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CICILEO (la vera storia dell'Apollo 13) - Primperan, vita da trentaneo

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<strong>CICILEO</strong><br />

(<strong>la</strong> <strong>vera</strong> <strong>storia</strong> dell’Apollo <strong>13</strong>)<br />

Effe Emme


?”<br />

2


Fantasma<br />

3


1.<br />

“Cicileo”<br />

“Eo”<br />

Iniziano così le nostre giornate, senza eccezioni. Dal lunedì al<strong>la</strong> domenica, sempre. Quello che al<br />

massimo può cambiare è l’orario, o il turno di chi sgombera il <strong>la</strong>vandino, di chi svuota i posacenere,<br />

difficilmente quello di chi prepara il caffè. Quando qualcuno è ridotto meno peggio degli altri si<br />

avventura addirittura in stra<strong>da</strong> a comprare qualcosa di dolce per risollevare <strong>la</strong> colonnina degli<br />

zuccheri. Non deve essere una bel<strong>la</strong> scena quel<strong>la</strong> di noi che ci tuffiamo sul vassoio di cornetti,<br />

graffe e po<strong>la</strong>cche, quattro bestie ingobbite sul<strong>la</strong> bolleria 1 come avvoltoi scontrosi. Un giorno<br />

finiranno con il mettere una telecamera nel<strong>la</strong> nostra cucina e ci studieranno come fossimo animali<br />

<strong>da</strong> sbattere in copertina sul National Geographic. Sarà per questo, perché immaginiamo che prima o<br />

poi toccherà a noi, che ogni giorno, appena svegli, a volte anche prima di an<strong>da</strong>re a dormire,<br />

scegliamo una cassetta <strong>da</strong>l mobile del<strong>la</strong> vecchia cucina di mio nonno e ci vediamo una puntata di<br />

Quark. E’ il miglior modo di iniziare <strong>la</strong> giornata, attualmente è anche l’unico che riusciamo a<br />

concepire. Quando il cicalino del<strong>la</strong> sveglia inizia a suonare nel corridoio, una forza oscura<br />

lentamente butta giù <strong>da</strong>i materassi i cocci di ognuno di noi, li rimette a posto e con un ordine ben<br />

preciso li spinge in cucina, <strong>la</strong> stanza più illuminata del<strong>la</strong> casa, che pesca a sud est ogni goccia di<br />

sole transiti su Bari: il resto lo fanno una caffettiera <strong>da</strong> dieci tazze, le meraviglie del<strong>la</strong> natura a<br />

nostra disposizione su milioni di cm di nastro vhs, e...<br />

“Cicileo” fa Ulisse.<br />

“Eo”, Strillo sembra che quelle due lettere ce le abbia in attesa, appostate sul<strong>la</strong> punta delle <strong>la</strong>bbra<br />

come una sentinel<strong>la</strong> apache in un canyon. Arriva sempre lui per primo.<br />

“Come si accende questo diavolo di fornello?” doman<strong>da</strong> Non<strong>la</strong>siscttann.<br />

“Trenta gradi a nord, compi un levogiro!” non ci vuole molto a capire che studi abbia fatto Ulisse.<br />

La metafora del<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong> atterrò tra di noi quasi spontaneamente, calzava con il nostro stile di <strong>vita</strong><br />

con <strong>la</strong> stessa precisione del<strong>la</strong> scarpetta di cristallo al piede di Cinderel<strong>la</strong>.<br />

Morti i miei nonni, <strong>la</strong> casa passò in eredità a mio padre e suo fratello. La decisione iniziale era<br />

quel<strong>la</strong> di <strong>da</strong>r<strong>la</strong> in fitto, magari a studenti in maniera tale <strong>da</strong> non dover attendere tempi troppo lunghi<br />

nel momento in cui ci fosse ser<strong>vita</strong> di nuovo, quando io o <strong>la</strong> mia picco<strong>la</strong> cugina avessimo deciso di<br />

togliere picchetti e tende <strong>da</strong>lle case dei genitori. Nel frattempo però c’era bisogno di studenti fi<strong>da</strong>ti,<br />

che non distruggessero i muri, che non attaccassero poster degli Iron Maiden agli armadi e che non<br />

si sparpagliassero per i paesini pugliesi più disparati al momento di pagare l’affitto mensile. Si fece<br />

avanti Ulisse, fresco di <strong>la</strong>urea, rampollo del<strong>la</strong> nobile famiglia Gigli, imperatori del tubo in materiale<br />

p<strong>la</strong>stico nel sud Italia. Le sue credenziali erano di tutto rispetto, e il fatto che fossimo stati compagni<br />

di banco per cinque anni di liceo certo deponeva a suo favore. Una stanza del<strong>la</strong> casa fu subito sua,<br />

prima ancora che io mi disponessi a tappezzare di annunci le bacheche delle facoltà al<strong>la</strong> ricerca di<br />

affittuari.<br />

In questo noi quattro abbiamo una mentalità piuttosto ovina: quando uno di noi ha un’idea che non<br />

è ma<strong>la</strong>ccio (spesso però anche quando <strong>la</strong> pensata è nefasta) gli altri si acco<strong>da</strong>no senza pensarci<br />

molto, <strong>da</strong> brave pecorelle. Fu così che presto ci trovammo noi quattro insieme a dividere <strong>la</strong> casa ed<br />

il suo affitto. Ovviamente <strong>la</strong> mia quota restava abbonata.<br />

Se facciamo eccezione per le parentesi estive in campeggio nelle isole greche, si può dire che quel<strong>la</strong><br />

era <strong>la</strong> prima volta che vivevamo insieme, e soprattutto <strong>la</strong> prima volta che stavamo senza genitori.<br />

Da subito, <strong>la</strong> nostra convivenza prese l’ine<strong>vita</strong>bile piega di convertirsi in una sorta di vacanza<br />

collettiva, qualcosa che idealmente si rial<strong>la</strong>cciava ai nostri accampamenti greci. Secondo Ulisse il<br />

1<br />

L’insieme delle paste come cornetto, saccottino, po<strong>la</strong>cca, <strong>la</strong> “graffa” cioè il krapfen in barese italianizzato. La paro<strong>la</strong><br />

bolleria è spagno<strong>la</strong>. La uso perché suona bene.<br />

5


ello del campeggio è che non è obbligatorio <strong>la</strong>varsi i denti prima di an<strong>da</strong>re a dormire. Questa<br />

considerazione esemplifica al meglio <strong>la</strong> sua col<strong>la</strong>borazione al mantenimento dell’igiene nel<strong>la</strong> nostra<br />

casetta.<br />

I problemi arrivarono presto, ben più gravosi di quanto invece fosse gratificante an<strong>da</strong>re in giro a<br />

raccontare che vivevamo in uno dei “famosi” villini telegrafici, meravigliosi esempi di architettura<br />

liberty barese. Il tetto ligneo a falde, per esempio, richiedeva manutenzione con <strong>la</strong> stessa inerzia di<br />

un ma<strong>la</strong>to immaginario che ormai senza medicine non riesca più a stare. Presto ci trovammo allora<br />

a fronteggiare una serie di problemi per i quali non eravamo equipaggiati. Cosa si fa quando piove<br />

nel sottotetto? E quando il termosifone non si accende? Quando l’antenna del<strong>la</strong> tv fa <strong>la</strong> asociale e<br />

sembra non avere intenzione di captare il segnale di Rai Uno proprio mentre inizia Novantesimo<br />

