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Crash - James G. Ballard.pdf - Autistici/Inventati

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«Non potremmo girare un po'?» disse lei. «C'è un bel traffico — e a me piace guardarlo.»<br />

Era un tentativo di provocazione? Secondo me, stava già valutando, con quel suo modo realistico, le<br />

possibilità che io le avevo rivelato. Dalle aree di cemento dei parcheggi di superficie e dai tetti dei<br />

parcheggi multipiani essa andava ormai esaminando, con occhio limpido e non sentimentale, la<br />

tecnologia che aveva provocato la morte di suo marito.<br />

Cominciò a chiacchierare con animazione forzata. «Ieri ho noleggiato un tassi per una passeggiata di<br />

un'ora. "Dove vuole", ho detto al tassista. Be', siamo finiti in un ingorgo gigantesco vicino al<br />

sottopassaggio, e avremo fatto sì e no cinquanta metri. E lui, tranquillo e imperterrito come niente!»<br />

Percorremmo la Western Avenue, edifici di servizio e barriera perimetrale dell'aeroporto alla nostra<br />

sinistra. Tenni la macchina sulla corsia lenta, mentre l'alto ponte del cavalcavia recedeva nel retrovisore.<br />

Helen passò a parlare della seconda vita che meditava di condurre.<br />

«Il Road Research Laboratory ha bisogno di un ufficiale medico. Lo stipendio è più elevato — il che è una<br />

cosa di cui devo tener conto, oggi come oggi. Nell'esser materialisti c'è una certa virtù morale, non<br />

trova?»<br />

«Il Road Research Laboratory...» ripetei. I documentari televisivi mostravano spesso riprese di scontri<br />

automobilistici simulati, e le macchine così mutilate erano pervase d'uno strano pathos. «Non ricorda un<br />

po' troppo...»<br />

«È proprio questo il punto. Inoltre, ora so di poter dare qualcosa di cui prima non ero nemmeno<br />

lontanamente cosciente. È una questione non tanto di dovere, quanto d'impegno.»<br />

Quindici minuti dopo, mentre tornavamo verso il cavalcavia, si spostò accanto a me, osservando le mie<br />

mani sui comandi nel momento in cui imboccavamo di nuovo la direttrice di collisione.<br />

Lo stesso sguardo tranquillo ma curioso, come di donna ancora indecisa sull'uso da fare di me, le<br />

persisteva in viso quando, poco dopo, fermai la macchina su una strada di servizio deserta fra i bacini<br />

idrici a ovest dell'aeroporto. Quando le misi il braccio attorno alle spalle, sorrise brevemente a se stessa,<br />

con un rictus nervoso del labbro superiore che scoprì la capsula d'oro dell'incisivo destro. Le sfiorai la<br />

bocca con la mia, ammaccando il carapace ceroso del rossetto pastello, gli occhi sulla sua mano levata a<br />

toccare la cornice cromata del finestrino laterale. Premetti le labbra contro lo scoperto e non segnato<br />

avorio dei suoi denti superiori, affascinato dal movimento delle sue dita sul cromo liscio della cornice.<br />

Lungo la superficie di questa correva, all'estremità e verso l'interno, una strisciatura di vernice blu<br />

lasciata da qualche insoddisfatto operaio della catena di montaggio; e l'unghia del suo indice graffiava<br />

appunto questa specie di greca che saliva in diagonale dalla base del finestrino seguendo il medesimo<br />

angolo del bordo di cemento del canale irriguo a tre metri dalla macchina. Ai miei occhi, questa<br />

parallasse si fondeva con l'immagine di un'auto abbandonata fra l'erba rugginosa ai piedi della scarpata<br />

del bacino idrico. La breve valanga di cipria che le cadde, dissolvendosi, fra gli occhi quando le sfiorai le<br />

ciglia con le labbra, conteneva tutta la malinconia di quel veicolo derelitto, con la sua lenta perdita di<br />

olio e liquido refrigerante.<br />

Dietro di noi, a oltre cinquecento metri di distanza, il traffico sostava in attesa sul ponte soprelevato<br />

dell'autostrada, i finestrini di auto e pullman delle linee aeree attraversati dal sole pomeridiano. Mossi la<br />

mano attorno alla curva esterna delle sue cosce fino alla cerniera aperta del vestito. Mentre i denti<br />

affilati di questa mi tagliavano le nocche, sentii i denti di lei mordermi attorno all'orecchio. L'acutezza<br />

dei due tipi di dolore mi evocò il morso del cristallo del parabrezza al momento dello scontro. Helen aprì<br />

le gambe e io cominciai ad accarezzare la rete di nailon che le copriva il pube, velo incantevole sul<br />

bacino d'una dottoressa tanto seria. Fissandola in viso — un viso la cui bocca insistente ansava come nel<br />

tentativo di divorarsi —, mossi la mano ad accarezzarle i seni. Ora Helen parlava a se stessa, dicendo<br />

cose insensate come una vittima d'incidente uscita di mente. Si sollevò la mammella destra dal<br />

reggiseno premendosi le mie dita contro il capezzolo ardente. Io le baciai i seni uno dopo l'altro,<br />

lasciando correre i denti sui capezzoli eretti.<br />

Afferrandomi col suo corpo in quel recesso di vetro, metallo e vinile, m'infilò la mano sotto la camicia,<br />

alla ricerca dei miei capezzoli. Io le presi le dita e le guidai sul pene. Nel retrovisore comparve<br />

l'immagine di un camion di servizio della società idrica: ci sorpassò in un rombo di polvere e fumo diesel<br />

che si rinfranse tambureggiando contro la portiera della macchina. Questo émpito d'eccitazione mi fece<br />

schizzare il primo seme. Dieci minuti più tardi, al ritorno del camion, la vibrazione dei finestrini mi<br />

provocò l'orgasmo. Helen era inginocchiata su di me, gomiti premuti sul sedile ai lati della mia testa. Io<br />

stavo disteso, a gustare il profumo di vinile surriscaldato. Le sollevai la gonna sui fianchi in modo da

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