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Il Tabloid del festival Time in Jazz 2006

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paV - progetto arti visive<br />

29<br />

Stage/Backstage<br />

<strong>Il</strong> <strong>festival</strong> e i suoi artisti attraverso lo sguardo di professionisti e non professionisti <strong>del</strong>lo scatto<br />

Festival <strong>del</strong>le velocità. Delle cose da fare <strong>in</strong> fretta. A <strong>Time</strong> <strong>in</strong> <strong>Jazz</strong> attardarsi quasi sempre non serve. Non è utile <strong>in</strong>du-<br />

giare per i giovani <strong>del</strong>l’associazione, dalla piazza alla sede alle mostre. Non conviene attardarsi al pubblico, per non<br />

perdere eventi che talvolta si sviluppano contemporaneamente o quasi. Che movimento, a <strong>Time</strong> <strong>in</strong> <strong>Jazz</strong>. Una formicaio<br />

di formiche impazzite si aggirano attorno a Piazza <strong>del</strong> Popolo per quattro giorni; il quarto giorno può capitare di <strong>in</strong>con-<br />

trare uno per la prima volta, Dov’eri? Qua, da lunedì. Qua sì, ma di corsa, e <strong>in</strong> corsa ci si <strong>in</strong>contra solo per caso.<br />

Contro gli scatti e le corse, dunque gli scatti, le fotografie. Rivoluzione filosofica, rappresaglia l<strong>in</strong>guistica. Scatti contro<br />

scatti, scatti non per annullare gli scatti, ma per dar loro più senso. Quando il <strong>festival</strong> è f<strong>in</strong>ito e stai assorbendo gli<br />

scatti e le toss<strong>in</strong>e, gli scatti e le emozioni, gli scatti ti vengono <strong>in</strong> soccorso: ecco Iva Bittova – dov’eri quando cantava<br />

così? – ecco Jeanne Lee a Bisarcio, solenne. Fotografare <strong>Time</strong> <strong>in</strong> <strong>Jazz</strong> è un modo, uno dei più nobili – non mobili –,<br />

per rallentarlo, salvarlo.<br />

Si lascia fotografare <strong>Time</strong> <strong>in</strong> <strong>Jazz</strong>, da tutti. Quelli ufficiali, di fotografi, ai aggirano come ladri davanti alla<br />

prima fila. Girano per le chiese, le mostre, i sentieri. Cercano le f<strong>in</strong>ezze. Disturbano gli abbonati, o si contengono.<br />

Maniaci <strong>del</strong>lo scatto, per chi li guarda storto dalla prima fila. Tutti gli altri – volontari, spettatori, artisti,<br />

anche – <strong>in</strong> modo più grossolano cercano piuttosto forse una testimonianza, prove, documenti. E poi, a<br />

volte, anche loro trovano il coup de théâtre, la foto comme il faut. Ma <strong>in</strong> un posto come la Berchidda di quei<br />

giorni forse è più facile, dicono.<br />

Cosa si potrebbe fare con lo sterm<strong>in</strong>ato materiale fotografico raccolto a Berchidda, <strong>in</strong> diciassette edizioni <strong>del</strong> <strong>festival</strong>?<br />

Si potrebbe riempire una parete con una parte di questo, certo, per una mostra. Ma – nell’utopia di un recupero di tutte<br />

le foto scattate a <strong>Time</strong> <strong>in</strong> <strong>Jazz</strong> – si potrebbe, specie per le primi edizioni, recuperare la memoria storica di una manifestazione<br />

che si avvic<strong>in</strong>a alla maggiore età. Le foto più antiche, forse più artigianali, hanno per questa mostra un fasc<strong>in</strong>o<br />

particolare: con Marcello Piras e Dante Olianas c’è il vecchio camion <strong>del</strong> mobilificio, c’è il comune com’era, c’è<br />

la piazza com’era e certamente è, nonostante i tempi siano cambiati, e allora bastava, ora non più. E poi? E poi beh,<br />

quante piccole storie, all’al di là di quella <strong>del</strong> <strong>festival</strong>; c’è il frammento di storia di quel bamb<strong>in</strong>o <strong>in</strong> bicicletta che girava<br />

sempre quel <strong>festival</strong> lì e sempre <strong>in</strong> mezzo a tutti – aveva domande per ognuno – e alla f<strong>in</strong>e lo vedete, che assiste,<br />

davanti al camion <strong>del</strong> service, la bicicletta ferma.<br />

Scatti d’autore e scatti così. Jon Hassell e i pranzi post-<strong>festival</strong>, Agost<strong>in</strong>o Mela e la sorella <strong>del</strong> terzultimo volontario. La<br />

filosofia che muove – paralizza, anzi – questa mostra-parete è per così dire enciclopedica. L’idea <strong>del</strong> PAV è stata <strong>in</strong> queste<br />

settimane di recuperare tutto il recuperabile. C’è Paolo Fresu con una birra <strong>in</strong> mano, e il trombettista <strong>in</strong> mille pose, e a<br />

volte c’è solo la tromba,e Paolo Fresu lo devi immag<strong>in</strong>are tu, perché dev’essere lui, lì, è la sua mano, quella. Magia <strong>del</strong><br />

non detto, <strong>in</strong> molti scatti d’autore. E così <strong>in</strong> tante fotografie restano dei movimenti a metà, <strong>del</strong>le azioni <strong>in</strong>iziate, espressioni<br />

<strong>in</strong>compiute. Lì si ferma l’occhio <strong>del</strong> lettore, da lì partono immag<strong>in</strong>i, suggestioni, romanzi.<br />

Fabrizio Crasta

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