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MAKING LIFE | Novembre 2020

COVID-19 E INDUSTRIA

FARMACEUTICA,

OPPORTUNITÀ E SFIDE

Gabriele Costantino

L’emersione del beta coronavirus denominato

SAR-CoV2 e l’emergenza indotta dalla diffusione

dell’infezione e della malattia sistemica a essa

associata hanno, in tempi rapidissimi, modificato le

priorità e le riflessioni di larghi strati della società.

Per diverse generazioni, soprattutto le più giovani,

l’idea di una malattia trasmissibile da uomo a uomo,

per via respiratoria, è stato qualcosa di assolutamente

inatteso. E forse ancora più inatteso, soprattutto

per le generazioni cui appartiene chi scrive, il fatto

che improvvisamente ci siamo trovati di fronte alla

constatazione che non esistono farmaci per trattare una

condizione estremamente diffusa e diffondibile!

Queste riflessioni portano a una serie di

questioni che sono molto dibattute in questi

giorni e che riguardano non solo i rapporti

tra individui ma anche i rapporti che a

livello di società abbiamo con i farmaci.

L’industria farmaceutica rappresenta

una componente importante - e sovente

anticiclica - per le economie dei Paesi

sviluppati, ma anche un driver insostituibile

di progresso e di innovazione. Da

questo punto di vista, è indispensabile

un’operazione culturale che faccia

sedimentare il più possibile nell’opinione

pubblica l’idea che il farmaco (e chi, dalle

università all’industria, mette energia e

rischio di impresa nella sua ideazione

e sviluppo) non è un bene di largo

consumo ma una vera e propria opera di

ingegno e di inventività. Detto questo, le

vicissitudini (iniziali?) di questa pandemia

hanno fatto emergere anche dinamiche

che dovrebbero esser attentamente

considerate nell’ottica di un aumento della

reputazione, sociale ed economica, della

filiera del farmaceutico.

Due aspetti sono particolarmente

significativi, da questo punto di vista.

Il primo riguarda il fatto – ovvio per gli

addetti ai lavori ma forse meno per

l’opinione pubblica – che i nuovi farmaci

di oggi derivano da ricerche e, soprattutto,

investimenti di 10-15 anni fa. La capacità

di prevedere scenari (e mercati, e bisogni)

a tale distanza è indice di enorme

lungimiranza, e non è possibile quindi

biasimare nessuno se ci troviamo oggi

in una grave carenza di farmaci contro

malattie infettive e trasmissibili. Questo

vale per le infezioni virali, ma lo stesso

discorso può esser fatto per le resistenze

batteriche, le infezioni fungine sistemiche,

le malattie parassitarie. Oggi sappiamo

che la crescita demografica, le migrazioni,

la sempre maggiore contiguità tra uomo

e animali da allevamento renderanno

sempre più probabile l’emersione di

nuove malattie zoonotiche, trasmissibili

e favoriranno sempre più la selezione di

geni di resistenza a farmaci. L’industria

farmaceutica ha iniziato oggi un percorso

di ricerca e di sviluppo (basato su approcci

di systems biology, knowledge-based,

riposizionamento, screening) che forse

non servirà ad avere un nuovo farmaco

per il Covid-19 prima del vaccino o di

altri interventi non farmacologici, ma che

sicuramente fornirà la base di conoscenza

e di materiale con cui affrontare le

inevitabili crisi dei prossimi decenni,

esattamente come l’industria e il mondo

della ricerca si sono trovati pronti negli

scorsi anni ad affrontare le malattie

oncologiche e non trasmissibili.

Il public engagement è fondamentale nello

stabilire se questa sfida sarà coronata o

meno dal successo, ma non v’è dubbio

che ci dovrà esser supporto a livello

governativo – nazionale e sovranazionale

– nel finanziare e nel dirigere anche

con interventi top-down la ricerca e lo

sviluppo in aree terapeutiche sinora

trascurate. Ma allo stesso modo l’industria

farmaceutica dovrà mettere in gioco la

sua reputazione come attività a forte

ruolo sociale e di progresso, non avendo

timore di investire in aree e progetti a forte

rischio e, apparentemente, a minor ritorno

economico.