Minuto, a chi ci si rivolge? Non avevamo risposta per nessuno di questi quesiti contingenti, ed<br />

iniziammo così a rivolgere disperati appelli al<strong>la</strong> ricerca di aiuto:<br />

“Abbiamo un problema, il frigo puzza di pesce anche se pesci qui dentro non ne sono mai entrati!”<br />

“Abbiamo un problema, si è fulminata <strong>la</strong> <strong>la</strong>mpadina del bagno e in casa non c’è un cacciavite per<br />

rimuovere <strong>la</strong> p<strong>la</strong>foniera! Al buio è impossibile centrare il buco, non ve <strong>la</strong> prendete con me se piscio<br />

a terra!”<br />

“Abbiamo un problema, non si apre più il cassettino dell’ammorbidente del<strong>la</strong> <strong>la</strong>vatrice, gli<br />

asciugamani vengono così duri che farebbe meno male usare <strong>la</strong> carta vetrata dopo il bidè!”<br />

“Abbiamo un problema, chi di voi quando scopa invece di raccogliere <strong>la</strong> polvere <strong>la</strong> nasconde sotto<br />

il divano?”<br />

I problemi erano futili, comuni, ma impensabilmente nessuna di queste questioni aveva chiesto a<br />

qualcuno di noi di essere risolta, prima che mettessimo piede nel<strong>la</strong> casa. Ognuno di noi si<br />

nascondeva dietro quel collettivo “abbiamo un problema” per simboleggiare <strong>la</strong> propria estraneità<br />

<strong>da</strong>l dover risolverlo <strong>da</strong> solo quel problema. Il poter dire “Abbiamo un problema” finiva con il<br />

renderlo infinitamente più piccolo: “mal comune, mezzo gaudio!”, si suol dire. Ho letto che inizi ad<br />

invecchiare quando ti accorgi che il tuo calciatore preferito è più piccolo di te, o quando non riesci a<br />

metterti seduto senza <strong>la</strong>nciare un gridolino di dolore. Finché ci sarà Baggio e finché ci <strong>la</strong>nceremo<br />

sul divano come corpi morti saremo sempre giovani, allora. Secondo me, invece, inizi ad<br />

invecchiare quando i proverbi ed i luoghi comuni inquadrano perfettamente <strong>la</strong> tua <strong>vita</strong>.<br />

Così nessuno prestò ascoltò quel<strong>la</strong> mattina al<strong>la</strong> voce di Strillo quando ruppe il silenzio del<strong>la</strong> casa<br />

che noi tre custodivamo gelosi mentre facevamo Cicileo in cucina e ci aggiornavamo sul<strong>la</strong> smo<strong>da</strong>ta<br />

attività sessuale dei leoni, <strong>da</strong>l<strong>la</strong> durata massima di trenta secondi:<br />

“Abbiamo un problema!” urlò <strong>da</strong>l bagno. Nessuno di noi vi fece caso. “E’ finita l’acqua cal<strong>da</strong>! Ho<br />

<strong>la</strong> schiuma in testa e non esce più acqua cal<strong>da</strong>!” un c<strong>la</strong>ssico di ogni tempo, insomma.<br />

“Ehi, mi sentite?”<br />

Noi stavamo tutti assorti nel vedere i leoni in criniera gironzo<strong>la</strong>re intorno alle loro femmine. Solo<br />

Ulisse domandò in silenzio, rivolgendosi ai nostri corpi svuotati <strong>da</strong> ogni forma di <strong>vita</strong>:<br />

“La schiuma in testa? Ma non è calvo? Ecco chi si finisce il mio shampoo!”<br />

“Non ci crederete ma si fa due passate, l’ho visto io con i miei occhi!” ci tenni a precisare.<br />

“Mi sentite? Abbiamo un problema!” riprese ad ur<strong>la</strong>re lui forsennatamente.<br />

Silenzio... ci guar<strong>da</strong>mmo bene <strong>da</strong>ll’an<strong>da</strong>re in suo soccorso.<br />

Invece chissà <strong>da</strong> dove gli venne. Probabilmente aveva visto in quel periodo il film con Tom Hanks:<br />

“Houston, abbiamo un problema!” urlò <strong>da</strong>l bagno.<br />

In quel momento l’acqua cal<strong>da</strong> riprese a scorrere. Riuscimmo a sentire <strong>da</strong> una stanza all’altra lo<br />

scroscio dell’acqua che ricominciava ad uscire e Strillo che si rimetteva a cantare.<br />

Una stupi<strong>da</strong> coincidenza, certo, però fu <strong>la</strong> prima volta che un problema posto <strong>da</strong> uno di noi trovava<br />

soluzione. Appena Daniele Stril<strong>la</strong>cci aveva invocato l’aiuto <strong>da</strong> Houston, l’acqua del<strong>la</strong> doccia aveva<br />

ripreso a scorrere, questo era sicuro.<br />

Quel<strong>la</strong> sera a cena par<strong>la</strong>mmo dell’episodio e <strong>la</strong> metafora dell’Apollo <strong>13</strong> si insidiò atterrando<br />

dolcemente tra di noi per non an<strong>da</strong>re più via.<br />

6


“In effetti non è molto diversa questa casa <strong>da</strong> una navicel<strong>la</strong> grazie a cui ci preserviamo <strong>da</strong>gli affanni<br />

del nostro pianeta, no? Ci ritiriamo qui in totale libertà, facciamo qualsiasi cosa vogliamo e i<br />

problemi che sono fuori di qui ci sembrano così lontani che sembra <strong>da</strong>vvero di guar<strong>da</strong>rli <strong>da</strong>llo<br />

spazio” sostenni io, guar<strong>da</strong>ndo fuori <strong>da</strong>gli oblò del<strong>la</strong> cucina. Le macchine in co<strong>da</strong> al semaforo, <strong>la</strong><br />

pioggia, <strong>la</strong> gente senza ombrello con le buste del<strong>la</strong> spesa: quante più immagini disagiate e scomode<br />

riuscivamo a percepire <strong>da</strong>i vetri, tanto più straordinario appariva il nostro confort di stare al<br />

calduccio in piena euforia dionisiaca.<br />

“Vivere insieme come un viaggio tra le stelle!” sospirò Sergio.<br />

“Costel<strong>la</strong>to <strong>da</strong> una serie di stupidi problemi che una stazione aerospaziale provvederà sempre a<br />

risolverci!” disse Strillo.<br />

“Secondo me dovreste smetter<strong>la</strong> di fumare!” ci censurò Ulisse.<br />

