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POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO <strong>10</strong> - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
dicembre 2007 / gennaio 2008<br />
SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI<br />
NATALE PER TUTTI<br />
POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO<br />
MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?<br />
ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE
sommario ANNO XL NUMERO <strong>10</strong><br />
IN COPERTINA<br />
Bambini somali, rifugiati<br />
nei campi spontanei<br />
sorti a poche decine<br />
di chilometri dalla capitale<br />
Mogadiscio, da cui<br />
in autunno sono fuggite<br />
centinaia di migliaia di persone<br />
foto Davide Bernocchi<br />
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO <strong>10</strong> - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />
dicembre 2007 / gennaio 2008<br />
editoriale di Vittorio Nozza<br />
UN DOPPIO CORAGGIO VINCE LE VITTORIE DEL MALE 3<br />
parola e parole di Giovanni Nicolini<br />
LA STELLA CHE PREVIENE I VIAGGIATORI DELLA NOTTE 5<br />
paese caritas di Flavio Ricci<br />
LE SBARRE E LA RETE, COSÌ SI BATTE IL PREGIUDIZIO 6<br />
nazionale<br />
CONDANNA A VITA? COSÌ SI BATTE LA POVERTÀ 8<br />
di Walter Nanni<br />
BUONE NUOVE IN FINANZIARIA, RESTA LA LOGICA DELL’EMERGENZA <strong>10</strong><br />
di Francesco Marsico<br />
database di Walter Nanni 13<br />
I MUTUI CHE RIVELANO UN POPOLO DI INDEBITATI 14<br />
di Andrea La Regina<br />
dall’altro mondo di Antonio Ricci 18<br />
CREARE CULTURA E RETI PER VINCERE IL LAMENTO 19<br />
di Liberato Canadà<br />
contrappunto di Domenico Rosati 21<br />
gli appelli GUERRA IN SOMALIA, CICLONE IN BANGLADESH 22<br />
panoramacaritas MARCIA, SERVIZIO CIVILE, COOPERAZIONE 22<br />
progetti PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI 24<br />
internazionale<br />
ALGERIA, L’AFRICA CHE NON ARRIVA AL MIRAGGIO D’OLTREMARE 26<br />
servizi di Umberta Fabris, Anna Pozzi e Francesco Spagnolo foto di Hamza Bahri<br />
guerre alla finestra di Francesco Meneghetti 32<br />
casa comune di Gianni Borsa 33<br />
L'ONDA E LE GUERRE, UNA VITA DA SFOLLATI 34<br />
di Giovanna Federici e Gianluca Ranzato<br />
TSUNAMI: DOPO LA CATASTROFE, PROGETTI IN SETTE PAESI 36<br />
di Maria Chiara Cremona<br />
contrappunto di Alberto Bobbio 39<br />
agenda territori 40<br />
villaggio globale 44<br />
storie di speranza di Danilo Angelelli<br />
LENTI NUOVE VITA NUOVA E UNA CADUTA CHE CAMBIA LA VITA 47<br />
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI<br />
NATALE PER TUTTI<br />
POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO<br />
MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?<br />
ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE<br />
Mensile della <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
Organismo Pastorale della Cei<br />
via Aurelia, 796<br />
00165 Roma<br />
www.caritasitaliana.it<br />
email:<br />
italiacaritas@caritasitaliana.it<br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
direttore<br />
Vittorio Nozza<br />
direttore responsabile<br />
Ferruccio Ferrante<br />
coordinatore di redazione<br />
Paolo Brivio<br />
in redazione<br />
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,<br />
Salvatore Ferdinandi, Andrea La Regina, Renato<br />
Marinaro, Francesco Marsico, Walter Nanni,<br />
Giancarlo Perego, Domenico Rosati<br />
progetto grafico e impaginazione<br />
Francesco Camagna (francesco@camagna.it)<br />
Simona Corvaia (simona.corvaia@fastwebnet.it)<br />
stampa<br />
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via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)<br />
Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408<br />
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via Aurelia, 796 - 00165 Roma<br />
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in abbonamento postale<br />
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)<br />
art.1 comma 2 DCB - Roma<br />
Autorizzazione numero 12478<br />
del 26/11/1968 Tribunale di Roma<br />
Chiuso in redazione il 30/11/2007<br />
AVVISO AI LETTORI<br />
Per ricevere Italia <strong>Caritas</strong> per un anno occorre versare<br />
un contributo alle spese di realizzazione di almeno<br />
15 euro: causale contributo Italia <strong>Caritas</strong>.<br />
La <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, su autorizzazione della Cei, può<br />
trattenere fino al 5% sulle offerte per coprire i costi di<br />
organizzazione, funzionamento e sensibilizzazione.<br />
Le offerte vanno inoltrate a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> tramite:<br />
● Versamento su c/c postale n. 347013<br />
● Bonifico una tantum o permanente a:<br />
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conto corrente 11113<br />
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telefonando a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> 06 66177001<br />
Cartasì anche on line, sul sito<br />
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)<br />
5 PER MILLE<br />
Per destinarlo a <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, firmare il primo<br />
dei quattro riquadri sulla dichiarazione dei redditi<br />
e indicare il codice fiscale 80<strong>10</strong>2590587<br />
editoriale<br />
UN DOPPIO CORAGGIO<br />
VINCE LE VITTORIE DEL MALE<br />
Ci sono volte in cui le notizie si accavallano sotto i nostri occhi,<br />
instillando un sovrappiù di tristezza e desolazione. È<br />
successo di nuovo tra ottobre e novembre. La morte della<br />
donna aggredita selvaggiamente a Roma, il suicidio dell’adolescente<br />
di Ischia vittima di isolamento e dileggio, la scomparsa<br />
di don Oreste Benzi si sono rincorsi sui mass media nel giro di<br />
pochissime ore. Quasi a suggellare nell’immaginario pubblico<br />
l’eclissi della speranza: il male che inanella nuove vittorie,<br />
il bene che perde un araldo impareggiabile<br />
come don Oreste.<br />
Crediamo, sappiamo per certo<br />
che non è così. Ma siamo pure consapevoli<br />
che non basta contrapporre<br />
allo scoramento montante la risorsa<br />
di una fede soltanto proclamata, o<br />
declinata in astratto. Una fede incapace<br />
di tradursi, come proprio il fondatore<br />
della comunità Papa Giovanni<br />
XXIII ha insegnato per quarant’anni,<br />
in opere efficaci, costruite sui terreni<br />
dove molto ci si sporca le mani e più<br />
si gioca la maturazione umana.<br />
Ma è il delitto di Tor di Quinto, in particolare, a imporre<br />
un supplemento di riflessione. L’Italia ha pianto, si è indignata,<br />
ha sofferto, per l’efferato omicidio compiuto da un<br />
immigrato rumeno. Il pianto, la sofferenza, l’indignazione<br />
sono sentimenti giusti e comprensibili per l’enormità di<br />
quanto è accaduto. Così come è giusto ricordare che delitti<br />
e fatti egualmente gravi avvengono anche in altre città, passando<br />
a volte inosservati. La squadraccia che a Tor Bella<br />
Monaca ha massacrato un gruppo di rumeni colpevoli solo<br />
di essere tali è il segno più vistoso, e terribile, di quei meccanismi<br />
oscuri che scattano in un territorio, quando la convivenza<br />
civile non sembra più del tutto garantita. Certamente<br />
i picchiatori di Roma erano già pronti con le loro<br />
spranghe da tempo, e vogliosi di “dare una lezione” agli<br />
stranieri. L’omicidio di Giovanna Reggiani, per questa gen-<br />
Nella cronaca certe volte<br />
sembra manifestarsi<br />
l’eclissi della speranza.<br />
Ma non è vero che<br />
i conflitti sono inevitabili.<br />
Che esistono persone<br />
non integrabili. Verso<br />
la culla di Betlemme,<br />
tutelando la vita,<br />
praticando la solidarietà<br />
di Vittorio Nozza<br />
te già gonfia di odio, è stata la scintilla,<br />
quasi il pretesto che attendevano per<br />
sfogare la loro violenza, sentendosi<br />
“giustizieri”. Il timore è che gesti simili,<br />
in un momento di braci accese sotto<br />
un filo di cenere, possano generare facile<br />
e diffusa emulazione. Che altre<br />
bande possano trovare attraente l’idea<br />
di “farla pagare” a qualche malcapitato<br />
straniero, fornendo alle proprie frustrazioni<br />
e idee xenofobe l’alibi di una<br />
“supplenza” dello stato. È uno scenario<br />
di paura, che trova eco nelle parole<br />
di badanti e operai rumeni intervistati<br />
da radio e tv: l’ansia evidente di sopprimere<br />
l’accento dell’est, di precisare<br />
che i rom sono altro da loro. L’ansia di<br />
trovarsi in un paese dove ora la gente ti<br />
scruta, apertamente o impercettibilmente<br />
ostile.<br />
Regredisce, inaridisce<br />
L’hanno definita una decisa “risposta<br />
alla paura” e, persino, un vaccino<br />
contro il dilagare delle ronde, espres-<br />
sione di un rischiosissimo fai-da-te della sicurezza pubblica.<br />
C’è del vero in entrambe le definizioni, a proposito<br />
del “decreto espulsioni” varato dal governo sull’onda delle<br />
tragiche emozioni suscitate da una violenza assassina.<br />
C’è del vero, perché quando lo stato mostra di voler agire<br />
d’urgenza fa sempre impressione. Ora, aspettando e chiedendo<br />
una politica per la sicurezza ragionata, non ridestata<br />
come in un sussulto dal corpo massacrato di una<br />
donna, cerchiamo almeno di non lasciarci stordire dall’odore<br />
ferino della paura, che avvelena i cuori. Di provare<br />
per quello sconosciuto rumeno colpito con un machete a<br />
Tor Bella Monaca da un plotone di falsa e bestiale “giustizia”,<br />
la stessa pietà destinata alla signora Reggiani (e “meritata”<br />
anche dall’esemplare, umanissimo comportamento<br />
dei familiari). Apparteniamo allo stesso popolo, certi<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 3
editoriale<br />
che il male non è “straniero”, ma è invece da sempre vicino<br />
come la nostra ombra, insediato nel profondo di noi.<br />
Per l’Italia, ora, è il momento della riflessione sui due<br />
grandi temi che sono all’ordine del giorno per il prossimo<br />
futuro: sicurezza e solidarietà. Senza la sicurezza la nostra<br />
società regredisce, si riempie di istinti negativi al limite del<br />
razzismo, si colora di facili paure. Senza la solidarietà l’Italia<br />
si inaridisce, perde il senso di accoglienza che ha coltivato<br />
da sempre, svilisce lo spirito di umanità, di attenzione alla<br />
dignità di ogni persona che è alla base di tante iniziative per<br />
l’integrazione di genti e popoli che vengono da lontano.<br />
Unire solidarietà e sicurezza può sembrare difficile, ma<br />
è l’impresa per la quale dobbiamo tutti impegnarci. Per<br />
realizzarla sarebbe auspicabile, e possibile, un accordo tra<br />
le principali forze politiche, perché da essa dipende il futuro<br />
del paese. Rendere sicura la vita quotidiana delle persone<br />
vuol dire rispettare il contratto sociale minimo che è alla<br />
base della convivenza civile; vuol dire evitare la guerra di<br />
tutti contro tutti, nella quale si corre davvero il rischio che<br />
l’uomo diventi nemico per l’altro uomo. Sicurezza e solidarietà<br />
o crescono insieme, o insieme naufragano.<br />
Radici cristiane, principi costituzionali<br />
Ma la sicurezza può diventare una realtà stabile soltanto<br />
se accompagnata da un’opera di integrazione che chiede<br />
a tutti, cittadini e immigrati, il rispetto dei doveri di solidarietà<br />
che rendono coesa una compagine sociale. Su<br />
questo spesso si sente in giro un forte pessimismo:<br />
l’integrazione è quasi impossibile, occorrono anni, c’è chi<br />
non si integra veramente, i conflitti ideologici e religiosi<br />
sono inevitabili, e via di seguito. Ciò non è vero.<br />
Non è vero che è impossibile realizzare l’integrazione,<br />
perché moltissimi immigrati già si sono integrati e trovano<br />
in Italia un’accoglienza che non ricevono in altri paesi.<br />
Non è vero che i conflitti ideologici e religiosi sono inevitabili,<br />
perché la nostra identità storica e spirituale è stata<br />
tante volte il presupposto dell’accoglienza degli altri, e di<br />
una positiva convivenza. Non è vero che esistono persone<br />
che per definizione non possono integrarsi nella società,<br />
perché la nostra Costituzione e le nostre leggi prevedono<br />
gli strumenti idonei a fermare chi delinque e favorire chi<br />
agisce nel rispetto degli altri.<br />
A seconda delle situazioni che si presentano, alcune di<br />
queste affermazioni possono apparire ottimistiche o pessimistiche.<br />
Eppure occorre tener saldi ragione e sentimenti,<br />
anche andando controcorrente. Bisogna avere due<br />
volte coraggio: il coraggio di tutelare sempre la vita e la sicurezza<br />
di tutti (non solo quando sentiamo che esse sono<br />
in grave pericolo) e il coraggio di praticare la solidarietà in<br />
ogni momento (non solo quando avvertiamo di averla dimenticata).<br />
Le radici cristiane e i principi democratici della<br />
Costituzione sono oggi chiamati in causa e costituiscono<br />
la fonte più sicura per scelte coraggiose, che affrontino<br />
le sfide delle società multiculturali.<br />
Poiché è il senso del “bene comune” che risulta appannato,<br />
non perdiamo l’occasione di augurarci un buon<br />
Natale, ritrovando tutti insieme, come un unico popolo, il<br />
sentiero che porta alla culla di Betlemme.<br />
‘‘<br />
Aspettando una politica per la sicurezza ragionata,<br />
cerchiamo di non lasciarci stordire dall’odore ferino<br />
della paura, che finisce per avvelenare i cuori<br />
’’<br />
parola e parole<br />
LA STELLA CHE PREVIENE<br />
I VIAGGIATORI DELLA NOTTE<br />
Con il lume celeste, Signore, previenici sempre e dovunque, affinché contempliamo con<br />
sguardo puro e accogliamo con degno affetto il mistero di cui Tu ci hai voluto partecipi<br />
Èquesta un’antica preghiera della liturgia latina, che viene proclamata<br />
nell’“Orazione dopo la Comunione” il giorno dell’Epifania.<br />
Purtroppo la versione italiana perde alcune preziosità, che qui ho<br />
mantenuto, dal testo latino. Specialmente quel “previenici”, così bello e<br />
prezioso in questa grande invocazione dello Spirito Santo. Il “lume celeste”<br />
domandato in questa preghiera è infatti l’evocazione della stella che<br />
ha condotto i Magi fino a Betlemme. Ma la stella è a sua volta immagine<br />
dello Spirito Santo, che conduce tutti e tutto verso il Figlio di Dio.<br />
Nell’icona natalizia delle Chiese<br />
d’Oriente, sullo sfondo, sono sempre<br />
rappresentati i Magi che viaggiano verso<br />
il Bambino, e con grande slancio<br />
avanzano, fissando la stella che li guida.<br />
Mi piace unirmi a questi “Santi da<br />
lontano” e invitare allo stesso viaggio<br />
molti miei amici che cercano la stella<br />
nella notte della loro incredulità, e ai<br />
quali cerco di star vicino con emozione<br />
e speranza. La fede è, come dice la<br />
preghiera antica, un dono da contemplare<br />
e accogliere. Bisogna consentire,<br />
anzi favorire, un grande ingresso nella<br />
possibilità di contemplare il dono di Dio. Ma lo si può contemplare<br />
se questo dono viene alla vita di una persona senza<br />
condizioni, necessità di passaporti, barriere etiche.<br />
Quando Gesù è entrato nella casa di Zaccheo, quando<br />
la salvezza è entrata nella casa di Zaccheo, Zaccheo era ancora...<br />
quello che era! Ma, così com'era – un mascalzone –<br />
ha potuto contemplare il dono di Dio. E l’ha potuto accogliere<br />
con gioia! “Lo accolse pieno di gioia”: così il Vangelo<br />
dice di Zaccheo che accoglie Gesù in casa sua.<br />
Lo aspetto con gioia e ansia<br />
E così anche un mio sciagurato amico può accogliere il Signore<br />
nella casa della sua vita e della sua storia. Mi dice<br />
Verso il Natale con<br />
i “Santi da lontano”.<br />
Coloro che cercano,<br />
nella vicenda della loro<br />
incredulità. Il Mistero<br />
si regala e sorprende.<br />
Il Vangelo è atteso.<br />
E la fede non si possiede,<br />
ma ci “viene” in dono.<br />
Per accogliere il Bambino<br />
di Giovanni Nicolini<br />
questo amico: «Sai, la mia compagna<br />
aspetta un bambino... Lo aspettiamo<br />
tutti e due... Io lo aspetto con una gran<br />
gioia e una grande ansia».<br />
Il mistero! “Affinchè contempliamo<br />
con sguardo puro e accogliamo<br />
con degno affetto il mistero”. Sono<br />
tentato di reagire con ironia, ma per<br />
grazia di Dio mi fermo in tempo.<br />
Quanto basta per cedere al fatto che<br />
Dio il suo mistero lo regala come vuole.<br />
Magari in un bambino che sta nascendo<br />
e che sconvolge il cuore e la vita<br />
di suo padre.<br />
Allora tutto ritorna a Nazaret, all’annuncio<br />
primordiale: “Ti saluto,<br />
piena di grazia, il Signore è con te!”. Sì,<br />
il primo annuncio è sempre così: la<br />
meraviglia di un dono da contemplare<br />
e accogliere: “Ecco la serva del Signore.<br />
Avvenga a me secondo la tua<br />
parola”. Spero e prego per un Natale<br />
che sia contento di far precedere, a<br />
tutte le leggi, il dono! Come gli antichi<br />
Magi, i miei amici hanno grandi regali<br />
da portare al Bambino: lasciamoli viaggiare e arrivare! Non<br />
confondiamoli con le paure e gli inganni di Erode.<br />
Provate a “dire” il Vangelo: scoprirete che è atteso! Scoprirete<br />
che piacerà! Non chiedetevi subito se il vostro interlocutotre<br />
“ha la fede”. Nessuno, propriamente, ce l’ha. La fede<br />
“viene”. Insieme al dono, viene il gran dono di accoglierlo.<br />
Nasce il Bambino. Lasciamo spazio e consenso alla Stella<br />
che conduce i nostri amici lontani – anche i nostri figli? –<br />
verso il dono di Dio, il Bambino che nasce, Colui che solo<br />
può far nuove tutte le cose.<br />
Sento dire che la gente “cammina male”, cioè si comporta<br />
male. Non è il vero problema. Il problema oggi è non<br />
impedire ai viaggiatori della notte di vedere la Stella.<br />
4 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 5
LE SBARRE E LA RETE,<br />
COSÌ SI BATTE IL PREGIUDIZIO<br />
Il carcere di Montacuto è immerso nel verde, ma è come una ferita di<br />
cemento che deturpa, con i suoi cancelli e le sue sbarre, il suggestivo<br />
parco del Conero. La città – Ancona – è lontana, se ne intravede una<br />
parte dalla collina di fronte: anche la natura sembra sancire la separazione<br />
tra il mondo civile e quello di chi delinque. Tanto più che parlare di carcere<br />
oggi non è facile, perché la gente vive in un clima in cui la percezione<br />
dell’insicurezza e della precarietà della giustizia sono sempre più forti, anche<br />
a causa di un’informazione mediatica che suggestiona e condiziona.<br />
Anche il viaggio dei volontari <strong>Caritas</strong>,<br />
nella realtà di Montacuto, è stato<br />
in salita. Ma dopo sette anni si può<br />
dire che la separazione fisica e naturale<br />
tra i problemi di chi vive dietro le<br />
sbarre e la società civile si è in parte<br />
colmata. Gli operatori della <strong>Caritas</strong><br />
diocesana sono entrati a Montacuto<br />
spinti dalle parole di Giovanni Paolo<br />
II, che in occasione del Giubileo disse<br />
che bisognava visitare anche le “basiliche<br />
del dolore”: ospedali, carceri,<br />
luoghi dove si vive quotidianamente<br />
l’emarginazione e la sofferenza.<br />
Il primo passo è stato fatto proprio nel 2000, con il<br />
coordinamento di vari soggetti: insieme si è programmato<br />
un corso di formazione, che ha costituito un primo momento<br />
di sensibilizzazione per il territorio. Il corso è stato<br />
infatti ospitato dalla parrocchia di Santa Maria delle Grazie<br />
di Ancona, dove il parroco ha messo a disposizione anche<br />
un piccolo appartamento per l’accoglienza. Ricerca e<br />
offerta si sono incontrate: l’anno successivo è stato il consiglio<br />
pastorale a dare via libera e nel settembre 2001 è stata<br />
inaugurata casa “Le Grazie”, che accoglie le famiglie in<br />
visita ai detenuti.<br />
Incontrarsi con il “fuori”<br />
Ma la storia dell’attenzione al carcere non si è esaurita nella<br />
nuova casa. A Natale 2002 sono arrivate le prime lettere<br />
6 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
Il carcere spesso<br />
è concepito come<br />
un mondo a parte.<br />
Ma i detenuti non vanno<br />
considerati un corpo<br />
estraneo al territorio.<br />
Il coordinamento tra forze<br />
sociali e istituzionali<br />
è la chiave per superare<br />
paure e discriminazioni<br />
paese caritas<br />
di Flavio Ricci<br />
direttore <strong>Caritas</strong> Ancona<br />
di autorizzazione per svolgere attività<br />
di volontariato dentro il penitenziario;<br />
l’ingresso ufficiale dei primi volontari<br />
<strong>Caritas</strong> è avvenuto a gennaio<br />
2003 e ha fatto comprendere quanto<br />
sia importante adoperarsi per modificare<br />
la cultura del pregiudizio, spendendo<br />
maggiori energie nel settore<br />
della prevenzione.<br />
Intanto nel 2002 si erano costitui-<br />
ti la Conferenza regionale marchigia-<br />
na “Volontariato e giustizia”, cui aderiscono<br />
undici associazioni, e il Comitato<br />
carcere-territorio, voluto dal<br />
comune di Ancona e aperto a tutti i<br />
soggetti (pubblici, privati e del terzo<br />
settore) impegnati in ambito penitenziario.<br />
Il comitato ha rappresentato<br />
il tentativo, in una logica di coordinamento,<br />
di superare il muro di indifferenza<br />
e peggio di pregiudizio che<br />
da sempre circonda il mondo recluso,<br />
per far sorgere attorno al carcere<br />
una significativa rete di solidarietà.<br />
Un ulteriore frutto della collaborazione<br />
con il comune sarà Casa Orizzonte, struttura di accoglienza<br />
per detenuti in semilibertà o in permesso-premio,<br />
cui è consentito lavorare all’esterno o assaggiare spazi di<br />
libertà piccoli, ma preziosi e necessari per riprendere un<br />
contatto positivo con il territorio.<br />
I carcerati, insomma, non vanno relegati tra le quattro<br />
mura che li rinchiudono, quasi fossero un corpo estraneo<br />
alla società, un bubbone che sarebbe bello eliminare, se<br />
fosse possibile. Il carcere racchiude persone, problemi,<br />
difficoltà, che solo incontrandosi con il “fuori” diventando<br />
condivise, possono trovare spiragli di soluzione. Fare rete,<br />
attorno a un carcere, significa proporre progetti di accoglienza<br />
più incisivi. Ma anche costruire cultura, contro il<br />
pregiudizio. Che imprigiona la dignità delle persone e delle<br />
relazioni, e non contribuisce a creare sicurezza.<br />
un anno con Italia <strong>Caritas</strong><br />
Nel 2004 abbiamo cambiato veste.<br />
Da allora abbiamo migliorato sempre.<br />
Contenuti incisivi. Opinioni qualificate.<br />
Dati capaci di sondare i fenomeni sociali.<br />
Storie che raccontano l’Italia e il mondo.<br />
Un anno a 15 euro, causale “Italia <strong>Caritas</strong>”<br />
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO <strong>10</strong> - WWW.CARITASITALIANA.IT<br />
dicembre 2007 / gennaio 2008<br />
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA<br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
Italia <strong>Caritas</strong><br />
le notizie che contano<br />
SOMALIA, BANGLADESH, TSUNAMI: NON DIMENTICHIAMO GLI SFOLLATI<br />
NATALE PER TUTTI<br />
POVERTÀ UNA CONDANNA A VITA? STORIE E SVOLTE DI CHI NE È USCITO<br />
MUTUI LA CRISI E GLI ITALIANI, SIAMO UN POPOLO DI INDEBITATI?<br />
ALGERIA L’AFRICA CHE NON RAGGIUNGE IL MIRAGGIO D’OLTREMARE<br />
+<br />
Occasione 2008<br />
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nazionale<br />
CONDANNA<br />
A VITA?<br />
COSÌ<br />
SI BATTE<br />
LA POVERTÀ<br />
di Walter Nanni<br />
La povertà è una condanna a vita? Per molti,<br />
non per tutti. Dal tunnel si può uscire. Con le<br />
proprie forze, reggendosi sulla stampella<br />
dell’aiuto e dell’accompagnamento altrui.<br />
Che la qualifica di escluso non sia irreversibile,<br />
anche se le condizioni reddituali, relazionali<br />
e psicologiche e i meccanismi sociali ed economici<br />
che la giustificano tendono spesso ad autoperpetuarsi<br />
