassissima: per centinaia di chilometri quadrati

intorno alla miniera troviamo solo un tipo di roccia, lo gneiss.

Dagli esempi fatti si capisce che non è facile definire la

diversità mineralogica di una località perché essa può variare

molto a seconda della scala di osservazione. Tuttavia esistono

dei luoghi speciali del nostro pianeta dove la sovrapposizione

nel tempo e nello spazio di processi tettonici, magmatici,

metamorfici e idrotermali ha creato una notevole diversità

mineralogica e litologica estesa per centinaia e migliaia di

chilometri quadrati. Uno di questi luoghi è l’Isola d’Elba e,

come vedremo, è anche per questo che da migliaia di anni gli

esseri umani frequentano l’isola toscana.

14

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


LA STRAORDINARIA DIVERSITÀ

GEO-MINERALOGICA ELBANA

Due uomini risalgono una mulattiera

sulle pendici del Monte Capanne,

poco sopra la spiaggia di Fetovaia. Il

somaro che li accompagna è carico

di sacchi pieni di rocce; dal basto si

vedono sbucare martelli e rotoli di

carte topografiche. Quello che sembra

comandare la spedizione si ferma a

osservare un masso di roccia grigia

attraversato da una “lingua” di granito

e chiede all’aiutante di preparare la

carta topografica necessaria per il

rilevamento geologico. Bernardino Lotti,

questo il nome dell’ingegnere minerario,

scopre nel 1894 a Fetovaia le prove

inconfutabili che il plutone granitico

del Monte Capanne è un’intrusione

magmatica relativamente “giovane”.

Lotti stabilì che era più giovane

dell’epoca eocenica (56-34 milioni di

anni) andando contro il pensiero di

molti altri geologi che volevano che tutti

i graniti del pianeta fossero molto più

antichi. Oggi sappiamo che il plutone

del Monte Capanne si è formato grazie

all’intrusione di almeno tre iniezioni

di magma, circa 7 milioni di anni fa. I

numeri contano fino ad un certo punto

(facile con gli strumenti analitici che

abbiamo a disposizione oggi), conta

molto di più la capacità del Lotti di

osservare e leggere la storia geologica

scritta in un affioramento di roccia.

Bernardino Lotti è stato uno dei più

grandi geologi toscani e la sua carta

geologica dell’Isola d’Elba (1884) è stata

la prima rappresentazione cartografica

accurata e moderna della geodiversità

elbana .

La carta geologica dell’Isola d’Elba di Bernardino Lotti (1884),

pur superata dal punto di vista stratigrafico e tettonico, rimane

ancora oggi valida per la rappresentazione delle litologie dell’isola.

Semplicemente guardando la varietà di colori si intuisce la

grande geodiversità.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

15


Sempre a lui si deve una frase che ha

precorso i concetti di geodiversità e di

geoconservazione andando a cogliere

l’unicità geo-mineralogica dell’isola:

“L’Isola d’Elba ed il Campigliese possono

chiamarsi a buon diritto grandiosi

musei mineralogici naturali”. Eppure

alla fine del 1800, i minerali noti all’Isola

d’Elba erano meno di 100. Per l’epoca

era già molto e infatti l’isola era meta

di un pellegrinaggio continuo da parte

di geologi, mineralogisti, curatori di

musei, commercianti e collezionisti

di minerali, esploratori minerari

provenienti da ogni parte del mondo.

I primi scienziati naturalisti, attratti

dalla ricchezza mineralogica dell’isola,

arrivarono nella seconda metà del

1700. All’inizio soprattutto francesi

ma poi, a partire dall’inizio del 1800,

anche tedeschi, svizzeri, inglesi e …

italiani. Si, noi arriviamo un po’ dopo

perché le Scienze della Terra nascono in

ritardo nelle università italiane. Come

abbiamo detto la geodiversità sta alla

base di tutto e, quella elbana e più in

generale toscana, ha stimolato una

grande diversità culturale e scientifica

in Toscana e in tutta Italia. Attualmente

in Toscana agiscono ben 5 diverse

istituzioni scientifiche nell’ambito delle

Scienze della Terra: tre dipartimenti

universitari (Firenze, Pisa e Siena),

l’Istituto di Geoscienze e Georisorse

del CNR (Pisa e Firenze) e l’Istituto

Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

(Pisa). La grande diversità di approcci

metodologici e culturali ha permesso

di far crescere in modo esponenziale le

conoscenze geo-mineralogiche della

regione e la comprensione dei processi

geologici nel sistema Appennino-

Tirreno settentrionale.

Diamo un po' di numeri. Quasi 250

specie minerali identificate nell’isola,

cioè circa il 5% di tutti i minerali finora

scoperti sulla Terra. Una media di più

di 100 specie minerali per 100 km 2 ,

un valore 10-100 volte superiore alla

media di gran parte dell’Italia e del

mondo. 15 specie minerali scoperte

per la prima volta sull’isola. Due di

queste nuove specie prendono il nome

dall’isola: elbaite (dal nome moderno)

e ilvaite (dal nome latino). Molte decine

di rocce diverse appartenenti a tutti e

quattro i principali raggruppamenti

di rocce: sedimentarie, magmatiche,

metamorfiche e idrotermali. Rocce di

età variabile da 450 a 5 milioni di anni

fa e formatesi in contesti sia oceanici

che continentali. Tutti i principali

processi geologici ben rappresentati:

sedimentazione, deformazione,

magmatismo, metamorfismo,

idrotermalismo e metasomatismo.

Bernardino Lotti si sbagliava, l’Isola

d’Elba è molto più di un museo. È un

paradiso geo-mineralogico!

Un’isola così ricca di minerali che

appena arrivarono gli scienziati venne

subito scoperta una nuova specie (1808):

l’ilvaite di Torre di Rio.

Un minerale molto bello in cristalli

prismatici, neri lucenti, fino a 10 cm

di lunghezza e raggruppati in eleganti

druse insieme a hedenbergite e quarzo.

Prima ancora dell’ilvaite, alla fine del

1700, Dolomieu aveva raccolto nelle

pegmatiti di San Piero dei cristalli

policromi di tormalina. Nel 1914

questi cristalli vennero riconosciuti da

Vernadsky come una nuova tormalina

di litio a cui dette il nome di elbaite.

Sempre nelle pegmatiti di San Piero,

nel 1846, viene scoperta la pollucite,

un nuovo minerale di cesio in grossi

cristalli incolori associati all’elbaite. Si

tratta di tre minerali relativamente rari

nella crosta terrestre ma che all’Elba

costituiscono esemplari mineralogici

bellissimi e ambiti dai musei di tutto

il mondo. Una partenza decisamente

esaltante, che poi è stata seguita

da numerose nuove scoperte la cui

cadenza temporale evidenzia alti e bassi

delle attività di ricerca scientifica. Il

primo periodo d’oro della mineralogia

elbana si chiude all’inizio del 1900 con

la scoperta della dachiardite (1905)

seguita appunto dall’elbaite (1914). Nel

periodo compreso tra le due guerre

mondiali non vengono scoperte nuove

specie minerali e anche le ricerche

di tipo geologico rallentano. Negli

anni cinquanta del secolo scorso

riparte la ricerca scientifica sull’isola

e oltre ad alcuni fondamentali studi

sull’evoluzione tettono-magmatica

si assiste alla scoperta di due nuovi

16

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


minerali: la minguzzite (1955) e la bonattite (1957). Dopo un

nuovo periodo di stallo assistiamo ad un secondo periodo

d’oro della ricerca mineralogica che porta alla scoperta di

ben nove nuove specie minerali: uranopolycrase (1993),

rubicline (1998), riomarinaite (2005), ramanite-Cs e

ramanite-Rb (2008), tsilaisite (2011), fluor-tsilaisite (2012),

magnesiolucchesiite (2019), uvite (2020) e celleriite (2020).

Gli ultimi cinque minerali scoperti nella zona di San Piero

sono tutti membri del gruppo della tormalina, come l’elbaite.

A San Piero, oltre ai sei nuovi tipi di tormalina, si trovano

anche schorl, dravite, rossmanite e foitite, altre quattro specie

del gruppo della tormalina scoperte fuori dall’Elba . L’unica

località del pianeta dove sono state scoperte ben sei specie

nuove e dove coesistono dieci specie di questo affascinante

gruppo di minerali.

Ilvaite, il primo minerale nuovo scoperto all’Isola d’Elba (1808). Questo cristallo di 8 cm fa parte di

una grande drusa di 30x40 cm conservata nella collezione di mineralogia del Liceo Classico di Lucca

(Foto©Dini). Si tratta di un esemplare storico estratto nella prima metà del 1800 a Torre di Rio e

probabilmente acquisito durante la quinta Riunione degli Scienziati Italiani tenutasi a Lucca nel 1843.

Le Riunioni degli Scienziati Italiani furono delle manifestazioni scientifiche che però, già dal nome,

avevano una chiara connotazione politica. L’unità del paese era una condizione necessaria per far

crescere la ricerca scientifica italiana al passo con gli altri stati europei. Il segretario della Sezione

di Geologia e Mineralogia durante la Riunione del 1843 fu il professore di geologia Leopoldo Pilla

(Università di Pisa) che poi morì durante la Battaglia di Curtatone e Montanara (1848) mentre era al

comando del Battaglione Universitario. Foto©Dini

Dachiardite, aggregati di cristalli poligeminati a sezione ottagonale con depressione al centro. Il più

grande misura 4 mm; Collezione V. Marinai; Foto©Rinaldi. La dachiardite fu trovata nel 1905 da Giulio

Pullè durante lo scavo del filone pegmatitico “Speranza” nella Cava della Fonte del Prete (San Piero). I

campioni vennero studiati dal professor Giovanni D’Achiardi che dedicò il nuovo minerale ad Antonio

D’Achiardi, suo padre e fondatore della scuola di mineralogia all’Università di Pisa. La dachiardite fa

parte del gruppo delle zeoliti, dei minerali che si formano in condizioni idrotermali di bassa temperatura

successivamente alla cristallizzazione di alta temperatura dei filoni pegmatitici. Studi recenti

hanno stabilito che ci sono diversi tipi di dachiardite. Quella elbana contiene prevalentemente calcio

e il nome corretto è: dachiardite-Ca. Cercando nelle discariche dell’antica cava della Fonte del Prete

è ancora possibile trovare piccoli frammenti con cristalli di dachiardite.

Foto©Rinaldi

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

17


L’elba non è solo tormalina o minerali

nuovi e rari. Il minerale che ne

ha caratterizzato di più la storia,

l’economia e la cultura è un minerale

abbastanza comune, un banale ossido

di ferro, l’ematite. Un minerale nero

metallico, quando si trova in lamine

luccicanti più grandi di un centesimo

di millimetro ma che magicamente

diventa rosso vivo quando viene

polverizzato in un mortaio. Le antiche

romane lo utilizzavano nelle sue diverse

granulometrie, per truccarsi: fondotinta

rosso o ombretto glitter!

Ematite, drusa di cristalli romboedrici iridescenti (fino a 2 cm)

associati a piccoli cristalli prismatici di quarzo coperti da una

patina marrone, Cantiere Vigneria, Miniera di Rio Marina (Coll.

Tonietti, Foto©Rinaldi). Il normale colore dell’ematite è nero

con riflessi metallici (in basso a destra). L’iridescenza è causata

dall’interferenza della luce con una sottilissima patina di

idrossidi di ferro che riveste le facce dei cristalli. Foto©Rinaldi

Le grandi masse di ematite presenti

lungo la costa orientale dell’Isola d’Elba,

tra Cavo e Porto Azzurro, attirarono

l’attenzione degli esseri umani fin da

epoche remote. All’inizio le popolazioni

neolitiche notarono l’ematite per il suo

aspetto estetico ma poi, con l’arrivo

dei popoli dell’area egea, a partire da

circa 3000 anni fa, si diffuse il suo uso

come ottimo minerale per l’estrazione

metallurgica del ferro metallico.

L’attività mineraria nei giacimenti

minerari della costa orientale dell’Isola

d’Elba è stata documentata in modo

ininterrotto per oltre 2500 anni fino al

1981, anno della definitiva chiusura delle

miniere di ferro.

18

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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03. Rinaldoniani,

Argonauti,

Etruschi...

Toscani

L’Isola d’Elba è stata popolata, o quanto meno frequentata, dagli

esseri umani a partire dal Paleolitico medio (75000-35000 BP; "Before

Present") quando, a causa dell’ultimo Periodo Glaciale (Wurm), il

livello del mare era da 40 a 120 metri più basso di oggi. L’Elba era unita

alla Toscana configurandosi come la punta di un grande promontorio

proteso verso la Corsica. In questo periodo i frequentatori del

“promontorio” elbano erano poco interessati alla geodiversità e

molto di più alla ricca selvaggina. La famosa Grotta di Reale (Porto

Azzurro) ha restituito resti di cervi, caprioli, lepri, cinghiali oltre a

orsi, pantere, ippopotami e rinoceronti! Il periodo che separa questi

nostri progenitori dall’avvento degli Etruschi (2900 BP) è ricchissimo

di eventi e di cambiamenti culturali alla scala locale e globale che,

all’Isola d’Elba , attendono di essere studiati in dettaglio. Tre eventi in

particolare stabiliscono un legame molto stretto tra le popolazioni

umane e la geodiversità del territorio elbano: l’esplosione culturale

del Paleolitico Superiore, l’inizio dell’Età dei Metalli nell’Eneolitico e

l’incorporazione del territorio elbano nei miti greci durante l’Età del

Ferro.

TRUCCHI E GIOIELLI PALEOLITICI

L’esplosione culturale del Paleolitico

Superiore si caratterizza per gli

utensili sempre più perfezionati, per

l’introduzione di ornamenti in osso/

conchiglia/roccia e di strumenti

musicali, come pure per le prime,

straordinarie, forme d’arte cioè scultura

e pittura. Gli esseri umani sviluppano

capacità tecniche e soprattutto

acquisiscono progressivamente

una profonda conoscenza della

geodiversità che li circonda. Non ci

stupisce quindi scoprire che, durante

il Paleolitico Superiore (35000-20000

BP), i frequentatori del “promontorio”

elbano avessero notato la presenza di

un minerale nero, luccicante, pesante

e facilmente lavorabile: l’ematite

dei giacimenti dell’attuale costa

orientale. Ne raccolsero dei frammenti

esclusivamente per motivi ornamentali

poiché la metallurgia del ferro era

ancora lontana da venire.

Troviamo pezzi di ematite in alcuni

siti gravettiani e epigravettiani della

Toscana (25000-10000 BP). Quelli

del sito gravettiano del Bilancino

(Firenze), studiati dal gruppo

dell’archeologa Biancamaria Aranguren

(Soprintendenza per i Beni Archeologici

della Toscana), furono utilizzati per

la produzione di pigmenti. Nel sito

epigravettiano di Villa Padula (periferia

di Livorno) invece fu trovato un ciottolo

di ematite microcristallina di 4,5 cm a

20

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


cui era stata praticata una scanalatura.

Secondo Franco Sammartino,

conservatore onorario della sezione di

Preistoria del Museo di Storia Naturale

del Mediterraneo (Livorno), si tratta

di una specie di pendente da portare

sospeso ad un legaccio. In entrambi i

casi le analisi geochimiche condotte

sull’ematite dal professor Massimo

D’Orazio (Università di Pisa) hanno

stabilito con certezza la provenienza

elbana .

Il piccolo complesso megalitico di Sassi Ritti si trova alle pendici

sud-orientali del Monte Capanne, tra San Piero e Cavoli

Foto©Calcara

MINATORI E COLLEZIONISTI DI MINERALI NEOLITICI

Il pendente di ematite elbana trovato nel sito epigravettiano di

Villa Padula, Livorno (altezza 4,5 cm). La scanalatura era funzionale

alla sospensione, tuttavia va rilevata una certa somiglianza

con la tipica forma delle “Veneri Paleolitiche”o “Veneri steatopigie”

diffuse in tutta Europa durante il Paleolitico Superiore.

Foto©Sammartino

Il tempo passa, Homo Sapiens sviluppa l’agricoltura, i ghiacci si sciolgono, il

livello del mare sale e, passato il periodo glaciale, l’Elba torna ad essere un’isola. Il

promontorio proteso verso la Corsica non esiste più ma l’Isola d’Elba continua ad

essere un “ponte” per i popoli e le merci che transitano nel Mediterraneo centrooccidentale.

Durante la fase finale del Neolitico (Eneolitico o Età del Rame; 5500-

4000 BP), l’Isola d’Elba è caratterizzata da un’intensa frequentazione umana che

ha lasciato numerose testimonianze con alcuni caratteri riconducibili alla cultura

di Rinaldone (area tosco-laziale). Tale frequentazione potrebbe essere connessa

con la ricerca, con l’approvvigionamento e, verosimilmente, con la lavorazione

almeno parziale in loco dei minerali di rame. I Rinaldoniani, definiti anche come

i “giganti del mare”, approdarono sulle coste toscane all’inizio dell’Eneolitico,

probabilmente provenienti dall’area egeo-anatolica e portarono con sé qualcosa

di nuovo e rivoluzionario: l’arte della metallurgia, contribuendo ad uno sviluppo

decisivo dell’area tosco-laziale nella fase pre-etrusca. A quanto pare portarono

anche il megalitismo. Le strutture megalitiche costruite dai Rinaldoniani a cavallo

tra Toscana e Lazio hanno notevoli analogie temporali e geometriche con i ben noti

siti della Sardegna e della Corsica e anche con i più piccoli megaliti granitici di Sassi

Ritti sulle pendici sud-occidentali del Monte Capanne.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

21


Cerchiamo di capire dove i “Rinaldoniani” elbani possono

aver trovato il prezioso metallo. Due località elbane sono

particolarmente indiziate perché presentano concentrazioni

di rame nativo facilmente estraibile e lavorabile per semplice

martellatura a caldo: Capo Calamita (Capoliveri) e Santa

Lucia (Portoferraio). Nel primo caso si tratta di un grande

giacimento di ossidi di ferro (magnetite e ematite) con

quantità accessorie di solfuri di rame e ferro (calcopirite e

pirite). Tuttavia i processi di ossidazione superficiale mediati

dalle acque piovane hanno disciolto i solfuri concentrando

il rame in masse ad altissima concentrazione di metallo.

Masse di rame nativo di molti chilogrammi sono state estratte

anche durante gli ultimi anni di attività della miniera. Il rame

nativo è associato a masse cospicue di carbonati-solfaticloruri-silicati

di rame (malachite, azzurrite, brochantite,

clinoatacamite, crisocolla), di ossido di rame (cuprite)

e idrossidi di ferro (goethite). A Santa Lucia una piccola

mineralizzazione cuprifera è incassata in rocce ofiolitiche

ed è costituita prevalentemente da solfuri di rame e ferro

(calcopirite, bornite e pirite) con cuprite e rame nativo. Una

massa di rame nativo del peso di 16 kg fu scoperta intorno

alla metà del 1800 durante le attività di ricerca mineraria.

Nei dintorni delle ricerche minerarie di Santa Lucia, il

noto esperto di archeologia elbana Gino Brambilla ha

rinvenuto oggetti in bronzo e scorie metallurgiche riferibili

alla lavorazione del minerale di rame. Mentre le piccole

concentrazioni cuprifere suscitavano qualche interesse nelle

popolazioni eneolitiche dell’isola, le grandi masse di minerale

di ferro venivano largamente ignorate. Tuttavia i prospettori

minerari eneolitici notarono un altro minerale, il quarzo, i

cui bei cristalli luccicanti e “gemmosi” sono molto frequenti

in numerose località dell’isola. Nella sepoltura eneolitica di

Monte Moncione (tra Portoferraio e Lacona), assieme a punte

di freccia, ceramiche e pendenti in conchiglia, i ricercatori

guidati dall’archeologa Lorella Alderighi (Soprintendenza per i

Beni Archeologici della Toscana) hanno trovato alcuni cristalli

di quarzo di possibile provenienza elbana . I primi collezionisti

di minerali dell’umanità! All’epoca il quarzo doveva andare di

moda visto che ne sono stati trovati cristalli in molti altri siti

eneolitici della Toscana (Podere Uliveto, Livorno; Tecchia della

Gabellaccia, Carrara; Grotta della Scaletta, Vecchiano-PI).

Due cristalli di quarzo ialino trovati nel sito Eneolitico di Monte Moncione (il maggiore di 2,5 cm;

Foto©Pagliantini). Difficile dire i motivi per cui erano stati raccolti: a scopo decorativo o per essere usati

come bulini?

L'ETÀ DEL FERRO, IL MITO

E GLI ETRUSCHI

Passiamo al terzo punto della lista: il mito e l’Età del Ferro. Le

sperimentazioni metallurgiche su minerali misti di rame,

arsenico e stagno portarono alla scoperta del bronzo: una

lega di rame-arsenico o rame-stagno molto resistente e

dura. Terminò così l’Età del Rame ed iniziò l’Età del Bronzo

(4000-3000 BP) durante la quale le conoscenze metallurgiche

aumentarono rapidamente fino al punto di domare il

metallo più difficile ma allo stesso tempo più dirompente

22

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


della storia dell’umanità: il ferro. In

Anatolia la scoperta della metallurgia

del ferro avvenne circa 3400 anni fa,

ma nell’area tirrenica arrivò con circa

500 anni di ritardo. In questo periodo

di transizione tra Età del Bronzo e Età

del Ferro, mentre all’Elba si aveva un

periodo di minore frequentazione,

nell’area egeo-anatolica si sviluppavano

le civiltà Minoica e Ittita e nasceva la

mitologia greca. I miti greci si diffusero

inizialmente grazie alla tradizione

poetica orale minoica per poi confluire

nei poemi epici di Omero. Di quelle

storie rimangono solo le trasposizioni

pittoriche di dei, eroi ed episodi

mitici su vasi di ceramica e molti altri

manufatti, fino alle prime versioni

scritte che risalgono a circa 2600

anni fa. I navigatori egeo-anatolici

Minerali di rame della zona di ossidazione del giacimento ferrifero

di Capo Calamita. Aggregato dendritico di cristalli di rame nativo

associati a cuprite rosso scuro e malachite verde (6 cm, Col.

Lorenzoni; Foto©Dini)

che da millenni esploravano in modo

intermittente l’area tirrenica avevano

visitato l’Isola d’Elba innumerevoli volte

e ne conoscevano, per motivi legati alla

navigazione, il colore e la forma di ogni

scogliera e di ogni insenatura. Avevano

sicuramente notato lo strano minerale

nero, pesante e lucente che abbondava

lungo la costa orientale dell’isola.

Appena ebbero coscienza del valore

immenso di quel minerale di ferro

purissimo tentarono di garantirsene

l’utilizzo. Il modo migliore era di

colonizzare l’area e allo stesso tempo

di creare una narrazione mitologica

che legittimasse la loro presenza

commerciale/politica nella regione.

Bastano cinque righe di testo in cui si

fa sbarcare un gruppo di greci sulle

spiagge di un’isola e il gioco è fatto. E che

greci! Eroi, semidei, addirittura Ercole, e

poi Giasone, Castore, Polluce e una nave

magica, Argo, che sembra trovasse la

rotta da sola. Eroi mitologici e come tali

senza tempo: Apollonio Rhodio scrive

le Argonautiche 2300 anni fa, ma il

mito è già presente nei poemi omerici

di mezzo secolo prima e il nucleo della

leggenda sembra precedere la Guerra di

Troia (3200 BP). È cosi che il mito degli

Argonauti venne integrato con la rotta

tirrenica e con una non casuale sosta

nell’isola Aethalia, la fuligginosa, ovvero

l’odierna Isola d’Elba . Si, perché come

dice Alessandro Corretti, archeologo

della Scuola Normale Superiore di

Pisa, quello degli Argonauti è un mito

composito cresciuto nel tempo, una

specie d’integrale spazio-temporale

delle esplorazioni-migrazioni greche

attraverso l’Europa e il Mediterraneo.

Sembra che la modifica fosse già stata

introdotta 2800 anni fa. Gli Etruschi

conoscevano questo mito molto bene

visto che ne riproducevano delle scene

sulla loro ceramica. Va a finire che anche

gli Etruschi sono un po’ Argonauti!

Minerali di rame della zona di ossidazione del giacimento ferrifero

di Capo Calamita. Aggregato concrezionale a strati concentrici di

azzurrite e malachite intorno ad un nucleo di idrossidi di ferro

(30 cm, Col. Ricci; Foto©Rinaldi)

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

23


Con gli Etruschi è iniziato lo

sfruttamento industriale dei giacimenti

di ferro elbani che, pur con alcune

pause, è proseguito fino al 1981, anno

della definitiva chiusura. Come ci

racconta l’archeologa Laura Pagliantini

nell’articolo a pag. 140 di questo volume,

la presenza etrusca all’Isola d’Elba è

abbastanza ben documentata ma le

testimonianze dell’attività mineraria e

metallurgica sono scarse. L’unico sito in

cui sono attestate attività metallurgiche

è quello di San Bennato (tra Rio Marina

e Cavo) datato con metodi archeomagnetici

a circa 2500 anni fa. Il resto

è storia, ben narrata in molti libri e

articoli scientifici e divulgativi di cui

una selezione è riportata alla fine del

volume. Un’ultima cosa va ricordata.

L’isola, anche dopo gli Etruschi, ha

continuato ad essere attraversata da

flussi migratori, occupazioni militari

e scorribande piratesche a cui si sono

aggiunti in tempi moderni spedizioni

scientifiche, esplorazioni minerarie e

flussi turistici. Quello che è rimasto è

la straordinaria diversità umana degli

abitanti dell’Isola d’Elba e della Toscana

in generale. Forse non sarebbe stato

possibile se la geodiversità elbana non

fosse stata così attrattiva.

Colonne di granito semilavorate di epoca pisana in località

Grottarelle, Cavoli, versante sud-occidentale del Monte Capanne

(Foto©Calcara). Il granito del Monte Capanne, specialmente

quello con tessitura omogenea affiorante tra San Piero, Cavoli,

Seccheto e Fetovaia è stato utilizzato ininterrottamente per

almeno 5000 anni, dai megaliti Eneolitici, alle colonne romane e

pisane, ai rivestimenti del Giardino di Boboli in epoca rinascimentale,

fino al largo utilizzo in epoca moderna come arredo urbano.

Foto©GianMarioGentini

24

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Ferro e rame, metalli molto diversi ma che a volte creano effetti

cromatici simili nei minerali. Sopra stalattiti di melanterite (solfato

di ferro) in una cavità dei detriti ricchi di pirite el cantiere Conche,

Miniere di Rio Albano (13 cm; Foto©Rinaldi).

A destra: piccole tracce di rame sono responsabili del colore

azzurro di questa splendida concrezione di aragonite (carbonato

di calcio), cantiere Vallone, miniera di Capo Calamita.

Coll. Ricci, Foto©Rinaldi

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

25


04. Come è nata

la diversità

geo-mineralogica elbana

La Terra è un pianeta dinamico in continua evoluzione. La

distribuzione geografica dei continenti, degli oceani e delle

catene di montagne che vediamo oggi è solo una delle infinite

configurazioni che il pianeta ha avuto nel corso degli ultimi

4,5 miliardi di anni. Per comprendere i motivi dell’attuale

geodiversità elbana dobbiamo conoscere la configurazione

geodinamica dell’isola al momento in cui si formarono i

minerali e le rocce che andremo a descrivere. Questo richiede

di saper leggere il libro geo-mineralogico del territorio

dell’Isola d’Elba . È come provare a interpretare un testo antico

scritto in una lingua di cui non conosciamo ancora bene

l’alfabeto e la struttura sintattica, e di cui sono andati persi

interi capitoli o pezzi di frasi. Difficile ma entusiasmante; un

lavoro da investigatori.

La teoria della Tettonica delle Placche ci dice che la parte più

esterna, solida, del pianeta è suddivisa in settori litosferici

in continuo movimento relativo tra loro. Come un puzzle

tridimensionale sferico le cui tessere cambiano forma

e dimensione nel tempo perché alcune si allontanano

aumentando di area, mentre altre si scontrano riducendosi. Altre

tessere semplicemente scorrono, una rispetto all’altra. Dove le

tessere-placche si allontanano si crea nuova litosfera oceanica

(es. la dorsale medio-atlantica); dove si scontrano, una delle due

deve subdurre (n.d.a. sprofondare) nel mantello terrestre mentre

l’altra si deforma creando una catena orogenetica e un arco di

vulcani (es. le Ande). Infine, dove le placche scorrono vengono

accumulate e rilasciate enormi quantità di energia meccanica

sottoforma di terremoti (es. la faglia di Sant’Andreas in California).

Dopo che il canadese Tuzo Wilson finì di affinare, nel

1965, la Teoria della Tettonica delle Placche, la rivoluzione

scientifica che ne seguì investì anche i geologi che lavoravano

in Appennino e all’Isola d’Elba . Finalmente il libro geomineralogico

elbano poteva essere letto, compreso e

interpretato in modo più chiaro. Gli scienziati della Terra

capirono due cose fondamentali: 1) la catena appenninica

si era formata perché la placca Ionico-Adriatica subduceva

immergendosi verso ovest sotto l’Appennino; 2) la catena

appenninica non è sempre stata dove la vediamo oggi. Il

secondo punto è particolarmente intrigante! Dove stava

l’Appennino o meglio, il paleo-Appennino, 30 milioni di

anni fa? Alla latitudine dell’Elba , stava 300 km più a ovest!

Correva lungo l’attuale costa della Corsica, continuava a

sud costeggiando la Sardegna per poi girare verso ovest

collegandosi alla catena del Maghreb (Tunisia, Algeria,

Marocco). E l’Isola d’Elba ? Semplicemente non esisteva come

espressione geomorfologica e geografica, ma esistevano già

una buona parte delle rocce che oggi la compongono. Per

comprendere l’attuale assetto geologico dell’Isola d’Elba ,

capite bene che è fondamentale ricostruire cosa è successo

tra 30 milioni di anni e oggi, quando il paleo-Appennino è

“transitato” dalle parti dell’isola correndo verso la sua attuale

posizione.

Trecento chilometri in 30 milioni di anni; come la

giudichereste questa corsa? Veloce o lenta? Corrisponde a

un centimetro all’anno. Niente di speciale dal punto di vista

geologico. Tuttavia le indagini degli ultimi 50 anni ci dicono

che buona parte dello spostamento del paleo-Appennino

è avvenuto in pochi milioni di anni. La velocità potrebbe

aumentare fino a 3 o 4 centimetri all’anno. Nell’arco della

sua vita, una tartaruga gigante miocenica del paleo-Mar

Tirreno avrebbe dovuto nuotare 3 o 4 metri in più per

andare a deporre le uova sulle spiagge toscane che si

allontanavano progressivamente verso est! Si perché mentre

i rilievi appenninici si spostavano verso est, la regione ad

occidente della catena sprofondava, la crosta continentale

26

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


si assottigliava e il paleo-Appennino collassava. Così si è

formato il bacino marino del Tirreno Settentrionale. I geologi

lo definiscono un bacino di retroarco continentale. L’Elba è

un frammento della paleo-catena orogenica che l’Appennino

si è lasciato alle spalle nella sua corsa verso est. A sud, nel

Tirreno meridionale, la velocità e l’entità dello spostamento

verso est e sud-est dell’Appenino sono stati tali da strappare

la crosta continentale e creare nuova crosta oceanica. Povere

tartarughe, qui dovevano nuotare anche 10 metri in più!

