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marzo 2010 - Anno 2 Numero 1 - Regione Autonoma Friuli Venezia ...

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108 •<br />

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bile: gli operatori direttamente<br />

interessati, i contadini attivi,<br />

sono rimasti veramente in pochi.<br />

Sono ormai in numero inferiore<br />

persino rispetto ai tecnici che<br />

li assistono, ai funzionari che li<br />

guidano, a quelli che li difendono<br />

o dovrebbero farlo, ai ricercatori<br />

che svolgono ricerca nel settore<br />

primario e che dovrebbero formarli<br />

e aggiornarli.<br />

In <strong>Friuli</strong> la situazione non si<br />

discosta di molto da questo<br />

scenario. Nel passato, richiamati<br />

dalle “sirene industriali”, anche<br />

i contadini friulani – seppur con<br />

un certo ritardo, a causa delle<br />

più tardiva industrializzazione<br />

– hanno via via abbandonato la<br />

terra. In parte lo hanno fatto<br />

pensando ad un futuro migliore<br />

per i fruts; forse gli stessi, viene<br />

da pensare, che ora vivono al<br />

quarto piano, in città, disoccupati<br />

e tanto meno felici dei padricontadini.<br />

Cresciuti nella cultura friulana<br />

del “comandi”, troppi contadini<br />

hanno ubbidito in passato al sig.<br />

Adam Smith, uno scozzese che<br />

li voleva big, o fuori. Ma come<br />

facevano a diventare big, quando<br />

tutte le condizioni contrastavano<br />

con la loro crescita: con i costi di<br />

produzione che salivano gradualmente<br />

a livelli “industriali” ed i<br />

prezzi dei prodotti che restavano<br />

“agricoli”?<br />

Il ritorno dei contadini<br />

Di un possibile ritorno dei contadini<br />

ne hanno parlato alcuni<br />

uomini di cultura, ma questo<br />

rimane un ritorno che non c’è.<br />

Non è pensabile che possano<br />

tornare: affidiamo ai sogni anche<br />

questo improbabile evento. E<br />

nemmeno si può pensare che i<br />

contadini che hanno lasciato possano<br />

essere sostituiti da altri, da<br />

nuovi, venuti da fuori. Che non<br />

conoscono i segreti dei siti, dei<br />

terreni, delle colture più adatte,<br />

dei lavori appropriati, dei vicini e<br />

dei confini ondeggianti, dei monti<br />

da dove arriva la pioggia o la<br />

grandine; nemmeno sanno delle<br />

antiche pievi che con il battito<br />

delle campane cadenzavano lo<br />

scorrere del tempo.<br />

Gli “indigeni”, loro conoscono<br />

l’appezzamento che si presta<br />

ad ogni tipo di coltivazione è<br />

“da asparagi”, dicono, o per<br />

“lo Schioppettino”; oppure, al<br />

contrario, può causare marciumi<br />

radicali, siccità, clorosi persistenti;<br />

il sito dove le piante si devono<br />

“alzare” per via dei geli primaverili;<br />

dove non bastano ad inizio<br />

stagione i normali trattamenti<br />

anticrittogamici suggeriti per il<br />

comprensorio; il terreno che non<br />

va mai in tempera e le arature<br />

si devono concentrare in una<br />

settimana; le scoline da rifare<br />

continuamente; le scarpate che<br />

non sono sicure a <strong>marzo</strong>; le semine<br />

che vanno anticipate e così i<br />

raccolti. E tantissimi altri segreti,<br />

che si imparano solo crescendo<br />

lì, anche da chi usa parlare poco,<br />

ma che infonde passioni e curiosità<br />

e stili di vita rurale.<br />

Gli abbandoni sono, quindi, irreversibili:<br />

“nessun torna”.<br />

È possibile preparare un diplomato<br />

o un laureato e persino<br />

perfezionarlo con corsi altamente<br />

professionalizzanti, ma non ci<br />

sono master “per il rientro in<br />

agricoltura”, nemmeno dei figli<br />

non-contadini di prima generazione.<br />

Abbiamo permesso in<br />

passato un disordinato abbandono<br />

delle campagne. Forse senza<br />

accorgerci che prima c’era una<br />

struttura sociale stabile, composta,<br />

basata proprio sui contadini.<br />

Che pagavano, tutti, le tasse;<br />

erano alla base della sicurezza<br />

alimentare, e non solo (anche<br />

durante i periodi di crisi acute).<br />

Nessuno di loro era sovversivo<br />

(avrebbero messo in pericolo<br />

la proprietà, un bene assoluto).<br />

Cedevano manodopera sana ad<br />

altre attività e se la riprendevano<br />

in periodi di magra. Mancheranno<br />

alla società futura. Ed anche<br />

a tutti quei friulani che – come<br />

è stato efficacemente descritto<br />

da Claudio Violino – “hanno<br />

mantenuto il contatto con il<br />

territorio in una sorta di ruralità<br />

residenziale che va considerata<br />

come una scelta vocazionale del<br />

friulano”. Anche a questi virtuosi<br />

cultori della ruralità ideale<br />

verranno a mancare i riferimenti<br />

reali, i contadini operanti, e questo<br />

nell’arco di una generazione.<br />

La qualità del cibo e la<br />

sicurezza alimentare<br />

Tralasciamo ulteriori considerazioni<br />

su cultura, ruralità<br />

e paesaggio, per trattare più<br />

prosaicamente di cibo, purtroppo<br />

di quello che importiamo e<br />

non produciamo più noi. Ci si<br />

chiede se almeno il consumatore<br />

sia effettivamente favorito dalla<br />

globalizzazione degli alimenti.<br />

Probabilmente lo è per quanto<br />

concerne i prezzi medi (che<br />

sono contenuti), ma non per la<br />

qualità e la sicurezza. La sicurezza<br />

alimentare è un valore che va<br />

difeso sia sotto il profilo quantitativo<br />

sia qualitativo.<br />

Come si fa in ogni famiglia oculata,<br />

che pensa alla sicurezza sotto<br />

il profilo della qualità e della

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