e cronicizzarsi, lo dimostrano molte storie di vita.<br />
A cominciare da quelle che oggi, per fortuna, possono<br />
raccontare molte persone accolte e seguite dai centri di<br />
ascolto <strong>Caritas</strong> sparsi in tutta Italia. La recente, settima<br />
edizione del Rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale<br />
di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Fondazione Zancan, significativamente<br />
siglata da un titolo interrogativo (Rassegnarsi alla<br />
povertà?), evidenzia che esistono percorsi possibili di<br />
uscita dalla povertà. Lo dimostrano le 124 interviste ri-<br />
volte a ex utenti delle <strong>Caritas</strong> diocesane in tutta Italia (53<br />
italiani e 71 stranieri), persone uscite “definitivamente”<br />
da situazioni acute di disagio, che non presentano più<br />
necessità urgente di intervento da parte delle <strong>Caritas</strong> o di<br />
altri enti assistenziali o caritativi. Due costanti emergono<br />
dai racconti: nella storia personale esiste sempre un<br />
“punto di svolta”; per uscire dallo stato di povertà è importante<br />
poter contare (anche) su un aiuto assistenziale.<br />
Il momento della svolta<br />
Non sempre il momento di svolta è connotato in termini<br />
positivi. In alcuni casi gli avvenimenti-chiave si riferiscono<br />
ad eventi negativi: lutti, licenziamenti, malattie.<br />
In virtù del forte impatto sul soggetto, questi eventi determinano<br />
però in qualche modo una “inversione di<br />
rotta” nella biografia personale. Per gli stranieri il “punto<br />
di svolta” più frequente si riferisce al tema del lavoro.<br />
Il settimo Rapporto sull’esclusione<br />
sociale <strong>Caritas</strong>-Zancan propone<br />
oltre cento storie di chi<br />
ce l’ha fatta, a rovesciare le sorti<br />
del proprio disagio. Conta<br />
l’aiuto materiale e assistenziale.<br />
Ma anche vicinanza e amicizia<br />
NON DI SOLI EURO<br />
Gli aiuti economici segnano<br />
spesso una svolta nelle<br />
storie di povertà. Ma per<br />
gli ex utenti dei centri d’ascolto<br />
valgono anzitutto le relazioni<br />
Conta molto il riuscire ad “avviare un’attività imprenditoriale<br />
in proprio”: la possibilità di sviluppare una professionalità<br />
autonoma è una risposta efficace, che migliora<br />
l’autostima della persona e mitiga alcuni degli effetti<br />
negativi determinati dall’inserimento degli immigrati<br />
in ambienti lavorativi potenzialmente respingenti.<br />
Segue la risoluzione dei problemi alloggiativi, che consente<br />
di accogliere le famiglie e sviluppare una dimensione<br />
personale di vita. Importante è anche la dimensione<br />
familiare: i punti di svolta possono essere legati a<br />
eventi lieti (l’arrivo in Italia dei figli per ricongiungimento<br />
familiare) ma anche negativi (il distacco dalla famiglia<br />
o dalla patria di origine). Per alcuni immigrati, il<br />
momento di svolta è avvenuto in occasione di un viaggio<br />
nel proprio paese: il confronto tra le dure condizioni<br />
di vita in patria e la situazione italiana ha determinato<br />
la decisione di rimanere nel nostro paese e impe-<br />
lotta all’esclusione<br />
DENUNCIA<br />
SENZA RASSEGNAZIONE<br />
La copertina di Rassegnarsi<br />
alla povertà? Il settimo<br />
Rapporto su povertà<br />
ed esclusione sociale in Italia<br />
di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Fondazione<br />
Zancan (Il Mulino, Bologna,<br />
ottobre 2007, euro 20)<br />
non si limita ad analizzare<br />
gli squilibri del nostro sistema<br />
di welfare, ma illustra<br />
i percorsi di uscita dalla povertà<br />
compiuti da ex utenti<br />
dei centri d’ascolto <strong>Caritas</strong><br />
gnarsi più a fondo nel processo di integrazione e inserimento<br />
sociale.<br />
Per gli ex utenti italiani, il punto di svolta non è mai<br />
rappresentato dal miglioramento della propria condizione<br />
economica: più che l’aiuto in denaro risulta strategico<br />
il riuscire a trovare un lavoro o ad avviare un’attività<br />
produttiva o lavorativa autonoma. Nell’ambito degli<br />
eventi familiari, alcuni fattori di svolta sono costituiti da<br />
episodi negativi, ma segnati da un forte impatto emotivo:<br />
la fuga da casa, la separazione dal partner, la morte di<br />
un genitore o di un altro familiare. Significativi sono<br />
inoltre gli aspetti psicologici e motivazionali:<br />
l’inversione di rotta dalla povertà scatta nel momento in<br />
cui il soggetto matura una capacità di discernimento e<br />
forti motivazioni di cambiamento; importante, in proposito,<br />
sono il “sostegno morale” e la “fiducia ricevuta”<br />
dagli operatori <strong>Caritas</strong>. Anche la questione abitativa si rivela<br />
importante, sia in casi negativi, come la perdita della<br />
casa o lo sfratto, sia in relazione a eventi drammatici,<br />
che hanno in qualche modo avviato una maggiore determinazione<br />
nel voler risolvere i propri problemi e un<br />
più elevato livello di coinvolgimento di parenti e amici.<br />
Non sentirsi abbandonati<br />
Quali sono gli interventi che hanno favorito, tra i 124 intervistati,<br />
l’uscita dalla povertà? Il sostegno ricevuto dalla<br />
<strong>Caritas</strong> è giudicato importante, con particolare riguardo<br />
agli aiuti alimentari ed economici e alla ricerca di una<br />
sistemazione lavorativa. Ma gli ex utenti segnalano soprattutto<br />
l’importanza del “rapporto di amicizia” venutosi<br />
a creare con alcune figure <strong>Caritas</strong>: un sacerdote, un<br />
operatore, un volontario. La possibilità di sviluppare un<br />
rapporto affettivo, il “non sentirsi abbandonati”, “non essere<br />
lasciati soli”, si confermano aspetti essenziali del<br />
percorso di rinascita, elementi che caratterizzano in senso<br />
positivo il modello di aiuto <strong>Caritas</strong> rispetto a quello di<br />
8 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 9<br />
ROMANO SICILIANI
nazionale<br />
altre organizzazioni o servizi socio-assistenziali.<br />
Nel complesso, il valore aggiunto individuabile nel<br />
modello di intervento <strong>Caritas</strong> risiede nell’approccio<br />
complessivo che viene offerto, all’interno del quale si<br />
tenta di coniugare l’aspetto concreto dell’aiuto al sostegno<br />
psicologico e affettivo. Va inoltre rilevata<br />
Buone nuove in Finanziaria,<br />
ma resta la logica dell’emergenza<br />
Il “pacchetto welfare” guarda solo alla previdenza. E nella manovra 2008<br />
troppe misure una tantum. Le politiche sociali necessitano di visione strategica<br />
Rdi Francesco Marsico<br />
iflettere sulla legge finanziaria, in particolare per<br />
quanto riguarda gli specifici strumenti di contrasto<br />
alla povertà, mentre nelle aule parlamentari<br />
si è già sviluppata la consueta straziante guerriglia<br />
che ne costella l’iter di approvazione, può<br />
apparire un vuoto esercizio di stile. Però è necessario sviluppare<br />
una riflessione critica in materia. Partendo da un<br />
dato essenziale: il nostro paese non offre ai cittadini risposte,<br />
in termini di servizi e risorse economiche, efficaci<br />
e uniformi a livello nazionale. A differenza della grande<br />
maggioranza dei paesi dell’Unione europea, non si è costruito<br />
un sistema organico di risposte sociali adeguato ai<br />
rischi di povertà, esclusione o disagio.<br />
Le politiche sociali non possono risolversi in interventi<br />
isolati, di carattere solo previdenziale, rivolti a categorie<br />
specifiche, costituiti solo da trasferimenti monetari. In Italia<br />
si è discusso per settimane sul cosiddetto “pacchetto<br />
welfare”, in realtà un mero “pacchetto previdenza”, che riguarda<br />
il tema – fondamentale, non esclusivo – del futuro<br />
pensionistico. Di vere e proprie politiche di contrasto alla<br />
povertà nessuno ha parlato in maniera altrettanto esplicita.<br />
Questi limiti culturali si mischiano al risanamento dei<br />
conti pubblici: poche risorse e idee confuse creano un mix<br />
micidiale, al quale si aggiunge l’instabilità politica, che erode<br />
capacità progettuale e visione strategica.<br />
La principale conseguenza è l’immobilità del dato sulla<br />
povertà assoluta e relativa, che l’Istat offre ogni anno alla<br />
riflessione del paese. Nel 2006 il 13% della popolazione,<br />
ovvero l’11% delle famiglie italiane, viveva in condizioni di<br />
povertà: il dato non varia da anni, se non per impercetti-<br />
<strong>10</strong> ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
l’importanza degli aspetti motivazionali e psicologici:<br />
accanto ad alcuni tipi di aiuto materiale, si evidenziano<br />
una serie di momenti ed eventi biografici (anche drammatici)<br />
che possono determinare di per sé un cambiamento<br />
di rotta. Tale peculiarità evidenzia la necessità di<br />
accostare ai tradizionali interventi materiali di contrasto<br />
bili scostamenti decimali. Senza demagogia: non sarebbe<br />
degno di essere assunto come priorità politica, invece di<br />
procedere secondo una perenne logica di emergenza e<br />
con provvedimenti una tantum?<br />
E chi non è neanche incapiente?<br />
Venendo allo specifico della manovra finanziaria per il<br />
2008, le linee di investimento sociale prescelte sono essenzialmente<br />
quattro: sostegno al reddito delle famiglie<br />
meno abbienti; contrasto del disagio abitativo; emanazione<br />
di livelli essenziali di assistenza, progressivamente esigibili,<br />
nel campo della non autosufficienza; consolidamento<br />
senza arretramenti dei principali fondi dedicati ai<br />
servizi socio-assistenziali e socio-educativi.<br />
Entrando nel dettaglio, il governo aveva già stabilito<br />
che 1.900 milioni di euro, provenienti dal cosiddetto “tesoretto”,<br />
fossero destinati per il 2007 al sostegno dei contribuenti<br />
a basso reddito, detti “incapienti”. Si tratta di una<br />
misura una tantum, che dovrebbe portare già a dicembre<br />
2007 a un’erogazione di 150 euro come rimborso forfettario,<br />
per i contribuenti che, pur avendovi titolo, non hanno<br />
potuto beneficiare nel 2006 di esenzioni fiscali Irpef, in<br />
quanto titolari di redditi così bassi da non essere stati assoggettati<br />
all’imposta. La somma aumenterà di 150 euro<br />
per ciascun familiare a carico. È significativo che per la<br />
prima volta si prendano in considerazione gli “incapienti”.<br />
È quanto <strong>Caritas</strong>, tra gli altri, va chiedendo da anni.<br />
L’impatto effettivo della misura è tuttavia reso poco più<br />
che simbolico da due fattori: si tratta di una misura una<br />
tantum (la cui ripetizione non è prevista dal disegno di<br />
ROMANO SICILIANI<br />
alla povertà economica anche azioni di rimotivazione,<br />
ri-socializzazione e di ricerca del senso della vita, come<br />
già avviene da parte di alcune <strong>Caritas</strong> diocesane della<br />
nostra penisola. Oltre alla canna, per tornare a pescare, è<br />
importante la fiducia in chi la porge, e la cura che costui<br />
dimostra nell’insegnare ad usarla.<br />
PASSAGGI PERICOLOSI<br />
Palazzo Madama, sede del<br />
Senato. Qui si gioca la sorte di<br />
Finanziaria e pacchetto welfare<br />
legge finanziaria per il<br />
2008); sono escluse le<br />
persone in condizioni di<br />
povertà estrema, le quali, non presentando denunce dei<br />
redditi (e spesso neppure essendo iscritte all’anagrafe fiscale),<br />
non beneficeranno di contributi. Cosa ben diversa<br />
sarebbe stata la previsione, per un certo periodo parsa<br />
possibile, di un fondo nazionale contro la povertà, da distribuirsi<br />
secondo un apposito piano strategico.<br />
Il governo lancia poi, grazie a 550 milioni di euro per il<br />
2008, un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica,<br />
con destinazione prioritaria per gli sfrattati, e prevede,<br />
sempre per il 2008, un fondo di 150 milioni per costituire<br />
una società pubblica che agevoli e stimoli i proprietari<br />
ad affittare i propri appartamenti nei comuni a più alta<br />
densità abitativa; inoltre è prevista la costituzione di osservatori<br />
nazionale e regionali sul disagio abitativo. Si tratta<br />
di misure di cosiddetto housing sociale, ossia destinate<br />
ad affrontare il grave problema del disagio abitativo: anche<br />
in questo caso la strada intrapresa appare corretta,<br />
sebbene il fatto che si tratti di interventi straordinari, per<br />
quanto non irrilevanti, rischia di vanificare l’obiettivo,<br />
cioè il varo di una politica abitativa degna di tal nome, fino<br />
a oggi quasi del tutto assente. La destinazione prioritaria<br />
agli sfrattati, per quanto comprensibile, rischia inoltre<br />
lotta all’esclusione<br />
Sara, che fa ballare la figlia<br />
«Mangio poco, sono una regina»<br />
Sara ha 37 anni, da quando ne aveva 14 soffre<br />
di anoressia nervosa. «Mia madre è rimasta incinta<br />
molto giovane, ma alle prime botte di mio padre…<br />
lei da una parte, lui dall’altra. Lui l’ho conosciuto<br />
solo qualche anno fa: è sempre stato un poco di buono;<br />
entra ed esce dal carcere, non si contano i soldi<br />
che ha, tutti guadagnati con i suoi traffici.<br />
Ma io quei soldi non li ho mai voluti».<br />
A un certo punto, Sara ha una relazione affettiva.<br />
Ma scopre che l’amore può essere una sfortuna.<br />
Lui è un tossicodipendente, lei comincia a drogarsi.<br />
E rimane incinta. «Speravo che mi salvasse, mi portasse<br />
via da tutto lo schifo. Invece mi sono ritrovata<br />
con un delinquente. Quando ho saputo di essere incinta<br />
sono andata fuori di testa: mi sono precipitata al Sert,<br />
volevo aiuto, volevo smettere. Mia figlia è nata al sesto<br />
mese, perché il mio ex voleva che abortissi: una sera,<br />
dopo una lite furibonda, mi ha preso a calci nella pancia<br />
e stavo per partorire a casa. Hanno fatto appena<br />
in tempo a tirarmi fuori la bimba e me l’hanno subito<br />
portata via. Mi hanno portato in una casa di accoglienza<br />
<strong>Caritas</strong>, la bambina è arrivata tre mesi dopo.<br />
Doveva arrivare più tardi, ma l’assistente sociale<br />
ha visto che ero pelle e ossa, se non la vedevo morivo».<br />
Il percorso di uscita dalla povertà è cominciato grazie<br />
a un lavoro e al completamento degli studi.<br />
«Sono diventata infermiera professionale e ho vinto<br />
il concorso. Intanto la <strong>Caritas</strong> mi aveva messa<br />
in contatto con la parrocchia vicina: abbiamo trovato<br />
una famiglia che ci ha un po’ adottate, me<br />
e la bambina. La svolta è venuta quando ho comprato<br />
la casa e ci siamo legate a questa famiglia. Sono brave<br />
persone, hanno una figlia che ha quasi l’età di mia<br />
figlia, è come se fosse una sorellina, no? Oggi la mia<br />
bimba ha 8 anni, ma delle volte mi fa da mamma,<br />
sembra che ne abbia 18! A scuola è bravissima, quando<br />
vado a parlare con le maestre sono solo complimenti,<br />
l’ho iscritta a danza, faccio gli straordinari per<br />
mandarcela, le piace tanto. Adesso stiamo bene,<br />
abbiamo la nostra casa, nessuno ci manda via. A fine<br />
mese è dura, io mangio poco ma a lei non manca nulla.<br />
A volte prendo i vestiti dalla <strong>Caritas</strong>, non mi vergogno.<br />
Ma rispetto a qualche anno fa, mi sento una regina…».<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 11
nazionale<br />
Fatima ha una tavola calda<br />
«Ce l’ho fatta grazie ai volontari»<br />
Fatima proviene dall’Iraq. Ha 37 anni ed è dovuta<br />
fuggire verso la Germania, insieme al marito, nel 2002.<br />
Da sola, con il figlio di 12 anni, è arrivata a Roma,<br />
dove si sono dichiarati rifugiati politici. «Con i soldi<br />
che mi mandava mio marito pagavo l’affitto di una casa<br />
in via Inghilterra e compravo il necessario. Ho il diploma<br />
di scuola alberghiera e ho cercato lavoro, ma dopo due<br />
mesi in una pizzeria non mi pagavano e sono andata<br />
via. Poi, un’estate, sono stata due mesi in Germania,<br />
ma quando sono tornata avevo lo sfratto. Non stavo<br />
bene, ero in difficoltà. Mio marito non poteva<br />
più mandarmi soldi».<br />
Fatima trova il coraggio di rivolgersi al centro<br />
d’ascolto <strong>Caritas</strong>. «Avevo paura che mi facessero<br />
delle domande, ma sapevo che ci andava altra gente…<br />
Sono stata ospitata per 23 giorni in un centro<br />
di accoglienza parrocchiale, poi sono andata ad abitare<br />
con mio figlio presso un’anziana che si era rivolta<br />
al centro di ascolto, offrendo vitto e alloggio in cambio<br />
di compagnia e piccoli servizi. Un mese dopo<br />
sono stata ricoverata per un intervento chirurgico<br />
e le volontarie della <strong>Caritas</strong> si sono occupate<br />
della mia assistenza e di mio figlio. Lo hanno ospitato,<br />
accompagnato a scuola e seguito nei compiti, lo hanno<br />
portato in ospedale per farci incontrare. Faceva freddo,<br />
gli hanno dato dei vestiti pesanti, lo hanno fatto<br />
dormire da una famiglia che avevamo conosciuto<br />
al centro di accoglienza…».<br />
Il punto di svolta arriva con la possibilità di avviare<br />
un’attività. «Quando sono guarita, insieme a una<br />
volontaria mi sono informata su cosa dovevo fare<br />
per aprire una tavola calda, quali pratiche dovevo fare,<br />
se c’erano aiuti per le donne. Ce l’ho fatta: oggi cucino<br />
cibo del mio paese. Non è stato importante solo poter<br />
contare su un aiuto materiale. Certo, il cibo, i vestiti,<br />
i libri e lo zaino per il ragazzo... Ma soprattutto<br />
i volontari mi hanno spiegato cosa dovevo fare<br />
per aprire l’attività, dove dovevo andare per le carte.<br />
Hanno garantito per me con il padrone del locale.<br />
La tavola calda è andata subito abbastanza bene,<br />
poi è venuto mio marito. Un mese fa abbiamo avuto<br />
una bambina. Lavoriamo e il fratello più grande la guarda.<br />
Oggi viviamo tutti insieme. E ci sentiamo abbastanza tranquilli».<br />
12 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
lotta all’esclusione<br />
ASCOLTARE, SVOLTARE<br />
Colloquio in un centro d’ascolto<br />
a Genova. La relazione è cruciale<br />
per aiutare a superare il disagio<br />
di trasformarsi in un<br />
boomerang, in termini<br />
di tensioni sociali, nelle<br />
realtà ove vi siano lunghe liste di attesa, che bisognerà<br />
stravolgere per seguire tale priorità.<br />
In terzo luogo, viene portato da <strong>10</strong>0 e 400 milioni il fondo<br />
nazionale per la non autosufficienza, con la dichiarata<br />
intenzione di fissare, con decreto collegato alla Finanziaria,<br />
i Livelli essenziali, da rendere esigibili nell’arco di un<br />
triennio, aumentando progressivamente il fondo sino al<br />
punto necessario (circa 2 miliardi di euro l’anno di fonte<br />
statale, da aggiungere ai fondi regionali). L’incremento è significativo,<br />
e si spera rivelatore di un’effettiva volontà politica<br />
di fissare, almeno in questo ambito, i Liveas-Lea previsti<br />
dall’articolo 117 della Costituzione e sinora inattuati.<br />
Infine, vengono incrementati di 25 milioni per il 2008 il<br />
fondo nazionale per le politiche sociali e i fondi destinati al<br />
piano straordinario per lo sviluppo del sistema territoriale<br />
dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, previsti<br />
dalla Finanziaria 2007. Anche in questo caso si tratta di un<br />
segnale apprezzabile nelle intenzioni e sotto il profilo culturale,<br />
ma insufficiente dal punto di vista quantitativo.<br />
Prospettive per una “grande opera”<br />
Segnalare mancanze è sempre più facile che fornire prospettive.<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Fondazione Zancan hanno però<br />
provato a porre la questione di una graduale definizione di<br />
un piano di contrasto organico delle povertà (vedi IC<br />
7/2007). In concreto, bisognerebbe chiarire durata o progressività<br />
delle misure adottate, gli strumenti per valutarle,<br />
lo scenario complessivo in cui si collocano. E coordinare le<br />
misure della Finanziaria a livello nazionale, accordandole<br />
anche agli strumenti che regioni ed enti locali mettono in<br />
atto. Sarebbe una “grande opera”, capace di dare dignità,<br />
futuro e diritti a ogni cittadino di questo paese.<br />
nazionale<br />
CURARSI È IMPOVERIRSI<br />
LA SALUTE CI COSTA CARA<br />
di Walter Nanni<br />
Le spese sanitarie? Salvano la vita. Ma possono impoverire. Il<br />
quinto Rapporto Ceis Sanità 2007, realizzato dal Centro di ricerca<br />
della facoltà di economia dell’Università di Roma Tor<br />
Vergata, mette in evidenza alcuni dati relativi agli effetti negativi<br />
che le spese sanitarie possono avere sui bilanci delle famiglie italiane.<br />
Dal rapporto emerge che è in crescita il rischio di impoverimento<br />
di chi deve sostenere spese sanitarie non coperte dal Servizio<br />
sanitario nazionale, in particolare per le cure odontoiatriche e<br />
l’assistenza alle persone non autosufficienti.<br />
Sono sempre di più, ben 948.253<br />
(il 4,1% del totale), le famiglie gravate<br />
da spese definite “catastrofiche” sostenute<br />
per la salute. Notevoli le differenze<br />
regionali: rischio massimo in<br />
Calabria, dove il fenomeno colpisce<br />
l’11,2% delle famiglie, minimo in<br />
Emilia Romagna (1,2%). Le spese “catastrofiche”<br />
sono più frequenti tra i<br />
meno abbienti (lo sono per il 14,1% di<br />
quanti stanno nel primo quintile di<br />
ricchezza, per il 2,2% di chi sta nel secondo<br />
quintile), ma il fenomeno incide<br />
anche sui cosiddetti ceti medi (nel<br />
terzo quintile le famiglie colpite sono l’1,2%). Nonostante<br />
sia riservato al settore privato quasi il 25% della spesa sanitaria,<br />
i dati disponibili confermano che solo il 6,1% delle<br />
famiglie (prevalentemente abbienti) hanno coperture assicurative.<br />
E fra queste c’è una bassa incidenza di polizze<br />
che coprono l’intero nucleo familiare (il 31,3%).<br />
Il fenomeno dell’impoverimento dovuto in gran parte<br />
alle spese sanitarie private è in costante crescita: le famiglie<br />
già concretamente impoverite per motivi sanitari<br />
sono 346.069 (1,5% della popolazione italiana). Forti,<br />
anche in questo caso, le differenze regionali: si va dallo<br />
0,3% della Toscana al 4,9% della Calabria.<br />
Più a rischio di impoverimento sono gli anziani, in particolare<br />
le persone sole over 65 e le coppie senza figli con<br />
uno dei due coniugi anziano (il rischio è, nei due casi, del<br />
Aumenta il numero<br />
di famiglie italiane<br />
che vedono dissestato<br />
il proprio bilancio<br />
dalle spese sanitarie<br />
sostenute in strutture<br />
private. Intanto negli<br />
ospedali meno posti letto<br />
e più personale:<br />
la spesa ospedaliera<br />
non è razionale<br />
esclusione politiche database sociale sociali<br />
2,9% e 2,3%). Ma l’impoverimento colpisce<br />
sempre più anche le coppie con<br />
figli: la percentuale di famiglie impoverite<br />
è passata dallo 0,6% all’1,2% per<br />
le coppie con un figlio, dall’1,1%<br />
all’1,9% per quelle con tre o più figli.<br />
Una situazione che si accompagna<br />
peraltro a una crescita dell’incidenza<br />
della povertà (dal 22,4% al 24,1%).<br />
Una maggiore qualità?<br />
L’indagine Ceis si sofferma anche<br />
sulla de-ospedalizzazione. Dal 2000<br />
al 2005 si è realizzata in Italia (con<br />
eccezione di Molise, Abruzzo e Sicilia)<br />
una drastica riduzione dei posti<br />
letto ospedalieri: si è passati da una<br />
disponibilità di 5,1 posti letto per<br />
mille abitanti a una del 4,6; inoltre si<br />
è ridotta la quota di spesa per<br />
l’assistenza ospedaliera (il 47% della<br />
spesa sanitaria nel 2005).<br />
Alla contrazione dei posti letto<br />
non è corrisposta però una riduzione<br />
degli organici. Ciò sembra preludere<br />
a una maggiore qualità dell’assistenza, ma suscita<br />
preoccupazioni per la razionalizzazione complessiva<br />
dell’assistenza ospedaliera. I medici delle strutture di ricovero<br />
sono infatti aumentati, a livello nazionale, del<br />
7,7%, mentre gli infermieri, nonostante sia aumentata la<br />