Lasciamo le tartarughe e torniamo all’Isola d’Elba . Non è facile

per gli scienziati conoscere la costituzione geologica dei fondali

marini. C’è bisogno di navi oceanografiche capaci di dragare

le rocce del fondo, di perforarle con speciali sonde o di guidare

sommergibili e robot sottomarini. Sulle navi possiamo mettere

strumenti geofisici per leggere dalla superficie i caratteri magnetici,

sismici e gravimetrici delle rocce in profondità. Tutto questo

costa tantissimo e non è sempre possibile farlo con il dettaglio

auspicato dagli scienziati. Le isole dell’Arcipelago Toscano ci offrono

la possibilità di conoscere la geologia del Mar Tirreno-Ligure

in modo diretto e a costi relativamente più bassi. L’Isola d’Elba ,

grazie alla sua notevole estensione, è quella che offre le maggiori

opportunità di ricostruire in dettaglio la storia geologica del sistema

Tirreno-Appennino settentrionale. Sull’isola ci sono rocce di quasi

500 milioni di anni formatesi lungo il margine settentrionale

dell’antico Supercontinente Gondwana, rocce sedimentate

all’inizio dell’epoca dei dinosauri (Permiano-Trias), pezzi dell’oceano

Ligure-Piemontese di 150 milioni anni fa, rocce metamorfiche che

20 milioni di anni fa si erano trovate in condizioni di alta pressione

alla radice della catena paleo-Appenninica. Meriterebbero un

libro per parlare di Geodiversità in termini di processi geologici,

geomorfologici, paleoclimatici, etc. Anche in questo caso potrebbero

essere raccontate molte storie per aiutare il pubblico a scoprire la

storia geologica del pianeta. Noi abbiamo scelto di concentrarci sulla

storia geologica e minerogenetica più recente, quella che tra 8,5 e 5

milioni di anni fa ha regalato all’Elba la straordinaria diversità geomineralogica

dei suoi Fiori della Terra.

In questa sezione verticale (traccia blu nella mappa in alto) si vede la situazione

attuale (tratto pieno) e la posizione della Placca Adriatica nel passato (tratteggiato).

Schema semplificato della migrazione spazio-temporale della

Catena Appenninica negli ultimi 30 milioni di anni. Fino a 15-20

milioni di anni fa, il bacino tirrenico non esisteva. Il paleo-Appennino

è “transitato” nell’area attualmente occupata dall’Isola

d’Elba circa 20 milioni di anni fa.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

27


Qui vi presentiamo una carta geologica

schematica e dei cartoon interpretativi

che possono aiutare a visualizzare, in

modo estremamente semplificato, gli

eventi tettono-magmatico-idrotermali

a cui ci riferiremo nelle storie che

stiamo per raccontarvi. Abbiamo

anche cercato di collegare le storie

all’evoluzione geologica dell’isola. Come

sempre in Scienza, questa è la nostra

ricostruzione, quella che secondo

noi soddisfa il più ampio numero di

osservazioni e dati scientifici (alla scala

dell’isola e dell’intero sistema Tirreno-

Appennino Settentrionale), e quella che

permette di sviluppare una narrazione

efficace e non troppo ardua da digerire.

Ben vengano altre visioni e narrazioni

che aiutino il grande pubblico a

guardarsi sotto i piedi.

Nel Miocene inferiore, circa 20

milioni di anni fa (in questo paragrafo

abbreviato con la sigla “Ma”), il paleo-

Appennino passava dalle parti dell’Isola

d’Elba . La catena orogenica aveva

raggiunto il suo massimo spessore

grazie all’impilamento delle numerose

unità tettoniche che si osservano

nell’isola. Unità tettoniche strappate

alla crosta oceanica Ligure-Piemontese

ma anche alla crosta continentale

del margine “toscano” dell’oceano.

Mentre la catena si propagava verso

est, il regime tettonico alle spalle del

paleo-Appennino (a ovest) cambiò

da compressivo a prevalentemente

estensionale e iniziò la formazione

del bacino di retroarco tirrenico. La

paleo-catena iniziò ad assottigliarsi

passando da 30-40 km a 20-25 km di

spessore, mentre in profondità il caldo

mantello astenosferico iniziò a risalire.

Nelle zone di bacino di retroarco, di

solito il mantello cerca di raggiungere

basse profondità per fondere e

produrre magmi basaltici che possono

originare nuova crosta oceanica

(come nel Tirreno Meridionale). In

Toscana questo non è avvenuto, la

crosta continentale, pur assottigliata,

ha resistito e ha accumulato il calore

ceduto dal mantello sottostante. Dopo

alcuni milioni di anni di riscaldamento

forzato, i metasedimenti della parte

profonda della crosta toscana iniziarono

a fondere parzialmente producendo i

primi magmi granitici. Mano a mano

che si accumulava calore, frazioni

crescenti della crosta fondevano aiutate

anche dall’arrivo di piccoli volumi di

magma mafico prodotto dalla fusione

del mantello sottostante. La presenza

dei fusi silicatici granitici alla base

della crosta, non permise ai magmi del

mantello di risalire verso la superficie. Li

intrappolarono in profondità facendone

sfuggire piccoli volumi solo alla fine

della storia magmatica.

Carta geologica schematica dell’Isola d’Elba con indicate le località

trattate nelle storie geo-mineralogiche dei prossimi capitoli.

28

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


ELBA — I FIORI DELLA TERRA

29


Le intrusioni del Miocene superiore

che osserviamo all’Isola d’Elba sono

state alimentate da iniezioni multiple

di magmi granitici e solo da volumi

minori di magmi di mantello. I magmi

risalirono dalla base della crosta fino

a livelli crostali molto superficiali

(1-6 km) formando un complesso di

intrusioni granitiche subvulcaniche,

due complessi plutonici granitici, e due

sciami di dicchi mafici post-plutonici.

Il primo evento intrusivo (8,5-7,44

Ma) produsse in modo sequenziale il

complesso subvulcanico dei porfidi

granitici: l’Aplite di Capo Bianco (8,5

Ma), il Porfido di Portoferraio (8 Ma) e

il Porfido di San Martino (7,44 Ma). A

questa fase subvulcanica ci riferiamo

con le storie che riguardano le rocce

degli Argonauti a Capo Bianco, i quarzi

beta “bipiramidali” di Campo all’Aia e le

cavità miarolitiche di San Martino. Nel

frattempo la crosta inferiore continuava

a fondere e nuovi pulsi di magma

granitico, sempre più voluminosi, si

accumularono alla base del complesso

subvulcanico. Si formò così il grande

plutone monzogranitico del Monte

Capanne (7,4-6,9 Ma), la sua aureola

metamorfica di contatto e i dicchi

leucogranitici e pegmatitici. Questa

fase plutonico-metamorfica è narrata

nelle storie sulle rodingiti di Punta

Polveraia, sui granati dell’Affaccata,

sull’elbaite delle pegmatiti, sulle nuove

tormaline di San Piero e forse anche

nella storia sui granati di Campo ai

Peri. Questo primo e prolungato evento

magmatico-metamorfico si chiude con

uno sciame di dicchi mafici, originatisi

nel mantello, che taglia tutte le rocce

precedentemente descritte (Porfido di

Orano; 6,85 Ma). L’accumulo di grosse

intrusioni granitiche nella crosta

superficiale accelerò il movimento

di faglie estensionali a basso angolo

che traslarono e abbassarono verso

est la parte superiore del complesso

30

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


magmatico (complesso subvulcanico).

Per questo motivo i porfidi granitici

incassati nelle Unità tettoniche

oceaniche, originariamente posti

sulla verticale del Monte Capanne,

oggi affiorano nell’Elba centrale,

mentre il plutone del Monte Capanne

è stato progressivamente esumato

alla superficie nell’Elba occidentale. In

questa fase esumativa, la deformazione

tettonica mise in comunicazione le

acque meteoriche superficiali con il

sistema magmatico ormai cristallizzato

ma ancora caldo. È in questo momento

che si formarono i minerali descritti

nelle storie sui quarzi “gommoidi” di

Palombaia, sulla magnesite di San Piero,

sui quarzi della zona Biodola-Procchio,

sul quarzo ametistino di Casa Ischia.

Schema dell’evoluzione tettono-magmatica

dell’Isola d’Elba durante gli ultimi 8,5 milioni di anni.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

31


Circa mezzo milione di anni più tardi,

il magmatismo migrò verso est e, tra

6,4 e 5,9 Ma, produsse il complesso

plutonico presente nell’Elba orientale:

un plutone di monzogranito e uno

sciame di dicchi-sills di leucogranito a

tormalina. Questi prodotti felsici furono

successivamente tagliati da uno sciame

di dicchi mafici originatisi nel mantello

(Porfido di Monte Castello; ca. 5,9 Ma).

Anche in questo caso, l’accumulo

di intrusioni magmatiche nella

crosta superficiale accelerò la rapida

esumazione tettonica del complesso

magmatico lungo faglie estensionali

a basso e alto angolo e anche faglie

trascorrenti. Nell’Elba orientale non

si formarono le fantastiche pegmatiti

della zona di San Piero. Anche l’aureola

metamorfica di contatto, sviluppata

in rocce scistose omogenee, non

riuscì a generare bei minerali. Tuttavia

la circolazione idrotermale di alta

temperatura avvenuta durante la fase

tardo-magmatica e esumativa (circa

5,9-5,4 Ma) generò rocce metasomatiche

(skarn a hedenbergite, ilvaite, granato,

epidoto) e giacimenti idrotermali di

ferro. Questa fase è narrata nelle storie

sulla geochimica dell’ematite elbana,

sui cristalli di ematite di Stenone,

sulla pirite di Rio Marina, sull’ilvaite

di Torre di Rio, e sul quarzo prasio del

Porticciolo. Elba Centro-Occidentale e

Elba Orientale. Due storie magmatiche

simili, ma processi minerogenetici

parzialmente distinti che hanno

incrementato la diversità geomineralogica

dell’isola.

A questo punto la storia magmaticoidrotermale

si interrompe, l’Isola d’Elba

è rimasta troppo indietro rispetto alla

corsa verso est del sistema orogenico

Appenninico. Nel Pliocene i processi

magmatico-idrotermali furono attivi

in Toscana centro-meridionale:

graniti, rioliti, giacimenti di pirite,

skarn e molto altro. All’Elba il periodo

“caldo” della formazione dei minerali

era finito ma iniziava un periodo

“freddo” altrettanto interessante. La

prossimità alla superficie dei giacimenti

esumati dai processi tettonici e erosivi,

innescò progressivamente sempre più

interazioni con le acque meteoriche.

I solfuri di ferro, rame, cobalto sono

molto reattivi in condizioni ossidanti e

All’interno delle rocce granitiche elbane si osservano spesso frammenti di rocce metamorfiche. Si tratta di pezzi di roccia strappati

dal magma durante la risalita attraverso la crosta terrestre. Il frammento di “scisto” grigio della foto contiene una notevole quantità di

sillimanite fibrosa e grossi cristalli di granato rosso, minerali che si formano durante i processi di fusione della crosta continentale.

Potrebbe essere un pezzo della roccia “sorgente” che generò il magma granitico. Se l’ipotesi fosse giusta, avremmo di fronte un

campione della crosta inferiore toscana rimasto intrappolato nel porfido granitico dopo aver viaggiato per una ventina di chilometri nel

condotto magmatico (affioramento di Porfido di San Martino presso Lamaia, Elba Centrale; Foto©Dini).

32

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


lentamente iniziarono a formarsi i "Fiori

della Terra" più giovani che abbiamo

all’Isola d’Elba . Minerali coloratissimi e

scientificamente rilevanti che vengono

descritti nelle storie su le meraviglie di

Grotta Rame e sui “fiori di cobalto” del

Cantiere Francesche. Anche la storia

sui cristalli di calcite di Raffello Foresi

riguarda questa fase recente, forse

carsica, della minerogenesi elbana .

Se avete letto fino a qui, possiamo

essere molto contenti perché vuol dire

che non vi abbiamo annoiato troppo

e siamo riusciti a farvi tenere gli occhi

puntati verso la Terra che sta sotto ai

vostri piedi. Complimenti, ora la strada

è in discesa: belle immagini, qualche

storia insolita, informazioni per qualche

bella escursione. Insomma è finita la

scuola; buone vacanze nella diversità

geo-mineralogica della Terra degli

Etruschi.

Questo filone di roccia scura, attraversa il granito del Monte Capanne

tagliando anche un piccolo filone biancastro di pegmatite

(Chiessi, Foto©Dini). È un bell’esempio di Porfido di Orano, la

roccia magmatica che chiude, 6,85 milioni di anni fa, il ciclo magmatico

dell’Elba Centro-Occidentale. È l’unica roccia magmatica

del complesso del Monte Capanne che si è formata da un magma

originatosi nel mantello. Il Porfido di Orano contiene cristalli di olivina,

pirosseno cromifero, spinello cromifero, anfibolo e flogopite,

tutti minerali tipici dei magmi di mantello. Qui, come pure a Porto

Azzurro, a Montecristo e al Giglio, il magma mafico riuscì a sfuggire

dalla base della crosta solo alla fine del ciclo magmatico

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

33


Elba

Occidentale

34

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Tafoni nel granito a Pietra Murata (Seccheto).

All’orizzonte, oltre a Pianosa, le altre

due isole granitiche: Giglio e Montecristo.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

35


5.1 Elba

Occidentale

IL REGNO DI PLOUTŌN

COSMOGONIA SOTTERRANEA

Sopra, la luce, la possibilità di vedere,

di capire per esperienza diretta. Sotto,

le tenebre, il mondo sotterraneo fatto

di roccia e minerali dove è impossibile

penetrare e capire, se non scavando

oscuri cunicoli minerari. Da questa

oggettiva difficoltà di comprendere

ciò che ci sta sotto i piedi nasce

la complessità dei miti antichi

riguardanti il mondo sotterraneo.

Le stesse divinità che popolano questo

mondo inaccessibile, nella mitologia

greca, sono confuse, hanno molteplici

nomi e ruoli, spesso contrastanti.

Tra tutte le divinità, una in particolare

ci aiuta a parlare della geologia e della

mineralogia dell’Isola d’Elba . Si tratta

di Ploutōn, conosciuto anche come

Hades, fratello di Zeus e Poseidone.

Mentre i fratelli hanno il controllo

rispettivamente del cielo e del mare,

lui è il custode del mondo sotterraneo

incluse le ricchezze minerarie. Una

divinità delle rocce e dei minerali,

positiva, che però fa paura quando

viene appellata con l’altro nome, Hades,

il custode del mondo dei morti. A noi

piace il primo nome, Ploutōn, perchè

sta all’origine del termine geologico

plutone, utilizzato nelle Scienze della

Terra per indicare le intrusioni di

rocce magmatiche come quella che

costituisce il Monte Capanne.

LA MONTAGNA DI GRANITO

Il plutone monzogranitico del

Monte Capanne caratterizza tutta la

parte occidentale dell’Isola d’Elba .

Quando si è formato, circa 7 milioni

di anni fa, si trovava a 6 chilometri di

profondità. Il magma granitico che

si era formato dalla fusione parziale

della crosta terrestre, risalendo verso

la superficie, trovò una trappola che

ne bloccò il cammino. Non riuscendo

ad eruttare alla superficie, il magma

si espanse lateralmente tra gli strati

delle rocce creando uno strato

circolare orizzontale di magma più

o meno corrispondente all’attuale

perimetro dell’Elba occidentale (10 km

di diametro). La pressione del magma

che continuava a risalire dalla base della

crosta, iniziò a gonfiare l’intrusione

tabulare sollevando e deformando il

pacco di rocce che la sovrastavano. La

sottile intrusione tabulare (chiamata

sill dai geologi) si trasformò cosi in un

laccolite (intrusione tabulare un pò

più spessa al centro) per poi gonfiarsi

al punto da diventare un plutone:

una specie di “torta di Nonna Papera”

molto gonfia al centro e sottile ai bordi.

L’attuale morfologia del Monte Capanne

corrisponde approssimativamente

all’originaria superficie superiore

dell’intrusione: l’erosione e la tettonica

hanno rimosso le rocce che avevano

bloccato il magma lasciando esposto

il granito. La vetta del Monte Capanne

attualmente supera di poco i 1000 metri

ma il plutone continua in profondità

per altri due chilometri sotto il livello

del mare. I geologi hanno stimato che

il volume dell’intrusione è di circa 120

km 3 . Immaginatevi di inserire una

“torta” di magma di 120 km 3 a 900°C,

dentro alle rocce relativamente fredde

(150-300°C) della crosta continentale

superficiale. il magma deve cedere

calore alle rocce incassanti e, mentre

lui cristallizza diventando granito, le

trasforma in rocce metamorfiche. I

plutoni di tutto il mondo sono avvolti

da quella che in Scienze della Terra

viene definita l’aureola metamorfica di

contatto.

L’ABBRACCIO FATALE

L’aureola di contatto ha un rapporto

di odio-amore con il magma: ne

interrompe la corsa verso la superficie

ma, allo stesso tempo, ne rallenta la morte

(cristallizzazione del magma in granito)

36

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


grazie alla bassa conducibilità termica

che la caratterizza. Per un’intrusione delle

dimensioni del Monte Capanne questo

significa allungare la vita del plutone di

almeno centomila anni! Durante tutto

questo tempo, le rocce che abbracciano

il plutone ricristallizzano a temperature

di 500-700°C e si trasformano in rocce

metamorfiche. Ci sono molti plutoni

sul pianeta avvolti da aureole semplici

costituite da un solo tipo di roccia. Nel

caso del Monte Capanne no! La storia

geologica che ha preceduto la formazione

del plutone ha creato una grande

eterogeneità litologica che poi è stata

immortalata nell’aureola metamorfica.

Calcari, diaspri, argilliti, basalti, gabbri,

serpentiniti. Le reazioni metamorfiche

hanno trasformato queste rocce in

marmi, quarziti, scisti, anfiboliti, etc.

Un vero paradiso per gli scienziati e

gli studenti dei corsi di geologia. E non

finisce qui. Mentre le rocce dell’aureola

si trasformavano, il plutone in avanzata

fase di cristallizzazione rilasciava acqua

caldissima (supercritica) ricca di silice. Le

reazioni tra questi fluidi supercritici e le

rocce dell’aureola hanno formato minerali

di calcio, silicio e ferro (calcosilicati) dai

colori sgargianti: granato rosa, rosso

e arancione, epidoto verde, vesuviana

bruna e verde. Tutte queste rocce,

bellissime, avvolgevano il plutone in un

abbraccio fatale. Oggi sono state erose

in buona parte, ma percorrendo l’anello

stradale intorno al Monte Capanne

possiamo ancora ammirarle.

GLI SCRIGNI DI PLOUTŌN

Gli esseri umani sono stati attratti fin dal

Neolitico da quelli che oggi definiamo

metalli preziosi e gemme. Oro, argento

e poi smeraldi, acquamarine, rubini,

tormaline dai mille colori, topazi, quarzi

ialini e ametista. L’unico fatto oggettivo

è che si tratta di minerali rari da trovare

in natura, almeno in esemplari puri e

di dimensioni significative. Tuttavia

il motivo della loro preziosità (e del

loro costo) è legato esclusivamente

ad un fattore emozionale, soggettivo:

piacciono a Homo Sapiens. Questi

minerali si trovano all’interno di una

varietà di giacimenti e di tipi di rocce.

Per le gemme, uno dei posti ideali dove

andare a cercare è proprio al bordo

di alcuni plutoni granitici. Al termine

della storia magmatica e metamorfica

che abbiamo appena descritto avviene

spesso qualcosa di speciale. Del magma

particolarmente ricco di silice, potassio,

sodio, boro, berillio, litio, cesio e altri

metalli rari migra dal plutone, o dalle

zone alla radice del plutone, e va a

formare dei piccoli filoni proprio in

prossimità del contatto tra plutone

e aureola. Per motivi ancora non

compresi dalla scienza queste piccole

tasche di magma (decine-centinaia

di metri cubi), invece di cristallizzare

in un’aggregato di quarzo, ortoclasio,

plagioclasio e biotite a grana mediofine

(come il normale granito del Monte

Capanne), formano una roccia costituita

da cristalli degli stessi minerali ma di

dimensioni molto più grandi, talvolta

gigantesche (fino a molti metri).

Questa roccia si chiama pegmatite

granitica. Sul versante orientale del

plutone del Monte Capanne (tra Colle

di Palombaia e Procchio), al contatto

tra granito e aureola, si trovano molti

filoni pegmatitici. Nelle cavità di queste

pegmatiti sono stati trovati bellissimi

cristalli di tormalina policroma, di

berillo acquamarina e altri minerali che

hanno reso famosa l’Isola d’Elba . Oggi li

possiamo ammirare nei musei di tutto il

mondo e anche al MUM di San Piero.

LA MONTAGNA GEMELLA

Torniamo al mito. Sembra che ben

prima che gli Etruschi si stabilissero

nella nostra regione, gli Argonauti

passassero dall’Isola d’Elba.

Nel loro girovagare per il

Mediterraneo, Giasone e gli altri

eroi si fermarono anche nell’isola di

Samotracia (Mar Egeo) per rendere

omaggio agli dei. La montagna più alta

dell’isola è costituita da un plutone

granitico simile a quello del Monte

Capanne e, forse non a caso, Ploutōn

era una delle divinità più venerate a

Samotracia. Chissà se gli Etruschi non

si fermarono in Toscana anche per

questo, per nostalgia della montagna

gemella!

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

37


5.2 Elbaite & Co.

I MINERALI DELLE PEGMATITI DI SAN PIERO

ELBAITE, LA REGINA DEI MINERALI

San Pietroburgo, giugno 1913, il famoso

mineralogista-geochimico russo

Vladimir Ivanovich Vernadsky invia, alla

prestigiosa rivista scientifica tedesca

Zeitschrift für Kristallographie, un

manoscritto sulla cristallochimica del

gruppo della tormalina. Nasce l’elbaite.

Vernadsky, studiando dei cristalli di

tormalina rosa trovati nelle pegmatiti

di San Piero all’Isola d’Elba identifica gli

elementi chimici che la costituiscono:

litio, boro, sodio, alluminio, silicio,

ossigeno e idrogeno. Grazie alle sue

conoscenze di chimica e fisica (era

allievo di Mendeleev, l’ideatore della

Tavola Periodica degli elementi), e ad

una notevole capacità di astrazione,

riesce ad immaginare come questi

elementi sono distribuiti nella struttura

cristallina di questo minerale, ben prima

che la diffrazione a Raggi X diventi una

routine. Vernadsky non ebbe dubbi,

la tormalina di litio e sodio si doveva

chiamare elbaite perchè era dall’Isola

d’Elba che, a quel tempo, provenivano

gli esemplari più belli con cristalli

policromi verdi, gialli e rosa. Grazie ai

moderni metodi di indagine, oggi conosciamo in dettaglio la cristallochimica di

questo complesso gruppo di minerali, ma, come vedremo, le tormaline dell’Isola

d’Elba continuano a sorprendere collezionisti e scienziati. Quando il magma

pegmatitico inizia a cristallizzare, la prima tormalina che si forma è nera, ricca di

ferro, e cresce in competizione con i cristalli di quarzo, ortoclasio e plagioclasio.

Il nome di questa tormalina ferrifera, povera di litio, è schorl. Si forma così la parte

compatta del filone pegmatitico. Molti dei filoni pegmatitici che incontriamo nel

plutone granitico del Monte Capanne sono interamente massivi, macchiettati di

schorl nero, e purtroppo privi di cristalli di elbaite. Nella zona di San Piero-Sant’Ilario

però è andata in modo diverso. Il magma pegmatitico, cristallizzando, non riuscì a

chiudere tutto lo spazio disponibile e nella parte assiale dei filoni restarono degli

spazi vuoti: i geodi. In queste cavità i cristalli dei vari minerali crebbero indisturbati

acquisendo le forme eleganti che vediamo negli esemplati esposti nei musei. È in

questo momento che avviene qualcosa di straordinario: i cristalli di tormalina nera

della porzione massiva della pegmatite appena si affacciano nel geode cambiano

colore. Il colore passa, senza soluzione di continuità, da nero, a marrone-verde, a

verde, a giallo, e infine a rosa. In alcuni casi la terminazione dei cristalli è acroica.

Il passaggio dalla zona massiva al geode avvenne quando il ferro del fluido

magmatico si stava esaurendo e la tormalina, per crescere, dovette arrangiarsi

con quello che era rimasto nel fluido residuale: litio, sodio, boro, alluminio, silicio,

ossigeno e idrogeno. È così che si formano, a temperature decrescenti comprese tra

600 e 300°C, i cristalli policromi della regina dei minerali: l’elbaite. Si tratta di uno

dei minerali più ricercati per fini collezionistici come pure in campo gemmologico.

Chi fu a trovare il primo cristallo di elbaite a San Piero? Non lo possiamo sapere,

probabilmente un contadino della zona, magari un etrusco. Il primo scienziato

che ne parla è Deodat de Dolomieu nel 1785 e poi, a partire dall’occupazione

francese dell’isola all’inizio del XIX secolo, fu un susseguirsi di naturalisti, geologi e

mineralogisti che vennero in pellegrinaggio a San Piero per vedere e accaparrarsi

i cristalli policromi di quella che poi diventerà l’elbaite. Gli abitanti di San Piero

38

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


diventarono esperti nello scoprire

e scavare i filoni pegmatitici; il più

famoso fu Luigi Celleri, in attività nella

seconda metà del 1800. Ancora oggi,

andando a cercare nei detriti delle

antiche cave di pegmatite intorno

a San Piero è possibile trovare dei

cristalli di elbaite policroma. Alcuni

fortunati collezionisti, strisciando nella

fitta macchia mediterranea, hanno

ritrovato esemplari di elbaite perduti

o dimenticati dai cavatori, forse dal

Celleri! Ai meno fortunati non resta che

visitare il Museo MUM di San Piero o i

musei universitari di Firenze e Pisa.

Elbaite, cristallo policromo di 3 cm associato a quarzo, ortoclasio, albite e lepidolite. Grotta d’Oggi,

San Piero (Collezione Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa; Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

39


GROTTA D’OGGI:

LO SCRIGNO DELL’ISOLA

Da San Piero, guardando verso nord in direzione di

Sant’Ilario, si nota sul fondo del Fosso Bovalico una spalla

di granito incisa da una piccola cava. Si tratta della cava di

pegmatite di Grotta d’Oggi, la prima ad essere stata scavata

e una delle ultime ad essere abbandonata. Il granito è

attraversato da grandi filoni di pegmatite da cui sono stati

estratti eccezionali esemplari di elbaite policroma, berillo

blu (var. acquamarina) rosa (var. morganite) e incolore

(var. goshenite), granato spessartite rosso e arancione.

Sembra che alcuni cristalli siano stati sfaccettati e donati al

Granduca di Toscana. Nei cinque filoni pegmatitici di Grotta

d’Oggi furono scoperte cavità insolitamente grandi e ricche

di cristalli. Nella seconda metà del 1800, Luigi Celleri scavava

a Grotta d’Oggi per conto del collezionista fiorentino Giorgio

Roster, quando scoprì una cavità talmente grande che per

vedere i cristalli al suo interno ci fu bisogno di una candela!

In quel periodo furono costituite le famose collezioni Roster

e Foresi che poi confluirono nella collezione dell’istituto

di Studi Superiori di Firenze. Oggi possiamo ammirarle,

compresi gli esemplari del geode della candela, nel Museo

“La Specola” dell’Università di Firenze.

In alto:

Granato spessartite - cristallo rombododecaedrico di 1,5 cm su

cristalli di albite, San Piero (Coll. Pezzotta, Foto©Miglioli).

In basso:

Berillo varietà acquamarina - cristallo prismatico esagonale di 1,5

cm su cristalli di ortoclasio, San Piero (Coll. e Foto©Dini)

40

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


L'antica cava di Grotta d'Oggi nel Fosso Bovalico.

In secondo piano il paese di Sant'Ilario. Foto©Dini

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

41


Sezione della parte assiale di un filone

pegmatitico della zona di Grotta d’Oggi

(Foto©Dini). La parte riempita di argilla marrone è

un geode. Le pareti della cavità sono tappezzate

da grossi cristalli di ortoclasio color bianco-rosa,

albite azzurrina, quarzo grigio-fumé e lepidolite

grigio-violacea. In questa foto si osserva molto

bene l’evoluzione chimica della tormalina che

da nera (schorl) nella parte massiva diventa

progressivamente più ricca in litio e povera in

ferro (parte verde; elbaite ricca di manganese) per

poi diventare elbaite pura (parte rosa) nella cavità.

Purtroppo questo geode era stato invaso dal

detrito superficiale e dalle radici e alcuni cristalli di

elbaite sono stati danneggiati. Da alcuni anni sono

state sviluppate delle tecniche di restauro che, nel

caso siano stati recuperati tutti i pezzi flottanti,

permettono di riassemblare i cristalli danneggiati

sulla loro matrice. Nel passato, centinaia di

esemplari fratturati sono andati irrimediabilmente

persi, come testimoniato dalle migliaia di

frammenti di cristalli di elbaite conservati nei

musei di mineralogia di Firenze e Pisa.

Luigi Celleri nel 1899 a Grotta d’Oggi.

Riproduzione di una foto di Giovanni D’Achiardi.

42

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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Le pegmatiti di San Piero si

caratterizzano per l’alto contenuto

in litio, cesio e altri metalli rari come

tantalio, niobio, stagno, tungsteno. Il

litio è contenuto nella lepidolite, nella

petalite e nell’elbaite; il cesio nella

pollucite. La pollucite è stata scoperta

per la prima volta al mondo nel 1846 in

queste pegmatiti. Era spesso associata

ad un altro minerale, anch’esso ritenuto

una nuova specie, e perciò denominato

“castorite” (per ricordare Castore e

Polluce, i gemelli del gruppo degli

Argonauti). Purtroppo, il minerale era

già stato descritto in precedenza in

un’altra località svedese. Il nome petalite

mantenne la priorità e il “polluce”

elbano rimase senza fratello gemello.

Pollucite - frammento di 3 cm, parzialmente corroso, residuo

di un grosso cristallo icositetraedico, San Piero (Coll. Museo di

Storia Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).

Petalite - cristallo prismatico tabulare corroso (4 cm), San

Piero (Coll. e Foto©Miglioli).

Lepidolite - aggregato a rosa di cristalli lamellari (4 cm) con ortoclasio,

albite e quarzo, San Piero (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).

Elbaite - cristallo di 1 cm con ortoclasio, albite e quarzo,

Grotta d'Oggi (Coll. e Foto©Miglioli).

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Elbaite - cristallo policromo (1,5 cm) su albite e quarzo, San

Piero (Coll. e Foto©Lorenzoni).

Berillo rosa (varietà morganite) - cristallo prismatico esagonale

di 1,5 cm su albite, associato ad un cristallo biterminato

di elbaite, San Piero (Coll. Pezzotta, Foto©Miglioli).

Elbaite - cristallo prismatico di 1,5 cm associato a quarzo, ortoclasio e albite, San Piero

(Coll. e Foto©Lorenzoni).

Berillo incolore (varietà goshenite) - cristallo di (1,5 cm) con

elbaite verde e quarzo, San Piero (Coll. e Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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In alto a sinistra: Zircone - cristalli prismatici

geminati (2 mm), San Piero

(Coll. e Foto©Orlandi).

In alto a destra: Microlite - cristalli ottaedrici

modificati da facce di rombododecaedro (1

mm), San Piero (Coll. e Foto©Orlandi)

Al centro: Cristalli prismatici-tabulari,

geminati (1 mm) di un minerale del gruppo

policrasio-euxenite, San Piero (Coll. e

Foto©Orlandi).