La saldatura tra mondo farmaceutico

(industria, università, enti di ricerca) e

società civile dovrà avvenire su questi temi

e dovrà accadere alla svelta per riuscire ad

aver impatto per i prossimi decenni.

L’epidemia da SARS-Cov2 ha però messo

in luce anche un altro aspetto su cui

vale la pena riflettere, di ordine diverso

(e apparentemente meno significativo)

rispetto a quello precedente, ma

probabilmente di analoga se non peggiore

conseguenza. Sin dall’inizio della pandemia

- che evidentemente è stata ed è fenomeno

globale - si è osservato il fenomeno dello

shortage di farmaci, neppure direttamente

coinvolti nella gestione della pandemia

stessa. Questa è una dinamica oramai ben

conosciuta in economia, relativamente

all’impatto di crisi sistemiche (come

possiamo a ben diritto definire Covid-19)

sulle filiere di produzione e distribuzione di

prodotti sia di largo consumo che a elevato

valore aggiunto. Nel caso dei farmaci e

delle materie prime per la loro produzione,

le dinamiche produttive e di distribuzione

sono fortemente globalizzate (o, per dirla

dalla nostra prospettiva, delocalizzate) e i

volumi vengono stimati con largo anticipo.

Qualora venga richiesta, improvvisamente

e su larga scala, una riconversione della

produzione verso determinati principi

attivi o formulazioni, si possono generare

interruzioni sulla catena, con ripercussioni

importanti sulla disponibilità al banco.

Un esempio di ciò è facilmente desumibile

osservando i report di AIFA che, nel

primo semestre 2020, ha evidenziato

la carenza di numerosi principi attivi,

sia per blocco di approvvigionamento o

fabbricazione, sia per eccessiva domanda

(il lettore potrà trovare informazioni su

come l’Agenzia italiana ha affrontato la

crisi all’indirizzo: https://www.aifa.gov.

it/web/guest/-/carenze-di-farmacied-emergenza-covid-19).

L’esperienza

accumulata in questi mesi suggerisce

quindi la necessità che gli Stati sovrani,

attraverso le proprie agenzie di regolazione

e di controllo, esercitino non solo azione

di vigilanza e allerta, ma anche di

programmazione a lungo termine delle

disponibilità. A tale riguardo potrebbe

essere utile osservare che per gran

parte delle malattie non trasmissibili (ad

esempio malattie del metabolismo, tumori,

malattie cardiovascolari) è estremamente

improbabile assistere a una improvvisa

e massiva richiesta di una particolare

classe di farmaci, in quanto le dinamiche

di cambio di prevalenza su scala geotemporale

medio-alta richiedono tempi

molto lunghi. Viceversa, e l’esperienza

Covid19 è qui a insegnarcelo, le malattie

trasmissibili possono causare impennate

improvvise nella richiesta di particolari

farmaci, che dovrebbero sempre esser

disponibili. Ad esempio, il fatto che un

certo antibiotico abbia una domanda

costantemente bassa, non vuol dire che

non ce ne possa essere improvvisamente

un bisogno insostenibile su scala mondiale.

Il lettore potrà ricordare ad esempio il caso

dell’uso terroristico dell’antrace, che ha

causato uno shortage improvviso di un

normale antibatterico, appartenente alla

classe dei fluorochinoloni.

È necessario quindi che le aziende

produttrici, ma anche le agenzie nazionali,

riprendano un ruolo non solo burocratico

ma di analisi e previsione scientifica,

identificando con anticipo possibili

evoluzioni pandemiche che, soprattutto

di origine zoonotica, saranno sempre più

frequenti.

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