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Crash - James G. Ballard.pdf - Autistici/Inventati

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In qualche modo, a mio vedere, l'auto ricreava così, nel quadro delle nuove possibilità del corpo di lei, la<br />

parte da essa avuto nella morte del marito. Solo in macchina Helen poteva raggiungere l'orgasmo: e<br />

tuttavia, una sera, mentre stavamo insieme nella mia auto all'ultimo piano del parcheggio di Northolt,<br />

sentii il suo corpo irrigidirsi in un rictus di ostilità e frustrazione. Io le posai la mano sul triangolo scuro<br />

del pube, che l'umidore trasformava in argento nel buio: lei staccò le braccia da me e fissò l'abitacolo,<br />

come in procinto di lacerarsi i seni scoperti in quella trappola di coltelli di vetro e metallo.<br />

I bacini idrici deserti ci giacevano attorno sotto il sole come un invisibile mondo marino. Helen rialzò il<br />

finestrino, chiudendo fuori il rombo di un aereo in salita.<br />

«Basta venir qui — vedi di trovare un altro posto.» Lo stesso calo d'eccitazione l'avevo provato anch'io.<br />

Senza Vaughan a osservarci, a fissare sulla pellicola le nostre pose e le nostre aree cutanee, il mio<br />

orgasmo mi era parso vuoto e sterile, come un'espulsione di tessuto superfluo.<br />

Visualizzai nella mente l'abitacolo dell'auto di Helen, con la sua durezza di cromo e vinile: abitacolo<br />

trasformato, grazie alla vita ricevuta dal mio seme, in un recesso ombroso di fiori esotici, la luce di<br />

cortesia intrecciata di rampicanti, pianale e sedili lussureggianti di erba umida.<br />

Osservando di lato Helen, che stava accelerando sul ponte scoperto dell'autostrada, mi domandai d'un<br />

tratto come potessi farle del male. Meditai di prenderla nuovamente lungo la direttrice della morte del<br />

marito: questo, magari, avrebbe potuto ridestare il bisogno sessuale che lei aveva di me, o ravvivare<br />

l'ostilità erotica, quale che fosse, da lei provata verso di me e verso il morto.<br />

Mentre superavamo il cancello del Laboratorio, Helen si sporse in avanti sul volante» aggrappandovisi in<br />

maniera strana con le braccia magre. Il suo corpo formò una goffa geometria coi montanti del<br />

parabrezza e l'angolo della colonna-sterzo, quasi essa stesse consapevolmente imitando le pose di<br />

Gabrielle, la giovane storpia.<br />

Ci portammo a piedi dall'affollato parcheggio ai punti di prova. Con il ricercatore che ci aveva accolti<br />

Helen discusse la progettata legislazione ministeriale sulle barre stabilizzatrici. Sulla pista di cemento<br />

stavano allineate due file di macchine sinistrate. Negli abitacoli accartocciati sedevano i corpi di<br />

manichini di plastica, facce e toraci scheggiati dalle collisioni, punti di riferimento demarcarti da strisce<br />

colorate su crani e addomi. Helen fissava i manichini attraverso le cornici vuote dei parabrezza come<br />

fossero pazienti che sperasse di curare. Mentre passeggiavamo tra la folla sempre più numerosa di<br />

visitatori agghindati (vestiti eleganti, cappellini a fiori), lei allungava la mano attraverso i finestrini<br />

incrinati a carezzare le braccia e le teste di plastica.<br />

Quella logica da sogno presiedette all'intero pomeriggio. La viva luce pomeridiana dava alle diverse<br />

centinaia di visitatori l'aspetto di manichini: di manichini non più reali delle figure di plastica che<br />

avrebbero recitato le parti di guidatori e passeggeri in una collisione frontale tra una berlina e una moto.<br />

Il senso di disincarnamento, d'irrealtà dei miei muscoli e delle mie ossa, s'accrebbe all'apparire di<br />

Vaughan. Dinanzi a me, i tecnici stavano fissando la moto al carrello che doveva venir scagliato, lungo<br />

rotaie d'acciaio, contro la berlina in attesa a sessanta metri di distanza. Da entrambi i veicoli si<br />

snodavano cavi di rilevamento collegati agli apparecchi di registrazione disposti gli uni accanto agli altri<br />

su tavoli a cavalietto. Due cineprese stavano già in posizione: l'una montata lungo la pista di<br />

scorrimento, l'altra puntata verso il basso dalla cima di un'incastellatura. Un videonastro proiettava<br />

intanto su un piccolo schermo l'immagine dei tecnici intenti a sistemare i sensori nel vano-motore della<br />

berlina. Nella berlina sedeva una famiglia di quattro manichini — marito, moglie e due bambini —, cavi<br />

di rilevamento fissati alle teste, ai toraci e alle gambe. Sui corpi erano già segnate le ferite che avrebbero<br />

riportato: forme geometriche complesse color carminio e viola segnavano a fasce visi e toraci. Un<br />

tecnico sistemò definitivamente il guidatore dietro il volante, piazzandone le mani nella posizione diecialle-due<br />

considerata corretta. Attraverso l'altoparlante, il commentatore, un dirigente della sezione<br />

scientifica, diede il benvenuto agli ospiti dello scontro sperimentale e presentò scherzando gli occupanti<br />

della berlina: «Charlie e Greta, usciti per un giro in macchina coi bambini, Sean e Brigitte...».<br />

All'estremità della pista, un gruppo più ristretto di tecnici preparava la moto, fissando la giraffa al<br />

carrello che avrebbe disceso le rotaie. I visitatori — funzionari ministeriali, tecnici della sicurezza<br />

stradale, specialisti del traffico e rispettive consorti — si erano raccolti intorno al punto d'impatto, come<br />

una folla attorno a una pista automobilistica.<br />

Quando Vaughan si avvicinò, a grandi passi sulle lunghe gambe ineguali, dal parcheggio, tutti si girarono

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