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bombardamenti
9
con babbo verso casa nostra
per cercare di recuperare
qualcosa: “Vi aspetto da
nonno - disse mia madre -
fate presto è già buio e di
sicuro stanotte dovremo
dormire all’aperto”.
Entrammo in via del Porticciolo
da una piazza Grande
irriconoscibile per i palazzi
crollati. Nella stretta strada
che conduceva in Venezia
c’era un via vai di ambulanze
impegnate nel trasportare
i feriti all’ospedale dove nei
grandi prati verdi erano state
Piazza Grande
montate anche numerose
tende con dipinte enormi croci
rosse. La gente si fermava
atterrita a parlare del cataclisma
piombatoci sulla testa
e ben presto si era sparsa
la voce sui grappoli di
bombe caduti dritti, dritti, sui
rifugi dei Canottieri (Scali
D’Azeglio) e in via dei Riseccoli,
uccidendo centinaia
di persone.
La via del Porticciolo era
completamente ostruita da
mucchi di minute macerie e
noi dovemmo scavalcarle con
molta fatica per superare il
ponte e fu là che vedemmo i
primi morti, allineati lungo il
marciapiede, povere bambole
spezzate da una violenza
fino ad allora sconosciuta.
Entrammo sul viale Caprera
e S. Ferdinando ci apparve
mezza distrutta e così il convento.
Tutto intorno soltanto
palazzi completamente crollati
o diroccati e il nostro stabile,
il Casamentone, un enorme
montagna di macerie. Mi
si strinse il cuore a vederlo,
era stato disintegrato dalle
bombe e noi non avevamo più
una casa.
“Madonna, che botta ci
hanno dato!” - mormorò
babbo con la voce incrinata
dalla commozione. Io lo seguivo
e sentivo gli occhi dolere
come fossero pieni di
minuscole scaglie di vetro. Il
dolore investiva il mio giovane
cuore come le onde del
mare spinte dal libeccio si infrangono
violente sugli scogli.
Impietrito guardavo