marzo 2010 - Anno 2 Numero 1 - Regione Autonoma Friuli Venezia ...
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bile: gli operatori direttamente<br />
interessati, i contadini attivi,<br />
sono rimasti veramente in pochi.<br />
Sono ormai in numero inferiore<br />
persino rispetto ai tecnici che<br />
li assistono, ai funzionari che li<br />
guidano, a quelli che li difendono<br />
o dovrebbero farlo, ai ricercatori<br />
che svolgono ricerca nel settore<br />
primario e che dovrebbero formarli<br />
e aggiornarli.<br />
In <strong>Friuli</strong> la situazione non si<br />
discosta di molto da questo<br />
scenario. Nel passato, richiamati<br />
dalle “sirene industriali”, anche<br />
i contadini friulani – seppur con<br />
un certo ritardo, a causa delle<br />
più tardiva industrializzazione<br />
– hanno via via abbandonato la<br />
terra. In parte lo hanno fatto<br />
pensando ad un futuro migliore<br />
per i fruts; forse gli stessi, viene<br />
da pensare, che ora vivono al<br />
quarto piano, in città, disoccupati<br />
e tanto meno felici dei padricontadini.<br />
Cresciuti nella cultura friulana<br />
del “comandi”, troppi contadini<br />
hanno ubbidito in passato al sig.<br />
Adam Smith, uno scozzese che<br />
li voleva big, o fuori. Ma come<br />
facevano a diventare big, quando<br />
tutte le condizioni contrastavano<br />
con la loro crescita: con i costi di<br />
produzione che salivano gradualmente<br />
a livelli “industriali” ed i<br />
prezzi dei prodotti che restavano<br />
“agricoli”?<br />
Il ritorno dei contadini<br />
Di un possibile ritorno dei contadini<br />
ne hanno parlato alcuni<br />
uomini di cultura, ma questo<br />
rimane un ritorno che non c’è.<br />
Non è pensabile che possano<br />
tornare: affidiamo ai sogni anche<br />
questo improbabile evento. E<br />
nemmeno si può pensare che i<br />
contadini che hanno lasciato possano<br />
essere sostituiti da altri, da<br />
nuovi, venuti da fuori. Che non<br />
conoscono i segreti dei siti, dei<br />
terreni, delle colture più adatte,<br />
dei lavori appropriati, dei vicini e<br />
dei confini ondeggianti, dei monti<br />
da dove arriva la pioggia o la<br />
grandine; nemmeno sanno delle<br />
antiche pievi che con il battito<br />
delle campane cadenzavano lo<br />
scorrere del tempo.<br />
Gli “indigeni”, loro conoscono<br />
l’appezzamento che si presta<br />
ad ogni tipo di coltivazione è<br />
“da asparagi”, dicono, o per<br />
“lo Schioppettino”; oppure, al<br />
contrario, può causare marciumi<br />
radicali, siccità, clorosi persistenti;<br />
il sito dove le piante si devono<br />
“alzare” per via dei geli primaverili;<br />
dove non bastano ad inizio<br />
stagione i normali trattamenti<br />
anticrittogamici suggeriti per il<br />
comprensorio; il terreno che non<br />
va mai in tempera e le arature<br />
si devono concentrare in una<br />
settimana; le scoline da rifare<br />
continuamente; le scarpate che<br />
non sono sicure a <strong>marzo</strong>; le semine<br />
che vanno anticipate e così i<br />
raccolti. E tantissimi altri segreti,<br />
che si imparano solo crescendo<br />
lì, anche da chi usa parlare poco,<br />
ma che infonde passioni e curiosità<br />
e stili di vita rurale.<br />
Gli abbandoni sono, quindi, irreversibili:<br />
“nessun torna”.<br />
È possibile preparare un diplomato<br />
o un laureato e persino<br />
perfezionarlo con corsi altamente<br />
professionalizzanti, ma non ci<br />
sono master “per il rientro in<br />
agricoltura”, nemmeno dei figli<br />
non-contadini di prima generazione.<br />
Abbiamo permesso in<br />
passato un disordinato abbandono<br />
delle campagne. Forse senza<br />
accorgerci che prima c’era una<br />
struttura sociale stabile, composta,<br />
basata proprio sui contadini.<br />
Che pagavano, tutti, le tasse;<br />
erano alla base della sicurezza<br />
alimentare, e non solo (anche<br />
durante i periodi di crisi acute).<br />
Nessuno di loro era sovversivo<br />
(avrebbero messo in pericolo<br />
la proprietà, un bene assoluto).<br />
Cedevano manodopera sana ad<br />
altre attività e se la riprendevano<br />
in periodi di magra. Mancheranno<br />
alla società futura. Ed anche<br />
a tutti quei friulani che – come<br />
è stato efficacemente descritto<br />
da Claudio Violino – “hanno<br />
mantenuto il contatto con il<br />
territorio in una sorta di ruralità<br />
residenziale che va considerata<br />
come una scelta vocazionale del<br />
friulano”. Anche a questi virtuosi<br />
cultori della ruralità ideale<br />
verranno a mancare i riferimenti<br />
reali, i contadini operanti, e questo<br />
nell’arco di una generazione.<br />
La qualità del cibo e la<br />
sicurezza alimentare<br />
Tralasciamo ulteriori considerazioni<br />
su cultura, ruralità<br />
e paesaggio, per trattare più<br />
prosaicamente di cibo, purtroppo<br />
di quello che importiamo e<br />
non produciamo più noi. Ci si<br />
chiede se almeno il consumatore<br />
sia effettivamente favorito dalla<br />
globalizzazione degli alimenti.<br />
Probabilmente lo è per quanto<br />
concerne i prezzi medi (che<br />
sono contenuti), ma non per la<br />
qualità e la sicurezza. La sicurezza<br />
alimentare è un valore che va<br />
difeso sia sotto il profilo quantitativo<br />
sia qualitativo.<br />
Come si fa in ogni famiglia oculata,<br />
che pensa alla sicurezza sotto<br />
il profilo della qualità e della