BERNARD AUBERTIN territori di fuoco - Rosenberg
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quest’ultimo sta<strong>di</strong>o, il supporto dell’azione pubblica<br />
viene ridotto il più possibile, mente la presenza del<br />
<strong>fuoco</strong> invade lo spazio in modo più massiccio.<br />
Con il “<strong>fuoco</strong> in levitazione” tutto brucia e l’utilizzo<br />
della bomboletta incen<strong>di</strong>aria, che proietta un materiale<br />
infiammabile quasi completamente invisibile, giunge<br />
assolutamente a proposito. A quest’ultimo sta<strong>di</strong>o della<br />
smaterializzazione, il pericolo è grande sia per l’artista<br />
sia per lo spettatore. Dal punto <strong>di</strong> vista simbolico,<br />
ciò potrebbe in<strong>di</strong>care che, malgrado la speranza <strong>di</strong><br />
liberazione o <strong>di</strong>salienazione, è rischioso misurarsi con gli<br />
impe<strong>di</strong>menti del mondo materiale. L’esperienza vissuta<br />
del <strong>fuoco</strong> acquisisce allora un carattere iniziatico.<br />
Con i “libri da bruciare”, lo spettacolo della <strong>di</strong>struzione<br />
ci cattura e ci affascina acquisendo una <strong>di</strong>mensione<br />
particolare. Il pensiero va infatti, a quelle cerimonie<br />
simboliche ed espiatorie che sono gli autodafè.<br />
Opporsi a un’ideologia dando <strong>fuoco</strong> ai libri che la<br />
veicolano, significa credere nel potere del libro... e in<br />
quello <strong>di</strong> combustione. Aubertin gioca su queste due<br />
immagini in uno spirito tipico degli anni ‘60, non privo<br />
<strong>di</strong> humor, che consiste nel bruciare per “fare tabula<br />
rasa”. Qui si rientra ancora nella logica che volge quasi<br />
al termine, delle avanguar<strong>di</strong>e.<br />
Con le sue combustioni reiterate ed evolutive,<br />
Aubertin ci consegna senza sosta lo spettacolo della<br />
smaterializzazione. egli non propone solamente opere<br />
o risultati tangibili della sua attività artistica, ma propone<br />
<strong>di</strong> vivere in <strong>di</strong>retta e in tempo reale - quin<strong>di</strong> “senza rete<br />
<strong>di</strong> protezione” - la sua arte e le sue idee.<br />
(...) Smaterializzazione dell’arte, Bernard Aubertin<br />
si considera non<strong>di</strong>meno un realista, nel senso<br />
che egli manipola innanzitutto il reale e non la sua<br />
rappresentazione. Il rosso dei monocromi è un rosso<br />
concreto, i chio<strong>di</strong> sono chio<strong>di</strong>, il <strong>fuoco</strong> che brucia è<br />
ben presente, tanto che non si osa toccarlo. Attraente<br />
e repellente, il <strong>fuoco</strong> è forse persino il massimo del<br />
realismo. Quanto all’azione pubblica, essa, come<br />
abbiamo già sottolineato, è arte del vissuto. meglio<br />
ancora, Aubertin utilizza il <strong>fuoco</strong> come un mezzo per<br />
condensare il reale, per renderlo più memorabile, più<br />
sorprendente.<br />
(...) Più le opere <strong>di</strong> Aubertin si smaterializzano, più le<br />
azioni pubbliche <strong>di</strong>ventano spettacolari e coinvolgono<br />
lo spettatore in modo più “autentico” sino a fargli<br />
ad<strong>di</strong>rittura vivere situazioni <strong>di</strong> pericolo. Certo, in<br />
generale è Aubertin a svolgere il ruolo <strong>di</strong> piromane,<br />
ma il coinvolgimento fisico del pubblico non è meno<br />
intenso.<br />
(...) ciò che rende singolari le azioni <strong>di</strong> <strong>fuoco</strong> <strong>di</strong><br />
Aubertin, è la teatralizzazione, su durate piuttosto<br />
brevi, <strong>di</strong> questa ritmica fondamentale. Aubertin<br />
provoca consapevolmente dei cicli ternari, immagini<br />