Cassiterite - cristalli di 5 mm con abito complesso.

(Coll. Lorenzoni, Foto©Dini)

Guardando al microscopio gli esemplari

pegmatitici di San Piero scopriamo un

mondo nascosto fatto di microscopici

cristalli di zircone, microlite, cassiterite,

euxenite, uranopolicrasio, manganocolumbite,

ixiolite, woodginite, etc.

Tutti minerali che contengono metalli

rari come zirconio, tantalio, stagno,

niobio, uranio, cerio, torio, ittrio,

tungsteno e afnio.

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Diversità mineralogica in un cristallo.

Tormalina policroma di 3 cm con

lepidolite, ortoclasio e quarzo

(Valle dei Forcioni, Coll. e Foto©Dini).

Lungo lo stesso cristallo troviamo quattro

specie mineralogiche distinte. Alla

base tormalina nera ferrifera (schorl) che

passa rapidamente a elbaite verde.

Il contenuto di manganese aumente e

la parte centrale del cristallo è classificabile

come tsilaisite. Il manganese poi

cala e la parte verde chiaro-rosa è di

nuovo elbaite. La fascia incolore sotto la

terminazione contiene pochissimo sodio

ed è classificabile come rossmanite.

Da notare la bella alternanza di bande

azzurre che precedono la formazione del

"cappello" blu scuro, ferrifero (schorl).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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La lista dei minerali trovati nelle pegmatiti elbane è

lunghissima. In questo capitolo vi abbiamo fatto vedere e

raccontato una minima parte delle meraviglie del sistema

pegmatitico di San Piero. Le “letture consigliate” alla fine del

volume vi permetteranno di approfondire l’argomento.

POLO ANALOGO (+)

POLO ANTILOGO (-)

La tormalina è un minerale polare privo di centro di simmetria

ed è quindi caratterizzato da momento di dipolo elettrico.

Ben prima di conoscere la struttura atomica del minerale, i

mineralogisti del 1800 lo avevano capito grazie all’osservazione

delle proprietà piroelettriche e piezoelettriche del minerale,

come pure dalla diversa morfologia delle terminazioni dei

cristalli. Il polo antilogo (negativo) dei cristalli ha in genere una

terminazione più acuta rispetto alla terminazione più piatta del

polo analogo (positivo). I disegni mostrano alcune tormaline

elbane studiate da Gerhard Vom Rath nel 1870.

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Elbaite - particolare di uno dei grandi pezzi estratti

da Luigi Celleri dal geode della Candela a Grotta

d’Oggi. L’esemplare misura 30x20x20 cm e contiene

50 cristalli di tormalina, alcuni lunghi fino a 8 cm

(#E4973 - Coll. e Foto Museo “La Specola”, Sistema

Museale Università di Firenze).

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5.3 Cocktail

Magmatico

MEGACRISTALLI E INCLUSI MAFICI

A CAPO SANT’ANDREA

Sabbia di quarzo sotto i piedi, il sole che batte implacabile e il

mare azzurro che vi chiama: ma questa volta lo fate aspettare.

Camminando lungo la spiaggia di Sant’Andrea vi dirigete

verso la scogliera di granito, oltre il pontile di cemento. Vi state

per immergere in uno degli affioramenti di rocce granitiche

più conosciuto del pianeta. Scienziati e studenti universitari

di tutto il mondo passano di qua da almeno un paio di

secoli, per vedere lo spettacolo dei grandi cristalli bianchi

di ortoclasio che “nuotano” nella massa granitica. Questi

cristalli sono così grandi che vengono chiamati megacristalli

per sottolinearne le inusuali dimensioni: fino a 20 cm di

lunghezza, grandi come una mano stesa! I megacristalli

mostrano una perfetta geometria prismatica-tabulare e facce

cristallografiche nette che spesso l’erosione marina mette in

evidenza. Gli studi più recenti ci dicono che si sono formati a

grande profondità, prima che il magma risalisse attraverso

la crosta e si intrudesse a sei chilometri sotto la superficie,

formando il plutone granitico del Monte Capanne. I grandi

cristalli di ortoclasio quindi fluivano veramente, come pezzi di

legno nelle linee di flusso e nei vortici di un fiume. Il magma

è molto più viscoso dell’acqua e il suo movimento in genere

è estremamente caotico. Osservando le pareti di roccia

con centinaia di megacristalli per metro quadrato, vedrete

zone dove i cristalli sono allineati, altre dove sottolineano

vortici e infine zone dove sembrano essere disposti in modo

disordinato. Camminando verso la punta estrema di Capo

Sant’Andrea noterete che quelle strane masse di roccia scura,

arrotondate, che avete già osservato insieme ai megacristalli,

aumentano di numero e dimensione. Cambia anche il

colore. Alcuni sono scurissimi, quasi neri, altri sfumano

verso toni di grigio più chiaro, ve ne sono alcuni che sono

appena più scuri del granito. Tutti comunque mostrano una

grana estremamente fine. Sono inclusi “microgranulari

mafici”. Sostanzialmente si tratta di “gocce” di magma

meno ricco di silice rispetto al granito, forse originatosi nel

mantello, e poi mescolatosi con il magma granitico mentre

risaliva lungo il condotto magmatico. Malgrado la diversa

temperatura e viscosità, i due magmi riuscirono a mescolarsi

meccanicamente ma senza miscelarsi completamente. Per

questo oggi vediamo le “gocce” di roccia mafica disperse nella

roccia granitica felsica.

Se siete osservatori pazienti riuscirete a individuare delle

zone dove i megacristalli del granito sono riusciti a penetrare

all’interno degli inclusi mafici, con tutti i passaggi intermedi:

da megacristalli appoggiati agli inclusi, a quelli penetrati per

pochi centimetri a quelli totalmente inglobati nell’incluso

e che si sono tirati dietro una scia di cristalli più piccoli del

magma granitico. Questa contaminazione meccanica è

avvenuta probabilmente lungo il condotto magmatico quando

entrambi i magmi potevano fluire liberamente.

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


La parete verticale alle spalle di Capo

Sant’Andrea mostra un bellissimo cocktail

di magma felsico granitico e magma

mafico, con migliaia di megacristalli

di ortoclasio che fluiscono in mezzo

(Foto©Dini).

Dettaglio del granito a Capo Sant’Andrea

con i grossi megacristalli di ortoclasio e

alcuni piccoli inclusi mafici (Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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5.4 La tavolozza

oceanica

LE RODINGITI DI PUNTA POLVERAIA

Un posto dove venire al tramonto, ma non all’ultimo momento

con il sole già dietro la Corsica. Meglio arrivare prima, a Punta

Polveraia, quando il cielo è ancora azzurro e il mare sfuma dal

blu al verde scuro, per gustarsi lo spettacolo delle variazioni

cromatiche tra giorno e notte. Qualche cirro di alta quota

che si tingerà di rosa quando l’orizzonte sfumerà sui toni

dell’arancio, e siamo pronti per la lezione di pittura. Sotto

il faro di Punta Polveraia, la scogliera di roccia scura, verde

quasi nera, cede lentamente il calore mentre ci godiamo

lo spettacolo. Roccia del colore della pelle di certi serpenti,

appunto, la serpentinite. Un pezzo di mantello oceanico che,

nel Giurassico, 150 milioni di anni fa, si trovava sul fondo

dell’Oceano Ligure-Piemontese e oggi si ritrova a far parte

della crosta continentale toscana e per di più appiccicato

ad un plutone granitico! Succedono cose strane quando le

placche tettoniche si muovono, sia quando si allontanano

generando nuovi oceani, sia quando convergono formando le

catene montuose. La serpentinite di Punta Polveraia si formò

quando la peridotite del mantello venne idratata dall’acqua

di mare lungo la dorsale dell’oceano giurassico. Olivina e

pirosseno (minerali anidri) si trasformarono in lizardite un

minerale che contiene il 13% in peso di acqua. Nella crosta

oceanica, la peridotite è sempre associata ad altri due tipi

di roccia: gabbro e basalto. Se la peridotite era stata intrusa

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Lenti di rodingite nella massa di metaserpentinite

di Punta Polveraia (Foto©Dini).

da dicchi di gabbro, al momento della reazione con l’acqua di mare,

avviene una reazione di scambio chimico tra le due rocce che produce

una delle rocce più belle del pianeta: la rodingite. Il gabbro, una roccia

costituita da plagioclasio bianco e pirosseno verde-grigio, si trasforma

in rodingite diventando rosa-arancio (granato), verde smeraldo

(pirosseno), verde-azzurro (clinocloro), marrone (vesuviana), biancoverde

(prehnite). A Punta Polveraia, le serpentiniti inglobano alcune

lenti di rodingite creando un contrasto cromatico fantastico tra

l’esplosione di colori rodingitica e la scura massa serpentinitica.

La tavolozza di colori oceanici della rodingite

(Foto©Dini)

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

53


Sette milioni di anni fa, quando ormai

la serpentinite era stata strappata

dal fondo oceanico e implicata

nella catena montuosa del paleo-

Appennino, arrivò il magma granitico

del Monte Capanne. Il calore ceduto dal

magma fece “evaporare” buona parte

dell’acqua intrappolata nei minerali

della serpentinite trasformandola in

metaserpentinite e ricristallizzando

parzialmente le lenti di rodingite. I fluidi

acquosi migrando nelle fessure della

roccia produssero delle vene di minerali

idrotermali: soprattutto epidoto verde

chiaro e granato rosso e arancio. Nella

metaserpentinite di Punta Polveraia e

di Punta della Fornace (poco a sud), si

possono trovare fessure tappezzate da

bei cristalli di epidoto. Nei metabasalti,

sempre associati alla metaserpentinite

(zona tra Pomonte e Fetovaia), sono

frequenti fessure con cristalli di granato,

clorite, titanite, albite e alcune volte

tormalina nera, ferrifera.

Epidoto – cristalli prismatici complessi (1,5

cm) associati a anfibolo fibroso grigio-verde;

Mortigliano (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Granato – cristalli icositetraedrici (0,7 cm)

su metabasalto; Pomonte

(Coll. e Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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5.5 Forme uniche

IL GRANATO OTTAEDRICO DELL’AFFACCATA

Il granato è un minerale molto diffuso

nelle rocce della crosta terrestre

soprattutto in quelle metamorfiche e

idrotermali-metasomatiche. Costituisce

spesso esemplari appariscenti

ed estetici con cristalli idiomorfi

rombododecaedrici e icositetraedrici

di colore variabile da nero, a rosso,

ad arancio, ma talvolta anche verde,

violetto, giallo e rosa. Insomma,

uno dei minerali più ricercati dai

curatori dei musei e dai collezionisti

di minerali. Cercate pure su internet,

troverete cristalli rombododecaedrici e

icositetraedrici di granato in migliaia di

località del mondo ma solo quelli trovati

nelle rodingiti del versante orientale

del Monte Capanne all’Isola d’Elba

sono di forma ottaedrica. Una forma

cristallografica possibile in tutti i granati

del mondo ma che, per qualche motivo

che non conosciamo, si manifesta solo

in questo particolare tipo di granati

elbani.

Nel 1859 il sanpierese Giuseppe Pisani

scoprì i primi granati ottaedrici a Colle

di Castiglioni (sotto San Piero). Alla metà

degli anni 1870 fu la volta di Luigi Celleri,

il quale individuò una lente di rodingite

con cristalli di granato ottaedrico in

località L'Affaccata, lungo la mulattiera

che scende da Sant’Ilario alla Pila.

Non si tratta di campioni eclatanti,

i cristalli sono piccoli (in genere

pochi millimetri), ma l’insolito abito

cristallografico attirò immediatamente

l’interesse dei mineralogisti italiani e

stranieri. Le rodingiti che li ospitano

sono simili a quelle di Punta Polveraia,

ma la deformazione tettonica subita

dall’aureola di contatto sul versante

orientale del plutone del Monte

Capanne le ha fratturate intensamente

creando lo spazio per far crescere

i cristalli di granato. Alla forma

ottaedrica si associa spesso quella

rombododecaedrica e si osservano

cristalli con abito misto, senza soluzione

di continuità tra i due estremi. I cristalli

hanno una composizione chimica

corrispondente alla grossularia (la

specie di calcio e alluminio del gruppo

dei granati). Nelle fessure il granato

rosa-arancio-giallo è associato a

cristalli di clorite verde e epidoto verde

pistacchio.

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Granato – tipico cristallo ottaedrico di 4

mm associato a cristalli lamellari di clorite,

Affaccata (Coll. Museo di Storia Naturale

Università di Pisa, Foto©Orlandi). Le quattro

piccole facce sul vertice del cristallo

sono di icositetredro.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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L’antica trincea scavata da Celleri in

località l’Affaccata. Sullo sfondo il paese di

Sant’Ilario (Foto©Dini).

Granato – cristalli fino a 1 cm associati a clorite, Affaccata, Sant’Ilario

(Coll. e Foto©Dini). Le facce triangolari e trapezoidali satinate sono di

ottaedro, quelle lucide ondulate di rombododecaedro.

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Blocco di rodingite raccolto nella trincea dell’Affaccata (Foto©Dini).

Una delle superfici è coperta da piccolissimi cristalli di granato ottaedrico.

Abiti osservati nei cristalli di granato dell’Affaccata.

Epidoto –cristalli prismatici fino a 3 cm

associati a cristalli lamellari di clorite,

Affaccata (Coll. Museo di Storia Naturale

Università di Pisa, Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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Le fessure dove sono stati trovati i cristalli di quarzo gommoide sulla scogliera

di Colle di Palombaia. Le fessure cristallizzate passano lateralmente a vene

compatte di quarzo dall’aspetto cariato. Le rocce incassanti sono costituite da

marmi e metadiaspri iniettati di piccole intrusioni granitiche (Foto©Dini).

60

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Cristallo trasparente, sfaccettato, con spigoli

e vertici vivi che creano straordinari giochi di

luce e di rifrazioni interne. Questo è il quarzo

nell’immaginario comune, il minerale più

comune nella crosta terrestre e, probabilmente,

il minerale che tutti saprebbero riconoscere.

L’Isola d’elba ne è disseminata di questi

cristalli, ialini, bianchi, verdi, ametista, e poi

quelli arrossati dagli idrossidi di ferro. Ma

nella Terra degli Etruschi non poteva mancare

qualcosa di insolito anche a proposito di un

minerale così comune. Cristalli di quarzo dal

bel prisma esagonale, ordinari e spigolosi

nella parte inferiore, che però, salendo verso

la terminazione, mostrano una progressiva

curvatura degli spigoli e delle facce. Facce e

spigoli tanto più curvi quanto più vicini all’apice,

tanto che le sommità dei cristalli talvolta

terminano a cupola, come gocce di cristallo fuso

lucentissime. Quarzi gommoidi. Così furono

definiti, subito dopo essere stati scoperti dal

solito Celleri e studiati dal mineralogista Luigi

Bombicci (1869). Il Celleri si adirò tantissimo

quando il geologo pisano Giuseppe Meneghini

ventilò l’ipotesi che le terminazioni fossero

state arrotondate artificialmente e, da buon

sanpierese sanguigno, soprannominò il

professore “testa secca”! Malgrado la non

particolare bellezza, questi cristalli furono al

centro di un’accesa discussione riguardo i motivi

della strana forma che ancora oggi continua ad

essere unica al mondo. Alcune facce curve sono

state osservate in cristalli di quarzo brasiliani,

delle Alpi, russi ma mai la perfetta e lucida

curvatura di tutta la parte terminale del cristallo

come a Colle di Palombaia.

IL QUARZO “GOMMOIDE” DI PALOMBAIA

5.6 Misteri

della cristallizzazione

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

61


Tre furono le ipotesi proposte per

spiegare l’insolita forma: 1) fusione dei

cristalli per aumento di temperatura, 2)

dissoluzione dei cristalli per reazione

con fluidi idrotermali acidi e 3) crescita

di innumerevoli facce con angoli

degradanti che simulano appunto una

superficie curva. La prima delle ipotesi

fu subito scartata perché per fondere

il quarzo è necessario raggiungere

temperature di circa 1700°C. Sulle altre

due ipotesi la comunità scientifica,

come al solito, si divise. Il Bombicci e i

mineralogisti pisani si schierarono a

favore dell’origine primaria (crescita

di innumerevoli facce degradanti)

mentre il geologo tedesco Gerhard

Vom Rath e il collega olandese Gustaaf

Molengraaff appoggiarono l’origine

secondaria (dissoluzione successiva

alla formazione). In favore dell’origine

primaria sta il fatto che la curvatura

non interessa tutti gli spigoli dei cristalli

e che nello stesso geode possono

coesistere cristalli con terminazione

curva e normale. Nel caso di una

dissoluzione per passaggio di fluidi

acidi, tutti i cristalli dovrebbero essere

stati modificati. All’epoca comunque

la disputa non era risolvibile. Oggi,

con i moderni microscopi elettronici

a emissione di campo e i microscopi

a forza atomica si potrebbe studiare

le strane superfici curve alla scala

nanometrica e magari ottenere i dati

scientifici necessari a dirimere la

questione.

Gruppo di cristalli di quarzo gommoide fino a 4 cm

(Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Dettaglio di una terminazione a cupola di un cristallo di quarzo di

Colle di Palombaia (Coll. e Foto©Dini).

Due cristalli di quarzo (circa 4 cm) trovati nella stessa vena

idrotermale di Colle di Palombaia, a pochi metri di distanza

uno dall'altro (Coll. e Foto©Dini). Il cristallo di sinistra è del tipo

gommoide, quello di destra presenta il normale abito con facce

e spigoli definiti.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

63


5.7 Fluidi in fuga

LE NUOVE TORMALINE DI SAN PIERO

Nel 1800 l’Isola d’Elba era la località

più famosa al mondo per la tormalina

grazie ai suoi eleganti cristalli

policromi. Non a caso quando nel

1914 Vernadsky la caratterizzò come

termine estremo di litio, alluminio e

sodio di questo complesso gruppo di

minerali, la chiamò elbaite. A partire

dalla fine del 1800 e poi con l’inizio del

XX secolo, vennero scoperti bellissimi

cristalli di elbaite in altre pegmatiti

del mondo: Russia, California, Brasile,

64

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Afghanistan, Madagascar, Mozambico

solo per citare le principali. Questi

filoni pegmatitici erano molto più

grandi di quelli elbani e così pure le

cavità cristallizzate che producevano

cristalli di tormalina molto più

grossi suscettibili di essere lavorati

per il mercato gemmologico. La

globalizzazione e la diffusione

dei campioni di elbaite straniera

sia in ambito gemmologico che

collezionistico ha offuscato un po'

gli esemplari elbani. Tuttavia, dopo

la chiusura delle cave elbane, la

rarità degli esemplari disponibili e

soprattutto il delicato equilibrio tra

dimensione, morfologia e colore dei

cristalli, e la varietà e qualità degli

altri minerali associati li ha resi

oggetti esclusivi, molto desiderati dai

collezionisti e dai curatori di museo

più raffinati. Volete mettere avere

nella collezione un esemplare di

elbaite elbana , cioè della località tipo

dove è stata identificata, piuttosto che

un campione, magari più bello, ma

proveniente da un’anonima miniera

brasiliana?

In alto: L’affioramento di meta-serpentinite sotto la Cappella di

San Rocco (San Piero) con le fessure tappezzate da cristalli neri

di magnesiolucchesiite (Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

65


Ma la storia non poteva finire così, con l’Elba relegata

ad una posizione di nicchia. Negli ultimi dieci anni, la

diversità geo-mineralogica elbana si è presa la rivincita.

Grazie al lavoro fatto da un team di ricercatori guidato da

Ferdinando Bosi (Università La Sapienza, Roma) e Federico

Pezzotta (Museo Civico di Storia Naturale di Milano) sono

state identificate cinque nuove specie del gruppo della

tormalina. L’area pegmatitica di San Piero-Sant’Ilario è così

diventata la zona del pianeta con maggiore diversità per

quanto riguarda il gruppo della tormalina: dieci specie che

coesistono in pochi chilometri quadrati, di cui sei scoperte

all’Elba . Le prime due (tsilaisite e fluor-tsilaisite) sono state

identificate studiando attentamente l’evoluzione chimica

della porzione verde dei bellissimi cristalli policromi

ritenuti essere costituiti da sola elbaite. La formazione

delle altre tre specie nuove (uvite, magnesiolucchesiite

e celleriite) è collegata alla evoluzione tardiva dei filoni

pegmatitici. Al termine della cristallizzazione del magma

pegmatitico, buona parte del boro presente era stato

incorporato nei cristalli policromi neri-verdi-gialli-rosa

di tormalina ma una certa quantità era rimasta nel fluido

acquoso residuale dei geodi. Il nostro pianeta è dinamico

e basta una piccola sollecitazione tettonica o una sovrapressione

per fratturare la pegmatite e farne fuggire i fluidi

residuali. Uscendo dal filone pegmatitico, i fluidi trovarono

rocce di ogni tipo (meta-serpentiniti, anfiboliti, graniti,

hornfels pelitiche), con cui reagirono arricchendosi di nuovi

elementi chimici e precipitando tormalina lungo le fratture

attraversate. Le rocce incontrate potevano contenere molto

magnesio (meta-serpentiniti) o molto calcio e un po' di

magnesio (anfiboliti), o anche una significativa quantità di

ferro e poco magnesio e calcio (granito, hornfels pelitiche).

Nelle serpentiniti si formò la magnesiolucchesiite o la più

comune dravite e nelle anfiboliti l’uvite. Molti dei filoni

pegmatitici di San Piero sono incassati nel granito ricco di

biotite ferrifera e i fluidi in “fuga” più “lenti” si arricchirono

solo di ferro, formando vene di comune tormalina ferrifera:

lo schorl. I fluidi fuggitivi, ormai arricchiti in ferro,

ebbero l’occasione di rientrare nella pegmatite fratturata

producendo una sovracrescita di tormalina ferrifera sui

cristalli di elbaite: il “cappello” nero che caratterizza le

cosiddette tormaline a “testa di moro”. In un caso i fluidi

residuali reagirono con un minerale ricco di manganese

(granato spessartina) creando dei “cappelli” violacei di una

nuova tormalina manganesifera: la celleriite.

Un’ultima nota. Le nuove specie magnesiolucchesiite e

uvite si presentano in cristalli neri del tutto simili a quelli

della comune tormalina ferrifera e come tali catalogati

nelle collezioni mineralogiche da oltre due secoli. Solo

l’intuizione degli scienziati ne ha permesso l’identificazione

rivelando così la complessa storia di reazioni chimiche tra

rocce e fluidi.

Magnesiolucchesiite - cristalli prismatici di 1 cm terminati da

facce di romboedro cresciuti su un tappeto di cristalli di anfibolo;

San Rocco, San Piero (Coll. e Foto©Biagioni).

66

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Cristallo di 2 cm di elbaite verde-gialla con sovracrescita nera di schorl

(testa di moro) da un filone pegmatitico di Grotta d’Oggi, San Piero

(Coll. Museo di storia naturale dell'Università di Pisa; Foto©Lorenzoni).

Uvite – cristalli prismatici fino a 7 mm terminati da facce

di romboedro; Facciatoia, San Piero (Coll. e Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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5.8 Rimedi

naturali

LA MAGNESITE DI SAN PIERO

Il cambiamento climatico in corso è un fatto incontrovertibile

che gli scienziati e molte associazioni ambientaliste hanno

posto all’attenzione pubblica da molti decenni. Negli

ultimi anni, i dati scientifici, il chiaro aumento di eventi

metereologici estremi e la riduzione dei ghiacci nelle aree

polari e di alta montagna hanno creato una crescente

consapevolezza sia nelle popolazioni sia tra i decisori politici.

Cosa fare? Non esiste una soluzione unica. L’international

Panel on Climate Change (IPCC) ha definito una strategia

integrata che include l’abbandono progressivo delle fonti

energetiche fossili, il forte aumento di fonti di energia

rinnovabili (es. solare, eolico, geotermia) e la rimozione di CO 2

dall’atmosfera o da zone di emissione puntuale mediante

riforestazione e sequestro mineralogico/geologico.

Quest’ultimo è un processo che prevede di immagazzinare

la CO 2

all’interno di strati profondi della crosta terrestre

(sequestro geologico) o, ancor meglio, di sequestrare

definitivamente la CO 2

all’interno della struttura cristallina di

alcuni minerali. Il sequestro mineralogico si ottiene facendo

reagire silicati e ossidi di magnesio, ferro e calcio con acqua e

anidride carbonica in modo da far precipitare carbonati.

Il gruppo di lavoro guidato da Chiara Boschi, ricercatrice

dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR, è da molti

anni che sta studiando alcuni giacimenti di carbonato di

magnesio (magnesite) ospitati nelle rocce serpentinitiche

toscane. La magnesite non ci dovrebbe stare nelle

serpentiniti. Come mai in Toscana, molti milioni di tonnellate

di serpentinite si sono trasformati spontaneamente in

magnesite? Le ricerche svolte finora non hanno risolto tutti

gli aspetti di questa complessa reazione idrotermale ma

hanno stabilito chiaramente che la serpentinite fratturata può

essere infiltrata naturalmente da acqua e anidride carbonica

trasformando i silicati di magnesio in una nuova associazione

mineralogica costituita da minerali argillosi e opale (silice

amorfa). Buona parte del magnesio della serpentinite va in

soluzione e, reagendo con la CO 2

, precipita grandi quantità di

magnesite all’interno delle fratture. Se riusciremo a replicare

questo processo a livello industriale, avremo uno strumento

in più per mitigare il cambiamento climatico in atto.

All’Isola d’Elba sono presenti piccoli giacimenti di magnesite

nelle rocce serpentinitiche dell’aureola di contatto del plutone

del Monte Capanne. Soprattutto nella zona tra Procchio e Colle

di Palombaia ma anche nella zona di Bagno e Punta Polveraia.

La magnesite forma un reticolo di vene bianche che tagliano

la serpentinite, formatesi per interazione con fluidi di bassa

temperatura ricchi di CO 2

. La reazione idrotermale ebbe luogo

dopo la fase di alta temperatura che produsse i graniti, le rocce

metamorfiche e i famosi filoni pegmatitici di San Piero. Nelle

vene, oltre alla magnesite è presente dolomite (carbonato di

calcio e magnesio) e opale (silice amorfa). Questi giacimenti

sono stati sfruttati nei secoli scorsi per produrre materiali per

l’industria dei refrattari e della ceramica. Oggi, camminando

faticosamente in mezzo alla macchia mediterranea o nei

boschi di querce, ci possiamo imbattere in ciò che resta delle

piccole cave dove lavoravano molti cavatori e anche molte

donne addette alla cernita a mano del minerale.

68

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Le cave di magnesite del Caviere (San

Piero) nel 1908, in una foto di Giovanni

D’Achiardi. Oggi tutta l’area è coperta

da un fitto bosco di querce.

La parete di una delle vecchie cave intorno

al paese di San Piero con il reticolo di

vene di magnesite che veniva sfruttato in

passato (Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

69


70

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Due esemplari di opale estratti nei giacimenti di magnesite di San Piero (Coll. Museo di Storia

Naturale dell’Università di Pisa; Foto©Dini). Il campione bianco traslucido (5 cm) è un tipico esempio

dell’opale trovato nelle vene di magnesite. Quello nero (8 cm) contiene piccoli cristalli di granato

marrone ed è esemplificativo dell’opale che sostituisce le rocce incassanti il giacimento.

Pezzo di serpentinite idrotermalizzata

(15 cm) tagliato da un reticolo

di vene di magnesite bianca, Poggio

Accolta (Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

71


Elba

Centrale

72

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Il grande sill di Porfido di San Martino a Capo Poro fu prodotto dall’iniezione

di magma granitico nelle rocce sedimentarie già piegate

e fagliate dall’orogenesi Appenninica (Foto©Dini)

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

73


6.1 Elba

Centrale

IL VULCANO MANCATO

EFESTO E LA FUCINA DEGLI DEI

Per gli antichi greci le eruzioni

vulcaniche erano provocate dai Titani.

I Titani combattevano con gli dei

dell'Olimpo e nelle loro tremende

battaglie scuotevano la Terra, la

quale in tutta risposta non poteva

che vomitare il fuoco nascosto

nelle proprie viscere. I vulcani

nascondevano l’officina dove Efesto

forgiava le armi degli dei. La sua

dimora abituale era l’isola vulcanica

di Limnos, nell’Egeo settentrionale,

posta alcune decine di chilometri a

sud di Samotracia, l’isola granitica

dove abitava Ploutōn. Il parallelo tra

Arcipelago Toscano e isole del Mar

Egeo settentrionale torna ancora

una volta. Dalla costa settentrionale

dell’Isola d’Elba, se guardiamo

verso nord-ovest vediamo l’Isola di

Capraia, un vulcano attivo intorno

a sette milioni di anni fa. Oggi è uno

dei sette gioielli del Parco Nazionale

dell’Arcipelago Toscano e uno dei

maggiori misteri per gli scienziati

che studiano l’evoluzione tettonomagmatica

del Tirreno Settentrionale.

Sette milioni di anni fa, mentre a

Capraia i magmi andesitici eruttavano

in superficie, appena 40 chilometri

a sud-est il magma granitico elbano

veniva bloccato a circa sei chilometri

di profondità formando il plutone del

Monte Capanne. La cosa che stupisce

e incuriosisce i geologi non è tanto il

diverso grado di risalita del magma

ma quanto il fatto che mentre a

Capraia la crosta terrestre, con in testa

l’apparato vulcanico, è rimasta quella

di sette milioni di anni fa, all’Elba i

sei chilometri di crosta che stavano

sopra il plutone del Monte Capanne

sono “scomparsi”. Visto che nulla si

crea e nulla si distrugge, ma tutto si

trasforma, gli scienziati della Terra si

sono arrovellati per decenni cercando

una soluzione al mistero.

TREVISAN E MARINELLI:

TITANI SCIENTIFICI

A volte per cambiare le cose non

basta essere competenti, bisogna

anche essere coraggiosi e visionari.

Nel secondo dopoguerra, cambiare

paradigma geologico, dopo che le teorie

autoctoniste di Bernardino Lotti erano

state demolite dai geologi alpini, era

necessario. La carta geologica dell’Isola

d’Elba di Lotti era ancora ampiamente

valida dal punto di vista litologico ma

l’interpretazione tettonica e stratigrafica

doveva essere rivista totalmente. La

complessa sequenza di formazioni

geologiche non era una sequenza

di sedimentazione continua dal

Paleozoico all’Oligocene sottoposta solo

a movimenti e deformazioni verticali.

Gli Appennini, come le Alpi, si erano

formati mediante la sovrapposizione

tettonica di settori di crosta continentale

e oceanica un tempo adiacenti. Interi

pezzi di crosta terrestre si erano spostati

lateralmente per molti chilometri

sovrapponendosi alle sequenze vicine,

scompaginando completamente

l’ordine temporale delle formazioni

geologiche. Era necessario definire

delle sequenze coerenti di formazioni

geologiche (Unità Tettoniche),

individuare le superfici lungo le

quali era avvenuto il movimento di

accavallamento (Contatti Tettonici) e reinterpretare

la storia geologica dell’isola.

