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Numero 10 - Caritas Italiana

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POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO <strong>10</strong> - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

dicembre 2007 / gennaio 2008<br />

SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI<br />

NATALE PER TUTTI<br />

POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO<br />

MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?<br />

ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE


sommario ANNO XL NUMERO <strong>10</strong><br />

IN COPERTINA<br />

Bambini somali, rifugiati<br />

nei campi spontanei<br />

sorti a poche decine<br />

di chilometri dalla capitale<br />

Mogadiscio, da cui<br />

in autunno sono fuggite<br />

centinaia di migliaia di persone<br />

foto Davide Bernocchi<br />

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO <strong>10</strong> - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />

dicembre 2007 / gennaio 2008<br />

editoriale di Vittorio Nozza<br />

UN DOPPIO CORAGGIO VINCE LE VITTORIE DEL MALE 3<br />

parola e parole di Giovanni Nicolini<br />

LA STELLA CHE PREVIENE I VIAGGIATORI DELLA NOTTE 5<br />

paese caritas di Flavio Ricci<br />

LE SBARRE E LA RETE, COSÌ SI BATTE IL PREGIUDIZIO 6<br />

nazionale<br />

CONDANNA A VITA? COSÌ SI BATTE LA POVERTÀ 8<br />

di Walter Nanni<br />

BUONE NUOVE IN FINANZIARIA, RESTA LA LOGICA DELL’EMERGENZA <strong>10</strong><br />

di Francesco Marsico<br />

database di Walter Nanni 13<br />

I MUTUI CHE RIVELANO UN POPOLO DI INDEBITATI 14<br />

di Andrea La Regina<br />

dall’altro mondo di Antonio Ricci 18<br />

CREARE CULTURA E RETI PER VINCERE IL LAMENTO 19<br />

di Liberato Canadà<br />

contrappunto di Domenico Rosati 21<br />

gli appelli GUERRA IN SOMALIA, CICLONE IN BANGLADESH 22<br />

panoramacaritas MARCIA, SERVIZIO CIVILE, COOPERAZIONE 22<br />

progetti PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI 24<br />

internazionale<br />

ALGERIA, L’AFRICA CHE NON ARRIVA AL MIRAGGIO D’OLTREMARE 26<br />

servizi di Umberta Fabris, Anna Pozzi e Francesco Spagnolo foto di Hamza Bahri<br />

guerre alla finestra di Francesco Meneghetti 32<br />

casa comune di Gianni Borsa 33<br />

L'ONDA E LE GUERRE, UNA VITA DA SFOLLATI 34<br />

di Giovanna Federici e Gianluca Ranzato<br />

TSUNAMI: DOPO LA CATASTROFE, PROGETTI IN SETTE PAESI 36<br />

di Maria Chiara Cremona<br />

contrappunto di Alberto Bobbio 39<br />

agenda territori 40<br />

villaggio globale 44<br />

storie di speranza di Danilo Angelelli<br />

LENTI NUOVE VITA NUOVA E UNA CADUTA CHE CAMBIA LA VITA 47<br />

POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI<br />

NATALE PER TUTTI<br />

POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO<br />

MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?<br />

ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE<br />

Mensile della <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

Organismo Pastorale della Cei<br />

via Aurelia, 796<br />

00165 Roma<br />

www.caritasitaliana.it<br />

email:<br />

italiacaritas@caritasitaliana.it<br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

direttore<br />

Vittorio Nozza<br />

direttore responsabile<br />

Ferruccio Ferrante<br />

coordinatore di redazione<br />

Paolo Brivio<br />

in redazione<br />

Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,<br />

Salvatore Ferdinandi, Andrea La Regina, Renato<br />

Marinaro, Francesco Marsico, Walter Nanni,<br />

Giancarlo Perego, Domenico Rosati<br />

progetto grafico e impaginazione<br />

Francesco Camagna (francesco@camagna.it)<br />

Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it)<br />

stampa<br />

Omnimedia<br />

via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)<br />

Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408<br />

sede legale<br />

via Aurelia, 796 - 00165 Roma<br />

redazione<br />

tel. 06 66177226-503<br />

offerte<br />

amministrazione@caritasitaliana.it<br />

tel. 06 66177205-249-287-505<br />

inserimenti e modifiche nominativi<br />

richiesta copie arretrate<br />

segreteria@caritasitaliana.it<br />

tel. 06 66177202<br />

spedizione<br />

in abbonamento postale<br />

D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)<br />

art.1 comma 2 DCB - Roma<br />

Autorizzazione numero 12478<br />

del 26/11/1968 Tribunale di Roma<br />

Chiuso in redazione il 30/11/2007<br />

AVVISO AI LETTORI<br />

Per ricevere Italia <strong>Caritas</strong> per un anno occorre versare<br />

un contributo alle spese di realizzazione di almeno<br />

15 euro: causale contributo Italia <strong>Caritas</strong>.<br />

La <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, su autorizzazione della Cei, può<br />

trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di<br />

organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.<br />

Le offerte vanno inoltrate a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> tramite:<br />

● Versamento su c/c postale n. 347013<br />

● Bonifico una tantum o permanente a:<br />

- Intesa Sanpaolo, piazzale Gregorio VII, Roma<br />

Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032<br />

conto corrente <strong>10</strong>080707<br />

Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707<br />

Bic: BCITITMM700<br />

- Banca Popolare Etica, via N. Tommaseo 7, Padova<br />

Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12<strong>10</strong>0<br />

conto corrente 11113<br />

Iban: IT23 S050 1812 <strong>10</strong>00 0000 0011 113<br />

Bic: CCRTIT2T84A<br />

● Donazione con Cartasì e Diners,<br />

telefonando a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> 06 66177001<br />

Cartasì anche on line, sul sito<br />

www.caritasitaliana.it (Come contribuire)<br />

5 PER MILLE<br />

Per destinarlo a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, firmare il primo<br />

dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi<br />

e indicare il codice fiscale 80<strong>10</strong>2590587<br />

editoriale<br />

UN DOPPIO CORAGGIO<br />

VINCE LE VITTORIE DEL MALE<br />

Ci sono volte in cui le notizie si accavallano sotto i nostri occhi,<br />

instillando un sovrappiù di tristezza e desolazione. È<br />

successo di nuovo tra ottobre e novembre. La morte della<br />

donna aggredita selvaggiamente a Roma, il suicidio dell’adolescente<br />

di Ischia vittima di isolamento e dileggio, la scomparsa<br />

di don Oreste Benzi si sono rincorsi sui mass media nel giro di<br />

pochissime ore. Quasi a suggellare nell’immaginario pubblico<br />

l’eclissi della speranza: il male che inanella nuove vittorie,<br />

il bene che perde un araldo impareggiabile<br />

come don Oreste.<br />

Crediamo, sappiamo per certo<br />

che non è così. Ma siamo pure consapevoli<br />

che non basta contrapporre<br />

allo scoramento montante la risorsa<br />

di una fede soltanto proclamata, o<br />

declinata in astratto. Una fede incapace<br />

di tradursi, come proprio il fondatore<br />

della comunità Papa Giovanni<br />

XXIII ha insegnato per quarant’anni,<br />

in opere efficaci, costruite sui terreni<br />

dove molto ci si sporca le mani e più<br />

si gioca la maturazione umana.<br />

Ma è il delitto di Tor di Quinto, in particolare, a imporre<br />

un supplemento di riflessione. L’Italia ha pianto, si è indignata,<br />

ha sofferto, per l’efferato omicidio compiuto da un<br />

immigrato rumeno. Il pianto, la sofferenza, l’indignazione<br />

sono sentimenti giusti e comprensibili per l’enormità di<br />

quanto è accaduto. Così come è giusto ricordare che delitti<br />

e fatti egualmente gravi avvengono anche in altre città, passando<br />

a volte inosservati. La squadraccia che a Tor Bella<br />

Monaca ha massacrato un gruppo di rumeni colpevoli solo<br />

di essere tali è il segno più vistoso, e terribile, di quei meccanismi<br />

oscuri che scattano in un territorio, quando la convivenza<br />

civile non sembra più del tutto garantita. Certamente<br />

i picchiatori di Roma erano già pronti con le loro<br />

spranghe da tempo, e vogliosi di “dare una lezione” agli<br />

stranieri. L’omicidio di Giovanna Reggiani, per questa gen-<br />

Nella cronaca certe volte<br />

sembra manifestarsi<br />

l’eclissi della speranza.<br />

Ma non è vero che<br />

i conflitti sono inevitabili.<br />

Che esistono persone<br />

non integrabili. Verso<br />

la culla di Betlemme,<br />

tutelando la vita,<br />

praticando la solidarietà<br />

di Vittorio Nozza<br />

te già gonfia di odio, è stata la scintilla,<br />

quasi il pretesto che attendevano per<br />

sfogare la loro violenza, sentendosi<br />

“giustizieri”. Il timore è che gesti simili,<br />

in un momento di braci accese sotto<br />

un filo di cenere, possano generare facile<br />

e diffusa emulazione. Che altre<br />

bande possano trovare attraente l’idea<br />

di “farla pagare” a qualche malcapitato<br />

straniero, fornendo alle proprie frustrazioni<br />

e idee xenofobe l’alibi di una<br />

“supplenza” dello stato. È uno scenario<br />

di paura, che trova eco nelle parole<br />

di badanti e operai rumeni intervistati<br />

da radio e tv: l’ansia evidente di sopprimere<br />

l’accento dell’est, di precisare<br />

che i rom sono altro da loro. L’ansia di<br />

trovarsi in un paese dove ora la gente ti<br />

scruta, apertamente o impercettibilmente<br />

ostile.<br />

Regredisce, inaridisce<br />

L’hanno definita una decisa “risposta<br />

alla paura” e, persino, un vaccino<br />

contro il dilagare delle ronde, espres-<br />

sione di un rischiosissimo fai-da-te della sicurezza pubblica.<br />

C’è del vero in entrambe le definizioni, a proposito<br />

del “decreto espulsioni” varato dal governo sull’onda delle<br />

tragiche emozioni suscitate da una violenza assassina.<br />

C’è del vero, perché quando lo stato mostra di voler agire<br />

d’urgenza fa sempre impressione. Ora, aspettando e chiedendo<br />

una politica per la sicurezza ragionata, non ridestata<br />

come in un sussulto dal corpo massacrato di una<br />

donna, cerchiamo almeno di non lasciarci stordire dall’odore<br />

ferino della paura, che avvelena i cuori. Di provare<br />

per quello sconosciuto rumeno colpito con un machete a<br />

Tor Bella Monaca da un plotone di falsa e bestiale “giustizia”,<br />

la stessa pietà destinata alla signora Reggiani (e “meritata”<br />

anche dall’esemplare, umanissimo comportamento<br />

dei familiari). Apparteniamo allo stesso popolo, certi<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 3


editoriale<br />

che il male non è “straniero”, ma è invece da sempre vicino<br />

come la nostra ombra, insediato nel profondo di noi.<br />

Per l’Italia, ora, è il momento della riflessione sui due<br />

grandi temi che sono all’ordine del giorno per il prossimo<br />

futuro: sicurezza e solidarietà. Senza la sicurezza la nostra<br />

società regredisce, si riempie di istinti negativi al limite del<br />

razzismo, si colora di facili paure. Senza la solidarietà l’Italia<br />

si inaridisce, perde il senso di accoglienza che ha coltivato<br />

da sempre, svilisce lo spirito di umanità, di attenzione alla<br />

dignità di ogni persona che è alla base di tante iniziative per<br />

l’integrazione di genti e popoli che vengono da lontano.<br />

Unire solidarietà e sicurezza può sembrare difficile, ma<br />

è l’impresa per la quale dobbiamo tutti impegnarci. Per<br />

realizzarla sarebbe auspicabile, e possibile, un accordo tra<br />

le principali forze politiche, perché da essa dipende il futuro<br />

del paese. Rendere sicura la vita quotidiana delle persone<br />

vuol dire rispettare il contratto sociale minimo che è alla<br />

base della convivenza civile; vuol dire evitare la guerra di<br />

tutti contro tutti, nella quale si corre davvero il rischio che<br />

l’uomo diventi nemico per l’altro uomo. Sicurezza e solidarietà<br />

o crescono insieme, o insieme naufragano.<br />

Radici cristiane, principi costituzionali<br />

Ma la sicurezza può diventare una realtà stabile soltanto<br />

se accompagnata da un’opera di integrazione che chiede<br />

a tutti, cittadini e immigrati, il rispetto dei doveri di solidarietà<br />

che rendono coesa una compagine sociale. Su<br />

questo spesso si sente in giro un forte pessimismo:<br />

l’integrazione è quasi impossibile, occorrono anni, c’è chi<br />

non si integra veramente, i conflitti ideologici e religiosi<br />

sono inevitabili, e via di seguito. Ciò non è vero.<br />

Non è vero che è impossibile realizzare l’integrazione,<br />

perché moltissimi immigrati già si sono integrati e trovano<br />

in Italia un’accoglienza che non ricevono in altri paesi.<br />

Non è vero che i conflitti ideologici e religiosi sono inevitabili,<br />

perché la nostra identità storica e spirituale è stata<br />

tante volte il presupposto dell’accoglienza degli altri, e di<br />

una positiva convivenza. Non è vero che esistono persone<br />

che per definizione non possono integrarsi nella società,<br />

perché la nostra Costituzione e le nostre leggi prevedono<br />

gli strumenti idonei a fermare chi delinque e favorire chi<br />

agisce nel rispetto degli altri.<br />

A seconda delle situazioni che si presentano, alcune di<br />

queste affermazioni possono apparire ottimistiche o pessimistiche.<br />

Eppure occorre tener saldi ragione e sentimenti,<br />

anche andando controcorrente. Bisogna avere due<br />

volte coraggio: il coraggio di tutelare sempre la vita e la sicurezza<br />

di tutti (non solo quando sentiamo che esse sono<br />

in grave pericolo) e il coraggio di praticare la solidarietà in<br />

ogni momento (non solo quando avvertiamo di averla dimenticata).<br />

Le radici cristiane e i principi democratici della<br />

Costituzione sono oggi chiamati in causa e costituiscono<br />

la fonte più sicura per scelte coraggiose, che affrontino<br />

le sfide delle società multiculturali.<br />

Poiché è il senso del “bene comune” che risulta appannato,<br />

non perdiamo l’occasione di augurarci un buon<br />

Natale, ritrovando tutti insieme, come un unico popolo, il<br />

sentiero che porta alla culla di Betlemme.<br />

‘‘<br />

Aspettando una politica per la sicurezza ragionata,<br />

cerchiamo di non lasciarci stordire dall’odore ferino<br />

della paura, che finisce per avvelenare i cuori<br />

’’<br />

parola e parole<br />

LA STELLA CHE PREVIENE<br />

I VIAGGIATORI DELLA NOTTE<br />

Con il lume celeste, Signore, previenici sempre e dovunque, affinché contempliamo con<br />

sguardo puro e accogliamo con degno affetto il mistero di cui Tu ci hai voluto partecipi<br />

Èquesta un’antica preghiera della liturgia latina, che viene proclamata<br />

nell’“Orazione dopo la Comunione” il giorno dell’Epifania.<br />

Purtroppo la versione italiana perde alcune preziosità, che qui ho<br />

mantenuto, dal testo latino. Specialmente quel “previenici”, così bello e<br />

prezioso in questa grande invocazione dello Spirito Santo. Il “lume celeste”<br />

domandato in questa preghiera è infatti l’evocazione della stella che<br />

ha condotto i Magi fino a Betlemme. Ma la stella è a sua volta immagine<br />

dello Spirito Santo, che conduce tutti e tutto verso il Figlio di Dio.<br />

Nell’icona natalizia delle Chiese<br />

d’Oriente, sullo sfondo, sono sempre<br />

rappresentati i Magi che viaggiano verso<br />

il Bambino, e con grande slancio<br />

avanzano, fissando la stella che li guida.<br />

Mi piace unirmi a questi “Santi da<br />

lontano” e invitare allo stesso viaggio<br />

molti miei amici che cercano la stella<br />

nella notte della loro incredulità, e ai<br />

quali cerco di star vicino con emozione<br />

e speranza. La fede è, come dice la<br />

preghiera antica, un dono da contemplare<br />

e accogliere. Bisogna consentire,<br />

anzi favorire, un grande ingresso nella<br />

possibilità di contemplare il dono di Dio. Ma lo si può contemplare<br />

se questo dono viene alla vita di una persona senza<br />

condizioni, necessità di passaporti, barriere etiche.<br />

Quando Gesù è entrato nella casa di Zaccheo, quando<br />

la salvezza è entrata nella casa di Zaccheo, Zaccheo era ancora...<br />

quello che era! Ma, così com'era – un mascalzone –<br />

ha potuto contemplare il dono di Dio. E l’ha potuto accogliere<br />

con gioia! “Lo accolse pieno di gioia”: così il Vangelo<br />

dice di Zaccheo che accoglie Gesù in casa sua.<br />

Lo aspetto con gioia e ansia<br />

E così anche un mio sciagurato amico può accogliere il Signore<br />

nella casa della sua vita e della sua storia. Mi dice<br />

Verso il Natale con<br />

i “Santi da lontano”.<br />

Coloro che cercano,<br />

nella vicenda della loro<br />

incredulità. Il Mistero<br />

si regala e sorprende.<br />

Il Vangelo è atteso.<br />

E la fede non si possiede,<br />

ma ci “viene” in dono.<br />

Per accogliere il Bambino<br />

di Giovanni Nicolini<br />

questo amico: «Sai, la mia compagna<br />

aspetta un bambino... Lo aspettiamo<br />

tutti e due... Io lo aspetto con una gran<br />

gioia e una grande ansia».<br />

Il mistero! “Affinchè contempliamo<br />

con sguardo puro e accogliamo<br />

con degno affetto il mistero”. Sono<br />

tentato di reagire con ironia, ma per<br />

grazia di Dio mi fermo in tempo.<br />

Quanto basta per cedere al fatto che<br />

Dio il suo mistero lo regala come vuole.<br />

Magari in un bambino che sta nascendo<br />

e che sconvolge il cuore e la vita<br />

di suo padre.<br />

Allora tutto ritorna a Nazaret, all’annuncio<br />

primordiale: “Ti saluto,<br />

piena di grazia, il Signore è con te!”. Sì,<br />

il primo annuncio è sempre così: la<br />

meraviglia di un dono da contemplare<br />

e accogliere: “Ecco la serva del Signore.<br />

Avvenga a me secondo la tua<br />

parola”. Spero e prego per un Natale<br />

che sia contento di far precedere, a<br />

tutte le leggi, il dono! Come gli antichi<br />

Magi, i miei amici hanno grandi regali<br />

da portare al Bambino: lasciamoli viaggiare e arrivare! Non<br />

confondiamoli con le paure e gli inganni di Erode.<br />

Provate a “dire” il Vangelo: scoprirete che è atteso! Scoprirete<br />

che piacerà! Non chiedetevi subito se il vostro interlocutotre<br />

“ha la fede”. Nessuno, propriamente, ce l’ha. La fede<br />

“viene”. Insieme al dono, viene il gran dono di accoglierlo.<br />

Nasce il Bambino. Lasciamo spazio e consenso alla Stella<br />

che conduce i nostri amici lontani – anche i nostri figli? –<br />

verso il dono di Dio, il Bambino che nasce, Colui che solo<br />

può far nuove tutte le cose.<br />

Sento dire che la gente “cammina male”, cioè si comporta<br />

male. Non è il vero problema. Il problema oggi è non<br />

impedire ai viaggiatori della notte di vedere la Stella.<br />

4 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 5


LE SBARRE E LA RETE,<br />

COSÌ SI BATTE IL PREGIUDIZIO<br />

Il carcere di Montacuto è immerso nel verde, ma è come una ferita di<br />

cemento che deturpa, con i suoi cancelli e le sue sbarre, il suggestivo<br />

parco del Conero. La città – Ancona – è lontana, se ne intravede una<br />

parte dalla collina di fronte: anche la natura sembra sancire la separazione<br />

tra il mondo civile e quello di chi delinque. Tanto più che parlare di carcere<br />

oggi non è facile, perché la gente vive in un clima in cui la percezione<br />

dell’insicurezza e della precarietà della giustizia sono sempre più forti, anche<br />

a causa di un’informazione mediatica che suggestiona e condiziona.<br />

Anche il viaggio dei volontari <strong>Caritas</strong>,<br />

nella realtà di Montacuto, è stato<br />

in salita. Ma dopo sette anni si può<br />

dire che la separazione fisica e naturale<br />

tra i problemi di chi vive dietro le<br />

sbarre e la società civile si è in parte<br />

colmata. Gli operatori della <strong>Caritas</strong><br />

diocesana sono entrati a Montacuto<br />

spinti dalle parole di Giovanni Paolo<br />

II, che in occasione del Giubileo disse<br />

che bisognava visitare anche le “basiliche<br />

del dolore”: ospedali, carceri,<br />

luoghi dove si vive quotidianamente<br />

l’emarginazione e la sofferenza.<br />

Il primo passo è stato fatto proprio nel 2000, con il<br />

coordinamento di vari soggetti: insieme si è programmato<br />

un corso di formazione, che ha costituito un primo momento<br />

di sensibilizzazione per il territorio. Il corso è stato<br />

infatti ospitato dalla parrocchia di Santa Maria delle Grazie<br />

di Ancona, dove il parroco ha messo a disposizione anche<br />

un piccolo appartamento per l’accoglienza. Ricerca e<br />

offerta si sono incontrate: l’anno successivo è stato il consiglio<br />

pastorale a dare via libera e nel settembre 2001 è stata<br />

inaugurata casa “Le Grazie”, che accoglie le famiglie in<br />

visita ai detenuti.<br />

Incontrarsi con il “fuori”<br />

Ma la storia dell’attenzione al carcere non si è esaurita nella<br />

nuova casa. A Natale 2002 sono arrivate le prime lettere<br />

6 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

Il carcere spesso<br />

è concepito come<br />

un mondo a parte.<br />

Ma i detenuti non vanno<br />

considerati un corpo<br />

estraneo al territorio.<br />

Il coordinamento tra forze<br />

sociali e istituzionali<br />

è la chiave per superare<br />

paure e discriminazioni<br />

paese caritas<br />

di Flavio Ricci<br />

direttore <strong>Caritas</strong> Ancona<br />

di autorizzazione per svolgere attività<br />

di volontariato dentro il penitenziario;<br />

l’ingresso ufficiale dei primi volontari<br />

<strong>Caritas</strong> è avvenuto a gennaio<br />

2003 e ha fatto comprendere quanto<br />

sia importante adoperarsi per modificare<br />

la cultura del pregiudizio, spendendo<br />

maggiori energie nel settore<br />

della prevenzione.<br />

Intanto nel 2002 si erano costitui-<br />

ti la Conferenza regionale marchigia-<br />

na “Volontariato e giustizia”, cui aderiscono<br />

undici associazioni, e il Comitato<br />

carcere-territorio, voluto dal<br />

comune di Ancona e aperto a tutti i<br />

soggetti (pubblici, privati e del terzo<br />

settore) impegnati in ambito penitenziario.<br />

Il comitato ha rappresentato<br />

il tentativo, in una logica di coordinamento,<br />

di superare il muro di indifferenza<br />

e peggio di pregiudizio che<br />

da sempre circonda il mondo recluso,<br />

per far sorgere attorno al carcere<br />

una significativa rete di solidarietà.<br />

Un ulteriore frutto della collaborazione<br />

con il comune sarà Casa Orizzonte, struttura di accoglienza<br />

per detenuti in semilibertà o in permesso-premio,<br />

cui è consentito lavorare all’esterno o assaggiare spazi di<br />

libertà piccoli, ma preziosi e necessari per riprendere un<br />

contatto positivo con il territorio.<br />

I carcerati, insomma, non vanno relegati tra le quattro<br />

mura che li rinchiudono, quasi fossero un corpo estraneo<br />

alla società, un bubbone che sarebbe bello eliminare, se<br />

fosse possibile. Il carcere racchiude persone, problemi,<br />

difficoltà, che solo incontrandosi con il “fuori” diventando<br />

condivise, possono trovare spiragli di soluzione. Fare rete,<br />

attorno a un carcere, significa proporre progetti di accoglienza<br />

più incisivi. Ma anche costruire cultura, contro il<br />

pregiudizio. Che imprigiona la dignità delle persone e delle<br />

relazioni, e non contribuisce a creare sicurezza.<br />

un anno con Italia <strong>Caritas</strong><br />

Nel 2004 abbiamo cambiato veste.<br />

Da allora abbiamo migliorato sempre.<br />

Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.<br />

Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.<br />

Storie che raccontano l’Italia e il mondo.<br />

Un anno a 15 euro, causale “Italia <strong>Caritas</strong>”<br />

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO <strong>10</strong> - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />

dicembre 2007 / gennaio 2008<br />

POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

Italia <strong>Caritas</strong><br />

le notizie che contano<br />

SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI<br />

NATALE PER TUTTI<br />

POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO<br />

MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?<br />

ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE<br />

+<br />

Occasione 2008<br />

ABBONAMENTO CUMULATIVO CON VALORI<br />

È un mensile di economia sociale e finanza etica<br />

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e-mail segreteria@caritasitaliana.it


nazionale<br />

CONDANNA<br />

A VITA?<br />

COSÌ<br />

SI BATTE<br />

LA POVERTÀ<br />

di Walter Nanni<br />

La povertà è una condanna a vita? Per molti,<br />

non per tutti. Dal tunnel si può uscire. Con le<br />

proprie forze, reggendosi sulla stampella<br />

dell’aiuto e dell’accompagnamento altrui.<br />

Che la qualifica di escluso non sia irreversibile,<br />

anche se le condizioni reddituali, relazionali<br />

e psicologiche e i meccanismi sociali ed economici<br />

che la giustificano tendono spesso ad autoperpetuarsi<br />

e cronicizzarsi, lo dimostrano molte storie di vita.<br />

A cominciare da quelle che oggi, per fortuna, possono<br />

raccontare molte persone accolte e seguite dai centri di<br />

ascolto <strong>Caritas</strong> sparsi in tutta Italia. La recente, settima<br />

