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BERNARD AUBERTIN territori di fuoco - Rosenberg

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sollecitarla. Il viaggio però non si arresta; nel 1961 è<br />

tra i fondatori del Gruppo Zero con il quale con<strong>di</strong>vide<br />

l’idea <strong>di</strong> una rifondazione assoluta dell’arte: ripartire<br />

daccapo, eliminare tutto ciò che è preesistente per<br />

tentare <strong>di</strong> dare un nuovo significato al fare artistico. Ed<br />

ancora; il suo itinerario prende altre e nuove <strong>di</strong>rezioni.<br />

È il momento dei materiali, dei chio<strong>di</strong>, delle tavole <strong>di</strong><br />

legno, del <strong>fuoco</strong>. A questo proposito sono da citare<br />

perlomeno i Tableaux-feu realizzati negli anni Sessanta<br />

e capaci <strong>di</strong> incorporare lo spettatore, <strong>di</strong> eliminare in<br />

modo definitivo lo spazio che separa opera e pubblico,<br />

<strong>di</strong> far <strong>di</strong>venire quest’ultimo non solo parte attiva del<br />

processo artistico, ma processo artistico vivente, reale.<br />

È solo così che Aubertin ritiene possibile catturare<br />

la realtà, è solo così che è possibile <strong>di</strong>ventare un<br />

Realista.<br />

È per questa costante tensione che credo vi sia<br />

tanta energia nelle opere <strong>di</strong> questo autore; l’urgenza<br />

che muove ogni suo gesto non finisce nell’opera,<br />

ma continua ad essere una corrente che si propaga<br />

ininterrottamente dal lavoro compiuto.<br />

E ciò è vero tanto per le opere del passato quanto<br />

per quelle del presente nelle quali, ancora una volta,<br />

Aubertin cerca <strong>di</strong> trovare una nuova via per poter<br />

far fluire quell’energia oscura che si cela dentro alle<br />

cose, ai colori, ai materiali. Penso ad esempio ai nuovi<br />

monocromi, nei quali tenta <strong>di</strong> giungere allo svelamento<br />

dello spirito puro, nei quali i colori sono scelti sulla base<br />

della loro profonda valenza mistica. È questa la strada<br />

maestra percorsa da Aubertin: la spiritualità. E d’altra<br />

parte nessun altro, se non Aubertin, avrebbe potuto<br />

proseguire il <strong>di</strong>fficile cammino iniziato nel 1958, quello<br />

della riappropriazione <strong>di</strong> quella sensorialità e <strong>di</strong> quella<br />

trascendenza da cui la società contemporanea sembra<br />

essersi allontanata.<br />

Chiara Gattamelata, 2010<br />

Bernard Aubertin<br />

(…) Aubertin si definisce Realista: la precisazione non<br />

è una sfumatura: ma una scelta che l’autore in<strong>di</strong>ca fin<br />

da quegli anni. E per arrivare alla Realtà nessun mezzo<br />

è mai sufficiente: ed ecco allora lo spazio, la luce, la<br />

tecnologia, i materiali nuovi: tutto entra nella ricerca<br />

<strong>di</strong> Aubertin che non desidera realizzare quadri ma<br />

strumenti attraverso i quali lo spettatore sia in grado<br />

<strong>di</strong> comprendere un autore che si definisce istintivo,<br />

passionale ed intuitivo. Pochi anni dopo, nel 1961,<br />

Aubertin aderisce al Gruppo Zero; i due sono uniti da<br />

quella poetica che impetuosamente irrompe negli Anni<br />

Sessanta e che ha determinato un nuovo modo <strong>di</strong> fare<br />

e <strong>di</strong> vedere l’arte. È da quel momento che Aubertin<br />

<strong>di</strong>venta uno straor<strong>di</strong>nario esponente del movimento <strong>di</strong><br />

Düsseldorf; è da quel momento che il quadro <strong>di</strong>venta il<br />

luogo dell’energia, la <strong>di</strong>mensione ove la combinazione<br />

fra silenzio ed elementi naturali conduce all’oggettività<br />

della materia e quin<strong>di</strong> alla verità dell’arte.<br />

(…) Dice Aubertin che quando si <strong>di</strong>pingono<br />

monocromi per più <strong>di</strong> cinquanta anni giunge il<br />

momento in cui si comprende <strong>di</strong> dover operare una<br />

scelta: per non incorrere nel rischio <strong>di</strong> tramutare i<br />

monocromi in una sorta <strong>di</strong> catalogo cromatico risulta<br />

inevitabile selezionare i colori più densi <strong>di</strong> significato.<br />

È come se risultasse necessario rifondare il proprio<br />

lavoro, instaurare un nuovo rapporto con i colori,<br />

ricomprenderli per poter ricomprendere, ricapirli per<br />

poter ricapire. Ed Aubertin li riseleziona e li ridefinisce:<br />

i rossi e gli arancioni che sono i colori della lava fusa, i<br />

gialli che sono i colori delle fiamme, i grigi che sono i<br />

colori dei fumi, il nero che significa il bruciato. (…)<br />

Flaminio Gualdoni, 2011<br />

Bernard Aubertin. Voitures brûlées<br />

Entrambe le componenti, quella dell’azzeramento<br />

ra<strong>di</strong>cale e dell’apparente <strong>di</strong>ssoluzione del senso da un<br />

lato, e del transito verso umori metafisici dall’altro, sono<br />

presenti sin dall’inizio nell’opera <strong>di</strong> Bernard Aubertin.<br />

Il quale ha, negli anni fervi<strong>di</strong> <strong>di</strong> maturazione <strong>di</strong> Nouveau<br />

Réalisme e <strong>di</strong>ntorni, per riferimento primario Yves<br />

Klein, l’artista il cui scostamento dalla tra<strong>di</strong>zione dada<br />

non avviene per estremizzazione dell’elemento<br />

lu<strong>di</strong>co e criticistico della nozione corrente d’arte, ma<br />

prevedendo una pars construens non meno cospicua,<br />

<strong>di</strong> fondazione <strong>di</strong> un valore che dal reale si metamorfizzi<br />

verso lo spirituale.<br />

Si tratta per Aubertin, come per Klein, <strong>di</strong> risimbolizzare<br />

l’esperienza sensibile concreta, l’oggettività opaca delle<br />

cose, schiudendo varchi <strong>di</strong> senso ulteriori, perdendo<br />

per trovare: soprattutto, non considerando l’opera<br />

come un tutto compiuto e già in odore <strong>di</strong> morte, ma<br />

ancora vibrante dell’energia che l’ha attraversata e<br />

generata.<br />

I monocromi <strong>di</strong> Aubertin sono, da sempre, rossi. È<br />

Kan<strong>di</strong>nskij a scrivere, in Dello spirituale nell’arte che<br />

“il rosso esercita interiormente l’azione <strong>di</strong> un colore<br />

molto vivo, vivace e irrequieto... nonostante tutta la<br />

sua energia e intensità ha una robusta nota <strong>di</strong> immensa<br />

forza quasi consapevole del proprio scopo. In questo<br />

fremere e ardere precipuamente in sé, e pochissimo<br />

verso l’esterno, v’è, per così <strong>di</strong>re, della maturità<br />

virile”.<br />

Ciò ne fa il segno <strong>di</strong> un’arte che non intende azzerare,<br />

spingendo la monocromia verso implicazioni<br />

d’acromia, ma orientare la ricezione dello spettatore<br />

verso una saturazione sensoriale, una stimolazione<br />

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