Ma ormai era tardi, il countdown era avviato e presto anche Ulisse sarebbe montato nel nostro scafo<br />

spaziale. Avevamo 24 anni, <strong>la</strong> Terra ci stava stretta, i Terrestri antipatici e soprattutto le trasmissioni<br />

televisive del nostro pianeta ci avevano stufato. Quel<strong>la</strong> sera l’Apollo <strong>13</strong> si staccò <strong>da</strong>l suo piccolo<br />

lotto nel centro del<strong>la</strong> città, <strong>la</strong> nostra navicel<strong>la</strong> con il tetto a falde si mise in viaggio. Astronauti del<br />

divertimento, il nostro compito era di portare ovunque <strong>la</strong> bandiera di quanto dolce fosse il far nul<strong>la</strong>.<br />

Così quando venni a vivere qui, faticai poco a sbaragliare i ricordi che <strong>la</strong> casa portava con sé nel<strong>la</strong><br />

mia mente. I nonni, le cene di Natale con l’albero seppellito <strong>da</strong>lle carte luccicanti dei regali di tutta<br />

<strong>la</strong> famiglia, i termosifoni spesso spenti, <strong>la</strong> volta in cui mio zio si ubriacò e pisciò nel<strong>la</strong> pianta del<br />

salone, o quel<strong>la</strong> in cui mio fratello tolse <strong>la</strong> sedia sotto il culo al capo di mio padre che si era alzato<br />

per sbattere il tre di bastoni ur<strong>la</strong>ndo “Scopa!”: ho ancora ben archiviato nel<strong>la</strong> mia mente il rep<strong>la</strong>y<br />

del filmato con cui il signore andò giù per terra. Ricor<strong>da</strong>va <strong>la</strong> stessa grazia di quel<strong>la</strong> famosa me<strong>la</strong><br />

che permise a Newton di scoprire <strong>la</strong> forza di gravità; per poco mio padre non finì con il ritrovarsi lui<br />

di culo per terra.<br />

Presi questi ricordi e li misi in un cartone che, come spesso succede, andò perduto nel trasloco,<br />

verso chissà dove.<br />

Rimase <strong>la</strong> casa vuota, salvo per quei mobili che neanche un titano sarebbe riuscito a spostare, e c’è<br />

<strong>da</strong> chiedersi come fossero arrivati fino lì, visto che tutti erano più grandi delle porte delle stanze che<br />

li contenevano.<br />

“Io credo” diceva Strillo con <strong>la</strong> precisione di un correttore di bozze “che prima abbiano messo qui<br />

<strong>la</strong> credenza, e poi abbiano tirato su i muri del<strong>la</strong> cucina!”, rimaneva l’ipotesi più probabile.<br />

In una delle antine di quel<strong>la</strong> credenza c’era <strong>la</strong> gigantesca collezione di vhs di mio nonno, tutte le<br />

puntate di Quark, ogni documento che riguar<strong>da</strong>sse anche marginalmente il papa e le brigate rosse,<br />

ed infine quel poco di fiction che trasmettevano quando lui era in <strong>vita</strong>, programmi capostipiti di ciò<br />

che avrebbe iniziato ad inon<strong>da</strong>re le nostre televisioni dopo <strong>la</strong> sua morte. La cosa singo<strong>la</strong>re era che<br />

mio nonno non aveva il videoregistratore, le cassette gliele registravamo noi nipoti, o i suoi figli,<br />

visto che le sue due nuore avevano ereditato <strong>da</strong>ll’età del<strong>la</strong> pietra l’assoluta incapacità di re<strong>la</strong>zionarsi<br />

con ogni oggetto fornito di tasti. Gli portavamo i nastri e lui li metteva nel<strong>la</strong> credenza senza vederli,<br />

come fosse <strong>la</strong> cosa più naturale del mondo. Quando ci azzar<strong>da</strong>mmo ad obiettare e compimmo<br />

l’ovvio gesto, portò lui stesso indietro al negozio il videoregistratore che gli rega<strong>la</strong>mmo per il suo<br />

settantesimo compleanno. Lo cambiò con tre rasoi elettrici.<br />

Per dovere di cronaca riporto <strong>la</strong> notizia che mio nonno aveva <strong>la</strong> barba.<br />

“Cicileo” fa Strillo.<br />

“Eo” dico io, che <strong>la</strong> mattina ho <strong>la</strong> voce più bassa del<strong>la</strong> sirena del Titanic. Mr Quark ci tiene<br />

compagnia:<br />

Le falene aspettano che i tapiri defechino per depositare le proprie uova nello sterco caldo...<br />

7


“Ma è verde... Guar<strong>da</strong> che culone che ha. Sembra ricoperto di muschio” dice a proposito del tapiro<br />

Sergio Non<strong>la</strong>siscttann, che stravaccato sul divano appare anche meno agile del corpulento animale<br />

che vuol prendere in giro.<br />

“Vita di cacca, fanno ‘ste falene: trombano e nascono nel<strong>la</strong> mer<strong>da</strong> di un tapiro!”, è un po’ che Ulisse<br />

vede tutto nero.<br />

“Almeno è mer<strong>da</strong> cal<strong>da</strong>” si <strong>la</strong>menta Daniele, squadrandomi come se fossero colpa mia gli spifferi<br />

che filtrano <strong>da</strong>l<strong>la</strong> finestra del<strong>la</strong> cucina.<br />

“E’ finito il caffè?”.<br />

Questa doman<strong>da</strong> c’è sempre qualcuno che <strong>la</strong> fa, ma <strong>la</strong> verità è che nessuno di noi vorrebbe fosse<br />

mai finito quel caffè, nessuno ha voglia di essere fion<strong>da</strong>to nel<strong>la</strong> <strong>vita</strong> che ci aspetta qui fuori <strong>da</strong>l<br />

villino liberty, con i suoi semafori rossi, meno parcheggi di quante auto ne siano in cerca, e i<br />

colleghi con le ascelle maleodoranti.<br />

Siamo una generazione strana, di quelle che hanno visto troppe cose cambiare intorno a sé negli<br />

anni dell’infanzia, senza che mai ci fosse bisogno di muovere un dito. La politica rappresentava per<br />

noi nul<strong>la</strong> più che i dieci minuti iniziali del tg1, quelli che non erano mai divertenti, le ideologie<br />

crol<strong>la</strong>vano con il semplice crol<strong>la</strong>re di un muro. Non avevamo lune vergini su cui <strong>la</strong>sciar<br />

passeggiare i nostri sogni, noi; i giapponesi ti mettevano in casa nuovi elettrodomestici sempre più<br />

sofisticati prima ancora che ti potessi abituare a quelli vecchi, c’era sempre un nuovo modello già<br />

pronto a sbaragliare il mercato per qualsiasi cosa. Tutto già accadeva velocemente, per inerzia, ai<br />

nostri occhi bambini, tutto migliorava e diventava sempre più appetibile nelle vetrine e nelle<br />

televisioni, al punto che non abbiamo mai pensato che anche noi fossimo chiamati a dover fare<br />

qualcosa. Ci siamo trovati ad accettare il cambiamento, il girare dei meccanismi del mondo, senza<br />

mai pensare che fosse il caso di intervenire criticamente sui movimenti di quegli ingranaggi. E’<br />

probabilmente per questo che siamo rimasti bambini, perché abbiamo paura che un giorno,<br />

accorgendoci di non aver fatto nul<strong>la</strong>, di aver assecon<strong>da</strong>to delle traiettorie già descritte <strong>da</strong> qualcun<br />

altro, ci si accorga di avere sprecato <strong>la</strong> <strong>vita</strong>. La <strong>vita</strong>: quell’apostrofo rosa tra le parole fan-culo.<br />