loro disponibilità per posto letto, si sono ridotti del 2,3%:<br />
in particolare si è passati, per quanto riguarda i medici,<br />
da 0,36 per posto letto nel 2000 a 0,43 nel 2005, mentre<br />
per quanto riguarda gli infermieri si è passati da 0,88 a 1<br />
unità di personale per posto letto.<br />
A livello regionale i dati disegnano una situazione<br />
estremamente differenziata: si passa da 0,31 medici per<br />
posto letto nella provincia autonoma di Trento a 0,62 in<br />
Valle d’Aosta; quanto agli infermieri, si va dallo 0,78 in<br />
Calabria all’1,34 in Liguria.<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 13
ROMANO SICILIANI<br />
nazionale<br />
I MUTUI CHE RIVELANO<br />
UN POPOLO DI INDEBITATI<br />
di Andrea La Regina<br />
Le famiglie italiane si trovano ogni giorno di<br />
fronte a complesse emergenze sociali ed<br />
economiche, che creano un clima di insicurezza.<br />
Le istituzioni, non solo finanziarie,<br />
non riescono a monitorare queste<br />
emergenze se non dopo la loro insorgenza<br />
e non approntano gli ammortizzatori sociali,<br />
né adottano le misure strutturali che sarebbero di<br />
vero e concreto aiuto alle famiglie. Ultima emergenza<br />
in ordine di tempo, la crisi dei mutui americani.<br />
Nonostante le rassicurazioni manifestate da più parti,<br />
essa ha avuto conseguenze almeno indirette sulla<br />
ATTENTI<br />
AL TASSO<br />
Giovane coppia<br />
alla ricerca<br />
di una casa.<br />
Ma i mutui<br />
più recenti<br />
hanno riservato<br />
cattive sorprese<br />
realtà italiana: l’aumento del tasso di interesse variabile<br />
ha colpito molte persone e famiglie, perché il ritocco dei<br />
tassi ha innescato aumenti anche considerevoli delle<br />
rate dei mutui sottoscritti (soprattutto per l’acquisto<br />
della casa) con tasso variabile.<br />
Le associazioni dei consumatori accusano le banche<br />
di avere preferito e “spinto” il tasso variabile, proponendolo<br />
ai cittadini consumatori pur in previsione di un futuro<br />
rialzo dei tassi. Questo fenomeno pone in evidenza il<br />
tema più generale dell’accesso al credito in Italia: molte<br />
famiglie vivono nell’esclusione “finanziaria” per varie cause<br />
e le istituzioni bancarie non sono in grado di proporre<br />
La crisi “importata” dagli Stati Uniti.<br />
E il sovraindebitamento dovuto<br />
allo scriteriato accesso al credito<br />
al consumo. Gli italiani non sono<br />
più risparmiatori? Servono maggiore<br />
trasparenza e nuovi strumenti<br />
da parte di banche e finanziarie<br />
strumenti innovativi. Ciò vale soprattutto per molte famiglie<br />
di lavoratori atipici, che nonostante la garanzia reale<br />
costituita dal bene immobile, non trovano accesso al credito<br />
a causa della instabilità del rapporto di lavoro.<br />
Sviluppo positivo, impatto letale<br />
In passato l’esclusione dall’accesso al credito, da parte<br />
delle banche, riguardava soprattutto chi non poteva offrire<br />
garanzie reali o non era “sicuro”, perché protestato<br />
o inaffidabile, senza che si procedesse a un accurato<br />
esame delle potenzialità reali di restituzione del denaro.<br />
In seguito questo spazio d’accesso al credito è stato occupato<br />
dalle finanziarie, la cui propaganda punta a intercettare<br />
la domanda dei soggetti più fragili ed esclusi.<br />
Molte famiglie hanno così incrementato l’uso di un<br />
nuovo strumento, il credito al consumo, senza tener<br />
conto delle spesse fisse molto alte che comporta e del<br />
tasso di interesse che le finanziarie, legalmente, possono<br />
praticare fino al 24%. Tutto ciò si è sommato, negli<br />
ultimi mesi, alla crisi dei mutui: molte famiglie si sono<br />
così trovate in condizione di sovraindebitamento.<br />
Gli esperti del settore ricordano che in Italia il ricorso<br />
al credito al consumo era molto basso e che il recente<br />
incremento rappresenta uno sviluppo positivo del<br />
mercato. Ma l’impatto su molte famiglie è stato letale:<br />
una propaganda ossessiva e a portata di mano, senza<br />
consulenza responsabile, può ingannare il cittadino<br />
consumatore, che si vede offrire su un piatto d’argento<br />
un accesso al credito certamente non a buon mercato e<br />
che ben presto può rivelarsi insostenibile.<br />
Così oggi i centri di ascolto <strong>Caritas</strong> e i soggetti antiusura<br />
e di microcredito si trovano a dover affrontare incombenze<br />
non specifiche: da un lato la tutela sociale di<br />
ha “acceso” fino a dieci finanziamenti (e in assenza di<br />
una giurisdizione chiara spesso deve fronteggiare contemporaneamente<br />
il peso del mutuo casa su cui incombe<br />
il pignoramento e il procedimento di vendita all’asta<br />
a causa della pressione smodata dei processi di recupe-<br />
finanza e famiglie<br />
ro credito); d’altro canto, la ricerca di soluzioni tramite<br />
fideiussioni, così che associazioni e fondazioni finiscono<br />
per assumersi rischi economici, per conto dell’indebitato,<br />
a causa del mancato intervento delle istituzioni.<br />
Ma non è possibile continuare a proporre soluzioni assistenzialistiche.<br />
Bisogna varare misure promozionali,<br />
anche tramite interventi legislativi ad hoc, capaci di andare<br />
oltre le emergenze e le proclamazioni di principio,<br />
che lasciano nell’abbandono le famiglie.<br />
Il fenomeno del sovraindebitamento viene spiegato<br />
da diverse tesi: c’è chi parla di decisioni sbagliate da parte<br />
del consumatore dovute alla carenza di informazioni;<br />
chi mette l’accento sulla irresponsabilità di consumatori,<br />
che finiscono per far gravare i propri problemi sull’intero<br />
sistema finanziario e sociale; chi accenna alla dipendenza<br />
indotta da una propaganda ossessiva che incoraggia<br />
il consumo; chi punta il dito contro la mancanza<br />
di un’educazione finanziaria diffusa. Ma l’eccessivo<br />
ricorso al credito non è solo un dinamismo del mercato<br />
economico, è segno delle difficoltà generalizzate di un<br />
sistema, che minacciano soprattutto le famiglie.<br />
Intermedi e sperimentali<br />
Di recente la Banca d’Italia ha fatto notare che la percentuale<br />
di famiglie che ha visto peggiorata la propria<br />
situazione reddituale è gradualmente ma notevolmente<br />
aumentata negli ultimi anni. Ci possono dunque essere<br />
state forme di irresponsabilità. Ma molti mutui casa sono<br />
stati contratti perché il costo degli affitti è elevatissimo,<br />
oltre che per assicurarsi abitazioni decenti e<br />
confortevoli. E così oggi ci si trova di fronte a casi molto<br />
frequenti di vendita all’asta, da parte delle banche, di<br />
case appartenute a famiglie in sofferenza economica. In<br />
campo nazionale, il numero di pignoramenti ed esecuzioni<br />
immobiliari interessa tantissime famiglie, come si<br />
può evincere dal numero elevato di procedimenti in<br />
corso presso i tribunali.<br />
Occorrerebbe che banche e finanziarie, in nome della<br />
propria responsabilità sociale d’impresa, affrontassero<br />
la crisi con strumenti intermedi e sperimentali, ai<br />
quali il legislatore – ove si dimostrassero funzionanti –<br />
potrebbe dare poi il placet istituzionale. In qualche paese<br />
europeo si prevedono già tre passaggi (tesi a verificare<br />
la possibilità di solvenza finanziaria del debitore) prima<br />
di arrivare alla vendita degli immobili, ma anche la<br />
possibilità di concordati successivi, in presenza di un<br />
terzo soggetto, non di tipo giurisdizionale ma capaci di<br />
realizzare tecnicamente un riordino delle pendenze,<br />
14 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 15
nazionale<br />
dando un’ulteriore possibilità a chi, per un motivo grave,<br />
si è trovato in una difficoltà imprevista.<br />
Le istituzioni finanziarie devono tenere conto delle<br />
esigenze di diversi “portatori di interessi”: bisogna rendere<br />
conto agli azionisti della banca e a chi ha affidato il<br />
denaro per l’investimento, ma occorre anche affinare la<br />
procedura di intermediazione finanziaria per consentire<br />
un responsabile accesso al credito da parte dei cittadini.<br />
Molte cose devono migliorare in Italia; la chiarezza<br />
dei patti iniziali, perché nonostante le iniziative attuate<br />
si può fare molto meglio; la consulenza, che dev’essere<br />
corretta e professionale; la possibilità e le procedure di<br />
Vent’anni a difesa dei cittadini consumatori.<br />
Adiconsum, associazione promossa dalla Cisl,<br />
li festeggia proprio nel momento in cui molti<br />
italiani sono alle prese con l’inasprimento dei<br />
mutui per l’acquisto della casa. Fabio Picciolini,<br />
segretario nazionale di Adiconsum, chiarisce meccanismi<br />
ed effetti, in Italia, della crisi importata dall’America.<br />
E ragiona su come evitarne altre.<br />
Crisi dei mutui cosiddetti subprime. Negli Stati<br />
Uniti migliaia di famiglie sono rimaste senza una<br />
casa. Da noi qual è la situazione reale?<br />
Se da un lato possiamo stare tranquilli (le banche italiane<br />
non accendono mutui a chi non è effettivamente è in<br />
grado di rimborsarli), d’altro canto la crisi si sta facendo<br />
sentire, e pesantemente, sui tassi d’interesse a livello<br />
globale. Euribor (l’indice europeo di riferimento per i<br />
tassi variabili) risente non poco della crisi dei subprime.<br />
E in Italia lo spread (in pratica il guadagno della banca)<br />
in molti casi è al 2%, percentuale altissima, che incide<br />
non poco sull’entità della rata. Così, se tra 2002 e 2004 i<br />
tassi di interesse erano compresi tra il 2 e il 3% e un mutuo<br />
costava 3,5-4% al massimo, oggi è al 5,5-6%. Le rate<br />
sono aumentate dal 30 al 50% rispetto a quando si è ac-<br />
16 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
concordato o rinegoziazione in presenza di situazioni<br />
non prevedibili; il costo, ancora alto, dei servizi bancari;<br />
l’applicazione delle recenti direttive Bersani sulla portabilità<br />
dei mutui; la sostenibilità del prestito, che va certificata<br />
e non affidata alla discrezionalità delle banche.<br />
La crisi dei mutui ha rappresentato un inquietante campanello<br />
d’allarme: occorre che tutti (istituzioni legislative<br />
e di controllo, imprese bancarie e finanziarie, associazioni<br />
dei risparmiatori, strumenti di informazione,<br />
agenzie educative) facciano la propria parte, perché gli<br />
italiani tornino a essere un popolo di risparmiatori. E<br />
non di indebitati.<br />
«Le banche sbagliano ancora,<br />
ma i consumatori si informino»<br />
Fabio Picciolini, segretario nazionale di Adiconsum, analizza gli effetti della crisi<br />
dei mutui sulle famiglie italiane. E indica gli strumenti per evitare nuovi problemi<br />
di Ettore Sutti<br />
ceso il mutuo. Invece i redditi non sono aumentati: secondo<br />
una ricerca di Nomisma, circa 400 mila famiglie<br />
italiane hanno difficoltà a rimborsare i mutui.<br />
Quali sono gli interventi da mettere in campo?<br />
Penso essenzialmente a tre cose: un intervento normativo<br />
chiaro e inappellabile; un’effettiva entrata in vigore<br />
della legge 40 (che parla di surrogazione del mutuo a costo<br />
zero); la possibilità per i cittadini di avere un rapporto<br />
più vantaggioso con i gruppi bancari.<br />
Neanche tanto…<br />
Stiamo aspettando il decreto “Bersani 3”, quantomeno<br />
per aggiustare il tiro su alcune norme poco chiare contenute<br />
dal precedente a proposito di penali e portabilità<br />
del mutuo. Inoltre le 16 maggiori associazioni di consumatori<br />
italiane (tra cui Adiconsum) hanno portato<br />
avanti una battaglia con le banche sui costi della portabilità<br />
del mutuo. Finalmente, il 21 novembre,<br />
l’esecutivo dell’Abi (associazione di categoria degli istituti<br />
bancari) ha accolto la richiesta e ha raccomandato<br />
alle banche di non applicare spese o commissioni. A noi<br />
non interessano gli accordi stipulati tra le banche,<br />
l’importante è che il consumatore non debba pagare un<br />
euro per trasportare il mutuo da una banca all’altra.<br />
E in tema di rapporti più vantaggiosi?<br />
Oggi la possibilità di rinegoziare un mutuo è lasciata alla<br />
buona volontà di un’agenzia o del direttore. Non è più<br />
accettabile. Adiconsum si è attivata con i principali<br />
gruppi bancari italiani per raggiungere una soluzione:<br />
l’obiettivo è fissare regole certe, chiare e convenienti per<br />
tutti. Anche le banche, nonostante possano contare sulle<br />
ipoteche, sono interessate al fatto che i propri clienti<br />
siano solvibili. La soluzione più semplice sarebbe allungare<br />
la scadenza del mutuo, oppure abbassare lo spread<br />
a livelli accettabili. Nessuno pretende di non pagare, ma<br />
si chiede di poter affrontare rate sostenibili.<br />
La situazione attuale è tutta imputabile alle banche?<br />
Le banche hanno le loro responsabilità. La maggior parte<br />
degli istituti, anche se non bisogna generalizzare, fino<br />
a qualche anno fa vendeva e consigliava solo mutui a<br />
tasso variabile. In quel periodo il consumatore ha pagato<br />
meno, ma in prospettiva non si è rivelata la scelta migliore.<br />
E le banche continuano a sbagliare anche oggi<br />
(anche se qualcuno lo chiama scelta commerciale) perché<br />
consigliano di accendere mutui a tasso fisso, obbli-<br />
finanza e famiglie<br />
gando le persone a sopportare per 30 o 40 anni un tasso<br />
ai livelli massimi. Ma spesso anche i consumatori ci mettono<br />
del loro. È vero che la bolla immobiliare degli ultimi<br />
anni ha più che raddoppiato i prezzi delle case, ma è<br />
altrettanto vero che talvolta le rate di mutuo superano la<br />
soglia del 70% del reddito di una famiglia. In casi simili,<br />
prima o poi, in 25 o più anni di mutuo, si è destinati ad<br />
andare in sofferenza. È difficile, ma bisognerebbe sempre<br />
accantonare una riserva, almeno 50-<strong>10</strong>0 euro al mese,<br />
per affrontare con serenità i momenti duri.<br />
Che consigli dare a chi accende un mutuo?<br />
Bisogna informarsi. Girando più sportelli bancari e richiedendo<br />
il contratto di mutuo comprensivo delle<br />
condizioni economiche. È un documento poco pubblicizzato;<br />
le banche sono obbligate a rilasciarlo, ma solo<br />
su richiesta del consumatore. Sul prospetto c’è scritto<br />
tutto: tasso, durata, condizioni, Isc (Indice sintetico di<br />
costo, la vecchia Taeg), spese. Così è possibile confrontare<br />
le proposte e scegliere la banca che offre le condizioni<br />
migliori. In caso di difficoltà ci si può rivolgere alle<br />
associazioni di consumatori. Non costano nulla,<br />
spesso hanno già affrontato la questione e offrono ottimi<br />
servizi di consulenza.<br />
ROMANO SICILIANI<br />
CONSIGLI PER<br />
GLI ACQUISTI<br />
Funzionaria<br />
di banca con<br />
un cliente.<br />
Dopo la crisi<br />
dei mutui<br />
a tasso variabile,<br />
gli istituti<br />
di credito stanno<br />
consigliando<br />
il tasso fisso.<br />
Ma anche questa<br />
strada può<br />
rivelarsi<br />
pericolosa<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 17
nazionale<br />
DAVID E I SUOI FRATELLI<br />
I ROMENI, NOSTRO SPECCHIO<br />
di Antonio Ricci Dossier statistico immigrazione <strong>Caritas</strong>-Migrantes<br />
Il primo nato a Roma nel 2007 è stato un bimbo romeno (lo stesso<br />
è avvenuto nell’altra capitale dei romeni in Italia, Torino): si<br />
chiama David, i suoi genitori sono un fabbro e una badante. La<br />
presenza romena in Italia è un fenomeno recente, ma ricco di significati<br />
e suggestioni. <strong>Caritas</strong> approfondirà l’argomento all’inizio del<br />
2008 in uno studio monografico. Ma già ora si può affermare che i<br />
romeni rappresentano il gruppo maggioritario tra gli stranieri in Italia:<br />
556 mila persone all’inizio del 2007.<br />
La maggioranza proviene dai villaggi rurali della Moldavia, regione<br />
orientale, una delle più povere della<br />
Romania. Il livello di istruzione è<br />
comunque medio-alto per 6 immigrati<br />
romeni ogni <strong>10</strong> (molto superiore<br />
rispetto al 40% del totale degli<br />
stranieri e al 33% degli italiani), anche<br />
se i laureati sono uno ogni <strong>10</strong>. Il<br />
75% dei romeni in Italia è titolare di<br />
permesso di soggiorno per lavoro e<br />
spesso ha alle spalle una pregressa<br />
esperienza migratoria. Facilità dei<br />
trasporti e abolizione del visto turistico<br />
all’interno della Ue hanno favorito<br />
l’affermarsi in Italia di un<br />
modello migratorio pendolare.<br />
Le premesse storiche e sociali dei flussi attuali vanno<br />
cercate nel trasferimento forzato di migliaia di contadini<br />
nelle periferie delle città romene, voluto da Ceauses˛cu e<br />
attuato negli anni Settanta e Ottanta tramite un piano di<br />
cancellazione di 7 mila villaggi rurali. Dopo il 1989 e la<br />
chiusura delle fabbriche dove lavoravano, molti si sono<br />
trovati a scegliere tra un mesto ritorno nelle campagne o<br />
la trasformazione in pendolari transnazionali.<br />
Immagine riflessa<br />
L’ingresso nella Ue dal 1° gennaio 2007 ha comportato per<br />
i migranti romeni non solo l’emancipazione dal poco funzionale<br />
sistema della programmazione delle quote di ingresso,<br />
ma soprattutto l’occasione definitiva per uscire dal<br />
18 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
Sono il gruppo<br />
maggioritario tra<br />
gli stranieri in Italia.<br />
Si scontrano con gravi<br />
problemi di accoglienza<br />
e integrazione. Sono nel<br />
mirino di media e politici.<br />
Eppure, la loro vicenda<br />
migratoria potrebbe<br />
aiutarci a rileggere<br />
la nostra storia…<br />
dall’altro mondo<br />
limbo della clandestinità. Nelle società<br />
di accoglienza, però, a più riprese<br />
si è paventata un’invasione di lavoratori<br />
romeni. In realtà la Romania è<br />
un piccolo paese di 22 milioni di abitanti,<br />
di cui il <strong>10</strong>% già ora vive all’estero.<br />
Diversi fattori dovrebbero dunque<br />
contribuire in breve a smorzare le cause<br />
di partenza: il vivace ritmo di crescita<br />
odierno dell’economia, gli investimenti<br />
diretti esteri, l’afflusso dei finanziamenti<br />
europei, l’innalzamento dei<br />
salari medi, l’apporto delle rimesse e<br />
dei capitali dei migranti di ritorno,<br />
non ultimo l’invecchiamento della<br />
popolazione e il conseguente declino<br />
demografico.<br />
Per i migranti, la prima fase di soggiorno<br />
in Italia resta comunque segnata<br />
da fattori negativi: alloggi inadeguati,<br />
caporalato e lavoro nero, negazione<br />
dei diritti sindacali, morti<br />
bianche nei cantieri, mancato accesso<br />
ai servizi, discriminazioni e violenze,<br />
tratta dei minori e delle ragazze a<br />
fini di sfruttamento. Ma informazione e mondo politico<br />
sembrano preferire un approccio sicuritario alla questione,<br />
per dare sfogo alle ansie dell’opinione pubblica, ferita<br />
da esecrabili fatti di cronaca. La sindrome da invasione<br />
conduce a rappresentare l’immigrato romeno come il capro<br />
espiatorio dei mali della vita quotidiana, come avvenne<br />
per i polacchi negli anni Ottanta e gli albanesi nei primi<br />
anni Novanta. I media sono lo specchio deformato di una<br />
società incapace di contemplare prospettive concrete di<br />
convivenza interculturale. Invece basterebbe pensare che<br />
la Romania, un secolo fa, accoglieva 60 mila emigranti italiani,<br />
per considerare che i flussi migratori attuali rappresentano<br />
l’immagine riflessa della nostra storia. E la migliore<br />
occasione dal basso per superare i pregiudizi, aprirsi all’accoglienza<br />
e riscattare le sofferenze del passato.<br />
nazionale<br />
sare davvero di affrontare con successo quella<br />
che una volta veniva definita “questione meridionale”,<br />
se non si costruisce una grande area<br />
di sviluppo euromediterranea, in territori segnati<br />
da una distanza ben superiore dal centro<br />
del continente?<br />
Il “sudditoso” vive e vegeta<br />
La Basilicata e i mezzogiorni d’Italia erano<br />
meno lontani dal resto d’Europa con i Borboni,<br />
nel Settecento e nel primo Ottocento. Eppure non si<br />
tratta di dipingere un quadro a tinte fosche della Basilicata;<br />
piuttosto, occorre esaltarne l’irrimediabile diversità,<br />
pur confrontandosi con le patologie e la durezza<br />
dei problemi, ma evitando di alimentare una brutta malattia<br />
che perdura nel mezzogiorno d’Italia, quindi anche<br />
in Basilicata. Occorre, in altri termini, cancellare la<br />
parola “sud”, perché evoca sudditanza e subalternità. E<br />
il subalterno non fa, ma aspetta che si faccia; non è causa<br />
del suo bene e del suo male, ma solo effetto dell’azione<br />
e del pensiero altrui; non decide, ma è deciso. Il “sudditoso”,<br />
sia in maniera individuale che in forma collettiva,<br />
vive e vegeta nella comunità dei sudditi: sconta su di<br />
sé il peso antico di dominazioni, di un colonialismo politico<br />
e religioso, economico e tecnologico.<br />
Di alibi giustificativi ce ne sarebbero a bizzeffe:<br />
viaggio al sud<br />
CREARE CULTURA E RETI<br />
PER VINCERE IL LAMENTO<br />
di Liberato Canadà<br />
Sviluppo locale? Per parlarne, a proposito della Basilicata, così come del mezzogiorno d’Italia,<br />
cuore del Mediterraneo, bisogna partire da un semplice ma radicale rovesciamento. E cioè<br />
smettere di chiedere cosa l’Italia e l’Europa possono fare per il sud e la Basilicata, per chiedersi<br />
invece cosa la Basilicata e il mezzogiorno possono fare per l’Italia e per l’Europa.<br />
Sul mezzogiorno d’Italia (compresa la Basilicata) esercitano ancora una forte influenza<br />
alcune dinamiche storiche, in primo luogo quel processo di emarginazione del Mediterraneo,<br />
iniziato con lo spostamento del cuore della storia moderna prima verso il nord Europa, poi verso<br />
l’ovest lungo le grandi rotte oceaniche. Bisogna pertanto partire dal presupposto che se non si investe<br />
sul Mediterraneo non ci potrà essere sviluppo nel mezzogiorno, e neanche in Basilicata. Senza<br />
una politica estera coraggiosa, senza colpire al cuore quell’antica marginalità, sarà molto difficile<br />
rimuovere le barriere tra il sud dell’Italia e la normalità del paese, per poi moltiplicare tutte le buone<br />
esperienze esistenti nel mezzogiorno e in Basilicata, che sono tante, numerose e significative.<br />
Il settentrione d’Italia è composto da regioni che si sentono nel cuore dell’Europa. Si può pen-<br />
Come fare sviluppo in Basilicata,<br />
terra lontana dal cuore d’Europa? Servono<br />
coraggiose politiche di valorizzazione<br />
del Mediterraneo. Ma soprattutto<br />
connessioni tra i soggetti locali attivi,<br />
per cancellare la parola “sud”…<br />
l’emigrazione degli anni Sessanta e quella più recente<br />
del 2006, la povertà, le dinamiche del processo unitario<br />
dell’Italia (e poi di quello europeo), l’assenza di infrastrutture<br />
sociali e materiali... Ma l’atteggiamento di sudditanza<br />
è un sonnifero, produce paralisi, quantomeno<br />
lentezza. In Basilicata alcune iniziative, amministrative<br />
ed economiche, sono state rese possibili dalle emergenze<br />
(sisma, alluvioni, frane), che spesso diventano condizione<br />
strutturata, modalità sociale di comportamento,<br />
incapace di progettare e programmare azioni di sviluppo.<br />
La lentezza, stancante e asfissiante, produce depressione<br />
e accidia, generando il lamento. Una delle principali<br />
manifestazioni della sudditanza; un atteggiamento<br />
che ha contaminato parti sociali, economiche, religiose<br />
e politiche, persino educative; una posa che contraddistingue<br />
i professionisti del meridionalismo, il quale ar-<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 19
nazionale<br />
ruola quanti giustificano l’inerzia dolente e fatalista, attribuendola<br />
a fattori esterni.<br />
Arginare l’inclinazione alla lagna, stimolando e promuovendo<br />
iniziativa, creatività, scelte educative e culturali<br />