Negli anni 1940-50, Livio Trevisan,

geologo dell’Università di Pisa fece

tutto questo ma poi, non contento,

andò oltre. Qui sta la genialità del

personaggio. Dopo aver suddiviso

l’Isola d’Elba in cinque unità tettoniche

(le chiamò Complessi) si accorse che il

quadro geologico era reso ancora più

complicato da alcuni contatti tettonici

anomali. All’Elba e in tutto l’Appennino

le unità tettoniche si sono accavallate

con un movimento di sovrascorrimento

74

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


da ovest a est lungo superfici che

salgono verso est. I contatti tettonici

anomali che osservava all’Isola d’Elba

erano inclinati verso est e tagliavano i

contatti tettonici “normali” tra le unità

tettoniche. Non erano superfici di

accavallamento (i geologi le chiamano

thrusts), erano faglie estensionali a

basso angolo successive alla formazione

della catena appenninica. Faglie che

abbassavano interi settori crostali

facendoli scivolare lateralmente per

chilometri e scoprendo così quello

che ci stava sotto: i plutoni granitici.

La soluzione era stata trovata. All’Elba

i plutoni granitici erano stati esumati

alla superficie facendo scivolare

“gentilmente” verso est i sei chilometri

di crosta che in origine li ricopriva. A

Capraia, chiaramente questa tettonica

estensionale non aveva giocato con

la stessa intensità visto che il livello di

superficie attuale corrisponde a quello

di sette milioni di anni fa. Tra Capraia e

l’Elba c’è qualcosa di misterioso che ne

ha determinato la diversa evoluzione

geologica. Ma questa è un’altra storia

e soprattutto è qualcosa che aspetta

ancora di essere studiato.

Trevisan aveva capito che non bastava

studiare la stratigrafia delle sequenze

sedimentarie e le superfici tettoniche.

Sapeva che le rocce granitiche e le rocce

metamorfiche dell’isola contenevano

delle informazioni molto importanti che

potevano assicurare un salto di qualità

al suo nuovo modello tettonico. È a

questo punto che entra in gioco Giorgio

Marinelli, petrografo dell’Università

di Pisa. Gli studi pionieristici fatti da

Marinelli negli anni 1950 sulle rocce

granitiche elbane innescarono una

ricerca molto più ampia sull’origine

dei magmi della Provincia Magmatica

Toscana (1960-70). Marinelli ipotizzò

che tutte le rocce magmatiche recenti

della Toscana (Miocene-Quaternario)

fossero state prodotte dalla fusione

parziale della crosta continentale

profonda. Il magma ricco di silice

sarebbe poi risalito raggiungendo

diversi livelli crostali. I magmi fermatisi

in profondità avrebbero creato i plutoni

granitici (Monte Capanne, Porto

Azzurro, Montecristo, Giglio, Gavorrano,

Campiglia M.ma) mentre quelli giunti

in superficie avrebbero formato alcuni

complessi vulcanici (San Vincenzo

e Roccastrada). In questa ipotesi

scientifica, i porfidi granitici dell’Elba

Centrale occupavano una posizione

speciale perché avevano caratteristiche

intermedie tra quelle plutoniche

e quelle vulcaniche. Oggi vengono

considerate come intrusioni superficiali

(intruse da 1 a 5 km di profondità) e

classificate come rocce sub-vulcaniche.

Per poco i magmi non arrivarono alla

superficie. Potremmo parlare quindi di

un “vulcano mancato”!

IL VULCANO MANCATO DELL’ELBA

CENTRALE

Non è facile determinare come mai

il magma non ce la fece a eruttare

perché i parametri in gioco sono molti:

profondità della camera magmatica,

volume di magma, condizioni

tettoniche, struttura della crosta

superficiale, etc. All’inizio degli anni

1990, un gruppo di lavoro guidato

dal petrologo Fabrizio Innocenti

(Università di Pisa), allievo di Marinelli,

riprese il lavoro interrotto negli anni

1970 sulle intrusioni subvulcaniche

dell’Elba Centrale. I nuovi dati geologici,

geochimici e geocronologici andarono

a rinforzare l’ipotesi di Trevisan e

definirono una evoluzione magmatica

coerente con la storia geodinamica

dell’area. I porfidi granitici non erano

coevi o addirittura più giovani del

plutone del Monte Capanne, come

sostenuto fino a quel momento. Le

evidenze geologiche e geocronologiche

indicavano chiaramente che si erano

formati prima (tra 8,5 e 7,5 milioni di

anni) e non nella posizione occupata

attualmente. I porfidi granitici intrusi

nelle rocce sedimentarie dell’Elba

Centrale originariamente si trovavano

sulla verticale del plutone del Monte

Capanne il quale li aveva anche intrusi

e deformati. Rappresentano cioè una

parte della sequenza mancante. Mentre

il plutone veniva progressivamente

esumato verso la superficie, i porfidi

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

75


granitici e le loro rocce incassanti

scivolavano lentamente verso est

lungo una faglia a basso angolo. I dati

geochimici e geocronologici ci dicono

che queste intrusioni subvulcaniche

sono state alimentate dai primi

magmi formati durante la fase di

assottigliamento e riscaldamento della

crosta toscana. I magmi riuscirono

a risalire fin quasi alla superficie

formando spettacolari intrusioni

tabulari sub-orizzontali interstratificate

con gli strati di arenaria, calcare e

argillite. Alcune, come il grande laccolite

del Porfido di San Martino raggiungono

700 metri di spessore e 10 km di

estensione laterale. Tuttavia i volumi

in gioco erano troppo piccoli per poter

sperare di arrivare a formare un vulcano

in superficie.

Nel frattempo, la fusione parziale della

crosta profonda produceva sempre

più magma granitico. Malgrado il

maggiore volume di magma formato,

a questo punto la crosta era diventata

più impervia a causa della progressiva

risalita delle isoterme e dei numerosi

“ostacoli” formatisi in precedenza (le

intrusioni tabulari di porfido). Quando

i circa 130 km 3 di magma granitico

del Monte Capanne “decisero” di

risalire (7,4-6,9 milioni di anni), non

riuscirono a superare la base del

complesso laccolitico formato in

precedenza e produssero un grande

plutone circondato dalla sua aureola

metamorfica di contatto.

A differenza del plutone del Monte

Capanne, i porfidi dell’Elba Centrale si

intrusero troppo vicino alla superficie,

in rocce molto meno calde, e non

produssero alcuna aureola metamorfica.

Raffreddando rapidamente, la struttura

porfirica del magma venne mantenuta

e i grossi fenocristalli presenti furono

inglobati in una massa quarzofeldspatica

a grana finissima. Quindi non

ci fu neanche la possibilità di formare

filoni pegmatitici. Insomma, malgrado la

notevole analogia dei magmi, il sistema

sub-vulcanico dell’Elba Centrale generò

una minore geodiversità in termini di

processi minerogenetici e quindi una

minore diversità mineralogica. In ogni

modo, qualche bella sorpresa ce la offre

anche questo settore dell’isola. Non

poteva essere diversamente, all’Isola

d’Elba!

Al centro: A Cala Rossa (Punta dello Zenobito, Isola di Capraia) è esposta la spettacolare sequenza di

scorie di un cono vulcanico attivo 4,5 milioni di anni fa. Il resto dell’Isola fu costruito da eruzioni vulcaniche

più antiche, circa 7 milioni di anni fa. (Foto©Rinaldi)

A destra: Valle di Cala Maestra, Isola di Montecristo. Il granito dell’isola è simile a quello del Monte

Capanne. Anche qui, 7 milioni di anni fa, i magmi non arrivarono alla superficie e formarono un plutone

in profondità (Foto©Rinaldi).

In basso: Intrusioni tabulari (sills) di Porfido di Portoferraio (8 Ma) nelle sequenze sedimentarie di Capo

Fonza, Golfo di Campo, Elba Centrale (Foto©Dini). Queste intrusioni subvulcaniche non hanno prodotto

alcun effetto metamorfico nelle rocce incassanti.

76

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


ELBA — I FIORI DELLA TERRA

77


L’Aplite di Capo Bianco - particolare della falesia lungo l’omonima spiaggia.

I noduli sferoidali di tormalina sembrano “galleggiare” e fluire nella massa

quarzo-feldspatica. Le bande rosa devono il colore alla presenza di zinnwaldite,

una mica ricca di litio e fluoro.

78

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


I magmi granitici più ricchi di boro, fluoro e litio

di solito non riescono a risalire molto nella crosta

continentale. Si fermano a 5-10 chilometri di

profondità, in condizioni plutoniche, e formano

filoni pegmatitici come quelli di San Piero. Circa

8,5 milioni di anni fa, all’Isola d’Elba , un piccolo

volume di questi magmi è riuscito a risalire

fino a un paio di chilometri dalla superficie e

ha formato una roccia unica al mondo: l’Aplite

di Capo Bianco. La risalita deve essere stata

velocissima, altrimenti il magma avrebbe perso

calore cristallizzando a maggiore profondità.

A causa della rapida diminuzione di pressione,

il magma è stato forzato a separarsi in due fasi

immiscibili dando luogo a qualcosa di simile a

un’emulsione di gocce di olio in acqua. Il boro,

il ferro, lo stagno, l’acqua si sono concentrati in

vere e proprie bolle sferoidali di fuso disperse nel

normale magma granitico. Una volta arrivato a

destinazione, la rapidissima cristallizzazione ha

congelato in un’istantanea le tessiture di flusso

del magma trasformando le bolle in perfetti

noduli sferici di tormalina di colore nero bluastro

immersi in una matrice granitica bianca a

grana criptocristallina. La roccia ha un aspetto

estremamente variegato, alternando bande

bianchissime costituite da quarzo e feldspati,

a bande di colore rosa-crema dove ai minerali

precedenti si associa la zinnwaldite, una mica

molto ricca di litio e fluoro.

TORMALINA O SUDORE DEGLI ARGONAUTI ?

6.2 Capo Bianco:

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

79


Rocce granitiche di composizione chimica simile a questa si trovano in molte parti

del mondo, ma cristallizzando a maggiore profondità, hanno sviluppato una grana

più grossolana, perdendo molti dei dettagli registrati nell’Aplite di Capo Bianco.

L’unicità di questa roccia fu notata anche dai primi frequentatori dell’isola. Gli

antichi greci la descrissero nel mito degli Argonauti. Si tratta della prima roccia

descritta petrograficamente, due millenni prima dell’invenzione del microscopio!

Nel mito infatti troviamo il termine “poikilous” (nella petrografia moderna: in

inglese, poikilitic; in italiano, pecilitico) per descrivere la tessitura macchiettata di

questa roccia, ma per Apollonio Rhodio non è tormalina ciò che macchia di nero

la roccia, macchie di sudore, sudore misto allo sporco accumulato dagli Argonauti

nel viaggio e nelle varie attività svolte sull’isola (sport, estrazione e lavorazione del

minerale di ferro). Alla fine della giornata, gli Argonauti raschiarono via il sudore

dal corpo e lo schizzarono sui ciottoli della spiaggia e sulla falesia producendo le

perfette macchie circolari nere.

Andate a vedere le rocce degli Argonauti a Capo Bianco, ma anche alle Ghiaie,

alla Padulella, al Seccione, a Sansone. Spiagge bellissime fatte di ciottoli bianchi

macchiati di nero, bagnate dal mare colore dell’acquamarina.

La spiaggia degli Argonauti a Capo Bianco (Foto©Rinaldi).

Le “macchie” di tormalina sui ciottoli della

spiaggia di Capo Bianco incuriosirono gli

antichi frequentatori dell’isola e ispirarono

la narrazione mitologica degli Argonauti

(Foto©Dini).

80

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


L’erosione e l’azione meccanica delle onde, talvolta isola i noduli

di tormalina dalla roccia mostrando chiaramente la loro geometria

sferoidale (Diametro circa 8 cm; Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

81


6.3 Il fascino

delle forme

IL QUARZO DELLA ZONA BIODOLA-PROCCHIO

“Cristallo di Monte in pezzi grossi come un pomo di bastone. Guglie cristalline,

che nella trasparenza non sono inferiori ai Cristalli dei Svizzeri”. Anton Giacinto

Cecchini (Comandante della Marina all’Isola d’Elba ) nel 1783 descrive così i

cristalli di quarzo che i contadini e i pastori trovavano frequentemente nel

terreno tra Biodola e Procchio. Siamo nella zona settentrionale del grande

complesso di laccoliti porfirici dell’Elba Centrale. I porfidi granitici che si

alternano alle rocce sedimentarie (calcari, arenarie, argilliti) hanno un aspetto

meno compatto del solito, spesso sono friabili o addirittura trasformati in una

massa terrosa. Sono gli effetti del passaggio dei fluidi idrotermali che hanno

mobilizzato buona parte del sodio, del calcio, del magnesio e del ferro lasciando

solo silice, alluminio e potassio. Il porfido granitico, costituito da quarzo,

ortoclasio, plagiocalsio e biotite, è stato trasformato in una roccia idrotermale

fatta di quarzo e muscovite. Al posto dei grandi cristalli idiomorfi di sanidino

spesso troviamo dei buchi che ne mantengono la forma. Questa rielaborazione

mineralogica e chimica è avvenuta tra sei e sette milioni di anni fa quando le

rocce di cui parliamo erano ancora sepolte a molti chilometri di profondità.

L’elemento chimico più abbondante nel porfido è il silicio (quasi il 40 % in peso)

e i fluidi idrotermali ne presero in soluzione una parte per poi precipitare nelle

fratture della roccia bellissimi cristalli di quarzo. Non solo nelle fratture del

porfido granitico ma anche nelle fratture delle rocce sedimentarie adiacenti

(soprattutto nell’arenaria).

Inclusioni fluide a “cristallo negativo” in un

cristallo di quarzo di 2 cm; Biodola-Procchio

(Coll. e Foto©Miglioli).

Pomonte foto ©DanieleFiaschi

82

I QUADERNI DI ENJOY ELBA



Quarzo - gruppo di cristalli fino

a 8 cm; Biodola-Procchio

(Coll. Prati, Foto©Miglioli).

84

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


I cristalli di quarzo della zona Biodola-Procchio sono noti in

ambito collezionistico e museologico per la loro limpidezza,

per la grande varietà di morfologie cristallografiche e per la

frequente presenza di “gocce di acqua” incluse nei cristalli.

Il fluido acquoso che produsse le intense trasformazioni

idrotermali fu intrappolato durante la crescita dei cristalli e

oggi lo possiamo vedere e analizzare con speciali strumenti

di laboratorio. I geologi studiano queste inclusioni fluide

per definire le condizioni di temperatura e pressione

durante l’evento idrotermale e anche per scoprire la

composizione chimica del fluido idrotermale. Un carattere

ricorrente di questi cristalli di quarzo è la presenza di

tramogge. Le tramogge sono dei buchi di forma complessa,

Dettaglio di una bella tramoggia su una faccia terminale di romboedro

di un cristallo di quarzo della zona Biodola-Procchio (Coll. e Foto

©Miglioli). Il colore marrone-rossastro è causato da argilla e idrossidi

di ferro infiltratisi nella tramoggia.

Quarzo - cristalli ialini divergenti di 4 cm con inclusioni fluide;

Procchio (Coll. Prati e Foto ©Miglioli).

ma geometrica, che interessano soprattutto le

facce terminali di romboedro. Si formano quando

il cristallo cresce più rapidamente lungo gli

spigoli e i vertici mentre le facce restano indietro.

Le tramogge possono essere interpretate come

inclusioni fluide “abortite”. Se la tramoggia

fosse stata “cicatrizzata”, durante l’ultimo stadio

di cristallizzazione, la cavità piena di fluido

idrotermale sarebbe stata isolata dall’esterno

fornendoci un campione indisturbato del fluido

di cristallizzazione. La competizione tra la rapida

crescita del quarzo e la velocità di diffusione della

silice nel fluido idrotermale decise se il cristallo ci

doveva offrire una bella tramoggia da collezione

oppure una grande inclusione fluida per gli studi

petrologici.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

85


Uno dei vecchi scavi nella scogliera di porfido granitico,

sotto Casa Ischia, da dove furono estratti esemplari di

quarzo ametistino in piccoli cristalli (Foto©Dini).

6.4 Voglia di Brasile

IL QUARZO AMETISTINO DI CASA ISCHIA

86

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Se il quarzo è il minerale più conosciuto dal grande pubblico, la sua varietà

ametista lo è all’ennesima potenza. I grandi geodi di quarzo ametista brasiliani

sono stati commercializzati in tutto il mondo e se ne vedono esemplari nelle

vetrine dei negozi o come soprammobili nelle case. Sono indubbiamente oggetti

belli ma, a parte alcuni casi eccezionali, essi vengono considerati materiali

dozzinali e di scarso pregio in ambito museale e collezionistico. È deprimente

vedere esemplari di quarzo ametista brasiliano in vendita nei negozi o nei

bookshop dei musei/parchi toscani e elbani. Ci scandalizziamo di fronte al

tentativo di commercializzare un formaggio “parmesan” prodotto in Cile, ma non

ci poniamo il minimo problema se il turista che viene a visitare la regione con i

cristalli di pirite più belli del mondo deve tornare a casa con in mano un pezzetto

di pirite peruviana. In una regione ricca di minerali come la Toscana questo è

un controsenso che andrebbe evitato o comunque attenuato. Un progetto di

estrazione controllata di minerali in alcune località toscane permetterebbe

di rifornire queste strutture sostenendo un commercio rispettoso della storia

geologica, mineraria e collezionistica della regione. Alcuni tentativi degni di

nota sono stati fatti nella miniera di Rio Marina. Il materiale estratto, oltre a

impreziosire il Museo del Parco Minerario, è stato regolarmente distribuito nelle

realtà commerciali del territorio riscuotendo un discreto successo tra turisti e

collezionisti.

C’è una località minore, quasi sconosciuta, nell’Elba Centrale dove in passato

sono stati estratti esemplari di quarzo ametistino in druse di piccoli cristalli

che ricordano quelle brasiliane. Le dimensioni dei cristalli sono decisamente

inferiori come pure l’intensità del colore che non raggiunge mai la saturazione

di quelli sudamericani. Lungo la costa settentrionale del Golfo di Campo gli

affioramenti di porfido granitico sono attraversati da un reticolo di vene

di quarzo che occasionalmente mostrano delle cavità tappezzate di piccoli

cristalli di quarzo. Il colore in genere è bianco o grigiastro ma in località Casa

Ischia furono trovate druse di cristalli ametistini. La varietà ametista del

quarzo si trova anche in altre località dell’isola e, trasgredendo alla struttura

dell’opera, colleghiamo l’ametista di Casa Ischia con quella trovata in varie

località minerarie dell’Elba Orientale. Il colore è simile ma l’abito dei cristalli

è totalmente diverso. Bei cristalli prismatici di quarzo ametista furono trovati

nell’ematite della miniera di Rio Marina (Cantiere Bacino), come pure nello skarn

di Santa Filomena a Rio Marina e nella magnetite di Capo Calamita (Cantiere

Vallone).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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Drusa di cristalli millimetrici di quarzo ametista; Casa Ischia, Golfo di Campo (Coll. Museo di Storia

Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).

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I QUADERNI DI ENJOY ELBA


In alto a sinistra: Grande cristallo prismatico (12 cm) di quarzo ametista del cantiere Bacino; Rio Marina

(Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).

In basso a sinistra: Quarzo ametista – gruppo di cristalli fino a 5 cm su magnetite e quarzo; Cantiere

Vallone, miniera di Capo Calamita (Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).

A destra: Quarzo ametista - cristallo prismatico (2,2 cm) da Santa Filomena, Rio Marina

(Coll. e Foto©Miglioli).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

89


6.5 I cristalli

di Foresi

LA CALCITE DI FORTE FALCONE

All’Isola d’Elba i cristalli dei minerali sono ovunque, anche in città. Camminando per

la città vecchia di Portoferraio, fate attenzione alle rocce che affiorano lungo alcune

scarpate o nel tunnel di Porta di Terra. La roccia bianca, massiccia, in grandi banchi

stratificati, utilizzata anche per la costruzione delle case e delle fortificazioni della

città, è un calcare a grana finissima che i geologi chiamano Calcare a Calpionelle.

Ottima pietra da costruzione. Se fate attenzione vi accorgerete che la massa del

calcare è attraversata da innumerevoli vene candide di calcite e da piccole cavità

carsiche rivestite da uno strato di cristalli di calcite. Sulla falesia a nord di Forte

Falcone, la fortificazione nella parte alta della città vecchia, le vene e le cavità carsiche

sono di notevoli dimensioni e ospitano ampie cavità con cristalli di calcite grandi

anche diversi centimetri. Qui la roccia è fortemente brecciata ed il colore passa a

rosa tenue, rosso e marrone. Questa cosa non poteva sfuggire al collezionista più

famoso dell’isola: Raffaello Foresi. Tra il 1850 e il 1876, Foresi costituì una straordinaria

collezione di minerali elbani, in cui la calcite di Forte Falcone era uno dei minerali più

rappresentati. Sembra che Foresi avesse una specie di fissazione per questo minerale

elbano, malgrado il minor pregio rispetto agli iconici esemplari di ematite, pirite,

elbaite e pollucite. Uno dei migliori “giacimenti” di cristalli di calcite, il Foresi lo aveva

proprio sotto casa a Portoferraio: la falesia di Forte Falcone.

90

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


La falesia calcarea alla base di Forte Falcone dove sono stati estratti i cristalli di calcite di Raffaello Foresi (Foto Sailko, Wikimedia Commons).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

91


Nel corso di innumerevoli scavi furono estratti centinaia di

esemplari con cristalli di calcite di abito cristallografico e

colore molto variabili. Alcuni con abito scalenoedrico, altri

con abito romboedrico, altri ancora con cristalli romboedrici

geminati in modo inusuale. Questi ultimi erano assai ricercati

per le collezioni e furono studiati in dettaglio nel 1867 dal

mineralogista tedesco Gerhard Vom Rath. A questo proposito

è interessante ricordare un divertente aneddoto che si evince

leggendo l’articolo sulla calcite di Vom Rath. L’esemplare

di calcite studiato era stato acquistato dal commerciante di

minerali tedesco August Krantz ed era privo della località di

provenienza, riportando un generico “Elba ”. Un esemplare

simile, anche questo con provenienza generica “Elba ”, è

ancora presente nelle collezioni del Museo di Mineralogia

dell’Università di Pisa. Il Vom Rath scrisse comunque che

l’esemplare di calcite da lui studiato doveva provenire da Forte

Falcone perché era da questa località che Foresi estraeva

i migliori campioni di calcite. Sembra quindi che il Foresi

commercializzasse molti esemplari senza dare precise

indicazioni sulla località di provenienza. Un’abitudine antica,

diffusa ancora oggi, dei commercianti e dei collezionisti

di minerali per mantenere segrete le zone di estrazione e

ostacolare il lavoro di eventuali competitori.

92

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Drusa di cristalli scalenoedrici-romboedrici di calcite; Forte

Falcone (Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di

Pisa; Foto©Dini).

Ritratto di Raffaello Foresi, di Antonio Ciseri; Pinacoteca Foresiana,

Portoferraio (Foto Sailko, ©Wikimedia Commons).

Cristallo di calcite con abito complesso formato da un

romboedro (arancio), vari scalenoedri (verde e giallo) e il

prisma esagonale (bianco); Forte Falcone (modificato

da un disegno di Emanuele Grill).

A sinistra: Drusa di cristalli romboedrici, geminati di calcite

simili a quelli descritti da Vom Rath nel 1867; falesia di Forte

Falcone (Coll. Museo di Storia Naturale dell’Università di

Pisa; Foto©Dini).

Cristalli romboedrici geminati di calcite; Forte Falcone

(modificato da un disegno di Gerhard Vom Rath).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

93


6.6 Campo ai Peri

I GRANATI VENUTI DA LONTANO

Parlando dell’Elba Occidentale abbiamo visto che le rocce

dell’aureola di contatto del plutone granitico di Monte Capanne

hanno subito intensi effetti metamorfici e idrotermali. Il risultato

è stato la formazione di splendide cristallizzazioni di granato

ed epidoto ma anche di clorite, titanite, clinozoisite, vesuviana,

wollastonite e pirosseno. Minerali che in genere troviamo nelle

immediate vicinanze delle intrusioni granitiche perché hanno

bisogno di temperature relativamente alte per formarsi. Nell’Elba

Centrale non si sono avuti grandi effetti metamorfici di contatto

perché il magma granitico si è intruso a bassa profondità

formando intrusioni tabulari all’interno di rocce relativamente

Dalle montagne sopra Porto Azzurro, guardando verso ovest, si vedono le pendici orientali di Monte

Orello con la stretta Valle dei Catenacci che si apre in corrispondenza di Campo ai Peri (Foto©Dini).

I cristalli di granato provengono dalle rocce basaltiche nella parte bassa della Valle dei Catenacci. Sullo

sfondo a destra si nota il paese di San Piero sulle pendici del Monte Capanne e all'orizzonte la Corsica.

fredde. Tuttavia esiste una fascia di rocce ofiolitiche (basalti,

gabbri e serpentiniti) e calcaree, tra la Punta delle Grotte nella

Baia di Portoferraio e Capo Norsi nel Golfo Stella, dove sono

estremamente diffuse belle cristallizzazioni di granato, epidoto,

wollastonite, pirosseno e vesuviana. Gli esemplari più belli di

granato ed epidoto furono scoperti nel 1800 nella località di

Campo ai Peri tra Portoferraio e Porto Azzurro. Cosa ci stanno

a fare? Siamo molto lontani dal plutone del Monte Capanne e

94

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Cristalli rombododecaedrici di granato grossularia associati a

cristalli di quarzo latteo su un tappeto di cristalli verdi di epidoto

(Coll. Vannini, Foto©Biagioni).

anche le intrusioni del sistema magmatico di Porto Azzurro sono

ad almeno 2 chilometri di distanza. Una spiegazione ci sarebbe.

Livio Trevisan (Università di Pisa) la intuì quando, negli anni

1940-50, stava ridefinendo la geologia elbana . Tutto il settore

centrale dell’isola un tempo stava sopra la verticale del Monte

Capanne. Durante la formazione del plutone granitico, questo

blocco crostale scivolò progressivamente verso est, lungo una

superficie tettonica inclinata a basso angolo, fino a trovarsi a

circa dieci chilometri di distanza dalla posizione originaria. Le

rocce ofiolitiche-carbonatiche della fascia Punta delle Grotte-

Capo Norsi potrebbero rappresentare un “pezzo” dell’aureola di

contatto del Monte Capanne, tagliato e traslato verso est. I granati

di Campo ai Peri potrebbero non avere una “radice” profonda ma

semplicemente essere arrivati da molto lontano!

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

95


6.7 Meglio

beta o alfa?

I QUARZI BIPIRAMIDALI

DI CAMPO ALL’AIA

Nell’area tra Procchio e Biodola, oltre ai bellissimi cristalli di

quarzo ialini descritti in precedenza, si possono raccogliere

cristalli di quarzo di forma assai diversa. Cristalli

“bipiramidali” a sezione esagonale, bianchi, raramente

trasparenti. La terminazione dei cristalli è simile a quella

osservata nei cristalli delle vene idrotermali, ma il prisma

esagonale è estremamente corto, a volte assente. Questo è

il quarzo che cresce nel magma granitico prima che venga

iniettato nelle intrusioni sub-vulcaniche. I mineralogisti lo

chiamano quarzo-beta, perché formandosi a temperature

superiori a 600°C, ha una struttura cristallografica

leggermente diversa dal quarzo idrotermale di più bassa

temperatura che viene denominato quarzo-alfa. I porfidi

granitici dell’Elba Centrale, e più in generale tutte le rocce

granitiche e riolitiche della Toscana contengono miliardi di

fenocristalli bipiramidali di quarzo-beta. Separarli

dalla roccia è molto difficile perché gli altri minerali

magmatici vi aderiscono tenacemente. Tra Procchio

e Biodola, lo stesso processo idrotermale che ha

creato le vene idrotermali con i cristalli di quarzoalfa,

ha alterato i feldspati del porfido liberando dalla

morsa magmatica le “bipiramidi” di quarzo-beta.

In tutta la zona è facile trovare cristalli bipiramidali

isolati grandi fino a 2 centimetri, ma nella vallecola

a monte di Campo all’Aia sono particolarmente

abbondanti. A onor del vero non si può più parlare

di vero quarzo-beta. I cristalli si formarono come

quarzo-beta ma, come la temperatura scese

sotto i 600°C, si trasformarono in quarzo-alfa

cambiando l’ordine interno degli atomi di silicio e

96

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


ossigeno. Dovremmo chiamarlo: quarzo-alfa paramorfo

di quarzo-beta. I petrologi studiano questi cristalli perché

possono avere intrappolato piccole gocce del magma in

cui si formarono (oggi trasformate in vetro o in silicati

criptocristallini). Anche dalle inclusioni di vetro del quarzobeta

è possibile ricavare informazioni su temperatura,

pressione e composizione chimica del sistema magmatico in

cui stavano cristallizzando.

A sinistra:

Sopra Campo all’Aia c’è una zona di porfido profondamente alterato dove

alla superficie si vedono migliaia di cristalli “bipiramidali” di quarzo sciolti

nel terreno (Foto©Dini).

A destra:

Cristallo “bipiramidale” di quarzo alfa paramorfo di quarzo beta (2,2 cm);

Procchio (Coll. e Foto©Miglioli).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

97


6.8 Piccolo è bello

LE CAVITÀ MIAROLITICHE DI SAN MARTINO

L’Elba ci stupisce per la varietà di

minerali e per la relativa frequenza

di esemplari mineralogici estetici,

con eleganti cristalli di grandi

dimensioni. Ma bello non vuol dire

per forza grande. Esiste un mondo

sorprendente fatto di cristalli

piccolissimi da scoprire attraverso un

microscopio stereoscopico o anche

uno dei nuovi microscopietti digitali

da collegare direttamente al computer.

Bastano 20-40 ingrandimenti per

immergersi nel magico mondo dei

microminerali. Si parla in genere

di cristalli inferiori al millimetro!

Per trovare begli esemplari basta

raccogliere qualche pezzetto di

roccia in qualche località dell’isola e,

una volta tornati a casa, frantumarli

in pezzi di piccole dimensioni da

guardare al microscopio. Se avrete

preso le rocce giuste sarà facile

scoprire decine di piccole cavità

tappezzate da microscopici cristalli

idiomorfi di vari minerali. Anche un

banale cristallino di calcite o quarzo

può offrire riflessi, geometrie e colori

di grande interesse.

La parte sommitale del bastione

montuoso tra Monte San Martino e

Monte Tambone è una località ideale

per andare a caccia di microminerali.

In quest’area affiora estesamente

il Porfido granitico di San Martino

con i suoi grandi cristalli magmatici

di sanidino e quarzo e i più piccoli

98

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


fenocristalli di biotite e plagioclasio.

Come abbiamo già accennato, in

questi porfidi è impossibile trovare

vene pegmatitiche come quelle

della zona di San Piero. Tuttavia il

magma granitico che ha prodotto il

porfido era ricco di boro e, quando

il magma cristallizzò, piccole gocce

di fluido acquoso ricco di boro,

fluoro, silice rimasero intrappolate

nella massa della roccia granitica.

Si formarono così miriadi di piccole

cavità miarolitiche grandi pochi

millimetri tappezzate da microcristalli

di adularia, quarzo, ciuffetti di

cristalli aghiformi verdi-marroni di

tormalina ferrifera, sferule di clorite e

muscovite, ottaedri di fluorite verde,

cristalli bipiramidali di anatasio

nero-blu, aghetti di berillo bianco e

chissà quanti altri minerali ancora

che attendono di essere identificati.

Localmente le micro-gocce di fluido si

riunirono insieme e produssero cavità

miarolitiche di alcuni centimetri

in cui sono stati trovati bei cristalli

di tormalina nera grandi fino a 2

centimetri.