Crescere, per noi, ha significato semplicemente cambiare gioco: abbiamo mol<strong>la</strong>to l’Atari per il Vic<br />

20, il Commodore 64 per il 128 e poi per l’Amiga, i PC e le consolle. Abbiamo imparato a<br />

muoverci nel<strong>la</strong> <strong>vita</strong> seguendo le regole dei nostri giochi: tentare di salvare una <strong>storia</strong> zoppicante con<br />

una ragazza ci tiene in ansia come quando, acceso il fornello, squagliavamo i giocatori del Subbuteo<br />

che avevamo spezzato maldestramente e provavamo a risal<strong>da</strong>rli con il disco tondo, ma quasi mai<br />

funzionava. Desideriamo avere soldi ed una casa con <strong>la</strong> stessa smania con cui avremmo voluto<br />

riempire di casette verdi le nostre proprietà del Monopoli. Abbiamo imparato <strong>da</strong>l<strong>la</strong> P<strong>la</strong>ystation<br />

come a volte sia facile rinunciare ad affrontare e risolvere i problemi e per essere felici sia<br />

sufficiente districarsi abilmente con otto tasti e due levette analogiche. Ci divertiamo a frugare nelle<br />

chat, “di che colore hai i capelli, e gli occhi?”, come quando giocavamo ad “Indovina Chi?”.<br />

Siamo una generazione senza palle. Ma sappiamo giocare come nessun altro.<br />

Una zolletta fa plunf nel<strong>la</strong> tazzina, un cucchiaino si tuffa a cercar<strong>la</strong>:<br />

“Cicileo” faccio anch’io.<br />

“Eo”, e si ricomincia.<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 1)<br />

Sapesse,<br />

il ricordo di Lei,<br />

sciogliersi.<br />

Come lo zucchero in questo caffè.<br />

Lasciando soltanto<br />

invisibile<br />

traccia di dolcezza.<br />

8


2.<br />

Io sono Fantasma.<br />

Ho sempre avuto difficoltà a credere di esistere <strong>da</strong>vvero. Mi è capitato di ritrovarmi nell’evidenza<br />

delle mie sensazioni fisiche, delle mie azioni, dei miei progetti, nelle righe che ingrossano il mio<br />

curriculum <strong>vita</strong>e. Ma c’è una parte, una parte di me, localizzabile approssimativamente in un angolo<br />

del<strong>la</strong> testa, di solito in alto a destra, che custodisce i miei sogni ed i miei pensieri in un regno<br />

ineffabile dove tutto è dubbio e le forme non esistono. Alle certezze ho rinunciato. Forse quando<br />

tutto sarà via, se c’è una speranza che qualcosa di me rimanga in giro, si tratta proprio di questo<br />

spirito sfuggente che a volte si sposta sul<strong>la</strong> bocca dello stomaco e prende a <strong>da</strong>r calci.<br />

Fantasma venne fuori per gioco, all’epoca in cui preparavo Scienza delle Costruzioni. Studiavo una<br />

cosa chiamata Tensore, il misuratore dello stato di stress di un punto sollecitato rispetto ad una<br />

direzione: un oggetto appartenente all’insieme dei Domini Spaziali, tanto simpatico nel nome,<br />

quanto inimmaginabile nel<strong>la</strong> realtà. Dovendo imparare il metodo spettrale del<strong>la</strong> teoria dei corpi<br />

solidi, mi accorsi che quello che mi rendeva impossibile <strong>la</strong> memorizzazione del teorema era<br />

l’incapacità di raffigurarmelo.<br />

Non è difficile studiare un qualsiasi teorema matematico rappresentato nel piano cartesiano, ce l’hai<br />

lì <strong>da</strong>vanti, sul piano del foglio o del<strong>la</strong> <strong>la</strong>vagna: devi solo guar<strong>da</strong>re e imparare. Non è così, invece,<br />

quando ti muovi in un mondo che è chiamato “erre a tre”. Lì non c’è proprio nul<strong>la</strong> che sia<br />

rappresentabile, raffigurabile, è tutto astrazione pura. Ebbi così l’intuizione di ca<strong>la</strong>rmi nel<strong>la</strong> parte,<br />

una sorta di immedesimazione teatrale, come lo chiamano: il metodo Stanis<strong>la</strong>sky? Presi un vecchio<br />

lenzuolo del nonno, me lo ca<strong>la</strong>i in testa, e senza paura di passare per coglione, mi aggiravo per <strong>la</strong><br />

vil<strong>la</strong> ripetendo il teorema spettrale a memoria, interrompendo ogni tanto l’esposizione per <strong>la</strong>nciare<br />

sinistre ur<strong>la</strong> <strong>da</strong> fantasma.<br />

Questa vicen<strong>da</strong> mi ha <strong>la</strong>sciato un trenta sul libretto ed un soprannome che ben esprime i dubbi circa<br />

<strong>la</strong> mia esistenza.<br />

Se c’è qualcuno che sicuramente esiste tra di noi è Daniele Stril<strong>la</strong>cci Strillo. Per lo meno sono<br />

inconfutabilmente reali le tracce del suo passaggio nel<strong>la</strong> casa, <strong>da</strong>l <strong>la</strong>vandino del<strong>la</strong> cucina, al bagno,<br />

sono reali le sue performance canore inascoltabili sotto <strong>la</strong> doccia, sono reali le decine di ragazze che<br />

ha portato in casa, ogni volta quel<strong>la</strong> giusta, ogni volta quel<strong>la</strong> che gli aveva fatto perdere <strong>la</strong> testa. Io<br />

credo che il suo errore fosse in partenza, non poteva perder<strong>la</strong> <strong>la</strong> testa Strillo: era ben sicuro che lui<br />

ragionasse con il pisello, gli sarebbe bastato cercare tra le gambe per accorgersi di aver<strong>la</strong> sempre lì,<br />

<strong>la</strong> testa. Daniele voleva fare il pompiere <strong>da</strong> bambino, credo che ora imbraccerebbe lo stesso idrante<br />

dei suoi sogni infantili per spazzare via almeno il novanta per cento dei colleghi con cui divide un<br />

modernissimo open space in una filiale assicurativa.<br />

Esiste anche Sergio Falchetti Non<strong>la</strong>siscttann, che in italiano significa “non <strong>la</strong> buttare”, giovane<br />

impiegato nel<strong>la</strong> grande distribuzione: se lui non esistesse capiterebbe di trovare nei posacenere una<br />

sigaretta non del tutto fumata. Invece no! Non succede mai: proprio quando il fumo ti ha impastato<br />

<strong>la</strong>bbra e lingua e stai per rinunciare alle ultime boccate del<strong>la</strong> tua cicca, lui se ne accorge sempre, e<br />

intercetta ogni mozzicone accanendosi con gli ultimi due tiri che restano. Dico che esiste perché<br />