capaci di far emergere un pensiero aperto al Mediterraneo,<br />
all’Italia, all’Europa: è questa la leva strategica<br />
per poter parlare di sviluppo, non nelle intenzioni ma<br />
in azioni prive di ambiguità e di demagogia.<br />
Paninoteche, non librerie<br />
Gli ostacoli allo sviluppo sono insomma anzitutto culturali.<br />
Ma la Basilicata è culturalmente arretrata? Guardando<br />
alla fioritura delle idee e al fervore delle intelligenze,<br />
alle forme di espressione vitale costituite dalla<br />
cultura locale e dalla tradizione popolare e folcloristica,<br />
si può dire che la regione non è spenta. C’è vivacità, magari<br />
meno cultura civica, ma certo un vivo reticolo di solidarietà<br />
familiare e comunitaria, che deriva anche da<br />
20 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
viaggio al sud<br />
OLTRE LA GRANDE INDUSTRIA<br />
Interno degli stabilimenti Fiat a Melfi (Potenza).<br />
I grandi progetti industriali sono importanti,<br />
ma non bastano a garantire lo sviluppo della Basilicata,<br />
come delle altre regioni meridionali<br />
valori e radici cristiane. Si può dire che esista un familismo<br />
virtuoso, che consente di ammortizzare disoccupazione,<br />
miseria e squilibri sociali dove esistono. Permane<br />
inoltre una memoria condivisa, fatta di linguaggi,<br />
retaggi e paesaggi comuni.<br />
Se per cultura invece si intende l’elaborazione intellettuale<br />
dei dotti e l’azione di una classe dirigente, allora<br />
si notano le arretratezze. Invece di teatri, librerie, circoli<br />
culturali e sociali, quasi ovunque sono nate negli ultimi<br />
anni banche, gioiellerie, paninoteche. A riprova del fatto<br />
che i soldi (in Basilicata nelle banche sono depositate ingenti<br />
somme di denaro) dove ci sono non portano automaticamente<br />
cultura. Inoltre nel mezzogiorno d’Italia, e<br />
soprattutto in Basilicata, non esistono media (tv e giornali)<br />
di dimensione nazionale che parlino all’Italia; la Basilicata<br />
non è vista, non è letta. Come l’intero mezzogiorno<br />
d’Italia, è sottorappresentata; il baricentro della politica,<br />
dell’economia e dei media è spostato nel settentrione<br />
d’Italia, cuore d’Europa.<br />
Con altre parole, si può dire che in Basilicata si è seccato<br />
l’albero delle élite, la pianta che produce classe dirigente.<br />
In passato erano i notabili, il clero, gli agrari; poi è<br />
arrivata la borghesia statale, decorosa e rispettabile: la<br />
maestra, il maresciallo, il segretario comunale, l’impiegato<br />
alle poste o alle ferrovie. Oggi, declinate le precedenti classi<br />
dirigenti e tramontato il ceto cresciuto all’ombra dei<br />
partiti, chi emerge lo fa per proprio conto, indipendentemente<br />
e individualmente. Il tessuto delle relazioni sociali<br />
è sfilacciato, quello civico è debole, e all’orizzonte non si<br />
vede una classe dirigente in formazione, impiantata in un<br />
terreno culturale originale e meridionale.<br />
Parlare di sviluppo, in Basilicata oggi, significa dunque<br />
promuovere e favorire le connessioni (che mancano)<br />
tra soggetti (della cultura, della società, dell’imprenditoria)<br />
attivi e creativi; ovvero favorire e promuovere<br />
connessioni per dare vita a reti fatte non di rapporti subalterni,<br />
ma virtuosi. Fatte anche da una buona politica,<br />
oltre che da una libera mediazione culturale, da una sana<br />
e competente imprenditoria.<br />
In Basilicata, come nel resto del mezzogiorno, chi riuscirà<br />
a riconnettere questi rapporti virtuosi potrà guidare<br />
processi di sviluppo locale autentici, duraturi e rispettosi<br />
delle persone e delle comunità locali. Non c’è altra strada,<br />
per voltare la pagina della sudditanza e del lamento.<br />
nazionale<br />
Introduzione leggera. Leggerlo in francese fa un certo effetto.<br />
“Usure, racket, fraude: la mafia, première entreprise d'Italie”. Ma<br />
suscita un amaro compiacimento. Dopotutto è sempre esportazione<br />
d’immagine. Che parlino di noi, anche male, purché ne parlino.<br />
Non è la prima regola della comunicazione pubblicitaria?<br />
La recente inchiesta della Confesercenti, che segnala il volume<br />
degli affari mafiosi, è stata ampiamente divulgata in Italia. Ma pure<br />
all’estero, per esempio dal compassato Le Figaro, pronto a evidenziare<br />
che les italiens dopotutto non devono essere così pigri e fannulloni,<br />
se mettono in campo un volume annuo di più di 90 miliardi<br />
di euro di profitti, pari al 7% del Pil<br />
peninsulare (senza contare i proventi<br />
dei traffici di armi e droga), in un quadro<br />
di economia diffusa che coinvolge,<br />
secondo l’indagine, 160 mila commercianti,<br />
puntuali pagatori del pizzo,<br />
import mafieux corrisposto a Mafia<br />
Spa, impresa agile e capillare.<br />
Dopo l’introduzione leggera, intermezzo<br />
archeologico (in inglese).<br />
Quando si discute dei mali d’Italia,<br />
consulto un’altra inchiesta, L’Italia<br />
di oggi, datata 1904 e curata dai<br />
giornalisti inglesi Bolton King e<br />
Thomas Okey. Cosa si pensava un secolo fa del crimine<br />
organizzato in Italia? L’impressione è quella di un benevolo<br />
ottimismo. Intanto si parlava solo di camorra napoletana<br />
e mafia siciliana, senza citare la ‘ndrangheta<br />
calabrese. Inoltre ci si sbilanciava alquanto nel descrivere<br />
in negativo la camorra e nel concedere alla mafia<br />
(da intendersi persino come “forma degenerata di cavalleria”,<br />
“aristocrazia criminale”) addirittura un velato<br />
apprezzamento dei metodi praticati.<br />
Un punto di sovrapposizione tra camorra e mafia veniva<br />
comunque rintracciato nella comune propensione<br />
a usare la politica per proteggere traffici e affari illeciti. A<br />
Napoli e dintorni “il governo dà il suo tacito appoggio a<br />
un sistema che a sua volta gli assicura la maggioranza<br />
contrappunto<br />
MAFIA, IMPRESA ANTICA<br />
IL PIZZO È UN MALE INCURABILE?<br />
di Domenico Rosati<br />
Un sistema economico<br />
grandioso, una vicenda<br />
di intrecci perversi<br />
con la politica.<br />
Le notizie di oggi<br />
non si discostano dalle<br />
analisi di un secolo fa.<br />
Ma ci sono segni<br />
di evoluzione<br />
della cultura. Che<br />
alimentano la speranza<br />
dei collegi elettorali”. Pure in Sicilia<br />
“non è possibile a un candidato vincere<br />
un’elezione politica o amministrativa<br />
se (la mafia) non assicura la<br />
sua protezione”; vi sono “patroni”<br />
della mafia in parlamento e “il governo<br />
ha le sue bene intese relazioni<br />
coi grandi elettori mafiosi”.<br />
Rafforzamento delle strutture<br />
Vicenda immutabile? Priva di segni di<br />
speranza? Se il presente rivela non un<br />
indebolimento, ma un rafforzamento<br />
delle strutture mafiose e camorriste (e<br />
ciò rinvia anche alla connivenza<br />
esplicita o tacita con il potere di turno),<br />
vi sono tuttavia recenti episodi e<br />
testimonianze che, prima delle leggi e<br />
dopo le leggi, lasciano immaginare<br />
una possibile evoluzione, della cultura<br />
prima che delle abitudini. Il primo<br />
episodio è il gesto del vescovo (uscente)<br />
di Locri, Giancarlo Bregantini, che<br />
va a Duisburg a chiedere perdono per<br />
una sanguinaria vendetta di ‘ndrangheta<br />
e nel contempo invita al perdono<br />
reciproco, chiedendolo in primo luogo alle donne calabresi,<br />
delle quali, lui trentino, ha compreso il ruolo di custodi<br />
delle regole d’onore che includono la morte per chi<br />
abbia fatto sgarbo alla famiglia. Il secondo è l’annuncio degli<br />
industriali di Agrigento, che intendono espellere dall’associazione<br />
gli imprenditori che pagano il pizzo.<br />
Poca cosa, anche considerando i recenti arresti eccellenti<br />
in Sicilia, a fronte del “sistema economico” descritto<br />
e delle sue capacità di riproduzione in un contesto<br />
di disoccupazione e di precariato sovrabbondante; e<br />
anche di fronte al triste teatro dei conflitti tra figure istituzionali<br />
pagate per stroncare la criminalità organizzata.<br />
Ma i segni restano e, spesso, sostengono la pazienza,<br />
contrastano l’indifferenza e alimentano la speranza.<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 21
L’APPELLO<br />
Sidr sconvolge<br />
il Bangladesh,<br />
bisogna pensare<br />
a ricostruire<br />
Il ciclone Sidr, abbattutosi sulle coste meridionali<br />
del Bangladesh a metà novembre, ha lasciato dietro<br />
di sé cifre impressionanti, specchio di una distruzione<br />
radicale e diffusa. Migliaia le vittime (forse diecimila, o più:<br />
a fine novembre non erano ancora noti i dati ufficiali),<br />
circa 5 milioni le persone interessate dal fenomeno, oltre<br />
un milione di esse rimaste senza tetto, per aver visto spazzata<br />
via o fortemente danneggiata la propria abitazione.<br />
Di fronte a un’emergenza tanto acuta, la <strong>Caritas</strong> locale si è<br />
subito messa all’opera, con il supporto della rete internazionale<br />
<strong>Caritas</strong>. <strong>Caritas</strong> Bangladesh ha potenziato la distribuzione<br />
di aiuti di emergenza avviata già in estate, dopo le alluvioni<br />
che avevano preceduto Sidr, e intensificato l’attività dei 35<br />
dispensari medici che coordina nel paese. <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
ha lanciato un appello a fedeli, cittadini, gruppi e istituzioni<br />
perché sostengano l’intervento d’emergenza, ma soprattutto<br />
il Programma di ricostruzione che <strong>Caritas</strong> Bangladesh e il network<br />
internazionale <strong>Caritas</strong> hanno delineato. Esso prevede aiuti per<br />
circa 6,5 milioni di euro e si articola in tre fasi, di breve, medio<br />
e lungo periodo, in nove distretti (Khulna, Bagerhat, Satkhira,<br />
Barguna, Potuakhali, Barisal, Gopalganj, Madaripur, Chittagong).<br />
La prima fase durerà per 3-4 mesi: verranno distribuiti<br />
a 51 mila famiglie aiuti alimentari e generi di prima necessità<br />
non alimentari (teli di plastica, utensili per cucina, zanzariere,<br />
vestiario, coperte, lenzuola, saponi); inoltre a 18 mila famiglie<br />
sarà data l’opportunità di lavorare nei progetti in atto<br />
e si provvederà alla distribuzione di sementi e utensili agricoli,<br />
per la piscicoltura e l’allevamento di pollame a circa 4.500<br />
famiglie. Nella seconda fase, di ricostruzione e riabilitazione,<br />
oltre 24 mila famiglie riceveranno generi di conforto essenziali<br />
alla ripresa delle normali attività quotidiane, verranno ricostruite<br />
o ristrutturate abitazioni e servizi igienici per <strong>10</strong>.<strong>10</strong>0 famiglie,<br />
saranno riparate o ricostruite 57 scuole. Infine la terza fase<br />
riguarda un piano di prevenzione di futuri disastri,<br />
con la costruzione di altri 50 rifugi anticiclone (che si aggiungono<br />
ai 200 già esistenti costruiti negli anni grazie al contributo,<br />
tra gli altri, di tante <strong>Caritas</strong> e anche di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>),<br />
di cui potranno beneficiare <strong>10</strong>0 mila persone, utilizzabili<br />
anche come centri comunitari, nei periodi non di emergenza.<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> ha stanziato, per i primi aiuti, 200 mila<br />
euro; le realtà <strong>Caritas</strong> attive nel paese faranno da riferimento<br />
anche per l’impiego dei 2 milioni di euro, stanziati<br />
per l’emergenza dalla Conferenza episcopale italiana.<br />
INFO www.caritasitaliana.it<br />
22 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
MARCIA<br />
Papa Giovanni<br />
“guida” i passi<br />
per la pace<br />
La Marcia<br />
della pace<br />
di fine anno<br />
(la 40ª<br />
organizzata<br />
da <strong>Caritas</strong><br />
<strong>Italiana</strong>, Pax<br />
Christi,<br />
Commissione episcopale<br />
per problemi sociali, giustizia<br />
e pace, con il concorso<br />
della diocesi locale) si svolgerà<br />
il 31 dicembre tra Sotto<br />
il Monte e Bergamo, “Sulle orme<br />
del beato Papa Giovanni XXIII”.<br />
Il 2008 sarà infatti l’Anno<br />
giovanneo: la marcia rivisiterà<br />
l’insegnamento sulla pace<br />
del pontefice nato a Sotto<br />
il Monte, approfondendo<br />
nel contempo il Messaggio<br />
dell’attuale papa, Benedetto<br />
XVI, per la celebrazione<br />
della 41ª Giornata mondiale<br />
della pace (in programma<br />
il 1° gennaio 2008), dedicato<br />
al tema “Famiglia umana:<br />
comunità di pace”.<br />
L’appuntamento è per<br />
il pomeriggio del 31 dicembre<br />
a Sotto il Monte e Seriate,<br />
alle porte di Bergamo, verso<br />
cui si snoderà la marcia.<br />
INFO www.caritasitaliana.it<br />
www.chiesacattolica.it/lavoro<br />
SERVIZIO CIVILE<br />
Bando speciale,<br />
Napoli investe<br />
sulla legalità<br />
Annunciato nel novembre<br />
2006, nel periodo “caldo”<br />
dell’emergenza criminalità<br />
in Campania, il Bando speciale<br />
di servizio civile per Napoli<br />
sulla legalità è stato pubblicato<br />
il 25 settembre, dopo una<br />
lunga preparazione. L’obiettivo<br />
era coinvolgere duemila giovani<br />
residenti in Campania<br />
in progetti di utilità sociale,<br />
in particolare iniziative<br />
a sostegno della legalità.<br />
Per la prima volta una quota<br />
di posti, il 20%, è stata<br />
riservata a ragazzi provenienti<br />
da situazioni disagiate<br />
e con bassa scolarità. <strong>Caritas</strong><br />
<strong>Italiana</strong>, attraverso le <strong>Caritas</strong><br />
diocesane campane (Napoli,<br />
Pozzuoli, Pompei e Acerra),<br />
ha proposto sette progetti (tre<br />
a Napoli, quattro in provincia),<br />
che vedranno in servizio ben<br />
176 giovani. Tutti i progetti<br />
partono agli inizi di dicembre.<br />
CONVEGNO CARITAS<br />
Il cuore vede,<br />
ecco gli atti<br />
di Montecatini<br />
Giornate di intense relazioni<br />
e approfondito confronto.<br />
Con un filo conduttore:<br />
la riflessione sul ruolo<br />
di animazione alla carità<br />
nei territori, alla luce dell’enciclica<br />
papale Deus <strong>Caritas</strong> est.<br />
Il 31° Convegno nazionale delle<br />
<strong>Caritas</strong> diocesane, svoltosi<br />
a Montecatini nello scorso<br />
giugno, aveva<br />
per titolo Al di<br />
sopra di tutto.<br />
“Un cuore<br />
che vede”<br />
per educare<br />
alla carità.<br />
Ora gli atti<br />
dell’assise nazionale sono<br />
raccolti in un volume,<br />
pubblicato da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>,<br />
che reca lo stesso titolo<br />
e ricostruisce con fedeltà<br />
i contenuti del confronto<br />
di Montecatini.<br />
INFO <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>,<br />
tel. 06.66.17.70.01<br />
COOPERAZIONE<br />
Sviluppo,<br />
iscrizioni<br />
a Spices 2008<br />
Scade sabato 22 dicembre<br />
il termine per iscriversi a Spices<br />
2008. La Scuola di Politica<br />
internazionale Cooperazione<br />
e Sviluppo, che inaugura<br />
il suo 17° anno di lezioni,<br />
è promossa da Volontari nel<br />
mondo-Focsiv, in collaborazione<br />
con <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Ucsei<br />
(Ufficio centrale studenti<br />
esteri in italia), con<br />
il patrocinio della Pontificia<br />
Università Gregoriana.<br />
Spices è una scuola<br />
di perfezionamento, la cui<br />
offerta formativa è strutturata<br />
in due percorsi: area politicogiuridica<br />
internazionale<br />
e area socio-economica<br />
internazionale, introdotti<br />
da un ciclo propedeutico.<br />
La Scuola ha nella dottrina<br />
sociale della Chiesa uno<br />
dei riferimenti fondamentali<br />
e si avvale della collaborazione<br />
di docenti universitari,<br />
funzionari governativi<br />
e personale di organizzazioni<br />
internazionali e ong. I corsi<br />
sono destinati a persone<br />
in possesso di diploma<br />
di laurea e a chi è impegnato<br />
nel mondo dell’associazionismo,<br />
delle istituzioni, della scuola,<br />
delle ong o a chi, pur<br />
lavorando in altri settori, voglia<br />
approfondire tematiche legate<br />
alla solidarietà internazionale<br />
e alla cooperazione allo<br />
sviluppo. I corsi hanno durata<br />
annuale e prevedono 160 ore<br />
di lezione da gennaio<br />
a giugno, seminari su temi<br />
di attualità, stage in Italia<br />
o all’estero; esame finale<br />
tra novembre e dicembre.<br />
INFO spices@focsiv.it -<br />
www.focsiv.it<br />
L’APPELLO<br />
panoramacaritas<br />
Somalia verso<br />
la catastrofe,<br />
gli sfollati<br />
sono un milione<br />
La crisi in atto in Somalia? Una “catastrofe umanitaria”.<br />
Per la quale il 21 novembre anche papa Benedetto XVI<br />
ha lanciato un appello “affinchè si trovino soluzioni<br />
pacifiche e si rechi sollievo a quella cara popolazione”. Il conflitto<br />
tra milizie islamiste antigovernative e truppe occupanti etiopi<br />
(intervenute nel paese a inizio anno a supporto del governo<br />
transitorio) ha l’epicentro a Mogadiscio, ma lacera l’intero paese.<br />
Il totale di sfollati e rifugiati, a causa dei combattimenti, è ormai<br />
di un milione di persone, compresi 400 mila sfollati di vecchia<br />
data. Ma tra ottobre e novembre, in sole tre settimane<br />
da Mogadiscio sono scappate almeno 200 mila persone.<br />
Quaranta ong attive nel paese (tra cui <strong>Caritas</strong> Somalia)<br />
hanno sottoscritto una dichiarazione comune, denunciando<br />
di non poter “rispondere efficacemente alla crisi, perché<br />
l’accesso e la sicurezza si deteriorano in modo drammatico,<br />
mentre i bisogni aumentano. La comunità internazionale e le<br />
parti coinvolte nel conflitto hanno la responsabilità di proteggere<br />
i civili, consentire l’azione di aiuto, rispettare lo spazio umanitario”.<br />
Le Nazioni Unite, che hanno dichiarato che la Somalia è la<br />
peggior crisi in atto in Africa, calcolano che nella sola prima metà<br />
di novembre gli sfollati da Mogadiscio verso le campagne, dove<br />
non trovano sostentamento, siano stati circa 173 mila. Cosa sta<br />
accadendo? Abbandonata l’azione politica, il governo somalo<br />
e l’alleata Etiopia puntano sul pugno di ferro per schiacciare<br />
le resistenze di Mogadiscio; senza troppi scrupoli per la sorte<br />
dei civili, stando ai rapporti di Human Rights Watch. Monsignor<br />
Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio<br />
e presidente di <strong>Caritas</strong> Somalia, ha riconosciuto a metà novembre<br />
che «al momento è difficile intravedere una soluzione. Il dramma<br />
somalo va però inserito nel contesto regionale e internazionale.<br />
Le crisi dell’Africa orientale, un arco che va dalla Somalia<br />
al Sudan, hanno almeno due elementi comuni: il diffondersi<br />
di un certo estremismo, che usa in maniera irresponsabile<br />
la religione per perseguire i propri scopi politici, e la lotta<br />
di diverse potenze per il controllo delle risorse locali».<br />
<strong>Caritas</strong> Somalia, con altre organizzazioni, tra cui Islamic<br />
Relief (organizzazione umanitaria islamica basata in Inghilterra),<br />
ha promosso il progetto “Aiuto d’urgenza agli sfollati”: prevede<br />
la distribuzione di viveri, acqua potabile, teli di plastica per rifugi<br />
e beni non alimentari in un campo spontaneo di sfollati<br />
a una ventina chilometri da Mogadiscio. Permetterà di assistere<br />
1.080 famiglie per tre mesi; <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> intende contribuire<br />
con 30 mila euro e per farlo si rivolge alla solidarietà degli italiani.<br />
INFO www.caritasitaliana.it<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 23
internazionale<br />
La sanguinosa repressione delle manifestazioni<br />
per la democrazia in Myanmar ci ricorda<br />
che ancora oggi – nel 2007, Anno europeo<br />
delle pari opportunità per tutti, a quasi<br />
50 anni dalla Dichiarazione universale<br />
dei diritti dell’uomo – nel mondo vengono<br />
sistematicamente violati i diritti umani.<br />
Che sono un concetto in continua evoluzione<br />
e comprendono i diritti civili, politici, economici,<br />
sociali e culturali, ma anche i diritti di solidarietà<br />
per i popoli, come il diritto alla pace o allo<br />
sviluppo. E riguardano anche gli aspetti legati<br />
al rispetto dell’esistenza umana, al cospetto<br />
delle nuove tecnologie e della manipolazione<br />
genetica. Un campo d’azione vastissimo per chi,<br />
come <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, cerca di farsi paladina<br />
della dignità di ogni uomo.<br />
[ ]<br />
MODALITÀ OFFERTE E 5 PER MILLE A PAGINA 2<br />
LISTA COMPLETA MICROREALIZZAZIONI, TEL. 06.66.17.72.28<br />
NICARAGUA<br />
Partecipazione comunitaria attorno al lago<br />
In Nicaragua, in un clima di insicurezza, corruzione e violenza, si segnalano<br />
quotidiane violazioni dei diritti umani, specie dei più poveri ed emarginati.<br />
In questo scenario la <strong>Caritas</strong> si impegna per promuovere valori di solidarietà,<br />
fratellanza e tolleranza, tramite iniziative che consentano alla popolazione<br />
di prendere coscienza e mobilitarsi in difesa dei propri diritti. Nelle diocesi<br />
di Juigalpa e Granada, intorno al lago Nicaragua, <strong>Caritas</strong> conduce il progetto<br />
pilota (che potrà essere utile anche per altre diocesi) di durata triennale<br />
“Diritti umani e partecipazione comunitaria”. Esso prevede l’elaborazione<br />
di materiale didattico, la qualificazione di persone che, a loro volta,<br />
saranno formatori nelle comunità, l’attivazione di tavoli di lavoro e agende<br />
sociali sui temi della cultura democratica e dei diritti umani.<br />
> Costo 22 mila euro<br />
> Causale America centrale / Nicaragua<br />
24 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
Nicaragua<br />
Bosnia<br />
Erzegovina<br />
Costa d’Avorio<br />
BOSNIA ERZEGOVINA<br />
Sostegno alle associazioni dei familiari<br />
In Bosnia Erzegovina il “Progetto<br />
per il supporto alle vittime di violenza<br />
attraverso il rafforzamento delle<br />
associazioni dei familiari” è rivolto<br />
a diverse comunità (croate, serbe,<br />
musulmane) ed è mirato a potenziare<br />
le capacità di associazioni nate<br />
spontaneamente, che riuniscono<br />
i genitori e familiari degli scomparsi<br />
e più in generale delle vittime di violenza<br />
della guerra. Lo scopo finale è offrire<br />
sostegno qualificato alle famiglie che<br />
hanno subito sofferenze e promuovere<br />
progetti > promozione dei diritti umani<br />
Bangladesh<br />
azioni di denuncia e protesta<br />
per la tutela dei loro diritti, svolgendo<br />
un’azione di pressione anche nei<br />
confronti delle autorità internazionali.<br />
L’azione della chiesa, a sostegno<br />
delle associazioni di familiari,<br />
serve anche a ritessere legami,<br />
dentro le comunità e tra le comunità,<br />
danneggiati da anni di conflitti<br />
e divisioni.<br />
> Costo 15 mila euro<br />
> Causale Bosnia Erzegovina<br />
/associazioni famiglie<br />
MICROPROGETTI<br />
COSTA D’AVORIO<br />
Contro la mutilazione femminile<br />
Marahandallah è una zona di savana erbosa.<br />
La gente (circa duemila abitanti nei villaggi) è stremata<br />
a causa della lunga guerra civile e delle malattie,<br />
in particolare l’Aids. La povertà diffusa si accompagna<br />
spesso a una progressiva emarginazione delle donne.<br />
Con l’aiuto di alcuni missionari, il programma prevede<br />
l’acquisto di materiali utili ad avviare attività agricole<br />
e di allevamento domestico che consentano,<br />
contestualmente, il varo di un progetto<br />
di sensibilizzazione contro la mutilazione<br />
genitale femminile.<br />
> Costo 4.618 euro<br />
> Causale MP 327/07 Costa d’Avorio<br />
CAMERUN<br />
Un minimo di dignità per i detenuti<br />
La prigione di Bafoussam è stata costruita agli inizi<br />
degli anni Cinquanta. I detenuti sono 1.300:<br />
in condizioni di estremo disagio vivono insieme minori,<br />
donne e adulti; ognuno ha a disposizione poco meno<br />
di 2 metri quadrati di spazio. Ogni cella è abitata<br />
da più di 80 detenuti ed è solitamente priva di servizi<br />
