BERNARD AUBERTIN territori di fuoco - Rosenberg
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segno, per Aubertin, che sia intrinseco e frutto dello<br />
stesso processo fisiologicamente vitale della materia,<br />
in cui si ritrovi e si <strong>di</strong>ca la sua interna dynamis e il suo<br />
flusso ininterrotto <strong>di</strong> vita/morte.<br />
Per certi versi, è il segno originario, ritrovato<br />
antropologicamente nel momento primo d’identità tra<br />
il corpo agente dell’artista e le materie che gli fanno<br />
da complici nell’esperienza: e ra<strong>di</strong>ante, aperto allo<br />
spettro tutto dei possibili, a contenere il tutto pensabile<br />
e affettivo: dunque, un monema altissimo <strong>di</strong> senso.<br />
Nel clima allora montante, <strong>di</strong> ripresa della lezione<br />
dada, è anche segno anartistico, ovvero frutto<br />
della <strong>di</strong>ssoluzione della questione dell’artistico in<br />
una <strong>di</strong>mensione esistenziale e <strong>di</strong> pensiero più alta e<br />
complessa, implicante un valore irrelativo <strong>di</strong> opera,<br />
antinominalistico e anticonvenzionale: soprattutto<br />
totale, specchiante la soggettività tutta dell’in<strong>di</strong>viduo<br />
agente e la frequenza e ragione del suo rapporto con<br />
il mondo.<br />
In questo senso, Aubertin assume la combustione<br />
come fattore costruttivo, costitutivo dell’opera,<br />
estraneo alle pure pulsioni sovversive ed épatantes che<br />
pure - era inevitabile - agli inizi molti leggevano come<br />
imme<strong>di</strong>atamente evidenti.<br />
La combustione, e gli oggetti per convenzione tipici del<br />
generare <strong>fuoco</strong>, i fiammiferi. I quali sono a loro volta<br />
oggetti adespoti, privi in se stessi <strong>di</strong> identità e suggestione<br />
e storia, figli minori <strong>di</strong> una objecthood teoricamente<br />
non riscattabile nell’artistico e dall’artistico.<br />
(...) L’artista esplora e verifica, in sottoserie interne <strong>di</strong><br />
grande compattezza e coerenza, una sorta <strong>di</strong> ritualità<br />
straniata e rigorosa del formare, in cui la componente<br />
lu<strong>di</strong>ca stessa non è mera esibizione e suggestione, ma<br />
coscienza <strong>di</strong>stillata della ragione problematica del fare.<br />
I fiammiferi si pongono ortogonali alla superficie,<br />
secondo sagome geometriche elementari e chiuse,<br />
subito vivendo la contrad<strong>di</strong>zione della perfezione<br />
astratta attraverso l’apparenza <strong>di</strong>messa, desolata,<br />
irregolare, imperfetta, che la combustione conferisce<br />
loro.<br />
Oppure determinano, stesi orizzontalmente, sagome<br />
<strong>di</strong>verse, come campiture d’un <strong>di</strong>pingere ra<strong>di</strong>calmente<br />
sottratto a se stesso: che cadenzano il quadrato dato,<br />
lo compartiscono e lo ritmano, vere cellule grafiche<br />
d’un costruire che, nel costeggiare le logiche interne<br />
della geometria, non <strong>di</strong>smettono né fingono tuttavia<br />
altra identità e presenza che quella appropriata.<br />
Aubertin procede, così, per moduli e iterazioni,<br />
implicazioni d’esattezza e inneschi profon<strong>di</strong> d’alea,<br />
a esplorare un mondo <strong>di</strong> oggetti visivi che, nella<br />
piena corporeità <strong>di</strong> cui si fanno vessilli, sul piano<br />
dell’esperienza estetica che attivano agiscono su piani<br />
<strong>di</strong>versi, schiudendo misure intellettuali ed espressive<br />
ulteriori. (...)<br />
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