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inBicicletta5:2022

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ticino-cycling.ch

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Saetta verde:

la fierezza nel pedalare in città

di Marco Vitali

L’inguaribile ottimista

di Ruben Bertogliati

Racconti

in bicicletta

Foto- bedrck pixabay.com

Si pedala! In scia a diverse città di oltre

Gottardo, si pedala ormai dal 1998 per

consegnare in bicicletta, con prezzi

competitivi e in modo rapido ed ecologico,

pacchi e documenti in tutto il

Luganese.

Saetta Verde - che con i suoi corrieri

percorre annualmente, in bici e in cargobike,

quasi 80’000 km - è un’associazione

senza scopo di lucro e ai suoi

clienti abituali, che sono diventati oltre

300, e a quelli occasionali recapita documenti

e oggetti di ogni tipo: bandi di

concorso architettonici, mazzi di fiori,

documenti da legalizzare alla Cancelleria

di Stato, ma anche la spesa settimanale

in città di anziani o di persone a

mobilità ridotta; o ritira, per questi ultimi,

i rifiuti con destinazione ecocentro.

Ovviamente dal settore sanitario, già in

precedenza tra i referenti più importanti,

durante la pandemia sono giunte in

grande quantità ulteriori sollecitazioni.

L’associazione, sostenuta da un centinaio

di soci, ha tra i suoi scopi anche

il reinserimento nel mondo del lavoro

di disoccupati di lungo termine. Acquisendo

competenze e ritrovando

- accanto alla quindicina di salariati

della Saetta - ritmi lavorativi e una vita

sociale, la prospettiva per la decina di

utenti dei programmi occupazionali

diventa spesso, così, quella di un’occupazione

stabile.

Le motivazioni di un impiego a forte

componente ecologica e sociale e la

fierezza di essere corriere in bicicletta

sono rintracciabili anche in diversi testi

appesi nella sede di Besso.

Renata, corriere dal 2005, descrive ad

esempio il mestiere con grande umorismo,

delicatezza e umanità:

“Mi presento: sono un messaggero a

propulsione umana, cioè, un corriere

espresso in bicicletta. Pedalo sulle

strade della città in groppa ad uno

scheletro fatto di tubi e ruote ed attorno

a me, come protezione, solamente

il mio ottimismo e un po’ di fortuna, visto

che nel traffico faccio parte di quella

categoria cosiddetta debole.

Sono sempre in carenza di ossigeno, e

ho stampato sulla pelle il mio mestiere:

calzini, pantaloni e maniche corte;

guanti a mezze dita fanno della mia

abbronzatura un divertente effetto leopardo

completato da un paio di polpacci

per niente femminili.

D’estate divido l’acqua delle fontanelle

con i cani a passeggio, d’inverno le

sale d’ aspetto riscaldate con i passerotti

infreddoliti come me, che hanno

imparato a sfruttare le comodità costruite

dall’uomo. L’esercito dei lavoratori

all’aperto si sente più unito: ci

diamo del tu, ci scambiamo cenni, caramelle,

fiammiferi e fazzoletti.

A differenza di quei pallidi che lavorano

negli uffici fra noi si sente una solidarietà

speciale, forse perché siamo

tutti sotto lo stesso cielo, con la pioggia

o con il sole. Oltre alla buona sorte

che mi accompagna ogni volta che

esco uso tutti i trucchi che l’esperienza

mi ha insegnato: leggere nel pensiero,

predire il futuro parlare con gli occhi

perché gli automobilisti possono fare

cose illogiche e senza senso.

A volte sono convinti che sei tu con

la bici a dare fastidio in città! Amo il

mio mestiere anche se qualcuno mi

commisera vedendomi pedalare nel

traffico. Non sa che la città può essere

un mondo in miniatura da scoprire se

solo lo vuoi. Non sa che nei mattini d’

inverno quando esco ed è ancora buio,

la brina ricama pizzi fra i rami degli alberi

e mentre in auto si sbadiglia fermi

ai semafori io mi sento libera.