sanitari. In questa situazione, si registra in media<br />
un morto a settimana a causa di periodiche epidemie.<br />
Il progetto prevede l’installazione di servizi igienici,<br />
per prevenire la diffusione di infezioni e restituire<br />
un minimo di dignità ai prigionieri.<br />
> Costo 4 mila euro<br />
> Causale MP 319/07 Camerun<br />
BANGLADESH<br />
Le parrocchie tutelano i “fuori casta”<br />
È la parrocchia l’unità chiave per la promozione dei diritti umani che <strong>Caritas</strong><br />
Bangladesh valorizza nel suo “Programma di educazione ai diritti umani”:<br />
i parroci e i ministri di giustizia e pace operanti nelle parrocchie diventano<br />
strumenti di educazione per le comunità vittime di abusi e ingiustizie,<br />
legati in particolare alla proprietà della terra, al lavoro e subiti soprattutto<br />
dai “fuori casta”. <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> dal 2001 supporta questo progetto,<br />
che nelle fasi precedenti ha visto la formazione degli operatori di giustizia<br />
e pace a livello diocesano e parrocchiale. La prossima fase vedrà<br />
la realizzazione di programmi di educazione ai diritti umani e supporto legale<br />
nelle parrocchie e la creazione di diversi strumenti di sensibilizzazione<br />
(newsletter, poster, ecc).<br />
> Costo 11 mila euro (contributo <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>)<br />
> Causale Bangladesh / diritti umani<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 25
internazionale<br />
L’AFRICA<br />
CHE NON ARRIVA<br />
AL MIRAGGIO<br />
D’OLTREMARE<br />
di Umberta Fabris<br />
fotoservizio di Hamza Bahri<br />
Tamanrasset è una città di recente costruzione,<br />
dominata dal massiccio dell’Hoggar,<br />
che incombe su di essa con i suoi fiabeschi<br />
paesaggi lunari di deserto di pietra. Nel<br />
1966 contava meno di tremila abitanti, oggi<br />
ne ha quasi centomila. È città commerciale<br />
e meta irresistibile per i turisti. È soprattutto<br />
un punto di incontro, nel sud dell’Algeria, delle piste che<br />
arrivano da Mali e Niger: qui si dà appuntamento l’Africa<br />
del Sahel, nell’attesa e nella speranza che si apra una porta<br />
verso il nord. Poco visibili, migliaia di camerunesi e malesi,<br />
congolesi e ivoriani, sopravvivono trovando rifugio nelle<br />
rocce vicino alla città algerina. Il deserto è attraversato e<br />
vinto, l’Europa sembra più vicina e a portata di mano.<br />
Molti dei migranti sperano in un lavoro che permetta<br />
poi di proseguire il viaggio verso la frontiera marocchina<br />
seguendo l’asse sud-nord (cioè passando per Algeri,<br />
via In Salah e Ghardaia) o il meno frequentato sudnord-ovest<br />
(attraverso Orano, passando per Adrar e Béchar).<br />
Poi, una volta in Marocco, non resta che attraversare<br />
lo stretto di Gibilterra.<br />
Questi sventurati cominciano a esistere per i governi e<br />
26 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
l’opinione pubblica europei quando sbarcano sulle coste<br />
italiane o spagnole, o quando i loro “barconi della morte”<br />
spariscono nel mare; prima, però, uomini e donne e bambini<br />
affrontano autentici itinerari della disperazione, percorsi<br />
irti di ostacoli e di difficoltà inenarrabili, in cui il sogno<br />
si trasforma spesso in fallimento, in incubo, in tragedia.<br />
Una trentina di nazionalità<br />
Quando giungono in Algeria, hanno già percorso migliaia<br />
e migliaia di chilometri e attraversato fino a otto<br />
paesi diversi via terra, utilizzando vari mezzi di trasporto:<br />
barca o piroga, autobus, taxi, camion. Gli itinerari variano<br />
a seconda del paese di provenienza, ma tutte le<br />
strade, prima di entrare nel grande paese del Maghreb,<br />
convergono verso due città: Gao in Mali e Arlit in Niger.<br />
Da qui il passaggio verso Tamanrasset.<br />
I viaggi durano da un minimo di quindici giorni a<br />
più anni, e non è solo la distanza a determinarne la durata:<br />
l’elemento decisivo è quello economico. Sono rari<br />
i casi di chi parte con i mezzi sufficienti per coprire la distanza<br />
in una sola volta, e quando si viaggia in famiglia<br />
le cose si complicano ancora di più.<br />
RETATE TRA LE PIETRE<br />
La polizia algerina blocca nel deserto<br />
del Sahara gruppi di migranti<br />
provenienti dai paesi centrafricani<br />
Il popolo dei migranti subsahariani convoglia in Algeria<br />
una trentina di nazionalità: i più numerosi sono<br />
nigerini, maliani, camerunesi, nigeriani. Ma quanti sono?<br />
Difficile dirlo: le stime ufficiali sono approssimative<br />
e di accesso pressoché impossibile, anche se il fenomeno<br />
è sempre più oggetto di studio. Secondo il Cisp (Comitato<br />
internazionale per lo sviluppo dei popoli), ong<br />
che lavora in Algeria dal 1996 a un progetto in questo<br />
settore, sarebbero più di centomila all’anno le persone<br />
che arrivano nel Maghreb dai paesi a sud del Sahara. Il<br />
vecchio continente rimane l’eldorado, ma le frontiere<br />
europee sono sempre più invalicabili e tanti emigrati finiscono<br />
per scegliere di rimanere in Algeria, che non è<br />
più soltanto uno scalo (così come a est Libia e Tunisia e<br />
a ovest le Isole Canarie) in direzione Marocco e poi Spagna.<br />
Sono i giovani sotto i 30 anni che non rinunciano<br />
alla traversata del Mediterraneo, mentre le incognite e i<br />
rischi del viaggio dissuadono i più adulti, che spesso<br />
hanno con sé moglie e figli.<br />
Nei confronti dei migranti, poco a poco si è operato un<br />
cambiamento di attitudine da parte delle autorità algerine,<br />
passate da una sorta di passività poco amica a una repres-<br />
algeria<br />
L’Algeria, come gli altri paesi<br />
del Maghreb, sempre più spesso<br />
diventa terminale dei flussi di migranti<br />
in fuga dai paesi subsahariani<br />
verso l’Europa. Partiti con grandi<br />
attese, si arenano nel deserto.<br />
In una vita di paura e stenti…<br />
sione poliziesca più o meno dura a seconda del periodo. Il<br />
cambiamento non è estraneo alle ferme sollecitazioni dell’Unione<br />
europea, che sembra decisa a fare dei paesi del<br />
Maghreb il terreno di repressione di ogni tentativo di passaggio<br />
dall’altra parte del Mediterraneo. Così il flusso migratorio<br />
risulta ulteriormente rallentato, a causa dei controlli<br />
più severi, e ciò spinge a cercare sempre nuove piste<br />
clandestine, meno esposte, ma più pericolose e costose.<br />
Anche rastrellamenti e rimpatri forzati sono sempre più frequenti:<br />
per i migranti che raggiungono Algeri, spesso dopo<br />
diversi mesi dal loro arrivo nel paese, è aumentato sensibilmente<br />
il rischio di essere rimandati al punto di partenza.<br />
Il rallentamento del flusso migratorio, inoltre, lo rende<br />
più visibile e concorre a dare l’impressione di un aumento<br />
del numero dei migranti clandestini subsahariani in<br />
transito. Tale quadro può essere applicato, con qualche distinzione,<br />
anche agli altri paesi del Maghreb, che si sono<br />
poco a poco trasformati in paesi di immigrazione. Tutto<br />
ciò aggrava le difficoltà della popolazione migrante: sfruttamento<br />
dei pochi uomini che trovano un lavoro per sopravvivere;<br />
precario stato di salute fisico e molte volte psichico;<br />
ricorso a espedienti e illeciti per garantirsi la so-<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 27
internazionale<br />
pravvivenza (traffici e falsificazioni di documenti e biglietti,<br />
prostituzione, spaccio e consumo di droghe, ecc); gravi<br />
difficoltà di integrazione con la popolazione locale a causa<br />
di relazioni spesso conflittuali e atteggiamenti razzisti.<br />
Il desiderio di rientrare<br />
Tra coloro che si occupano dei migranti, ci sono anche la<br />
chiesa protestante e la chiesa cattolica (in essa la <strong>Caritas</strong>)<br />
algerine, che hanno dato vita all’associazione ecumenica<br />
Rencontre et Developpement (“Incontro e sviluppo”), presieduta<br />
da un Padre bianco olandese, Jan Heuft, con presidenti<br />
onorari monsignor Henri Teissier, arcivescovo di Algeri,<br />
e il reverendo Hugh Johnson, pastore delle Chiese<br />
protestanti d’Algeria. L’obiettivo dell’associazione è aiutare<br />
i molti clandestini che arrivano con mille bisogni, talvolta<br />
in condizioni fisiche o con situazioni familiari compromesse,<br />
che richiedono interventi tempestivi. Un giovane<br />
padre bianco italiano, Paolo Maccario, per conto dell’associazione<br />
ha realizzato nel 2003 un rapporto-inchiesta sulle<br />
migrazioni clandestine subsahariane attraverso l’Algeria.<br />
Si è trattato di una prima base di studio di un fenomeno la<br />
cui evoluzione va verso l’aggravamento. “All’origine – vi si<br />
legge – ci sono fattori di ordine economico, legati alla povertà,<br />
e di ordine politico, legati ai conflitti armati interet-<br />
Era scappato dal Ruanda. Porta con sé la figlia di tre anni, ma ha perso la moglie.<br />
Chiede aiuto a un centro d’ascolto di Algeri: vuole fare rotta di nuovo verso sud<br />
Vincent dimostra almeno 45 anni, forse qualcuno<br />
in più. Dal 1994 vaga per l’Africa, da quando<br />
il genocidio che ha devastato il suo popolo lo ha<br />
costretto a lasciare il Ruanda. Racconta di un<br />
periplo infinito, attraverso Tanzania, Centrafrica,<br />
Mali, sino ad arrivare ad Algeri. Da qui, dalla capitale<br />
algerina, vuole ripartire. Questa volta per tornare indietro.<br />
Mali, forse. O forse più a sud. «On verra… Inshallah! Si vedrà…<br />
se Dio vuole!». È l’unica parola di arabo che ha imparato<br />
nei pochi giorni trascorsi ad Algeri; l’unica, inevitabile<br />
parola, in un contesto in cui la vita di un migrante è<br />
appesa veramente alla volontà di Dio.<br />
nici, alle persecuzioni etniche e religiose. (...) Il sistema dei<br />
visti per accedere in Europa e la creazione dello spazio<br />
Schengen hanno contribuito allo sviluppo di organizzazioni<br />
migratorie clandestine, soprattutto in Algeria e Marocco.<br />
Esse rappresentano ormai, per i candidati all’emigrazione,<br />
la sola possibilità di realizzare il loro progetto”.<br />
A Tamanrasset molti migranti incrociano i Piccoli Fratelli<br />
di Gesù, minuscola presenza cristiana stabile, composta<br />
da una comunità di religiose e una manciata di laici,<br />
che vegliano sui luoghi dove visse e morì Charles de Foucauld.<br />
Martine, Piccola Sorella del Sacro Cuore, racconta di<br />
incontri quotidiani, in un clima che sembra di permanente<br />
emergenza: «Continuiamo a incontrare persone che arrivano<br />
dal sud: alcuni prendono coscienza di essere stati<br />
truffati da reti di “passatori” nei loro paesi di origine, arrivano<br />
da noi perché non sanno più come andare avanti. Soprattutto,<br />
continuiamo a incrociare quelli che sono rispediti<br />
indietro. Magari dopo essere stati in prigione per anni<br />
in Marocco o in Algeria, o essere stati abbandonati al confine<br />
con il Mali, alla frontiera di Tinzaouaten, che ha reputazione<br />
di inferno: alcuni, che non sanno dove andare e<br />
non hanno i soldi per tornare a Tamanrasset, disperati saltano<br />
sui camion, a volte a prezzo della vita. Quelli che hanno<br />
i soldi viaggiano in 25 in media su una jeep, sfidando le<br />
Vincent, tredici anni in fuga<br />
ha deciso che è meglio tornare<br />
di Anna Pozzi<br />
28 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
Vincent si presenta, una mattina di ottobre, al centro<br />
d’ascolto di Rencontre et Développement. C’è molta gente,<br />
come tutte le mattine. Quasi tutti migranti subsahariani,<br />
qualche anziano algerino. Tutti con un problema. Molti<br />
sono habitué del luogo. Alcuni vivono qui da diversi anni,<br />
sono sopravvissuti al deserto, alla sete, alla polizia… Hanno<br />
rischiato la loro vita per arrivare sin qui e non tornano<br />
indietro. Ma non vanno neppure avanti. Il sogno di tutti è<br />
l’Europa. Ma sono pochi ad ammetterlo. Molti sono senza<br />
documenti, alcuni hanno passaporti falsi, una buona<br />
parte ha un foglio dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati<br />
(Acnur), che li classifica come “richiedenti asilo”. Po-<br />
piste clandestine e gli imbrogli dell’autista. A volte cadono<br />
dalle macchine e devono farsi a piedi fino a trenta chilometri,<br />
prima di arrivare qui…».<br />
A Tamanrasset, l’incubo dei migranti continua. Le<br />
condizioni di vita sono di estrema insicurezza. La prima,<br />
grande paura è farsi prendere dalla polizia: così ci si rende<br />
sempre più invisibili. «Basta che nei rifugi sul limitare<br />
del deserto uno di loro gridi nella notte, per paura di un<br />
animale – prosegue Sorella Martine –, che tutti fuggono<br />
allarmati, credendo che arrivi la polizia, e molti si feriscono<br />
sulle pietre. A piccoli gruppi alcuni vengono a pregare<br />
con noi, se la messa è celebrata in pieno giorno, ma<br />
la sera non rischiano. Oppure li vediamo vicino a un muretto,<br />
dove si radunano sperando che qualcuno li ingaggi<br />
per un nuovo lavoro, ma di colpo si sparpagliano,<br />
chissimi lo otterranno: il governo algerino non li favorisce<br />
per nulla; alcuni attendono anni, anche cinque o sei, senza<br />
ottenere risultati. Quel foglio di carta, però, garantisce<br />
loro un’identità e una “protezione”. Per lo meno, sin quan-<br />
algeria<br />
quando passa la macchina della polizia…». Da affrontare,<br />
poi, c’è una realtà quotidiana ai limiti della sopravvivenza.<br />
Per mesi, talvolta per anni: «Una volta in pieno inverno,<br />
nel corso di un’uscita nel deserto, ho scoperto una<br />
dozzina di senegalesi. Ero sconvolta: uomini persi come<br />
su un’isola, che da un anno si trovavano in quel posto,<br />
senza potere né proseguire né tornare indietro. Qualche<br />
tempo dopo la polizia è passata a distruggere e a bruciare<br />
il loro accampamento di miseria».<br />
Di fronte a tante immani difficoltà, alcuni migranti manifestano<br />
il desiderio di rientrare in patria. Rencontre e Développement<br />
favorisce questi ritorni (176 nel 2006). Tamanrasset<br />
è l’ultima tappa in terra d’Algeria. Nel dicembre<br />
2006 l’associazione vi ha organizzato un incontro, invitando<br />
diversi gruppi che operano a favore dei migranti. È stata<br />
un’occasione di dialogo, in vista di una migliore collaborazione,<br />
con realtà associative e missionarie operanti anche<br />
nei paesi di provenienza dei migranti. Così Rencontre<br />
et Développement ha cominciato a progettare l’erogazione<br />
di piccoli finanziamenti, a cui possono accedere i rimpatriati<br />
in Congo, Ciad, Togo e Camerun, per realizzare microprogetti<br />
di sviluppo. La strada che conduceva verso il<br />
miraggio Europa può concludersi dove era partita. E non è<br />
detto, dopo tanto soffrire, che sia una sconfitta.<br />
VIVERE<br />
INSABBIATI<br />
Migranti<br />
africani a<br />
Tamanrasset.<br />
In molti<br />
restano<br />
bloccati<br />
nei paesi<br />
del Maghreb,<br />
senza risorse<br />
e permessi<br />
per proseguire<br />
do qualche poliziotto poco clemente non lo straccia senza<br />
ritegno, sbattendo con un pretesto il malcapitato in prigione.<br />
Da queste parti, gli africani non trovano accoglienza<br />
calorosa. Specialmente presso le forze dell’ordine.<br />
Neppure uno spicciolo<br />
Vincent è stufo di tutto questo. Ha dormito dentro alcuni<br />
scatoloni in un palazzo in costruzione ed è stato maltrattato<br />
dalla polizia. In pochi giorni si è reso conto che non<br />
può farsi una nuova vita ad Algeri. Tanto più con la figlia di<br />
tre anni che si porta appresso. Princesse, Principessa, è<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 29
internazionale<br />
dolce e gentile, parla un ottimo francese per la sua età, si<br />
vede che è beneducata… Sta incollata al papà senza un lamento<br />
o una protesta. Chissà cosa ha già visto e passato.<br />
La storia che Vincent racconta non è del tutto convincente.<br />
Ma come molti immigrati, si è abituato a raccontare<br />
storie. È un modo per proteggersi, non potendo fidarsi<br />
di nessuno. Ci vuole molto tempo e molta confidenza per<br />
conoscere tutta la verità. Lui dice di essere partito dal Mali<br />
insieme alla moglie, che però si è persa chissà dove nel<br />
deserto: è sicuro che, non avendo potuto passare la frontiera,<br />
sia rientrata a Bamako, ma da qualche settimana<br />
non ha sue notizie. Spera di incontrarla di nuovo laggiù.<br />
Ed è là che, ad ogni modo, vuole andare.<br />
30 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
Per questo si è rivolto a Rencontre et Développement.<br />
Come molti migranti, ha saputo dell’associazione attraverso<br />
il passaparola. Non c’è bisogno di farsi pubblicità, in<br />
questi casi. La serietà del lavoro, la capacità di accogliere e<br />
ascoltare, oltre che di aiutare, hanno fatto dell’associazione<br />
un punto di riferimento obbligato per moltissimi migranti<br />
subsahariani.<br />
Vincent chiede di ripartire. Non sono in molti a farlo,<br />
ma neppure pochissimi: una media di due-tre alla settimana.<br />
Ci vuole coraggio per tornare indietro, tanto quanto<br />
quello richiesto dal viaggio di andata. Almeno alla partenza<br />
c’era speranza, oltre che disperazione, a spingere<br />
verso un viaggio di settimane in condizioni aberranti, at-<br />
Le esistenze che si perdono<br />
nel “mare asciutto” della Libia<br />
La nostra ex colonia è terra di passaggio dei migranti, spesso alle prese con<br />
il deserto. Ma anche approdo finale per molti stranieri, aiutati dalla Chiesa cattolica<br />
di Francesco Spagnolo<br />
Per l’Italia, la Libia è generalmente intesa come<br />
l’altra sponda di uno stesso mare, il “casello<br />
d’ingresso” di un flusso immigratorio costante<br />
e incontrollabile, che ha nelle nostre coste il<br />
punto di arrivo. Nelle parole di monsignor Giovanni<br />
Martinelli, vescovo di Tripoli, la Libia torna invece<br />
ad essere descritta con una luce diversa. Forse perché il<br />
vescovo in quella terra c’è pure nato...<br />
Monsignor Martinelli descrive una Libia che è molto<br />
di più di quello che normalmente si conosce. A partire<br />
dal suo ruolo di importante partner commerciale per<br />
l’Italia, tramite la presenza della compagnia petrolifera<br />
Eni. Ma apre uno squarcio anche sui fenomemi di oggi:<br />
immigrazione incontrollata da altri paesi e droga tra i<br />
giovani, problemi simili a quelli che deve affrontare un<br />
paese sviluppato.<br />
La Chiesa cattolica libica, anche tramite la sua <strong>Caritas</strong>,<br />
è impegnata in questi due ambiti con altrettanti progetti.<br />
Lavora sul problema della tossicodipendenza tra i giovani,<br />
in crescita negli ultimi anni per via di una certa agiatezza<br />
delle ultime generazioni, che spesso sconfina nella<br />
noia. L’obiettivo, in questo caso, è far prendere coscienza<br />
alla società libica di questa realtà, per poterla prevenire.<br />
L’altro progetto riguarda la questione dell’accoglienza<br />
dei tanti immigrati che, provenienti dall’Africa subsahariana,<br />
passano le frontiere libiche. Frontiere, a dire il<br />
vero, invisibili, ben marcate solo sulle carte geografiche,<br />
ma che nella realtà del deserto del Sahara hanno la definitezza<br />
che possono avere le dune di sabbia. Un “mare<br />
asciutto”, in cui non si sa bene quanti congolesi, eritrei o<br />
nigeriani sono morti, nel tentativo di arrivare nelle città<br />
o sulle coste libiche, per cercare un lavoro o una sistemazione,<br />
oppure (ma non necessariamente) per proseguire<br />
il viaggio verso l’Europa.<br />
Statistiche precise purtroppo non esistono, anche a<br />
causa dell’atteggiamento del governo libico, che su questo<br />
argomento tende a essere elusivo. Si sa comunque<br />
che in Libia molti immigrati (principalmente pakistani e<br />
filippini) arrivano come regolari per lavorare. Altri invece<br />
rimangono clandestini, più o meno tollerati dalle autorità<br />
locali, che chiudono un occhio se la presenza rimane<br />
discreta e non pone problemi di ordine pubblico.<br />
Convertirsi a un amore<br />
È con questi, soprattutto, che la Chiesa cattolica lavora, insieme<br />
agli operatori di altre confessioni religiose, soprat-<br />
traverso il Sahara, con mezzi a dir poco di fortuna… Ma al<br />
ritorno c’è solo la sconfitta. C’è la vergogna di non essere<br />
riusciti a raggiungere l’agognato “paradiso”, di tornare a<br />
mani vuote, di un sogno infranto che la famiglia non potrà<br />
fino in fondo capire e accettare.<br />
Vincent pensa forse di essere troppo vecchio per andare<br />
avanti e che Princesse è troppo piccola per sopportare<br />
altri viaggi e altre difficoltà. Eppure è pronto ad affrontare<br />
di nuovo il deserto. Perché quello che offre Rencontre<br />
et Développement è un viaggio via terra, a tappe. Ad ognuna,<br />
c’è qualcuno che accoglie e che paga il biglietto per la<br />
tratta successiva: Algeri-Ghardaia, di qui verso Tamanrasset<br />
o Adrar, poi Gao e Bamako, in Mali, per proseguire<br />
tutto delle chiese protestanti, nell’offrire accoglienza e<br />
uno sbocco regolare. Si opera innanzitutto cercando di insegnare<br />
un lavoro ai clandestini, che in alcuni casi tendono<br />
o a stabilirsi in Libia o a tornare nei paesi d’origine, se<br />
le condizioni lo permettono. «L’immigrazione è una<br />
preoccupazione che sta nel mio cuore e desidero che anche<br />
la Chiesa <strong>Italiana</strong> sia attenta a questa realtà, per la<br />
quale comunque fa già tanto – dichiara monsignore Martinelli<br />
–. Mi auguro che dall’Italia si guardi alla Libia in positivo,<br />
perché quello che già c’è di buono possa crescere,<br />
attraverso le cooperazioni economiche, ma anche tramite<br />
piccoli segni di amicizia e solidarietà».<br />
algeria<br />
eventualmente sino ad Abidjan, in Costa d’Avorio, o addirittura<br />
a Cotonou, in Benin, e magari in Camerun o persino<br />
nella Repubblica democratica del Congo.<br />
Vincent sente di potercela fare. O forse non ha scelta.<br />
Non ha nulla: solo gli abiti che porta addosso, nessun documento,<br />
neppure uno spicciolo in tasca. Ma non osa<br />
chiedere niente, solo un po’ di cibo e d’acqua per la bambina.<br />
L’incaricato di Rencontre et Développement prepara<br />
un modulo che dovrebbe garantirli dai soprusi della polizia.<br />
Dovrebbe… Vincent e Princesse mettono qualche<br />
pezzo di pane e una bottiglia d’acqua in un sacchetto di<br />
plastica. Sono pronti. Viaggio di ritorno verso l’Africa. Forse<br />
– finalmente – verso una casa. Inshallah!<br />
VIAGGIO A OSTACOLI<br />
Clandestini intercettati<br />
di notte nel deserto algerino,<br />
passaggio verso le coste<br />
iberiche. I transiti verso<br />
l’Italia avvengono invece<br />
soprattutto tramite la Libia,<br />
dove i migranti africani<br />
ricevono talvolta<br />
un trattamento assai duro<br />
Ma tutto questo come si intreccia<br />
con il tema del dialogo tra le religioni,<br />
che in un paese arabo e musulmano<br />
come la Libia è all’ordine del giorno?<br />
Monsignor Martinelli spiega di una<br />
presenza cristiana, e cattolica in particolare,<br />
assolutamente minoritaria<br />
nel paese nordafricano, il quale tuttavia<br />
è anche esente da forme religiose<br />
integraliste. Anzi, a livello di istituzioni<br />
pubbliche e spirituali il dialogo con<br />
le piccole chiese cristiane è cercato e incentivato, soprattutto<br />
per quanto riguarda un certo confronto dottrinale e<br />
la collaborazione concreta su alcuni problemi comuni.<br />
«Guardo con una certa positività – conclude il vescovo – il<br />
popolo libico. Nello spiegare la mia presenza in quel territorio<br />
a maggioranza musulmana, richiamo sempre<br />
l’immagine dell’incontro di San Francesco con il sultano.<br />
Vorrei sempre vivere questa dimensione di apertura, di<br />
amicizia, di convivialità con il mondo arabo, perché più<br />
che il convertirci a una fede, conta il convertirci tutti a un<br />
amore. Ecco, dovremmo essere capaci di aiutare anche la<br />