edizione del Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale<br />

di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Fondazione Zancan, significativamente<br />

siglata da un titolo interrogativo (Rassegnarsi alla<br />

povertà?), evidenzia che esistono percorsi possibili di<br />

uscita dalla povertà. Lo dimostrano le 124 interviste ri-<br />

volte a ex utenti delle <strong>Caritas</strong> diocesane in tutta Italia (53<br />

italiani e 71 stranieri), persone uscite “definitivamente”<br />

da situazioni acute di disagio, che non presentano più<br />

necessità urgente di intervento da parte delle <strong>Caritas</strong> o di<br />

altri enti assistenziali o caritativi. Due costanti emergono<br />

dai racconti: nella storia personale esiste sempre un<br />

“punto di svolta”; per uscire dallo stato di povertà è importante<br />

poter contare (anche) su un aiuto assistenziale.<br />

Il momento della svolta<br />

Non sempre il momento di svolta è connotato in termini<br />

positivi. In alcuni casi gli avvenimenti-chiave si riferiscono<br />

ad eventi negativi: lutti, licenziamenti, malattie.<br />

In virtù del forte impatto sul soggetto, questi eventi determinano<br />

però in qualche modo una “inversione di<br />

rotta” nella biografia personale. Per gli stranieri il “punto<br />

di svolta” più frequente si riferisce al tema del lavoro.<br />

Il settimo Rapporto sull’esclusione<br />

sociale <strong>Caritas</strong>-Zancan propone<br />

oltre cento storie di chi<br />

ce l’ha fatta, a rovesciare le sorti<br />

del proprio disagio. Conta<br />

l’aiuto materiale e assistenziale.<br />

Ma anche vicinanza e amicizia<br />

NON DI SOLI EURO<br />

Gli aiuti economici segnano<br />

spesso una svolta nelle<br />

storie di povertà. Ma per<br />

gli ex utenti dei centri d’ascolto<br />

valgono anzitutto le relazioni<br />

Conta molto il riuscire ad “avviare un’attività imprenditoriale<br />

in proprio”: la possibilità di sviluppare una professionalità<br />

autonoma è una risposta efficace, che migliora<br />

l’autostima della persona e mitiga alcuni degli effetti<br />

negativi determinati dall’inserimento degli immigrati<br />

in ambienti lavorativi potenzialmente respingenti.<br />

Segue la risoluzione dei problemi alloggiativi, che consente<br />

di accogliere le famiglie e sviluppare una dimensione<br />

personale di vita. Importante è anche la dimensione<br />

familiare: i punti di svolta possono essere legati a<br />

eventi lieti (l’arrivo in Italia dei figli per ricongiungimento<br />

familiare) ma anche negativi (il distacco dalla famiglia<br />

o dalla patria di origine). Per alcuni immigrati, il<br />

momento di svolta è avvenuto in occasione di un viaggio<br />

nel proprio paese: il confronto tra le dure condizioni<br />

di vita in patria e la situazione italiana ha determinato<br />

la decisione di rimanere nel nostro paese e impe-<br />

lotta all’esclusione<br />

DENUNCIA<br />

SENZA RASSEGNAZIONE<br />

La copertina di Rassegnarsi<br />

alla povertà? Il settimo<br />

Rapporto su povertà<br />

ed esclusione sociale in Italia<br />

di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Fondazione<br />

Zancan (Il Mulino, Bologna,<br />

ottobre 2007, euro 20)<br />

non si limita ad analizzare<br />

gli squilibri del nostro sistema<br />

di welfare, ma illustra<br />

i percorsi di uscita dalla povertà<br />

compiuti da ex utenti<br />

dei centri d’ascolto <strong>Caritas</strong><br />

gnarsi più a fondo nel processo di integrazione e inserimento<br />

sociale.<br />

Per gli ex utenti italiani, il punto di svolta non è mai<br />

rappresentato dal miglioramento della propria condizione<br />

economica: più che l’aiuto in denaro risulta strategico<br />

il riuscire a trovare un lavoro o ad avviare un’attività<br />

produttiva o lavorativa autonoma. Nell’ambito degli<br />

eventi familiari, alcuni fattori di svolta sono costituiti da<br />

episodi negativi, ma segnati da un forte impatto emotivo:<br />

la fuga da casa, la separazione dal partner, la morte di<br />

un genitore o di un altro familiare. Significativi sono<br />

inoltre gli aspetti psicologici e motivazionali:<br />

l’inversione di rotta dalla povertà scatta nel momento in<br />

cui il soggetto matura una capacità di discernimento e<br />

forti motivazioni di cambiamento; importante, in proposito,<br />

sono il “sostegno morale” e la “fiducia ricevuta”<br />

dagli operatori <strong>Caritas</strong>. Anche la questione abitativa si rivela<br />

importante, sia in casi negativi, come la perdita della<br />

casa o lo sfratto, sia in relazione a eventi drammatici,<br />

che hanno in qualche modo avviato una maggiore determinazione<br />

nel voler risolvere i propri problemi e un<br />

più elevato livello di coinvolgimento di parenti e amici.<br />

Non sentirsi abbandonati<br />

Quali sono gli interventi che hanno favorito, tra i 124 intervistati,<br />

l’uscita dalla povertà? Il sostegno ricevuto dalla<br />

<strong>Caritas</strong> è giudicato importante, con particolare riguardo<br />

agli aiuti alimentari ed economici e alla ricerca di una<br />

sistemazione lavorativa. Ma gli ex utenti segnalano soprattutto<br />

l’importanza del “rapporto di amicizia” venutosi<br />

a creare con alcune figure <strong>Caritas</strong>: un sacerdote, un<br />

operatore, un volontario. La possibilità di sviluppare un<br />

rapporto affettivo, il “non sentirsi abbandonati”, “non essere<br />

lasciati soli”, si confermano aspetti essenziali del<br />

percorso di rinascita, elementi che caratterizzano in senso<br />

positivo il modello di aiuto <strong>Caritas</strong> rispetto a quello di<br />

8 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 9<br />

ROMANO SICILIANI


nazionale<br />

altre organizzazioni o servizi socio-assistenziali.<br />

Nel complesso, il valore aggiunto individuabile nel<br />

modello di intervento <strong>Caritas</strong> risiede nell’approccio<br />

complessivo che viene offerto, all’interno del quale si<br />

tenta di coniugare l’aspetto concreto dell’aiuto al sostegno<br />

psicologico e affettivo. Va inoltre rilevata<br />

Buone nuove in Finanziaria,<br />

ma resta la logica dell’emergenza<br />

Il “pacchetto welfare” guarda solo alla previdenza. E nella manovra 2008<br />

troppe misure una tantum. Le politiche sociali necessitano di visione strategica<br />

Rdi Francesco Marsico<br />

iflettere sulla legge finanziaria, in particolare per<br />

quanto riguarda gli specifici strumenti di contrasto<br />

alla povertà, mentre nelle aule parlamentari<br />

si è già sviluppata la consueta straziante guerriglia<br />

che ne costella l’iter di approvazione, può<br />

apparire un vuoto esercizio di stile. Però è necessario sviluppare<br />

una riflessione critica in materia. Partendo da un<br />

dato essenziale: il nostro paese non offre ai cittadini risposte,<br />

in termini di servizi e risorse economiche, efficaci<br />

e uniformi a livello nazionale. A differenza della grande<br />

maggioranza dei paesi dell’Unione europea, non si è costruito<br />

un sistema organico di risposte sociali adeguato ai<br />

rischi di povertà, esclusione o disagio.<br />

Le politiche sociali non possono risolversi in interventi<br />

isolati, di carattere solo previdenziale, rivolti a categorie<br />

specifiche, costituiti solo da trasferimenti monetari. In Italia<br />

si è discusso per settimane sul cosiddetto “pacchetto<br />

welfare”, in realtà un mero “pacchetto previdenza”, che riguarda<br />

il tema – fondamentale, non esclusivo – del futuro<br />

pensionistico. Di vere e proprie politiche di contrasto alla<br />

povertà nessuno ha parlato in maniera altrettanto esplicita.<br />

Questi limiti culturali si mischiano al risanamento dei<br />

conti pubblici: poche risorse e idee confuse creano un mix<br />

micidiale, al quale si aggiunge l’instabilità politica, che erode<br />

capacità progettuale e visione strategica.<br />

La principale conseguenza è l’immobilità del dato sulla<br />

povertà assoluta e relativa, che l’Istat offre ogni anno alla<br />

riflessione del paese. Nel 2006 il 13% della popolazione,<br />

ovvero l’11% delle famiglie italiane, viveva in condizioni di<br />

povertà: il dato non varia da anni, se non per impercetti-<br />

<strong>10</strong> ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

l’importanza degli aspetti motivazionali e psicologici:<br />

accanto ad alcuni tipi di aiuto materiale, si evidenziano<br />

una serie di momenti ed eventi biografici (anche drammatici)<br />

che possono determinare di per sé un cambiamento<br />

di rotta. Tale peculiarità evidenzia la necessità di<br />

accostare ai tradizionali interventi materiali di contrasto<br />

bili scostamenti decimali. Senza demagogia: non sarebbe<br />

degno di essere assunto come priorità politica, invece di<br />

procedere secondo una perenne logica di emergenza e<br />

con provvedimenti una tantum?<br />

E chi non è neanche incapiente?<br />

Venendo allo specifico della manovra finanziaria per il<br />

2008, le linee di investimento sociale prescelte sono essenzialmente<br />

quattro: sostegno al reddito delle famiglie<br />

meno abbienti; contrasto del disagio abitativo; emanazione<br />

di livelli essenziali di assistenza, progressivamente esigibili,<br />

nel campo della non autosufficienza; consolidamento<br />

senza arretramenti dei principali fondi dedicati ai<br />

servizi socio-assistenziali e socio-educativi.<br />

Entrando nel dettaglio, il governo aveva già stabilito<br />

che 1.900 milioni di euro, provenienti dal cosiddetto “tesoretto”,<br />

fossero destinati per il 2007 al sostegno dei contribuenti<br />

a basso reddito, detti “incapienti”. Si tratta di una<br />

misura una tantum, che dovrebbe portare già a dicembre<br />

2007 a un’erogazione di 150 euro come rimborso forfettario,<br />

per i contribuenti che, pur avendovi titolo, non hanno<br />

potuto beneficiare nel 2006 di esenzioni fiscali Irpef, in<br />

quanto titolari di redditi così bassi da non essere stati assoggettati<br />

all’imposta. La somma aumenterà di 150 euro<br />

per ciascun familiare a carico. È significativo che per la<br />

prima volta si prendano in considerazione gli “incapienti”.<br />

È quanto <strong>Caritas</strong>, tra gli altri, va chiedendo da anni.<br />

L’impatto effettivo della misura è tuttavia reso poco più<br />

che simbolico da due fattori: si tratta di una misura una<br />

tantum (la cui ripetizione non è prevista dal disegno di<br />

ROMANO SICILIANI<br />

alla povertà economica anche azioni di rimotivazione,<br />

ri-socializzazione e di ricerca del senso della vita, come<br />

già avviene da parte di alcune <strong>Caritas</strong> diocesane della<br />

nostra penisola. Oltre alla canna, per tornare a pescare, è<br />

importante la fiducia in chi la porge, e la cura che costui<br />

dimostra nell’insegnare ad usarla.<br />

PASSAGGI PERICOLOSI<br />

Palazzo Madama, sede del<br />

Senato. Qui si gioca la sorte di<br />

Finanziaria e pacchetto welfare<br />

legge finanziaria per il<br />

2008); sono escluse le<br />

persone in condizioni di<br />

povertà estrema, le quali, non presentando denunce dei<br />

redditi (e spesso neppure essendo iscritte all’anagrafe fiscale),<br />

non beneficeranno di contributi. Cosa ben diversa<br />

sarebbe stata la previsione, per un certo periodo parsa<br />

possibile, di un fondo nazionale contro la povertà, da distribuirsi<br />

secondo un apposito piano strategico.<br />

Il governo lancia poi, grazie a 550 milioni di euro per il<br />

2008, un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica,<br />

con destinazione prioritaria per gli sfrattati, e prevede,<br />

sempre per il 2008, un fondo di 150 milioni per costituire<br />

una società pubblica che agevoli e stimoli i proprietari<br />

ad affittare i propri appartamenti nei comuni a più alta<br />

densità abitativa; inoltre è prevista la costituzione di osservatori<br />

nazionale e regionali sul disagio abitativo. Si tratta<br />

di misure di cosiddetto housing sociale, ossia destinate<br />

ad affrontare il grave problema del disagio abitativo: anche<br />

in questo caso la strada intrapresa appare corretta,<br />

sebbene il fatto che si tratti di interventi straordinari, per<br />

quanto non irrilevanti, rischia di vanificare l’obiettivo,<br />

cioè il varo di una politica abitativa degna di tal nome, fino<br />

a oggi quasi del tutto assente. La destinazione prioritaria<br />

agli sfrattati, per quanto comprensibile, rischia inoltre<br />

lotta all’esclusione<br />

Sara, che fa ballare la figlia<br />

«Mangio poco, sono una regina»<br />

Sara ha 37 anni, da quando ne aveva 14 soffre<br />

di anoressia nervosa. «Mia madre è rimasta incinta<br />

molto giovane, ma alle prime botte di mio padre…<br />

lei da una parte, lui dall’altra. Lui l’ho conosciuto<br />

solo qualche anno fa: è sempre stato un poco di buono;<br />

entra ed esce dal carcere, non si contano i soldi<br />

che ha, tutti guadagnati con i suoi traffici.<br />

Ma io quei soldi non li ho mai voluti».<br />

A un certo punto, Sara ha una relazione affettiva.<br />

Ma scopre che l’amore può essere una sfortuna.<br />

Lui è un tossicodipendente, lei comincia a drogarsi.<br />

E rimane incinta. «Speravo che mi salvasse, mi portasse<br />

via da tutto lo schifo. Invece mi sono ritrovata<br />

con un delinquente. Quando ho saputo di essere incinta<br />

sono andata fuori di testa: mi sono precipitata al Sert,<br />

volevo aiuto, volevo smettere. Mia figlia è nata al sesto<br />

mese, perché il mio ex voleva che abortissi: una sera,<br />

dopo una lite furibonda, mi ha preso a calci nella pancia<br />

e stavo per partorire a casa. Hanno fatto appena<br />

in tempo a tirarmi fuori la bimba e me l’hanno subito<br />

portata via. Mi hanno portato in una casa di accoglienza<br />

<strong>Caritas</strong>, la bambina è arrivata tre mesi dopo.<br />

Doveva arrivare più tardi, ma l’assistente sociale<br />

ha visto che ero pelle e ossa, se non la vedevo morivo».<br />

Il percorso di uscita dalla povertà è cominciato grazie<br />

a un lavoro e al completamento degli studi.<br />

«Sono diventata infermiera professionale e ho vinto<br />

il concorso. Intanto la <strong>Caritas</strong> mi aveva messa<br />

in contatto con la parrocchia vicina: abbiamo trovato<br />

una famiglia che ci ha un po’ adottate, me<br />

e la bambina. La svolta è venuta quando ho comprato<br />

la casa e ci siamo legate a questa famiglia. Sono brave<br />

persone, hanno una figlia che ha quasi l’età di mia<br />

figlia, è come se fosse una sorellina, no? Oggi la mia<br />

bimba ha 8 anni, ma delle volte mi fa da mamma,<br />

sembra che ne abbia 18! A scuola è bravissima, quando<br />

vado a parlare con le maestre sono solo complimenti,<br />

l’ho iscritta a danza, faccio gli straordinari per<br />

mandarcela, le piace tanto. Adesso stiamo bene,<br />

abbiamo la nostra casa, nessuno ci manda via. A fine<br />

mese è dura, io mangio poco ma a lei non manca nulla.<br />

A volte prendo i vestiti dalla <strong>Caritas</strong>, non mi vergogno.<br />

Ma rispetto a qualche anno fa, mi sento una regina…».<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 11


nazionale<br />

Fatima ha una tavola calda<br />

«Ce l’ho fatta grazie ai volontari»<br />

Fatima proviene dall’Iraq. Ha 37 anni ed è dovuta<br />

fuggire verso la Germania, insieme al marito, nel 2002.<br />

Da sola, con il figlio di 12 anni, è arrivata a Roma,<br />

dove si sono dichiarati rifugiati politici. «Con i soldi<br />

che mi mandava mio marito pagavo l’affitto di una casa<br />

in via Inghilterra e compravo il necessario. Ho il diploma<br />

di scuola alberghiera e ho cercato lavoro, ma dopo due<br />

mesi in una pizzeria non mi pagavano e sono andata<br />

via. Poi, un’estate, sono stata due mesi in Germania,<br />

ma quando sono tornata avevo lo sfratto. Non stavo<br />

bene, ero in difficoltà. Mio marito non poteva<br />

più mandarmi soldi».<br />

Fatima trova il coraggio di rivolgersi al centro<br />

d’ascolto <strong>Caritas</strong>. «Avevo paura che mi facessero<br />

delle domande, ma sapevo che ci andava altra gente…<br />

Sono stata ospitata per 23 giorni in un centro<br />

di accoglienza parrocchiale, poi sono andata ad abitare<br />

con mio figlio presso un’anziana che si era rivolta<br />

al centro di ascolto, offrendo vitto e alloggio in cambio<br />

di compagnia e piccoli servizi. Un mese dopo<br />

sono stata ricoverata per un intervento chirurgico<br />

e le volontarie della <strong>Caritas</strong> si sono occupate<br />

della mia assistenza e di mio figlio. Lo hanno ospitato,<br />

accompagnato a scuola e seguito nei compiti, lo hanno<br />

portato in ospedale per farci incontrare. Faceva freddo,<br />

gli hanno dato dei vestiti pesanti, lo hanno fatto<br />

dormire da una famiglia che avevamo conosciuto<br />

al centro di accoglienza…».<br />

Il punto di svolta arriva con la possibilità di avviare<br />

un’attività. «Quando sono guarita, insieme a una<br />

volontaria mi sono informata su cosa dovevo fare<br />

per aprire una tavola calda, quali pratiche dovevo fare,<br />

se c’erano aiuti per le donne. Ce l’ho fatta: oggi cucino<br />

cibo del mio paese. Non è stato importante solo poter<br />

contare su un aiuto materiale. Certo, il cibo, i vestiti,<br />

i libri e lo zaino per il ragazzo... Ma soprattutto<br />

i volontari mi hanno spiegato cosa dovevo fare<br />

per aprire l’attività, dove dovevo andare per le carte.<br />

Hanno garantito per me con il padrone del locale.<br />

La tavola calda è andata subito abbastanza bene,<br />

poi è venuto mio marito. Un mese fa abbiamo avuto<br />

una bambina. Lavoriamo e il fratello più grande la guarda.<br />

Oggi viviamo tutti insieme. E ci sentiamo abbastanza tranquilli».<br />

12 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

lotta all’esclusione<br />

ASCOLTARE, SVOLTARE<br />

Colloquio in un centro d’ascolto<br />

a Genova. La relazione è cruciale<br />

per aiutare a superare il disagio<br />

di trasformarsi in un<br />

boomerang, in termini<br />

di tensioni sociali, nelle<br />

realtà ove vi siano lunghe liste di attesa, che bisognerà<br />

stravolgere per seguire tale priorità.<br />

In terzo luogo, viene portato da <strong>10</strong>0 e 400 milioni il fondo<br />

nazionale per la non autosufficienza, con la dichiarata<br />

intenzione di fissare, con decreto collegato alla Finanziaria,<br />

i Livelli essenziali, da rendere esigibili nell’arco di un<br />

triennio, aumentando progressivamente il fondo sino al<br />

punto necessario (circa 2 miliardi di euro l’anno di fonte<br />

statale, da aggiungere ai fondi regionali). L’incremento è significativo,<br />

e si spera rivelatore di un’effettiva volontà politica<br />

di fissare, almeno in questo ambito, i Liveas-Lea previsti<br />

dall’articolo 117 della Costituzione e sinora inattuati.<br />

Infine, vengono incrementati di 25 milioni per il 2008 il<br />

fondo nazionale per le politiche sociali e i fondi destinati al<br />

piano straordinario per lo sviluppo del sistema territoriale<br />

dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, previsti<br />

dalla Finanziaria 2007. Anche in questo caso si tratta di un<br />

segnale apprezzabile nelle intenzioni e sotto il profilo culturale,<br />

ma insufficiente dal punto di vista quantitativo.<br />

Prospettive per una “grande opera”<br />

Segnalare mancanze è sempre più facile che fornire prospettive.<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Fondazione Zancan hanno però<br />

provato a porre la questione di una graduale definizione di<br />

un piano di contrasto organico delle povertà (vedi IC<br />

7/2007). In concreto, bisognerebbe chiarire durata o progressività<br />

delle misure adottate, gli strumenti per valutarle,<br />

lo scenario complessivo in cui si collocano. E coordinare le<br />

misure della Finanziaria a livello nazionale, accordandole<br />

anche agli strumenti che regioni ed enti locali mettono in<br />

atto. Sarebbe una “grande opera”, capace di dare dignità,<br />

futuro e diritti a ogni cittadino di questo paese.<br />

nazionale<br />

CURARSI È IMPOVERIRSI<br />

LA SALUTE CI COSTA CARA<br />

di Walter Nanni<br />

Le spese sanitarie? Salvano la vita. Ma possono impoverire. Il<br />

quinto Rapporto Ceis Sanità 2007, realizzato dal Centro di ricerca<br />

della facoltà di economia dell’Università di Roma Tor<br />

Vergata, mette in evidenza alcuni dati relativi agli effetti negativi<br />

che le spese sanitarie possono avere sui bilanci delle famiglie italiane.<br />

Dal rapporto emerge che è in crescita il rischio di impoverimento<br />

di chi deve sostenere spese sanitarie non coperte dal Servizio<br />

sanitario nazionale, in particolare per le cure odontoiatriche e<br />

l’assistenza alle persone non autosufficienti.<br />

Sono sempre di più, ben 948.253<br />

(il 4,1% del totale), le famiglie gravate<br />

da spese definite “catastrofiche” sostenute<br />

per la salute. Notevoli le differenze<br />

regionali: rischio massimo in<br />

Calabria, dove il fenomeno colpisce<br />

l’11,2% delle famiglie, minimo in<br />

Emilia Romagna (1,2%). Le spese “catastrofiche”<br />

sono più frequenti tra i<br />

meno abbienti (lo sono per il 14,1% di<br />

quanti stanno nel primo quintile di<br />

ricchezza, per il 2,2% di chi sta nel secondo<br />

quintile), ma il fenomeno incide<br />

anche sui cosiddetti ceti medi (nel<br />

terzo quintile le famiglie colpite sono l’1,2%). Nonostante<br />

sia riservato al settore privato quasi il 25% della spesa sanitaria,<br />

i dati disponibili confermano che solo il 6,1% delle<br />

famiglie (prevalentemente abbienti) hanno coperture assicurative.<br />

E fra queste c’è una bassa incidenza di polizze<br />

che coprono l’intero nucleo familiare (il 31,3%).<br />

Il fenomeno dell’impoverimento dovuto in gran parte<br />

alle spese sanitarie private è in costante crescita: le famiglie<br />

già concretamente impoverite per motivi sanitari<br />

sono 346.069 (1,5% della popolazione italiana). Forti,<br />

anche in questo caso, le differenze regionali: si va dallo<br />

0,3% della Toscana al 4,9% della Calabria.<br />

Più a rischio di impoverimento sono gli anziani, in particolare<br />

le persone sole over 65 e le coppie senza figli con<br />

uno dei due coniugi anziano (il rischio è, nei due casi, del<br />

Aumenta il numero<br />

di famiglie italiane<br />

che vedono dissestato<br />

il proprio bilancio<br />

dalle spese sanitarie<br />

sostenute in strutture<br />

private. Intanto negli<br />

ospedali meno posti letto<br />

e più personale:<br />

la spesa ospedaliera<br />

non è razionale<br />

esclusione politiche database sociale sociali<br />

2,9% e 2,3%). Ma l’impoverimento colpisce<br />

sempre più anche le coppie con<br />

figli: la percentuale di famiglie impoverite<br />

è passata dallo 0,6% all’1,2% per<br />

le coppie con un figlio, dall’1,1%<br />

all’1,9% per quelle con tre o più figli.<br />

Una situazione che si accompagna<br />

peraltro a una crescita dell’incidenza<br />

della povertà (dal 22,4% al 24,1%).<br />

Una maggiore qualità?<br />

L’indagine Ceis si sofferma anche<br />

sulla de-ospedalizzazione. Dal 2000<br />

al 2005 si è realizzata in Italia (con<br />

eccezione di Molise, Abruzzo e Sicilia)<br />

una drastica riduzione dei posti<br />

letto ospedalieri: si è passati da una<br />

disponibilità di 5,1 posti letto per<br />

mille abitanti a una del 4,6; inoltre si<br />

è ridotta la quota di spesa per<br />

l’assistenza ospedaliera (il 47% della<br />

spesa sanitaria nel 2005).<br />

Alla contrazione dei posti letto<br />

non è corrisposta però una riduzione<br />

degli organici. Ciò sembra preludere<br />

a una maggiore qualità dell’assistenza, ma suscita<br />

preoccupazioni per la razionalizzazione complessiva<br />

dell’assistenza ospedaliera. I medici delle strutture di ricovero<br />

sono infatti aumentati, a livello nazionale, del<br />

7,7%, mentre gli infermieri, nonostante sia aumentata la<br />

loro disponibilità per posto letto, si sono ridotti del 2,3%:<br />

in particolare si è passati, per quanto riguarda i medici,<br />

da 0,36 per posto letto nel 2000 a 0,43 nel 2005, mentre<br />

per quanto riguarda gli infermieri si è passati da 0,88 a 1<br />

unità di personale per posto letto.<br />

A livello regionale i dati disegnano una situazione<br />

estremamente differenziata: si passa da 0,31 medici per<br />

posto letto nella provincia autonoma di Trento a 0,62 in<br />

Valle d’Aosta; quanto agli infermieri, si va dallo 0,78 in<br />

Calabria all’1,34 in Liguria.<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 13