Non<strong>la</strong>siscttann è una persona semplice, non perderebbe mai tutto il tempo che io spreco a chiedermi<br />

il perché delle cose. Per lui <strong>la</strong> Terra è facilmente abitabile, basta essere onesti e assumersi le proprie<br />

responsabilità. E’ capitato tra le rotelle del franchising partendo <strong>da</strong>ll’agenzia interinale, ma un<br />

giorno io so che <strong>la</strong> gente uscirà <strong>da</strong> quel negozio mettendo i propri acquisti in buste del<strong>la</strong> nuova<br />

catena “Non<strong>la</strong>siscttan Sport”.<br />

Ulisse Gigli esiste, non solo! Esiste ed è ricercato. Non ricordo il preciso momento in cui ha deciso<br />

di far soldi in quel modo. Credo gli sia capitato di iniziare a procurarsi le Storie per gli amici, senza<br />

che ci gua<strong>da</strong>gnasse nul<strong>la</strong>, giusto qualche Storia più grossa per sé. Quando ne stecchi grandi quantità<br />

ne avanza sempre un po’, all’inizio lo faceva per quello, lo considerava una sorta di bonus punti che<br />

ti rega<strong>la</strong>no quando finisci un quadro in un videogioco senza farti sparare. Poi per non dire di no agli<br />

amici, che in questi casi aumentano sempre, ha finito per traghettare quantità sempre più grandi.<br />

9


Aumenta il mercato, aumentano gli affari, va <strong>da</strong> sé, e Ulisse ha scoperto i benefici dei mediatori,<br />

che fanno soldi senza praticamente far nul<strong>la</strong>. Non sono d’accordo con lui, ma neanche sono sua<br />

madre.<br />

Siccome <strong>la</strong> libertà di un individuo finisce dove inizia quel<strong>la</strong> degli altri, per tute<strong>la</strong>rci, alcune regole a<br />

riguardo ce le siamo <strong>da</strong>te anche noi: se lo beccano nessuno di noi verrà coinvolto, i suoi amici non<br />

devono venire in casa per affari, non ammettiamo polveri bianche sul tavolo di mio nonno, non<br />

chiederà mai a nessuno di noi di accompagnarlo nei suoi incontri, ognuno di noi ha <strong>la</strong> sua riserva di<br />

Storie. Qualcuna di queste regole è stata trasgredita, ma non è certo una colonia penale <strong>la</strong> nostra<br />

casa! Assomiglia piuttosto ad un piccolo parco dei divertimenti: se avessimo una ferrovia che<br />

attraversa i due piani sarebbe in tutto simile al<strong>la</strong> casa del telefilm americano degli anni ’80, Il mio<br />

amico Ricky. E’ bello chiamare casa un posto dove potersi dimenticare le cose brutte del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>.<br />

Stril<strong>la</strong>cci ha portato <strong>la</strong> sua pista a quattro corsie, le automobiline hanno i fari che si accendono<br />

<strong>da</strong>vvero. La teniamo montata nel sottotetto, ogni sera spegniamo luci e telefoni e trasformiamo <strong>la</strong><br />

casa dei nonni in un circuito sempre diverso. Io sono Piquet con <strong>la</strong> mia Lotus Nera e lo sponsor<br />

delle sigarette John P<strong>la</strong>yer Special, poi c’è Arnoux, cioè Non<strong>la</strong>siscttann; Rosberg lo prende Ulisse<br />

(<strong>la</strong> Ferrari è sua in quanto massimo nazionalista tra di noi!), mentre Daniele gui<strong>da</strong> una macchinina<br />

verde che si è aggiustato lui, con tanto di picco<strong>la</strong> fototessera personale appiccicata sul casco.<br />

Stril<strong>la</strong>cci ha montato anche il canestro, ha recuperato un calciobalil<strong>la</strong>, per quanto quando io e Ulisse<br />

giochiamo in coppia non ce ne sia per nessuno. Ha portato anche freccette, carte, fish, subbuteo e<br />

P<strong>la</strong>ystation 1 e 2. Insomma il ministero del Cazzeggio gli spetta di diritto. Il flipper è stato un regalo<br />

di Ulisse al<strong>la</strong> casa, se l’era trovato come saldo di un debito che aveva contratto con lui un riparatore<br />

di videogiochi e biliardini. Ci siamo accorti dopo un paio di mesi, però, che il tipo non gli aveva<br />

<strong>la</strong>sciato <strong>la</strong> chiave del<strong>la</strong> cassa dove cadono le monetine. E così, quando Mr. Euro ha preso a calci in<br />

culo <strong>la</strong> Montessori abbiamo <strong>la</strong>sciato buone duecentomi<strong>la</strong> lire nello stomaco ingordo del flipper.<br />

Ormai non ci giochiamo più, non capita mai di trovare qualcuno a cui siano avanzate le vecchie<br />

cinquecento lire...<br />

10


3.<br />

“Cicileo”, dice Non<strong>la</strong>siscttann, poi esce <strong>da</strong>l<strong>la</strong> conversazione e ci <strong>la</strong>scia <strong>la</strong> scato<strong>la</strong> contenente il suo<br />

corpo sul sedile passeggero. Si addormenta prima ancora di uscire <strong>da</strong>l parcheggio, e non gli si può<br />

<strong>da</strong>r torto: al negozio il turno di domenica è suo <strong>da</strong> tre anni, ormai neanche lo control<strong>la</strong> più il<br />

p<strong>la</strong>nning. Mi vengono in mente i cartoni animati con i personaggi che hanno quattro dita alle mani,<br />

<strong>da</strong>i Disney fino ai Simpson: le ore che Non<strong>la</strong>siscttann dorme durante l’intero weekend ormai si<br />

contano sulle dita di una di quelle mani <strong>da</strong> cartone animato, non arrivano mai a cinque.<br />

“Eo”, dice Strillo, sorteggiato pilota del<strong>la</strong> serata. Si ferma un minutino in apnea, esattamente al<strong>la</strong><br />

fine del<strong>la</strong> stradina del<strong>la</strong> masseria.<br />

“Cicileo”, poi aggrappandosi al vo<strong>la</strong>nte piega verso sinistra.<br />

“Eo”, tocca a me. Ulisse sta appoggiato al sedile, al mio fianco. Stasera ha abbor<strong>da</strong>to una bomba...<br />

beh se non fosse per l’altezza. Diciamo una bombetta! Però <strong>la</strong> sua def<strong>la</strong>grazione deve aver<strong>la</strong> avuta,<br />

l’ha presumibilmente fatta bril<strong>la</strong>re visto che intorno alle tre ha chiesto a Daniele le chiavi del<strong>la</strong><br />

macchina e dubito che fosse per mostrarle <strong>la</strong> sua collezione di CD masterizzati. Ulisse mi guar<strong>da</strong> e<br />

mi sorride.<br />

“Sembri Deniro nell’ultima scena di C’era una volta in America, hai una faccia! Guar<strong>da</strong>ti gli<br />

occhi!” Faccio per spostarmi in avanti, fino ad intercettare uno specchio e metto <strong>la</strong> mano su<br />

qualcosa di umido, colloso.<br />

“Che cazz... ma cos’è?”<br />

Ulisse si premura a control<strong>la</strong>re, poi abbassa <strong>la</strong> testa e si mette a ridere, ingobbendosi nel<strong>la</strong> sua<br />

giacca di velluto color cor<strong>da</strong>.<br />

“Dimmi che non è quello che penso che sia... ti prego dimmelo!”<br />

Scoppia a ridere!<br />

“Le stavo venendo in bocca, poi lei si è spostata, ho perso un attimo il controllo e... ho innaffiato...”<br />

