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La teoria degli elettroni di Lorentz nacque anche come risposta al problema del moto relativo tra<br />
materia ed etere. Lorentz postulava che l'etere venisse attraversato dai corpi materiali in moto senza<br />
essere in alcun modo trascinato da essi. Ne derivava che l'etere nel suo complesso restava sempre<br />
immobile: in pratica il sistema di riferimento in quiete rispetto all'etere era un sistema di riferimento<br />
privilegiato, ossia quello che identificava lo spazio assoluto di newtoniana memoria.<br />
L'unica forma di movimento dell'etere erano le onde che si propagavano in esso, e in particolare la<br />
radiazione elettromagnetica. Queste onde avevano una velocità fissa e costante - il cui valore<br />
dipendeva dalle proprietà dell'etere stesso - solo nel sistema di riferimento in cui l'etere era in<br />
quiete, mentre in un sistema in moto rispetto all'etere si sarebbero dovute osservare piccole<br />
variazioni della velocità. Ora un sistema di riferimento sicuramente in moto rispetto all'etere era<br />
proprio quello dei nostri laboratori terrestri, dato che la Terra effettuava continuamente un moto di<br />
rotazione attorno al proprio asse e di rivoluzione intorno al Sole. Si sarebbero dovuti quindi<br />
osservare gli effetti del moto della Terra sulla velocità della luce.<br />
Bisogna però tener conto del fatto che la teoria di Lorentz rendeva difficili queste osservazioni: da<br />
essa discendeva, infatti, che gli effetti del moto della Terra (e di qualsiasi altro corpo animato da<br />
velocità v rispetto all'etere) erano difficilmente osservabili in quanto proporzionali al quadrato del<br />
rapporto v/c, dove c è la velocità della luce che, come sappiamo, è un numero molto grande.<br />
Tuttavia, un abile sperimentatore americano, Albert Abraham Michelson (1852-1931), aveva<br />
escogitato già nel 1882 un apparato in grado di rivelare anche questi effetti. Quindi il problema era<br />
ancora quello di stabilire se la Terra trascinasse con sé l'etere o se l'etere restasse sempre immobile.<br />
I risultati dell'esperimento di Michelson, più volte ripetuto con apparati sempre più precisi e<br />
perfezionati, mostravano comunque che non era possibile rivelare alcun moto relativo tra Terra ed<br />
etere, ed erano quindi a favore della prima ipotesi.<br />
Lorentz naturalmente non poteva accettare questa conclusione e la ricerca di una soluzione al<br />
problema fu al centro dei suoi interessi dal 1892 in poi, ossia da quando aveva formulato la teoria<br />
degli elettroni. L'unica via d'uscita che egli riuscì a individuare fu che proprio il moto attraverso<br />
l'etere producesse sui corpi materiali quegli effetti (per esempio la contrazione della loro lunghezza<br />
nella direzione del moto) che impedivano di rivelarlo sperimentalmente. Era una strana<br />
conclusione: c'era qualcosa che avveniva ma che non poteva essere osservato sperimentalmente in<br />
nessun caso. Di fatto era come se nel passaggio dal sistema di riferimento dell'etere al sistema di<br />
riferimento del laboratorio valessero particolari trasformazioni di coordinate (dette poi<br />
trasformazioni di Lorentz) che riflettevano appunto l'azione dell'etere sui corpi in moto.<br />
Queste conclusioni erano inaccettabili per un giovane fisico, Albert Einstein (1879-1955), che<br />
lavorava presso l'ufficio brevetti di Berna. Egli aveva forti dubbi sull'esistenza stessa dell'etere,<br />
anche perché le ricerche che aveva effettuato sui fenomeni di emissione e assorbimento della luce<br />
da parte della materia lo avevano convinto che la luce dovesse avere una natura corpuscolare,<br />
proprio come pensava Newton. Nello stesso tempo era convinto che il principio di relatività (ossia<br />
l'impossibilità di individuare un sistema di riferimento in quiete assoluta e la conseguente<br />
equivalenza di tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo e uniforme l'uno rispetto all'altro)<br />
avesse una validità fondamentale.<br />
La scoperta della relatività speciale<br />
Einstein quindi si pose il problema di conciliare con il principio di relatività la tesi di Lorentz per<br />
cui la velocità della luce è indipendente dalla velocità della sorgente che la emette. L'unico modo di<br />
farlo era quello di rimettere in discussione le vecchie idee di spazio e di tempo. Bisognava ridefinire<br />
in primo luogo il concetto di simultaneità tra eventi distanti tra loro, e poi ridefinire il concetto di<br />
lunghezza di un corpo in movimento rispetto al sistema di riferimento in cui era osservato. In<br />
questo modo si ottenevano proprio le trasformazioni di Lorentz, ma non come effetto fisico del<br />
moto attraverso l'etere, bensì come effetto di una nuova cinematica fondamentale, basata appunto<br />
sulla revisione dei concetti di spazio e di tempo.<br />
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