Crash - James G. Ballard.pdf - Autistici/Inventati
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su quello di lei nella luce riflessa degli abbaglianti di passaggio, assunse una serie di pose stilizzate.<br />
Vaughan mi svelò tutte le sue ossessioni in materia di misterioso erotismo delle ferite: la logica perversa<br />
dei cruscotti intrisi di sangue, delle cinture di sicurezza spalmate di escrementi, dei parasole bordati di<br />
materia cerebrale. Per lui, ogni auto schiantata era causa di un tremore d'eccitazione: eccitazione per le<br />
complesse geometrie di un paraurti ammaccato, per le variazioni inattese di una griglia del radiatore<br />
schiacciata, per la grottesca sporgenza di un pannello di strumentazione contro l'inguine d'un guidatore,<br />
simile a un calibrato atto di fellatio meccanica. L'intrico di lame cromate e cristallo infranto<br />
rappresentava per lui la fossilizzazione eterna del tempo e dello spazio intimi di un individuo.<br />
Una settimana dopo il funerale della cassiera, mentre correvamo una notte lungo il perimetro<br />
occidentale dell'aeroporto, Vaughan sterzò verso il margine della strada e investì un grosso cane<br />
bastardo. L'impatto col suo corpo — come di martellata attutita — e la pioggia di cristallo quando<br />
questo passò sopra il tetto, mi convinse che stavamo per morire in uno scontro. Ma Vaughan, anziché<br />
fermarsi, accelerò, il volto sfregiato accosto al parabrezza sfondato, le mani rabbiosamente occupate a<br />
liberare le guance dalle schegge di vetro. I suoi atti di violenza erano ormai diventati tanto<br />
imprevedibilmente casuali da lasciarmi in pratica nella condizione di spettatore prigioniero e nulla più. Il<br />
mattino seguente, tuttavia, quando abbandonammo l'auto all'ultimo piano del parcheggio<br />
dell'aeroporto, egli mi fece notare con calma le profonde ammaccature sul cofano e sul tetto. Poi, il viso<br />
olivastro aggrottato come quello di un bimbo pensieroso, rimase a fissare un aereo di turisti che si<br />
levava sempre più alto nel cielo occidentale. Le lunghe scanalature triangolari sulla macchina erano<br />
state scavate nella morte di una creatura sconosciuta; la svanita identità di questa, astratta in termini<br />
geometrici dal veicolo stesso. Quanto più misteriose non sarebbero state le nostre morti, e quelle dei<br />
famosi e potenti...<br />
Anche questa prima morte sembrava timida se paragonata alle altre in cui Vaughan avrebbe avuto<br />
parte, o alle morti immaginarie che gli riempivano la mente. In un tentativo di autoesaurimento, egli<br />
concepì un terrificante almanacco immaginario di disastri automobilistici e ferite pazzesche: polmoni di<br />
anziani perforati da maniglie di portiere, petti di giovani donne impalati su piantoni di guida, guance di<br />
bei giovinetti trafitte dalle chiusure cromate dei deflettori. Per lui, ferite del genere erano le chiavi di<br />
una nuova sessualità, generata da una perversa tecnologia; e le loro immagini stavano appese nella sua<br />
galleria mentale come oggetti esposti in un museo da macello.<br />
Ripensando a lui, immerso nel suo sangue sotto le luci ad arco della polizia, ricordo gli innumerevoli<br />
disastri immaginari da lui descritti mentre giravamo insieme sulle superstrade dell'aeroporto. Vaughan<br />
sognava di berline ambasciatoriali schiantantisi contro autobotti inarcate, di tassi pieni di bambini<br />
festosi scontratisi frontalmente sotto le vetrine sfolgoranti di supermercati deserti. Sognava di fratelli e<br />
sorelle alienati, incontratisi per caso su rotte di collisione lungo le rampe d'accesso di industrie<br />
petrolchimiche, il loro inconsapevole incesto reso esplicito dallo scontro fra metalli, dalle emorragie di<br />
tessuto cerebrale fiorenti sotto camere alluminizzate di compressione e vasi di reazione. Immaginava<br />
tamponamenti immani di nemici giurati, morti di esseri odiosi celebrate tra le fiamme del carburante<br />
lingueggianti nelle cunette laterali, in un ribollire di vernice sullo sfondo dello smorto sole pomeridiano<br />
di città provinciali. Visualizzava gli scontri speciali di criminali evasi, e quelli di ricevitrici d'albergo fuori<br />
servizio intrappolate tra i volanti e i grembi degli amanti da esse masturbati. E pensava agli scontri di<br />
coppie in luna di miele, sedute insieme dopo gli impatti contro le sospensioni posteriori di autocisternepirata<br />
adibite al trasporto dello zucchero; e alle morti più astratte in assoluto — gli scontri di stilisti<br />
d'auto, feriti nelle loro macchine insieme con laboratoriste dalle abitudini promiscue.<br />
Su queste collisioni, Vaughan elaborava variazioni infinite. Per prima cosa, immaginava una successione<br />
di scontri frontali: un molestatore di bambini e un medico stressato in atto di provare le rispettive morti<br />
prima in un urto frontale, poi in un cappottamento; la prostituta al termine della professione in quello di<br />
schiantarsi contro un parapetto autostradale di cemento — il corpo sovrappeso scagliato attraverso il<br />
parabrezza frantumato, i menopausati lombi dilacerati sulla mascotte cromata del cofano, il sangue<br />
rigante il cemento ultrabianco della banchina serale e ossessionante poi per sempre, nel ricordo, il<br />
meccanico della polizia incaricato di raccogliere le membra sparse in un lenzuolo di plastica giallo. In<br />
alternativa, immaginava la prostituta investita da un camion in retromarcia in un'area di servizio<br />
autostradale — schiacciata contro la portiera sinistra della macchina mentre si chinava per allacciarsi la<br />
scarpa destra, i contorni del corpo impressi in sanguinolenta impronta sul pannello della portiera.<br />
Oppure la vedeva superare il parapetto del cavalcavia e morire come sarebbe morto lui, in un tuffo