ROMANO SICILIANI<br />

nazionale<br />

I MUTUI CHE RIVELANO<br />

UN POPOLO DI INDEBITATI<br />

di Andrea La Regina<br />

Le famiglie italiane si trovano ogni giorno di<br />

fronte a complesse emergenze sociali ed<br />

economiche, che creano un clima di insicurezza.<br />

Le istituzioni, non solo finanziarie,<br />

non riescono a monitorare queste<br />

emergenze se non dopo la loro insorgenza<br />

e non approntano gli ammortizzatori sociali,<br />

né adottano le misure strutturali che sarebbero di<br />

vero e concreto aiuto alle famiglie. Ultima emergenza<br />

in ordine di tempo, la crisi dei mutui americani.<br />

Nonostante le rassicurazioni manifestate da più parti,<br />

essa ha avuto conseguenze almeno indirette sulla<br />

ATTENTI<br />

AL TASSO<br />

Giovane coppia<br />

alla ricerca<br />

di una casa.<br />

Ma i mutui<br />

più recenti<br />

hanno riservato<br />

cattive sorprese<br />

realtà italiana: l’aumento del tasso di interesse variabile<br />

ha colpito molte persone e famiglie, perché il ritocco dei<br />

tassi ha innescato aumenti anche considerevoli delle<br />

rate dei mutui sottoscritti (soprattutto per l’acquisto<br />

della casa) con tasso variabile.<br />

Le associazioni dei consumatori accusano le banche<br />

di avere preferito e “spinto” il tasso variabile, proponendolo<br />

ai cittadini consumatori pur in previsione di un futuro<br />

rialzo dei tassi. Questo fenomeno pone in evidenza il<br />

tema più generale dell’accesso al credito in Italia: molte<br />

famiglie vivono nell’esclusione “finanziaria” per varie cause<br />

e le istituzioni bancarie non sono in grado di proporre<br />

La crisi “importata” dagli Stati Uniti.<br />

E il sovraindebitamento dovuto<br />

allo scriteriato accesso al credito<br />

al consumo. Gli italiani non sono<br />

più risparmiatori? Servono maggiore<br />

trasparenza e nuovi strumenti<br />

da parte di banche e finanziarie<br />

strumenti innovativi. Ciò vale soprattutto per molte famiglie<br />

di lavoratori atipici, che nonostante la garanzia reale<br />

costituita dal bene immobile, non trovano accesso al credito<br />

a causa della instabilità del rapporto di lavoro.<br />

Sviluppo positivo, impatto letale<br />

In passato l’esclusione dall’accesso al credito, da parte<br />

delle banche, riguardava soprattutto chi non poteva offrire<br />

garanzie reali o non era “sicuro”, perché protestato<br />

o inaffidabile, senza che si procedesse a un accurato<br />

esame delle potenzialità reali di restituzione del denaro.<br />

In seguito questo spazio d’accesso al credito è stato occupato<br />

dalle finanziarie, la cui propaganda punta a intercettare<br />

la domanda dei soggetti più fragili ed esclusi.<br />

Molte famiglie hanno così incrementato l’uso di un<br />

nuovo strumento, il credito al consumo, senza tener<br />

conto delle spesse fisse molto alte che comporta e del<br />

tasso di interesse che le finanziarie, legalmente, possono<br />

praticare fino al 24%. Tutto ciò si è sommato, negli<br />

ultimi mesi, alla crisi dei mutui: molte famiglie si sono<br />

così trovate in condizione di sovraindebitamento.<br />

Gli esperti del settore ricordano che in Italia il ricorso<br />

al credito al consumo era molto basso e che il recente<br />

incremento rappresenta uno sviluppo positivo del<br />

mercato. Ma l’impatto su molte famiglie è stato letale:<br />

una propaganda ossessiva e a portata di mano, senza<br />

consulenza responsabile, può ingannare il cittadino<br />

consumatore, che si vede offrire su un piatto d’argento<br />

un accesso al credito certamente non a buon mercato e<br />

che ben presto può rivelarsi insostenibile.<br />

Così oggi i centri di ascolto <strong>Caritas</strong> e i soggetti antiusura<br />

e di microcredito si trovano a dover affrontare incombenze<br />

non specifiche: da un lato la tutela sociale di<br />

ha “acceso” fino a dieci finanziamenti (e in assenza di<br />

una giurisdizione chiara spesso deve fronteggiare contemporaneamente<br />

il peso del mutuo casa su cui incombe<br />

il pignoramento e il procedimento di vendita all’asta<br />

a causa della pressione smodata dei processi di recupe-<br />

finanza e famiglie<br />

ro credito); d’altro canto, la ricerca di soluzioni tramite<br />

fideiussioni, così che associazioni e fondazioni finiscono<br />

per assumersi rischi economici, per conto dell’indebitato,<br />

a causa del mancato intervento delle istituzioni.<br />

Ma non è possibile continuare a proporre soluzioni assistenzialistiche.<br />

Bisogna varare misure promozionali,<br />

anche tramite interventi legislativi ad hoc, capaci di andare<br />

oltre le emergenze e le proclamazioni di principio,<br />

che lasciano nell’abbandono le famiglie.<br />

Il fenomeno del sovraindebitamento viene spiegato<br />

da diverse tesi: c’è chi parla di decisioni sbagliate da parte<br />

del consumatore dovute alla carenza di informazioni;<br />

chi mette l’accento sulla irresponsabilità di consumatori,<br />

che finiscono per far gravare i propri problemi sull’intero<br />

sistema finanziario e sociale; chi accenna alla dipendenza<br />

indotta da una propaganda ossessiva che incoraggia<br />

il consumo; chi punta il dito contro la mancanza<br />

di un’educazione finanziaria diffusa. Ma l’eccessivo<br />

ricorso al credito non è solo un dinamismo del mercato<br />

economico, è segno delle difficoltà generalizzate di un<br />

sistema, che minacciano soprattutto le famiglie.<br />

Intermedi e sperimentali<br />

Di recente la Banca d’Italia ha fatto notare che la percentuale<br />

di famiglie che ha visto peggiorata la propria<br />

situazione reddituale è gradualmente ma notevolmente<br />

aumentata negli ultimi anni. Ci possono dunque essere<br />

state forme di irresponsabilità. Ma molti mutui casa sono<br />

stati contratti perché il costo degli affitti è elevatissimo,<br />

oltre che per assicurarsi abitazioni decenti e<br />

confortevoli. E così oggi ci si trova di fronte a casi molto<br />

frequenti di vendita all’asta, da parte delle banche, di<br />

case appartenute a famiglie in sofferenza economica. In<br />

campo nazionale, il numero di pignoramenti ed esecuzioni<br />

immobiliari interessa tantissime famiglie, come si<br />

può evincere dal numero elevato di procedimenti in<br />

corso presso i tribunali.<br />

Occorrerebbe che banche e finanziarie, in nome della<br />

propria responsabilità sociale d’impresa, affrontassero<br />

la crisi con strumenti intermedi e sperimentali, ai<br />

quali il legislatore – ove si dimostrassero funzionanti –<br />

potrebbe dare poi il placet istituzionale. In qualche paese<br />

europeo si prevedono già tre passaggi (tesi a verificare<br />

la possibilità di solvenza finanziaria del debitore) prima<br />

di arrivare alla vendita degli immobili, ma anche la<br />

possibilità di concordati successivi, in presenza di un<br />

terzo soggetto, non di tipo giurisdizionale ma capaci di<br />

realizzare tecnicamente un riordino delle pendenze,<br />

14 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 15


nazionale<br />

dando un’ulteriore possibilità a chi, per un motivo grave,<br />

si è trovato in una difficoltà imprevista.<br />

Le istituzioni finanziarie devono tenere conto delle<br />

esigenze di diversi “portatori di interessi”: bisogna rendere<br />

conto agli azionisti della banca e a chi ha affidato il<br />

denaro per l’investimento, ma occorre anche affinare la<br />

procedura di intermediazione finanziaria per consentire<br />

un responsabile accesso al credito da parte dei cittadini.<br />

Molte cose devono migliorare in Italia; la chiarezza<br />

dei patti iniziali, perché nonostante le iniziative attuate<br />

si può fare molto meglio; la consulenza, che dev’essere<br />

corretta e professionale; la possibilità e le procedure di<br />

Vent’anni a difesa dei cittadini consumatori.<br />

Adiconsum, associazione promossa dalla Cisl,<br />

li festeggia proprio nel momento in cui molti<br />

italiani sono alle prese con l’inasprimento dei<br />

mutui per l’acquisto della casa. Fabio Picciolini,<br />

segretario nazionale di Adiconsum, chiarisce meccanismi<br />

ed effetti, in Italia, della crisi importata dall’America.<br />

E ragiona su come evitarne altre.<br />

Crisi dei mutui cosiddetti subprime. Negli Stati<br />

Uniti migliaia di famiglie sono rimaste senza una<br />

casa. Da noi qual è la situazione reale?<br />

Se da un lato possiamo stare tranquilli (le banche italiane<br />

non accendono mutui a chi non è effettivamente è in<br />

grado di rimborsarli), d’altro canto la crisi si sta facendo<br />

sentire, e pesantemente, sui tassi d’interesse a livello<br />

globale. Euribor (l’indice europeo di riferimento per i<br />

tassi variabili) risente non poco della crisi dei subprime.<br />

E in Italia lo spread (in pratica il guadagno della banca)<br />

in molti casi è al 2%, percentuale altissima, che incide<br />

non poco sull’entità della rata. Così, se tra 2002 e 2004 i<br />

tassi di interesse erano compresi tra il 2 e il 3% e un mutuo<br />

costava 3,5-4% al massimo, oggi è al 5,5-6%. Le rate<br />

sono aumentate dal 30 al 50% rispetto a quando si è ac-<br />

16 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

concordato o rinegoziazione in presenza di situazioni<br />

non prevedibili; il costo, ancora alto, dei servizi bancari;<br />

l’applicazione delle recenti direttive Bersani sulla portabilità<br />

dei mutui; la sostenibilità del prestito, che va certificata<br />

e non affidata alla discrezionalità delle banche.<br />

La crisi dei mutui ha rappresentato un inquietante campanello<br />

d’allarme: occorre che tutti (istituzioni legislative<br />

e di controllo, imprese bancarie e finanziarie, associazioni<br />

dei risparmiatori, strumenti di informazione,<br />

agenzie educative) facciano la propria parte, perché gli<br />

italiani tornino a essere un popolo di risparmiatori. E<br />

non di indebitati.<br />

«Le banche sbagliano ancora,<br />

ma i consumatori si informino»<br />

Fabio Picciolini, segretario nazionale di Adiconsum, analizza gli effetti della crisi<br />

dei mutui sulle famiglie italiane. E indica gli strumenti per evitare nuovi problemi<br />

di Ettore Sutti<br />

ceso il mutuo. Invece i redditi non sono aumentati: secondo<br />

una ricerca di Nomisma, circa 400 mila famiglie<br />

italiane hanno difficoltà a rimborsare i mutui.<br />

Quali sono gli interventi da mettere in campo?<br />

Penso essenzialmente a tre cose: un intervento normativo<br />

chiaro e inappellabile; un’effettiva entrata in vigore<br />

della legge 40 (che parla di surrogazione del mutuo a costo<br />

zero); la possibilità per i cittadini di avere un rapporto<br />

più vantaggioso con i gruppi bancari.<br />

Neanche tanto…<br />

Stiamo aspettando il decreto “Bersani 3”, quantomeno<br />

per aggiustare il tiro su alcune norme poco chiare contenute<br />

dal precedente a proposito di penali e portabilità<br />

del mutuo. Inoltre le 16 maggiori associazioni di consumatori<br />

italiane (tra cui Adiconsum) hanno portato<br />

avanti una battaglia con le banche sui costi della portabilità<br />

del mutuo. Finalmente, il 21 novembre,<br />

l’esecutivo dell’Abi (associazione di categoria degli istituti<br />

bancari) ha accolto la richiesta e ha raccomandato<br />

alle banche di non applicare spese o commissioni. A noi<br />

non interessano gli accordi stipulati tra le banche,<br />

l’importante è che il consumatore non debba pagare un<br />

euro per trasportare il mutuo da una banca all’altra.<br />

E in tema di rapporti più vantaggiosi?<br />

Oggi la possibilità di rinegoziare un mutuo è lasciata alla<br />

buona volontà di un’agenzia o del direttore. Non è più<br />

accettabile. Adiconsum si è attivata con i principali<br />

gruppi bancari italiani per raggiungere una soluzione:<br />

l’obiettivo è fissare regole certe, chiare e convenienti per<br />

tutti. Anche le banche, nonostante possano contare sulle<br />

ipoteche, sono interessate al fatto che i propri clienti<br />

siano solvibili. La soluzione più semplice sarebbe allungare<br />

la scadenza del mutuo, oppure abbassare lo spread<br />

a livelli accettabili. Nessuno pretende di non pagare, ma<br />

si chiede di poter affrontare rate sostenibili.<br />

La situazione attuale è tutta imputabile alle banche?<br />

Le banche hanno le loro responsabilità. La maggior parte<br />

degli istituti, anche se non bisogna generalizzare, fino<br />

a qualche anno fa vendeva e consigliava solo mutui a<br />

tasso variabile. In quel periodo il consumatore ha pagato<br />

meno, ma in prospettiva non si è rivelata la scelta migliore.<br />

E le banche continuano a sbagliare anche oggi<br />

(anche se qualcuno lo chiama scelta commerciale) perché<br />

consigliano di accendere mutui a tasso fisso, obbli-<br />

finanza e famiglie<br />

gando le persone a sopportare per 30 o 40 anni un tasso<br />

ai livelli massimi. Ma spesso anche i consumatori ci mettono<br />

del loro. È vero che la bolla immobiliare degli ultimi<br />

anni ha più che raddoppiato i prezzi delle case, ma è<br />

altrettanto vero che talvolta le rate di mutuo superano la<br />

soglia del 70% del reddito di una famiglia. In casi simili,<br />

prima o poi, in 25 o più anni di mutuo, si è destinati ad<br />

andare in sofferenza. È difficile, ma bisognerebbe sempre<br />

accantonare una riserva, almeno 50-<strong>10</strong>0 euro al mese,<br />

per affrontare con serenità i momenti duri.<br />

Che consigli dare a chi accende un mutuo?<br />

Bisogna informarsi. Girando più sportelli bancari e richiedendo<br />

il contratto di mutuo comprensivo delle<br />

condizioni economiche. È un documento poco pubblicizzato;<br />

le banche sono obbligate a rilasciarlo, ma solo<br />

su richiesta del consumatore. Sul prospetto c’è scritto<br />

tutto: tasso, durata, condizioni, Isc (Indice sintetico di<br />

costo, la vecchia Taeg), spese. Così è possibile confrontare<br />

le proposte e scegliere la banca che offre le condizioni<br />

migliori. In caso di difficoltà ci si può rivolgere alle<br />

associazioni di consumatori. Non costano nulla,<br />

spesso hanno già affrontato la questione e offrono ottimi<br />

servizi di consulenza.<br />

ROMANO SICILIANI<br />

CONSIGLI PER<br />

GLI ACQUISTI<br />

Funzionaria<br />

di banca con<br />

un cliente.<br />

Dopo la crisi<br />

dei mutui<br />

a tasso variabile,<br />

gli istituti<br />

di credito stanno<br />

consigliando<br />

il tasso fisso.<br />

Ma anche questa<br />

strada può<br />

rivelarsi<br />

pericolosa<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 17


nazionale<br />

DAVID E I SUOI FRATELLI<br />

I ROMENI, NOSTRO SPECCHIO<br />

di Antonio Ricci Dossier statistico immigrazione <strong>Caritas</strong>-Migrantes<br />

Il primo nato a Roma nel 2007 è stato un bimbo romeno (lo stesso<br />

è avvenuto nell’altra capitale dei romeni in Italia, Torino): si<br />

chiama David, i suoi genitori sono un fabbro e una badante. La<br />

presenza romena in Italia è un fenomeno recente, ma ricco di significati<br />

e suggestioni. <strong>Caritas</strong> approfondirà l’argomento all’inizio del<br />

2008 in uno studio monografico. Ma già ora si può affermare che i<br />

romeni rappresentano il gruppo maggioritario tra gli stranieri in Italia:<br />

556 mila persone all’inizio del 2007.<br />

La maggioranza proviene dai villaggi rurali della Moldavia, regione<br />

orientale, una delle più povere della<br />

Romania. Il livello di istruzione è<br />

comunque medio-alto per 6 immigrati<br />

romeni ogni <strong>10</strong> (molto superiore<br />

rispetto al 40% del totale degli<br />

stranieri e al 33% degli italiani), anche<br />

se i laureati sono uno ogni <strong>10</strong>. Il<br />

75% dei romeni in Italia è titolare di<br />

permesso di soggiorno per lavoro e<br />

spesso ha alle spalle una pregressa<br />

esperienza migratoria. Facilità dei<br />

trasporti e abolizione del visto turistico<br />

all’interno della Ue hanno favorito<br />

l’affermarsi in Italia di un<br />

modello migratorio pendolare.<br />

Le premesse storiche e sociali dei flussi attuali vanno<br />

cercate nel trasferimento forzato di migliaia di contadini<br />

nelle periferie delle città romene, voluto da Ceauses˛cu e<br />

attuato negli anni Settanta e Ottanta tramite un piano di<br />

cancellazione di 7 mila villaggi rurali. Dopo il 1989 e la<br />

chiusura delle fabbriche dove lavoravano, molti si sono<br />

trovati a scegliere tra un mesto ritorno nelle campagne o<br />

la trasformazione in pendolari transnazionali.<br />

Immagine riflessa<br />

L’ingresso nella Ue dal 1° gennaio 2007 ha comportato per<br />

i migranti romeni non solo l’emancipazione dal poco funzionale<br />

sistema della programmazione delle quote di ingresso,<br />

ma soprattutto l’occasione definitiva per uscire dal<br />

18 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

Sono il gruppo<br />

maggioritario tra<br />

gli stranieri in Italia.<br />

Si scontrano con gravi<br />

problemi di accoglienza<br />

e integrazione. Sono nel<br />

mirino di media e politici.<br />

Eppure, la loro vicenda<br />

migratoria potrebbe<br />

aiutarci a rileggere<br />

la nostra storia…<br />

dall’altro mondo<br />

limbo della clandestinità. Nelle società<br />

di accoglienza, però, a più riprese<br />

si è paventata un’invasione di lavoratori<br />

romeni. In realtà la Romania è<br />

un piccolo paese di 22 milioni di abitanti,<br />

di cui il <strong>10</strong>% già ora vive all’estero.<br />

Diversi fattori dovrebbero dunque<br />

contribuire in breve a smorzare le cause<br />

di partenza: il vivace ritmo di crescita<br />

odierno dell’economia, gli investimenti<br />

diretti esteri, l’afflusso dei finanziamenti<br />

europei, l’innalzamento dei<br />

salari medi, l’apporto delle rimesse e<br />

dei capitali dei migranti di ritorno,<br />

non ultimo l’invecchiamento della<br />

popolazione e il conseguente declino<br />

demografico.<br />

Per i migranti, la prima fase di soggiorno<br />

in Italia resta comunque segnata<br />

da fattori negativi: alloggi inadeguati,<br />

caporalato e lavoro nero, negazione<br />

dei diritti sindacali, morti<br />

bianche nei cantieri, mancato accesso<br />

ai servizi, discriminazioni e violenze,<br />

tratta dei minori e delle ragazze a<br />

fini di sfruttamento. Ma informazione e mondo politico<br />

sembrano preferire un approccio sicuritario alla questione,<br />

per dare sfogo alle ansie dell’opinione pubblica, ferita<br />

da esecrabili fatti di cronaca. La sindrome da invasione<br />

conduce a rappresentare l’immigrato romeno come il capro<br />

espiatorio dei mali della vita quotidiana, come avvenne<br />

per i polacchi negli anni Ottanta e gli albanesi nei primi<br />

anni Novanta. I media sono lo specchio deformato di una<br />

società incapace di contemplare prospettive concrete di<br />

convivenza interculturale. Invece basterebbe pensare che<br />

la Romania, un secolo fa, accoglieva 60 mila emigranti italiani,<br />

per considerare che i flussi migratori attuali rappresentano<br />

l’immagine riflessa della nostra storia. E la migliore<br />

occasione dal basso per superare i pregiudizi, aprirsi all’accoglienza<br />

e riscattare le sofferenze del passato.<br />

nazionale<br />

sare davvero di affrontare con successo quella<br />

che una volta veniva definita “questione meridionale”,<br />

se non si costruisce una grande area<br />

di sviluppo euromediterranea, in territori segnati<br />

da una distanza ben superiore dal centro<br />

del continente?<br />

Il “sudditoso” vive e vegeta<br />

La Basilicata e i mezzogiorni d’Italia erano<br />

meno lontani dal resto d’Europa con i Borboni,<br />

nel Settecento e nel primo Ottocento. Eppure non si<br />

tratta di dipingere un quadro a tinte fosche della Basilicata;<br />

piuttosto, occorre esaltarne l’irrimediabile diversità,<br />

pur confrontandosi con le patologie e la durezza<br />

dei problemi, ma evitando di alimentare una brutta malattia<br />

che perdura nel mezzogiorno d’Italia, quindi anche<br />

in Basilicata. Occorre, in altri termini, cancellare la<br />

parola “sud”, perché evoca sudditanza e subalternità. E<br />

il subalterno non fa, ma aspetta che si faccia; non è causa<br />

del suo bene e del suo male, ma solo effetto dell’azione<br />

e del pensiero altrui; non decide, ma è deciso. Il “sudditoso”,<br />

sia in maniera individuale che in forma collettiva,<br />

vive e vegeta nella comunità dei sudditi: sconta su di<br />

sé il peso antico di dominazioni, di un colonialismo politico<br />

e religioso, economico e tecnologico.<br />

Di alibi giustificativi ce ne sarebbero a bizzeffe:<br />

viaggio al sud<br />

CREARE CULTURA E RETI<br />

PER VINCERE IL LAMENTO<br />

di Liberato Canadà<br />

Sviluppo locale? Per parlarne, a proposito della Basilicata, così come del mezzogiorno d’Italia,<br />

cuore del Mediterraneo, bisogna partire da un semplice ma radicale rovesciamento. E cioè<br />

smettere di chiedere cosa l’Italia e l’Europa possono fare per il sud e la Basilicata, per chiedersi<br />

invece cosa la Basilicata e il mezzogiorno possono fare per l’Italia e per l’Europa.<br />

Sul mezzogiorno d’Italia (compresa la Basilicata) esercitano ancora una forte influenza<br />

alcune dinamiche storiche, in primo luogo quel processo di emarginazione del Mediterraneo,<br />

iniziato con lo spostamento del cuore della storia moderna prima verso il nord Europa, poi verso<br />

l’ovest lungo le grandi rotte oceaniche. Bisogna pertanto partire dal presupposto che se non si investe<br />

sul Mediterraneo non ci potrà essere sviluppo nel mezzogiorno, e neanche in Basilicata. Senza<br />

una politica estera coraggiosa, senza colpire al cuore quell’antica marginalità, sarà molto difficile<br />

rimuovere le barriere tra il sud dell’Italia e la normalità del paese, per poi moltiplicare tutte le buone<br />

esperienze esistenti nel mezzogiorno e in Basilicata, che sono tante, numerose e significative.<br />

Il settentrione d’Italia è composto da regioni che si sentono nel cuore dell’Europa. Si può pen-<br />

