16 COSE DI UNA VOLTA
17 COSE… DEL TEMPO CHE FU Ormai i lettori sanno che vado per ricordi. Mi basta un verso, un motivo musicale, una notizia giornalistica a suscitar memorie. Non sono né una poetessa né una scrittrice, racconto ‘storie’. Guardo la televisione, la copiosa pubblicità ai prodotti che rendono i capelli femminili vaporosi ed ondeggianti come cascate di seta; essi mi ricordano donne che li lavavano con sapone di Marsiglia o magari con ranno di cenere. Ranno di cenere, lo stesso usato dalle gentildonne fiorentine del Rinascimento che, complici i pittori come il Botticelli con le loro Primavere, Veneri e Madonne, avevano portato in auge la moda del ‘biondo’. Siccome nelle donne fiorentine prevale il castano, per imbiondirsi le dame avevano inventato le ‘solane’: cappelli di paglia dalle larghe tese ai quali veniva tolto il cocuzzolo; dal buco, stesi sulla tesa, i capelli bagnati con ranno di cenere, costoro si mettevano sedute sulle altane sotto l’azione del sole, ripetendo più volte la bagnatura. Imbiondivano? Pare che qualche riflesso ossigenante lo ottenessero, visto che la faccenda era largamente praticata. Le donne di un tempo non necessitavano di parrucchiere, infatti nel mio paese fin verso gli anni ’60 non ce n’erano. Per i lunghi capelli acconciati a treccia, a crocchia, a cercine, non servivano. Al bisogno forbici, anche ai ragazzini tagli fatti in casa, magari con una pentola in testa, per seguire la giusta scalatura! Per qualche arricciatura vanesia ferri scaldati al fuoco. C’erano invece tre saloni per uomo, aperti solo un paio di sere a settimana. Pareggiare baffi e favoriti, radere barbe e tagliare capelli era necessario. C’era un detto al maschile: “lungo capello, corto cervello”. Il compito spettava ai tre ‘barbitonsori’ che praticavano la bisogna a tempo avanzato. Quegli improvvisati ‘figaro’ erano braccianti o boscaioli, alla faccia della mano leggera! La moda dei capelloni arrivò dopo, e fecero scalpore i Beatles. In città, udite, udite. La prima permanente di mia madre: capelli arrotolati su bigodini collegati tra loro da tubicini di gomma dove passava il vapore acqueo che avrebbe confermato l’arricciatura ‘permanente’, appunto. Poi, via i tubicini, fu la volta di certe pinze calde, pesantissime,