Dante cammina per un bosco oscuro ed entra nell’inferno,

la Divina Commedia racconta del passaggio negli inferi e

nel purgatorio per poter giungere infine in paradiso. Posso

affermare di avere corso in tempi oscuri per il nostro amato

sport, ma mai ho perso l’ottimismo, mai ho perso la speranza

di vedere fiorire uno sport bello come quello della bicicletta.

Ci si alza il mattino e si pedala, capelli a vento prima, vento

nel casco, per fortuna, poi. Il senso di libertà delle due ruote

è un privilegio che si fa fatica a dimenticare. Ancora oggi ricordo

con gioia le fatiche, le sudate, le sconfitte e le vittorie

sulle strade di tutto il mondo.

Mi sono ritrovato di recente di fronte a un bella fotografia

che ritraeva una strada in salita in mezzo a campi verdi e

colline. Nessuna idea di dove fosse ma da ciclista mi immaginavo

di percorrere quelle strade in sella e veleggiare verso

la cima della salita.

I tempi bui sono andati ormai e io, che ho preferito sempre

stare nella luce, oggi sono a mio agio in un mondo molto differente

che possiamo affermare migliore. Anche oggi ci sono

dei problemi certo, ma lo sport di elite pretende una costante

attenzione al minimo dettaglio e i miglioramenti marginali

oggi domandano una costante applicazione da parte dei

corridori. Ai miei tempi ci si poteva permettere sbavature.

Non tutto era perfetto e forse per fortuna perché rendeva lo

sport aperto a tutte le possibilità in una corsa. Il ciclismo è

bello perché è imprevedibile e le squadre corrono tutti contro

tutti, oggi tu vai forte ma chissà magari un domani posso

batterti, anche se sei un campione blasonato.

Vedevo corridori che per comodità giravano in alto il manubrio,

uno schiaffo a tutte le regole di buona aerodinamica.

Io lo mettevo sempre piatto, parallelo alla linea del

terreno, preferivo le leve del Campagnolo, una sorta di

religione per chi fa ciclismo un po’ come i Mac nel mondo

informatico, perché erano più “aero” e dal design ricercato.

Noi facevamo le Roubaix con i tubolari del 23, forse del

25, oggi non li usano nemmeno nelle gare su asfalto liscio

come un biliardo.

Sono sempre stato ottimista, anche quando di fronte alla

realtà non si scappava. Le grandi gare a tappe erano dure

e soprattutto erano lunghe tre settimane. La terza settimana

era terribile, non bisognava guardare gli indiani in cima

alle montagne, significava dover pedalare ancora a lungo

in salita. Anche nei grandi giri bisognava avere flessibilità,

ricordo che dopo aver rotto accidentalmente un telaio ho

dovuto usarne uno di un mio compagno il giorno dopo, per

fortuna mi sono sempre adattato bene alle nuove misure e

non ho mai avuto problemi di tendini.

Oggi posso affermare di avere vissuto momenti bellissimi

in sella e bramo poter tornare a pedalare per 4 o 5 ore e

tornare con la gamba piena, soddisfatto del lavoro svolto

e cosciente di poter ottenere molto nella prossima competizione.

Tra questi momenti e i momenti bui vi è solo un

3/4% di differenza nelle prestazioni ma per ogni sportivo

alla cuspide della piramide dello sport di elite, ogni punto

percentuale fa la differenza tra la sconfitta e la vittoria.

Ai giovani di oggi dico: pedalate, ci sarà sempre bisogno di

voi: eroi che solcano gli orizzonti del mondo cavalcando il

sogno di diventare un giorno grandi ciclisti.

Ascolto consigliato: Luigi Einaudi, Night

https://open.spotify.com/track/6Xs9eaQXZa-

KfPkEyETxNl6?si=823b160ef85c4dcb

E quando consegno il giornale alla vecchietta

che mi aspetta per fare quattro

chiacchiere capisco che questo mestiere

non è per tutti, perché’ se credi

che si tratti solamente di trasportare

un oggetto da A a B non reggi nemmeno

al turno di prova; il segreto per

amare questo mestiere e svolgerlo nel

migliore dei modi è molto semplice:

tra mittente e destinatario c’è un viaggio,

anche breve che ti arricchirà. Basta

uscire con questa volontà di ricerca, e

le città è lì per accoglierti.”

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