Come fare sviluppo in Basilicata,<br />

terra lontana dal cuore d’Europa? Servono<br />

coraggiose politiche di valorizzazione<br />

del Mediterraneo. Ma soprattutto<br />

connessioni tra i soggetti locali attivi,<br />

per cancellare la parola “sud”…<br />

l’emigrazione degli anni Sessanta e quella più recente<br />

del 2006, la povertà, le dinamiche del processo unitario<br />

dell’Italia (e poi di quello europeo), l’assenza di infrastrutture<br />

sociali e materiali... Ma l’atteggiamento di sudditanza<br />

è un sonnifero, produce paralisi, quantomeno<br />

lentezza. In Basilicata alcune iniziative, amministrative<br />

ed economiche, sono state rese possibili dalle emergenze<br />

(sisma, alluvioni, frane), che spesso diventano condizione<br />

strutturata, modalità sociale di comportamento,<br />

incapace di progettare e programmare azioni di sviluppo.<br />

La lentezza, stancante e asfissiante, produce depressione<br />

e accidia, generando il lamento. Una delle principali<br />

manifestazioni della sudditanza; un atteggiamento<br />

che ha contaminato parti sociali, economiche, religiose<br />

e politiche, persino educative; una posa che contraddistingue<br />

i professionisti del meridionalismo, il quale ar-<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 19


nazionale<br />

ruola quanti giustificano l’inerzia dolente e fatalista, attribuendola<br />

a fattori esterni.<br />

Arginare l’inclinazione alla lagna, stimolando e promuovendo<br />

iniziativa, creatività, scelte educative e culturali<br />

capaci di far emergere un pensiero aperto al Mediterraneo,<br />

all’Italia, all’Europa: è questa la leva strategica<br />

per poter parlare di sviluppo, non nelle intenzioni ma<br />

in azioni prive di ambiguità e di demagogia.<br />

Paninoteche, non librerie<br />

Gli ostacoli allo sviluppo sono insomma anzitutto culturali.<br />

Ma la Basilicata è culturalmente arretrata? Guardando<br />

alla fioritura delle idee e al fervore delle intelligenze,<br />

alle forme di espressione vitale costituite dalla<br />

cultura locale e dalla tradizione popolare e folcloristica,<br />

si può dire che la regione non è spenta. C’è vivacità, magari<br />

meno cultura civica, ma certo un vivo reticolo di solidarietà<br />

familiare e comunitaria, che deriva anche da<br />

20 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

viaggio al sud<br />

OLTRE LA GRANDE INDUSTRIA<br />

Interno degli stabilimenti Fiat a Melfi (Potenza).<br />

I grandi progetti industriali sono importanti,<br />

ma non bastano a garantire lo sviluppo della Basilicata,<br />

come delle altre regioni meridionali<br />

valori e radici cristiane. Si può dire che esista un familismo<br />

virtuoso, che consente di ammortizzare disoccupazione,<br />

miseria e squilibri sociali dove esistono. Permane<br />

inoltre una memoria condivisa, fatta di linguaggi,<br />

retaggi e paesaggi comuni.<br />

Se per cultura invece si intende l’elaborazione intellettuale<br />

dei dotti e l’azione di una classe dirigente, allora<br />

si notano le arretratezze. Invece di teatri, librerie, circoli<br />

culturali e sociali, quasi ovunque sono nate negli ultimi<br />

anni banche, gioiellerie, paninoteche. A riprova del fatto<br />

che i soldi (in Basilicata nelle banche sono depositate ingenti<br />

somme di denaro) dove ci sono non portano automaticamente<br />

cultura. Inoltre nel mezzogiorno d’Italia, e<br />

soprattutto in Basilicata, non esistono media (tv e giornali)<br />

di dimensione nazionale che parlino all’Italia; la Basilicata<br />

non è vista, non è letta. Come l’intero mezzogiorno<br />

d’Italia, è sottorappresentata; il baricentro della politica,<br />

dell’economia e dei media è spostato nel settentrione<br />

d’Italia, cuore d’Europa.<br />

Con altre parole, si può dire che in Basilicata si è seccato<br />

l’albero delle élite, la pianta che produce classe dirigente.<br />

In passato erano i notabili, il clero, gli agrari; poi è<br />

arrivata la borghesia statale, decorosa e rispettabile: la<br />

maestra, il maresciallo, il segretario comunale, l’impiegato<br />

alle poste o alle ferrovie. Oggi, declinate le precedenti classi<br />

dirigenti e tramontato il ceto cresciuto all’ombra dei<br />

partiti, chi emerge lo fa per proprio conto, indipendentemente<br />

e individualmente. Il tessuto delle relazioni sociali<br />

è sfilacciato, quello civico è debole, e all’orizzonte non si<br />

vede una classe dirigente in formazione, impiantata in un<br />

terreno culturale originale e meridionale.<br />

Parlare di sviluppo, in Basilicata oggi, significa dunque<br />

promuovere e favorire le connessioni (che mancano)<br />

tra soggetti (della cultura, della società, dell’imprenditoria)<br />

attivi e creativi; ovvero favorire e promuovere<br />

connessioni per dare vita a reti fatte non di rapporti subalterni,<br />

ma virtuosi. Fatte anche da una buona politica,<br />

oltre che da una libera mediazione culturale, da una sana<br />

e competente imprenditoria.<br />

In Basilicata, come nel resto del mezzogiorno, chi riuscirà<br />

a riconnettere questi rapporti virtuosi potrà guidare<br />

processi di sviluppo locale autentici, duraturi e rispettosi<br />

delle persone e delle comunità locali. Non c’è altra strada,<br />

per voltare la pagina della sudditanza e del lamento.<br />

nazionale<br />

Introduzione leggera. Leggerlo in francese fa un certo effetto.<br />

“Usure, racket, fraude: la mafia, première entreprise d'Italie”. Ma<br />

suscita un amaro compiacimento. Dopotutto è sempre esportazione<br />

d’immagine. Che parlino di noi, anche male, purché ne parlino.<br />

Non è la prima regola della comunicazione pubblicitaria?<br />

La recente inchiesta della Confesercenti, che segnala il volume<br />

degli affari mafiosi, è stata ampiamente divulgata in Italia. Ma pure<br />

all’estero, per esempio dal compassato Le Figaro, pronto a evidenziare<br />

che les italiens dopotutto non devono essere così pigri e fannulloni,<br />

se mettono in campo un volume annuo di più di 90 miliardi<br />

di euro di profitti, pari al 7% del Pil<br />

peninsulare (senza contare i proventi<br />

dei traffici di armi e droga), in un quadro<br />

di economia diffusa che coinvolge,<br />

secondo l’indagine, 160 mila commercianti,<br />

puntuali pagatori del pizzo,<br />

import mafieux corrisposto a Mafia<br />

Spa, impresa agile e capillare.<br />

Dopo l’introduzione leggera, intermezzo<br />

archeologico (in inglese).<br />

Quando si discute dei mali d’Italia,<br />

consulto un’altra inchiesta, L’Italia<br />

di oggi, datata 1904 e curata dai<br />

giornalisti inglesi Bolton King e<br />

Thomas Okey. Cosa si pensava un secolo fa del crimine<br />

organizzato in Italia? L’impressione è quella di un benevolo<br />

ottimismo. Intanto si parlava solo di camorra napoletana<br />

e mafia siciliana, senza citare la ‘ndrangheta<br />

calabrese. Inoltre ci si sbilanciava alquanto nel descrivere<br />

in negativo la camorra e nel concedere alla mafia<br />

(da intendersi persino come “forma degenerata di cavalleria”,<br />

“aristocrazia criminale”) addirittura un velato<br />

apprezzamento dei metodi praticati.<br />

Un punto di sovrapposizione tra camorra e mafia veniva<br />

comunque rintracciato nella comune propensione<br />

a usare la politica per proteggere traffici e affari illeciti. A<br />

Napoli e dintorni “il governo dà il suo tacito appoggio a<br />

un sistema che a sua volta gli assicura la maggioranza<br />

contrappunto<br />

MAFIA, IMPRESA ANTICA<br />

IL PIZZO È UN MALE INCURABILE?<br />

di Domenico Rosati<br />

Un sistema economico<br />

grandioso, una vicenda<br />

di intrecci perversi<br />

con la politica.<br />

Le notizie di oggi<br />

non si discostano dalle<br />

analisi di un secolo fa.<br />

Ma ci sono segni<br />

di evoluzione<br />

della cultura. Che<br />

alimentano la speranza<br />

dei collegi elettorali”. Pure in Sicilia<br />

“non è possibile a un candidato vincere<br />

un’elezione politica o amministrativa<br />

se (la mafia) non assicura la<br />

sua protezione”; vi sono “patroni”<br />

della mafia in parlamento e “il governo<br />

ha le sue bene intese relazioni<br />

coi grandi elettori mafiosi”.<br />

Rafforzamento delle strutture<br />

Vicenda immutabile? Priva di segni di<br />

speranza? Se il presente rivela non un<br />

indebolimento, ma un rafforzamento<br />

delle strutture mafiose e camorriste (e<br />

ciò rinvia anche alla connivenza<br />

esplicita o tacita con il potere di turno),<br />

vi sono tuttavia recenti episodi e<br />

testimonianze che, prima delle leggi e<br />

dopo le leggi, lasciano immaginare<br />

una possibile evoluzione, della cultura<br />

prima che delle abitudini. Il primo<br />

episodio è il gesto del vescovo (uscente)<br />

di Locri, Giancarlo Bregantini, che<br />

va a Duisburg a chiedere perdono per<br />

una sanguinaria vendetta di ‘ndrangheta<br />

e nel contempo invita al perdono<br />

reciproco, chiedendolo in primo luogo alle donne calabresi,<br />

delle quali, lui trentino, ha compreso il ruolo di custodi<br />

delle regole d’onore che includono la morte per chi<br />

abbia fatto sgarbo alla famiglia. Il secondo è l’annuncio degli<br />

industriali di Agrigento, che intendono espellere dall’associazione<br />

gli imprenditori che pagano il pizzo.<br />

Poca cosa, anche considerando i recenti arresti eccellenti<br />

in Sicilia, a fronte del “sistema economico” descritto<br />

e delle sue capacità di riproduzione in un contesto<br />

di disoccupazione e di precariato sovrabbondante; e<br />

anche di fronte al triste teatro dei conflitti tra figure istituzionali<br />

pagate per stroncare la criminalità organizzata.<br />

Ma i segni restano e, spesso, sostengono la pazienza,<br />

contrastano l’indifferenza e alimentano la speranza.<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 21


L’APPELLO<br />

Sidr sconvolge<br />

il Bangladesh,<br />

bisogna pensare<br />

a ricostruire<br />

Il ciclone Sidr, abbattutosi sulle coste meridionali<br />

del Bangladesh a metà novembre, ha lasciato dietro<br />

di sé cifre impressionanti, specchio di una distruzione<br />

radicale e diffusa. Migliaia le vittime (forse diecimila, o più:<br />

a fine novembre non erano ancora noti i dati ufficiali),<br />

circa 5 milioni le persone interessate dal fenomeno, oltre<br />

un milione di esse rimaste senza tetto, per aver visto spazzata<br />

via o fortemente danneggiata la propria abitazione.<br />

Di fronte a un’emergenza tanto acuta, la <strong>Caritas</strong> locale si è<br />

subito messa all’opera, con il supporto della rete internazionale<br />

<strong>Caritas</strong>. <strong>Caritas</strong> Bangladesh ha potenziato la distribuzione<br />

di aiuti di emergenza avviata già in estate, dopo le alluvioni<br />

che avevano preceduto Sidr, e intensificato l’attività dei 35<br />

dispensari medici che coordina nel paese. <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

ha lanciato un appello a fedeli, cittadini, gruppi e istituzioni<br />

perché sostengano l’intervento d’emergenza, ma soprattutto<br />

il Programma di ricostruzione che <strong>Caritas</strong> Bangladesh e il network<br />

internazionale <strong>Caritas</strong> hanno delineato. Esso prevede aiuti per<br />

circa 6,5 milioni di euro e si articola in tre fasi, di breve, medio<br />

e lungo periodo, in nove distretti (Khulna, Bagerhat, Satkhira,<br />

Barguna, Potuakhali, Barisal, Gopalganj, Madaripur, Chittagong).<br />

La prima fase durerà per 3-4 mesi: verranno distribuiti<br />

a 51 mila famiglie aiuti alimentari e generi di prima necessità<br />

non alimentari (teli di plastica, utensili per cucina, zanzariere,<br />

vestiario, coperte, lenzuola, saponi); inoltre a 18 mila famiglie<br />

sarà data l’opportunità di lavorare nei progetti in atto<br />

e si provvederà alla distribuzione di sementi e utensili agricoli,<br />

per la piscicoltura e l’allevamento di pollame a circa 4.500<br />

famiglie. Nella seconda fase, di ricostruzione e riabilitazione,<br />

oltre 24 mila famiglie riceveranno generi di conforto essenziali<br />

alla ripresa delle normali attività quotidiane, verranno ricostruite<br />

o ristrutturate abitazioni e servizi igienici per <strong>10</strong>.<strong>10</strong>0 famiglie,<br />

saranno riparate o ricostruite 57 scuole. Infine la terza fase<br />

riguarda un piano di prevenzione di futuri disastri,<br />

con la costruzione di altri 50 rifugi anticiclone (che si aggiungono<br />

ai 200 già esistenti costruiti negli anni grazie al contributo,<br />

tra gli altri, di tante <strong>Caritas</strong> e anche di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>),<br />

di cui potranno beneficiare <strong>10</strong>0 mila persone, utilizzabili<br />

anche come centri comunitari, nei periodi non di emergenza.<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> ha stanziato, per i primi aiuti, 200 mila<br />

euro; le realtà <strong>Caritas</strong> attive nel paese faranno da riferimento<br />

anche per l’impiego dei 2 milioni di euro, stanziati<br />

per l’emergenza dalla Conferenza episcopale italiana.<br />

INFO www.caritasitaliana.it<br />

22 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

MARCIA<br />

Papa Giovanni<br />

“guida” i passi<br />

per la pace<br />

La Marcia<br />

della pace<br />

di fine anno<br />

(la 40ª<br />

organizzata<br />

da <strong>Caritas</strong><br />

<strong>Italiana</strong>, Pax<br />

Christi,<br />

Commissione episcopale<br />

per problemi sociali, giustizia<br />

e pace, con il concorso<br />

della diocesi locale) si svolgerà<br />

il 31 dicembre tra Sotto<br />

il Monte e Bergamo, “Sulle orme<br />

del beato Papa Giovanni XXIII”.<br />

Il 2008 sarà infatti l’Anno<br />

giovanneo: la marcia rivisiterà<br />

l’insegnamento sulla pace<br />

del pontefice nato a Sotto<br />

il Monte, approfondendo<br />

nel contempo il Messaggio<br />

dell’attuale papa, Benedetto<br />

XVI, per la celebrazione<br />

della 41ª Giornata mondiale<br />

della pace (in programma<br />

il 1° gennaio 2008), dedicato<br />

al tema “Famiglia umana:<br />

comunità di pace”.<br />

L’appuntamento è per<br />

il pomeriggio del 31 dicembre<br />

a Sotto il Monte e Seriate,<br />

alle porte di Bergamo, verso<br />

cui si snoderà la marcia.<br />

INFO www.caritasitaliana.it<br />

www.chiesacattolica.it/lavoro<br />

SERVIZIO CIVILE<br />

Bando speciale,<br />

Napoli investe<br />

sulla legalità<br />

Annunciato nel novembre<br />

2006, nel periodo “caldo”<br />

dell’emergenza criminalità<br />

in Campania, il Bando speciale<br />

di servizio civile per Napoli<br />

sulla legalità è stato pubblicato<br />

il 25 settembre, dopo una<br />

lunga preparazione. L’obiettivo<br />

era coinvolgere duemila giovani<br />

residenti in Campania<br />

in progetti di utilità sociale,<br />

in particolare iniziative<br />

a sostegno della legalità.<br />

Per la prima volta una quota<br />

di posti, il 20%, è stata<br />

riservata a ragazzi provenienti<br />

da situazioni disagiate<br />

e con bassa scolarità. <strong>Caritas</strong><br />

<strong>Italiana</strong>, attraverso le <strong>Caritas</strong><br />

diocesane campane (Napoli,<br />

Pozzuoli, Pompei e Acerra),<br />

ha proposto sette progetti (tre<br />

a Napoli, quattro in provincia),<br />

che vedranno in servizio ben<br />

176 giovani. Tutti i progetti<br />

partono agli inizi di dicembre.<br />

CONVEGNO CARITAS<br />

Il cuore vede,<br />

ecco gli atti<br />

di Montecatini<br />

Giornate di intense relazioni<br />

e approfondito confronto.<br />

Con un filo conduttore:<br />

la riflessione sul ruolo<br />

di animazione alla carità<br />

nei territori, alla luce dell’enciclica<br />

papale Deus <strong>Caritas</strong> est.<br />

Il 31° Convegno nazionale delle<br />

<strong>Caritas</strong> diocesane, svoltosi<br />

a Montecatini nello scorso<br />

giugno, aveva<br />

per titolo Al di<br />

sopra di tutto.<br />

“Un cuore<br />

che vede”<br />

per educare<br />

alla carità.<br />

Ora gli atti<br />

dell’assise nazionale sono<br />

raccolti in un volume,<br />

pubblicato da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>,<br />

che reca lo stesso titolo<br />

e ricostruisce con fedeltà<br />

i contenuti del confronto<br />

di Montecatini.<br />

INFO <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>,<br />

tel. 06.66.17.70.01<br />

COOPERAZIONE<br />

Sviluppo,<br />

iscrizioni<br />

a Spices 2008<br />

Scade sabato 22 dicembre<br />

il termine per iscriversi a Spices<br />

2008. La Scuola di Politica<br />

internazionale Cooperazione<br />

e Sviluppo, che inaugura<br />

il suo 17° anno di lezioni,<br />

è promossa da Volontari nel<br />

mondo-Focsiv, in collaborazione<br />

con <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Ucsei<br />

(Ufficio centrale studenti<br />

esteri in italia), con<br />

il patrocinio della Pontificia<br />

Università Gregoriana.<br />

Spices è una scuola<br />

di perfezionamento, la cui<br />

offerta formativa è strutturata<br />

in due percorsi: area politicogiuridica<br />

internazionale<br />

e area socio-economica<br />

internazionale, introdotti<br />

da un ciclo propedeutico.<br />

La Scuola ha nella dottrina<br />

sociale della Chiesa uno<br />

dei riferimenti fondamentali<br />

e si avvale della collaborazione<br />

di docenti universitari,<br />

funzionari governativi<br />

e personale di organizzazioni<br />

internazionali e ong. I corsi<br />

sono destinati a persone<br />

in possesso di diploma<br />

di laurea e a chi è impegnato<br />

nel mondo dell’associazionismo,<br />

delle istituzioni, della scuola,<br />

delle ong o a chi, pur<br />

lavorando in altri settori, voglia<br />

approfondire tematiche legate<br />

alla solidarietà internazionale<br />

e alla cooperazione allo<br />

sviluppo. I corsi hanno durata<br />

annuale e prevedono 160 ore<br />

di lezione da gennaio<br />

a giugno, seminari su temi<br />

di attualità, stage in Italia<br />

o all’estero; esame finale<br />

tra novembre e dicembre.<br />

INFO spices@focsiv.it -<br />

www.focsiv.it<br />

L’APPELLO<br />

panoramacaritas<br />

Somalia verso<br />

la catastrofe,<br />

gli sfollati<br />

sono un milione<br />

La crisi in atto in Somalia? Una “catastrofe umanitaria”.<br />

Per la quale il 21 novembre anche papa Benedetto XVI<br />

ha lanciato un appello “affinchè si trovino soluzioni<br />

pacifiche e si rechi sollievo a quella cara popolazione”. Il conflitto<br />

tra milizie islamiste antigovernative e truppe occupanti etiopi<br />

(intervenute nel paese a inizio anno a supporto del governo<br />

transitorio) ha l’epicentro a Mogadiscio, ma lacera l’intero paese.<br />

Il totale di sfollati e rifugiati, a causa dei combattimenti, è ormai<br />

di un milione di persone, compresi 400 mila sfollati di vecchia<br />

data. Ma tra ottobre e novembre, in sole tre settimane<br />

da Mogadiscio sono scappate almeno 200 mila persone.<br />

Quaranta ong attive nel paese (tra cui <strong>Caritas</strong> Somalia)<br />

hanno sottoscritto una dichiarazione comune, denunciando<br />

di non poter “rispondere efficacemente alla crisi, perché<br />

l’accesso e la sicurezza si deteriorano in modo drammatico,<br />

mentre i bisogni aumentano. La comunità internazionale e le<br />

parti coinvolte nel conflitto hanno la responsabilità di proteggere<br />

i civili, consentire l’azione di aiuto, rispettare lo spazio umanitario”.<br />

Le Nazioni Unite, che hanno dichiarato che la Somalia è la<br />

peggior crisi in atto in Africa, calcolano che nella sola prima metà<br />

di novembre gli sfollati da Mogadiscio verso le campagne, dove<br />

non trovano sostentamento, siano stati circa 173 mila. Cosa sta<br />

accadendo? Abbandonata l’azione politica, il governo somalo<br />

e l’alleata Etiopia puntano sul pugno di ferro per schiacciare<br />

le resistenze di Mogadiscio; senza troppi scrupoli per la sorte<br />

dei civili, stando ai rapporti di Human Rights Watch. Monsignor<br />

Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio<br />

e presidente di <strong>Caritas</strong> Somalia, ha riconosciuto a metà novembre<br />

che «al momento è difficile intravedere una soluzione. Il dramma<br />

somalo va però inserito nel contesto regionale e internazionale.<br />

Le crisi dell’Africa orientale, un arco che va dalla Somalia<br />

al Sudan, hanno almeno due elementi comuni: il diffondersi<br />

di un certo estremismo, che usa in maniera irresponsabile<br />

la religione per perseguire i propri scopi politici, e la lotta<br />

di diverse potenze per il controllo delle risorse locali».<br />

<strong>Caritas</strong> Somalia, con altre organizzazioni, tra cui Islamic<br />

Relief (organizzazione umanitaria islamica basata in Inghilterra),<br />

ha promosso il progetto “Aiuto d’urgenza agli sfollati”: prevede<br />

la distribuzione di viveri, acqua potabile, teli di plastica per rifugi<br />

e beni non alimentari in un campo spontaneo di sfollati<br />

a una ventina chilometri da Mogadiscio. Permetterà di assistere<br />

1.080 famiglie per tre mesi; <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> intende contribuire<br />

con 30 mila euro e per farlo si rivolge alla solidarietà degli italiani.<br />

INFO www.caritasitaliana.it<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 23


internazionale<br />

La sanguinosa repressione delle manifestazioni<br />

per la democrazia in Myanmar ci ricorda<br />

che ancora oggi – nel 2007, Anno europeo<br />

delle pari opportunità per tutti, a quasi<br />

50 anni dalla Dichiarazione universale<br />

dei diritti dell’uomo – nel mondo vengono<br />

sistematicamente violati i diritti umani.<br />

Che sono un concetto in continua evoluzione<br />

e comprendono i diritti civili, politici, economici,<br />

sociali e culturali, ma anche i diritti di solidarietà<br />

per i popoli, come il diritto alla pace o allo<br />

sviluppo. E riguardano anche gli aspetti legati<br />

al rispetto dell’esistenza umana, al cospetto<br />

delle nuove tecnologie e della manipolazione<br />

genetica. Un campo d’azione vastissimo per chi,<br />

come <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, cerca di farsi paladina<br />

della dignità di ogni uomo.<br />

[ ]<br />

MODALITÀ OFFERTE E 5 PER MILLE A PAGINA 2<br />

LISTA COMPLETA MICROREALIZZAZIONI, TEL. 06.66.17.72.28<br />

NICARAGUA<br />

Partecipazione comunitaria attorno al lago<br />

In Nicaragua, in un clima di insicurezza, corruzione e violenza, si segnalano<br />

quotidiane violazioni dei diritti umani, specie dei più poveri ed emarginati.<br />

In questo scenario la <strong>Caritas</strong> si impegna per promuovere valori di solidarietà,<br />

fratellanza e tolleranza, tramite iniziative che consentano alla popolazione<br />

di prendere coscienza e mobilitarsi in difesa dei propri diritti. Nelle diocesi<br />

di Juigalpa e Granada, intorno al lago Nicaragua, <strong>Caritas</strong> conduce il progetto<br />

pilota (che potrà essere utile anche per altre diocesi) di durata triennale<br />

“Diritti umani e partecipazione comunitaria”. Esso prevede l’elaborazione<br />

di materiale didattico, la qualificazione di persone che, a loro volta,<br />

saranno formatori nelle comunità, l’attivazione di tavoli di lavoro e agende<br />

sociali sui temi della cultura democratica e dei diritti umani.<br />

> Costo 22 mila euro<br />

> Causale America centrale / Nicaragua<br />

24 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

Nicaragua<br />

Bosnia<br />

Erzegovina<br />

Costa d’Avorio<br />

BOSNIA ERZEGOVINA<br />

Sostegno alle associazioni dei familiari<br />

In Bosnia Erzegovina il “Progetto<br />

per il supporto alle vittime di violenza<br />

attraverso il rafforzamento delle<br />

associazioni dei familiari” è rivolto<br />

a diverse comunità (croate, serbe,<br />

musulmane) ed è mirato a potenziare<br />

le capacità di associazioni nate<br />

spontaneamente, che riuniscono<br />

i genitori e familiari degli scomparsi<br />

e più in generale delle vittime di violenza<br />

della guerra. Lo scopo finale è offrire<br />

sostegno qualificato alle famiglie che<br />

hanno subito sofferenze e promuovere<br />

progetti > promozione dei diritti umani<br />

Bangladesh<br />

azioni di denuncia e protesta<br />

per la tutela dei loro diritti, svolgendo<br />

un’azione di pressione anche nei<br />

confronti delle autorità internazionali.<br />

L’azione della chiesa, a sostegno<br />

delle associazioni di familiari,<br />

serve anche a ritessere legami,<br />

dentro le comunità e tra le comunità,<br />

danneggiati da anni di conflitti<br />

e divisioni.<br />

> Costo 15 mila euro<br />

> Causale Bosnia Erzegovina<br />

/associazioni famiglie<br />

MICROPROGETTI<br />

COSTA D’AVORIO<br />

Contro la mutilazione femminile<br />

Marahandallah è una zona di savana erbosa.<br />

La gente (circa duemila abitanti nei villaggi) è stremata<br />

a causa della lunga guerra civile e delle malattie,<br />

in particolare l’Aids. La povertà diffusa si accompagna<br />

spesso a una progressiva emarginazione delle donne.<br />

Con l’aiuto di alcuni missionari, il programma prevede<br />

l’acquisto di materiali utili ad avviare attività agricole<br />

e di allevamento domestico che consentano,<br />

contestualmente, il varo di un progetto<br />

di sensibilizzazione contro la mutilazione<br />

genitale femminile.<br />

> Costo 4.618 euro<br />

> Causale MP 327/07 Costa d’Avorio<br />

CAMERUN<br />

Un minimo di dignità per i detenuti<br />

La prigione di Bafoussam è stata costruita agli inizi<br />

degli anni Cinquanta. I detenuti sono 1.300:<br />

in condizioni di estremo disagio vivono insieme minori,<br />

donne e adulti; ognuno ha a disposizione poco meno<br />

di 2 metri quadrati di spazio. Ogni cella è abitata<br />

da più di 80 detenuti ed è solitamente priva di servizi<br />

sanitari. In questa situazione, si registra in media<br />

un morto a settimana a causa di periodiche epidemie.<br />

Il progetto prevede l’installazione di servizi igienici,<br />

per prevenire la diffusione di infezioni e restituire<br />

un minimo di dignità ai prigionieri.<br />

> Costo 4 mila euro<br />

> Causale MP 319/07 Camerun<br />

BANGLADESH<br />

Le parrocchie tutelano i “fuori casta”<br />

È la parrocchia l’unità chiave per la promozione dei diritti umani che <strong>Caritas</strong><br />