“Ma che cazzo! Ma <strong>da</strong>i!” mi pulisco sui suoi pantaloni.<br />

Strillo non deve ancora aver realizzato, ipnotizzato <strong>da</strong>l suo CD dei Pearl Jam.<br />

“Ti prego, mi sta venendo <strong>da</strong> vomitare!” dico io control<strong>la</strong>ndo le mani sotto <strong>la</strong> luce dell’abitacolo.<br />

Ulisse non <strong>la</strong> smette di ridere, mentre pare che Daniele si stia sintonizzando sul nostro dialogo, visto<br />

che ogni tanto solleva il sopracciglio nello specchietto.<br />

“Che vuoi che sia? Sono semini, tanti semini con <strong>la</strong> mia testa! E’ carino, no?”<br />

“Ma vaffanculo!”, non posso non immaginare gli spermatozoi con i suoi capelli ricci.<br />

Ci metto due tre curve a smaltire <strong>la</strong> rabbia. Poi guardo Ulisse, se lui in questo momento fosse<br />

un’auto riuscirei a vedere tutti i suoi pezzi di sotto, tanto è ribaltato. E tra questi pezzi, uno proprio<br />

non mi sfugge.<br />

“La tua giacca non è messa meglio a quanto pare!”, una strisciata bianca come dentifricio bor<strong>da</strong><br />

tutta <strong>la</strong> sua tasca sinistra. Ora sono io che rido.<br />

“Mer<strong>da</strong>! La giacca di mio fratello!”<br />

“Ma quanta ne avevi, neanche un elefante! Guar<strong>da</strong> qui... tra un po’ questo sedile lo dichiarano zona<br />

umi<strong>da</strong> di importanza internazionale!”<br />

“Ho mangiato <strong>la</strong> Carbonara! E’ senza dubbio colpa delle uova del contadino!”<br />

“Mica scema <strong>la</strong> tipa... si è scansata perché deve aver capito che avresti potuto affogar<strong>la</strong>”<br />

Segue una conferenza sul sesso orale, secondo Strillo, massimo erudito in materia, non c’è donna<br />

che non lo faccia. Sembra quasi che stia conducendo una ricerca etologica: “Non ho ancora trovato<br />

una tipa a cui non piaccia prenderlo in bocca”, sostiene e si direbbe quasi infastidito per non aver<strong>la</strong><br />

trovata. Ulisse afferma che il servizio fatto bene vale anche più di una visita gui<strong>da</strong>ta in una vagina.<br />

Per me è più un simbolo, provo a dire, una sensazione di potere che ti rimette in pace con<br />

l’esistenza, come se per essere felici al mondo non ci fosse bisogno di far nul<strong>la</strong>. E mentre abbasso il<br />

finestrino per buttare il mozzicone, una voce <strong>da</strong>l sedile <strong>da</strong>vanti mi richiama.<br />

“Un pompino è <strong>da</strong>vvero una bel<strong>la</strong> <strong>storia</strong>. Non <strong>la</strong> sì scttann”<br />

11


“Cicileo” faccio io, mentre glielo porgo, e mi domando come faccia, avrà un ra<strong>da</strong>r che intercetta i<br />

culi di sigarette ed affini.<br />

“Eo” dice lui e in un secondo sembra stia di nuovo dormendo con il mozzicone tra le <strong>la</strong>bbra.<br />

Quando il CD finisce, Strillo realizza:<br />

“Houston, abbiamo un problema! Penso che dovevamo a girare a destra all’uscita <strong>da</strong>l<strong>la</strong> festa!”<br />

“Ci siamo persi al<strong>la</strong> prima curva non segna<strong>la</strong>ta <strong>da</strong> una fiacco<strong>la</strong>?” domando io.<br />

“Così pare, siamo arrivati ad Altamura.”<br />

“Altamura, ma se eravamo a Ruvo?” chiede Ulisse, “Tu stai chinato!”<br />

“Voi potevate anche dirmi <strong>la</strong> vostra! Non sono mica l’unico con gli occhi, qui!”<br />

“Sei l’unico con le ciole agli occhi, però!”<br />

Me ne accorgo che arriva mentre io ed Ulisse stiamo sroto<strong>la</strong>ndo una cartina grande quanto una<br />

piscina. Sembriamo Totò e Peppino quando cerchiamo di ripiegar<strong>la</strong>, è come se avessimo montato<br />

un separé tra i sedili dell’auto: tra noi dietro e loro <strong>da</strong>vanti si erge il muro del Gioco delle Coppie.<br />

Rido talmente tanto che ho paura mi possa venir giù <strong>la</strong> mandibo<strong>la</strong>.<br />

Ruvo è qui, Bari qui, Altamura non c’entra <strong>da</strong>vvero niente: quando ci sono venti centimetri di<br />

cartina tra due posti vuol dire che si è <strong>da</strong>vvero lontani. Ci mette poco l’allegria a farsi paranoia.<br />

Ecco che arriva. Ci ha messo di meno, stavolta. Mi sembra di galleggiare in una bol<strong>la</strong> di sapone, il<br />

mio io si rintana veloce in un cantuccio ancora più stretto del solito. Vedo Ulisse e Daniele che<br />

litigano, come due vecchi coniugi <strong>da</strong> una stanza all’altra. A quanto pare, i semini di Ulisse, in pieno<br />

fuoco d’artificio, sono arrivati anche sul sedile <strong>da</strong>vanti, e finalmente Strillo se n’è accorto. Non ci<br />

credeva e si è odorato <strong>la</strong> mano. Davanti all’evidenza si è arreso anche lui e per poco non ha<br />

vomitato su Non<strong>la</strong>siscttann che dorme incurante di tutto.<br />

Allora Daniele ha aperto il cassettino e ha sbattuto un pacco di preservativi in faccia ad Ulisse,<br />

dicendogli che sono lì apposta, non servono solo per e<strong>vita</strong>re gravi<strong>da</strong>nze ed infezioni, servono<br />

soprattutto a non inseminare i sedili degli amici. Ulisse si difende dicendo che non si può fare una<br />

fel<strong>la</strong>tio con un cappuccio in testa. Da qualche parte dovevano pure an<strong>da</strong>re a finire quei cosi se lei si<br />