<strong>di</strong> una pulsazione vitale. Ci invita ad assistere a piccoli<br />
peripli esistenziali drammatizzati o condensati, che<br />
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riproducono su piccola scala lo sviluppo lineare <strong>di</strong> un<br />
tempo più universale. Aubertin ne ricorda i tre sta<strong>di</strong>:<br />
“... barbarie, apogeo della civiltà, e decadenza”.<br />
O meglio, così come l’arte <strong>di</strong> Aubertin nutre l’arte <strong>di</strong><br />
Aubertin, dopo l’estinzione del <strong>fuoco</strong> è sempre presente<br />
la promessa <strong>di</strong> un continuum o <strong>di</strong> una rinascita. Ciò è<br />
illustrato soprattutto da quelle Valanghe <strong>di</strong> cenere, nate<br />
da opere bruciate in precedenza. Finiremo in polvere<br />
e dalla polvere rinasceremo... Aubertin allevatore <strong>di</strong><br />
cenere, come Duchamp lo era della polvere, è autore<br />
<strong>di</strong> un’opera realista quanto ottimista.<br />
Così, tutta l’aggressività, la violenza dell’arte, il rosso<br />
vivo dei monocromi, le punte dritte dei chio<strong>di</strong>, la<br />
piromania, le bombolette incen<strong>di</strong>arie, le esplosioni e<br />
gli autodafè... tutto l’arsenale aubertiniano, insomma,<br />
è orientato verso la speranza. Il terrore poetico<br />
dell’artista stregone è simbolico, esorcizzante e, infine,<br />
liberatorio.<br />
(...) Bernard Aubertin non ambisce a un’arte <strong>di</strong><br />
espressione, al contrario. Egli mette in moto dei<br />
processi che si esprimono ampiamente da sé. “Il <strong>fuoco</strong>,<br />
<strong>di</strong>ce Aubertin, mi obbliga a tenere la <strong>di</strong>stanza da lui, mi<br />
obbliga a lasciarlo fare, a mettermi da parte”.<br />
Ciò che prevale è il <strong>fuoco</strong>, il fumogeno in azione o il<br />
fiammifero acceso.<br />
(...) Per Aubertin, c’è urgenza <strong>di</strong> agire perché l’artista<br />
è in lotta imme<strong>di</strong>ata. Il suo progetto, improntato alla<br />
generosità, rientra in una sorta <strong>di</strong> terapia collettiva da<br />
intraprendere per il bene <strong>di</strong> tutti. È in questa prospettiva,<br />
fra l’altro che bisogna situare questi momenti <strong>di</strong> realtà<br />
che sono le azioni <strong>di</strong> <strong>fuoco</strong>. Nell’appen<strong>di</strong>ce al testo<br />
“Je suis un réaliste” l’artista accenna alla formazione <strong>di</strong><br />
un’alleanza <strong>di</strong> persone, <strong>di</strong> spiriti liberi, e propone <strong>di</strong><br />
creare dei collegi aperti ai ricercatori <strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>scipline<br />
che siano desiderosi <strong>di</strong> collaborare al progresso<br />
dell’umanità. Dobbiamo dunque intravedere, nelle sue<br />
azioni pubbliche degli anni Sessanta, un’anticipazione <strong>di</strong><br />
analoghi luoghi <strong>di</strong> sperimentazione e comunicazione?<br />
Ad ogni modo, Aubertin incarna un nuovo modello<br />
attraverso la con<strong>di</strong>visione, qui e ora, delle sue opere <strong>di</strong><br />
<strong>fuoco</strong> e attraverso un impegno ostinato, coraggioso e<br />
senza concessioni, nella creazione pura.<br />
Jolanta <strong>Rosenberg</strong>, 2010<br />
Bernard Aubertin<br />
(...) Si <strong>di</strong>ceva del 1957, anno in cui Bernard Aubertin<br />
incontra sul proprio cammino Yves Klein; sarà questa<br />
un’esperienza fondamentale che lo condurrà ad<br />
accogliere l’idea della monocromia come principio<br />
fondante <strong>di</strong> una profonda espressione artistica;<br />
Aubertin si concentra però sul rosso, su <strong>di</strong> un<br />
colore che non tende ad azzerare la tensione ma a