Bangladesh valorizza nel suo “Programma di educazione ai diritti umani”:<br />

i parroci e i ministri di giustizia e pace operanti nelle parrocchie diventano<br />

strumenti di educazione per le comunità vittime di abusi e ingiustizie,<br />

legati in particolare alla proprietà della terra, al lavoro e subiti soprattutto<br />

dai “fuori casta”. <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> dal 2001 supporta questo progetto,<br />

che nelle fasi precedenti ha visto la formazione degli operatori di giustizia<br />

e pace a livello diocesano e parrocchiale. La prossima fase vedrà<br />

la realizzazione di programmi di educazione ai diritti umani e supporto legale<br />

nelle parrocchie e la creazione di diversi strumenti di sensibilizzazione<br />

(newsletter, poster, ecc).<br />

> Costo 11 mila euro (contributo <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>)<br />

> Causale Bangladesh / diritti umani<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 25


internazionale<br />

L’AFRICA<br />

CHE NON ARRIVA<br />

AL MIRAGGIO<br />

D’OLTREMARE<br />

di Umberta Fabris<br />

fotoservizio di Hamza Bahri<br />

Tamanrasset è una città di recente costruzione,<br />

dominata dal massiccio dell’Hoggar,<br />

che incombe su di essa con i suoi fiabeschi<br />

paesaggi lunari di deserto di pietra. Nel<br />

1966 contava meno di tremila abitanti, oggi<br />

ne ha quasi centomila. È città commerciale<br />

e meta irresistibile per i turisti. È soprattutto<br />

un punto di incontro, nel sud dell’Algeria, delle piste che<br />

arrivano da Mali e Niger: qui si dà appuntamento l’Africa<br />

del Sahel, nell’attesa e nella speranza che si apra una porta<br />

verso il nord. Poco visibili, migliaia di camerunesi e malesi,<br />

congolesi e ivoriani, sopravvivono trovando rifugio nelle<br />

rocce vicino alla città algerina. Il deserto è attraversato e<br />

vinto, l’Europa sembra più vicina e a portata di mano.<br />

Molti dei migranti sperano in un lavoro che permetta<br />

poi di proseguire il viaggio verso la frontiera marocchina<br />

seguendo l’asse sud-nord (cioè passando per Algeri,<br />

via In Salah e Ghardaia) o il meno frequentato sudnord-ovest<br />

(attraverso Orano, passando per Adrar e Béchar).<br />

Poi, una volta in Marocco, non resta che attraversare<br />

lo stretto di Gibilterra.<br />

Questi sventurati cominciano a esistere per i governi e<br />

26 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

l’opinione pubblica europei quando sbarcano sulle coste<br />

italiane o spagnole, o quando i loro “barconi della morte”<br />

spariscono nel mare; prima, però, uomini e donne e bambini<br />

affrontano autentici itinerari della disperazione, percorsi<br />

irti di ostacoli e di difficoltà inenarrabili, in cui il sogno<br />

si trasforma spesso in fallimento, in incubo, in tragedia.<br />

Una trentina di nazionalità<br />

Quando giungono in Algeria, hanno già percorso migliaia<br />

e migliaia di chilometri e attraversato fino a otto<br />

paesi diversi via terra, utilizzando vari mezzi di trasporto:<br />

barca o piroga, autobus, taxi, camion. Gli itinerari variano<br />

a seconda del paese di provenienza, ma tutte le<br />

strade, prima di entrare nel grande paese del Maghreb,<br />

convergono verso due città: Gao in Mali e Arlit in Niger.<br />

Da qui il passaggio verso Tamanrasset.<br />

I viaggi durano da un minimo di quindici giorni a<br />

più anni, e non è solo la distanza a determinarne la durata:<br />

l’elemento decisivo è quello economico. Sono rari<br />

i casi di chi parte con i mezzi sufficienti per coprire la distanza<br />

in una sola volta, e quando si viaggia in famiglia<br />

le cose si complicano ancora di più.<br />

RETATE TRA LE PIETRE<br />

La polizia algerina blocca nel deserto<br />

del Sahara gruppi di migranti<br />

provenienti dai paesi centrafricani<br />

Il popolo dei migranti subsahariani convoglia in Algeria<br />

una trentina di nazionalità: i più numerosi sono<br />

nigerini, maliani, camerunesi, nigeriani. Ma quanti sono?<br />

Difficile dirlo: le stime ufficiali sono approssimative<br />

e di accesso pressoché impossibile, anche se il fenomeno<br />

è sempre più oggetto di studio. Secondo il Cisp (Comitato<br />

internazionale per lo sviluppo dei popoli), ong<br />

che lavora in Algeria dal 1996 a un progetto in questo<br />

settore, sarebbero più di centomila all’anno le persone<br />

che arrivano nel Maghreb dai paesi a sud del Sahara. Il<br />

vecchio continente rimane l’eldorado, ma le frontiere<br />

europee sono sempre più invalicabili e tanti emigrati finiscono<br />

per scegliere di rimanere in Algeria, che non è<br />

più soltanto uno scalo (così come a est Libia e Tunisia e<br />

a ovest le Isole Canarie) in direzione Marocco e poi Spagna.<br />

Sono i giovani sotto i 30 anni che non rinunciano<br />

alla traversata del Mediterraneo, mentre le incognite e i<br />

rischi del viaggio dissuadono i più adulti, che spesso<br />

hanno con sé moglie e figli.<br />

Nei confronti dei migranti, poco a poco si è operato un<br />

cambiamento di attitudine da parte delle autorità algerine,<br />

passate da una sorta di passività poco amica a una repres-<br />

algeria<br />

L’Algeria, come gli altri paesi<br />

del Maghreb, sempre più spesso<br />

diventa terminale dei flussi di migranti<br />

in fuga dai paesi subsahariani<br />

verso l’Europa. Partiti con grandi<br />

attese, si arenano nel deserto.<br />

In una vita di paura e stenti…<br />

sione poliziesca più o meno dura a seconda del periodo. Il<br />

cambiamento non è estraneo alle ferme sollecitazioni dell’Unione<br />

europea, che sembra decisa a fare dei paesi del<br />

Maghreb il terreno di repressione di ogni tentativo di passaggio<br />

dall’altra parte del Mediterraneo. Così il flusso migratorio<br />

risulta ulteriormente rallentato, a causa dei controlli<br />

più severi, e ciò spinge a cercare sempre nuove piste<br />

clandestine, meno esposte, ma più pericolose e costose.<br />

Anche rastrellamenti e rimpatri forzati sono sempre più frequenti:<br />

per i migranti che raggiungono Algeri, spesso dopo<br />

diversi mesi dal loro arrivo nel paese, è aumentato sensibilmente<br />

il rischio di essere rimandati al punto di partenza.<br />

Il rallentamento del flusso migratorio, inoltre, lo rende<br />

più visibile e concorre a dare l’impressione di un aumento<br />

del numero dei migranti clandestini subsahariani in<br />

transito. Tale quadro può essere applicato, con qualche distinzione,<br />

anche agli altri paesi del Maghreb, che si sono<br />

poco a poco trasformati in paesi di immigrazione. Tutto<br />

ciò aggrava le difficoltà della popolazione migrante: sfruttamento<br />

dei pochi uomini che trovano un lavoro per sopravvivere;<br />

precario stato di salute fisico e molte volte psichico;<br />

ricorso a espedienti e illeciti per garantirsi la so-<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 27


internazionale<br />

pravvivenza (traffici e falsificazioni di documenti e biglietti,<br />

prostituzione, spaccio e consumo di droghe, ecc); gravi<br />

difficoltà di integrazione con la popolazione locale a causa<br />

di relazioni spesso conflittuali e atteggiamenti razzisti.<br />

Il desiderio di rientrare<br />

Tra coloro che si occupano dei migranti, ci sono anche la<br />

chiesa protestante e la chiesa cattolica (in essa la <strong>Caritas</strong>)<br />

algerine, che hanno dato vita all’associazione ecumenica<br />

Rencontre et Developpement (“Incontro e sviluppo”), presieduta<br />

da un Padre bianco olandese, Jan Heuft, con presidenti<br />

onorari monsignor Henri Teissier, arcivescovo di Algeri,<br />

e il reverendo Hugh Johnson, pastore delle Chiese<br />

protestanti d’Algeria. L’obiettivo dell’associazione è aiutare<br />

i molti clandestini che arrivano con mille bisogni, talvolta<br />

in condizioni fisiche o con situazioni familiari compromesse,<br />

che richiedono interventi tempestivi. Un giovane<br />

padre bianco italiano, Paolo Maccario, per conto dell’associazione<br />

ha realizzato nel 2003 un rapporto-inchiesta sulle<br />

migrazioni clandestine subsahariane attraverso l’Algeria.<br />

Si è trattato di una prima base di studio di un fenomeno la<br />

cui evoluzione va verso l’aggravamento. “All’origine – vi si<br />

legge – ci sono fattori di ordine economico, legati alla povertà,<br />

e di ordine politico, legati ai conflitti armati interet-<br />

Era scappato dal Ruanda. Porta con sé la figlia di tre anni, ma ha perso la moglie.<br />

Chiede aiuto a un centro d’ascolto di Algeri: vuole fare rotta di nuovo verso sud<br />

Vincent dimostra almeno 45 anni, forse qualcuno<br />

in più. Dal 1994 vaga per l’Africa, da quando<br />

il genocidio che ha devastato il suo popolo lo ha<br />

costretto a lasciare il Ruanda. Racconta di un<br />

periplo infinito, attraverso Tanzania, Centrafrica,<br />

Mali, sino ad arrivare ad Algeri. Da qui, dalla capitale<br />

algerina, vuole ripartire. Questa volta per tornare indietro.<br />

Mali, forse. O forse più a sud. «On verra… Inshallah! Si vedrà…<br />

se Dio vuole!». È l’unica parola di arabo che ha imparato<br />

nei pochi giorni trascorsi ad Algeri; l’unica, inevitabile<br />

parola, in un contesto in cui la vita di un migrante è<br />

appesa veramente alla volontà di Dio.<br />

nici, alle persecuzioni etniche e religiose. (...) Il sistema dei<br />

visti per accedere in Europa e la creazione dello spazio<br />

Schengen hanno contribuito allo sviluppo di organizzazioni<br />

migratorie clandestine, soprattutto in Algeria e Marocco.<br />

Esse rappresentano ormai, per i candidati all’emigrazione,<br />

la sola possibilità di realizzare il loro progetto”.<br />

A Tamanrasset molti migranti incrociano i Piccoli Fratelli<br />

di Gesù, minuscola presenza cristiana stabile, composta<br />

da una comunità di religiose e una manciata di laici,<br />

che vegliano sui luoghi dove visse e morì Charles de Foucauld.<br />

Martine, Piccola Sorella del Sacro Cuore, racconta di<br />

incontri quotidiani, in un clima che sembra di permanente<br />

emergenza: «Continuiamo a incontrare persone che arrivano<br />

dal sud: alcuni prendono coscienza di essere stati<br />

truffati da reti di “passatori” nei loro paesi di origine, arrivano<br />

da noi perché non sanno più come andare avanti. Soprattutto,<br />

continuiamo a incrociare quelli che sono rispediti<br />

indietro. Magari dopo essere stati in prigione per anni<br />

in Marocco o in Algeria, o essere stati abbandonati al confine<br />

con il Mali, alla frontiera di Tinzaouaten, che ha reputazione<br />

di inferno: alcuni, che non sanno dove andare e<br />

non hanno i soldi per tornare a Tamanrasset, disperati saltano<br />

sui camion, a volte a prezzo della vita. Quelli che hanno<br />

i soldi viaggiano in 25 in media su una jeep, sfidando le<br />

Vincent, tredici anni in fuga<br />

ha deciso che è meglio tornare<br />

di Anna Pozzi<br />

28 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

Vincent si presenta, una mattina di ottobre, al centro<br />

d’ascolto di Rencontre et Développement. C’è molta gente,<br />

come tutte le mattine. Quasi tutti migranti subsahariani,<br />

qualche anziano algerino. Tutti con un problema. Molti<br />

sono habitué del luogo. Alcuni vivono qui da diversi anni,<br />

sono sopravvissuti al deserto, alla sete, alla polizia… Hanno<br />

rischiato la loro vita per arrivare sin qui e non tornano<br />

indietro. Ma non vanno neppure avanti. Il sogno di tutti è<br />

l’Europa. Ma sono pochi ad ammetterlo. Molti sono senza<br />

documenti, alcuni hanno passaporti falsi, una buona<br />

parte ha un foglio dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati<br />

(Acnur), che li classifica come “richiedenti asilo”. Po-<br />

piste clandestine e gli imbrogli dell’autista. A volte cadono<br />

dalle macchine e devono farsi a piedi fino a trenta chilometri,<br />

prima di arrivare qui…».<br />

A Tamanrasset, l’incubo dei migranti continua. Le<br />

condizioni di vita sono di estrema insicurezza. La prima,<br />

grande paura è farsi prendere dalla polizia: così ci si rende<br />

sempre più invisibili. «Basta che nei rifugi sul limitare<br />

del deserto uno di loro gridi nella notte, per paura di un<br />

animale – prosegue Sorella Martine –, che tutti fuggono<br />

allarmati, credendo che arrivi la polizia, e molti si feriscono<br />

sulle pietre. A piccoli gruppi alcuni vengono a pregare<br />

con noi, se la messa è celebrata in pieno giorno, ma<br />

la sera non rischiano. Oppure li vediamo vicino a un muretto,<br />

dove si radunano sperando che qualcuno li ingaggi<br />

per un nuovo lavoro, ma di colpo si sparpagliano,<br />

chissimi lo otterranno: il governo algerino non li favorisce<br />

per nulla; alcuni attendono anni, anche cinque o sei, senza<br />

ottenere risultati. Quel foglio di carta, però, garantisce<br />

loro un’identità e una “protezione”. Per lo meno, sin quan-<br />

algeria<br />

quando passa la macchina della polizia…». Da affrontare,<br />

poi, c’è una realtà quotidiana ai limiti della sopravvivenza.<br />

Per mesi, talvolta per anni: «Una volta in pieno inverno,<br />

nel corso di un’uscita nel deserto, ho scoperto una<br />

dozzina di senegalesi. Ero sconvolta: uomini persi come<br />

su un’isola, che da un anno si trovavano in quel posto,<br />

senza potere né proseguire né tornare indietro. Qualche<br />

tempo dopo la polizia è passata a distruggere e a bruciare<br />

il loro accampamento di miseria».<br />

Di fronte a tante immani difficoltà, alcuni migranti manifestano<br />

il desiderio di rientrare in patria. Rencontre e Développement<br />

favorisce questi ritorni (176 nel 2006). Tamanrasset<br />

è l’ultima tappa in terra d’Algeria. Nel dicembre<br />

2006 l’associazione vi ha organizzato un incontro, invitando<br />

diversi gruppi che operano a favore dei migranti. È stata<br />

un’occasione di dialogo, in vista di una migliore collaborazione,<br />

con realtà associative e missionarie operanti anche<br />

nei paesi di provenienza dei migranti. Così Rencontre<br />

et Développement ha cominciato a progettare l’erogazione<br />

di piccoli finanziamenti, a cui possono accedere i rimpatriati<br />

in Congo, Ciad, Togo e Camerun, per realizzare microprogetti<br />

di sviluppo. La strada che conduceva verso il<br />

miraggio Europa può concludersi dove era partita. E non è<br />

detto, dopo tanto soffrire, che sia una sconfitta.<br />

VIVERE<br />

INSABBIATI<br />

Migranti<br />

africani a<br />

Tamanrasset.<br />

In molti<br />

restano<br />

bloccati<br />

nei paesi<br />

del Maghreb,<br />

senza risorse<br />

e permessi<br />

per proseguire<br />

do qualche poliziotto poco clemente non lo straccia senza<br />

ritegno, sbattendo con un pretesto il malcapitato in prigione.<br />

Da queste parti, gli africani non trovano accoglienza<br />

calorosa. Specialmente presso le forze dell’ordine.<br />

Neppure uno spicciolo<br />

Vincent è stufo di tutto questo. Ha dormito dentro alcuni<br />

scatoloni in un palazzo in costruzione ed è stato maltrattato<br />

dalla polizia. In pochi giorni si è reso conto che non<br />

può farsi una nuova vita ad Algeri. Tanto più con la figlia di<br />

tre anni che si porta appresso. Princesse, Principessa, è<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 29


internazionale<br />

dolce e gentile, parla un ottimo francese per la sua età, si<br />

vede che è beneducata… Sta incollata al papà senza un lamento<br />

o una protesta. Chissà cosa ha già visto e passato.<br />

La storia che Vincent racconta non è del tutto convincente.<br />

Ma come molti immigrati, si è abituato a raccontare<br />

storie. È un modo per proteggersi, non potendo fidarsi<br />

di nessuno. Ci vuole molto tempo e molta confidenza per<br />

conoscere tutta la verità. Lui dice di essere partito dal Mali<br />

insieme alla moglie, che però si è persa chissà dove nel<br />

deserto: è sicuro che, non avendo potuto passare la frontiera,<br />

sia rientrata a Bamako, ma da qualche settimana<br />

non ha sue notizie. Spera di incontrarla di nuovo laggiù.<br />

Ed è là che, ad ogni modo, vuole andare.<br />

30 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

Per questo si è rivolto a Rencontre et Développement.<br />

Come molti migranti, ha saputo dell’associazione attraverso<br />

il passaparola. Non c’è bisogno di farsi pubblicità, in<br />

questi casi. La serietà del lavoro, la capacità di accogliere e<br />

ascoltare, oltre che di aiutare, hanno fatto dell’associazione<br />

un punto di riferimento obbligato per moltissimi migranti<br />

subsahariani.<br />

Vincent chiede di ripartire. Non sono in molti a farlo,<br />

ma neppure pochissimi: una media di due-tre alla settimana.<br />

Ci vuole coraggio per tornare indietro, tanto quanto<br />

quello richiesto dal viaggio di andata. Almeno alla partenza<br />

c’era speranza, oltre che disperazione, a spingere<br />

verso un viaggio di settimane in condizioni aberranti, at-<br />

Le esistenze che si perdono<br />

nel “mare asciutto” della Libia<br />

La nostra ex colonia è terra di passaggio dei migranti, spesso alle prese con<br />

il deserto. Ma anche approdo finale per molti stranieri, aiutati dalla Chiesa cattolica<br />

di Francesco Spagnolo<br />

Per l’Italia, la Libia è generalmente intesa come<br />

l’altra sponda di uno stesso mare, il “casello<br />

d’ingresso” di un flusso immigratorio costante<br />

e incontrollabile, che ha nelle nostre coste il<br />

punto di arrivo. Nelle parole di monsignor Giovanni<br />

Martinelli, vescovo di Tripoli, la Libia torna invece<br />

ad essere descritta con una luce diversa. Forse perché il<br />

vescovo in quella terra c’è pure nato...<br />

Monsignor Martinelli descrive una Libia che è molto<br />

di più di quello che normalmente si conosce. A partire<br />

dal suo ruolo di importante partner commerciale per<br />

l’Italia, tramite la presenza della compagnia petrolifera<br />

Eni. Ma apre uno squarcio anche sui fenomemi di oggi:<br />

immigrazione incontrollata da altri paesi e droga tra i<br />

giovani, problemi simili a quelli che deve affrontare un<br />

paese sviluppato.<br />

La Chiesa cattolica libica, anche tramite la sua <strong>Caritas</strong>,<br />

è impegnata in questi due ambiti con altrettanti progetti.<br />

Lavora sul problema della tossicodipendenza tra i giovani,<br />

in crescita negli ultimi anni per via di una certa agiatezza<br />

delle ultime generazioni, che spesso sconfina nella<br />

noia. L’obiettivo, in questo caso, è far prendere coscienza<br />

alla società libica di questa realtà, per poterla prevenire.<br />

L’altro progetto riguarda la questione dell’accoglienza<br />

dei tanti immigrati che, provenienti dall’Africa subsahariana,<br />

passano le frontiere libiche. Frontiere, a dire il<br />

vero, invisibili, ben marcate solo sulle carte geografiche,<br />

ma che nella realtà del deserto del Sahara hanno la definitezza<br />

che possono avere le dune di sabbia. Un “mare<br />

asciutto”, in cui non si sa bene quanti congolesi, eritrei o<br />

nigeriani sono morti, nel tentativo di arrivare nelle città<br />

o sulle coste libiche, per cercare un lavoro o una sistemazione,<br />

oppure (ma non necessariamente) per proseguire<br />

il viaggio verso l’Europa.<br />

Statistiche precise purtroppo non esistono, anche a<br />

causa dell’atteggiamento del governo libico, che su questo<br />

argomento tende a essere elusivo. Si sa comunque<br />

che in Libia molti immigrati (principalmente pakistani e<br />

filippini) arrivano come regolari per lavorare. Altri invece<br />

rimangono clandestini, più o meno tollerati dalle autorità<br />

locali, che chiudono un occhio se la presenza rimane<br />

discreta e non pone problemi di ordine pubblico.<br />

Convertirsi a un amore<br />

È con questi, soprattutto, che la Chiesa cattolica lavora, insieme<br />

agli operatori di altre confessioni religiose, soprat-<br />

traverso il Sahara, con mezzi a dir poco di fortuna… Ma al<br />

ritorno c’è solo la sconfitta. C’è la vergogna di non essere<br />

riusciti a raggiungere l’agognato “paradiso”, di tornare a<br />

mani vuote, di un sogno infranto che la famiglia non potrà<br />

fino in fondo capire e accettare.<br />

Vincent pensa forse di essere troppo vecchio per andare<br />

avanti e che Princesse è troppo piccola per sopportare<br />

altri viaggi e altre difficoltà. Eppure è pronto ad affrontare<br />

di nuovo il deserto. Perché quello che offre Rencontre<br />

et Développement è un viaggio via terra, a tappe. Ad ognuna,<br />

c’è qualcuno che accoglie e che paga il biglietto per la<br />

tratta successiva: Algeri-Ghardaia, di qui verso Tamanrasset<br />

o Adrar, poi Gao e Bamako, in Mali, per proseguire<br />

tutto delle chiese protestanti, nell’offrire accoglienza e<br />

uno sbocco regolare. Si opera innanzitutto cercando di insegnare<br />

un lavoro ai clandestini, che in alcuni casi tendono<br />

o a stabilirsi in Libia o a tornare nei paesi d’origine, se<br />

le condizioni lo permettono. «L’immigrazione è una<br />

preoccupazione che sta nel mio cuore e desidero che anche<br />

la Chiesa <strong>Italiana</strong> sia attenta a questa realtà, per la<br />

quale comunque fa già tanto – dichiara monsignore Martinelli<br />

–. Mi auguro che dall’Italia si guardi alla Libia in positivo,<br />

perché quello che già c’è di buono possa crescere,<br />

attraverso le cooperazioni economiche, ma anche tramite<br />

piccoli segni di amicizia e solidarietà».<br />

algeria<br />

eventualmente sino ad Abidjan, in Costa d’Avorio, o addirittura<br />

a Cotonou, in Benin, e magari in Camerun o persino<br />

nella Repubblica democratica del Congo.<br />

Vincent sente di potercela fare. O forse non ha scelta.<br />

Non ha nulla: solo gli abiti che porta addosso, nessun documento,<br />

neppure uno spicciolo in tasca. Ma non osa<br />

chiedere niente, solo un po’ di cibo e d’acqua per la bambina.<br />

L’incaricato di Rencontre et Développement prepara<br />

un modulo che dovrebbe garantirli dai soprusi della polizia.<br />

Dovrebbe… Vincent e Princesse mettono qualche<br />

pezzo di pane e una bottiglia d’acqua in un sacchetto di<br />

plastica. Sono pronti. Viaggio di ritorno verso l’Africa. Forse<br />

– finalmente – verso una casa. Inshallah!<br />

VIAGGIO A OSTACOLI<br />

Clandestini intercettati<br />

di notte nel deserto algerino,<br />

passaggio verso le coste<br />

iberiche. I transiti verso<br />

l’Italia avvengono invece<br />

soprattutto tramite la Libia,<br />

dove i migranti africani<br />

ricevono talvolta<br />

un trattamento assai duro<br />

Ma tutto questo come si intreccia<br />

con il tema del dialogo tra le religioni,<br />

che in un paese arabo e musulmano<br />

come la Libia è all’ordine del giorno?<br />

Monsignor Martinelli spiega di una<br />

presenza cristiana, e cattolica in particolare,<br />

assolutamente minoritaria<br />

nel paese nordafricano, il quale tuttavia<br />

è anche esente da forme religiose<br />

integraliste. Anzi, a livello di istituzioni<br />

pubbliche e spirituali il dialogo con<br />

le piccole chiese cristiane è cercato e incentivato, soprattutto<br />

per quanto riguarda un certo confronto dottrinale e<br />

la collaborazione concreta su alcuni problemi comuni.<br />

«Guardo con una certa positività – conclude il vescovo – il<br />

popolo libico. Nello spiegare la mia presenza in quel territorio<br />

a maggioranza musulmana, richiamo sempre<br />

l’immagine dell’incontro di San Francesco con il sultano.<br />

Vorrei sempre vivere questa dimensione di apertura, di<br />

amicizia, di convivialità con il mondo arabo, perché più<br />

che il convertirci a una fede, conta il convertirci tutti a un<br />

amore. Ecco, dovremmo essere capaci di aiutare anche la<br />

Libia a crescere in questa testimonianza dell’amore».<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 31


