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ticino-cycling.ch
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Saetta verde:
la fierezza nel pedalare in città
di Marco Vitali
L’inguaribile ottimista
di Ruben Bertogliati
Racconti
in bicicletta
Foto- bedrck pixabay.com
Si pedala! In scia a diverse città di oltre
Gottardo, si pedala ormai dal 1998 per
consegnare in bicicletta, con prezzi
competitivi e in modo rapido ed ecologico,
pacchi e documenti in tutto il
Luganese.
Saetta Verde - che con i suoi corrieri
percorre annualmente, in bici e in cargobike,
quasi 80’000 km - è un’associazione
senza scopo di lucro e ai suoi
clienti abituali, che sono diventati oltre
300, e a quelli occasionali recapita documenti
e oggetti di ogni tipo: bandi di
concorso architettonici, mazzi di fiori,
documenti da legalizzare alla Cancelleria
di Stato, ma anche la spesa settimanale
in città di anziani o di persone a
mobilità ridotta; o ritira, per questi ultimi,
i rifiuti con destinazione ecocentro.
Ovviamente dal settore sanitario, già in
precedenza tra i referenti più importanti,
durante la pandemia sono giunte in
grande quantità ulteriori sollecitazioni.
L’associazione, sostenuta da un centinaio
di soci, ha tra i suoi scopi anche
il reinserimento nel mondo del lavoro
di disoccupati di lungo termine. Acquisendo
competenze e ritrovando
- accanto alla quindicina di salariati
della Saetta - ritmi lavorativi e una vita
sociale, la prospettiva per la decina di
utenti dei programmi occupazionali
diventa spesso, così, quella di un’occupazione
stabile.
Le motivazioni di un impiego a forte
componente ecologica e sociale e la
fierezza di essere corriere in bicicletta
sono rintracciabili anche in diversi testi
appesi nella sede di Besso.
Renata, corriere dal 2005, descrive ad
esempio il mestiere con grande umorismo,
delicatezza e umanità:
“Mi presento: sono un messaggero a
propulsione umana, cioè, un corriere
espresso in bicicletta. Pedalo sulle
strade della città in groppa ad uno
scheletro fatto di tubi e ruote ed attorno
a me, come protezione, solamente
il mio ottimismo e un po’ di fortuna, visto
che nel traffico faccio parte di quella
categoria cosiddetta debole.
Sono sempre in carenza di ossigeno, e
ho stampato sulla pelle il mio mestiere:
calzini, pantaloni e maniche corte;
guanti a mezze dita fanno della mia
abbronzatura un divertente effetto leopardo
completato da un paio di polpacci
per niente femminili.
D’estate divido l’acqua delle fontanelle
con i cani a passeggio, d’inverno le
sale d’ aspetto riscaldate con i passerotti
infreddoliti come me, che hanno
imparato a sfruttare le comodità costruite
dall’uomo. L’esercito dei lavoratori
all’aperto si sente più unito: ci
diamo del tu, ci scambiamo cenni, caramelle,
fiammiferi e fazzoletti.
A differenza di quei pallidi che lavorano
negli uffici fra noi si sente una solidarietà
speciale, forse perché siamo
tutti sotto lo stesso cielo, con la pioggia
o con il sole. Oltre alla buona sorte
che mi accompagna ogni volta che
esco uso tutti i trucchi che l’esperienza
mi ha insegnato: leggere nel pensiero,
predire il futuro parlare con gli occhi
perché gli automobilisti possono fare
cose illogiche e senza senso.
A volte sono convinti che sei tu con
la bici a dare fastidio in città! Amo il
mio mestiere anche se qualcuno mi
commisera vedendomi pedalare nel
traffico. Non sa che la città può essere
un mondo in miniatura da scoprire se
solo lo vuoi. Non sa che nei mattini d’
inverno quando esco ed è ancora buio,
la brina ricama pizzi fra i rami degli alberi
e mentre in auto si sbadiglia fermi
ai semafori io mi sento libera.