è scansata all’ultimo secondo.<br />

Vado stranendomi, riesco a sollevarmi <strong>da</strong>l mio corpo e mi guardo come un pesce in un acquario. E’<br />

una sensazione pazzesca, sto aleggiando due metri sopra di me. Sono in libera uscita <strong>da</strong>l mio<br />

involucro.<br />

Dove siamo? In qualche parte del<strong>la</strong> Murgia, lontani <strong>da</strong> casa, ancora troppo lontani, mi sta<br />

prendendo male. Se sei troppo stressato capita che ti pren<strong>da</strong> male. La carreggiata si stringe sempre<br />

di più: se adesso incontrassimo un’auto nell’altro senso ci toccherebbero dieci chilometri buoni di<br />

retromarcia. Provo a <strong>la</strong>nciare un argomento di conversazione ma non mi sta a sentire nessuno,<br />

neanche io: <strong>la</strong> mia voce è quel<strong>la</strong> di un fantasma che balbetta nel vuoto del<strong>la</strong> macchina. Mi prende<br />

un dubbio, di non esser vivo, di essere già morto, insieme a loro.<br />

So benissimo cos’è il paradiso: il paradiso è un posto dove le nostre anime possono ascoltare <strong>la</strong> loro<br />

musica preferita senza che nessuno gli dica mai di abbassare il volume. Ma solo oggi mi sembra di<br />

capire come sarà l’inferno. Un viaggio in macchina in cui non si arriva <strong>da</strong> nessuna parte, con un<br />

autoradio che ti gracchia un pezzo che proprio non ti piace e degli amici che non ti stanno ad<br />

ascoltare.<br />

Mi tiro un pizzico per convincermi di esser vivo, come sto a pezzi! Mi viene l’angoscia che questo<br />

stato di agitazione non mi passerà mai. Rimarrò in quell’auto per sempre. Mi stringo al<strong>la</strong> giacca di<br />

Ulisse, per affrontare il temuto Eterno Ritorno.<br />

Incrociamo una Sko<strong>da</strong>, con un vecchio contadino al<strong>la</strong> gui<strong>da</strong>, i nostri specchietti si sfiorano, appena<br />

un bacetto. Una Sko<strong>da</strong>, un paesaggio brullo, piano, cinereo, potremmo essere tranquil<strong>la</strong>mente in un<br />

paese dell’Est europeo. Mi volto di scatto, è impossibile che siamo passati in due in una stra<strong>da</strong> del<br />

genere. La Sko<strong>da</strong> bianca tira dritto inflessibile, perché non si è fermata? Le avremmo chiesto dove<br />

siamo an<strong>da</strong>ti a finire, dove possono an<strong>da</strong>re a cacciarsi un sabato notte quattro maschi che par<strong>la</strong>no di<br />

12


pompini. In una canzone degli 883 apparirebbe un autogrill. Ma purtroppo i nostri gusti musicali si<br />

sono evoluti e abbiamo smesso di credere ai testi di Max Pezzali.<br />

Sono quasi le sei, il cielo è buio come un tappeto di lucciole <strong>da</strong>l culo spento. Ogni tanto incontriamo<br />

un’altra auto, i fari sbilenchi che stracciano <strong>la</strong> notte, le ruote come lumache ognuna in fi<strong>la</strong> dietro <strong>la</strong><br />

scia che <strong>la</strong> precede. Sto male, credo che siano morti tutti, tutti nelle loro auto, e nessuno se n’è<br />

accorto. Ognuno vede le altre macchine e si conso<strong>la</strong> prendendolo come un segnale di <strong>vita</strong>. Invece<br />

siamo tutti poveri diavoli appena addentratisi all’inferno.<br />

Sto impazzendo, i cartelli blu sono l’unica speranza, ma ancora non ne appare uno con <strong>la</strong> scritta<br />

Bari. La prossima volta guido io, maledico, così almeno scelgo <strong>la</strong> musica. Datemi il violino degli<br />

Arab Strap, vi prego!<br />

“Bari” ur<strong>la</strong> Strillo, quando tutto ormai sembrava perduto.<br />

“Bari” ripeto io! “Bari... siamo vivi, siamo vivi!”<br />

Scuoto <strong>la</strong> testa, mi passo le mani in faccia e, come sempre, prometto di non farlo più. Sono le 6 e 50<br />

quando parcheggiamo, non ho contato neanche quanto ci ho messo a mangiare tre saccottini al<strong>la</strong><br />

me<strong>la</strong>: a giudicare <strong>da</strong> come mi guar<strong>da</strong>vano nel <strong>la</strong>boratorio direi molto poco. Non<strong>la</strong>siscttann è rimasto<br />

in auto a dormire, tra poco più di due ore lo si può trovare già in negozio. Ulisse è con me, ha scelto<br />

le mezze tonde per tornare tra i vivi. Invece Daniele è lì carponi sul sedile posteriore che bestemmia<br />

e con una pezza bagnata lustra con olio di gomito gli interni del<strong>la</strong> sua utilitaria.<br />

“Cicileo?” dice Ulisse, e come un prestigiatore, uno nuovo di zecca appare tra le sue dita.<br />

“Io mi boccio, chicos. Vado a letto!” rispondo <strong>da</strong> dentro il frigorifero dove dovrebbe esserci una<br />

bottiglia d’acqua.<br />

“Partita a freccette?” ri<strong>la</strong>ncia Strillo.<br />

“E’ an<strong>da</strong>ta! Accendi tu! Te lo devo” gli bril<strong>la</strong>no gli occhi mentre glielo allunga, è il suo modo di<br />

chiedere scusa a Daniele per <strong>la</strong> tappezzeria.<br />

Il ministro del Cazzeggio e quello dell’Insa<strong>la</strong>ta Divertente di nuovo a braccetto <strong>la</strong>nciano punte verso<br />

lo stesso piccolo bersaglio. Dal<strong>la</strong> mia stanza li sento ridere, sento i tonfi delle freccette contro<br />

l’armadio del nonno, non hanno messo a segno neanche un colpo, ed ogni volta ridono più forte.<br />

Ci sono momenti in cui per centrare il cuore del<strong>la</strong> <strong>vita</strong> basta stare con un amico; il resto delle<br />

domande non chiede più nessuna risposta.<br />

Mi piacerebbe fosse così anche per me.<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 2)<br />

“******, mi vuoi ascoltare o no?”<br />

“Sai che non voglio che mi chiami così, io sono Fantasma!”<br />

“Ma sai che stai proprio rincoglionendo, ****** è il tuo nome! Sono stufa delle tue paranoie...Non<br />

pensi che stare insieme significhi qualcosa in più di passare del bel tempo, di ingannare <strong>la</strong> noia?”<br />

“Che vuoi dire?”<br />

“Che mi fai sentire picco<strong>la</strong>... rispondi un po’: hai mai <strong>la</strong> sensazione di costruire qualcosa insieme a<br />

me?”<br />

“Che vuoi dire?”<br />

“Cacchio, ma non capisci, ma te lo devo per forza spiegare io?”<br />

<strong>13</strong>


4.<br />

Friends ci ha rovinato <strong>la</strong> <strong>vita</strong>! I sei newyorkesi capaci di spassarse<strong>la</strong> sfacciatamente dividendo<br />

appartamenti e partners ci hanno ingannato. Non siamo peggio di Joey, Ross e Chandler, però non<br />

mi sembra che fuori <strong>da</strong>l<strong>la</strong> porta ci sia <strong>la</strong> fi<strong>la</strong> di mogli di Brad Pitt che vogliano venire a vivere con<br />

noi. Al massimo raccogliamo sfusi a tutte le ore, sfusi di passaggio, sfusi pendo<strong>la</strong>ri, sfusi in pausa,<br />

sfusi in paranoia. C’è sempre un gran viavai di sfusi che vengono a pisciare un po’ del<strong>la</strong> loro <strong>vita</strong><br />

qui, neanche <strong>la</strong> casa fosse il cesso esistenziale di un autogrill.<br />