internazionale<br />

guerre alla finestra<br />

FRONTIERE SENZA PACE<br />

KIVU, LA PROVINCIA INSTABILE<br />

di Francesco Meneghetti<br />

Le guerre nella Repubblica democratica del Congo hanno causato,<br />

nell’ultimo decennio, 4 milioni di morti. Ma la lunga transizione<br />

e le elezioni della seconda metà 2006 hanno diffuso la<br />

pace in quasi tutto il paese. Anche il golpe tentato a marzo dall’ex capo<br />

ribelle Jean-Pierre Bemba è un ricordo lontano. Democrazia e sviluppo<br />

del paese guidato dal presidente Joseph Kabila sono sostenuti<br />

a livello internazionale dai governi dei paesi avanzati (accordi per investimenti<br />

economici e commerciali) e dall’Onu (la missione cui<br />

Monuc contribuisce alla transazione<br />

verso l’unità nazionale, monitoran-<br />

Posta al confine<br />

do la restituzione delle armi da parte<br />

con il Ruanda, la regione<br />

della popolazione e dei gruppi ribel-<br />

orientale del Congo<br />

li, l’inserimento sociale degli ex bam-<br />

da mesi è tornata teatro<br />

bini e adulti soldato, l’integrazione<br />

di combattimenti,<br />

dei miliziani nell’esercito regolare).<br />

violenze, arruolamenti<br />

L’unica delle undici province<br />

coatti (anche di minori).<br />

congolesi in cui si vivono ancora for-<br />

Lo scenario<br />

ti tensioni è il Nord-Kivu, antica-<br />

è imprevedibile.<br />

mente indipendente, ricchissima di<br />

Ma intanto le armi<br />

risorse minerarie e molto fertile, con<br />

affluiscono…<br />

una composizione etnica e un’organizzazione<br />

socio-economica molto<br />

simile a quella del piccolo e limitrofo Ruanda, col quale le<br />

relazioni politiche e commerciali sono forti. Nel Nord-Kivu<br />

da qualche mese si assiste nuovamente a combattimenti<br />

pesanti tra i circa 5 mila miliziani fedeli al generale<br />

dissidente e filo ruandese Laurent Nkunda e l’esercito regolare<br />

(Fardc), che ha dispiegato circa 30 mila militari con<br />

il sostegno logistico dell’Onu. Indipendentemente dalle<br />

ragioni politiche, la presenza di militari nei villaggi provoca<br />

insicurezza tra la popolazione: abbandono dei campi,<br />

estorsioni di alimentari e animali, violenze sessuali su<br />

ragazze e arruolamento forzato di ragazzini. Circa quest’ultimo<br />

tema – prioritario per l’azione di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

in Africa – il rappresentante speciale per i conflitti armati<br />

dell’Onu, signora Radhika Coomaraswamy, riferisce che<br />

sono già centinaia i bambini arruolati e presto potrebbe-<br />

32 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

ro diventare migliaia. Intanto i campi<br />

profughi di Mugugna, Rutshuru e<br />

Kiwanga e quelli in Uganda contano<br />

decine di migliaia di nuovi sfollati interni,<br />

assistiti anche da <strong>Caritas</strong>.<br />

Omicidi di carattere etnico<br />

Il quadro del conflitto è complesso e<br />

mutevole. Difficile fare previsioni, a<br />

causa delle controverse alleanze internazionali<br />

e locali. Per esempio si<br />

registra nuovamente l’attivismo militare<br />

di gruppi armati stranieri (tra<br />

essi il Fdlr, Forze democratiche di liberazione<br />

del Ruanda), mentre il 27<br />

ottobre si è arreso ai caschi blu Onu<br />

Kibamba Kasereka, capo delle forze<br />

patriottiche Mayi Mayi (partigiani<br />

filo-Kinshasa, tornati protagonisti<br />

dei combattimenti contro le milizie<br />

di Nkunda). I segnali positivi e negativi<br />

si alternano: oggi fonti ufficiali<br />

segnalano la deposizione delle armi<br />

e il processo di integrazione di<br />

centinaia di ribelli di Nkunda, domani<br />

l’arruolamento di altrettanti uomini e bambini.<br />

Intanto i fatti di cronaca locale a Goma, capoluogo del<br />

Kivu, fanno registrare un’escalation di omicidi di carattere<br />

etnico ai danni di persone con ruoli sociali ed economici<br />

di rilievo (compreso, sembra, il tentato omicidio ai danni<br />

del vescovo, monsignor Faustin Ngabu, a fine ottobre) e il<br />

diffuso brigantaggio notturno, che impone ogni sera il coprifuoco<br />

alle 18. Si teme inoltre che l’ingente ingresso di<br />

armi pesanti, via terra e via aerea, contribuisca a inasprire<br />

il conflitto. Non va dimenticato che il Nord-Kivu rappresenta<br />

una zona cuscinetto di fondamentale importanza<br />

per il vicino e popolatissimo Ruanda, che guarda al Kivu<br />

per le sue risorse minerarie e alimentari, oltre che come<br />

sbocco residenziale per la sua popolazione. La pace, in<br />

Congo, rimane una missione impossibile?<br />

internazionale<br />

FINALMENTE IL TRATTATO<br />

MA L’EUROPA AVANZA DIVISA<br />

di Gianni Borsa<br />

Approvazione al summit di Lisbona del 19 ottobre scorso, firma<br />

ufficiale il 13 dicembre. Poi, nel 2008, le ratifiche nazionali, per<br />

entrare in vigore (salvo sorprese) il 1° gennaio 2009. Giusto in<br />

tempo per le elezioni dell’Europarlamento, fissate nel giugno successivo.<br />

Sono le tappe del nuovo Trattato Ue, che prenderà il posto<br />

dell’abortita Costituzione, siglata a Roma tre anni or sono e mai entrata<br />

in vigore, a causa dell’opposizione palese degli elettori francesi<br />

e olandesi e di altri ostacoli subentrati durante l’iter di ratifica.<br />

Il Trattato di Lisbona, in realtà, ricalca<br />

buona parte del testo costituzionale<br />

maturato nella Convenzione<br />

e nella successiva Conferenza intergovernativa.<br />

Restano alcune importanti<br />

acquisizioni, come l’istituzione<br />

di un presidente “stabile” del Consiglio<br />

Ue, il rafforzamento dell’Alto rappresentante<br />

per la politica estera (che<br />

sarà anche vicepresidente della Commissione),<br />

l’introduzione di un nuovo<br />

sistema di voto in sede di Consiglio,<br />

l’estensione del voto a maggioranza e<br />

dunque l’imbrigliamento del diritto<br />

di veto. Ma, fra le tante novità, spiccano i molti limiti del<br />

corposo articolato (256 pagine): primo fra tutti il permanere<br />

dello stesso diritto di veto su poche ma essenziali materie,<br />

a cominciare dalla politica estera. È facile prevedere<br />

che l’Ue continuerà a non avere una propria, univoca, capacità<br />

d’azione sulla scena mondiale. Non è poco!<br />

La bandiera dov’è?<br />

Un’altra innovazione di rilievo è il valore vincolante che<br />

viene assegnato alla Carta dei diritti fondamentali, varata<br />

da quasi un decennio e che solo ora ottiene potere cogente<br />

in 24 stati; gli altri tre, ossia Regno Unito, Irlanda e Polonia,<br />

hanno ottenuto, per ragioni diverse, speciali deroghe<br />

(“clausole opt-out”). Di fatto, diritti e principi fondamentali,<br />

individuali e comunitari, a partire dalla dignità della per-<br />

Dopo lo stop di tre anni fa<br />

alla Costituzione,<br />

finalmente l’Ue<br />

si è dotata, a Lisbona,<br />

del testo fondamentale<br />

per le sue istituzioni.<br />

È un progresso storico.<br />

Che però sconta<br />

evidenti limitazioni<br />

e lascia aperti<br />

rilevanti interrogativi<br />

casa comune<br />

sona fino alle essenziali libertà e protezioni<br />

sociali, potranno essere tutelati<br />

dalla Corte di giustizia nella stragrande<br />

maggioranza dei paesi dell’Unione<br />

europea, ma non su tutto il territorio<br />

comunitario. Da Lisbona<br />

emerge così una strana Europa, che<br />

estende la “doppia velocità”, oltre che<br />

all’euro e al Trattato di Schengen, anche<br />

ai diritti basilari.<br />

Ancora una osservazione dal sapore<br />

amaro. Il Trattato che porta il<br />

nome della capitale portoghese non<br />

comprende i “simboli” dell’Ue, già<br />

inseriti nella Costituzione: bandiera,<br />

inno, motto… Poco male, si potrebbe<br />

superficialmente osservare; in<br />

realtà, quando si intende costruire<br />

una “unità nella diversità” fra popoli<br />

e stati differenti, e fino a ieri fieramente<br />

distinti (se non nemici), i simboli<br />

servono, eccome. L’opinione<br />

pubblica ha bisogno di segni distintivi<br />

per “vedere” l’Europa e per un reciproco<br />

riconoscimento.<br />

Infine il Trattato – che pure consente all’Ue di superare<br />

l’impasse istituzionale, per occuparsi finalmente dei<br />

problemi e degli interessi concreti dei cittadini – lascia irrisolti<br />

alcuni interrogativi emersi negli ultimi anni sul futuro<br />

dell’integrazione. Il primo di essi riguarda l’identità<br />

stessa dell’Europa comunitaria: quali i valori e gli obiettivi<br />

comuni, quali l’identità e i confini ultimi dell’Ue? Con<br />

quale velocità procedere verso nuovi allargamenti? Come<br />

costruire una politica estera comune, al di là dell’aver dato<br />

vita a un Alto rappresentante che, non a caso, non si<br />

chiamerà “ministro degli esteri”? Come rafforzare le azioni<br />

e le politiche che possono portare giovamento alla vita<br />

dei cittadini? E, ultimo ma non per importanza, come far<br />

pesare di più la volontà dei cittadini nella democrazia comunitaria<br />

che si snoda tra Bruxelles e Strasburgo?<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 33


internazionale<br />

L’ONDA E LE GUERRE,<br />

UNA VITA DA SFOLLATI<br />

di Giovanna Federici e Gianluca Ranzato<br />

Profughi, sfollati. Vite sradicate dalla propria casa (molto spesso, insieme alla propria casa) e<br />

dalla terra dei propri avi, per effetto dell’inclemenza degli elementi. O dell’insensatezza degli<br />

uomini. Esistenze stratificatesi nella precarietà, ondate successive di smarrimento, depositate<br />

sulla spiaggia del disagio da catastrofi naturali e conflitti armati interminabili.<br />

Lo tsunami è stato solo l’ultima, anche se la più spettacolare e atroce, di quelle ondate. Tutti<br />

ricordano le crudeli sofferenze e la terribile contabilità delle vittime generate dal disastro del<br />

26 dicembre 2004, innescato da un terremoto tra i più violenti degli ultimi decenni. Il sud-est asiatico ha<br />

cambiato panorama fisico, dopo quella scossa e quell’onda. Ma soprattutto ha visto sconvolto, in molti paesi<br />

e lungo migliaia di chilometri di coste, il suo panorama sociale. Il disordine ancora non è ricomposto: a<br />

tre anni dalla tragedia, migliaia di persone soffrono una quotidianità irrisolta, costrette a vivere in campi o<br />

rifugi provvisori. E il maremoto non ha fatto che sovrapporsi, in molte località, a emergenze e povertà presenti<br />

da anni. Popolazione di rifugiati o di sfollati interni che, in alcuni paesi dell’area, vivono in condizioni<br />

disumane. Per loro lo tsunami non ha fatto che peggiorare condizioni di vita già gravi. E il panorama non si<br />

rischiara, nonostante il notevole dispiegamento di aiuti umanitari verificatosi dopo la catastrofe.<br />

I malesseri dello Sri Lanka<br />

I paesi dove più intricato è il groviglio tra sfollati<br />

da tsunami e per effetto di conflitti militari sono<br />

Sri Lanka e Tailandia. Nel primo paese, secondo i<br />

dati ufficiali del governo, il numero complessivo<br />

degli sfollati interni raggiunge quota 200 mila. La<br />

cifra comprende le persone che ancora non hanno<br />

riavuto un’abitazione, dopo che l’onda anomala aveva<br />

spazzato le loro case nelle aree costiere. Ma moltissimi sono<br />

coloro che hanno dovuto abbandonare il proprio luogo<br />

d’origine a causa del conflitto. La maggior parte degli sfollati<br />

è tamil o musulmana, perché i confini del conflitto sono<br />

sempre stati nel nord-est dell’isola, dove queste comunità<br />

sono maggioritarie. Una parte si è ristabilita in altre zone del<br />

paese, dove i rifugi temporanei sono diventati abitazioni<br />

permanenti. Una buona percentuale è stata invece sfollata<br />

a ripetizione: sono piuttosto comuni i casi di famiglie che<br />

hanno cambiato il proprio rifugio più di dieci volte.<br />

In realtà la cifra fornita dal governo non è del tutto attendibile,<br />

perché si riferisce a persone che ricevono cibo,<br />

acqua e altri aiuti per soddisfare i bisogni di base. Un discreto<br />

numero di costoro si trova in centri di accoglienza<br />

gestiti dal governo stesso. Altri risiedono nei campi organizzati<br />

e supportati dalle organizzazioni internazionali, che si<br />

34 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

A tre anni dallo tsunami, nel sud-est asiatico<br />

molti attendono di poter fare ritorno alle terre<br />

d’origine. La precarietà cui sono costretti<br />

si sovrappone a quella di altri gruppi. Provati<br />

da conflitti, armati e sociali, che durano da anni<br />

occupano di distribuire razioni di cibo e acqua, di costruire<br />

abitazioni temporanee, latrine e pozzi, di offrire supporto<br />

economico e psicologico. Ma ci sono anche sfollati che non<br />

vivono nei campi o nei centri di accoglienza e hanno trovato<br />

accoglienza presso parenti o amici o, se hanno disponibilità<br />

economiche, hanno affittato un’altra abitazione.<br />

Gli standard di vita nei centri di accoglienza e nei campi<br />

sono insufficienti, nonostante gli sforzi delle agenzie internazionali.<br />

La dimensione della temporaneità provoca<br />

diverse forme di disagio sociale: alcolismo, violenze, abusi<br />

domestici. Si registrano anche parecchi suicidi. Molti sfollati<br />

hanno vissuto per anni nei centri; in casi non rari, per i<br />

giovani i campi sono stati l’unico orizzonte di vita.<br />

Anche l’emigrazione verso l’estero (India, ma anche<br />

Europa e Canada) resta un fenomeno massiccio. È un’opzione<br />

valida soprattutto per le famiglie con maggiori disponibilità<br />

economiche, anche se spesso avviene illegalmente.<br />

Da quando (agosto 2006) il conflitto è tornato cruento nella<br />

regione del nord-est, i movimenti degli sfollati sono diventati<br />

un’emergenza nazionale. E il panorama non promette<br />

di rasserenarsi: le agenzie delle Nazioni Unite si preparano<br />

a supportare, nel 2008, altri 150 mila sfollati.<br />

Zingari e birmani in Tailandia<br />

Anche in Tailandia gli sfollati da tsunami si sono aggiunti<br />

ad altre generazioni di sradicati. Il governo tailandese, dopo<br />

il disastro di fine 2004, si è concentrato nel portare aiuti<br />

ai propri cittadini. Tale sforzo non ha raggiunto le molte<br />

migliaia di persone non in grado di dimostrare la propria<br />

cittadinanza, perché prive dei documenti necessari.<br />

Fra costoro ci sono anzitutto i membri delle popolazioni<br />

cosiddette sea gipsies (“zingari del mare”: etnie Moklen,<br />

Moken e Ulaklavoi), gruppi di pescatori nomadi e semistanziali.<br />

I sea gipsies sono tendenzialmente privi di identità<br />

tsunami tre anni dopo<br />

MANODOPERA<br />

A BASSO COSTO<br />

Un campo di emigrati<br />

birmani in Tailandia.<br />

Lo tsunami non ha<br />

fatto che peggiorare<br />

la loro condizione<br />

di “invisibili”<br />

precari e sfruttati<br />

legale e tradizionalmente<br />

trascurati dal flusso convenzionale<br />

degli aiuti. Gli interventi<br />

di emergenza e riabilitazione,<br />

nel loro caso, sono<br />

di fatto delegati alla cooperazione<br />

internazionale.<br />

Un secondo problema,<br />

storicamente una delle gravi<br />

contraddizioni della società<br />

tailandese, è rappresentato<br />

dagli immigrati birmani.<br />

In Tailandia ne risiedono<br />

moltissimi da molti<br />

anni; una delle aree di maggior<br />

concentrazione è proprio<br />

il sud, colpito dallo tsunami,<br />

dove i birmani hanno<br />

la possibilità di proporsi come<br />

manodopera a basso<br />

costo per il mercato del turismo<br />

o della pesca. Una situazione<br />

in ogni caso migliore della vita sotto il regime della<br />

giunta militare, che da decenni domina il loro paese.<br />

Oggi gli immigrati legalmente registrati in Tailandia sono<br />

oltre 700 mila; di essi, oltre 500 mila sono birmani. Ma il<br />

dato può essere realisticamente raddoppiato stimando il<br />

numero dei residenti illegali. Lo status di illegalità rende<br />

impossibile il loro accesso agli aiuti governativi, anche se le<br />

condizioni precarie delle loro vite fanno di loro uno dei<br />

gruppi sociali più emarginati e più colpiti dall’emergenza<br />

tsunami. Limitatissimo accesso ai servizi sanitari ed educativi,<br />

costretti a condizioni di precarietà cronica, vulnerabili<br />

allo sfruttamento da parte dell’industria del sesso: i birmani<br />

vivono perdipiù nel continuo incubo del rimpatrio<br />

forzato, in un paese in cui sono contemporaneamente<br />

sfruttati e considerati criminali per essere espatriati illegalmente.<br />

Lo tsunami, per loro, è stato solo un grano del pesantissimo<br />

rosario di dolori che vivono ogni giorno.<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 35


internazionale<br />

Jaffna, carcere a cielo aperto<br />

nell’isola che non conosce tregua<br />

Nella città alla punta nord dello Sri Lanka, la popolazione convive, a causa della<br />

guerra, con precarietà e paura. E c’è chi si fa imprigionare per stare sicuro…<br />

In Sri Lanka le vittime dello tsunami ricostruiscono<br />

le loro vite fianco a fianco degli sfollati e delle vittime<br />

di un conflitto che dura dal 1983. Sino a oggi si<br />

stima che la guerra abbia causato <strong>10</strong>0 mila morti civili<br />

e 30 mila militari. <strong>Caritas</strong> Sri Lanka afferma che<br />

sono 55 mila le famiglie di sfollati a causa della guerra; il<br />

numero è cresciuto notevolmente negli ultimi mesi. Secondo<br />

un rapporto di Amnesty International del 5 aprile,<br />

gli sfollati nel paese sarebbero in totale 290 mila.<br />

Jaffna, capitale dello Sri Lanka settentrionale, punta peninsulare<br />

a nord del paese, è il cuore dell’area contesa, la regione<br />

che il movimento Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam,<br />

più noto come Tigri Tamil) rivendica come patria indipendente.<br />

Jaffna è sotto il controllo del governo, ma è separata<br />

dal resto dell’isola perché circondata da zone controllate<br />

dalle Tigri. Il conflitto armato tra governativi, Ltte e<br />

altri gruppi armati si è ulteriormente intensificato nei primi<br />

mesi del 2007, soprattutto nel nord e nell’est del paese.<br />

Per raggiungerla, bisogna affrontare controlli arcigni<br />

all’aeroporto della capitale Colombo e attese interminabili:<br />

dieci ore per un volo di 45 minuti. Ma finalmente si arriva<br />

in quella che molte tra le persone che vi si incontrano<br />

definiscono “prigione a cielo aperto”. Il rettore del semina-<br />

36 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

rio maggiore aggiunge con amarezza che un po’ alla volta<br />

diventa anche un “cimitero a cielo aperto”...<br />

Jaffna è un emblema di quanto accade dietro le quinte<br />

di tutti i conflitti cruenti: uccisioni sommarie, sparizioni<br />

(nel paese ammontano, dall’inizio del 2006, a 5.750), agguati<br />

ai danni dei militari o dei civili sospettati di essere favorevoli<br />

a una fazione o all’altra. Per non parlare dei reclutamenti<br />

forzati: sembra che l’Ltte stia conducendo una<br />

grande campagna di reclutamento; si valuta che più di <strong>10</strong><br />

mila persone siano state reclutate negli ultimi otto mesi. La<br />

regola comune è che ogni famiglia deve “consegnare” almeno<br />

una persona per la causa tamil.<br />

Fortunati i profughi<br />

A Jaffna la paura è palpabile e serpeggia in ogni dialogo:<br />

con il governatore, i leader comunitari, gli esponenti della<br />

società civile, i profughi nei campi di accoglienza. Ne sono<br />

segno visibile i posti di blocco, ogni poche centinaia di metri,<br />

dove i militari sanno di essere il principale bersaglio delle<br />

Tigri e vivono con l’arma in pugno, nervosi e ostili, controllando<br />

meticolosamente passeggeri dei bus e passanti.<br />

Le carceri sono un mondo a parte. Si dice che sia in crescita<br />

il numero dei civili che chiedono di venire incarcera-<br />

Sviluppo dopo la catastrofe,<br />

progetti <strong>Caritas</strong> in sette paesi<br />

di Maria Chiara Cremona<br />

Dopo la fase dell’emergenza<br />

post-tsunami, l’azione si concentra<br />

sull’aiuto alle categorie vulnerabili,<br />

la ripresa socio-economica<br />

e il rafforzamento delle <strong>Caritas</strong> locali<br />

Atre anni dalla più grande catastrofe naturale<br />

della storia recente, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> continua la<br />

sua presenza nei paesi colpiti dallo tsunami, lavorando<br />

a fianco delle chiese locali. L’impegno<br />

si alimenta di un budget di oltre 33 milioni di<br />

euro (in buona parte già spesi) e dell’azione 9 operatori<br />

presenti in 4 paesi: Indonesia, Sri Lanka, India e Tailandia.<br />

Altri interventi sono in corso nelle Maldive, in Myanmar e<br />

Somalia. In tutti i casi, l’approccio combina la strategia<br />

ti per sfuggire al rischio di venire assassinati. Forse hanno<br />

detto qualcosa di troppo o ospitato la persona sbagliata. In<br />

una stanza squallida e sovraffollata della prigione di Jaffna<br />

sfilano decine di uomini logori e rassegnati; dalla rete che<br />

separa una cella attigua e scura affiorano decine di sguardi.<br />

Come facciano a dormire tutti contemporaneamente<br />

sdraiati, in spazi angusti, rimane un mistero. La paura li ha<br />

spinti a rinunciare alla dignità e a una quotidianità che la<br />

loro terra sembra non riuscire più a proteggere.<br />

E poi ci sono i campi profughi. Sempre più affollati.<br />

Tanto che diventa sempre più difficile mantenere le condizioni<br />

di vita entro standard minimamente accettabili.<br />

Gli sfollati vengono prevalentemente dalle zone della costa,<br />

ormai quasi interamente occupate dai militari, perché<br />

sono territorio di scontro fra le due fazioni. Gli sfollati attendono,<br />

non si sa bene cosa: l’ipotesi del ritorno ai villaggi<br />

di origine è fuori discussione e non esistono prospetti-<br />

dell’intervento<br />

di emergenza e<br />

post-emergenza,<br />

proprio del<br />

network <strong>Caritas</strong><br />

Internationalis, con lo stile di affiancamento socio-pastorale<br />

delle chiese locali, peculiare di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>.<br />

In Indonesia, oltre a contribuire all’intervento<br />

d’emergenza, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> si è impegnata con un bud-<br />

tsunami tre anni dopo<br />

ve di miglioramento della situazione.<br />

Nel frattempo l’economia di Jaffna, formale e informale,<br />

sta collassando a causa della chiusura dell’unica strada<br />

di accesso alla penisola dal resto dell’isola. Procurarsi le<br />

materie prime è diventato molto caro; contemporaneamente<br />

i commerci si sono ristretti al solo mercato locale,<br />

dove i prezzi sono bassi a causa dell’abbondante offerta.<br />

Un ulteriore simbolo del precarizzarsi della situazione<br />

è costituito dall’obbligo di portare sempre con sé un documento<br />

d’identità aggiuntivo, rilasciato dall’esercito. Tipo e<br />

numero delle foto richieste obbligano le famiglie, specie<br />

quelle numerose, a spese intollerabili per i già esigui budget<br />

familiari, sprofondandole ancor di più nell’indigenza.<br />

L’entità dei danni provocati da questa sorta di blocco<br />

che attanaglia Jaffna la si può misurare dall’impatto sulla<br />

vita dei bambini. I dati della frequenza scolastica peggiorano,<br />

perché i genitori hanno paura a mandare i figli a<br />

scuola. Una madre, in un campo profughi, confessa la<br />

(paradossale) fortuna di avere la scuola molto vicina a casa:<br />

si può accompagnare il figlio e non temere per la sua<br />

sorte. Chi sta lontano dalla scuola, al contrario, il figlio preferisce<br />

averlo sotto gli occhi, tra le mura domestiche, per<br />

non correre il rischio di saperlo scomparso. Magari rapito<br />

dalle Tigri, per farne un bambino soldato.<br />

Con il calare della sera la gente, in grande maggioranza<br />

di religione hindu, abbandona i templi in cui si era recata<br />

per una festività religiosa. Sulle biciclette si affrettano verso<br />

casa, per raggiungerla prima che scatti il coprifuoco. In<br />

lontananza un paio di colpi di granata. Non è un combattimento,<br />

sono le fazioni contrapposte che si ricordano l’un<br />

l’altra che ci sono. E sono pronte a fare sul serio.<br />

RICOSTRUIRE, SVILUPPARE<br />

Una casa edificata in Sri Lanka grazie a <strong>Caritas</strong>.<br />

I progetti del post-tsunami ora puntano allo sviluppo<br />

dei territori colpiti dall’onda. Sopra, guerriglieri<br />

tamil si addestrano nel nord dello Sri Lanka<br />

get di circa 5,5 milioni di euro ed è riferimento per il<br />

network <strong>Caritas</strong> delle attività di riabilitazione nell’isola di<br />