A sinistra:

Cristallo ottaedrico di fluorite verde di 1 mm associato a cristalli

ialini di adularia e quarzo e a globuli di clorite e muscovite. Da una

cavità miarolitica nel porfido granitico di Monte San Martino (Coll.

e Foto©Dini).

Al centro:

Ciuffo di cristalli di tormalina ferrifera verde-marrone (1, 5 mm)

associata a cristalli ialini di adularia e quarzo; Monte San Martino

(Coll. e Foto©Dini).

A destra:

Cristalli prismatici tozzi di tormalina ferrifera nera (1 cm) da una

cavità miarolitica nel porfido granitico di Monte San Martino (Coll. e

Foto©Biagioni).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

99


L’ex area mineraria di Rio Marina (Parco Minerario dell'Isola d'Elba) vista da

Cima del Monte (Foto©Dini). Sullo sfondo, l’area siderurgica di Piombino

dove veniva trattato il minerale elbano.

100

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Elba

Orientale

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

101


7.1 Elba

Orientale

FERRO MEDITERRANEO

PICCOLI, UTILI E …

RICCHI DI CRISTALLI

Per quasi tre millenni i giacimenti

di ferro dell’Isola d’Elba sono

stati scavati per estrarre ossidi e

idrossidi di ferro. In totale sono

stati prodotti circa 60 milioni di

tonnellate di minerale ferrifero.

Sembra una bella quantità ma in

effetti non lo è. Al giorno d’oggi per

condurre in modo remunerativo

una miniera di ferro è necessario

che il giacimento contenga alcuni

miliardi di tonnellate di minerale.

La più grande miniera di ferro nel

mondo, Carajas in Brasile, produce

fino a 90 milioni di tonnellate di

minerale all’anno: più di quanto

l’Isola d’Elba abbia prodotto in 3000

anni! Insomma, se i giacimenti di

ferro elbani fossero stati scoperti 40

anni fa, non sarebbero mai entrati in

produzione. C’è ovviamente bisogno

di contestualizzare il discorso. Tre

millenni fa i giacimenti elbani erano

sicuramente remunerativi e già una

produzione di alcune migliaia di

tonnellate all’anno era da considerarsi

rilevante. Questo almeno fino al 1700

e alla Rivoluzione Industriale. Da quel

momento in poi le cose cambiarono

rapidamente e i giacimenti elbani

persero progressivamente e

definitivamente il ruolo centrale

di principale risorsa ferrifera del

Mediterraneo. Non dimentichiamo

però la funzione sociale e di sostegno

all’economia locale. Nel secondo

dopoguerra, i piccoli giacimenti elbani,

già in fase di esaurimento, hanno

comunque contribuito a sostenere

l’economia dell’isola e dell’Italia in

generale, aiutando in modo indiretto

la transizione verso un’economia

dell’isola basata sul turismo.

Per musei e collezioni la cosa che

conta di più sono i bei cristalli dei

minerali e non le produzioni di

minerale da mandare in fonderia.

I grandi giganti ferriferi mondiali

sono in genere poverissimi di cristalli

essendo formati da monotone

sequenze di antichi sedimenti ferriferi

metamorfosati. La diversità geomineralogica

dei piccoli giacimenti

elbani viceversa è straordinaria e, da

almeno 500 anni, va ad impreziosire

collezioni pubbliche e private in tutto

il mondo.

DISPUTE SERIE E EXTRAVAGANTI

La prima disputa pseudo-scientifica

sulla geologia dell’Isola d’Elba fu

innescata circa 2000 anni fa. Riguarda

la presunta, e assurda, capacità

dei giacimenti ferriferi elbani di

“rigenerarsi” dopo essere stati scavati.

Strabone, e probabilmente ancor

prima Varrone, dicono chiaramente

che “fossae, unde metalla sunt eruta,

rursum tractu temporis implentur”

(le miniere da cui sono stati scavati i

minerali, vengono nuovamente colmate

nel corso del tempo). Nello stesso

periodo, Virgilio è più prudente e ci dice

semplicemente che i giacimenti ferriferi

dell’Isola d’Elba erano inesauribili

(insula inexhaustis chalibum generosa

metallis). Quest’ultima affermazione

è plausibile considerando che, ai ritmi

produttivi dell’epoca (poche migliaia

di tonnellate/anno), l’esaurimento

dei giacimenti elbani (molte decine

di milioni di tonnellate) avrebbe

richiesto millenni. Ben diversa la prima

affermazione che sembra sottintendere

un comportamento magico e

rigenerante dei giacimenti. Tuttavia

anche questa affermazione potrebbe

essere molto meno esoterica di quanto

si sia pensato in passato. Uno dei più

grandi problemi della miniera di Rio

Marina in epoca moderna era la intima

commistione tra ematite e minerali

argillosi plastici (cloriti, smectiti e

caolino) che rendeva estremamente

102

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


instabili gallerie e trincee di coltivazione.

Nelle relazioni minerarie si evince

una vera e propria lotta dei minatori

per arginare i continui collassi e

smottamenti. È molto probabile che

gli stretti cunicoli di epoca etruscoromana

collassassero continuamente

riempiendosi di minerale e dando la

falsa impressione di un giacimento che

si rigenerava miracolosamente. Inoltre,

come si può osservare ancora oggi a

Rio Marina, l’ossidazione della pirite per

percolazione delle acque meteoriche

produceva continuamente incrostazioni

di idrossido di ferro che intasavano le

gallerie minerarie. Millecinquecento

anni più tardi la forza rigeneratrice

dei giacimenti elbani viene nominata

da Vannoccio Biringuccio (De la

Pirotechnia, 1540), ma per sentito dire,

e senza grande convinzione. L’ipotesi

che il minerale di ferro si formasse

continuamente fu ripresa da Tronson

de Coudray (1774) dopo aver visto dei

picconi incrostati di minerale ferrifero

trovati all’interno di un’antica galleria

di Rio. Pochi anni più tardi Ermenegildo

Pini (1777) e Arsenne Thiebaut de

Berneaud (1808) si espressero

chiaramente contro tale teoria e poi

finalmente, agli albori delle moderne

Scienze Geologiche, il geologo pisano

Paolo Savi (1836) chiuse il dibattito

fornendo le prime accurate descrizioni

dei giacimenti di ferro elbani.

Prima il Savi, e poi anche Bernardino

Lotti e gli altri scienziati della Terra fino

alla metà del 1900, sostennero l’ipotesi

che i giacimenti di ferro dell’Elba

Orientale si fossero formati grazie ai

fluidi idrotermali di alta temperatura

rilasciati durante la cristallizzazione

delle intrusioni granitiche. Intrusioni

tabulari di granito affiorano infatti in

prossimità di molti giacimenti elbani,

da Ortano (a sud di Rio Marina) fino

alla punta estrema della Penisola del

Calamita. I fluidi idrotermali avrebbero

trasportato in soluzione metalli di

origine magmatica (principalmente

ferro) che poi sarebbero precipitati

sottoforma di ematite, magnetite, pirite,

ilvaite, hedenbergite e granato, tutti

minerali contenenti notevoli quantità

di ferro. I fautori di questa ipotesi

“plutonista epigenetica” non tenevano

conto però del fatto che i magmi

granitici elbani contengono poco ferro e

che esso viene frazionato precocemente

durante la cristallizzazione della biotite

magmatica. Quindi, quando i fluidi

idrotermali fuggono dalle intrusioni

contengono ormai pochissimo ferro.

Questo era un paradosso che andava

superato. Alla fine degli anni 1950 un

giovane geologo tedesco – Johann

Bodechtel – stava lavorando all’Isola

d’Elba per la tesi di laurea. I risultati

delle sue ricerche, e del contesto

culturale in cui studiava a Monaco di

Baviera, lo convinsero che i giacimenti

ferriferi elbani non erano stati formati

dai fluidi di origine magmatica. Nel

1965 propose una ipotesi alternativa

che possiamo definire “singeneticoidrotermale”

che spostava la formazione

delle concentrazioni di minerali di ferro

elbane indietro nel tempo: al limite tra

Permiano e Trias, circa 250 milioni di

anni fa. I giacimenti si sarebbero formati

grazie alla circolazione idrotermale e

alla sedimentazione avvenuta sull’antico

fondale marino. Il magmatismo

granitico del Miocene avrebbe solo

interferito casualmente con questi

“proto-giacimenti” di ematite e pirite

creando gli skarn e rimobilizzando

il minerale già presente. L’ipotesi di

Bodechtel fu successivamente ripresa

e sostanziata da un gruppo di scienziati

dell’Università di Firenze guidato dal

professor Giuseppe Tanelli. A questo

periodo – anni 1970/90 – risale lo studio

fondamentale sugli skarn della Toscana

e in particolare su quelli elbani di Torre

di Rio, Ortano, Calamita, Ginevro e

Sassi Neri. Nello stesso periodo, altri

scienziati tra cui Giorgio Marinelli

proposero una terza ipotesi di lavoro

che si ricollegava all’ipotesi epigenetica:

i giacimenti si sarebbero formati nel

Miocene ma il magma granitico avrebbe

fornito solo il calore, promuovendo la

circolazione di fluidi idrotermali non

magmatici (meteorici o marini). I fluidi

caldi avrebbero estratto il ferro reagendo

con delle rocce ricche di biotite, per poi

depositarlo nei giacimenti che conosciamo.

Con la progressiva chiusura delle

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

103


Blocchi di ematite e limonite sulla spiaggia della “Gavina”

a Rio Marina. Sullo sfondo un simbolo scomparso: il pontile

di carico del minerale distrutto dalla mareggiata del 2018

(Foto©Rinaldi).

miniere, negli anni 1980, anche gli studi scientifici sui

giacimenti si affievolirono. I giacimenti di ferro più famosi

dell’antichità attendono ancora risposte. Gli studi geologici,

petrologici e geocronologici condotti negli ultimi venti anni

hanno migliorato molto la comprensione dell’evoluzione

tettono-magmatica dell’isola creando il presupposto per

una nuova fase di studio dei giacimenti. La soluzione va

ancora trovata, e va cercata nella complessità della pila

di unità tettoniche dell’isola e dei sistemi magmaticoidrotermali

elbani e toscani, nei diversi tipi di magmi che li

hanno alimentati nel tempo e nelle reazioni metamorfiche e

idrotermali che hanno coinvolto le rocce metasedimentarie

che ne costituiscono l’involucro profondo. In pratica, la

soluzione è nascosta nella geodiversità dell’isola. Se ne

capiremo il linguaggio, potremo leggere il libro fino all’ultima

pagina.

La ricerca scientifica su questi argomenti non serve più ad

aiutare l’attività mineraria locale ma a sviluppare modelli

concettuali sulla formazione dei giacimenti da applicare

in altre aree della Terra e, più in generale, a comprendere il

funzionamento del nostro pianeta e a raccontarlo alle persone

che, sempre di più, visitano l’isola non solo per motivi balneari.

In questo scenario, il Parco Nazionale dell’Arcipelago e i Parchi

Minerari agiscono da “mediatori culturali” tra scienziati e

visitatori, traducendo in un linguaggio chiaro e accessibile

le conoscenze scientifiche.Scopo delle nostre storie è anche

questo: fornire degli spunti a chi, guide ambientali o turistiche,

svolge il difficile compito di trasferire la conoscenza.

104

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Riomarinaite – cristalli prismatici bianchi di meno di un

millimetro su pirite e bismutinite alterata, Cantiere Falcacci,

Rio Marina (Coll. Senesi, Foto©Ambrino). La riomarinaite è

un nuovo minerale di bismuto scoperto all’Elba nel 2005

grazie all’instancabile attività dei collezionisti di minerali e

degli scienziati.

Una pozza di acqua piovana esalta il colore

del minerale di ferro al Cantiere Vallone,

miniera di Capo Calamita (Foto©Rinaldi).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

105


7.2

Ferro o stagno

e tungsteno?

LA STRANA EMATITE DI TERRANERA

106

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


In genere, i giacimenti di ferro

producono ferro. Ovvio direte voi.

Si e no. Molti giacimenti di altro tipo

producono due o più metalli in quantità

comparabili (giacimenti di Pb-Zn-

Cu) oppure un metallo principale e

vari altri metalli come sottoprodotto

(giacimenti di zinco dove si producono

piccole ma preziose quantità di

indio e cadmio). L’Elba non è stata

un’eccezione, scorrendo le Relazioni

del Servizio Minerario vediamo che

le miniere dell’isola hanno prodotto

solo ferro. Non scendiamo in dettagli

scientifici ma questo fatto non ha mai

stupito nessun geologo. Nessuno si

aspettava di trovare altri metalli in

quantità apprezzabili nell’ematite o

nella magnetite delle nostre miniere.

Nel 1947 nasce a Firenze il Centro

di Studio per la Minerogenesi e la

Geochimica Applicata, diretto all’epoca

da Guido Carobbi e poi confluito, nel

2001, nell’Istituto di Geoscienze e

Il laghetto di Terranera visto dalla sommità delle coltivazioni della

ex-miniera (Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

107


Georsisorse del CNR. Nel corso degli

anni 1950 Carobbi, insieme a Carlo

Minguzzi e a Carlo Garavelli, indagarono

in modo dettagliato la composizione

chimica dei minerali di ferro elbani per

capirne l’origine senza però trovare

concentrazioni particolarmente elevate

di alcun elemento. Sessanta anni più

tardi, siamo nel 2010, le miniere sono

chiuse ma a Marco Benvenuti, esperto

di Archeo-metallurgia dell’Università di

Firenze, viene in mente di riprendere lo

studio geochimico di questi minerali per

ben altri motivi: tracciare i movimenti

del minerale di ferro elbano nell’area

mediterranea durante l’antichità.

Un’idea che aveva sviluppato insieme

all’amico Alessandro Corretti della

Scuola Normale Superiore di Pisa.

Lo studio, condotto in collaborazione

con il geochimico Massimo D’Orazio

(Università di Pisa) e un team affiatato,

portò ad una scoperta inaspettata:

l’ematite in masse microgranulari delle

miniere elbane, la cosiddetta "vena

luccica", aveva sistematicamente un alto

contenuto di stagno e tungsteno.

Le analisi di decine di campioni furono

ripetute per esser certi del risultato.

Molti campioni di ematite vennero presi

in diversi punti dei cantieri minerari

di Rio Marina, Rio Albano e Terranera

ma il risultato era sempre lo stesso:

da molte centinaia a molte migliaia

di grammi di stagno e tungsteno per

tonnellata di ematite. Il record assoluto

fu trovato nei campioni di ematite della

piccola miniera di Terranera vicino a

Porto Azzurro: fino a 8 chilogrammi di

stagno e 5 chilogrammi di tungsteno per

tonnellata di minerale.

Semplificando, un cubo di 60 centimetri

di lato di ematite (1 tonnellata) di

Terranera contiene stagno (8 kg) e

tungsteno (5 kg) per un valore nominale

108

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


di quasi 400 dollari mentre il ferro che vi è contenuto (700 kg)

vale appena 150 dollari. Per tremila anni abbiamo sfruttato

delle miniere di ferro per il ferro ma sarebbe stato meglio

coltivarle (almeno negli ultimi 100 anni) per estrarre stagno e

tungsteno. Le analisi condotte su tutti i maggiori giacimenti di

ferro europei e mediterranei indicano che questi due metalli

sono concentrati in modo anomalo solo nel minerale ferrifero

dell’Isola d’Elba. Analizzando materiali metallurgici da siti

di epoca etrusco-romana e medievale è stato visto che delle

significative quantità dei due metalli vengono intrappolate

anche nelle scorie metallurgiche. L’idea di Benvenuti era

giusta, ora gli archeologi hanno un tracciante geochimico per

ricostruire le rotte commerciali dell’ematite elbana attraverso

il Mediterraneo.

Anche i giacimenti di magnetite

del Promontorio

del Calamita contengono

significative quantità

di minerali di stagno

e tungsteno. Questo

cristallo ottaedrico giallo

di scheelite (tungstato

di calcio) proviene dalla

miniera del Ginevro (Coll.

e Foto©Orlandi).

A sinistra:

I diversi tipi di ematite coltivati un tempo

all’Elba : dietro a sinistra un pezzo della

“vena ferrata” a grana grossa; a destra un

pezzo di “vena luccica” lamellare a grana

fine; di fronte a destra, un mucchietto di

"puletta", la polvere di ematite che veniva

concentrata dal moto ondoso, sulle spiagge

della zona mineraria. Le due palline sono

un esempio degli agglomerati di ematite

che furono prodotti per un certo periodo

nell’impianto di Cala Seregola aspirando

i sedimenti ricchi di ematite presenti sul

fondo marino (Coll. e Foto©Dini; campo

inquadrato 15 cm).

Pirite – cristallo pentagonododecaedrico di

8 cm su ematite lamellare, miniera di Terranera;

(Coll. Giannini, Foto©Rinaldi).

A destra:

Per vedere i minerali responsabili dell’anomalia

di stagno e tungsteno nell’ematite

elbana bisogna usare un microscopio

speciale che, invece della luce normale,

usa un fascio di elettroni (Foto©D’Orazio).

Negli interstizi delle lamelle dell’ematite di

Terranera si scoprono cristalli grandi un

millesimo di millimetro di cassiterite (ossido

di stagno, a destra) e di ferberite (tungstato

di ferro, a sinistra).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

109


7.3 I cristalli di Stenone

L’EMATITE DEL CANTIERE BACINO

Usciti dal Museo del Louvre, mentre girovagate

per le strade di Parigi, vi imbattete in una

famosa libreria antiquaria a pochi isolati

di distanza. Un posto per collezionisti

facoltosi, ma decidete di entrare

lo stesso per curiosare tra libri

e mappe antiche. Il personale vi

guarda con occhi indagatori per

capire le vostre intenzioni. Buttate

li un “J’aimerais jeter un coup d’œil

aux …” tirato fuori da chissà quale recondita

memoria liceale, giusto per tranquillizzarli.

Affascinati dai volumi manoscritti blindati

sotto vetri antisfondamento, venite attirati da

un volumetto grande un palmo appoggiato in

bella vista in uno scaffale di libri meno preziosi.

Roba del 1600, non abbastanza rara da essere tenuta

nelle casseforti di cristallo. Sulla copertina in pergamena

rigida, sicuramente non originale, c’è scritto: “Nicolai Stenonis -

De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus”.

Non ci potete credere, il “Prodromo” di Niccolò Stenone! O meglio, Niels Stensen, visto che era danese.

Un commesso si avvicina e vi sussurra “le livre est au prix de 30.000 €”. Ve lo apre e scoprite che si tratta della prima

Ematite - splendida drusa di 18 cm,

Rio Marina (Coll. Museo di Storia

Naturale dell’Università di Pisa,

Foto©Dini).

edizione del 1669. A questo punto esagerate e chiedete di vedere la tavola delle illustrazioni, quella che sapete bene contenere i

disegni dei cristalli di ematite dell’Isola d’Elba . Belli i disegni sulla carta ormai ingiallita, ma ancora meglio la frase che è passata

alla storia, nascosta tra le didascalie della tavola delle illustrazioni: “… in plano axis laterum, & numerum, & longitudinem varie

mutari non mutatis angulis, …” (nel piano dell’asse, variamente mutano il numero e la lunghezza dei lati, senza che mutino gli

angoli). Che genio! Oggi sembra banale, ma intuire per primi la legge fondamentale della cristallografia moderna, quella sulla

costanza dell’angolo diedro enunciata da Romé de L’Isle nel 1772, non era cosa da poco. Si apriva improvvisamente una finestra

sull’ordine interno della materia solida. Stenone viene considerato uno dei padri della geologia moderna insieme agli italiani

110


Il Cantiere Bacino della Miniera di Rio Marina (Foto©Dini). Il “Filone della Polveriera” occupava la zona nord-orientale del Cantiere - a destra nella foto - sotto il

vecchio magazzino degli esplosivi che si trovava in alto sulla collina. In una parte del “filone” si trovavano bellissime druse di sola ematite, ma c’era una zona

in cui l’ematite era associata a cristalli di quarzo. Tutti i documenti indicano il Cantiere Bacino come la località più famosa e produttiva per le druse di cristalli

di ematite. Dall’antichità fino alla fine del 1800, la “Miniera di Rio” ha sempre coinciso con il Cantiere Bacino e la sua estensione verso l’alto in direzione dei

cantieri Sanguinaccio, Rotonda, Filon Basso. L’estrazione ben organizzata della migliore ematite industriale avveniva qui. Molti altri piccoli scavi sfruttavano

le “terre ferrifere” presenti un po' ovunque. Tra questi cantieri minori c’era anche la “Cavina”, direttamente sulla costa a nord di Rio, che corrisponde a

quello che poi diventerà il Cantiere Vigneria. Bellissime druse di ematite sono state estratte anche in questo cantiere quando, durante il 1900, la coltivazione

venne allargata fin sotto la scarpata che scende da Pozzofondi. Nella favolosa collezione di Giorgio Roster (seconda metà del 1800) i campioni con cristalli

di ematite provengono quasi tutti da “Miniera di Rio” - “Polveriera” (66 esemplari). I pochi campioni della “Miniera di Vigneria” (10 esemplari) sono di ematite

lamellare o micacea e solo due hanno cristalli romboedrici tozzi. La leggenda che i migliori esemplari antichi (1800) di ematite provenissero da Vigneria,

sembra non avere fondamento. Vigneria diventò un cantiere importante solo a partire dalla fine del 1800.

Ulisse Aldrovandi (1522–1605) e Giovanni Arduino (1714-1795).

Il naturalista danese ebbe una vita complicata durante la

quale passò alcuni anni anche in Toscana, presso la corte del

Granduca Ferdinando II. Qui sviluppò i suoi studi di geologia,

paleontologia e appunto di cristallografia. I granduchi di

Toscana avevano l’esclusiva sul commercio dell’ematite

elbana e, a quanto pare, portarono lo Stenone in gita alle

miniere di Rio Marina. La miniera di Rio, un tempo, non era

estesa quanto la vediamo oggi. Buona parte del minerale

industriale migliore veniva cavato nell’area dell’attuale

Cantiere Bacino. Il minerale era costituito prevalentemente

dalla “vena luccica”, ematite microcristallina a grana fine e

abbastanza friabile, e dalla “vena ferrata” ematite a grana

grossolana, durissima e dall’aspetto dell’acciaio.

Una zona del cantiere Bacino era attraversata da un

banco di “vena luccica” mista ad una argilla biancastra - il

"bianchetto" – in cui erano presenti grosse lenti di “vena

ferrata”, ricchissima di cavità tappezzate da fantastici cristalli

di ematite. Quei cristalli per cui Rio Marina è diventata

famosa in tutto il mondo. I cristalli avevano abito variabile

da lenticolare-lamellare, a discoidale, fino a cristalli tozzi a

forma di “botticella”. Sono questi ultimi cristalli che colpirono

la fantasia di Stenone. Se ne trovavano in gran numero e, pur

non misurandone gli angoli tra le facce, riuscì a capire che in

tutti i cristalli gli angoli tra facce analoghe erano identici. Se

nel suo girovagare per l’Europa, Stenone non fosse passato

dalla miniera di Rio Marina, la mineralogia moderna avrebbe

dovuto attendere un’altra mente illuminata. Serendipità.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

111


Goethite irridescente che incrosta cristalli lamellari

di ematite, esemplare di 16 cm dalla miniera

di Rio Marina (Coll. Museo di Storia Naturale

dell'Università di Pisa, Foto©Dini).

112

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Ematite – gruppo di cristalli a “botticella”fino a

2,2 cm; Cantiere Bacino, Rio Marina (Coll. Ricci,

Foto©Rinaldi).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

113


Il “Filone della Polveriera” al Cantiere Bacino ha continuato

a fornire eccezionali druse di cristalli di ematite anche

successivamente, fino alla chiusura della miniera.

Napoleone ne era affascinato e le faceva raccogliere per

fare doni agli amici. Raffaello Foresi e Giorgio Roster,

come pure scienziati di tutto il mondo, ne raccolsero

e acquistarono esemplari per le loro collezioni. Quelle

con cristalli grigio-neri lucenti come l’acciaio e quelli

iridescenti come la coda di un pavone. Altri cristalli erano

incrostati di spesse croste di idrossidi di ferro che intaccate

lasciavano vedere le facce speculari dei cristalli. Altri

esemplari avevano cristalli prismatici di quarzo ialino,

bianco e ametistino distribuiti tra i cristalli di ematite.

Tutti questi cristalli sono più o meno magnetici perché al

loro nucleo sono presenti quantità variabili di magnetite.

Gli ingegneri Giulio Pullè e Celso Capacci, nel 1874, si

lamentavano perché il filone era stato esaurito e non si

potevano più raccogliere esemplari con cristalli di ematite.

Il filone non era esaurito, magari si era interrotto, e infatti

esemplari notevoli sono stati trovati anche nel XX secolo. Il

“Filone della Polveriera” c’è ancora! La parte più profonda,

la radice, è ancora li sepolta sotto i detriti del Cantiere

Bacino.

Sviluppo piano di un cristallo a “botticella” di ematite di Rio Marina raffigurato nella

Tavola del Prodromo di Niccolò Stenone.

Stavate sognando a occhi aperti la storia dei cristalli

di ematite di Stenone e non avete più seguito le parole

del commesso che cercava di vendervi il libro. Allora

uscite, dicendo che il libro è bellissimo ma la copertina,

non originale, vi rende perplessi. Mentre salutate

garbatamente, sorridete pensando alla copia digitale

del Prodromo che, pochi giorni prima, avete consultato

gratuitamente su internet.

Modelli di cristalli di ematite di Rio Marina. La variazione

da abito discoidale ad abito a “botticella” è dovuta al

maggiore o minore sviluppo delle facce di romboedro

diretto (arancio). Il cristallo in alto è simile a quello

raffigurato da Stenone nel Prodromo.

114

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Ematite – cristallo iridescente isolato di 3,5 cm,

Rio Marina (Coll. e Foto©Miglioli).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

115


7.4 L'eleganza

di Platone

LA PIRITE DI RIO MARINA

Questa storia non è totalmente fondata

scientificamente. Abbiamo liberato

la fantasia appoggiandoci a fatti reali

come la mineralogia del giacimento

di Rio Marina e la scoperta dei solidi

regolari nell’antica Grecia. Ci piace

pensare che le risorse ferrifere dell’Isola

d’Elba , contese da Etruschi e coloni

greci (2800-2300 anni fa), abbiano

avuto un ruolo, anche se casuale, nella

scoperta dei cosiddetti solidi platonici.

I solidi platonici sono cinque poliedri

convessi regolari che hanno per facce

poligoni regolari congruenti – cioè tutte

uguali e sovrapponibili – con spigoli,

vertici e angoloidi equivalenti. Più facile

se li descriviamo. Il tetraedro è fatto da

quattro triangoli equilateri, l’esaedro o

cubo da sei facce quadrate, l’ottaedro da

otto triangoli equilateri, il dodecaedro

da dodici facce pentagonali e infine

l’icosaedro da venti triangoli equilateri.

Circa 2500 anni fa, Pitagora, Platone e

Teeteto li studiarono e ne fornirono la

dimostrazione e i metodi di costruzione.

Secondo Euclide, il tetraedro, il cubo

e il dodecaedro furono introdotti

da Pitagora e solo successivamente

Teeteto, allievo di Platone, introdusse

l’ottaedro e l’icosaedro. Alcuni famosi

matematici sono “tormentati” da questa

sequenza temporale. Perché l’ottaedro

che è di più facile dimostrazione, e

intuibile anche dalla conoscenza delle

piramidi egizie (metà ottaedro), è stato

introdotto dopo il dodecaedro? Diciamo

subito che a noi questo dilemma non

da alcun tormento. Tuttavia, volendo

far dormire notti più serene agli amici

matematici, abbiamo escogitato una

possibile soluzione.

La pirite è un minerale che cristallizza

nel sistema cubico e perciò forma

cristalli di abito cubico, ottaedrico e

pentagonododecaedrico, o di abito

più complesso in cui intervengono

contemporaneamente tutte e tre le

forme e anche facce appartenenti al

rombododecaedro, triacisottaedro,

icositetraedro, diacisdodecaedro, etc.

Comunque sia, ricordatevi le tre forme

iniziali e le altre scordatele. Sono roba

da cristallografi o collezionisti nerd.

Il dodecaedro platonico somiglia

moltissimo al pentagonododecaedro

della pirite, ma in quest’ultimo le facce

pentagonali non sono perfettamente

congruenti per motivi di simmetria.

A volte il pentagonododecaedro e

l’ottaedro si uniscono e intersecandosi

costituiscono cristalli di pirite di abito

apparentemente icosaedrico platonico.

Anche in questo caso non si tratta di un

vero solido platonico perché le facce

triangolari dello pseudo-icosaedro non

sono equilatere.

116

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Pirite – gruppo di cristalli pentagonododecaedrici

fino a 4 cm, Valle Giove, Rio Marina

(Coll. e Foto©Lorenzoni).

A sinistra: il pentagonododecaedro della pirite.

A destra: il dodecaedro di Platone.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

117


In tutti i cantieri della miniera di Rio Marina, i cristalli di pirite

più comuni sono di forma pentagonododecaedrica. I cristalli di

abito cubico erano comuni, ma sempre subordinati ai cristalli

pentagonododecaedrici. Viceversa i cristalli di abito ottaedrico

sono stati trovati raramente. Ancora più rari, e per questo

molto ricercati dai collezionisti, sono i cristalli ad abito pseudoicosaedrico.

Una nave greca di ritorno in Magna Grecia carica di

ematite elbana , avrebbe portato sicuramente qualche souvenir

mineralogico: cristalli di ematite e pirite prevalentemente,

forse qualche cristallo di quarzo. Un regalo gradito per il

sommo Pitagora, arrivato da poco a Crotone. È molto probabile

che, nel pacchetto, Pitagora avrebbe trovato molti cristalli

pentagonododecaedrici di pirite oltre ad alcuni di abito cubico.

Un’ottima ispirazione per i suoi solidi regolari: dodecaedro

e esaedro. Nel tempo, nuovi carichi di minerale elbano

potrebbero essere arrivati fino ad Atene e qualche cristallo

ottaedrico e pseudo-icosaedrico di pirite potrebbe essere stato

notato da Platone e dall’allievo Teeteto.

La storia è pura fiction ma è possibile che la frequenza

relativa degli abiti cristallografici della pirite di Rio Marina

abbia influenzato la scoperta sequenziale nel tempo dei vari

solidi platonici. Più materiale arrivava e più aumentavano le

possibilità di trovare qualche cristallo ottaedrico e pseudoicosaedrico.

E il tetraedro, direte voi? Perché non ne avete

parlato? Non possiamo mica spiegarvi tutto. Andate su internet

e cercate di scoprire quali minerali formano cristalli tetraedrici,

magari ci potete scrivere voi una storia!

Pirite – gruppo di cristalli cubici fino a 4 cm,

Falcacci, Rio Marina (Coll. e Foto©Dini).

118

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Pirite ottaedrica – il cristallo di destra, su ematite, è

grande 4 cm; il gruppo di sinistra è di circa 2 cm, Rio

Marina (Coll.Museo di Storia Naturale dell’Università

di Pisa; Foto©Dini).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

119


Come si forma lo pseudo-icosaedro:

ottaedro (giallo) + pentagonododecaedro

(verde); a destra, in rosa, l’icosaedro

platonico

Come si forma un geminato a “croce di

ferro: due cristalli pentagonododecaedri

compenetrati ruotati di 90°

Pirite – cristalli pseudo-icosaedrici fino a 3 cm su ematite, Bacino, Rio Marina (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).

120

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Pirite –geminato a “croce di ferro” di 7,5

cm su clorite, Valle Giove, Rio Marina (Coll.