Libia a crescere in questa testimonianza dell’amore».<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 31
internazionale<br />
guerre alla finestra<br />
FRONTIERE SENZA PACE<br />
KIVU, LA PROVINCIA INSTABILE<br />
di Francesco Meneghetti<br />
Le guerre nella Repubblica democratica del Congo hanno causato,<br />
nell’ultimo decennio, 4 milioni di morti. Ma la lunga transizione<br />
e le elezioni della seconda metà 2006 hanno diffuso la<br />
pace in quasi tutto il paese. Anche il golpe tentato a marzo dall’ex capo<br />
ribelle Jean-Pierre Bemba è un ricordo lontano. Democrazia e sviluppo<br />
del paese guidato dal presidente Joseph Kabila sono sostenuti<br />
a livello internazionale dai governi dei paesi avanzati (accordi per investimenti<br />
economici e commerciali) e dall’Onu (la missione cui<br />
Monuc contribuisce alla transazione<br />
verso l’unità nazionale, monitoran-<br />
Posta al confine<br />
do la restituzione delle armi da parte<br />
con il Ruanda, la regione<br />
della popolazione e dei gruppi ribel-<br />
orientale del Congo<br />
li, l’inserimento sociale degli ex bam-<br />
da mesi è tornata teatro<br />
bini e adulti soldato, l’integrazione<br />
di combattimenti,<br />
dei miliziani nell’esercito regolare).<br />
violenze, arruolamenti<br />
L’unica delle undici province<br />
coatti (anche di minori).<br />
congolesi in cui si vivono ancora for-<br />
Lo scenario<br />
ti tensioni è il Nord-Kivu, antica-<br />
è imprevedibile.<br />
mente indipendente, ricchissima di<br />
Ma intanto le armi<br />
risorse minerarie e molto fertile, con<br />
affluiscono…<br />
una composizione etnica e un’organizzazione<br />
socio-economica molto<br />
simile a quella del piccolo e limitrofo Ruanda, col quale le<br />
relazioni politiche e commerciali sono forti. Nel Nord-Kivu<br />
da qualche mese si assiste nuovamente a combattimenti<br />
pesanti tra i circa 5 mila miliziani fedeli al generale<br />
dissidente e filo ruandese Laurent Nkunda e l’esercito regolare<br />
(Fardc), che ha dispiegato circa 30 mila militari con<br />
il sostegno logistico dell’Onu. Indipendentemente dalle<br />
ragioni politiche, la presenza di militari nei villaggi provoca<br />
insicurezza tra la popolazione: abbandono dei campi,<br />
estorsioni di alimentari e animali, violenze sessuali su<br />
ragazze e arruolamento forzato di ragazzini. Circa quest’ultimo<br />
tema – prioritario per l’azione di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
in Africa – il rappresentante speciale per i conflitti armati<br />
dell’Onu, signora Radhika Coomaraswamy, riferisce che<br />
sono già centinaia i bambini arruolati e presto potrebbe-<br />
32 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
ro diventare migliaia. Intanto i campi<br />
profughi di Mugugna, Rutshuru e<br />
Kiwanga e quelli in Uganda contano<br />
decine di migliaia di nuovi sfollati interni,<br />
assistiti anche da <strong>Caritas</strong>.<br />
Omicidi di carattere etnico<br />
Il quadro del conflitto è complesso e<br />
mutevole. Difficile fare previsioni, a<br />
causa delle controverse alleanze internazionali<br />
e locali. Per esempio si<br />
registra nuovamente l’attivismo militare<br />
di gruppi armati stranieri (tra<br />
essi il Fdlr, Forze democratiche di liberazione<br />
del Ruanda), mentre il 27<br />
ottobre si è arreso ai caschi blu Onu<br />
Kibamba Kasereka, capo delle forze<br />
patriottiche Mayi Mayi (partigiani<br />
filo-Kinshasa, tornati protagonisti<br />
dei combattimenti contro le milizie<br />
di Nkunda). I segnali positivi e negativi<br />
si alternano: oggi fonti ufficiali<br />
segnalano la deposizione delle armi<br />
e il processo di integrazione di<br />
centinaia di ribelli di Nkunda, domani<br />
l’arruolamento di altrettanti uomini e bambini.<br />
Intanto i fatti di cronaca locale a Goma, capoluogo del<br />
Kivu, fanno registrare un’escalation di omicidi di carattere<br />
etnico ai danni di persone con ruoli sociali ed economici<br />
di rilievo (compreso, sembra, il tentato omicidio ai danni<br />
del vescovo, monsignor Faustin Ngabu, a fine ottobre) e il<br />
diffuso brigantaggio notturno, che impone ogni sera il coprifuoco<br />
alle 18. Si teme inoltre che l’ingente ingresso di<br />
armi pesanti, via terra e via aerea, contribuisca a inasprire<br />
il conflitto. Non va dimenticato che il Nord-Kivu rappresenta<br />
una zona cuscinetto di fondamentale importanza<br />
per il vicino e popolatissimo Ruanda, che guarda al Kivu<br />
per le sue risorse minerarie e alimentari, oltre che come<br />
sbocco residenziale per la sua popolazione. La pace, in<br />
Congo, rimane una missione impossibile?<br />
internazionale<br />
FINALMENTE IL TRATTATO<br />
MA L’EUROPA AVANZA DIVISA<br />
di Gianni Borsa<br />
Approvazione al summit di Lisbona del 19 ottobre scorso, firma<br />
ufficiale il 13 dicembre. Poi, nel 2008, le ratifiche nazionali, per<br />
entrare in vigore (salvo sorprese) il 1° gennaio 2009. Giusto in<br />
tempo per le elezioni dell’Europarlamento, fissate nel giugno successivo.<br />
Sono le tappe del nuovo Trattato Ue, che prenderà il posto<br />
dell’abortita Costituzione, siglata a Roma tre anni or sono e mai entrata<br />
in vigore, a causa dell’opposizione palese degli elettori francesi<br />
e olandesi e di altri ostacoli subentrati durante l’iter di ratifica.<br />
Il Trattato di Lisbona, in realtà, ricalca<br />
buona parte del testo costituzionale<br />
maturato nella Convenzione<br />
e nella successiva Conferenza intergovernativa.<br />
Restano alcune importanti<br />
acquisizioni, come l’istituzione<br />
di un presidente “stabile” del Consiglio<br />
Ue, il rafforzamento dell’Alto rappresentante<br />
per la politica estera (che<br />
sarà anche vicepresidente della Commissione),<br />
l’introduzione di un nuovo<br />
sistema di voto in sede di Consiglio,<br />
l’estensione del voto a maggioranza e<br />
dunque l’imbrigliamento del diritto<br />
di veto. Ma, fra le tante novità, spiccano i molti limiti del<br />
corposo articolato (256 pagine): primo fra tutti il permanere<br />
dello stesso diritto di veto su poche ma essenziali materie,<br />
a cominciare dalla politica estera. È facile prevedere<br />
che l’Ue continuerà a non avere una propria, univoca, capacità<br />
d’azione sulla scena mondiale. Non è poco!<br />
La bandiera dov’è?<br />
Un’altra innovazione di rilievo è il valore vincolante che<br />
viene assegnato alla Carta dei diritti fondamentali, varata<br />
da quasi un decennio e che solo ora ottiene potere cogente<br />
in 24 stati; gli altri tre, ossia Regno Unito, Irlanda e Polonia,<br />
hanno ottenuto, per ragioni diverse, speciali deroghe<br />
(“clausole opt-out”). Di fatto, diritti e principi fondamentali,<br />
individuali e comunitari, a partire dalla dignità della per-<br />
Dopo lo stop di tre anni fa<br />
alla Costituzione,<br />
finalmente l’Ue<br />
si è dotata, a Lisbona,<br />
del testo fondamentale<br />
per le sue istituzioni.<br />
È un progresso storico.<br />
Che però sconta<br />
evidenti limitazioni<br />
e lascia aperti<br />
rilevanti interrogativi<br />
casa comune<br />
sona fino alle essenziali libertà e protezioni<br />
sociali, potranno essere tutelati<br />
dalla Corte di giustizia nella stragrande<br />
maggioranza dei paesi dell’Unione<br />
europea, ma non su tutto il territorio<br />
comunitario. Da Lisbona<br />
emerge così una strana Europa, che<br />
estende la “doppia velocità”, oltre che<br />
all’euro e al Trattato di Schengen, anche<br />
ai diritti basilari.<br />
Ancora una osservazione dal sapore<br />
amaro. Il Trattato che porta il<br />
nome della capitale portoghese non<br />
comprende i “simboli” dell’Ue, già<br />
inseriti nella Costituzione: bandiera,<br />
inno, motto… Poco male, si potrebbe<br />
superficialmente osservare; in<br />
realtà, quando si intende costruire<br />
una “unità nella diversità” fra popoli<br />
e stati differenti, e fino a ieri fieramente<br />
distinti (se non nemici), i simboli<br />
servono, eccome. L’opinione<br />
pubblica ha bisogno di segni distintivi<br />
per “vedere” l’Europa e per un reciproco<br />
riconoscimento.<br />
Infine il Trattato – che pure consente all’Ue di superare<br />
l’impasse istituzionale, per occuparsi finalmente dei<br />
problemi e degli interessi concreti dei cittadini – lascia irrisolti<br />
alcuni interrogativi emersi negli ultimi anni sul futuro<br />
dell’integrazione. Il primo di essi riguarda l’identità<br />
stessa dell’Europa comunitaria: quali i valori e gli obiettivi<br />
comuni, quali l’identità e i confini ultimi dell’Ue? Con<br />
quale velocità procedere verso nuovi allargamenti? Come<br />
costruire una politica estera comune, al di là dell’aver dato<br />
vita a un Alto rappresentante che, non a caso, non si<br />
chiamerà “ministro degli esteri”? Come rafforzare le azioni<br />
e le politiche che possono portare giovamento alla vita<br />
dei cittadini? E, ultimo ma non per importanza, come far<br />
pesare di più la volontà dei cittadini nella democrazia comunitaria<br />
che si snoda tra Bruxelles e Strasburgo?<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 33
internazionale<br />
L’ONDA E LE GUERRE,<br />
UNA VITA DA SFOLLATI<br />
di Giovanna Federici e Gianluca Ranzato<br />
Profughi, sfollati. Vite sradicate dalla propria casa (molto spesso, insieme alla propria casa) e<br />
dalla terra dei propri avi, per effetto dell’inclemenza degli elementi. O dell’insensatezza degli<br />
uomini. Esistenze stratificatesi nella precarietà, ondate successive di smarrimento, depositate<br />
sulla spiaggia del disagio da catastrofi naturali e conflitti armati interminabili.<br />
Lo tsunami è stato solo l’ultima, anche se la più spettacolare e atroce, di quelle ondate. Tutti<br />
ricordano le crudeli sofferenze e la terribile contabilità delle vittime generate dal disastro del<br />
26 dicembre 2004, innescato da un terremoto tra i più violenti degli ultimi decenni. Il sud-est asiatico ha<br />
cambiato panorama fisico, dopo quella scossa e quell’onda. Ma soprattutto ha visto sconvolto, in molti paesi<br />
e lungo migliaia di chilometri di coste, il suo panorama sociale. Il disordine ancora non è ricomposto: a<br />
tre anni dalla tragedia, migliaia di persone soffrono una quotidianità irrisolta, costrette a vivere in campi o<br />
rifugi provvisori. E il maremoto non ha fatto che sovrapporsi, in molte località, a emergenze e povertà presenti<br />
da anni. Popolazione di rifugiati o di sfollati interni che, in alcuni paesi dell’area, vivono in condizioni<br />
disumane. Per loro lo tsunami non ha fatto che peggiorare condizioni di vita già gravi. E il panorama non si<br />
rischiara, nonostante il notevole dispiegamento di aiuti umanitari verificatosi dopo la catastrofe.<br />
I malesseri dello Sri Lanka<br />
I paesi dove più intricato è il groviglio tra sfollati<br />
da tsunami e per effetto di conflitti militari sono<br />
Sri Lanka e Tailandia. Nel primo paese, secondo i<br />
dati ufficiali del governo, il numero complessivo<br />
degli sfollati interni raggiunge quota 200 mila. La<br />
cifra comprende le persone che ancora non hanno<br />
riavuto un’abitazione, dopo che l’onda anomala aveva<br />
spazzato le loro case nelle aree costiere. Ma moltissimi sono<br />
coloro che hanno dovuto abbandonare il proprio luogo<br />
d’origine a causa del conflitto. La maggior parte degli sfollati<br />
è tamil o musulmana, perché i confini del conflitto sono<br />
sempre stati nel nord-est dell’isola, dove queste comunità<br />
sono maggioritarie. Una parte si è ristabilita in altre zone del<br />
paese, dove i rifugi temporanei sono diventati abitazioni<br />
permanenti. Una buona percentuale è stata invece sfollata<br />
a ripetizione: sono piuttosto comuni i casi di famiglie che<br />
hanno cambiato il proprio rifugio più di dieci volte.<br />
In realtà la cifra fornita dal governo non è del tutto attendibile,<br />
perché si riferisce a persone che ricevono cibo,<br />
acqua e altri aiuti per soddisfare i bisogni di base. Un discreto<br />
numero di costoro si trova in centri di accoglienza<br />
gestiti dal governo stesso. Altri risiedono nei campi organizzati<br />
e supportati dalle organizzazioni internazionali, che si<br />
34 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
A tre anni dallo tsunami, nel sud-est asiatico<br />
molti attendono di poter fare ritorno alle terre<br />
d’origine. La precarietà cui sono costretti<br />
si sovrappone a quella di altri gruppi. Provati<br />
da conflitti, armati e sociali, che durano da anni<br />
occupano di distribuire razioni di cibo e acqua, di costruire<br />
abitazioni temporanee, latrine e pozzi, di offrire supporto<br />
economico e psicologico. Ma ci sono anche sfollati che non<br />
vivono nei campi o nei centri di accoglienza e hanno trovato<br />
accoglienza presso parenti o amici o, se hanno disponibilità<br />
economiche, hanno affittato un’altra abitazione.<br />
Gli standard di vita nei centri di accoglienza e nei campi<br />
sono insufficienti, nonostante gli sforzi delle agenzie internazionali.<br />
La dimensione della temporaneità provoca<br />
diverse forme di disagio sociale: alcolismo, violenze, abusi<br />
domestici. Si registrano anche parecchi suicidi. Molti sfollati<br />
hanno vissuto per anni nei centri; in casi non rari, per i<br />
giovani i campi sono stati l’unico orizzonte di vita.<br />
Anche l’emigrazione verso l’estero (India, ma anche<br />
Europa e Canada) resta un fenomeno massiccio. È un’opzione<br />
valida soprattutto per le famiglie con maggiori disponibilità<br />
economiche, anche se spesso avviene illegalmente.<br />
Da quando (agosto 2006) il conflitto è tornato cruento nella<br />
regione del nord-est, i movimenti degli sfollati sono diventati<br />
un’emergenza nazionale. E il panorama non promette<br />
di rasserenarsi: le agenzie delle Nazioni Unite si preparano<br />
a supportare, nel 2008, altri 150 mila sfollati.<br />
Zingari e birmani in Tailandia<br />
Anche in Tailandia gli sfollati da tsunami si sono aggiunti<br />
ad altre generazioni di sradicati. Il governo tailandese, dopo<br />
il disastro di fine 2004, si è concentrato nel portare aiuti<br />
ai propri cittadini. Tale sforzo non ha raggiunto le molte<br />
migliaia di persone non in grado di dimostrare la propria<br />
cittadinanza, perché prive dei documenti necessari.<br />
Fra costoro ci sono anzitutto i membri delle popolazioni<br />
cosiddette sea gipsies (“zingari del mare”: etnie Moklen,<br />
Moken e Ulaklavoi), gruppi di pescatori nomadi e semistanziali.<br />
I sea gipsies sono tendenzialmente privi di identità<br />
tsunami tre anni dopo<br />
MANODOPERA<br />
A BASSO COSTO<br />
Un campo di emigrati<br />
birmani in Tailandia.<br />
Lo tsunami non ha<br />
fatto che peggiorare<br />
la loro condizione<br />
di “invisibili”<br />
precari e sfruttati<br />
legale e tradizionalmente<br />
trascurati dal flusso convenzionale<br />
degli aiuti. Gli interventi<br />
di emergenza e riabilitazione,<br />
nel loro caso, sono<br />
di fatto delegati alla cooperazione<br />
internazionale.<br />
Un secondo problema,<br />
storicamente una delle gravi<br />
contraddizioni della società<br />
tailandese, è rappresentato<br />
dagli immigrati birmani.<br />
In Tailandia ne risiedono<br />
moltissimi da molti<br />
anni; una delle aree di maggior<br />
concentrazione è proprio<br />
il sud, colpito dallo tsunami,<br />
dove i birmani hanno<br />
la possibilità di proporsi come<br />
manodopera a basso<br />
costo per il mercato del turismo<br />
o della pesca. Una situazione<br />
in ogni caso migliore della vita sotto il regime della<br />
giunta militare, che da decenni domina il loro paese.<br />
Oggi gli immigrati legalmente registrati in Tailandia sono<br />
oltre 700 mila; di essi, oltre 500 mila sono birmani. Ma il<br />
dato può essere realisticamente raddoppiato stimando il<br />
numero dei residenti illegali. Lo status di illegalità rende<br />
impossibile il loro accesso agli aiuti governativi, anche se le<br />
condizioni precarie delle loro vite fanno di loro uno dei<br />
gruppi sociali più emarginati e più colpiti dall’emergenza<br />
tsunami. Limitatissimo accesso ai servizi sanitari ed educativi,<br />
costretti a condizioni di precarietà cronica, vulnerabili<br />
allo sfruttamento da parte dell’industria del sesso: i birmani<br />
vivono perdipiù nel continuo incubo del rimpatrio<br />
forzato, in un paese in cui sono contemporaneamente<br />
sfruttati e considerati criminali per essere espatriati illegalmente.<br />
Lo tsunami, per loro, è stato solo un grano del pesantissimo<br />
rosario di dolori che vivono ogni giorno.<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 35
internazionale<br />
Jaffna, carcere a cielo aperto<br />
nell’isola che non conosce tregua<br />
Nella città alla punta nord dello Sri Lanka, la popolazione convive, a causa della<br />
guerra, con precarietà e paura. E c’è chi si fa imprigionare per stare sicuro…<br />
In Sri Lanka le vittime dello tsunami ricostruiscono<br />
le loro vite fianco a fianco degli sfollati e delle vittime<br />
di un conflitto che dura dal 1983. Sino a oggi si<br />
stima che la guerra abbia causato <strong>10</strong>0 mila morti civili<br />
e 30 mila militari. <strong>Caritas</strong> Sri Lanka afferma che<br />
sono 55 mila le famiglie di sfollati a causa della guerra; il<br />
numero è cresciuto notevolmente negli ultimi mesi. Secondo<br />
un rapporto di Amnesty International del 5 aprile,<br />
gli sfollati nel paese sarebbero in totale 290 mila.<br />
Jaffna, capitale dello Sri Lanka settentrionale, punta peninsulare<br />
a nord del paese, è il cuore dell’area contesa, la regione<br />
che il movimento Ltte (Liberation Tigers of Tamil Eelam,<br />
più noto come Tigri Tamil) rivendica come patria indipendente.<br />
Jaffna è sotto il controllo del governo, ma è separata<br />
dal resto dell’isola perché circondata da zone controllate<br />
dalle Tigri. Il conflitto armato tra governativi, Ltte e<br />
altri gruppi armati si è ulteriormente intensificato nei primi<br />
mesi del 2007, soprattutto nel nord e nell’est del paese.<br />
Per raggiungerla, bisogna affrontare controlli arcigni<br />
all’aeroporto della capitale Colombo e attese interminabili:<br />
dieci ore per un volo di 45 minuti. Ma finalmente si arriva<br />
in quella che molte tra le persone che vi si incontrano<br />
definiscono “prigione a cielo aperto”. Il rettore del semina-<br />
36 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
rio maggiore aggiunge con amarezza che un po’ alla volta<br />
diventa anche un “cimitero a cielo aperto”...<br />
Jaffna è un emblema di quanto accade dietro le quinte<br />
di tutti i conflitti cruenti: uccisioni sommarie, sparizioni<br />
(nel paese ammontano, dall’inizio del 2006, a 5.750), agguati<br />
ai danni dei militari o dei civili sospettati di essere favorevoli<br />
a una fazione o all’altra. Per non parlare dei reclutamenti<br />
forzati: sembra che l’Ltte stia conducendo una<br />
grande campagna di reclutamento; si valuta che più di <strong>10</strong><br />
mila persone siano state reclutate negli ultimi otto mesi. La<br />
regola comune è che ogni famiglia deve “consegnare” almeno<br />
una persona per la causa tamil.<br />
Fortunati i profughi<br />
A Jaffna la paura è palpabile e serpeggia in ogni dialogo:<br />
con il governatore, i leader comunitari, gli esponenti della<br />
società civile, i profughi nei campi di accoglienza. Ne sono<br />
segno visibile i posti di blocco, ogni poche centinaia di metri,<br />
dove i militari sanno di essere il principale bersaglio delle<br />
Tigri e vivono con l’arma in pugno, nervosi e ostili, controllando<br />
meticolosamente passeggeri dei bus e passanti.<br />
Le carceri sono un mondo a parte. Si dice che sia in crescita<br />
il numero dei civili che chiedono di venire incarcera-<br />
Sviluppo dopo la catastrofe,<br />
progetti <strong>Caritas</strong> in sette paesi<br />
di Maria Chiara Cremona<br />
Dopo la fase dell’emergenza<br />
post-tsunami, l’azione si concentra<br />
sull’aiuto alle categorie vulnerabili,<br />
la ripresa socio-economica<br />
e il rafforzamento delle <strong>Caritas</strong> locali<br />
Atre anni dalla più grande catastrofe naturale<br />
della storia recente, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> continua la<br />
sua presenza nei paesi colpiti dallo tsunami, lavorando<br />
a fianco delle chiese locali. L’impegno<br />
si alimenta di un budget di oltre 33 milioni di<br />
euro (in buona parte già spesi) e dell’azione 9 operatori<br />
presenti in 4 paesi: Indonesia, Sri Lanka, India e Tailandia.<br />
Altri interventi sono in corso nelle Maldive, in Myanmar e<br />
Somalia. In tutti i casi, l’approccio combina la strategia<br />
ti per sfuggire al rischio di venire assassinati. Forse hanno<br />
detto qualcosa di troppo o ospitato la persona sbagliata. In<br />
una stanza squallida e sovraffollata della prigione di Jaffna<br />
sfilano decine di uomini logori e rassegnati; dalla rete che<br />
separa una cella attigua e scura affiorano decine di sguardi.<br />
Come facciano a dormire tutti contemporaneamente<br />
sdraiati, in spazi angusti, rimane un mistero. La paura li ha<br />
spinti a rinunciare alla dignità e a una quotidianità che la<br />
loro terra sembra non riuscire più a proteggere.<br />
E poi ci sono i campi profughi. Sempre più affollati.<br />
Tanto che diventa sempre più difficile mantenere le condizioni<br />
di vita entro standard minimamente accettabili.<br />
Gli sfollati vengono prevalentemente dalle zone della costa,<br />
ormai quasi interamente occupate dai militari, perché<br />
sono territorio di scontro fra le due fazioni. Gli sfollati attendono,<br />
non si sa bene cosa: l’ipotesi del ritorno ai villaggi<br />
di origine è fuori discussione e non esistono prospetti-<br />
dell’intervento<br />
di emergenza e<br />
post-emergenza,<br />
proprio del<br />
network <strong>Caritas</strong><br />
Internationalis, con lo stile di affiancamento socio-pastorale<br />
delle chiese locali, peculiare di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>.<br />
In Indonesia, oltre a contribuire all’intervento<br />
d’emergenza, <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> si è impegnata con un bud-<br />
tsunami tre anni dopo<br />
ve di miglioramento della situazione.<br />
Nel frattempo l’economia di Jaffna, formale e informale,<br />
sta collassando a causa della chiusura dell’unica strada<br />
di accesso alla penisola dal resto dell’isola. Procurarsi le<br />
materie prime è diventato molto caro; contemporaneamente<br />
i commerci si sono ristretti al solo mercato locale,<br />
dove i prezzi sono bassi a causa dell’abbondante offerta.<br />
Un ulteriore simbolo del precarizzarsi della situazione<br />
è costituito dall’obbligo di portare sempre con sé un documento<br />
d’identità aggiuntivo, rilasciato dall’esercito. Tipo e<br />
numero delle foto richieste obbligano le famiglie, specie<br />
quelle numerose, a spese intollerabili per i già esigui budget<br />
familiari, sprofondandole ancor di più nell’indigenza.<br />
L’entità dei danni provocati da questa sorta di blocco<br />
che attanaglia Jaffna la si può misurare dall’impatto sulla<br />
vita dei bambini. I dati della frequenza scolastica peggiorano,<br />
perché i genitori hanno paura a mandare i figli a<br />
scuola. Una madre, in un campo profughi, confessa la<br />
(paradossale) fortuna di avere la scuola molto vicina a casa:<br />
si può accompagnare il figlio e non temere per la sua<br />
sorte. Chi sta lontano dalla scuola, al contrario, il figlio preferisce<br />
averlo sotto gli occhi, tra le mura domestiche, per<br />
non correre il rischio di saperlo scomparso. Magari rapito<br />
dalle Tigri, per farne un bambino soldato.<br />
Con il calare della sera la gente, in grande maggioranza<br />
di religione hindu, abbandona i templi in cui si era recata<br />
per una festività religiosa. Sulle biciclette si affrettano verso<br />
casa, per raggiungerla prima che scatti il coprifuoco. In<br />