Dante cammina per un bosco oscuro ed entra nell’inferno,
la Divina Commedia racconta del passaggio negli inferi e
nel purgatorio per poter giungere infine in paradiso. Posso
affermare di avere corso in tempi oscuri per il nostro amato
sport, ma mai ho perso l’ottimismo, mai ho perso la speranza
di vedere fiorire uno sport bello come quello della bicicletta.
Ci si alza il mattino e si pedala, capelli a vento prima, vento
nel casco, per fortuna, poi. Il senso di libertà delle due ruote
è un privilegio che si fa fatica a dimenticare. Ancora oggi ricordo
con gioia le fatiche, le sudate, le sconfitte e le vittorie
sulle strade di tutto il mondo.
Mi sono ritrovato di recente di fronte a un bella fotografia
che ritraeva una strada in salita in mezzo a campi verdi e
colline. Nessuna idea di dove fosse ma da ciclista mi immaginavo
di percorrere quelle strade in sella e veleggiare verso
la cima della salita.
I tempi bui sono andati ormai e io, che ho preferito sempre
stare nella luce, oggi sono a mio agio in un mondo molto differente
che possiamo affermare migliore. Anche oggi ci sono
dei problemi certo, ma lo sport di elite pretende una costante
attenzione al minimo dettaglio e i miglioramenti marginali
oggi domandano una costante applicazione da parte dei
corridori. Ai miei tempi ci si poteva permettere sbavature.
Non tutto era perfetto e forse per fortuna perché rendeva lo
sport aperto a tutte le possibilità in una corsa. Il ciclismo è
bello perché è imprevedibile e le squadre corrono tutti contro
tutti, oggi tu vai forte ma chissà magari un domani posso
batterti, anche se sei un campione blasonato.
Vedevo corridori che per comodità giravano in alto il manubrio,
uno schiaffo a tutte le regole di buona aerodinamica.
Io lo mettevo sempre piatto, parallelo alla linea del
terreno, preferivo le leve del Campagnolo, una sorta di
religione per chi fa ciclismo un po’ come i Mac nel mondo
informatico, perché erano più “aero” e dal design ricercato.
Noi facevamo le Roubaix con i tubolari del 23, forse del
25, oggi non li usano nemmeno nelle gare su asfalto liscio
come un biliardo.
Sono sempre stato ottimista, anche quando di fronte alla
realtà non si scappava. Le grandi gare a tappe erano dure
e soprattutto erano lunghe tre settimane. La terza settimana
era terribile, non bisognava guardare gli indiani in cima
alle montagne, significava dover pedalare ancora a lungo
in salita. Anche nei grandi giri bisognava avere flessibilità,
ricordo che dopo aver rotto accidentalmente un telaio ho
dovuto usarne uno di un mio compagno il giorno dopo, per
fortuna mi sono sempre adattato bene alle nuove misure e
non ho mai avuto problemi di tendini.
Oggi posso affermare di avere vissuto momenti bellissimi
in sella e bramo poter tornare a pedalare per 4 o 5 ore e
tornare con la gamba piena, soddisfatto del lavoro svolto
e cosciente di poter ottenere molto nella prossima competizione.
Tra questi momenti e i momenti bui vi è solo un
3/4% di differenza nelle prestazioni ma per ogni sportivo
alla cuspide della piramide dello sport di elite, ogni punto
percentuale fa la differenza tra la sconfitta e la vittoria.
Ai giovani di oggi dico: pedalate, ci sarà sempre bisogno di
voi: eroi che solcano gli orizzonti del mondo cavalcando il
sogno di diventare un giorno grandi ciclisti.
Ascolto consigliato: Luigi Einaudi, Night
https://open.spotify.com/track/6Xs9eaQXZa-
KfPkEyETxNl6?si=823b160ef85c4dcb
E quando consegno il giornale alla vecchietta
che mi aspetta per fare quattro
chiacchiere capisco che questo mestiere
non è per tutti, perché’ se credi
che si tratti solamente di trasportare
un oggetto da A a B non reggi nemmeno
al turno di prova; il segreto per
amare questo mestiere e svolgerlo nel
migliore dei modi è molto semplice:
tra mittente e destinatario c’è un viaggio,
anche breve che ti arricchirà. Basta
uscire con questa volontà di ricerca, e
le città è lì per accoglierti.”