Ricci, Foto Rinaldi)

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

121


7.5 I metalli di

Pseudo-Aristotele

LE MERAVIGLIE DI GROTTA RAME

Anni 1970, nell’aria c’è odore di chiusura perché i corpi

minerari più grandi e facilmente coltivabili sono stati

esauriti e l’estrazione del minerale di ferro nelle miniere

elbane accelera andando a “grattare” i residui disponibili.

Nella miniera di Capo Calamita si finisce di abbattere lo

sciame di lenti di magnetite incassate nella grande lente

di skarn (hedenbergite e ilvaite) che correva tra il vecchio

cantiere Francesche e il cantiere Vallone Basso a livello del

mare. Serviva per scendere a coltivare la lente inferiore.

Nell’occasione viene anche scoperchiata la “Grotta Rame”

(quota 49 m), un cantiere anomalo, di scarsa qualità perché

ricco di silice opalina impregnata di idrossidi di ferro,

di masse terrose di ossidi di manganese e di minerali

argillosi (smectite), ma soprattutto ricco di minerali di

rame. Meravigliose concrezioni di crisocolla azzurra e verde

alternate a croste di silice opalina nera, limonite arancione,

ciuffi verdi di malachite, cristalli azzurri a losanga di

azzurrite e microcristalli verde scuro di clinoatacamite. Ne

furono estratte a tonnellate ma non finirono negli impianti

metallurgici. Andarono sul mercato del collezionismo di

minerali, soprattutto verso i paesi di lingua tedesca. Buona

parte del materiale finì probabilmente nelle discariche visto

lo scarso valore industriale di questo minerale misto. Alcuni

blocchi e ciottoli si vedono ancora oggi, stondati dall’azione dei

frangenti, lungo la spiaggia delle Francesche o del Cannello.

Grotta Rame fu cancellata nel giro di pochi anni dall’azione

Cristalli cubici millimetrici di cuprite su idrossidi di ferro, Grotta Rame, Capo Calamita (Coll. e Foto©Dini).

122

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Aggregato dendritico di cristalli di rame nativo, 7 cm, Grotta

Rame, Capo Calamita (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).

delle mine e delle ruspe. Tra i collezionisti di minerali

dell’epoca ci fu un disperato tentativo di andare a estrarre

qualche esemplare prima che la grotta delle meraviglie

scomparisse.

Cosa rimane oggi di Grotta Rame oltre ai blocchi rotolati in

riva al mare? Gli esemplari “salvati” dai collezionisti di tutto

il mondo, le relazioni minerarie e qualche foto sgualcita. I

residui della grande lente intermedia di skarn affiorano in riva

al mare (Vallone Basso) e salgono fino a quota +40, sopra gli

impianti di carico. Sopra questa quota e fino a quota 112 m,

oggi vediamo solo marmo. Alla famosa quota “+ 49 m” c’è un

ampio pendio brullo e cumuli di detrito dove oggi sfrecciano i

mountain bikers. I geologi sono un po' “detectives” e curiosando

tra collezioni polverose e archivi minerari, grazie anche ai

sopralluoghi effettuati con la disponibilità della società che

gestisce la ex-miniera (Caput Liberum S.r.l.), siamo riusciti

a ricostruire virtualmente la geologia della grotta delle

meraviglie. Grotta Rame era un reattore supergenico. Una

porzione della lente di skarn molto ricca di solfuri di ferro

e rame (pirite e calcopirite) che, a causa delle numerose

fratture, era stata invasa dalle acque superficiali. Le acque

meteoriche sono molto ossidanti e destabilizzano i solfuri (i

geologi la definiscono alterazione supergenica) portando in

soluzione i metalli e trasformando lo solfo dei solfuri in acido

solforico. L’ossidazione dei solfuri è una reazione esotermica

e quindi, in breve tempo, l’acqua meteorica divenne calda e

acida e ancor più aggressiva, non solo con i solfuri, ma anche

con il marmo e addirittura con i silicati dello skarn. Una specie

di reazione a catena che provocò la progressiva argillificazione

dello skarn, l’allargamento delle fratture del marmo e la

precipitazione intermittente di minerali ossidati di rame, ferro

e manganese (quest’ultimo lisciviato dai silicati dello skarn).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

123


Sulla parete di marmo che sale ripida da quota +60

fin su al Trincerone di quota 112m, si vedono ancora i

camini verticali da cui si era infiltrata l’acqua meteorica

e lungo i quali, dopo aver reagito con i solfuri di ferro e

rame, l’acqua aveva depositato minerali di ferro e rame.

A seconda delle oscillazioni di temperatura, acidità e

potenziale di ossido-riduzione, l’acqua poteva reagire con

i solfuri dello skarn o depositare i metalli lisciviati. Nei

camini dentro al marmo le condizioni erano più ossidanti

e il rame precipitò sottoforma di carbonati, cloruri e

silicati di rame. Nello skarn in reazione, le condizioni

oscillavano da ossidanti a più riducenti e oltre agli splendi

minerali verdi-azzurri di rame si formarono anche degli

eleganti aggregati arborescenti dendritici di rame nativo e

dei cristalli di cuprite. Facendo una stima dell’abbondanza

di rame nativo e delle dimensioni del reattore, è possibile

che a Grotta Rame si fossero formate molte centinaia di

chilogrammi di metallo.

Immaginate di essere un esploratore Rinaldoniano e

di trovarvi sopra un affioramento come Grotta Rame.

Sarebbe stata la cuccagna! Rame già pronto all’uso senza

bisogno di perdere tempo a costruire forni metallurgici

per ridurre i solfuri o i carbonati di rame. Un posto da

ricordare e magari, una volta cambiate le conoscenze

metallurgiche, da sfruttare anche per l’abbondante

minerale di ferro presente li vicino (magnetite e ematite).

La fantasia corre ma il cosiddetto Pseudo-Aristotele, 2300

anni fa, poteva aver ragione: “… un’isola chiamata Aethalia,

nella quale dalla medesima miniera prima era stato

ricavato il rame … e poi non se ne sarebbe più trovato; ma,

trascorso molto tempo, … vi apparve il ferro, del quale

tuttora si servono gli Etruschi …”.

Aggregati centimetrici di cristalli aciculari di malachite a forma di “cavolfiore”,

Grotta Rame, Capo Calamita (Coll. Giacomelli, Foto©Rinaldi).

124


Elba — I FIORI DELLA TERRA

125


7.6 Crisi

diplomatiche

L’ILVAITE DELLA TORRE DI RIO

Ilvaite – Cristalli prismatici fino a 3 con quarzo; Cala

Baroccia, Rio Marina (Coll. Lorenzoni, Foto©Dini).

Lenti di rodingite nella massa di metaserpentinite

di Punta Polveraia (Foto©Dini).

126

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Ilvaite – Cristalli prismatici lunghi fino

a 3 cm associati a cristalli di quarzo

e calcite su matrice di hedenbergite;

Torre di Rio Marina (Coll. Museo di

Storia Naturale dell’Università di Pisa,

Foto©Dini).

Tra il 1816 e il 1822, l’esploratore e naturalista tedesco

Eduard Rüppel fu inviato varie volte all’Isola d’Elba dalla

Senckenbergischen Naturforschenden Gesellschaft (Società

dei Naturalisti di Senckenberg; Germania) per uno scopo ben

preciso: ottenere degli esemplari con cristalli di ilvaite dello

skarn della Torre di Rio. L’ilvaite è un bel minerale e, all’epoca

era un minerale scoperto da poco tempo e quindi non ancora

rappresentato in molte collezioni mineralogiche museali. Un

buon motivo, ma c’era dell’altro. Leggendo l’articolo pubblicato

da Rüppel nel 1825 sulla rivista Zeitschrift fur Mineralogie si

evince immediatamente una notevole acredine nei confronti

dell’ingegnere minerario francese Claude-Hugues le Lievre

che nel 1807 aveva identificato questo minerale come specie

nuova. Rüppel a un certo punto scrive che l’importanza

di questa nuova specie “… fu ampiamente riconosciuta,

ma con grande fastidio degli appassionati delle collezioni

mineralogiche. Le Lievre usa il monopolio della sua scoperta

in un modo molto egoistico, negoziando ogni pezzetto

di questo minerale, non importa quanto piccolo, a prezzi

altissimi …”. Possibile che tutto questo livore scaturisse da dei

minerali venduti a prezzi troppo alti?

In effetti il problema era un altro. Questioni diplomatiche

internazionali. I rapporti tra Germania e Francia non erano

mai stati ottimali e la disfatta, nella battaglia di Jena del 1806,

delle truppe prussiane da parte della Grande Armata francese

guidata da Napoleone Bonaparte non aveva migliorato le cose.

Le Lievre nel 1807, pensò bene di dedicare il nuovo minerale

da lui scoperto proprio a quella battaglia. Inizialmente

l’ilvaite si chiamò yénite (cambiò la “j” iniziale in “y” per

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

127


Ilvaite – Cristalli prismatici di 6 cm parzialmente

coperti dalle tipiche incrostazioni

arancioni di idrossido di ferro; Cala

Baroccia, Rio Marina (Coll. Museo di Storia

Naturale dell’Università di Pisa, Foto©Dini).

128

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


motivi di pronuncia in francese). Ci fu un’alzata di scudi degli

scienziati tedeschi, e non solo, contro questo comportamento

eticamente discutibile e in breve tempo furono proposti

due nomi alternativi: ilvaite (1811) e lievrite (1816). Per lungo

tempo i tre nomi continuarono a essere usati dagli scienziati

ma alla fine prevalse il nome ilvaite. Malgrado l’International

Mineralogical Association consideri ilvaite il nome ufficiale,

lievrite continua ad essere occasionalmente ed erroneamente

utilizzato nella letteratura scientifica.

Eduard Rüppel sbarcò all’Elba per la prima volta nel 1816,

cioè poco dopo che il Congresso di Vienna aveva ripristinato

l’ordine politico pre-napoleonico in Europa. Napoleone

aveva lasciato l’Isola d’Elba un anno prima, e scienziati e

commercianti di minerali potevano venire liberamente a

procurarsi esemplari di ilvaite evitando il monopolio di le

Lievre. In uno dei suoi viaggi Rüppel riuscì ad acquistare una

partita di esemplari di ilvaite per 400 lire toscane, all’epoca,

lo stipendio di un anno di un manovale. I cristalli di ilvaite

venivano estratti da due distinte località del grande corpo di

skarn a hedenbergite e ilvaite che corre dalla Torre di Rio fin

sotto Monte Fico. La prima, situata sulle scogliere a sud della

Torre, forniva cristalli lucidi di ilvaite di piccole dimensioni

su hedenbergite. La seconda, conosciuta all’epoca come Cala

Baroccia, era situata sul ripido versante sud-occidentale che

sale sopra l’insenatura di Marina di Gennaro e forniva gli

esemplari più spettacolari con cristalli lunghi fino a 10 cm

e larghi anche 3-4 cm. Malgrado negli ultimi decenni siano

stati trovati cristalli molto più belli in alcune miniere della

Mongolia Interna (Cina), gli esemplari di ilvaite della località

tipo di Rio Marina sono molto ambiti dai collezionisti italiani e

stranieri più raffinati.

Hedenbergite – Drusa di cristalli

prismatici verdi associati a cristalli di

quarzo prasio con base ametistina di 5 cm;

Santa Filomena, Rio Marina (Coll. Giannini,

Foto©Rinaldi).

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

129


7.7 Fiori di

Cobalto

L’ERITRITE DEL CANTIERE FRANCESCHE

Cobalto, metallo grigio argenteo,

separato dai chimici nella prima

metà del 1700 ma utilizzato

inconsapevolmente fin dall’antichità

grazie ai suoi sali che coloravano di

blu vetri, smalti e ceramiche. Il perfido

folletto delle foreste tedesche (kobolt)

lo sostituiva all’argento delle miniere.

Gli ignari minatori però riconoscevano

i suoi minerali per l’odore di aglio – la

cobaltite contiene arsenico – che

emanava una volta percosso. Oggi il

cobalto vale 60000 dollari la tonnellata!

Viene considerato un metallo strategico

dal Pentagono e da tutti gli organi

governativi occidentali perché la sua

produzione è attualmente concentrata

in Congo e la sua raffinazione in Cina.

Essendo un metallo fondamentale per

la costruzione delle batterie al litio,

la sua disponibilità determinerà la

realizzazione o meno della transizione

energetica dai combustibili fossili

all’elettrico nel campo della mobilità

umana.

Eritrite – ciuffi di cristalli prismatici tabulari

di 3 mm su idrossidi di ferro e ossidi di

manganese; Cantiere Francesche, miniera

di Capo Calamita (Coll. Privata, Foto©Dini).

130

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


ELBA — I FIORI DELLA TERRA

131


All’Isola d’Elba non ci sono mai state

miniere di cobalto ma alcuni cristalli

di cobaltite – il solfuro-arseniuro del

metallo – sono stati trovati nello skarn

della Torre di Rio fin dall’inizio del

1800. Nello skarn della miniera di Capo

Calamita non fu trovata cobaltite ma, al

Cantiere Francesche, erano abbastanza

comuni delle bellissime incrostazioni

violacee e rosa di un minerale che si

forma dall’ossidazione della cobaltite:

l’eritrite. Cristalli piccoli ma raggruppati

in estetici aggregati raggiati: veri e

propri fiori di cobalto che possiamo

ammirare nelle collezioni dei Musei

delle Università di Firenze e Pisa, come

pure nella collezione di Walter Giannini

a Porto Azzurro. Negli anni 1950 le

analisi geochimiche stabilirono che la

pirite delle miniere elbane conteneva

molto cobalto, fino a migliaia di grammi

per tonnellata. Furono anche ritrovati

nuovi cristalli di cobaltite a Torre di Rio,

ma sempre in modo sporadico.

Le cose rare attirano scienziati e

collezionisti e la ricerca dei minerali

di cobalto nelle miniere elbane è

continuata fino ad oggi. Paolo Orlandi,

mineralogista dell’Università di Pisa e

uno dei massimi esperti di mineralogia

132

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


elbana, ha rincorso per molti anni

questi minerali. Nel corso delle sue

ricerche riuscì ad identificare cristalli

di eritrite anche nello skarn della

miniera del Ginevro. Recentemente le

indagini hanno portato i frutti sperati.

Un allievo di Orlandi, il professor

Cristian Biagioni dell’Università di

Pisa, ha identificato cobaltite in masse

cospicue in campioni di skarn raccolti

nelle discariche del Ginevro, fornitigli

dall’esperto collezionista Fabio Senesi.

Grazie alla disponibilità della società

Caput Liberum S.r.l. le indagini sono

state estese alle gallerie della miniera

dove sono stati individuati affioramenti

di skarn ricchi di minerali di cobalto.

Le quantità in gioco sono piccole ed

è molto difficile che il cobalto possa

essere estratto all’Elba.

A sinistra: Cobaltite – cristalli cubo-ottaedrici di 2 mm inglobati

nello skarn della miniera del Ginevro (Coll. Senesi, Foto©Dini).

A destra: L’eritrite si forma tutt’ora sulle pareti umide di alcune gallerie

della miniera del Ginevro. Questi fiori di cobalto evidenziano la

presenza di piccoli cristalli di cobaltite nello skarn (Foto©Dini).

La sua presenza diffusa (pirite

cobaltifera, cobaltite negli skarn)

può fornire importanti indicazioni

sull’origine dei giacimenti elbani.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

133


6.8 La scoperta di Alfeo

IL QUARZO PRASIO DI PORTICCIOLO

Tutti i minerali elbani in cristalli

grandi ed eleganti che vedete e leggete

in questo libro sono stati scoperti

durante il 1800. Le intense attività

estrattive, la passione sfrenata di

Raffaello Foresi e Giorgio Roster,

la bravura del Celleri e la curiosità

degli scienziati si intrecciarono,

alimentando un rapidissimo

processo di scoperta mineralogica

dell’isola. Successivamente sono

state identificate molte specie, anche

nuove in assoluto, ma quasi sempre

in cristalli piccolissimi. C’è però un

minerale comune, il quarzo, che

solo nel secondo dopoguerra è stato

trovato in bellissimi cristalli di colore

verde, della cosiddetta varietà prasio.

Il quarzo prasio si trova all’interno

di un corpo di skarn molto alterato

che affiora in località Porticciolo,

un chilometro a sud della Torre di

Rio Marina. Prima non era mai stato

trovato: non se ne vedono esemplari

nelle collezioni storiche dei musei.

Fino alla scoperta dei giacimenti di

quarzo prasio di Serifos (anni 1970;

Grecia) e di Huanggang (anni 1990;

Mongolia Interna, Cina), quelli elbani

sono stati gli unici esemplari estetici

di quarzo prasio al mondo.

Alcuni anni fa, in un articolo sulla

Rivista Mineralogica Italiana, è

stata ricostruita la storia di uno dei

collezionisti più noti dell'isola, il riese

Alfeo Ricci. Gli autori dell'articolo

ipotizzano che sia stato proprio

lui, nel secondo dopoguerra, a

scoprire il giacimento di quarzo

prasio del Porticciolo. Nato in una

famiglia di minatori nel 1924, rimase

affascinato fin da giovanissimo dai

minerali che i parenti raccoglievano

occasionalmente in miniera. Iniziò a

studiare mineralogia da autodidatta

e presto cominciò a cercare minerali

in tutte le miniere dell’Elba Orientale.

Nell’immediato secondo dopoguerra

diventò una guida di riferimento per

i curatori di museo e gli scienziati che

sbarcavano sull’isola per i loro studi

scientifici. Morì giovanissimo nel

1962, a soli 38 anni. La sua collezione,

ricca di splendidi esemplari è stata

conservata dalla famiglia e ora è

esposta al Museo “Alfeo Ricci” di

Capoliveri.

Alfeo Ricci a dorso di somaro, un mezzo di trasporto molto usato

all’Elba in quegli anni. Ci piace fantasticare che nelle ceste stesse

trasportando qualche bell’esemplare di quarzo prasio.

134

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Quarzo prasio – uno degli esemplari trovati nello skarn

alterato del Porticciolo da Alfeo Ricci negli anni 1950

(Coll. Ricci, Foto©Rinaldi). I cristalli raggiungono i 4 cm; si

intravedono all’interno le inclusioni fibrose di probabile

hedenbergite che ne determinano il bel colore verde.

La zona del Porticciolo fa parte del

Cantiere Tignitoio dell’ex-miniera di

Ortano. La miniera ebbe un notevole

sviluppo a partire dall’inizio degli anni

1950, quando la Montecatini S.p.A.

ottenne la concessione dell’area per

la ricerca e coltivazione di alcune lenti

di pirite e pirrotina incassate in corpi

di skarn (hedenbergite e ilvaite). In

precedenza, l’esplorazione mineraria

era stata polarizzata dai giacimenti

di ossidi di ferro mentre gli skarn a

solfuri di ferro della zona di Ortano

erano rimasti nell’ombra. È probabile

che all’inizio degli anni 1950, mentre

i geologi della Montecatini S.p.A.

facevano esplorazione nella zona

(sondaggi, trincee, gallerie), Alfeo Ricci

abbia avuto l’occasione di raccogliere

alcuni di quegli strani quarzi verdi.

La sua abilità di collezionista gli

permise di estrarre esemplari molto

belli che possiamo ancora ammirare

nel museo di Capoliveri.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

135


Tre esemplari di quarzo prasio (Coll. Privata,

Foto©Miglioli). La drusa più grande (15 cm) e il

gruppo di cristalli a destra sono del Porticciolo;

l’esemplare a sinistra proviene da Santa Filomena

e mostra cristalli in parte verdi (prasio) e in parte

violetti (ametista).

136

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Quarzo Prasio - Drusa di cristalli di 5 cm su skarn, Porticciolo

(Coll. Prati, foto©Miglioli)

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

137


Letture

Consigliate

-

D’Achiardi A. (1872-73) Mineralogia della

Toscana. Vol. I e II, Ed. Tipografia Nistri,

Pisa, 276 e 402 pp.

Barsotti G. e Nannoni R. (2006)

Rocce, minerali e miniere delle isole

dell’Arcipelago Toscano. Ed. Pacini, Pisa,

150 pp.

Carobbi G. e Rodolico F. (1976) I minerali

della Toscana – Saggio di mineralogia

regionale. Ed. Olschki, Firenze, 278 pp.

-Conti S., Conticelli S., Cornamusini G.

-Dini A., Rocchi S., Westerman D.S. and

Farina F. (2009) The Late Miocene

intrusive complex of Elba Island:

two centuries of studies from Savi to

Innocenti. Acta Vulcanologica, 21, 11-32.

-Calanchi N. Dal Rio G. e Prati A. (1976)

Miniere e minerali dell’Elba orientale.

Ed. -Cacciari, Bologna, 102 pp.

138

e Marroni M. (2021) Toscana. Guide

Geologiche Regionali, Vol. 15. Società

Geologica

-

Italiana, Roma, 250 pp.

I QUADERNI DI ENJOY ELBA

-Lotti B. (1886) Descrizione geologica

dell’Isola d’Elba . Memorie Descrittive

della Carta Geologica d’Italia, Vol. 2, Ed.

Tipografia

-

Nazionale, Roma, 254 pp.


Barsotti Alcuni G. dei e Nannoni termini scientifici R. (2006) utilizzati Rocce,

mine nel Alcuni testo potranno dei termini risultare scientifici ostici.

utilizzati Non vi nel preoccupate, testo potranno sul WEB risultare troverete

ostici. tutto Non quello vi preoccupate, che vi serve e molto sul WEB di più.

troverete Ormai tutto non ha quello più senso che vi inserire serve un e

molto glossario di più. Ormai in un libro. non Abbiamo ha più senso parlato di

inserire composizione un glossario chimica in un e cristallografica

libro.

Abbiamo dei minerali parlato senza di composizione

però inserire

chimica formule e cristallografica chimiche o classificazioni dei minerali

senza cristallografiche. però inserire Sono formule cose chimiche

molto

o classificazioni importanti, ma cristallografiche.

non era nostro obiettivo

Sono farvele cose molto imparare importanti, e anche per ma questo non vi

aiuterà il WEB.

Millosevich F. (1914) I 5000 elbani del

Museo di Firenze – contributo alla

conoscenza della mineralogia dell’Isola

d’Elba – Ed. Reale Istituto di Studi

Superiori Pratici e di Perfezionamento,

Firenze, 96 p.

-Orlandi P. e Pezzotta F. (1996) Minerali

dell’Isola d’Elba – I minerali dei

giacimenti metalliferi dell’Elba orientale

e delle pegmatiti del Monte Capanne. Ed.

Novecento Grafico, Bergamo, 245 pp.

-Pandeli E., Principi G., Bortolotti V.,

Benvenuti M., Fazzuoli M., Dini A.,

Fanucci F., Menna F. e Nirta G. (2013)

The Elba Island: an intriguig geological

puzzle in the Northern Tyrrhenian

Sea. Geological Field Trips, 5, Servizio

Geologico d’Italia, 114 pp.

Pratesi G. (2012) Il Museo di Storia

Naturale dell’Università degli Studi di

Firenze. Le collezioni mineralogiche e

litologiche. Ed. University Press, Firenze.

317 -pp.

Rinaldi G. (2002) Minerali, rocce

e miniere dell’Isola d’Elba . Ed.

Archipelagos,

-

Portoferraio,160 pp.

Tanelli G. e Benvenuti M. (1998) Guida

ai minerali dell’Isola d’Elba e del

Campigliese. Ed. Il Libraio, Portoferraio,

164 -pp.

Due siti molto validi per cercare

informazioni sui minerali e sulle località

dell’Isola d’Elba sono:

www.mindat.org

www.webmineral.com.

Sul sito Geoscopio della Regione Toscana

troverete carte geologiche, topografiche e

molto altro.

Inserendo le coordinate geografiche

riportate all’inizio di ogni storia in

una qualsiasi App GPS per cellulari,

localizzerete la località descritta.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

139


140

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Gli Etruschi

all'isola d'Elba

Laura Pagliantini

Assegnista di ricerca Università degli Studi di Siena

Membro Archeologia Diffusa a.p.s.

Parlare dell’isola d’Elba significa,

ancora oggi, a quarant'anni dalla

chiusura definitiva delle miniere di

ferro nel 1981, rievocare un mondo

minerario e siderurgico che ebbe un

grande rilievo nell’economia e nella

società dell’isola e che tuttora ne

costituisce un aspetto fortemente

identitario.

E questa fama è ben giustificata se si

considera che tale attività mineraria

affonda le sue radici in epoca etrusca

e che ha costituito la ricchezza della

città di Populonia e dei Romani che

presero, successivamente, il controllo

dell’isola.

In antichità la ricchezza delle

miniere di ferro elbane ha attirato

l’attenzione non solo di metallurghi

e commercianti ma anche di poeti

e scrittori di curiosità, i quali ci

parlano della inesauribilità delle

risorse minerarie e della loro

capacità di autorigenerarsi. Il

nome greco dell’isola Aethaleia da

tradurre “fuligginosa”, evoca appunto

l’immagine di un’isola circondata da

una cappa di fumo, che scaturiva dalle

fornaci che lavoravano il ferro appena

estratto o alludeva al colore scuro che

caratterizza, anche oggi, alcune delle

spiagge della costa.

Il reperto più conosciuto relativo

al periodo etrusco è sicuramente il

Bronzetto di Offerente, rinvenuto in

località Le Trane nel 1764 (fig. 1). La

statuetta rappresenta un giovane in

piedi, vestito con un pesante mantello

aderente che lascia scoperte la spalla

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

141


e le braccia e coi piedi chiusi negli

alti calzari a punta, i calcei repandi.

Il giovane tende in avanti la mano

per offrire un dono votivo, purtroppo

mancante, ad una divinità: per questo

è stato denominato “l’Offerente”.

Questo reperto, di grande

valore,artistico e culturale, venne

acquistato dal re di Napoli, Carlo III di

Borbone, che stava allestendo il museo

della città e si trattava del primo e più

antico oggetto proveniente dall’Etruria

che fosse entrato a far parte del

patrimonio del museo.

Il bronzetto, prodotto verosimilmente

da un’officina populoniese degli ultimi

decenni del VI secolo a.C., è stato il

pezzo di punta nella mostra dedicata

agli Etruschi del Museo Archeologico

Nazionale di Napoli (terminata il

31 maggio 2021), che ha creato un

percorso di approfondimento, per

molti aspetti inedito, sull’antica

popolazione italica. Lo straordinario

bronzetto dell’Offerente da Le Trane, il

rinvenimento agli inizi del XIX secolo

di alcune statuette bronzee a Grassera,

poi andate disperse, e le notizie

ottocentesche relative al recupero di

alcune statuette in bronzo presso San

Mamiliano, indicherebbero la presenza,

nel cuore del distretto minerario

dell’isola ed in prossimità della rada

di Portoferraio, di alcuni importanti

luoghi di culto.

Fig. 1

Ma dove si trovavano gli abitati e le altre

tracce del popolo etrusco sull’isola? I

ritrovamenti archeologici, effettuati

perlopiù nell’800 e quindi privi di

informazioni puntuali sul contesto di

deposizione e soggetti ad una forte

dispersione dei reperti, rendono

l’epoca etrusca il periodo più silente

nella storia dell’isola.

A partire dal VI secolo a.C. gli anfratti

granitici naturali del versante

occidentale, presenti sui pianori di

Monte Giove, Masso dell’Aquila, Omo

Masso, Serraventosa, Masso alla Quata

e Poggio sono tuttavia caratterizzati

dalla presenza di alcune sepolture, i cui

corredi, appaiono composti da buccheri

provenienti da Caere, ceramiche

corinzie ed etrusco-corinzie importate

da Vulci, coppe ioniche e numerose

tipologie di fibule in bronzo (fig. 2).

Fig. 2

142

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Fig. 3

Fig. 4

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

143


In età etrusca classica (V secolo a.C.), i nuclei funerari

rinvenuti mostrano una sensibile concentrazione

dell’insediamento sia intorno alla rada di Portoferraio, che

nella parte centro-orientale dell’isola, in prossimità delle

miniere di ferro (fig. 4).

Anche in questo caso le sepolture sono caratterizzate da

ricchi corredi, come testimoniato da una tomba femminile

nella necropoli di Casa del Duca, il corredo della quale

comprendeva oreficerie e oggetti d’ornamento in argento e

pasta vitrea (oggi conservati presso i Civici Musei di Reggio

Emilia).

I materiali di queste tombe denotano un certo grado di

prestigio raggiunto dei gruppi umani elbani: la presenza

nel contesto sepolcrale di Monte Giove di una grattugia in

bronzo, oggetto caratteristico del simposio che serviva per

grattugiare formaggio e spezie da mescolare con il vino,

indica l’appartenenza del defunto alla classe aristocratica

(fig. 5).

destinate ad essere reimpiegate negli altiforni di Piombino

e Portoferraio. Lo scavo incontrollato con mezzi meccanici

degli accumuli antichi, e con essi di gran parte dei reperti

archeologici che ne connotavano i momenti di formazione,

ha così provocato un’enorme perdita d’informazione e creato

profonde lacune su molti aspetti della lavorazione del ferro

sull’isola. All’Elba l’unico sito in cui sono attestate tracce

della produzione del ferro sul suolo insulare, sono emerse

durante lo scavo dell’impianto metallurgico di epoca medio

e tardo repubblicana di San Bennato, presso Rio Marina,

dove, i risultati di analisi archeo-magnetiche, hanno indicato

forti anomalie da calore riferibili alla metà del V secolo

a.C. nonostante nel sito non siano stati rinvenuti materiali

ceramici di questo periodo ma relativi ad epoca successiva.

Lo status elevato raggiunto dagli etruschi stanziati sull’isola

è da mettere in relazione non solo alla posizione di

centralità dell’isola stessa, in rapporto alle rotte commerciali

marittime, ma soprattutto con le operazioni di controllo

nell’avvio dello sfruttamento minerario. E’ a partire infatti

dal VI secolo a.C. che la miniere “inesauribili” di ematite

del versante orientale vengono per la prima volta aperte

e, il minerale di ferro elbano, estratto e commercializzato

nei principali siti della costa tirrenica. Sulla base dei dati

archeologici a disposizione, risulta però estremamente

difficile determinare l’avvio sull’isola di attività di

sfruttamento delle miniere ferrifere e la trasformazione

del minerale in semilavorati. Scorie e resti di fornaci si

trovano ancora sparsi in tutto il territorio elbano, nonostante

l’isola, analogalmente a quanto avvenne nel Golfo di Baratti,

sia stata oggetto di una vasta operazione di asporto e

recupero delle scorie ferrose antiche, fra il 1936 ed il 1950,

Fig. 5

144

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Il fatto che l’ematite elbana inizi a circolare lungo la costa

alla fine del VII secolo a.C. è determinabile sulla base

di un insieme di elementi chimici che, con la loro alta

concentrazione, caratterizzano il minerale di ferro dell’Elba

orientale, rendendolo unico. Grazie ad un’approfondita

analisi, si è potuto capire che l’ematite proveniente dalle

miniere di Rio Marina ha una concentrazione molto elevata

di stagno e tungsteno e ciò ne costituisce un significativo e

preciso marcatore.