lontananza un paio di colpi di granata. Non è un combattimento,<br />
sono le fazioni contrapposte che si ricordano l’un<br />
l’altra che ci sono. E sono pronte a fare sul serio.<br />
RICOSTRUIRE, SVILUPPARE<br />
Una casa edificata in Sri Lanka grazie a <strong>Caritas</strong>.<br />
I progetti del post-tsunami ora puntano allo sviluppo<br />
dei territori colpiti dall’onda. Sopra, guerriglieri<br />
tamil si addestrano nel nord dello Sri Lanka<br />
get di circa 5,5 milioni di euro ed è riferimento per il<br />
network <strong>Caritas</strong> delle attività di riabilitazione nell’isola di<br />
Nias, diocesi di Sibolga. Alle attività di ricostruzione si sono<br />
accompagnati diversi programmi: realizzazione di una<br />
radio comunitaria per l’educazione e la promozione dei<br />
diritti umani; un progetto di prevenzione e lotta alla malnutrizione<br />
e percorsi di promozione sanitaria e igiene; attività<br />
generanti reddito anche per categorie vulnerabili<br />
(disabili e orfani). Infine, un grande lavoro è stato realizza-<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 37
internazionale<br />
Tsunami, gli interventi di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong><br />
PAESE<br />
Indonesia<br />
Sri Lanka<br />
India<br />
Tailandia<br />
Maldive<br />
Myanmar<br />
Somalia<br />
Prevenzione disastri<br />
Spese di gestione<br />
TOTALE<br />
CIFRA ALLOCATA*<br />
5.576.190<br />
8.571.430<br />
8.976.190<br />
3.485.562<br />
3.282.131<br />
1.500.000<br />
250.000<br />
500.000<br />
1.703.532<br />
33.845.035<br />
to per rafforzare <strong>Caritas</strong> Indonesia, realizzare attività di capacity<br />
building e programmi per la promozione della<br />
donna a livello locale.<br />
In Sri Lanka il percorso di ripresa dall’enorme tragedia<br />
è stato complicato da una nuova escalation di violenza<br />
tra truppe governative e ribelli delle Tigri Tamil. Oltre ad<br />
aver partecipato ai programmi d’aiuto d’emergenza della<br />
rete internazionale con circa 3,8 milioni di euro, <strong>Caritas</strong><br />
<strong>Italiana</strong> è presente in Sri Lanka con cinque operatori e<br />
due volontari in servizio civile in tre diocesi: a Colombo è<br />
in corso un programma di riabilitazione socio-economico;<br />
a Jaffna viene condotto un programma per i minori,<br />
vittime dello tsunami e del conflitto; a Chilaw viene realizzato<br />
un percorso di capacity building e un programma<br />
di educazione, formazione tecnica e supporto psico-sociale,<br />
rivolto alle fasce povere della popolazione. All’interno<br />
del Programma di animazione sociale di <strong>Caritas</strong> Sri<br />
Lanka, sono state promosse attività di riabilitazione per<br />
disabili. Infine un’operatrice <strong>Caritas</strong> è consulente del Programma<br />
nazionale di educazione alla pace.<br />
Dal dispensario al microcredito<br />
In India <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> ha investito in questi anni un budget<br />
di circa 8.5 milioni di euro, concentrando i suoi inter-<br />
38 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008<br />
SETTORI DI INTERVENTO<br />
Emergenza; ricostruzione; salute, nutrizione, donne, minori;<br />
potenziamento <strong>Caritas</strong> locale<br />
Emergenza; animazione; pace; ricostruzione e riabilitazione;<br />
vittime di guerra; potenziamento <strong>Caritas</strong> locale<br />
Emergenza; ricostruzione; potenziamento <strong>Caritas</strong> locale;<br />
promozione socio-economica; formazione giovani<br />
Emergenza; strutture socio-pastorali; microfinanza;<br />
potenziamento <strong>Caritas</strong> locale; sanità; minori; tratta e<br />
prostituzione; rifugiati e migranti; pace e riconciliazione<br />
Sostegno al sistema socio-sanitario; acquisto di barcheambulanza<br />
e attrezzature mediche; personale sanitario<br />
specializzato; formazione personale locale<br />
Sviluppo rurale e promozione della donna; sanità;<br />
approvvigionamento idrico; accompagnamento chiesa locale<br />
Emergenza; assistenza profughi; sanità<br />
Formazione operatori <strong>Caritas</strong> locali e cittadini su prevenzione<br />
e gestione delle emergenze (in tutti i paesi)<br />
* in euro, in buona parte spesa, comunque già destinata ai progetti<br />
tsunami tre anni dopo<br />
venti in due aree particolarmente<br />
colpite dallo tsunami: le isole Andamane<br />
e la diocesi di Tuticorin,<br />
in Tamil Nadu. Interventi minori<br />
sono stati realizzati anche in altri<br />
territori, a fronte di specifiche richieste,<br />
in particolare in Kerala. Gli<br />
ambiti di intervento sono capacity<br />
building, ricostruzione, promozione<br />
socioeconomica, educazione<br />
e formazione giovanile.<br />
In Tailandia <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> è<br />
partner accompagnatore della<br />
<strong>Caritas</strong> nazionale, a supporto della<br />
realizzazione dell’intervento di<br />
emergenza e di nuovi progetti,<br />
nati dall’incontro con le povertà<br />
del territorio. Il budget dedicato è<br />
di quasi 3,5 milioni di euro, impiegati<br />
anche in questo caso in parte<br />
all’interno del programma di interventi<br />
della rete <strong>Caritas</strong>, in parte<br />
in programmi sviluppati e finanziati<br />
direttamente da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>,<br />
che si è impegnata a sostenere la diocesi di Suratthani<br />
nel rispondere alle povertà del suo territorio. Ciò<br />
avviene anche oltre la prospettiva dell’emergenza, in diversi<br />
ambiti di lavoro: sostegno e accompagnamento per<br />
gli interventi sociali e d’emergenza a livello diocesano; un<br />
progetto di microcredito che garantisce ai villaggi aiutati<br />
durante l’emergenza prospettive di sostenibilità socioeconomica<br />
di lungo periodo; risposta alle criticità sociali e<br />
sanitarie (campi di profughi birmani, Hiv-Aids) della provincia<br />
di Ranong; attenzione al tema della disabilità; avvio<br />
di un programma di riabilitazione socio-sanitaria.<br />
Nelle Maldive l’impegno di <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong>, con un<br />
budget di 3,2 milioni di euro, si concentra nel settore sanitario,<br />
in particolare a supporto di quattro ospedali locali,<br />
attraverso la fornitura di attrezzature sanitarie e personale<br />
medico specializzato. In Myanmar, grazie a un budget<br />
di 1,5 milioni di euro, si opera in vari settori: capacity<br />
building della <strong>Caritas</strong> locale (Karuna), educazione, sviluppo<br />
rurale e socioeconomico, sanità, approvvigionamento<br />
idrico, prevenzione della diffusione dell’Aids. Infine<br />
in Somalia, insieme alla <strong>Caritas</strong> locale e con un budget<br />
di 250 mila euro, vengono erogati aiuti d’urgenza (distribuzione<br />
alimentare e assistenza sanitaria) e si sostiene<br />
un dispensario a Baidoa.<br />
internazionale<br />
E IL MONDO SI RIAVVICINA<br />
ALLA MEZZANOTTE NUCLEARE<br />
di Alberto Bobbio<br />
Ormai è un concetto per lo meno traballante. Chi crede ancora alla<br />
non proliferazione nucleare, dopo l’annuncio di Putin sullo sviluppo<br />
di nuovi armi atomiche e il progetto americano dello scudo<br />
antimissile in Europa orientale? L’orologio che misura quanto manca alla<br />
simbolica mezzanotte della catastrofe nucleare, che gli scienziati del<br />
Bulletin of atomic scientists dell’Università di Chicago hanno realizzato<br />
per mettere in guardia il mondo, ha le lancette ferme su cinque minuti alla<br />
mezzanotte. Recentemente sono state spostate in avanti di due minuti,<br />
per via delle ambizioni nucleari iraniane, delle dichiarazioni di Putin,<br />
delle nuove bombe atomiche “pulite” (nel senso che non lasciano scorie<br />
di produzione) che gli Usa stanno<br />
studiando. Inoltre c’è la preoccupazione<br />
per un uso più massiccio del<br />
nucleare civile, che ha sempre risvolti<br />
militari, almeno nella ricerca.<br />
Dal 1947, quando erano ferme sulla<br />
mezzanotte meno sette, le lancette<br />
sono state spostate 17 volte. Ora la corsa<br />
potrebbe ripartire, dopo un disgelo<br />
nucleare durato quasi vent’anni. L’idea<br />
della non proliferazione s’affacciò subito<br />
dopo il lancio delle bombe su Hiroshima<br />
e Nagasaki, primo atto della<br />
“guerra fredda”, oltre che ultimo di una terribile “guerra calda”.<br />
L’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone l’8 agosto,<br />
ma gli Stati Uniti sganciarono la prima atomica il 6 agosto:<br />
messaggio preciso ai sovietici circa il futuro della conduzione<br />
dei conflitti. Gli Usa avevano la bomba, e funzionava,<br />
Mosca era ancora al palo.<br />
Solo la Corea ha capito<br />
I sovietici, però, si sbrigarono nella ricerca. La loro prima<br />
esplosione nucleare avvenne nel 1949. Da allora il mondo<br />
entrò nella fase del Mad: Mutually assured destruction, distruzione<br />
mutua assicurata. È per questo, forse, che la guerra<br />
fredda non cambiò mai temperatura. L’equilibrio nucleare<br />
ha prodotto tuttavia più conflitti e più morti nella se-<br />
Le nuove armi di Putin,<br />
lo scudo Usa, le rincorse<br />
e le scelte di altri paesi.<br />
Le lancette dell’orologio<br />
della paura tornano<br />
a correre. C’è chi<br />
sostiene sia un modo<br />
per controllare i conflitti.<br />
L’epoca della<br />
non proliferazione<br />
sta andando in archivio?<br />
contrappunto<br />
conda metà del Novecento di quanto<br />
non fosse mai avvenuto prima. E anche<br />
oggi, con la corsa al nucleare riproposta<br />
come punto centrale delle<br />
strategie militari, si rischia di registrare<br />
un aumento dei conflitti locali.<br />
Alcune analisi sostengono che la<br />
guerra all’Iraq è stata possibile proprio<br />
perché non c’erano le armi di distruzione<br />
di massa, anche se<br />
l’opinione pubblica era stata indotta a<br />
credere al contrario. La questione è<br />
decisiva: un paese dotato di bomba<br />
atomica sarebbe più al riparo da un<br />
conflitto, anche locale, di uno che la<br />
bomba non ce l’ha. Ecco quindi la rincorsa<br />
dell’Iran, le scelta fatta e mai dichiarata<br />
di Israele, le ammissioni di India<br />
e Pakistan. Solo la Corea del Nord<br />
sembra aver capito che, da altri punti<br />
di vista, soprattutto economici, le testate<br />
nucleari non servono e si avvia<br />
almeno a uno stop della produzione,<br />
controllato a livello internazionale.<br />
Ma non può essere la Corea a tenere<br />
in piedi lo sfilacciato Trattato di<br />
non proliferazione nucleare, mandato di fatto in pensione<br />
dagli annunci di Putin e dall’agitarsi americano.<br />
L’anno scorso Mosca ha proceduto a ben 16 sperimentazioni<br />
di missili con testata atomica. Poi c’è la nuova<br />
Francia di Sarkozy, che rivendica la potenza della Force<br />
de frappe, la forza di dissuasione nucleare francese,<br />
concetto inventato da De Gaulle nel 1958. E anche la<br />
Nato si regge sull’idea del nuclear sharing, cioè sulla<br />
condivisione delle armi nucleari, imposta durante la<br />
guerra fredda agli alleati non nucleari. In Italia ci sono<br />
testate atomiche, così come in Germania e nei paesi<br />
membri del Patto atlantico. Insomma, l’orizzonte non è<br />
sereno. E le lancette dell’orologio della paura tornano<br />
ad avvicinarsi pericolosamente alla mezzanotte.<br />
ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 39
agenda territori<br />
CATANIA<br />
Un centro giovanile a Librino,<br />
relazioni nuove per ragazzi e adulti<br />
Un nuovo centro giovanile, che reca un nome<br />
evangelico, impegnativo ma denso di speranza.<br />
“Talità kum” (“Fanciulla, alzati”) è uno spazio<br />
promosso dalla <strong>Caritas</strong> di Catania nel quartiere<br />
di Librino, periferia del capoluogo etneo.<br />
È stato inaugurato venerdì 16 novembre<br />
(nella foto, la festa) e «vuole essere – ha dichiarato, padre Valerio Di Trapani,<br />
direttore della <strong>Caritas</strong> diocesana – una realtà che favorisce l’incontro<br />
e la relazione, nonché una risposta all’emergenza educativa della città».<br />
Vi si svolgeranno attività sportive, ricreative e di sostegno scolastico.<br />
Educatori e volontari aiuteranno bambini e adolescenti a impostare su basi<br />
serene le relazioni di reciprocità con i coetanei, il mondo degli adulti<br />
e soprattutto i familiari. Quanto agli adulti, di mattina potranno partecipare<br />
a laboratori e a spazi di socializzazione, pensati soprattutto per accompagnare<br />
le donne nella definizione di un proprio progetto di vita e responsabilizzarle<br />
nei confronti dell’educazione dei figli. «Librino – ha affermato padre Di Trapani<br />
– spesso a torto è stato dipinto a tinte fosche. Noi vogliamo portare colori,<br />
gioco e festa. Talità kum vuole restituire alla gioia la vita di tanti ragazzi<br />
ed essere segno che la Chiesa sta bene in strada: è il posto che le compete».<br />
SANREMO-VENTIMIGLIA<br />
Preghiera e raccolte,<br />
una domenica<br />
per battere la povertà<br />
La <strong>Caritas</strong> diocesana ha aderito con<br />
convinzione alla campagna “Prima che<br />
sia troppo tardi”, che rilancia un’iniziativa<br />
internazionale ed è promossa in Italia<br />
da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Focsiv. Così in<br />
diocesi la quarta domenica di Avvento<br />
(“Domenica di fraternità, in programma<br />
il 23 dicembre) sarà dedicata proprio<br />
alla campagna e al suo sforzo di<br />
sensibilizzazione riguardo alla necessità<br />
di centrare, su scala globale, gli Obiettivi<br />
di sviluppo del millennio, fissati in sede<br />
Onu nel 2000 in vista del 2015.<br />
I proventi delle raccolte (parrocchiali<br />
e pubbliche) saranno devoluti a favore<br />
dei progetti della diocesi di Kindu, in Congo.<br />
MILANO<br />
Donaphone,<br />
il telefonino solidale<br />
amplia gli orizzonti<br />
I cellulari, al pari di indumenti e scarpe,<br />
sono fra gli accessori che vengono<br />
sostituiti con maggiore frequenza.<br />
Abitudine particolarmente in voga<br />
in Italia, paese che vanta il primato<br />
della diffusione dei cellulari (1,34 ogni<br />
abitante). <strong>Caritas</strong> Ambrosiana e il<br />
consorzio di cooperative Farsi Prossimo<br />
si sono chiesti come trasformare un<br />
tale evidente spreco in un’opportunità<br />
e hanno lanciato in estate un’innovativa<br />
campagna (“Donaphone, il telefonino<br />
solidale”) per il riutilizzo a fini sociali dei<br />
cellulari usati. I buoni risultati (diecimila<br />
apparecchi raccolti in un mese e mezzo,<br />
nella fase sperimentale) hanno<br />
incoraggiato ad ampliare l’iniziativa,<br />
prendendo contatti con enti pubblici<br />
anche al di fuori della diocesi<br />
ambrosiana, proprio mentre il comune<br />
di Milano ha concesso il proprio<br />
patrocinio e sostegno alla campagna.<br />
I telefonini vengono raccolti nei box<br />
esposti in parrocchie, scuole,<br />
biblioteche, palestre, luoghi pubblici,<br />
imprese private. I cellulari raccolti dalla<br />
cooperativa Vesti Solidale, che impiega<br />
personale svantaggiato, vengono<br />
testati, riparati e ricommercializzati;<br />
il ricavato viene utilizzato per finanziare<br />
una casa di accoglienza per madri in<br />
difficoltà, nell’ambito del progetto<br />
sociale di <strong>Caritas</strong> “Famiglie in marcia”.<br />
VERONA<br />
Mensa e relazioni,<br />
“Il samaritano”<br />
intensifica i servizi<br />
È stato festeggiato a metà novembre<br />
il primo anniversario di apertura della<br />
casa di accoglienza “Il Samaritano”,<br />
promossa dalla <strong>Caritas</strong> di Verona.<br />
La struttura ospita almeno<br />
una cinquantina di ospiti, persone senza<br />
dimora o con gravi problemi abitativi<br />
e sociali, cui dà accoglienza notturna.<br />
Ora sono sulla rampa di lancio due<br />
nuove iniziative, che completano<br />
il quadro dell’offerta dei servizi,<br />
anche grazie all’opera di 130 volontari.<br />
Il centro diurno pomeridiano servirà<br />
ad approfondire le relazioni<br />
con gli ospiti, per definire percorsi<br />
personalizzati di reinclusione sociale.<br />
La mensa serale offrirà pasti<br />
“fragranti”, grazie a un moderno<br />
sistema di conservazione del cibo,<br />
che ogni giorno viene recuperato, grazie<br />
anche alla collaborazione delle Acli<br />
locali, dalle mense delle scuole<br />
primarie e superiori della città.<br />
TRENTO<br />
Non discriminare,<br />
i ragazzi del campo<br />
premiati dalla Ue<br />
I giovani partecipanti al campo estivo<br />
“Il vento e la vela”, proposto dalla<br />
<strong>Caritas</strong> diocesana di Trento, sono stati<br />
premiati il 20 novembre, Giornata<br />
internazionale dei diritti dell’infanzia,<br />
dalla Rappresentanza italiana della<br />
Commissione europea nell’ambito<br />
del concorso “L’Unione Europea e<br />
la non discriminazione”, rivolto a ragazzi<br />
tra i 12 e i 18 anni dei 27 stati Ue.<br />
Il concorso riguardava il principio di non<br />
discriminazione, sancito nell’ articolo 21<br />
della Carta dei diritti fondamentali della<br />
Ue, e prevedeva<br />
la realizzazione<br />
di un poster. In Italia<br />
hanno partecipato<br />
alla selezione<br />
più di 700 gruppi,<br />
cioè circa 4 mila<br />
giovani: il gruppo<br />
della <strong>Caritas</strong> diocesana trentina è<br />
risultato vincitore nella categoria 15-18<br />
anni e ora parteciperanno alla selezione<br />
europea, il 17 dicembre. I ragazzi<br />
premiati, guidati da Anita Scolz, sono<br />
Daniela Cunial, Emma Franceschi,<br />
Alex Depedri, Chiara Pellegrini, Giulia<br />
Detassis, Karen Stenico, Giulia Pardi<br />
e Lorenzo Imoscopi.<br />
FIRENZE<br />
Un poliambulatorio<br />
per emarginati<br />
e senza dimora<br />
È stato inaugurato il 19 novembre<br />
il poliambulatorio per persone<br />
emarginate gravi o senza dimora,<br />
italiane e straniere, realizzato<br />
in una nuova ala dell’Albergo Popolare<br />
ottoxmille<br />
Come valutarsi con un bollino,<br />
la “Città dei Ragazzi” raddoppia<br />
di Giuseppe Paruzzo<br />
Come intervenire per arginare il fenomeno del disagio<br />
minorile? Se lo è chiesto, più di due anni fa, la <strong>Caritas</strong><br />
diocesana di Caltanissetta. Così, a luglio 2005,<br />
con il progetto “Ragazzi di strada, una risorsa” è stato<br />
avviato un primo intervento rivolto ai minori a rischio,<br />
che considerava la strada come luogo in cui<br />
era possibile intessere o ritessere relazioni.<br />
Gli operatori di strada hanno raggiunto<br />
luoghi che i servizi sociali pubblici non<br />
riescono a (o non possono) raggiungere.<br />
Il lavoro compiuto ha evidenziato la necessità<br />
di ideare un progetto complementare<br />
e continuativo, una proposta educativa<br />
e di prevenzione. È nato così il progetto “Città dei Ragazzi”, che opera<br />
in favore di minori residenti in due quartieri del centro storico. Il progetto<br />
prevede principalmente il supporto didattico a minori tra i 6 e i 14 anni.<br />
L’intenzione è anche quella di avviarli a un percorso di crescita e formazione<br />
consono al loro sviluppo.<br />
Diversa condotta, diverso colore<br />
La giornata tipo alla “Città dei Ragazzi” incomincia alle 15. Appena entrati,<br />
i ragazzi si dispongono in cerchio e si raccontano: il confronto<br />
e la condivisione del proprio vissuto sono fondamentali. Segue la divisione<br />
in gruppi per il doposcuola, almeno due ore, durante le quali i ragazzi vengono<br />
aiutati nello studio e nello svolgimento dei compiti. Poi, dopo un altro<br />
momento di ricreazione, si dà inizio alle attività di laboratorio e ricreative,<br />
durante le quali i ragazzi condividono altri momenti di socializzazione<br />
e sfruttare le loro potenzialità e capacità cognitive. Alla fine del pomeriggio<br />
c’è il “bollino time”: ogni ragazzo racconta la sua giornata e valuta il proprio<br />
comportamento attribuendosi un bollino, di colore diverso in relazione<br />
alla condotta tenuta durante la giornata. Chi accumula tanti bollini “buoni”<br />
partecipa ad attività premio, organizzate periodicamente.<br />
I buoni risultati raggiunti hanno suggerito di estendere il progetto ad altri<br />
due quartieri del centro storico. A marzo 2007, grazie ai fondi otto per mille,<br />
è nato così il progetto “Città dei Ragazzi 2”: le “Città” accolgono in totale<br />
60 minori, seguiti da 7 volontari in servizio civile e 6 operatori <strong>Caritas</strong>, una<br />
psicologa e un’assistente sociale. Il modello educativo si distingue da altri<br />
soprattutto perchè al centro di ogni attività vi è il benessere dei ragazzi,<br />
garantito dalla passione e dall’entusiasmo degli operatori e dei volontari. Una<br />
strategia dell’attenzione nel presente, che è anche un investimento sul futuro.<br />
40 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 41
sto in campagna di Roberta Dragonetti<br />
Verso Doha, per non tradire Monterrey:<br />
è il momento di attivare misure per lo sviluppo<br />
L’appuntamento<br />
Review Conference for the Monterrey Consensus: è il nuovo<br />
appuntamento, a Doha, nel Qatar, che nel 2008 valuterà<br />
risultati e fallimenti del vertice svoltosi a Monterrey,<br />
in Messico, nel 2002. In quella sede l’Onu chiamò<br />
a discutere governi e capi di stato sugli strumenti<br />
e gli impegni da adottare per reperire risorse per combattere<br />
la povertà e facilitare lo sviluppo economico dei paesi<br />
svantaggiati. La 62ª sessione dell’Assemblea generale<br />
delle Nazioni Unite, tenutasi a fine ottobre a New York,<br />
ha dato il via alla preparazione della Conferenza di Doha,<br />
mettendo a confronto i governi e i rappresentanti<br />
della società civile sullo stato di attuazione degli impegni<br />
per gli Obiettivi di sviluppo del millennio.<br />
<strong>Caritas</strong> Internationalis e Cidse, promotori della campagna internazionale di lotta alla povertà Make Aid Work<br />
(in Italia, “Prima che sia troppo tardi”) hanno colto l’importante occasione per sottoporre una dichiarazione congiunta,<br />
dal titolo “Da Monterrey a Doha: il processo di avanzamento”, al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.<br />
“A cinque anni da Monterrey – si legge nel documento – le sfide richiamate da quell’accordo non sono diminuite<br />
e la verifica di medio termine degli Obiettivi dice che occorrono maggiori sforzi da parte di tutti. Occorre che i leader<br />
mandino un segnale alla comunità internazionale, per sottolineare la gravità della situazione. (…) <strong>Caritas</strong> Internationalis<br />
e Cidse apprezzano molto il grande valore del processo e della conseguente Conferenza di aggiornamento di Doha. Quale<br />
seguito di Monterrey, essa dovrebbe avere il mandato di accordarsi su misure coerenti in ambiti fondamentali (imposte,<br />
investimenti, commercio, debito, riforme strutturali per accelerare lo sviluppo), allo scopo finale di sradicare la povertà.<br />
Le discussioni, nel processo preparatorio, e la Conferenza stessa, perderebbero dinamismo se fossero solo retrospettive”.<br />
I risultati attesi<br />
Le due grandi reti internazionali si attendono alcuni risultati fondamentali: la mobilitazione delle risorse locali,<br />
che preveda una cooperazione internazionale più efficace, in materia fiscale e di imposte, come già indicato<br />
nella Dichiarazione dell’Accordo di Monterrey, inclusi la lotta ai paradisi fiscali e alla fuga di capitali<br />
e il finanziamento di servizi pubblici, quali sanità ed educazione; l’attivazione di fonti innovative di finanziamento,<br />
per un accesso più equo ai beni pubblici globali e alla loro distribuzione. Nella Dichiarazione si evidenzia inoltre<br />
una forte preoccupazione sulla questione della sostenibilità del debito, che (secondo l’Accordo di Monterrey)<br />
va collegata con i finanziamenti richiesti per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio. “In risposta a questo<br />
mandato – afferma il documento <strong>Caritas</strong>-Cidse –, le istituzioni finanziarie internazionali hanno prodotto un Quadro<br />