Nias, diocesi di Sibolga. Alle attività di ricostruzione si sono<br />

accompagnati diversi programmi: realizzazione di una<br />

radio comunitaria per l’educazione e la promozione dei<br />

diritti umani; un progetto di prevenzione e lotta alla malnutrizione<br />

e percorsi di promozione sanitaria e igiene; attività<br />

generanti reddito anche per categorie vulnerabili<br />

(disabili e orfani). Infine, un grande lavoro è stato realizza-<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 37


internazionale<br />

Tsunami, gli interventi di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />

PAESE<br />

Indonesia<br />

Sri Lanka<br />

India<br />

Tailandia<br />

Maldive<br />

Myanmar<br />

Somalia<br />

Prevenzione disastri<br />

Spese di gestione<br />

TOTALE<br />

CIFRA ALLOCATA*<br />

5.576.190<br />

8.571.430<br />

8.976.190<br />

3.485.562<br />

3.282.131<br />

1.500.000<br />

250.000<br />

500.000<br />

1.703.532<br />

33.845.035<br />

to per rafforzare <strong>Caritas</strong> Indonesia, realizzare attività di capacity<br />

building e programmi per la promozione della<br />

donna a livello locale.<br />

In Sri Lanka il percorso di ripresa dall’enorme tragedia<br />

è stato complicato da una nuova escalation di violenza<br />

tra truppe governative e ribelli delle Tigri Tamil. Oltre ad<br />

aver partecipato ai programmi d’aiuto d’emergenza della<br />

rete internazionale con circa 3,8 milioni di euro, <strong>Caritas</strong><br />

<strong>Italiana</strong> è presente in Sri Lanka con cinque operatori e<br />

due volontari in servizio civile in tre diocesi: a Colombo è<br />

in corso un programma di riabilitazione socio-economico;<br />

a Jaffna viene condotto un programma per i minori,<br />

vittime dello tsunami e del conflitto; a Chilaw viene realizzato<br />

un percorso di capacity building e un programma<br />

di educazione, formazione tecnica e supporto psico-sociale,<br />

rivolto alle fasce povere della popolazione. All’interno<br />

del Programma di animazione sociale di <strong>Caritas</strong> Sri<br />

Lanka, sono state promosse attività di riabilitazione per<br />

disabili. Infine un’operatrice <strong>Caritas</strong> è consulente del Programma<br />

nazionale di educazione alla pace.<br />

Dal dispensario al microcredito<br />

In India <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> ha investito in questi anni un budget<br />

di circa 8.5 milioni di euro, concentrando i suoi inter-<br />

38 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />

SETTORI DI INTERVENTO<br />

Emergenza; ricostruzione; salute, nutrizione, donne, minori;<br />

potenziamento <strong>Caritas</strong> locale<br />

Emergenza; animazione; pace; ricostruzione e riabilitazione;<br />

vittime di guerra; potenziamento <strong>Caritas</strong> locale<br />

Emergenza; ricostruzione; potenziamento <strong>Caritas</strong> locale;<br />

promozione socio-economica; formazione giovani<br />

Emergenza; strutture socio-pastorali; microfinanza;<br />

potenziamento <strong>Caritas</strong> locale; sanità; minori; tratta e<br />

prostituzione; rifugiati e migranti; pace e riconciliazione<br />

Sostegno al sistema socio-sanitario; acquisto di barcheambulanza<br />

e attrezzature mediche; personale sanitario<br />

specializzato; formazione personale locale<br />

Sviluppo rurale e promozione della donna; sanità;<br />

approvvigionamento idrico; accompagnamento chiesa locale<br />

Emergenza; assistenza profughi; sanità<br />

Formazione operatori <strong>Caritas</strong> locali e cittadini su prevenzione<br />

e gestione delle emergenze (in tutti i paesi)<br />

* in euro, in buona parte spesa, comunque già destinata ai progetti<br />

tsunami tre anni dopo<br />

venti in due aree particolarmente<br />

colpite dallo tsunami: le isole Andamane<br />

e la diocesi di Tuticorin,<br />

in Tamil Nadu. Interventi minori<br />

sono stati realizzati anche in altri<br />

territori, a fronte di specifiche richieste,<br />

in particolare in Kerala. Gli<br />

ambiti di intervento sono capacity<br />

building, ricostruzione, promozione<br />

socioeconomica, educazione<br />

e formazione giovanile.<br />

In Tailandia <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> è<br />

partner accompagnatore della<br />

<strong>Caritas</strong> nazionale, a supporto della<br />

realizzazione dell’intervento di<br />

emergenza e di nuovi progetti,<br />

nati dall’incontro con le povertà<br />

del territorio. Il budget dedicato è<br />

di quasi 3,5 milioni di euro, impiegati<br />

anche in questo caso in parte<br />

all’interno del programma di interventi<br />

della rete <strong>Caritas</strong>, in parte<br />

in programmi sviluppati e finanziati<br />

direttamente da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>,<br />

che si è impegnata a sostenere la diocesi di Suratthani<br />

nel rispondere alle povertà del suo territorio. Ciò<br />

avviene anche oltre la prospettiva dell’emergenza, in diversi<br />

ambiti di lavoro: sostegno e accompagnamento per<br />

gli interventi sociali e d’emergenza a livello diocesano; un<br />

progetto di microcredito che garantisce ai villaggi aiutati<br />

durante l’emergenza prospettive di sostenibilità socioeconomica<br />

di lungo periodo; risposta alle criticità sociali e<br />

sanitarie (campi di profughi birmani, Hiv-Aids) della provincia<br />

di Ranong; attenzione al tema della disabilità; avvio<br />

di un programma di riabilitazione socio-sanitaria.<br />

Nelle Maldive l’impegno di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, con un<br />

budget di 3,2 milioni di euro, si concentra nel settore sanitario,<br />

in particolare a supporto di quattro ospedali locali,<br />

attraverso la fornitura di attrezzature sanitarie e personale<br />

medico specializzato. In Myanmar, grazie a un budget<br />

di 1,5 milioni di euro, si opera in vari settori: capacity<br />

building della <strong>Caritas</strong> locale (Karuna), educazione, sviluppo<br />

rurale e socioeconomico, sanità, approvvigionamento<br />

idrico, prevenzione della diffusione dell’Aids. Infine<br />

in Somalia, insieme alla <strong>Caritas</strong> locale e con un budget<br />

di 250 mila euro, vengono erogati aiuti d’urgenza (distribuzione<br />

alimentare e assistenza sanitaria) e si sostiene<br />

un dispensario a Baidoa.<br />

internazionale<br />

E IL MONDO SI RIAVVICINA<br />

ALLA MEZZANOTTE NUCLEARE<br />

di Alberto Bobbio<br />

Ormai è un concetto per lo meno traballante. Chi crede ancora alla<br />

non proliferazione nucleare, dopo l’annuncio di Putin sullo sviluppo<br />

di nuovi armi atomiche e il progetto americano dello scudo<br />

antimissile in Europa orientale? L’orologio che misura quanto manca alla<br />

simbolica mezzanotte della catastrofe nucleare, che gli scienziati del<br />

Bulletin of atomic scientists dell’Università di Chicago hanno realizzato<br />

per mettere in guardia il mondo, ha le lancette ferme su cinque minuti alla<br />

mezzanotte. Recentemente sono state spostate in avanti di due minuti,<br />

per via delle ambizioni nucleari iraniane, delle dichiarazioni di Putin,<br />

delle nuove bombe atomiche “pulite” (nel senso che non lasciano scorie<br />

di produzione) che gli Usa stanno<br />

studiando. Inoltre c’è la preoccupazione<br />

per un uso più massiccio del<br />

nucleare civile, che ha sempre risvolti<br />

militari, almeno nella ricerca.<br />

Dal 1947, quando erano ferme sulla<br />

mezzanotte meno sette, le lancette<br />

sono state spostate 17 volte. Ora la corsa<br />

potrebbe ripartire, dopo un disgelo<br />

nucleare durato quasi vent’anni. L’idea<br />

della non proliferazione s’affacciò subito<br />

dopo il lancio delle bombe su Hiroshima<br />

e Nagasaki, primo atto della<br />

“guerra fredda”, oltre che ultimo di una terribile “guerra calda”.<br />

L’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone l’8 agosto,<br />

ma gli Stati Uniti sganciarono la prima atomica il 6 agosto:<br />

messaggio preciso ai sovietici circa il futuro della conduzione<br />

dei conflitti. Gli Usa avevano la bomba, e funzionava,<br />

Mosca era ancora al palo.<br />

Solo la Corea ha capito<br />

I sovietici, però, si sbrigarono nella ricerca. La loro prima<br />

esplosione nucleare avvenne nel 1949. Da allora il mondo<br />

entrò nella fase del Mad: Mutually assured destruction, distruzione<br />

mutua assicurata. È per questo, forse, che la guerra<br />

fredda non cambiò mai temperatura. L’equilibrio nucleare<br />

ha prodotto tuttavia più conflitti e più morti nella se-<br />

Le nuove armi di Putin,<br />

lo scudo Usa, le rincorse<br />

e le scelte di altri paesi.<br />

Le lancette dell’orologio<br />

della paura tornano<br />

a correre. C’è chi<br />

sostiene sia un modo<br />

per controllare i conflitti.<br />

L’epoca della<br />

non proliferazione<br />

sta andando in archivio?<br />

contrappunto<br />

conda metà del Novecento di quanto<br />

non fosse mai avvenuto prima. E anche<br />

oggi, con la corsa al nucleare riproposta<br />

come punto centrale delle<br />

strategie militari, si rischia di registrare<br />

un aumento dei conflitti locali.<br />

Alcune analisi sostengono che la<br />

guerra all’Iraq è stata possibile proprio<br />

perché non c’erano le armi di distruzione<br />

di massa, anche se<br />

l’opinione pubblica era stata indotta a<br />

credere al contrario. La questione è<br />

decisiva: un paese dotato di bomba<br />

atomica sarebbe più al riparo da un<br />

conflitto, anche locale, di uno che la<br />

bomba non ce l’ha. Ecco quindi la rincorsa<br />

dell’Iran, le scelta fatta e mai dichiarata<br />

di Israele, le ammissioni di India<br />

e Pakistan. Solo la Corea del Nord<br />

sembra aver capito che, da altri punti<br />

di vista, soprattutto economici, le testate<br />

nucleari non servono e si avvia<br />

almeno a uno stop della produzione,<br />

controllato a livello internazionale.<br />

Ma non può essere la Corea a tenere<br />

in piedi lo sfilacciato Trattato di<br />

non proliferazione nucleare, mandato di fatto in pensione<br />

dagli annunci di Putin e dall’agitarsi americano.<br />

L’anno scorso Mosca ha proceduto a ben 16 sperimentazioni<br />

di missili con testata atomica. Poi c’è la nuova<br />

Francia di Sarkozy, che rivendica la potenza della Force<br />

de frappe, la forza di dissuasione nucleare francese,<br />

concetto inventato da De Gaulle nel 1958. E anche la<br />

Nato si regge sull’idea del nuclear sharing, cioè sulla<br />

condivisione delle armi nucleari, imposta durante la<br />

guerra fredda agli alleati non nucleari. In Italia ci sono<br />

testate atomiche, così come in Germania e nei paesi<br />

membri del Patto atlantico. Insomma, l’orizzonte non è<br />

sereno. E le lancette dell’orologio della paura tornano<br />

ad avvicinarsi pericolosamente alla mezzanotte.<br />

ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 39


agenda territori<br />

CATANIA<br />

Un centro giovanile a Librino,<br />

relazioni nuove per ragazzi e adulti<br />

Un nuovo centro giovanile, che reca un nome<br />

evangelico, impegnativo ma denso di speranza.<br />

“Talità kum” (“Fanciulla, alzati”) è uno spazio<br />

promosso dalla <strong>Caritas</strong> di Catania nel quartiere<br />

di Librino, periferia del capoluogo etneo.<br />

È stato inaugurato venerdì 16 novembre<br />

(nella foto, la festa) e «vuole essere – ha dichiarato, padre Valerio Di Trapani,<br />

direttore della <strong>Caritas</strong> diocesana – una realtà che favorisce l’incontro<br />

e la relazione, nonché una risposta all’emergenza educativa della città».<br />

Vi si svolgeranno attività sportive, ricreative e di sostegno scolastico.<br />

Educatori e volontari aiuteranno bambini e adolescenti a impostare su basi<br />

serene le relazioni di reciprocità con i coetanei, il mondo degli adulti<br />

e soprattutto i familiari. Quanto agli adulti, di mattina potranno partecipare<br />

a laboratori e a spazi di socializzazione, pensati soprattutto per accompagnare<br />

le donne nella definizione di un proprio progetto di vita e responsabilizzarle<br />

nei confronti dell’educazione dei figli. «Librino – ha affermato padre Di Trapani<br />

– spesso a torto è stato dipinto a tinte fosche. Noi vogliamo portare colori,<br />

gioco e festa. Talità kum vuole restituire alla gioia la vita di tanti ragazzi<br />

ed essere segno che la Chiesa sta bene in strada: è il posto che le compete».<br />

SANREMO-VENTIMIGLIA<br />

Preghiera e raccolte,<br />

una domenica<br />

per battere la povertà<br />

La <strong>Caritas</strong> diocesana ha aderito con<br />

convinzione alla campagna “Prima che<br />

sia troppo tardi”, che rilancia un’iniziativa<br />

internazionale ed è promossa in Italia<br />

da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Focsiv. Così in<br />

diocesi la quarta domenica di Avvento<br />

(“Domenica di fraternità, in programma<br />

il 23 dicembre) sarà dedicata proprio<br />

alla campagna e al suo sforzo di<br />

sensibilizzazione riguardo alla necessità<br />

di centrare, su scala globale, gli Obiettivi<br />

di sviluppo del millennio, fissati in sede<br />

Onu nel 2000 in vista del 2015.<br />

I proventi delle raccolte (parrocchiali<br />

e pubbliche) saranno devoluti a favore<br />

dei progetti della diocesi di Kindu, in Congo.<br />

MILANO<br />

Donaphone,<br />

il telefonino solidale<br />

amplia gli orizzonti<br />

I cellulari, al pari di indumenti e scarpe,<br />

sono fra gli accessori che vengono<br />

sostituiti con maggiore frequenza.<br />

Abitudine particolarmente in voga<br />

in Italia, paese che vanta il primato<br />

della diffusione dei cellulari (1,34 ogni<br />

abitante). <strong>Caritas</strong> Ambrosiana e il<br />

consorzio di cooperative Farsi Prossimo<br />

si sono chiesti come trasformare un<br />

tale evidente spreco in un’opportunità<br />

e hanno lanciato in estate un’innovativa<br />

campagna (“Donaphone, il telefonino<br />

solidale”) per il riutilizzo a fini sociali dei<br />

cellulari usati. I buoni risultati (diecimila<br />

apparecchi raccolti in un mese e mezzo,<br />

nella fase sperimentale) hanno<br />

incoraggiato ad ampliare l’iniziativa,<br />

prendendo contatti con enti pubblici<br />

anche al di fuori della diocesi<br />

ambrosiana, proprio mentre il comune<br />

di Milano ha concesso il proprio<br />

patrocinio e sostegno alla campagna.<br />

I telefonini vengono raccolti nei box<br />

esposti in parrocchie, scuole,<br />

biblioteche, palestre, luoghi pubblici,<br />

imprese private. I cellulari raccolti dalla<br />

cooperativa Vesti Solidale, che impiega<br />

personale svantaggiato, vengono<br />

testati, riparati e ricommercializzati;<br />

il ricavato viene utilizzato per finanziare<br />

una casa di accoglienza per madri in<br />

difficoltà, nell’ambito del progetto<br />

sociale di <strong>Caritas</strong> “Famiglie in marcia”.<br />

VERONA<br />

Mensa e relazioni,<br />

“Il samaritano”<br />

intensifica i servizi<br />

È stato festeggiato a metà novembre<br />

il primo anniversario di apertura della<br />

casa di accoglienza “Il Samaritano”,<br />

promossa dalla <strong>Caritas</strong> di Verona.<br />

La struttura ospita almeno<br />

una cinquantina di ospiti, persone senza<br />

dimora o con gravi problemi abitativi<br />

e sociali, cui dà accoglienza notturna.<br />

Ora sono sulla rampa di lancio due<br />

nuove iniziative, che completano<br />

il quadro dell’offerta dei servizi,<br />

anche grazie all’opera di 130 volontari.<br />

Il centro diurno pomeridiano servirà<br />

ad approfondire le relazioni<br />

con gli ospiti, per definire percorsi<br />

personalizzati di reinclusione sociale.<br />

La mensa serale offrirà pasti<br />

“fragranti”, grazie a un moderno<br />

sistema di conservazione del cibo,<br />

che ogni giorno viene recuperato, grazie<br />

anche alla collaborazione delle Acli<br />

locali, dalle mense delle scuole<br />

primarie e superiori della città.<br />

TRENTO<br />

Non discriminare,<br />

i ragazzi del campo<br />

premiati dalla Ue<br />

I giovani partecipanti al campo estivo<br />

“Il vento e la vela”, proposto dalla<br />

<strong>Caritas</strong> diocesana di Trento, sono stati<br />

premiati il 20 novembre, Giornata<br />

internazionale dei diritti dell’infanzia,<br />

dalla Rappresentanza italiana della<br />

Commissione europea nell’ambito<br />

del concorso “L’Unione Europea e<br />

la non discriminazione”, rivolto a ragazzi<br />

tra i 12 e i 18 anni dei 27 stati Ue.<br />

Il concorso riguardava il principio di non<br />

discriminazione, sancito nell’ articolo 21<br />

della Carta dei diritti fondamentali della<br />

Ue, e prevedeva<br />

la realizzazione<br />

di un poster. In Italia<br />

hanno partecipato<br />

alla selezione<br />

più di 700 gruppi,<br />

cioè circa 4 mila<br />

giovani: il gruppo<br />

della <strong>Caritas</strong> diocesana trentina è<br />

risultato vincitore nella categoria 15-18<br />

anni e ora parteciperanno alla selezione<br />

europea, il 17 dicembre. I ragazzi<br />

premiati, guidati da Anita Scolz, sono<br />

Daniela Cunial, Emma Franceschi,<br />

Alex Depedri, Chiara Pellegrini, Giulia<br />

Detassis, Karen Stenico, Giulia Pardi<br />

e Lorenzo Imoscopi.<br />

FIRENZE<br />

Un poliambulatorio<br />

per emarginati<br />

e senza dimora<br />

È stato inaugurato il 19 novembre<br />

il poliambulatorio per persone<br />

emarginate gravi o senza dimora,<br />

italiane e straniere, realizzato<br />

in una nuova ala dell’Albergo Popolare<br />

ottoxmille<br />

Come valutarsi con un bollino,<br />

la “Città dei Ragazzi” raddoppia<br />

di Giuseppe Paruzzo<br />

Come intervenire per arginare il fenomeno del disagio<br />

minorile? Se lo è chiesto, più di due anni fa, la <strong>Caritas</strong><br />

diocesana di Caltanissetta. Così, a luglio 2005,<br />

con il progetto “Ragazzi di strada, una risorsa” è stato<br />

avviato un primo intervento rivolto ai minori a rischio,<br />

che considerava la strada come luogo in cui<br />

era possibile intessere o ritessere relazioni.<br />

Gli operatori di strada hanno raggiunto<br />

luoghi che i servizi sociali pubblici non<br />

riescono a (o non possono) raggiungere.<br />

Il lavoro compiuto ha evidenziato la necessità<br />

di ideare un progetto complementare<br />

e continuativo, una proposta educativa<br />

e di prevenzione. È nato così il progetto “Città dei Ragazzi”, che opera<br />

in favore di minori residenti in due quartieri del centro storico. Il progetto<br />

prevede principalmente il supporto didattico a minori tra i 6 e i 14 anni.<br />

L’intenzione è anche quella di avviarli a un percorso di crescita e formazione<br />

consono al loro sviluppo.<br />

Diversa condotta, diverso colore<br />

La giornata tipo alla “Città dei Ragazzi” incomincia alle 15. Appena entrati,<br />

i ragazzi si dispongono in cerchio e si raccontano: il confronto<br />

e la condivisione del proprio vissuto sono fondamentali. Segue la divisione<br />

in gruppi per il doposcuola, almeno due ore, durante le quali i ragazzi vengono<br />

aiutati nello studio e nello svolgimento dei compiti. Poi, dopo un altro<br />

momento di ricreazione, si dà inizio alle attività di laboratorio e ricreative,<br />

durante le quali i ragazzi condividono altri momenti di socializzazione<br />

e sfruttare le loro potenzialità e capacità cognitive. Alla fine del pomeriggio<br />

c’è il “bollino time”: ogni ragazzo racconta la sua giornata e valuta il proprio<br />

comportamento attribuendosi un bollino, di colore diverso in relazione<br />

alla condotta tenuta durante la giornata. Chi accumula tanti bollini “buoni”<br />

partecipa ad attività premio, organizzate periodicamente.<br />

I buoni risultati raggiunti hanno suggerito di estendere il progetto ad altri<br />

due quartieri del centro storico. A marzo 2007, grazie ai fondi otto per mille,<br />

è nato così il progetto “Città dei Ragazzi 2”: le “Città” accolgono in totale<br />

60 minori, seguiti da 7 volontari in servizio civile e 6 operatori <strong>Caritas</strong>, una<br />

psicologa e un’assistente sociale. Il modello educativo si distingue da altri<br />

soprattutto perchè al centro di ogni attività vi è il benessere dei ragazzi,<br />

garantito dalla passione e dall’entusiasmo degli operatori e dei volontari. Una<br />

strategia dell’attenzione nel presente, che è anche un investimento sul futuro.<br />

40 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 41


sto in campagna di Roberta Dragonetti<br />

Verso Doha, per non tradire Monterrey:<br />

è il momento di attivare misure per lo sviluppo<br />

L’appuntamento<br />

Review Conference for the Monterrey Consensus: è il nuovo<br />

appuntamento, a Doha, nel Qatar, che nel 2008 valuterà<br />

risultati e fallimenti del vertice svoltosi a Monterrey,<br />

in Messico, nel 2002. In quella sede l’Onu chiamò<br />

a discutere governi e capi di stato sugli strumenti<br />

e gli impegni da adottare per reperire risorse per combattere<br />

la povertà e facilitare lo sviluppo economico dei paesi<br />

svantaggiati. La 62ª sessione dell’Assemblea generale<br />

delle Nazioni Unite, tenutasi a fine ottobre a New York,<br />

ha dato il via alla preparazione della Conferenza di Doha,<br />

mettendo a confronto i governi e i rappresentanti<br />

della società civile sullo stato di attuazione degli impegni<br />

per gli Obiettivi di sviluppo del millennio.<br />

<strong>Caritas</strong> Internationalis e Cidse, promotori della campagna internazionale di lotta alla povertà Make Aid Work<br />

(in Italia, “Prima che sia troppo tardi”) hanno colto l’importante occasione per sottoporre una dichiarazione congiunta,<br />

dal titolo “Da Monterrey a Doha: il processo di avanzamento”, al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.<br />

“A cinque anni da Monterrey – si legge nel documento – le sfide richiamate da quell’accordo non sono diminuite<br />

e la verifica di medio termine degli Obiettivi dice che occorrono maggiori sforzi da parte di tutti. Occorre che i leader<br />

mandino un segnale alla comunità internazionale, per sottolineare la gravità della situazione. (…) <strong>Caritas</strong> Internationalis<br />

e Cidse apprezzano molto il grande valore del processo e della conseguente Conferenza di aggiornamento di Doha. Quale<br />

seguito di Monterrey, essa dovrebbe avere il mandato di accordarsi su misure coerenti in ambiti fondamentali (imposte,<br />

investimenti, commercio, debito, riforme strutturali per accelerare lo sviluppo), allo scopo finale di sradicare la povertà.<br />

Le discussioni, nel processo preparatorio, e la Conferenza stessa, perderebbero dinamismo se fossero solo retrospettive”.<br />

I risultati attesi<br />

Le due grandi reti internazionali si attendono alcuni risultati fondamentali: la mobilitazione delle risorse locali,<br />

che preveda una cooperazione internazionale più efficace, in materia fiscale e di imposte, come già indicato<br />

nella Dichiarazione dell’Accordo di Monterrey, inclusi la lotta ai paradisi fiscali e alla fuga di capitali<br />

e il finanziamento di servizi pubblici, quali sanità ed educazione; l’attivazione di fonti innovative di finanziamento,<br />

per un accesso più equo ai beni pubblici globali e alla loro distribuzione. Nella Dichiarazione si evidenzia inoltre<br />

una forte preoccupazione sulla questione della sostenibilità del debito, che (secondo l’Accordo di Monterrey)<br />

va collegata con i finanziamenti richiesti per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio. “In risposta a questo<br />

mandato – afferma il documento <strong>Caritas</strong>-Cidse –, le istituzioni finanziarie internazionali hanno prodotto un Quadro<br />

per la Sostenibilità del Debito. Le nostre reti ritengono che questo quadro sia tuttora inadeguato”.<br />