Questa caratteristica ha consentito di determinare non

solo l’inizio della commercializzazione del minerale elbano

ma anche le varie direttrici di questo commercio, come

dimostrano i numerosi frammenti di ematite di sicura

provenienza isolana rinvenuti nell’edificio industriale

di Populonia, nei siti metallurgici di Rondelli (Follonica),

Puntone di Scarlino, Fonteblanda (Talamone) e presso il

Castellare del Campese all’isola del Giglio. A partire da questo

momento il ferro irrompe nella vita di Populonia: l’isola

d’Elba con le sue miniere è appena oltre il canale e Populonia

inizierà ad esercitare su di lei una specie di protettorato. A

ridosso della spiaggia del Golfo di Baratti sorgono quartieri

industriali specializzati nell’affinamento dell’ematite estratta

delle miniere dell’Elba per produrre ferro e la città diventerà,

in breve tempo, il più importante centro siderurgico

dell’antichità mediterranea.

principali approdi che dell’area mineraria (fig. 6). Si trattò

verosimilmente di un grande progetto di “militarizzazione”

messo in atto dalla città di Populonia, in cui le fortezze

insulari dovevano essere integrate con la rete fortificata

del territorio populoniese per mezzo di un sistema di

segnalazioni e avvistamento.

Le fortezze d’altura protessero l’isola fino agli inizi del III

secolo a.C., ma non riuscirono a resistere all’implacabile

avanzata dei Romani verso le città etrusche della costa

settentrionale del Tirreno: queste piazzeforti vennero

distrutte violentemente e la città di Populonia, e con essa

l’isola d’Elba , caddero sotto il dominio romano.

Fu verosimilmente la grande importanza acquisita dall’Isola

d’Elba per l’economia di Populonia che spinse la città etrusca

a tutelare l’isola dall’ambizione di altre potenze straniere e

a proteggere in maniera capillare le fonti di estrazione del

minerale contro altre scorrerie nemiche.

A partire dal V, ma in maniera più strutturata tra la fine

del IV ed il III secolo a.C., sorsero sull’isola una serie

di “fortezze d’altura”, edificate nei punti più strategici,

omogenee per impianto, cronologia e posizione topografica,

disposte in collegamento ottico tra loro e a controllo sia dei

Fig. 6

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

145


Partner

PARCO MENERARIO

DELL’ISOLA D’ELBA

Il "Parco Minerario dell'Isola d'Elba s.r.l.", che

nasce nel 1991 con l’obiettivo di riconvertire

le aree degradate dall’estrazione del ferro

e promuovere lo sviluppo socioeconomico

delle comunità locali, custodisce un

patrimonio geologico, mineralogico e storico

minerario di inestimabile valore. Un parco

all’interno di un Parco, quello Nazionale

dell’Arcipelago Toscano, da esplorare a

piedi, in bici, a bordo di un trenino o di un

fuoristrada per un’avventura fuori dal tempo,

in un paesaggio surreale, in un giardino

di fiori minerali, ripercorrendo le vecchie

strade ferrate e le storie di quegli uomini

che lo hanno vissuto, amato e trasformato,

radicalmente.

Il "Parco Minerario dell'Isola d'Elba s.r.l."

oltre a gestire due strutture museali

aperte al pubblico, a Rio Marina e a Rio

Elba , conserva un archivio storico dove

sono raccolti innumerevoli e preziosissimi

documenti, mappe e disegni tecnici a partire

dal 1881 fino alla chiusura delle miniere

avvenuta negli anni ’90 del XX° secolo,

attualmente consultabili, che testimoniano

la vita mineraria del territorio ed anche

di altre aree minerarie collegate a quella

elbana .

Museo Minerario - Rio Marina

Il Museo dei minerali e dell’arte mineraria si trova all’interno della

prestigiosa sede storica della direzione delle miniere, posta nel centro storico

di Rio Marina. La sala principale ospita una preziosa esposizione di minerali

dell’Isola d’Elba , mentre nelle altre si possono osservare diversi ambienti

di miniera, fedelmente ricostruiti da esperti di archeologia industriale, con

materiale originale rinvenuto nelle vecchie miniere.

Orario di apertura da marzo a ottobre: 09:00-12:30 / 15:30-19:00

Durante gli altri mesi dell’anno è visitabile su prenotazione telefonando al

numero 0565-962088 o inviando un’e-mail a info@parcominelba .it.

Museo Archeologico del Distretto Minerario - Rio nell'Elba

Il Museo Archeologico del Distretto Minerario è dedicato alla storia connessa

alle attività minerarie che hanno reso l’isola famosa fin dai tempi più antichi.

Il percorso del museo abbraccia un lungo arco di tempo: dalla tarda età del

rame all’epoca etrusca, romana, fino ad arrivare all’epoca tardo medievale.

Il Museo Archeologico del Distretto Minerario di solito è aperto al pubblico

dalla settimana di Pasqua fino ad ottobre nelle ore 09:30-12:40 / 16:00-19:30

Durante gli altri mesi dell’anno è visitabile su prenotazione contattando il

Parco Minerario dell’Isola d’Elba telefonando allo 0565-962088 o inviando

un’e-mail a info@parcominelba .it.

Parco Minerario dell’Isola d’Elba S.r.l.

Palazzo del Burò

Via Magenta, 26

57038 Rio Marina (LI)

Tel. +39 0565 924069 fax +39 0565 925698

email: info@parcominelba .it

146

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Partner

FEISCT - Federazione

Europea Itinerari Storici,

Culturali, Turistici

Feisct (Federazione Europea Itinerari Storici

Culturali e Turistici) nasce per promuovere e

valorizzare gli itinerari storici e culturali, con

l’obiettivo di aiutare i territori, in particolare

i borghi ed i centri minori a sostenersi

attraverso l’economia generata dal turismo

lento. Camminatori, trekkers, cavalieri,

ciclisti e tutto quel turismo attento alla

cultura e desideroso di conoscere la storia

e le tradizioni locali, possono contribuire

a sostenere la crescita delle realtà locali.

Favoriamo il rapporto con gli Enti, aiutiamo

e coordiniamo la creazione dei sistemi di

servizi, favoriamo la crescita del turismo

sostenibile attraverso iniziative, convegni

ed eventi sui territori. Feisct rappresenta

ed aggrega Comuni, Enti pubblici e privati,

associazioni ed operatori economici, con

l’obiettivo di essere un luogo di incontro

e dialogo, e laboratorio per lo sviluppo di

sinergie attraverso gli itinerari culturali ed i

cammini. FEISCT è Ente sostenitore dei Faro

Social Lab in Italia, ed Ente organizzatore

di Meet Tourism, Meeting Internazionale

degli Itinerari Culturali Europei e delle

destinazioni d’Eccellenza, manifestazione

organizzata sotto l’Alto Patronato del

Parlamento Europeo e con la collaborazione

dell’Istituto Europeo degli Itinerari Culturali,

Ministero Beni Culturali, Regione Toscana ed altri

prestigiosi partners.

Insieme per il territorio - Sviluppiamo politiche ed azioni di sostegno ai

territori che ne favoriscano la sostenibilità, dialogando e collaborando con

Enti locali, nazionali ed europei. Valorizziamo il patrimonio identitario

materiale ed immateriali: antichi saperi, tradizioni locali, artigianato,

enogastronomia e aiutiamo gli operatori locali a conoscere gli strumenti che

possono utilizzare per essere più visibili, per entrare nel circuito dei servizi

dedicati agli itinerari culturali ed intercettare quel turismo esperienziale,

desideroso di conoscere la genuinità e le persone che abitano i luoghi meno

conosciuti del nostro territorio.

Sensibilizziamo i ragazzi delle scuole, per aiutarli a comprendere il valore

di ciò che li circonda, ed Insegnare loro ad essere orgogliosi del proprio

territorio ed attenti nella gestione e nella promozione del luogo in cui vivono,

attraverso percorsi di marketing territoriale e alternanza scuola – lavoro

mirati alla promozione del loro territorio. Cultura, Turismo, Innovazione

L’innovazione fornisce strumenti strategici per la promozione turistica,

adeguati alla competitività del mercato internazionale, Feisct promuove

l’adozione di tecniche di engagment per aumentare la fruibilità dei territori,

indirizzando l’attenzione soprattutto ai centri minori ed ai piccoli borghi,

detentori di un patrimonio culturale ancora poco conosciuto ma prezioso.

Per informazioni:

segreteriafeisct@gmail.com

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

147


Partner

ENJOY ELBA

AND THE TUSCAN

ARCHIPELAGO

Enjoy Elba and The Tuscan Archipelago

fa parte di un progetto editoriale che ha al

centro la narrazione dei luoghi e delle loro

comunità, svelandone gli elementi identitari,

esplorandone la diversità come elemento

di ricchezza e di vitalità, raccontandoli per

valorizzarli e salvaguardarli, offrendo spunti

di riflessione o idee per progetti di futuro.

La rivista nasce per dare voce alle comunità

dell’Isola d’Elba e delle Isole di Toscana:

Giglio, Giannutri, Pianosa, Gorgona,

Capraia, Montecristo. L’obiettivo, comune

a quello della Convenzione di Faro, è quello

di proteggere e promuovere il patrimonio

culturale, inteso come patrimonio materiale

ed immateriale, costituito da valori identitari

e tradizioni, coinvolgendo le comunità e

le società che ne sono custodi. Si rivolge a

target diversi, a partire da quello turistico,

nell’ottica di un turismo sostenibile e

consapevole, con un approccio integrato alla

narrazione, raccontando nelle sue rubriche

il paesaggio e l’ambiente, la incredibile

geodiversità e biodiversità, le persone, i

mestieri e le tradizioni, le opportunità di

benessere e di svago.

Le rubriche della rivista trattano quattro filoni principali: ambiente e bellezza

del territorio; lifestyle, benessere e attività outdoor; cultura, arti, tradizioni e

memoria; enogastronomia, artigianato, agricoltura e produzioni locali.

Attraverso la narrazione intendiamo rafforzare la memoria e il senso di

appartenenza delle persone, promuovendo la responsabilità condivisa

per l’ambiente in cui vivono, anche solo per una vacanza. Ci rivolgiamo

a viaggiatori, italiani e stranieri, accompagnandoli in un percorso di

conoscenza, comprensione e condivisione del patrimonio dell’Isola e

dell’Arcipelago, per favorire un turismo e una economia sostenibile.

La bellezza della Isole di Toscana è pari alla loro fragilità: per questo crediamo

in un turismo lento, che valorizzi i piccoli borghi e le molte anime dell’Elba

e delle Isole dell’Arcipelago, favorendo la destagionalizzazione. Un turismo

esperienziale, all’insegna del benessere, della salute e del gusto, incentrato

sulle tradizioni enogastronomiche e i prodotti locali. Un turismo che

favorisca altri settori economici collaterali quali l’agricoltura e l’artigianato

o quello dei servizi e delle nuove tecnologie. Un turismo consapevole e

partecipativo che rispetti la biodiversità e la geodiversità dei territori.

I “Quaderni di Enjoy”, come questo, sono numeri monografici dedicati ad

argomenti specifici che meritano approfondimenti. Il primo è stato dedicato

alla flora dell’Elba , per descrivere la ricchissima biodiversità dell’Isola,

che rischia di scomparire per l’incuria dell’uomo. Il secondo alla splendida

geodiversità ed alla mineralogia dell’Arcipelago, fonte di ricchezza dai tempi

più antichi, attualmente, affascinante attrazione turistica.

www.enjoyelba .eu

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+39 3396974753

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148

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Partner

PARCO NAZIONALE

ARCIPELAGO

TOSCANO

L’Area Protetta, istituita nel 1996, si estende

per circa 180 kmq a terra e abbraccia un

ampio tratto di mare (circa 600 kmq)

includendo tutte le isole dell’Arcipelago.

In particolare, viene tutelata metà della

superficie dell’Elba e del Giglio, a Capraia

è esclusa dall’area Parco solo la ridotta

estensione dell’abitato. Montecristo, Pianosa

e Gorgona sono rigorosamente protette in

quanto l’accesso è regolamentato secondo

criteri di sostenibilità. Infine, l’accesso è

libero a Giannutri pur essendo necessario,

in gran parte dell’isola, essere accompagnati

da guide. Il Parco è totalmente inserito nel

Santuario Internazionale per la Protezione

dei Mammiferi Marini “Pelagos” che è

un’Area Marina Protetta tra Italia, Francia e

Principato di Monaco.

Isole diverse per la natura geologica

delle terre, per i paesaggi e per i gioielli

di biodiversità che vi sono custoditi, così

come per la storia e le vicende umane che

hanno animato il passato di questi luoghi.

Ci sono angoli dove è possibile immergersi

in acque turchine, spazi aperti illuminati

dalla luce dorata dei tramonti, scenari

verdi delle boscaglie di leccio intercalati

da geometrici terrazzamenti coltivati, e

giungere alle estese macchie di fiori coloratissimi che si protendono verso il

mare. Oltre quel limite, si apre il regno delle piante pioniere che si coricano

sulle rocce per raggiungere le falesie a picco sul mare o gli scogli che

custodiscono piccole cale di sabbia dolcemente invase dal rincorrersi delle

onde. Muovendosi lungo i sentieri dell’entroterra si incontrano piccoli abitati,

ancora ben conservati, con antichi baluardi fortificati a testimonianza delle

vicende tumultuose nelle passate dominazioni.

L’Ente, grazie al suo duplice impegno nella conservazione e nella

valorizzazione delle risorse storico culturali dell’Arcipelago Toscano ha

ricevuto nel 2013 il riconoscimento di Riserva della Biosfera MAB Unesco.

È nata così la Riserva MAB UNESCO “Isole di Toscana” che è composta dalle

sette isole dell’Arcipelago, alcune isolette tra la costa toscana e la Corsica e

dal mare che le circonda; ambienti che racchiudono una grande diversità

geologica e biologica rappresentativa della regione mediterranea. Il

programma MAB (Man and Biosphere) UNESCO si sviluppa all’interno delle

scienze naturali e sociali per l’uso razionale e sostenibile e la conservazione

delle risorse della biosfera e per il miglioramento della relazione generale

tra le persone e il loro ambiente. In coerenza con tali obiettivi la Riserva

della Biosfera “Isole di Toscana” promuove progetti e iniziative finalizzate

a tutelare le risorse naturali e a incentivare uno sviluppo economico

sostenibile a vantaggio delle comunità locali.

Sede Amministrativa:

Loc. Enfola, 16

57037 Portoferraio (LI)

+39 0565 919411

www.islepark.it - parco@islepark.it

Informazioni e prenotazioni:

Info Park

Zona porto - Portoferraio

+39 0565 908231

info@parcoarcipelago.info

prenotazioni@parcoarcipelago.info

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MUM – MUSEO

MINERALOGICO

“LUIGI CELLERI”

Il MUM – Museo Mineralogico “Luigi Celleri”,

è stato istituito dal Comune di Campo

nell’Elba nel 2014. Questa nuova realtà

museale è stata realizzata grazie al 60%

di contributi regionali e al 40% di risorse

comunali. I fondi sono stati utilizzati per la

ristrutturazione dell’edificio che lo ospita

(l’ex edificio scolastico di San Piero).

La direzione scientifica e il ruolo di

Conservatore sono affidati con incarico

a titolo gratuito al Dr. Federico Pezzotta,

mentre il ruolo di gestore è stato affidato

tramite gara a Pelagos, società del territorio

specializzata nel settore dell’educazione

ambientale e della ricerca scientifica,

escursionismo naturalistico e sportivo,

turismo scolastico e sociale, con numerose

esperienze di gestione e collaborazione con

Il Parco Minerario dell’Isola d’Elba , con il

Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ed

altri importanti soggetti pubblici e privati.

Il Museo comprende esemplari donati da

celebri ricercatori, alcuni campioni delle

collezioni storiche del Museo di Storia

Naturale di Milano, parte della collezione di

Federico Pezzotta, altri appartenenti al Parco

Minerario dell’Isola d’Elba .

Il Museo ha iniziato da subito un importante

percorso evolutivo.

Modernamente attrezzato e trasformato in una struttura polivalente, vanta

vari punti di forza: sorge davanti all’antica Pieve romanica di San Niccolò,

ad un passo dal Belvedere, punto panoramico per eccellenza di San Piero, a

breve distanza dai più celebri siti mineralogici. Ha ambienti ampi, ricche sale

ed un giardino, destinati alla gestione delle molteplici proposte culturali che

il Museo offre. É offerta un’ampia gamma di servizi tra cui trekking tematici,

visite guidate, serate a tema, laboratori didattici rivolti a scuole e famiglie.

É sede di mostre temporanee organizzate in calendari artistici annuali gestiti

da un direttore artistico nominato da Pelagos. Nel 2021 è stata inaugurata la

mostra permanente “Il Mestiere del Granito”, doverosa opera omaggio a San

Piero e alla sua storia, allestita con tecniche moderne e raffinate. Il MUM ha

un linguaggio ed una comunicazione originale e innovativa: è un museo che

parla, attraverso un’efficace infografica a parete, rappresentando fenomeni

geologici e naturalistici ed evocando frasi celebri o poesie.

Contiene un laboratorio con attrezzature tecnico-scientifiche, una sala

multimediale con filmati tematici, postazioni con touchscreen per gli

approfondimenti, un bookshop con inclusa un’area consultazione libera ed

un archivio consultabile su richiesta

MUM - Museo Mineralogico "Luigi Celleri"

via Cavour - San Piero In Campo - Isola d’Elba

tel. +39 393 8040990

P.I. 01395810490

info@museomum.it

150

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IGG - ISTITUTO

DI GEOSCIENZE E

GEORISORSE DEL CNR

L'Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG)

è un istituto del Consiglio Nazionale delle

Ricerche (CNR) e si occupa dello studio

interdisciplinare delle Geoscienze, con

studi di base, ricerche applicate e supporto

decisionale alle istituzioni.

IGG si occupa della conservazione, gestione

e uso sostenibile delle risorse geologiche

e naturali, della stima e riduzione della

pericolosità geologica e ambientale e della

stima e mitigazione dei rischi associati ai

cambiamenti globali. L'Istituto opera in tre

ambiti principali: la geodinamica (tettonica

a placche, processi e sistemi geologici

profondi e alla superficie, geologia e

geochimica terrestre e planetaria, dinamica

della crosta continentale, geomateriali,

ciclo del carbonio), le acque sotterranee

(geotermia, acquiferi, idrogeologia, idrologia

isotopica, ciclo idrologico, inquinamento)

e la geocronologia e le ricostruzioni

paleoclimatiche e paleoambientali su un

ampio spettro di scale temporali.

Le attività di ricerca includono la

comprensione, misura, interpretazione

e modellistica dei processi geologici,

geodinamici e geochimici del Sistema Terra;

lo studio del ciclo globale del carbonio e delle interazioni geosfera-biosfera

alle diverse scale spaziali e temporali; la geocronologia e le ricostruzioni

paleoclimatiche e paleoambientali; l'analisi e l'utilizzo dei geomateriali per

i beni culturali e la salute; la geologia e la geochimica planetaria; lo studio,

l'esplorazione e l'utilizzo delle risorse geotermiche; l'analisi e la mitigazione

della pericolosità geologica e ambientale; la caratterizzazione del ciclo

idrologico e delle risorse idriche, con particolare attenzione alle acque

sotterranee; la stima e mitigazione degli impatti dei cambiamenti globali.

Per lo svolgimento delle attività di ricerca, l'Istituto conduce monitoraggi

e misure sul campo, analisi di laboratorio (geochimica, analisi isotopiche,

geocronologia, proprietà delle rocce e dei minerali, tettonica sperimentale),

analisi e interpretazione dei dati, sviluppo e implementazione di banche dati

e simulazioni numeriche. IGG dispone di circa trenta laboratori, alcuni dei

quali a livelli di eccellenza mondiale. Sono altresì svolte attività di formazione

(tesi di laurea e di dottorato, organizzazione di corsi post-dottorali) e di

disseminazione dei risultati scientifici.

In vista dell’International Geodiversity Day (6 ottobre 2022), IGG sta

sviluppando una serie di attività di ricerca e di divulgazione in cui si inquadra

anche il presente volume sulla diversità geo-mineralogica dell’Isola d’Elba .

IGG - Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR

Via G. Moruzzi 1 - 56124 Pisa

Telefono: +39 050 6212370

Email: a.dini@igg.cnr.it

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ARCHEOLOGIA

DIFFUSA A.P.S.

L’Associazione di promozione sociale

“Archeologia Diffusa”, rappresentata dal

Prof. Franco Cambi dell’Università degli

Studi di Siena, nasce dalla sinergia tra

diversi professionisti, uniti dalla volontà di

impegnarsi attivamente nella ricerca e nella

promozione del patrimonio archeologico,

storico, artistico ed ambientale italiano.

L’intento è quello di rivolgersi ad un pubblico

il più possibile vasto ed eterogeneo, da qui il

nome Archeologia Diffusa: tutti i soci sono

fermamente convinti che questo patrimonio

non debba essere diritto esclusivo degli

addetti ai lavori ma che questi debbano

adoperarsi per far sì che tutti siano in grado

di comprendere, apprezzare ed amare

le ricchezze ambientali e le storie che i

nostri territori anelano di raccontare ma

che purtroppo, per varie ragioni, restano

sconosciute.

Gli obiettivi dell’Associazione riguardano la promozione e la gestione di

manifestazioni culturali e sociali, visite guidate, conferenze, laboratori

didattici, aperture straordinarie di siti e creazione di percorsi tematici.

A partire dal 2016 l’Associazione ha operato in particolare all’Isola d’Elba , in

stretta collaborazione con l’Università degli Studi di Siena, nello svolgimento

dello scavo archeologico della villa romana del Podere San Marco a San

Giovanni, nell’organizzazione della manifestazione regionale “Notti

dell’Archeologia” per il Comune di Portoferraio e nella gestione degli eventi

culturali del parco archeologico della Villa romana delle Grotte.

archeologiadiffusa@gmail.com

archeologiadiffusa.wordpress.com

FB: Archeologia Diffusa

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DIPARTIMENTO DI

SCIENZE DELLA TERRA

UNIVERSITÀ DI PISA

Il termine "Scienze della Terra" ha lo stesso

valore che si assegnava una volta al termine

"Geologia", cioè di scienza comprensiva

di tutte le conoscenze relative al pianeta

Terra. “Il "Dipartimento di Scienze della

Terra" è la struttura dell’Università di

Pisa che a partire dal 1981, con l’unione

dei due precedenti e storici istituti di

“Geologia e Paleontologia” e “Mineralogia e

Petrografia” riunisce gli studiosi di geologia,

mineralogia, petrografia, geografia fisica,

paleontologia, geochimica, e ne promuove

l'attività di ricerca e didattica. Entrambe

le attività, non disgiunte l’una dall’altra,

sono rivolte alla conoscenza dei processi

esogeni ed endogeni legati alla dinamica

del pianeta e alla preparazione dei futuri

geologi nei diversi ambiti sia professionali

sia di ricerca. L’Attività didattica è svolta

nell’ambito di tre corsi di laurea; un corso

triennale e due corsi magistrali e dalla

Scuola di Dottorato, post-laurea, che prepara

i futuri ricercatori universitari e/o figure

professionali. L’Attività di ricerca viene

svolta in collaborazione con altri istituti

e/o università, nell’ambito di progetti di

ricerca nazionale ed internazionale che

coprono un ampio spettro di tematiche

(stratigrafiche, paleontologiche, strutturali,

petrografiche, mineralogiche, planetarie) in diverse aree geologiche e

geografiche del pianeta (es. Alpi, Appennino, Himalaya, Ande meridionali,

Atlante, Antartide). L’attività di ricerca riguarda anche gli aspetti geologici

dell’Appennino settentrionale, in particolare il massiccio delle Alpi Apuane, i

cui primi studi “moderni” sono iniziati negli anni Ottanta ad opera di docenti

del Dipartimento. Risultati di grande rilievo sono stati la realizzazione

negli anni Novanta del “Modello Strutturale d’Italia” che sintetizza gli

aspetti geologici dell’Italia e il successivo progetto di Cartografia Geologica

Nazionale. L’arcipelago toscano e l’Isola d’Elba in particolare, sono stati

e sono oggetto di numerose ricerche a partire dalla pubblicazione della

“Carta Geologica dell’Isola d’Elba ” come prima “sintesi” moderna della

geologia dell’isola. Le ricerche attuali riguardano la struttura tettonica

dell’isola, di recente pubblicazione la carta geologica dell’area orientale, i

caratteri mineralogici e geochimici delle rocce magmatiche e lo sviluppo

dei sistemi di mineralizzazioni in relazione alla tettonica recente del Tirreno

settentrionale.

Dipartimento di Scienze della Terra

Università di Pisa

Via S. Maria 53 -54162 Pisa

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ISPRA - ReMI

LA RETE DEI PARCHI E MUSEI

MINERARI ITALIANI

L’Italia conserva un vasto e originale

patrimonio industriale legato all’estrazione

e lavorazione dei minerali, nonché un

variegato patrimonio geominerario. I resti e

le testimonianze di oltre 2 milleni di attività

estrattiva lungo la penisola, costituiscono un

patrimonio di dati scientifici, antropologici

e storico-culturali assai elevato, con

significative potenzialità divulgative e

turistiche non ancora apprezzate appieno.

I siti minerari rappresentano la tipica sintesi

di patrimonio industriale, archeologico,

culturale, storico e paesaggistico intorno

alla quale si sono sviluppate aggregazioni

sociali e comunità che hanno determinato

le condizioni essenziali per la crescita

economica e sociale del paese.

Il grande patrimonio minerario dismesso,

per alcuni decenni, è rimasto abbandonato

a se stesso, senza intravedere alcuna

possibilità sul suo futuro. Molte realtà sono

state soggette a bonifiche per rispondere

ad emergenze ambientali, alcune norme

orientate alla riconversione e recupero

ambientale negli anni 90 e 2000 hanno

favorito le prime azioni di recupero sul

territorio in Sardegna, in Toscana, in

Piemonte ma complessivamente, non vi

è stata una strategia nazionale capace di

affrontare la gestione delle realtà minerarie dismesse.

Tutte le iniziative di riconversione avviate, mancando di un coordinamento

sul territorio di valenza nazionale, risultano non omogenee e con

investimenti non inseriti in un progetto economico e culturale di sviluppo

complessivo.

In questo quadro, gli anni novanta sono stati in ogni caso un momento di

passaggio importante in quanto alcune realtà, spinte da stimoli culturali,

spesso di valenza locale, hanno avviato i primi tentativi di tutela e

valorizzazione del patrimonio.

Si è dunque assistito in anni più recenti ad un cambio di tendenza ed il

patrimonio minerario ha iniziato ad essere interpretato, anche alla luce

dei processi attivati su scala europea, come una opportunità culturale.

Oggi anche a seguito della Pandemia Covid-19, la promozione del turismo

minerario quale turismo responsabile e sostenibile, attento all’ambiente

ed alle comunità, è quanto mai urgente ed attuale e non può più essere

tralasciato. Oggi la promozione della tutela, valorizzazione e riconversione

di parte del copioso patrimonio minerario dismesso, è in linea con gli

obiettivi di sviluppo sostenibile Goal 11 dell’ONU 2030 sulle città e comunità

sostenibili, che intende pianificare il territorio in modo da proteggere e

salvaguardare il patrimonio culturale e naturale nonché di valorizzarlo in

maniera integrata con i circuiti dei cammini e vie storiche, dei borghi italiani,

delle ferrovie turistiche, della mobilità dolce a piedi ed in bicicletta, dei luoghi

dell’enogastronomia di qualità.

Il 2 ottobre 2015 a Milano all’interno della cornice dell’EXPO, viene siglato un

protocollo d’intesa che sancisce la nascita della Rete Nazionale dei parchi e

musei minerari, denominata ReMi. La rete coordinata da ISPRA, promossa

in collaborazione con la Regione Lombardia, patrocinata dal Ministero dello

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Sviluppo Economico, l’ANIM e l’AIPAI, il

CNG (Consiglio Nazionale dei Geologi),

vede da subito la partecipazione dei 4

parchi minerari nazionali e di buona

parte delle realtà minerarie museali

italiani.

Dopo 5 anni e mezzo di lavoro della

Rete, opportunamente coordinata

da ISPRA, il numero degli aderenti è

cresciuto con grande rapidità, molti

degli obiettivi sono stati raggiunti, altri

sono stati meglio individuati e mirati,

in stretta collaborazione con il comitato

della rete. Tutti i dati e le informazioni

sulle attività condotte fino ad oggi, sono

scaricabili sul sito ISPRA/ReMi, tra cui il

volume “Viaggio nell’Italia mineraria ”).

Un altro importante risultato è stato

quello di avanzare una proposta di

legge, quale sintesi delle varie esigenze

territoriali, il disegno di legge 1274/2018

denominato programmaticamente

“Disposizioni per la tutela e la

valorizzazione dei siti minerari

dismessi e del loro patrimonio

geologico, storico, archeologico,

paesaggistico e ambientale”, la prima

proposta concreta di cornice normativa

elaborata in Italia sui siti minerari

dismessi, maturata in seno alla Rete

ReMi e pertanto espressione e frutto di

una elaborata sintesi dei vari soggetti

che quotidianamente gestiscono il

patrimonio minerario nel nostro paese.

Agata Patanè

Agata Patanè, tecnologo presso il Dipartimento per il Servizio Geologico d’Italia ISPRA. Coordinatore

nazionale della Rete nazionale dei musei e parchi minerari, della Giornata Nazionale delle Miniere.

Membro del CdA del Parco delle Colline metallifere toscane. Dal 1995 opera nel campo della tutela

ambientale e pianificazione territoriale. Ha collaborato con IGEAM S.r.l., 3Ti Progetti, Dipartimento

di Ingegneria Chimica, dei Materiali, delle Materie Prime e Metallurgia della Sapienza di Roma.

agata.patane@isprambiente.it

Luca Sbrilli

Luca Sbrilli, geologo. Dal 1994 svolge l’attività di libero Professionista. Già Responsabile Ufficio

Ambiente e Aree protette del Circondario della Val di Cornia dal 2001, è dipendente part-time

dell’Agenzia per la Protezione Ambientale della Toscana, occupandosi fino al 2008 di VIA e VAS e dal

2013 geologo del settore Geotermia. Dal 2007 al 2016 ha svolto l’incarico di Presidente della Parchi

Val di Cornia SpA società pubblica finalizzata alla gestione di parchi naturalistici, archeologici e

minerari. Membro del Comitato di coordinamento ReMi e dal 2017 con delega del Parco Minerario

dell’Isola d’elbanell’Assemblea ReMi.

lsbrilli12@gmail.com

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PRO LOCO

RIO

La Proloco di Rio è nata nel 2019 dalla

fusione delle due Proloco già esistenti ed

operanti sul territorio, quella di Rio Marina e

Cavo e quella di Rio Elba che si sono unite per

ottimizzare le risorse umane e finanziarie

dopo la fusione dei comuni di Rio Elba e Rio

Marina che ha dato origine al Comune di

Rio. Da qui è nata l’esigenza di creare una

sinergia, capace di affrontare al meglio le

necessità del territorio, proponendo alle

amministrazioni competenti tutte quelle

iniziative atte a tutelare e valorizzare le

bellezze e risorse naturali, attivando ogni

possibile forma di collaborazione con enti

pubblici e privati per il soddisfacimento di

interessi collettivi.

La Proloco si occupa in primo luogo di dare un servizio di informazione

ed accoglienza turistica attraverso i propri centri Infopoint disposti nelle

tre frazioni del comune di Rio (Rio Marina, Rio Elba e Cavo) con personale

preparato a questo scopo. Molte sono le iniziative ed eventi turisticamente

rilevanti sia di carattere musicale, che culturale e sportivo, pubblicizzate

attraverso i nostri social ed il nostro sito Internet. La nostra attività, rivolta sia

agli abitanti che ai turisti, si svolge prevalentemente in collaborazione con il

Comune di Rio, il Parco Minerario, le strutture di accoglienza e ristorazione

nonché di tutti i soggetti che collaborano in maniera diretta o indiretta per

favorire la conoscenza del territorio, della cultura e della gastronomia locale.