per la Sostenibilità del Debito. Le nostre reti ritengono che questo quadro sia tuttora inadeguato”.<br />
La campagna “Prima che sia troppo tardi”, condotta in Italia da <strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> e Volontari nel Mondo - Focsiv,<br />
insieme ad altre 16 realtà cattoliche, seguirà con attenzione i lavori di preparazione della prossima Conferenza<br />
di Doha, perché il processo di avanzamento auspicato rappresenti, per 980 milioni di persone che vivono<br />
nel mondo con meno di un dollaro al giorno, una concreta inversione di rotta.<br />
INFO www.primachesiatroppotardi.it<br />
dall’associazione di medici cristiani<br />
“Niccolò Stenone”. Evoluzione di alcuni<br />
servizi medici già operanti, si tratta<br />
di un ambulatorio di medicina generale<br />
e odontoiatria, in cui opereranno circa<br />
<strong>10</strong>0 medici e 20 odontoiatri volontari.<br />
Sostenuto dal comune di Firenze,<br />
il poliambulatorio è intitolato al dottor<br />
Vittorio Trancanelli; sarà aperto<br />
il pomeriggio da lunedì a venerdì<br />
e accoglierà anche persone non iscritte<br />
al servizio sanitario nazionale, anche<br />
se entrerà a far parte della rete<br />
dei servizi dell’Azienda sanitaria<br />
di Firenze. La <strong>Caritas</strong> diocesana<br />
di Firenze collaborerà strettamente<br />
con il nuovo servizio, nell’ambito<br />
della cooperazione organica che<br />
ha in atto con l’associazione “Stenone”.<br />
CROTONE<br />
Arte oltre confine,<br />
dopo lo sbarco<br />
i migranti dipingono<br />
Una mostra di pittura. Ma con artisti<br />
che hanno alle spalle una storia<br />
speciale. I dipinti realizzati dagli ospiti<br />
del centro di accoglienza Sant’Anna<br />
di Isola Capo Rizzuto sono confluiti<br />
nella mostra<br />
“Prove d’arte oltre<br />
confine”, aperta<br />
il 7 novembre (nella<br />
foto, la locandina).<br />
Il centro Sant’Anna<br />
accoglie migranti<br />
e richiedenti asilo<br />
approdati sulle coste calabresi:<br />
la pittura dà sfogo alla loro creatività,<br />
tradottasi in opere di grande<br />
espressività, “figlie” di diverse culture.<br />
Nel Cpt, la <strong>Caritas</strong> diocesana di Crotone<br />
- Santa Severina, che ha promosso<br />
la mostra, cura attività culturali,<br />
di animazione (in primis l’insegnamento<br />
dell’italiano), di orientamento legale,<br />
psicologico e sociale.<br />
I GIOVANI CHE SERVONO<br />
agenda territori<br />
Il sole sorge a Casa Nostra,<br />
così lo schifo diventa lavoro<br />
di Daniele Di Pompeo<br />
All’inizio c’è pura e semplice necessità, non è il caso<br />
di tirare fuori motivazioni profonde: un po’ di euro e la boa<br />
dei 25 anni doppiata da tempo. Poi c’è una struttura<br />
che è sempre stata un riferimento, per il po’ di volontariato fatto,<br />
per le tante amicizie e conoscenze che le ruotano<br />
intorno. Quando questi due elementi si sommano in quello che viene<br />
chiamato Servizio civile volontario, beh, decido di farmi avanti. E mi dirigo<br />
al Monastero, collettore di cuori e teste della <strong>Caritas</strong> genovese. Cosa cerco<br />
esattamente, mentre percorro una salita interminabile, non lo so bene;<br />
sono obiettore di coscienza, la Croce Rossa mi ha tenuto con sé quando<br />
non ho voluto entrare in una caserma, ma immagino che questo servizio<br />
sia un po’ diverso dal precedente.<br />
Colloqui, incontri. E la scoperta che a Genova esiste un luogo di cui<br />
non conoscevo l’esistenza, e che mentre mi viene proposto mi mette addosso<br />
paura, ansia, schifo (schifo? Schifo, schifo…): è Casa Nostra, struttura<br />
in cui alloggiano persone malate di Aids. Io non so niente di Aids, l’ignoranza<br />
mi schiaccia, il timore pure, ma il Servizio civile, questo lo ricordo dall’avventura<br />
precedente, è vero servizio se mette alla prova da subito. Così accetto.<br />
La fortuna va dai forti<br />
Iniziano allora mesi intensi, emozionanti, strani. Un periodo con attorno<br />
persone così ultime che più ultime non si può. Spesso senza casa, senza<br />
famiglia, a volte con una pena da scontare, quasi sempre con percorsi decisi<br />
dalla droga. Tutti, con la compagnia di un virus infame, marchio perpetuo,<br />
condanna a vita per errori magari piccoli, comunque lontani nel tempo.<br />
Non credo sia l’etimologia giusta, ma ho sempre pensato che la fortuna<br />
sia quella cosa che va dai forti. Bene, io mi trovo a confrontarmi con persone<br />
schiacciate dalla debolezza. La fortuna è davvero la cosa più lontana.<br />
E a causa della sua assenza, anche la speranza non ha molta voglia<br />
di passare da queste parti. Ma tutte le mattine, più o meno visibile,<br />
il sole sorge e porta con sé la necessità di vivere le ore che verranno.<br />
A Casa Nostra la gente debole, senza fortuna e senza niente, ci si attacca,<br />
a queste ore. E insegna come la semplice voglia di vedere il giorno dopo, spesso<br />
identico al precedente, sia un motivo per resistere tanto grande,<br />
da riempire tutta una vita.<br />
Non so se questo insegnamento l’ho appreso fino in fondo. Ma so<br />
che quando il Servizio civile è finito, e ho avuto la possibilità di fermarmi ancora<br />
in questo luogo, dubbi ne ho avuti pochi. E ancora adesso<br />
non ne ho su ciò che faccio ogni volta che esco di casa per andare a Casa<br />
Nostra. Dove ormai lavoro da due anni.<br />
42 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 43
villaggio globale<br />
PUBBLICITÀ<br />
A Spot School la malattia mentale<br />
e un tema dettato da una tv nigeriana<br />
Spot School Award (Premio internazionale<br />
del Mediterraneo) è un premio dedicato a studenti<br />
di corsi di scienze della comunicazione, pubblicità<br />
e materie affini, iscritti a università e scuole in Italia<br />
e all’estero. Nato nel 2001 e giunto alla settima<br />
edizione, è promosso dall’associazione salernitana<br />
CreativisinascE e gode della collaborazione delle più importanti associazioni<br />
di categoria dei pubblicitari e del patrocinio di molte istituzioni. <strong>Caritas</strong><br />
<strong>Italiana</strong>, come sempre dalla seconda edizione in poi, propone il brief (tema)<br />
di carattere sociale, solitamente il più frequentato dagli studenti partecipanti<br />
(nella foto, uno dei lavori vincitori dell’edizione 2007), che possono sviluppare<br />
un messaggio pubblicitario sotto forma di manifesto, spot tv, radio, direct mail<br />
o annuncio web. Il tema dettato da <strong>Caritas</strong> per il 2008 è “Malattia mentale:<br />
un dolore disabitato. La necessità assoluta di una corretta informazione”.<br />
A questo brief si aggiungono quello di Legambiente sull’attivismo ambientale<br />
e, novità della settima edizione, il primo brief internazionale, proposto dal<br />
network nigeriano BrandWorld Tv, sul tema della condizione femminile e della<br />
discriminazione delle donne. Termine per la consegna dei lavori, il 7 aprile 2008.<br />
INFO www.spotschoolaward.it<br />
CINEMA<br />
Rosso Malpelo,<br />
tragedia senza tempo,<br />
aiuti ai baby minatori<br />
L’ispirazione viene da una delle più belle<br />
novelle di Giovanni Verga. Ma il tema<br />
è senza tempo. Tanto che gli utili<br />
dell’operazione verranno destinati<br />
a un progetto per aiutare alcun tra<br />
i tanti Rosso Malpelo che anche oggi,<br />
in alcune parti del mondo, sono costretti<br />
a sacrificare la propria infanzia<br />
al durissimo lavoro in miniera. Il regista<br />
Pasquale Scimeca ha voluto girare<br />
in Sicilia, nei luoghi dove una volta c’era<br />
il più grande bacino minerario d’Europa<br />
per l’estrazione dello zolfo e oggi c’è<br />
il parco minerario di Floristella-Grottacalda,<br />
l’adattamento cinematografico<br />
del commovente racconto verghiano.<br />
La dimensione verista della novella<br />
viene superata da una lettura tragica,<br />
che in quanto tale non ha tempo e non<br />
ha storia: lo sfruttamento e la solitudine<br />
dei bambini, infatti, sono di ogni tempo<br />
e di ogni storia. Il coraggioso film<br />
è uscito nelle sale il 19 novembre, ma<br />
prima ancora è stato visto e dibattuto<br />
in centinaia di scuole italiane. I suoi<br />
profitti andranno<br />
a un articolato<br />
programma<br />
nutrizionale<br />
e di scolarizzazione<br />
dei bambini del Potosì, regione mineraria<br />
della Bolivia andina. Il sito internet<br />
dedicato al film dà molte informazioni,<br />
comprese quelle su come richiederlo<br />
e utilizzarlo per scopi didattici e sulla<br />
destinazione umanitaria degli utili.<br />
INFO www.rossomalpelofilm.it<br />
TV<br />
L’Occidente in crisi<br />
nel giro del mondo<br />
di “C’era una volta”<br />
Un ciclo cominciato con un prologo<br />
a fine settembre, poi sviluppatosi<br />
a novembre e dicembre. La trasmissione<br />
Rai C’era una volta, ideata e condotta<br />
da Silvestro Montanaro, ha cominciato<br />
il suo ideale giro del mondo nel 1999.<br />
Da allora ha scandagliato in maniera<br />
coraggiosa, affidandosi<br />
a temi e immagini inediti<br />
per gli schermi italiani,<br />
i temi sociali e politici più spinosi<br />
della contemporaneità, denunciando<br />
gli inaccettabili squilibri sociali<br />
che dividono le diverse aree del mondo<br />
ai tempi della globalizzazione. Così<br />
la nuova serie di puntate non poteva<br />
che mettere a fuoco una questione<br />
cruciale dei nostri giorni: la crisi<br />
nel rapporto tra l’Occidente e il resto<br />
del pianeta. “Perché non ci amano<br />
più?” è la domanda che echeggia<br />
nelle puntate dedicate al turismo<br />
di massa, al problema della fame,<br />
alle sperimentazioni farmaceutiche<br />
e al turismo dei trapianti, al mercato<br />
del sesso e ad altri temi, che dopo<br />
essere andate in onda il mercoledì<br />
in tarda serata su RaiTre possono essere<br />
riviste dal sito internet della trasmissione.<br />
INFO www.ceraunavolta.rai.it<br />
INTERNET<br />
Il sociale in rete,<br />
poco giovanile e<br />
accessibile ai disabili<br />
Il mondo del volontariato on line è stato<br />
analizzato da un team di esperti<br />
dell’Università di Udine. Il monitoraggio<br />
è giunto alla quarta edizione e nel 2007<br />
ha riguardato 23 siti. Hanno superato<br />
a tu per tu di Danilo Angelelli<br />
Citto Maselli rimette insieme film e documentario:<br />
«Racconto un mondo diviso tra uomini, donne e schiavi»<br />
SENZA<br />
DOMICILIO<br />
Il regista<br />
Citto Maselli<br />
con Massimo<br />
Ranieri;<br />
sotto, i tre<br />
protagonisti<br />
dei racconti<br />
di Civico 0<br />
Ogni film che si proiettava nelle sale doveva essere abbinato a un documentario<br />
di dieci minuti, cui spettava il 3% dell’incasso totale del film. Erano gli anni Quaranta<br />
e una generazione di cineasti nasceva con quella legge. Alcuni nomi: Antonioni, Risi,<br />
Comencini, Lizzani. E Francesco (Citto) Maselli, classe 1930, che si fece alfiere<br />
del realismo lirico con documentari su ambulanti, “stracciaroli”, bambini di strada.<br />
Dopo 60 anni di documentari e film come Gli indifferenti, Storia d’amore e Codice<br />
privato, Maselli torna nelle sale con… un documentario e un film. Propone cioè<br />
una contaminazione dei generi, un ibrido tra fiction e realtà, con ricostruzioni narrative<br />
di tre storie vere. Il lungometraggio si intitola Civico 0 e inquadra in primissimo piano<br />
la povertà urbana del nostro tempo, attraverso le voci narranti dei tre reali protagonisti,<br />
cui danno volto gli attori Ornella Muti, Massimo Ranieri e Letizia Sedrick.<br />
Quali differenze ci sono tra i diseredati di Civico 0 e quelli dei suoi primi<br />
documentari?<br />
Ieri come oggi la situazione di chi vive ai margini è atroce, ma allora c’era l’idea<br />
diffusa che qualcosa si era riavviato dopo la guerra. Oggi manca la speranza.<br />
Le tre storie del film sono ambientate a Roma, ma rappresentano le planetarie<br />
disperazioni messe in moto da una globalizzazione motivata dalle ragioni esclusive<br />
dell’economia e del profitto. Sembra di essere tornati alla barbarie, a una logica<br />
precristiana, a quando Aristotele diceva che il mondo è diviso in uomini, donne e schiavi.<br />
Sono state cento le storie di povertà raccolte. Per il film ne avete scelte tre…<br />
Sì, insieme costituiscono un quadro rappresentativo della povertà di qualsiasi città e sono caratterizzate da<br />
significativi dati materiali, storici e sociali, oltre che psicologici ed esistenziali. Stella è una giovane etiope che,<br />
appena arrivata in Italia, dorme alla <strong>Caritas</strong>: dopo varie traversie, il comune assegna a lei e all’uomo di cui<br />
nel frattempo si è innamorata un container in un campo all’estrema periferia della città. Nina è una badante<br />
romena che cade in depressione per le difficili condizioni della casa-prigione in cui lavora. Giuliano è un<br />
fruttivendolo di 60 anni che, alla morte della madre, con la quale abita, arriva quasi a perdere la ragione e va a<br />
vivere in strada. Come recita il titolo del film, si tratta di persone senza tetto, non rintracciabili a un domicilio.<br />
I suoi film fanno sempre “meno sconti”, soprattutto oggi che, per età ed esperienza, non teme<br />
di scontentare pubblico, critica e addetti ai lavori…<br />
Tempo ed esperienza rendono più sicuri, danno la convinzione che non si ha poi tanto da perdere, che si è già<br />
dato buona parte di quel che si poteva. Per questo continuo a fare il cinema che voglio, un cinema sociale<br />
aderente alla realtà. E a favorire, con quel poco che può fare un film, la conoscenza e la denuncia della<br />
povertà che abbiamo intorno. Io rifiuto nella maniera più drastica la povertà come condizione fatale. Keynes<br />
ci aveva spiegato che uno sviluppo intelligente di una società moderna si basa sull’eliminazione graduale<br />
e sistematica delle povertà e Hobsbawm ci ha illuminato sulla natura dei processi mortali in corso. Io parto<br />
dai risultati visibili di questi processi: la tragedia di un’immigrazione senza sbocchi, il sempre più frequente<br />
nutrirsi dai cassonetti, le nuove povertà, i lavavetri, i vecchi senza rifugio e senza speranza.<br />
44 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 ITALIA CARITAS | DICEMBRE 2007 / GENNAIO 2008 45
la selezione, tra gli altri, Emergency,<br />
Altromercato, Wwf e Greenpeace,<br />
ma in generale è emerso che la grafica<br />
è sempre penalizzata, c’è scarsa<br />
interazione con gli utenti, prevale<br />
la tendenza a creare prodotti istituzionali<br />
difficilmente fruibili dai navigatori,<br />
in molti casi manca la funzione del<br />
motore di ricerca interno. Non solo:<br />
il volontariato in internet non sa parlare<br />
ai giovani, maggioranza tra gli internauti.<br />
Né va meglio sul fronte dell’accessibilità<br />
per i disabili: solo 6 dei 23 siti hanno<br />
le caratteristiche necessarie per essere<br />
navigabili da tutti. [redattore sociale]<br />
SEGNALAZIONI<br />
Sfide per la Chiesa<br />
e un cardinale<br />
color speranza<br />
Giovanni Filoramo,<br />
La Chiesa e le sfide della<br />
modernità (Laterza, pagine<br />
208). Viviamo in Italia<br />
un rinnovato “scontro”<br />
tra Chiesa cattolica<br />
e modernità, che sembrava appartenere<br />
al passato, “impensabile” in una società<br />
postsecolare e incentrato su temi<br />
cruciali, come la famiglia, la questione<br />
sessuale, il relativismo etico, il rapporto<br />
con la politica, il lavoro, la guerra.<br />
Michele Ferrero,<br />
Il cardinale Zen. Rosso<br />
speranza (Elledici,<br />
pagine 231). Ritratto<br />
del coraggioso impegno<br />
ecclesiale, pastorale<br />
e sociale di uno dei personaggi<br />
più rispettati e influenti di Hong Kong.<br />
Non per nulla il cardinale Zen è stato<br />
identificato da molti come la “coscienza<br />
morale” della ex colonia, tornata<br />
nel 1997 sotto la sovranità<br />
della Repubblica Popolare di Cina.<br />
pagine altre pagine<br />
villaggio globale<br />
Il mondo che guarda “oltre”,<br />
pagine dalle altre religioni<br />
per aprire spazi di dialogo<br />
di Francesco Dragonetti<br />
Regalare un libro di tema religioso? Natale è tempo di approfondimento<br />
della nostra fede. Ma può essere anche il momento per parlare di altre<br />
religioni, per approfondirne la conoscenza e il dialogo senza pregiudizi né<br />
ingenuità. Dunque per accostarsi a testi che aiutino a scoprire il patrimonio<br />
di spiritualità che è insito nelle varie tradizioni religiose del mondo, anche<br />
quelle più lontane dalla nostra cultura e dalla fede cristiana.<br />
Dalai Lama. L’abbraccio del mondo. Quando scienza<br />
e spiritualità si incontrano (Sperling 2007, pagine 224)<br />
è opera di Tenzin Gyatso: il quattordicesimo Dalai Lama<br />
buddista offre al lettore, tramite parole ponderate, la possibilità<br />
di una crescita spirituale, in grado di far dialogare le risposte<br />
“quantitative” della scienza con quelle “qualitative” della religione.<br />
Sempre in Oriente, i Kami (termine comunemente tradotto<br />
con “divinità”, ma più accuratamente “essenze spirituali”)<br />
sono i mille volti del divino presente nella natura secondo<br />
lo shintoismo giapponese. Di questa religione e del suo ruolo<br />
politico nel Sol Levante tratta Lo shintoismo di Stefano<br />
Vecchia (Xenia 2007, pagine 126): il testo illustra la religione ancestrale<br />
del Giappone, con le sue credenze, i suoi testi sacri e i suoi culti<br />
(la mitologia shinto e la venerazione degli antenati).<br />
Capire il confucianesimo di Jennifer Oldstone-Moore (Feltrinelli<br />
2007, pagine 120) costituisce una succinta e autorevole<br />
introduzione a una delle grandi tradizioni religiose e culturali<br />
del mondo. Il libro è organizzato intorno a nove temi-chiave:<br />
origini e sviluppo storico, aspetti del divino, testi sacri, persone<br />
sacre, principi etici, spazi sacri, tempo sacro, morte e aldilà, società<br />
e religione. Ciascuno di questi temi è arricchito con citazioni<br />
o con riassunti di testi storici, accompagnati da un commento d’autore<br />
che spiega il significato di ciascun testo o lo colloca nel suo contesto.<br />
Infine Islam. Conoscere e capire la religione musulmana<br />
di Augusto Negri (Utet Università 2007, pagine 160)<br />
è un libro agile, che però contiene tutto quello che serve<br />
per avvicinarsi alla religione musulmana. È un testo<br />
per chi ha veramente voglia di capire un mondo<br />
apparentemente così lontano, eppure così vicino non solo<br />
geograficamente, ma anche storicamente. Un piccolo contributo<br />
verso la conoscenza di una delle religioni più diffuse nel mondo.<br />
Il mondo che ci entra<br />
in casa. Studenti<br />
che si avvicinano<br />
al volontariato.<br />
Un quartiere che accoglie<br />
senza pregiudizi<br />
famiglie rom.<br />
La quotidianità sa<br />
ancora sorprendere:<br />
non è detto che debbano<br />
prevalere paure e ostilità<br />
storie di speranza<br />
a cura di Danilo Angelelli<br />
LENTI NUOVE VITA NUOVA<br />
E UNA CADUTA CHE CAMBIA LA VITA<br />
Sono appassionata di fotografia. Recentemente, pur restando nella mia città,<br />
ho fotografato donne indiane con i loro caratteristici abiti, gruppi di ivoriani<br />
in preghiera durante il Ramadan, famiglie srilankesi in pellegrinaggio al santuario<br />
di Santa Rosalia. Ho incrociato sguardi di dolore, di tristezza, di nostalgia per il paese<br />
lasciato. Ma anche di speranza e voglia di costruire nel nostro territorio un pezzo<br />
delle proprie tradizioni, del proprio mondo. Spero che l’obiettivo della mia macchina<br />
fotografica abbia colto tutto questo. E quanto, a volte, questi nostri fratelli desiderano<br />
venirci incontro. È il mondo che entra nelle nostre case. E non può che arricchirle.<br />
(Erminia Scaglia, <strong>Caritas</strong> diocesana di Palermo)<br />
Da tre anni promuoviamo un progetto che vuole offrire ai ragazzi delle scuole superiori<br />
la possibilità di sperimentarsi nel servizio, a diretto contatto con persone in difficoltà.<br />
E sono stati molti i giovani che ci hanno manifestato la loro sorpresa nel rendersi conto<br />
che appena dietro l’angolo c’è una realtà di forte disagio. Molti anche quelli che poi<br />
“insistono” nel contatto con questa realtà, facendola diventare parte della propria vita.<br />
In quei casi l’adesione al nostro progetto ha rappresentato solo l’inizio di un personale<br />
cammino, a contatto con il mondo del disagio e del volontariato.<br />
(Roberto Calzà, vicedirettore <strong>Caritas</strong> diocesana di Trento)<br />
Ho sentito alcuni rappresentanti dell’associazione del quartiere Isolotto-Torri Cintoia,<br />
periferia di Firenze, parlare con normalità delle famiglie rom loro vicine<br />
di casa, assegnatarie di alloggi popolari. È la prova tangibile di uno sforzo<br />
fatto dalle istituzioni di integrare una componente della popolazione difficile<br />
come quella dei rom (che altrove ha creato grandi problemi, all’interno<br />
del tessuto sociale), ma soprattutto della capacità di accoglienza e accettazione<br />
da parte di persone che guardano l’altro per ciò che è umanamente, con i suoi<br />
problemi e le sue risorse, e non per lo stigma che si può portare dietro.<br />
(Annalisa Tonarelli, <strong>Caritas</strong> diocesana di Firenze)<br />
Alla fine di uno dei corsi di formazione per un approccio nonviolento<br />
alle relazioni, una persona che viveva un grande disagio, sia a livello lavorativo<br />
che familiare, ha raccontato che aveva provato a mettere in atto gli strumenti<br />
di cui avevamo parlato nel corso. Da quel momento ha avuto l’impressione<br />
di “cambiare le lenti dei propri occhiali”: le stesse vicende adesso cercava<br />
di viverle non come minaccia, ma in maniera propositiva. Parlava di lenti<br />
capaci di ricreare in maniera nuova il contesto che lo circondava...<br />
(Paolo Chiavaroli, <strong>Caritas</strong> diocesana di Pescara-Penne)<br />
Un uomo tunisino, a causa di una caduta da un’impalcatura mentre era sul posto di lavoro,<br />
ha dovuto portare per un certo periodo le stampelle. Improvvisamente si è trovato senza<br />
lavoro e di conseguenza senza casa. Uno straniero con le stampelle: si prevedeva una difficile<br />
integrazione. Invece, per merito della sua onestà e voglia di fare, ha trovato dopo poco un<br />
posto di lavoro da custode. Ce l’ha fatta, nonostante tutto: è uscito dal dormitorio dove nel<br />
frattempo era stato ospitato, ha trovato una casa propria e uno spazio di socializzazione non<br />
dipendente dai nostri servizi. (don Valerio Di Trapani, direttore <strong>Caritas</strong> diocesana di Catania).<br />
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Vieni di notte, ma nel nostro cuore è sempre notte: e dunque vieni sempre, Signore.<br />
Vieni in silenzio, noi non sappiamo più cosa dirci: e dunque vieni sempre, Signore.<br />
Vieni in solitudine, ma ognuno di noi è sempre più solo: e dunque vieni sempre, Signore.<br />
Vieni, Figlio della pace, noi ignoriamo cosa sia la pace: e dunque vieni sempre, Signore.<br />
Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore.<br />
Vieni a consolarci, noi siamo sempre più tristi: e dunque vieni sempre, Signore.<br />
Vieni a cercarci, noi siamo sempre più perduti: e dunque vieni sempre, Signore.<br />
Vieni, tu che ci ami: nessuno è in comunione col fratello se prima non lo è con te, o Signore.<br />
Noi siamo tutti lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo, cosa vogliamo.<br />
Vieni, Signore. Vieni sempre, Signore. David Maria Turoldo, Vieni di notte<br />
ITALIA CARITAS AUGURA AI SUOI LETTORI UN NATALE E UN ANNO NUOVO RISCHIARATI DALLA VENUTA DI GESÙ<br />
I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,<br />
stampa e spedizione di Italia <strong>Caritas</strong>, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:<br />
<strong>Caritas</strong> <strong>Italiana</strong> - c.c.p. 347013 - via Aurelia, 796 - 00165 Roma - www.caritasitaliana.it<br />
NATIVITÀ CON SAN GIORGIO E SAN VINCENZO FERRER FILIPPO LIPPI (1450 - 1475), MUSEO CIVICO, PRATO