C'erano una volta i re_05.indd - SST
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N.N. - ADORNI<br />
Torino 1911<br />
1.e4 e5 2.Cf3 f5<br />
3.Ce5 Df6 4.d4 d6<br />
5.Cc4 fe4 6.Cc3 Df7<br />
7.Ce4 De6 8.Ad3 d5<br />
9.Ce5 de4 10.Ac4 Df6<br />
11.Af7 Rd8 12.Ag8 Tg8<br />
13.Ag5 1–0<br />
T<strong>re</strong>dici sole mosse per<br />
la prima partita giocata<br />
alla Sst di cui si abbia<br />
notizia<br />
8<br />
medici. Il gioco degli scacchi, all’epoca, era di st<strong>re</strong>tta competenza della borghesia.<br />
La sede sociale era il Caffè degli Specchi, in via dei Mercanti. Un locale ottimamente<br />
f<strong>re</strong>quentato, che concedeva alcune sale per le partite amichevoli fra i soci, e naturalmente<br />
per l’attività agonistica, intensa sin dagli inizi. Il nuovo circolo in effetti muoveva i<br />
primi passi con un fervo<strong>re</strong> di iniziative e di progetti che fa<strong>re</strong>bbe sfigura<strong>re</strong> molti circoli<br />
evoluti di oggi. Semp<strong>re</strong> su “L’Italia Scacchistica” erano segnalati l’avvio di due tornei<br />
sociali - il primo nel gennaio 1911, il secondo in aprile -; la disputa di ben sei partite<br />
a squad<strong>re</strong> per corrispondenza, quattro contro il circolo di Molinella in Emilia e due<br />
contro la Società Scacchistica Comense; e la visita torinese di due giocatori di caratura<br />
internazionale: i Maestri Max Albin, figlio del più celeb<strong>re</strong> Adolf Albin, discusso invento<strong>re</strong><br />
del Controgambetto che porta il suo nome, e Theodor von Scheve, contro i quali<br />
i migliori giocatori della Sst si erano prodotti, secondo la rivista, “in belle partite, con<br />
esito favo<strong>re</strong>vole”. T<strong>re</strong> di queste partite furono giocate da von Scheve (con <strong>una</strong> sola vittoria<br />
e due sconfitte) contro Felice Germonio, ventiseienne talento che av<strong>re</strong>bbe marchiato<br />
indelebilmente la vita scacchistica torinese per almeno tutto il decennio successivo.<br />
Alla neonata Sst era poi stata affidata <strong>una</strong> rubrica sul “Giornale della domenica”, che<br />
ospitava analisi di partite e contributi alla teoria delle apertu<strong>re</strong>. Il cassie<strong>re</strong> della Società,<br />
l’avvocato Ivaldi, curava per parte sua <strong>una</strong> rubrica di problemi scacchistici sulla “Gazzetta<br />
del popolo della domenica”. Infine si progettava arditamente un mensile, intitolato<br />
“Caissa”, che av<strong>re</strong>bbe dovuto proporsi come organo ufficiale di <strong>una</strong> costituenda Associazione<br />
Scacchistica Internazionale.<br />
Un avvio, come si vede, ricco di promesse.<br />
Qualche passo indietro<br />
Agli inizi del Novecento, lo scacchismo italiano era appena riemerso da <strong>una</strong> lunga nottata.<br />
Leonardo da Cutro e il Polerio, Gioacchino G<strong>re</strong>co e Paolo Boi, Salvio e Car<strong>re</strong>ra<br />
erano morti e sepolti da secoli. Così come era appassita la splendida fioritura che fra<br />
il Sei e il Settecento aveva fatto di Torino e del Piemonte il centro riconosciuto della<br />
cultura scacchistica: anche solo di passata, è doveroso ricorda<strong>re</strong> il saluzzese Horatio<br />
Gianutio, il torinese Francesco Piacenza, il casalese Carlo Cozio.<br />
Ma anche i soli tramontano. Per un lungo secolo la penisola visse un volontario isolamento,<br />
in virtù del rifiuto di applica<strong>re</strong> le nuove <strong>re</strong>gole del gioco, che in tutta Europa<br />
si erano andate diffondendo già a parti<strong>re</strong> dai tempi del <strong>re</strong>ve<strong>re</strong>ndo Ruy Lopez. In Italia