Contatti:

segretria@prolocorio.it

prolocorio@pec.it

L’identità culturale del territorio, la ricchezza

geologica di Rio, le tradizioni minerarie

che risalgono alle epoche più antiche,

le testimonianze storico artistiche, le

produzioni enogastronomiche, l’unicità dei

suoi paesaggi e del suo ambiente marino

e terrestre, sono un patrimonio sul quale

fondare lo sviluppo sostenibile di tutta

l’area. La Pro Loco è la custode di quei valori

materiali ed immateriali che costituiscono la

vera ricchezza dei nostri paesi.

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PRO LOCO

CAPOLIVERI

La Pro Loco di Capoliveri, fondata nel 2015,

è composta da volontari che con amore

e passione si impegnano per animare la

vita sociale del paese, mantenendo vivo il

senso di comunità e valorizzando l’identità

culturale del territorio.

Il nuovo direttivo, eletto nel 2021, è composto

da Paolo Martino, Presidente, e da tredici

consiglieri: Maria Grazia Giacomelli (Vice

Presidente), Mirco Bulleri, Puccini Lorenzo,

Lucio Pilu; Barbera Antonio, Martino

Giuseppe, Conte Giuliano, Melis Erminia,

Crispu Andrea, Palmieri Antonietta, Porcelli

Eliseo, le Segretarie Alessandra Geri e Laura

Padovan.

Molti gli eventi che vengono organizzati

durante l’anno per ricordare le tradizioni e

la storia del paese e per offrire ai residenti

e turisti momenti di svago e condivisione.

Molti i concerti con cantanti di fama

internazionale come i Volo, Luca Carboni,

Mario Biondi, Edoardo Bennato, Panariello.

Numerose le feste gastronomiche come la

Festa del Pesce Povero e la Magna Longa che

coniuga sport e salute con una passeggiata

sul Monte Calamita con vari stop per

degustare piatti tipici.

Appuntamento annuale anche con la Festa del Cavatore, nel mese di giugno,

per ricordare la storia di Capoliveri e quella dei nostri minatori.

Numerosi anche gli eventi culturali, come presentazioni di libri e premi

letterari o rievocazioni storiche come in occasione del bicentenario della

morte di Napoleone o per i settecento anni di Dante. Con la collaborazione

del Comune abbiamo curato una mostra fotografica, con foto storiche e

oggetti d’epoca per raccontare la storia del nostro territorio. Con orgoglio

collaboriamo con altre associazioni come Diversamente Sani, Telefono

Azzurro, Pubblica Assistenza, oltre a sostenere raccolte fondi per iniziative

sociali. Collaboriamo attivamente con gli organizzatori anche per alcune

manifestazioni come il Rally Storico dell’Elba e l’Elba Park.

La Festa dell’Uva, arrivata alla sua XXV° edizione, attira ogni anno numerosi

spettatori da tutti i Paesi dell’Elba , della Toscana e del mondo. Su temi diversi

ogni anno, i quattro rioni del paese si contendono il premio per il migliore

allestimento, con lo stesso impegno e la stessa voglia di vincere il Bacco.

Durante l’inverno non mancano i momenti di festa come per la Festa di

Natale in cui vengono distribuiti i doni a tutti e la Festa di Carnevale o quella

delle Donne l’8 marzo.

La grande partecipazione popolare, la solidarietà e l’aiuto che arrivano

da tutto il paese sono la più gratificante ricompensa per il nostro lavoro

e consolidano quei rapporti sociali e interpersonali, anche fra diverse

generazioni, che sono il vero patrimonio della nostra comunità.

Viale Australia, c/o Comune di Capoliveri

tel. +39 339 3307145 - +39 0565 967650

alexia786@gmail.com - prolococapoliveri@gmail.com

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PRO LOCO

PORTO AZZURRO

La Pro Loco Porto Azzurro si è costituita il 13

febbraio 2012.

Riunisce in associazione tutte le persone

fisiche (Soci) che intendono operare

attivamente per favorire lo sviluppo

turistico, culturale, ambientale, sociale,

sportivo, storico, artistico del territorio del

Comune di Porto Azzurro e migliorare la vita

dei suoi residenti e dei suoi ospiti.

La Pro Loco Porto Azzurro non ha finalità di

lucro ed i suoi Soci operano a favore della

medesima con il concetto del volontariato,

operando con un ordinamento interno

ispirato a principi di democrazia ed

indirizzato ad ottenere i migliori risultati

possibili nell’ambito dell’attività di

promozione ed utilità sociale.

La Pro Loco Porto Azzurro può sviluppare

la sua attività attraverso molteplici

iniziative come ad esempio l’edizione e

la pubblicazione di varia natura, fisse od

in movimento, con mezzi tradizionali

od elettronici e la partecipazione o

l’organizzazione (in Italia o all’estero) di

eventi idonei al raggiungimento dell’oggetto

sociale.

Molti gli eventi organizzati dalla Pro Loco, sia in estate che nelle altre stagioni

quando le condizioni di sicurezza lo permettono, a partire dal Carnevale,

alla Festa dei Fiori, dalla Notte Azzurra, al Radiostop Festival, alle escursioni

guidate ai luoghi di interesse storico ed ambientale, agli eventi musicali

come il MaggyArt Festival e quelli culturali, tutti di grande richiamo.

La Pro Loco Porto Azzurro, associazione di promozione sociale

regolamentata dalle recenti normative del terzo settore, aderisce all’U.N.P.L.I.

(Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) nel rispetto dello Statuto e delle

normative U.N.P.L.I.

La sede dell’Ufficio Informazioni si trova al piano terra del Palazzo Comunale

di Porto Azzurro, in Lungomare Paride Adami 19. È aperto tutti i giorni dalle 9

alle 12.40, e dalle 16 alle 19 (eccetto la domenica).

Lungomare Paride Adami 19 – Porto Azzurro

Tel. +39 351 7195991

Email info@prolocoportoazzurro.it

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PRO LOCO

CAMPO NELL'ELBA

Costituita nel 2011 per volontà di un gruppo

di imprenditori e cittadini di Campo, la Pro

Loco ha riunito tutte le associazioni del

territorio per trovare sinergie e risorse per

valorizzare al meglio le tradizioni e l’offerta

turistica del paese e delle frazioni del

Comune.

Numerosissime le manifestazioni

organizzate in estate ed inverno grazie alla

disponibilità ed all’impegno dei soci ed alla

stretta collaborazione con l’Amministrazione

comunale.

Ed ancora le Feste patronali, i festival musicali, gli incontri culturali, le

escursioni dentro e fuori i borghi e le loro campagne, gli importanti

appuntamenti sportivi che richiamano appassionati da tutto il mondo nelle

varie discipline a partire dalla mountainbike.

Sia in inverno che in estate i volontari riescono a gestire un ricco programma

di iniziative che partono dai valori identitari del luogo per offrire un

ventaglio di proposte per i cittadini e gli ospiti del territorio.

La Pro Loco svolge un’importante funzione per il Comune di Campo gestendo

il punto informazioni dove è possibile avere assistenza e buoni consigli,

oltre che partecipando attivamene alle campagne di sensibilizzazioni e

solidarietà per il covid. L’ufficio è aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle

ore 12.

Dal Palio dei somari che vede contrapposte

le otto frazioni del comune alla Festa del

Corpus domini con l’allestimento di aiuole

fiorite lungo le strade del centro storico

di Marina di Campo, dalla Notte bianca

allo “sbancomatto”, curioso mercatino

organizzato dai commercianti a prezzi di

realizzo, dalla festa legata alle tradizioni

enogastronomiche: “Dolci Tradizioni” al

mercatino dei bambini “Bimbinfiera”, sono

numerose le occasioni per chiamare a

raccolta il Paese all’insegna dell’accoglienza

e del divertimento.

Piazza dei Granatieri 200

57034 Marina di Campo

Tel. +39 0565 976792

Email. info@prolococamponellelba .it

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ASSOCIAZIONE

CULTURALE

CARLO D’EGO

L’Associazione culturale “Carlo d’Ego” nasce

nel 2013 a pochi mesi dalla scomparsa

di Carlo Carletti, conosciuto come Carlo

d’Ego, giornalista, documentarista attento e

poliedrico, appassionato curioso del proprio

paese e della propria gente, per conservare

e valorizzare il suo “tesoro”: migliaia di

fotografie, filmati, diapositive, articoli che

raccontano la storia di Rio Marina e di tutta

l’Isola d’Elba .

Scopo dell’Associazione è quello di custodire

questa preziosa memoria identitaria,

catalogando diapositive e fotografie con

le quali Carlo ha descritto la sua gente,

recuperandone gli scritti, classificando

le centinaia di filmati che ha girato,

provvedendo al loro restauro ove si renda

necessario.

Negli anni l’Associazione ha organizzato

con successo un gran numero di eventi,

condividendo con i cittadini elbani e con

gli ospiti dell’Isola questa ricchissima

memoria, perché non se ne perdesse traccia,

tramandando quei valori e quel patrimonio

fatto di valori materiali e immateriali che

sono le fondamenta della comunità riese ed

isolana.

I componenti dell’Associazione, con lo stesso amore di Carlo Carletti che

li lega alla loro terra, ai paesi di Cavo, Rio Elba, Rio Marina, passando per

Bagnaia, Nisporto, Nisportino fino a Capo d’Arco, condividono la stessa

missione e parafrasando uno scritto di Carlo Carletti “… ripercorrendo il

passato sull’onda di testimonianze, ricordi ed esperienze personali, con il

proposito di offrire un qualche contributo al non dimenticare e a conservare

serenamente la consapevolezza dei nostri valori e delle nostre radici”

E così riemergono dal passato, che è scuola di futuro, la vita dura dei cavatori,

la terra devastata per come è stata trasformata e distorta per cento anni, con

tutta la sua bellezza e le sue ferite. Perchè nulla di quella storia, fatta di fatica

e coraggio, di tenacia e dignità, deve andare perso, anzi, dovrà trasformarsi

in memoria condivisa che genera risorsa, restituendo alle nuove generazioni

l’insegnamento dei loro nonni, riqualificando anche il territorio e la sua

antichissima storia, le gallerie, le cave, i laghetti rossi, i percorsi - ed ancora -

i carteggi, gli archivi e la raccolta delle testimonianze.

Carlo d’Ego è stato corrispondente del quotidiano La Nazione (dal 1958 al 1978); corrispondente

del quotidiano del Il Tirreno (dal 1978 al 2008); collaboratore dei periodici Lisola e La Piaggia; nel

1992 ha pubblicato la raccolta fotografica L’ALTRA Elba ; ha collaborato con I quaderni di Santa

Caterina; è stato direttore responsabile dell’emittente RTS e del periodico La Piaggia; è l’autore

delle due raccolte RACCONTI RIESI e RIESITA’, pubblicati nei primi anni 2000

Via Magenta 16 - 57038 Rio Marina

associazionecarlodego@gmail.com

FB @carlodego – centro culturale

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CAPUT

LIBERUM

La Caput Liberum è una società privata a

totale partecipazione pubblica ed agisce

secondo gli schemi definiti "In House

Providing" come società strumentale all'Ente

Pubblico controllante con lo scopo di gestire i

servizi di interesse pubblico quali la gestione

dei "Servizi Culturali" e di alcune strutture:

- le "Miniere di Capoliveri", occupandosi della

loro valorizzazione turistica ed organizzando

visite guidate agli ambienti museali, ai

cantieri estrattivi esterni ed alla galleria

sotterranea del Ginevro, unica in tutta l'isola

- il "Museo del Mare" alla scoperta del

fascino degli abissi per rivivere un

affascinante frammento della nostra storia

risorgimentale attraverso i preziosi oggetti

del carico del Polluce

mortuaria; si conserva la bella abside romanica decorata da coppie di

archetti pensili divisi da paraste. Nel 1376 il papa Gregorio XI, ritornato dalla

cattività avignonese, avrebbe fatto scalo con la propria nave nel sottostante

golfo e nella pieve avrebbe celebrato la messa a beneficio della popolazione

del paese.

- il "Cinema Teatro Flamingo" fortemente voluto dall’amministrazione

comunale, è nato al fine di dare alla popolazione elbana un punto di ritrovo

e socializzazione oltrechè fornire un intrattenimento in più per i tanti turisti

che popolano l’isola nei mesi estivi.

Le guide che lavorano con la "Caput Liberum srl", hanno raccolto storie,

documenti, testimonianze del patrimonio minerario elbano e raccontano

con entusiasmo come si viveva quando la miniera era la risorsa principale

di quel territorio. Percorrendo la Miniera del Ginevro e l'intero promontorio

di Calamita sono molte le sorprese di questo piccolo grande mondo, alla

scoperta di un' Elba autentica e selvaggia: a piedi, in bici, con le simpatiche

jeep da Safari o insieme alle guide scendendo nel cuore della terra fino a 24

metri sotto il mare.

- la "Pieve di San Michele" attestata dal

1235, era originariamente intitolata ai santi

Giovanni e Michele, come si evince da un

atto notarile (1343) di Andrea Pupi

(«...plebis Sanctorum Iohannis et Michelis de

Capolivro...»). Danneggiata dall'incursione

delle truppe di Dragut nel 1553, perse

le originarie funzioni cultuali, finché

nell'Ottocento fu trasformata in cappella

Piazza del Cavatore 1

57031 Capoliveri

Tel. +39 0565 935135 - Fax. +39 0565 967343

Mail: info@caput-liberum.it

www.caput-liberum.it

minieracalamita@gmail.com

Tel. +39 393 9059583 - +39 393 8720018 - +39 0565 935492

museodelmare.capoliveri@gmail.com

Tel. +39 393 9059583 - +39 393 8720018

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

161


Partner

LA PICCOLA

MINIERA

La Piccola Miniera nasce dalla fantasia,

unita all’esperienza mineraria, di Emilio

Giacomelli che, quaranta anni fa, ebbe

l’intuito di dedicare la sua attività al

patrimonio geologico e minerario elbano

creando un luogo espositivo ed un

laboratorio per la lavorazione delle pietre

dure, creando, principalmente nella sua

taglieria artigianale, monili ed oggetti di ogni

tipo e foggia.

Il tocco della conduzione familiare si

sente anche nel resto dell’azienda; sia nel

Museo dove si racconta la presenza degli

Etruschi all’Elba , in maniera semplice,

didattica, accessibile a tutti, sia nella parte

commerciale dove la famiglia Giacomelli

cerca di mettere a disposizione di tutti

l’esperienza acquisita negli anni dando

esaurienti spiegazioni e consigli.

naturali e autentici, un capolavoro artistico che fornisce un esempio del

complesso sistema estrattivo dei vari minerali elbani. Particolarmente

interessante è il Museo Minerario Etrusco che si propone di valorizzare

l’importanza della presenza etrusca all’Isola d’Elba oltre 19 bacheche con

esposti minerali corredati da schede didattiche e fotografie dei punti di

ritrovamento. Di notevole interesse culturale sono la riproduzione di quattro

forni etruschi in sezione con le varie tappe di cottura dell’ematite, il video sul

funzionamento dei forni ed una serie di bellissimi affreschi.

Completa il tour l’Enoteca-Degustazione in cui vengono proposti e

raccontati i più importanti prodotti gastronomici del territorio.

La Piccola Miniera si trova a Porto Azzurro,

lungo la strada provinciale in direzione per Rio Marina

a soli 500 metri dal centro storico.

Via Provinciale Est

57036 Porto Azzurro

Tel. + 39 0565 95350

Email: info@lapiccolaminiera.it

La visita alla Piccola Miniera inizia in una

grande sala espositiva, dove è possibile

scoprire preziosi monili e bigiotteria in larga

parte prodotta artigianalmente: soluzioni

fantasiose che nascono dalla lavorazione

sapiente della pietra.

La Piccola Miniera è un’opera

completamente ricostruita con materiali

162

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Partner

ITALIA NOSTRA

ARCIPELAGO

TOSCANO

L’Associazione Italia Nostra è stata costituita

il 29 ottobre 1955 e riconosciuta con Decreto

del Presidente della Repubblica 22 agosto

1958, Nr. 1111. Ha lo scopo di concorrere alla

tutela e alla valorizzazione del patrimonio

storico, artistico e naturale della Nazione.

L’Associazione, Organizzazione Non

Lucrativa di Utilità Sociale, non ha scopo

di lucro e ha carattere di volontariato

conformemente alle disposizioni legislative

statali e regionali concernenti la materia.

La missione di Italia Nostra Onlus è quella

di proteggere i beni culturali e ambientali.

Le città, i parchi, i paesaggi, la qualità del

territorio, il risanamento ambientale del

nostro Arcipelago, la promozione di uno

sviluppo sostenibile, sono fra i principali

obiettivi dell’Associazione.

Italia Nostra dialoga con le Pubbliche

Amministrazioni chiedendo di investire

risorse nella sicurezza del territorio, nella

conservazione e tutela del patrimonio

culturale (monumenti, centri storici), nel

sostegno a musei, biblioteche, archivi e nelle

relative risorse umane rafforzandone le

competenze professionali.

Ma il compito di Italia Nostra non si

esaurisce nel salvare dall’abbandono e

dal degrado monumenti antichi, bellezze naturali o opere dell’ingegno;

Italia Nostra persegue infatti un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla

valorizzazione dell’inestimabile patrimonio culturale e naturale italiano,

capace di fornire risposte in termini di qualità del vivere e di occupazione.

Da sempre consideriamo strategica l’educazione e la formazione di giovani e

adulti sui temi del paesaggio, l’ambiente e i beni culturali nella convinzione

che solo cosa si conosce si può tutelare e valorizzare.

La Sezione di Italia Nostra Arcipelago Toscano (INAT) nasce all’elba nel 1966

ad opera del suo primo Presidente Alfonso Preziosi che l’ha diretta per

oltre trent’anni. Obiettivo dell’Associazione è la conservazione, narrazione,

salvaguardia e valorizzazione del patrimonio identitario dell’Arcipelago.

Innumerevoli gli interventi negli oltre cinquant’anni di attività, dai temi

ambientali a quelli paesaggistici, dalla valorizzazioni del ricco patrimonio

materiale e immateriale dell’Elba e dell’Arcipelago a partire dai siti

archeologici per arrivare alle opere d’arte e architettura presenti su tutte

le isole di Toscana, senza perdere di vista il vasto patrimonio letterario e le

opere di molti autori o artisti nati o che hanno vissuto nell’Arcipelago. INAT,

sempre attenta ai temi ambientali ed alla incredibile geo e biodiversità delle

Isole, svolge una funzione di monitoraggio, in un confronto sereno con le

Istituzioni e gli enti pubblici e privati, per salvaguardare l’habitat marino e

terrestre dell’Arcipelago.

arcipelagotoscano@italianostra.org

www.italianostrarcipelagotoscano.it

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

163


Partner

ACCADEMIA ITALIANA

DELLA CUCINA

DELEGAZIONE ELBA

L'Accademia Italiana della Cucina è

un'istituzione culturale della Repubblica

Italiana, senza scopo di lucro riconosciuta

dal Ministero per le Attività e i Beni Culturali,

a testimonianza che la cucina è una delle

espressioni più profonde della cultura di

un territorio. Fu fondata il 29 luglio 1953 a

Milano da Orio Vergani, con un gruppo di

qualificati esponenti della cultura, industria

e giornalismo.

In quest'ottica siamo promotori di ricerche condotte da scuole e università

sul recupero di specie vegetali, oltre che di ricerche in archivi storici sul

nostro territorio per risalire alle popolazioni che lo hanno abitato, come gli

Etruschi, lasciando importanti testimonianze e reperti.

Confidiamo e auspichiamo che siano condotti ulteriori approfondimenti e

studi su questi importanti abitanti dell'Elba, a cui dobbiamo molto in termini

di notorietà e cultura. Sicuramente qualche tradizione, ancora oggi in uso,

ha radici nella civiltà etrusca, e l'archeologia ne ha scoperto tracce anche

all'Elba.

L'Accademia ha sede a Milano, ma persegue

i suoi obiettivi attraverso l'attività delle

Delegazioni e Legazioni che attualmente

sono 223 in Italia e 67 Delegazioni e 22

Legazioni all'estero, con più di 8500 associati

in tutto il mondo.

Viale Elba 28 – 57037 Portoferraio

Tel. +39 380 3831931

Email: rossanaicelba @gmail.com

FB: Accademia Italiana della Cucina - Delegazione Elba

Anche la Delegazione dell'Isola d'Elba

ricerca, custodisce e divulga le proprie

tradizioni e le proprie radici. Svolge

un'intensa attività di ricerca storica e

riscoperta di antiche tradizioni coniugata

sempre o quasi con un'attività conviviale, che

costituisce occasione d'incontro e di fervido

scambio d'idee tra gli Accademici.

164

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Partner

L'ELBA

DEL VICINO

L’Elba del Vicino ha sede nell’Istituto Sacro

Cuore, a quattro passi dal centro del paese

di Rio Marina, ed è gestita da una comunità

di persone (religiose, laici e giovani) pronti

ad accogliervi e guidarvi alla scoperta

dell’Isola. Nasce con una progettualità

innovativa, in cui l’Istituto religioso delle

Figlie di Maria Ausiliatrice, l’Associazione

CIOFS Formazione professionale e il

privato sociale, cooperativa Vedogiovane,

collaborano, costruiscono e concretizzano

insieme ideali e modelli per un nuovo modo

di essere presenti nel territorio. Come?

L’Elba del vicino è accoglienza, animazione

del territorio, laboratorio di formazione su

educazione, comunità, lavoro, turismo, arte,

cultura, spiritualità e molto altro ancora.

Potremmo quasi definirlo uno spazio ibrido

di incontri e uno spazio di ibridazione di vite,

storie, esperienze, che conducono ad una

caleidoscopica trasformazione in essere..

Ostello L’Elba del vicino

Via Don Giovanni Minzoni 5

57038 Rio Marina

www.elbadelvicino.com

Tel. +39 348 1589655 – +39 0565 962042

Questo progetto complesso si traduce in un ostello dove nessuno potrà

considerarsi solo un cliente o un consumatore, ma sarà piuttosto attore

responsabile di ogni esperienza qui condivisibile

- un luogo di animazione per i bimbi e i ragazzi del territorio che ogni giorno

frequentano l’oratorio, il doposcuola, le attività ludiche

- un luogo di elaborazione di idee, di progettazione e formazione dove ci si

incontra per lavorare insieme e da cui partono ulteriori progetti di contrasto

alla povertà educativa, di volontariato, di arte e cultura che permettono di

agire, qui ed altrove, ma soprattutto permettono di sostare, riconciliarsi,

confrontarsi, crescere insieme… e formarsi

- un luogo di arte, perché grazie al progetto “una stagione d’artista”, giovani

artisti da tutta Italia, permangono una settimana, sperimentano il luogo,

creano e restituiscono sottoforma di spettacolo gratuito, opera d’arte, video

o performance, quanto l’Isola, il contesto, le persone, hanno dato e hanno

ricevuto.

È un luogo di passaggio. Di trasformazione e cambiamento. Di crescita e di

maturazione. Di ri-generazione. L'Elba del Vicino è uno spazio di innovazione

sociale, dove qualunque visitatore ha l'opportunità libera di lasciare una propria

orma trasformando lo spazio, che cambia continuamente con il suo passaggio.

Occasione data dall'accoglienza e dal sentirsi arrivato o tornato a casa.

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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Partner

INFOELBA

InfoElba srl è una Web Agency leader nel

settore informatico e turistico all’Isola d’Elba.

Si occupa principalmente di realizzazione

e gestione siti web, sviluppo applicazioni

per dispositivi mobili e software internet

oriented.

Dal 1999 gestisce InfoElba .it, il portale

turistico più visitato dell’isola, dove descrive

l’Elba a 360 gradi, offrendo informazioni e

suggerimenti per le vacanze e le indicazioni

utili di carattere organizzativo: come

arrivare, come fare il biglietto del traghetto,

dove dormire e mangiare, cosa visitare, sport

e attività da praticare, escursioni, ma anche

raccontando la straordinaria complessità

e diversità della natura di questo angolo di

paradiso dove, a pochi chilometri di distanza,

si alternano spiagge da sogno, montagne

di granito, verdi boschi, laghetti nascosti e

miniere dall’aspetto lunare.

Il network di InfoElba comprende anche

numerosi altri siti e portali, tra cui i

più importanti sono Elba eventi.it, sito

di promozione di spettacoli, eventi e

manifestazioni organizzate sull’isola e il blog

iloveElba .it, nato per condividere storie e

racconti sull’Elba e su ciò che la rende un

territorio così straordinario e speciale.

Strumenti indispensabili per coloro che desiderano vivere la loro vacanza

in maniera smart sono anche le tre app gratuite realizzate dall’azienda: Elba

Spiagge, guida dettagliata e utile a tutte le spiagge dell’Elba , Elba Traghetti ed

Elba Eventi.

Grazie a questa esperienza pluriennale nel settore del turismo e a una

profonda conoscenza del territorio elbano, InfoElba ha realizzato anche

diversi prodotti editoriali.

In particolare ha dedicato il proprio impegno alla creazione di una cartina

e una guida cartacea su Le Spiagge dell’Isola d’Elba , nelle quali le spiagge

sono accuratamente illustrate con descrizioni dettagliate, foto, indicazioni

precise su come raggiungerle, parcheggi, servizi presenti e suggerimenti

su come fruirne al meglio in base al vento. La Guida Isola d’Elba è l’ultimo

progetto di InfoElba, nato con l’intento di valorizzare la ricchezza dell’isola e

le tante identità che contraddistinguono il territorio: dalla natura alla storia,

le tradizioni, borghi e paesi, le esperienze e le attività outdoor e la cultura

enogastronomica.

All’interno della guida si trovano descritti nel dettaglio i tanti luoghi di

interesse e le attività da provare: chiese, fortezze, monumenti e miniere

da visitare, escursioni, luoghi da non perdere, itinerari e gite, esperienze

outdoor, spiagge, prodotti e ricette della tradizione.

Viale Teseo Tesei 12 - Centro servizi Il Molino

57037 Portoferraio

www.infoelba .it

infoelba @gmail.com

amministrazione@infoelba .it

Tel. +39 0565 918864

166

I QUADERNI DI ENJOY ELBA


Partner

ACQUA

DELL’ELBA

Acqua dell’Elba è l’essenza del mare. La sua

unicità risiede nel realizzare manufatti nel

cuore dell’Arcipelago Toscano, utilizzando

materie prime di alta qualità ispirate al mare

e all’Isola d’Elba, lavorando secondo un saper

fare artigiano.

Il modo di fare impresa di Acqua dell’Elba si

ispira alle botteghe artigiane rinascimentali,

dove alle straordinarie capacità manuali del

maestro e dei suoi allievi si accostavano una

naturale propensione al bello, una profonda

conoscenza delle arti e della cultura ed una

spiccata tensione alla realizzazione di prodotti

che fossero al contempo funzionali e ricchi di

significati. Manufatti unici, poiché realizzati

secondo tecniche artigianali ispirate all’arte

e a un luogo unico come l’Isola d’Elba.

Acqua dell’Elba è l’autentica interprete delle

sensazioni e delle evocazioni del mare,

restituite ai suoi clienti tramite 7 linee di

profumi (Essenza, Classica, Arcipelago, Blu,

Essenza di un’Isola, Bimbi, Sport) e 13 fragranze

per l’ambiente (Mare, Brezza di Mare, Costa del

Sole, Fiori, Profumi del Monte Capanne, Giglio

delle Sabbie, Giardino degli Aranci, Casa dei

Mandarini, Limonaia di Sant’Andrea, Note di

Natale, Isola di Montecristo, Notte d’Estate).

A queste si aggiungono:

- prodotti per la persona: creme corpo, gel doccia shampoo, saponi,

deodoranti, salviette detergenti;

- prodotti per la profumazione d’ambiente: profumatori d’ambiente, profumi

d’ambiente, fragranze per tessuti, candele profumate, gessi profumati,

ceramiche profumate;

- tessuti: teli da mare, accappatoi, parei, bermuda;

- accessori: borse da mare, beauty, cappelli.

La visione di Acqua dell’Elba è creare bellezza per le persone e l’ambiente.

Bellezza intesa come valorizzazione del bello in tutte le sue forme: estetica,

esperienziale, sociale e culturale. La missione di Acqua dell’Elba è creare

profumi ispirati dalla bellezza del mare che soddisfino l’idea di ben-essere

delle persone, promuovendo al contempo un modello di crescita sostenibile.

Via A. Moro 69 – 57033 Marciana Marina

Tel. + 39 0565 995130

info@acquadellelba .it

www.acquadellelba.it

ELBA — I FIORI DELLA TERRA

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Partner

SIMTUR – Società Italiana

professionisti della mobilità

e del turismo sostenibile

SIMTUR è ecosistema professionale: una

rete nazionale a carattere tecnico, scientifico

e culturale, costituita ai sensi della legge 14

gennaio 2013 n. 4.

L’associazione non persegue finalità di

lucro e opera nell’interesse collettivo,

proponendosi di contribuire alla

necessaria transizione ecologica

attraverso la formazione, la qualificazione

e la rappresentanza unitaria di figure

professionali innovative nei settori della

mobilità di persone, merci, informazioni e

dati.

SIMTUR promuove la ricerca scientifica e,

attraverso il proprio centro studi, realizza

attività di rilevazione statistica, analisi,

progettazione e pianificazione. Progetta

inoltre campagne educative e divulgative

volte a stimolare l’opinione pubblica verso

un cambiamento dei modelli di produzione,

di distribuzione, di trasporto e di consumo.

La visione di SIMTUR (“Visio2050”) si poggia

su 3 pilastri: bellezza, lentezza e gentilezza.

Per dare forma a questi valori, oltre al

Meeting annuale “All Routes lead to Rome”,

al circuito primaverile outdoor “Days Out”, al

Premio nazionale “Go Slow” e alle iniziative

digitali “SIMTUR Live!”, l’associazione ha

attivato e aderito a diverse strategie globali e azioni locali per contrastare i

cambiamenti climatici, suddivise per risorsa:

ARIA > “European Mobility Week” e “EmissioniZero: 50+50=0x2050”

TERRA > “Earth Overshoot Day”, “BioSlow” e “Salviamo il Paesaggio”

ACQUA > “Water Footprint” e “Rotte Blu come Vie Verdi”.

Fiori all’occhiello dell’agenda SIMTUR sono anche la “Board nazionale degli

Itinerari, delle Rotte, dei Cammini e delle Ciclovie” e il programma nazionale

“Piccole Patrie”, per promuovere un turismo responsabile, sostenibile e di

comunità.

SIMTUR ha istituito e presentato al Ministero dello Sviluppo Economico

un registro nazionale di professionisti, che possono richiedere l’iscrizione

sottoscrivendo il codice deontologico e dimostrando di aver acquisito le

fondamentali competenze multidisciplinari nei settori della mobilità e del

turismo culturale sostenibile.

Per assicurare una qualificazione evoluta ed un costante aggiornamento

professionale dei propri associati, è nato il catalogo formativo nazionale

Movability, che propone masterclass, corsi modulari e momenti di alta

formazione residenziale diffusa nei territori in forma di Camp.

Da queste esperienze di ricerca, analisi, pianificazione e connessione è sorta

l’intuizione di registrare il marchio editoriale Movability Books.

www.simtur.it

segreteria@simtur.it

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