La campagna “Prima che sia troppo tardi”, condotta in Italia da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Volontari nel Mondo - Focsiv,<br />

insieme ad altre 16 realtà cattoliche, seguirà con attenzione i lavori di preparazione della prossima Conferenza<br />

di Doha, perché il processo di avanzamento auspicato rappresenti, per 980 milioni di persone che vivono<br />

nel mondo con meno di un dollaro al giorno, una concreta inversione di rotta.<br />

INFO www.primachesiatroppotardi.it<br />

dall’associazione di medici cristiani<br />

“Niccolò Stenone”. Evoluzione di alcuni<br />

servizi medici già operanti, si tratta<br />

di un ambulatorio di medicina generale<br />

e odontoiatria, in cui opereranno circa<br />

<strong>10</strong>0 medici e 20 odontoiatri volontari.<br />

Sostenuto dal comune di Firenze,<br />

il poliambulatorio è intitolato al dottor<br />

Vittorio Trancanelli; sarà aperto<br />

il pomeriggio da lunedì a venerdì<br />

e accoglierà anche persone non iscritte<br />

al servizio sanitario nazionale, anche<br />

se entrerà a far parte della rete<br />

dei servizi dell’Azienda sanitaria<br />

di Firenze. La <strong>Caritas</strong> diocesana<br />

di Firenze collaborerà strettamente<br />

con il nuovo servizio, nell’ambito<br />

della cooperazione organica che<br />

ha in atto con l’associazione “Stenone”.<br />

CROTONE<br />

Arte oltre confine,<br />

dopo lo sbarco<br />

i migranti dipingono<br />

Una mostra di pittura. Ma con artisti<br />

che hanno alle spalle una storia<br />

speciale. I dipinti realizzati dagli ospiti<br />

del centro di accoglienza Sant’Anna<br />

di Isola Capo Rizzuto sono confluiti<br />

nella mostra<br />

“Prove d’arte oltre<br />

confine”, aperta<br />

il 7 novembre (nella<br />

foto, la locandina).<br />

Il centro Sant’Anna<br />

accoglie migranti<br />

e richiedenti asilo<br />

approdati sulle coste calabresi:<br />

la pittura dà sfogo alla loro creatività,<br />

tradottasi in opere di grande<br />

espressività, “figlie” di diverse culture.<br />

Nel Cpt, la <strong>Caritas</strong> diocesana di Crotone<br />

- Santa Severina, che ha promosso<br />

la mostra, cura attività culturali,<br />

di animazione (in primis l’insegnamento<br />

dell’italiano), di orientamento legale,<br />

psicologico e sociale.<br />

I GIOVANI CHE SERVONO<br />

agenda territori<br />

Il sole sorge a Casa Nostra,<br />

così lo schifo diventa lavoro<br />

di Daniele Di Pompeo<br />

All’inizio c’è pura e semplice necessità, non è il caso<br />

di tirare fuori motivazioni profonde: un po’ di euro e la boa<br />

dei 25 anni doppiata da tempo. Poi c’è una struttura<br />

che è sempre stata un riferimento, per il po’ di volontariato fatto,<br />

per le tante amicizie e conoscenze che le ruotano<br />

intorno. Quando questi due elementi si sommano in quello che viene<br />

chiamato Servizio civile volontario, beh, decido di farmi avanti. E mi dirigo<br />

al Monastero, collettore di cuori e teste della <strong>Caritas</strong> genovese. Cosa cerco<br />

esattamente, mentre percorro una salita interminabile, non lo so bene;<br />

sono obiettore di coscienza, la Croce Rossa mi ha tenuto con sé quando<br />

non ho voluto entrare in una caserma, ma immagino che questo servizio<br />

sia un po’ diverso dal precedente.<br />

Colloqui, incontri. E la scoperta che a Genova esiste un luogo di cui<br />

non conoscevo l’esistenza, e che mentre mi viene proposto mi mette addosso<br />

paura, ansia, schifo (schifo? Schifo, schifo…): è Casa Nostra, struttura<br />

in cui alloggiano persone malate di Aids. Io non so niente di Aids, l’ignoranza<br />

mi schiaccia, il timore pure, ma il Servizio civile, questo lo ricordo dall’avventura<br />

precedente, è vero servizio se mette alla prova da subito. Così accetto.<br />

La fortuna va dai forti<br />

Iniziano allora mesi intensi, emozionanti, strani. Un periodo con attorno<br />

persone così ultime che più ultime non si può. Spesso senza casa, senza<br />

famiglia, a volte con una pena da scontare, quasi sempre con percorsi decisi<br />

dalla droga. Tutti, con la compagnia di un virus infame, marchio perpetuo,<br />

condanna a vita per errori magari piccoli, comunque lontani nel tempo.<br />

Non credo sia l’etimologia giusta, ma ho sempre pensato che la fortuna<br />

sia quella cosa che va dai forti. Bene, io mi trovo a confrontarmi con persone<br />

schiacciate dalla debolezza. La fortuna è davvero la cosa più lontana.<br />

E a causa della sua assenza, anche la speranza non ha molta voglia<br />

di passare da queste parti. Ma tutte le mattine, più o meno visibile,<br />

il sole sorge e porta con sé la necessità di vivere le ore che verranno.<br />

A Casa Nostra la gente debole, senza fortuna e senza niente, ci si attacca,<br />

a queste ore. E insegna come la semplice voglia di vedere il giorno dopo, spesso<br />

identico al precedente, sia un motivo per resistere tanto grande,<br />

da riempire tutta una vita.<br />

Non so se questo insegnamento l’ho appreso fino in fondo. Ma so<br />

che quando il Servizio civile è finito, e ho avuto la possibilità di fermarmi ancora<br />

in questo luogo, dubbi ne ho avuti pochi. E ancora adesso<br />

non ne ho su ciò che faccio ogni volta che esco di casa per andare a Casa<br />

Nostra. Dove ormai lavoro da due anni.<br />

42 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 43


villaggio globale<br />

PUBBLICITÀ<br />

A Spot School la malattia mentale<br />

e un tema dettato da una tv nigeriana<br />

Spot School Award (Premio internazionale<br />

del Mediterraneo) è un premio dedicato a studenti<br />

di corsi di scienze della comunicazione, pubblicità<br />

e materie affini, iscritti a università e scuole in Italia<br />

e all’estero. Nato nel 2001 e giunto alla settima<br />

edizione, è promosso dall’associazione salernitana<br />

CreativisinascE e gode della collaborazione delle più importanti associazioni<br />

di categoria dei pubblicitari e del patrocinio di molte istituzioni. <strong>Caritas</strong><br />

<strong>Italiana</strong>, come sempre dalla seconda edizione in poi, propone il brief (tema)<br />

di carattere sociale, solitamente il più frequentato dagli studenti partecipanti<br />

(nella foto, uno dei lavori vincitori dell’edizione 2007), che possono sviluppare<br />

un messaggio pubblicitario sotto forma di manifesto, spot tv, radio, direct mail<br />

o annuncio web. Il tema dettato da <strong>Caritas</strong> per il 2008 è “Malattia mentale:<br />

un dolore disabitato. La necessità assoluta di una corretta informazione”.<br />

A questo brief si aggiungono quello di Legambiente sull’attivismo ambientale<br />

e, novità della settima edizione, il primo brief internazionale, proposto dal<br />

network nigeriano BrandWorld Tv, sul tema della condizione femminile e della<br />

discriminazione delle donne. Termine per la consegna dei lavori, il 7 aprile 2008.<br />

INFO www.spotschoolaward.it<br />

CINEMA<br />

Rosso Malpelo,<br />

tragedia senza tempo,<br />

aiuti ai baby minatori<br />

L’ispirazione viene da una delle più belle<br />

novelle di Giovanni Verga. Ma il tema<br />

è senza tempo. Tanto che gli utili<br />

dell’operazione verranno destinati<br />

a un progetto per aiutare alcun tra<br />

i tanti Rosso Malpelo che anche oggi,<br />

in alcune parti del mondo, sono costretti<br />

a sacrificare la propria infanzia<br />

al durissimo lavoro in miniera. Il regista<br />

Pasquale Scimeca ha voluto girare<br />

in Sicilia, nei luoghi dove una volta c’era<br />

il più grande bacino minerario d’Europa<br />

per l’estrazione dello zolfo e oggi c’è<br />

il parco minerario di Floristella-Grottacalda,<br />

l’adattamento cinematografico<br />

del commovente racconto verghiano.<br />

La dimensione verista della novella<br />

viene superata da una lettura tragica,<br />

che in quanto tale non ha tempo e non<br />

ha storia: lo sfruttamento e la solitudine<br />

dei bambini, infatti, sono di ogni tempo<br />

e di ogni storia. Il coraggioso film<br />

è uscito nelle sale il 19 novembre, ma<br />

prima ancora è stato visto e dibattuto<br />

in centinaia di scuole italiane. I suoi<br />

profitti andranno<br />

a un articolato<br />

programma<br />

nutrizionale<br />

e di scolarizzazione<br />

dei bambini del Potosì, regione mineraria<br />

della Bolivia andina. Il sito internet<br />

dedicato al film dà molte informazioni,<br />

comprese quelle su come richiederlo<br />

e utilizzarlo per scopi didattici e sulla<br />

destinazione umanitaria degli utili.<br />

INFO www.rossomalpelofilm.it<br />

TV<br />

L’Occidente in crisi<br />

nel giro del mondo<br />

di “C’era una volta”<br />

Un ciclo cominciato con un prologo<br />

a fine settembre, poi sviluppatosi<br />

a novembre e dicembre. La trasmissione<br />

Rai C’era una volta, ideata e condotta<br />

da Silvestro Montanaro, ha cominciato<br />

il suo ideale giro del mondo nel 1999.<br />

Da allora ha scandagliato in maniera<br />

coraggiosa, affidandosi<br />

a temi e immagini inediti<br />

per gli schermi italiani,<br />

i temi sociali e politici più spinosi<br />

della contemporaneità, denunciando<br />

gli inaccettabili squilibri sociali<br />

che dividono le diverse aree del mondo<br />

ai tempi della globalizzazione. Così<br />

la nuova serie di puntate non poteva<br />

che mettere a fuoco una questione<br />

cruciale dei nostri giorni: la crisi<br />

nel rapporto tra l’Occidente e il resto<br />

del pianeta. “Perché non ci amano<br />

più?” è la domanda che echeggia<br />

nelle puntate dedicate al turismo<br />

di massa, al problema della fame,<br />

alle sperimentazioni farmaceutiche<br />

e al turismo dei trapianti, al mercato<br />

del sesso e ad altri temi, che dopo<br />

essere andate in onda il mercoledì<br />

in tarda serata su RaiTre possono essere<br />

riviste dal sito internet della trasmissione.<br />

INFO www.ceraunavolta.rai.it<br />

INTERNET<br />

Il sociale in rete,<br />

poco giovanile e<br />

accessibile ai disabili<br />

Il mondo del volontariato on line è stato<br />

analizzato da un team di esperti<br />

dell’Università di Udine. Il monitoraggio<br />

è giunto alla quarta edizione e nel 2007<br />

ha riguardato 23 siti. Hanno superato<br />

a tu per tu di Danilo Angelelli<br />

Citto Maselli rimette insieme film e documentario:<br />

«Racconto un mondo diviso tra uomini, donne e schiavi»<br />

SENZA<br />

DOMICILIO<br />

Il regista<br />

Citto Maselli<br />

con Massimo<br />

Ranieri;<br />

sotto, i tre<br />

protagonisti<br />

dei racconti<br />

di Civico 0<br />

Ogni film che si proiettava nelle sale doveva essere abbinato a un documentario<br />

di dieci minuti, cui spettava il 3% dell’incasso totale del film. Erano gli anni Quaranta<br />

e una generazione di cineasti nasceva con quella legge. Alcuni nomi: Antonioni, Risi,<br />

Comencini, Lizzani. E Francesco (Citto) Maselli, classe 1930, che si fece alfiere<br />

del realismo lirico con documentari su ambulanti, “stracciaroli”, bambini di strada.<br />

Dopo 60 anni di documentari e film come Gli indifferenti, Storia d’amore e Codice<br />

privato, Maselli torna nelle sale con… un documentario e un film. Propone cioè<br />

una contaminazione dei generi, un ibrido tra fiction e realtà, con ricostruzioni narrative<br />

di tre storie vere. Il lungometraggio si intitola Civico 0 e inquadra in primissimo piano<br />

la povertà urbana del nostro tempo, attraverso le voci narranti dei tre reali protagonisti,<br />

cui danno volto gli attori Ornella Muti, Massimo Ranieri e Letizia Sedrick.<br />

Quali differenze ci sono tra i diseredati di Civico 0 e quelli dei suoi primi<br />

documentari?<br />

Ieri come oggi la situazione di chi vive ai margini è atroce, ma allora c’era l’idea<br />

diffusa che qualcosa si era riavviato dopo la guerra. Oggi manca la speranza.<br />

Le tre storie del film sono ambientate a Roma, ma rappresentano le planetarie<br />

disperazioni messe in moto da una globalizzazione motivata dalle ragioni esclusive<br />

dell’economia e del profitto. Sembra di essere tornati alla barbarie, a una logica<br />

precristiana, a quando Aristotele diceva che il mondo è diviso in uomini, donne e schiavi.<br />

Sono state cento le storie di povertà raccolte. Per il film ne avete scelte tre…<br />

Sì, insieme costituiscono un quadro rappresentativo della povertà di qualsiasi città e sono caratterizzate da<br />

significativi dati materiali, storici e sociali, oltre che psicologici ed esistenziali. Stella è una giovane etiope che,<br />

appena arrivata in Italia, dorme alla <strong>Caritas</strong>: dopo varie traversie, il comune assegna a lei e all’uomo di cui<br />

nel frattempo si è innamorata un container in un campo all’estrema periferia della città. Nina è una badante<br />

romena che cade in depressione per le difficili condizioni della casa-prigione in cui lavora. Giuliano è un<br />

fruttivendolo di 60 anni che, alla morte della madre, con la quale abita, arriva quasi a perdere la ragione e va a<br />

vivere in strada. Come recita il titolo del film, si tratta di persone senza tetto, non rintracciabili a un domicilio.<br />

I suoi film fanno sempre “meno sconti”, soprattutto oggi che, per età ed esperienza, non teme<br />

di scontentare pubblico, critica e addetti ai lavori…<br />

Tempo ed esperienza rendono più sicuri, danno la convinzione che non si ha poi tanto da perdere, che si è già<br />

dato buona parte di quel che si poteva. Per questo continuo a fare il cinema che voglio, un cinema sociale<br />

aderente alla realtà. E a favorire, con quel poco che può fare un film, la conoscenza e la denuncia della<br />

povertà che abbiamo intorno. Io rifiuto nella maniera più drastica la povertà come condizione fatale. Keynes<br />

ci aveva spiegato che uno sviluppo intelligente di una società moderna si basa sull’eliminazione graduale<br />

e sistematica delle povertà e Hobsbawm ci ha illuminato sulla natura dei processi mortali in corso. Io parto<br />

dai risultati visibili di questi processi: la tragedia di un’immigrazione senza sbocchi, il sempre più frequente<br />

nutrirsi dai cassonetti, le nuove povertà, i lavavetri, i vecchi senza rifugio e senza speranza.<br />

44 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 45


la selezione, tra gli altri, Emergency,<br />

Altromercato, Wwf e Greenpeace,<br />

ma in generale è emerso che la grafica<br />

è sempre penalizzata, c’è scarsa<br />

interazione con gli utenti, prevale<br />

la tendenza a creare prodotti istituzionali<br />

difficilmente fruibili dai navigatori,<br />

in molti casi manca la funzione del<br />

motore di ricerca interno. Non solo:<br />

il volontariato in internet non sa parlare<br />

ai giovani, maggioranza tra gli internauti.<br />

Né va meglio sul fronte dell’accessibilità<br />

per i disabili: solo 6 dei 23 siti hanno<br />

le caratteristiche necessarie per essere<br />

navigabili da tutti. [redattore sociale]<br />

SEGNALAZIONI<br />

Sfide per la Chiesa<br />

e un cardinale<br />

color speranza<br />

Giovanni Filoramo,<br />

La Chiesa e le sfide della<br />

modernità (Laterza, pagine<br />

208). Viviamo in Italia<br />

un rinnovato “scontro”<br />

tra Chiesa cattolica<br />

e modernità, che sembrava appartenere<br />

al passato, “impensabile” in una società<br />

postsecolare e incentrato su temi<br />

cruciali, come la famiglia, la questione<br />

sessuale, il relativismo etico, il rapporto<br />

con la politica, il lavoro, la guerra.<br />

Michele Ferrero,<br />

Il cardinale Zen. Rosso<br />

speranza (Elledici,<br />

pagine 231). Ritratto<br />

del coraggioso impegno<br />

ecclesiale, pastorale<br />

e sociale di uno dei personaggi<br />

più rispettati e influenti di Hong Kong.<br />

Non per nulla il cardinale Zen è stato<br />

identificato da molti come la “coscienza<br />

morale” della ex colonia, tornata<br />

nel 1997 sotto la sovranità<br />

della Repubblica Popolare di Cina.<br />

pagine altre pagine<br />

villaggio globale<br />

Il mondo che guarda “oltre”,<br />

pagine dalle altre religioni<br />

per aprire spazi di dialogo<br />

di Francesco Dragonetti<br />

Regalare un libro di tema religioso? Natale è tempo di approfondimento<br />

della nostra fede. Ma può essere anche il momento per parlare di altre<br />

religioni, per approfondirne la conoscenza e il dialogo senza pregiudizi né<br />

ingenuità. Dunque per accostarsi a testi che aiutino a scoprire il patrimonio<br />

di spiritualità che è insito nelle varie tradizioni religiose del mondo, anche<br />

quelle più lontane dalla nostra cultura e dalla fede cristiana.<br />

Dalai Lama. L’abbraccio del mondo. Quando scienza<br />

e spiritualità si incontrano (Sperling 2007, pagine 224)<br />

è opera di Tenzin Gyatso: il quattordicesimo Dalai Lama<br />

buddista offre al lettore, tramite parole ponderate, la possibilità<br />

di una crescita spirituale, in grado di far dialogare le risposte<br />

“quantitative” della scienza con quelle “qualitative” della religione.<br />

Sempre in Oriente, i Kami (termine comunemente tradotto<br />

con “divinità”, ma più accuratamente “essenze spirituali”)<br />

sono i mille volti del divino presente nella natura secondo<br />

lo shintoismo giapponese. Di questa religione e del suo ruolo<br />

politico nel Sol Levante tratta Lo shintoismo di Stefano<br />

Vecchia (Xenia 2007, pagine 126): il testo illustra la religione ancestrale<br />

del Giappone, con le sue credenze, i suoi testi sacri e i suoi culti<br />

(la mitologia shinto e la venerazione degli antenati).<br />

Capire il confucianesimo di Jennifer Oldstone-Moore (Feltrinelli<br />

2007, pagine 120) costituisce una succinta e autorevole<br />

introduzione a una delle grandi tradizioni religiose e culturali<br />

del mondo. Il libro è organizzato intorno a nove temi-chiave:<br />

origini e sviluppo storico, aspetti del divino, testi sacri, persone<br />

sacre, principi etici, spazi sacri, tempo sacro, morte e aldilà, società<br />

e religione. Ciascuno di questi temi è arricchito con citazioni<br />

o con riassunti di testi storici, accompagnati da un commento d’autore<br />

che spiega il significato di ciascun testo o lo colloca nel suo contesto.<br />

Infine Islam. Conoscere e capire la religione musulmana<br />

di Augusto Negri (Utet Università 2007, pagine 160)<br />

è un libro agile, che però contiene tutto quello che serve<br />

per avvicinarsi alla religione musulmana. È un testo<br />

per chi ha veramente voglia di capire un mondo<br />

apparentemente così lontano, eppure così vicino non solo<br />

geograficamente, ma anche storicamente. Un piccolo contributo<br />

verso la conoscenza di una delle religioni più diffuse nel mondo.<br />

Il mondo che ci entra<br />

in casa. Studenti<br />

che si avvicinano<br />

al volontariato.<br />

Un quartiere che accoglie<br />

senza pregiudizi<br />

famiglie rom.<br />

La quotidianità sa<br />

ancora sorprendere:<br />

non è detto che debbano<br />

prevalere paure e ostilità<br />

storie di speranza<br />

a cura di Danilo Angelelli<br />

LENTI NUOVE VITA NUOVA<br />

E UNA CADUTA CHE CAMBIA LA VITA<br />

Sono appassionata di fotografia. Recentemente, pur restando nella mia città,<br />

ho fotografato donne indiane con i loro caratteristici abiti, gruppi di ivoriani<br />

in preghiera durante il Ramadan, famiglie srilankesi in pellegrinaggio al santuario<br />

di Santa Rosalia. Ho incrociato sguardi di dolore, di tristezza, di nostalgia per il paese<br />

lasciato. Ma anche di speranza e voglia di costruire nel nostro territorio un pezzo<br />

delle proprie tradizioni, del proprio mondo. Spero che l’obiettivo della mia macchina<br />

fotografica abbia colto tutto questo. E quanto, a volte, questi nostri fratelli desiderano<br />

venirci incontro. È il mondo che entra nelle nostre case. E non può che arricchirle.<br />

(Erminia Scaglia, <strong>Caritas</strong> diocesana di Palermo)<br />

Da tre anni promuoviamo un progetto che vuole offrire ai ragazzi delle scuole superiori<br />

la possibilità di sperimentarsi nel servizio, a diretto contatto con persone in difficoltà.<br />

E sono stati molti i giovani che ci hanno manifestato la loro sorpresa nel rendersi conto<br />

che appena dietro l’angolo c’è una realtà di forte disagio. Molti anche quelli che poi<br />

“insistono” nel contatto con questa realtà, facendola diventare parte della propria vita.<br />

In quei casi l’adesione al nostro progetto ha rappresentato solo l’inizio di un personale<br />

cammino, a contatto con il mondo del disagio e del volontariato.<br />

(Roberto Calzà, vicedirettore <strong>Caritas</strong> diocesana di Trento)<br />

Ho sentito alcuni rappresentanti dell’associazione del quartiere Isolotto-Torri Cintoia,<br />

periferia di Firenze, parlare con normalità delle famiglie rom loro vicine<br />

di casa, assegnatarie di alloggi popolari. È la prova tangibile di uno sforzo<br />

fatto dalle istituzioni di integrare una componente della popolazione difficile<br />

come quella dei rom (che altrove ha creato grandi problemi, all’interno<br />

del tessuto sociale), ma soprattutto della capacità di accoglienza e accettazione<br />

da parte di persone che guardano l’altro per ciò che è umanamente, con i suoi<br />

problemi e le sue risorse, e non per lo stigma che si può portare dietro.<br />

(Annalisa Tonarelli, <strong>Caritas</strong> diocesana di Firenze)<br />

Alla fine di uno dei corsi di formazione per un approccio nonviolento<br />

alle relazioni, una persona che viveva un grande disagio, sia a livello lavorativo<br />

che familiare, ha raccontato che aveva provato a mettere in atto gli strumenti<br />

di cui avevamo parlato nel corso. Da quel momento ha avuto l’impressione<br />

di “cambiare le lenti dei propri occhiali”: le stesse vicende adesso cercava<br />

di viverle non come minaccia, ma in maniera propositiva. Parlava di lenti<br />

capaci di ricreare in maniera nuova il contesto che lo circondava...<br />

(Paolo Chiavaroli, <strong>Caritas</strong> diocesana di Pescara-Penne)<br />

Un uomo tunisino, a causa di una caduta da un’impalcatura mentre era sul posto di lavoro,<br />

ha dovuto portare per un certo periodo le stampelle. Improvvisamente si è trovato senza<br />

lavoro e di conseguenza senza casa. Uno straniero con le stampelle: si prevedeva una difficile<br />

integrazione. Invece, per merito della sua onestà e voglia di fare, ha trovato dopo poco un<br />

posto di lavoro da custode. Ce l’ha fatta, nonostante tutto: è uscito dal dormitorio dove nel<br />

frattempo era stato ospitato, ha trovato una casa propria e uno spazio di socializzazione non<br />

dipendente dai nostri servizi. (don Valerio Di Trapani, direttore <strong>Caritas</strong> diocesana di Catania).<br />

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Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e dunque vieni sempre, Signore.<br />

Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e dunque vieni sempre, Signore.<br />

Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e dunque vieni sempre, Signore.<br />

Vieni, Figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace: e dunque vieni sempre, Signore.<br />

Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore.<br />

Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: e dunque vieni sempre, Signore.<br />

Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti: e dunque vieni sempre, Signore.<br />

Vieni, tu che ci ami: nessuno è in comunione col fratello se prima non lo è con te, o Signore.<br />

Noi siamo tutti lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.<br />

Vieni, Signore. Vieni sempre, Signore. David Maria Turoldo, Vieni di notte<br />

ITALIA CARITAS AUGURA AI SUOI LETTORI UN NATALE E UN ANNO NUOVO RISCHIARATI DALLA VENUTA DI GESÙ<br />

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,<br />

stampa e spedizione di Italia <strong>Caritas</strong>, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:<br />

<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> - c.c.p. 347013 - via Aurelia, 796 - 00165 Roma - www.caritasitaliana.it<br />

NATIVITÀ CON SAN GIORGIO E SAN VINCENZO FERRER FILIPPO LIPPI (1450 - 1475), MUSEO CIVICO, PRATO

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