Joey e Chandler hanno delle poltrone che ti fanno venir voglia di avere una casa solo per sistemarle<br />

al centro del soggiorno. La casa ora ce l’abbiamo anche noi, ma quando ci siamo informati per<br />

comprare delle poltrone simili alle loro, ci hanno chiesto due mi<strong>la</strong> euro ca<strong>da</strong>una. Quelle del nonno<br />

vanno benissimo uguale, hanno le molle grandi quanto dischi vo<strong>la</strong>nti, e non escludiamo <strong>la</strong> presenza<br />

di piccoli animali nel<strong>la</strong> tappezzeria a fiori.<br />

Se posso <strong>la</strong>mentarmi, non mi è mai successo di svegliarmi <strong>la</strong> mattina e di incontrare Jennifer<br />

Aniston o Courtney Cox che uscivano <strong>da</strong>l bagno. Al più ho incontrato seduto sul<strong>la</strong> tazza uno dei tre<br />

che dimentica di chiudere <strong>la</strong> porta.<br />

Vivere insieme non è un telefilm, in cui ti pagano vagoni di dol<strong>la</strong>ri a puntata.<br />

Vivere insieme vuol dire che apri il frigo e quello con <strong>la</strong> fame chimica si è mangiato il tuo ultimo<br />

yogurt, vuol dire che se vuoi trovare un cucchiaino pulito ti conviene chiamare i vigili del fuoco che<br />

liberino il tuo <strong>la</strong>vabo, dove forse, proprio sul fondo tro<strong>vera</strong>i un reperto ossi<strong>da</strong>to che dopo attento<br />

esame radiologico con il Carbonio 14 rivelerà di aver avuto un passato <strong>da</strong> cucchiaino. Vuol dire<br />

entrare sotto <strong>la</strong> doccia e vedere <strong>la</strong> spia rossa dello scal<strong>da</strong>bagno occhieggiare maliziosa ad indicare<br />

che quello prima di te ha cantato un intero album mentre si sciacquava. Vuol dire entrare in casa tua<br />

dopo una giornata di mer<strong>da</strong> passata a farsi <strong>la</strong>rgo sgomitando nel magico mondo del <strong>la</strong>voro e trovare<br />

sull’appendiabiti dell’ingresso <strong>la</strong> sciarpa del Bari distesa, segnale convenzionale per dire che<br />

qualcuno degli altri tre è in compagnia di una donna negli spazi pubblici del<strong>la</strong> casa. Vuol dire che<br />

uno dei quattro ama <strong>la</strong> musica techno, uno starebbe tutto il tempo ad ascoltare gli anni d’oro del<br />

rock psichedelico, l’altro trasformerebbe <strong>la</strong> casa in una colonia reggae. E tu ricorri al walkman per<br />

ascoltare a tutto volume <strong>la</strong> tua stupi<strong>da</strong> canzone che proprio non piace a nessuno.<br />

Vivere insieme è una gran rottura di palle!<br />

La mia famiglia non è mai salita sugli scudi: nè polveri, né altari per nessuno del<strong>la</strong> mia discendenza.<br />

Il nonno era l’unico fuori <strong>da</strong>lle righe, almeno per <strong>la</strong> sua stranezza. Fu lui a raccontarci le radici del<strong>la</strong><br />

nostra stirpe.<br />

All’epoca in cui si arruolò nei Carabinieri, in tempo di guerra, si usava fare una ricerca genealogica<br />

per verificare <strong>la</strong> pulizia del<strong>la</strong> fedina penale di tutti i componenti del<strong>la</strong> famiglia dell’aspirante<br />

sol<strong>da</strong>to, una ricerca che procedeva a ritroso verso le generazioni passate come se <strong>la</strong> presenza di un<br />

bisnonno criminale implicasse <strong>la</strong> pericolosità congenita del pronipote. La mia famiglia risultò lin<strong>da</strong><br />

per dieci generazioni, mai nessuna rogna con <strong>la</strong> legge: se non farò mai stronzate, con me possiamo<br />

arrivare a dodici. La discesa dell’albero genealogico conduceva, come ultimo strato di terreno<br />

conosciuto, ad una famiglia di pastori sardi di inizio ottocento. Non è che mi ci rivedessi molto,<br />

tanto nel pastore quanto nel sardo. Mi immaginavo a tu per tu con una pecora, aspettando che mi<br />

dicesse qualcosa di familiare, ma... no. Anche se ci fossi nato, pastore non ci sarei rimasto! Piuttosto<br />

avrei <strong>da</strong>vvero fatto l’architetto.<br />

Una cosa di cui mio nonno an<strong>da</strong>va fiero era quel<strong>la</strong> leggen<strong>da</strong> <strong>da</strong>l sapore protopartigiano che<br />

raccontava riguardo un nostro antenato che aveva preso parte al<strong>la</strong> spedizione dei Mille. Il prode<br />

garibaldino, braccato <strong>da</strong> un manipolo di sol<strong>da</strong>ti nemici che lo assediavano dietro un costone<br />

roccioso, non aveva potuto far altro che ammazzare il proprio cavallo, ne aveva svuotato le interiora<br />

e si era infi<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> pancia dell’equino per una manciata d’ore finché i nemici dopo aver<br />

vanamente perlustrato <strong>la</strong> zona non gli avevano <strong>la</strong>sciato via libera, ignari del trucco; così lui aveva<br />

14


potuto riprendere a <strong>da</strong>re il proprio contributo al<strong>la</strong> missione che sarebbe ser<strong>vita</strong> ad unificare l’Italia.<br />

Questo stato ci deve qualcosa, mi sembra di poterlo affermare.<br />

La leggen<strong>da</strong> che probabilmente accresceva le sue sfumature romanzate con il passare del tempo, si<br />

traman<strong>da</strong>va con cura nel<strong>la</strong> mia famiglia di padre in figlio. Mio nonno si <strong>la</strong>sciava trasportare<br />

<strong>da</strong>ll’entusiasmo e addirittura a volte chiamava Garibald’ me e mio fratello.<br />

“Garibald’, io al<strong>la</strong> tua età camminavo sulle uova!”, qualcuno per favore mi spieghi cosa voleva dire<br />

questa espressione del nonno!<br />

15


5.<br />

Vorrei svegliarmi un giorno con il cantante dei Wheat che mi sussurrasse nelle orecchie un pezzo<br />

tipo “Go get the cops” o meglio ancora “Don’t I hold you”, o con <strong>la</strong> voce dolce dei Kings of<br />

Convenience. Le mie giornate sarebbero sicuramente migliori. Non con gli strilli di Daniele che<br />

b<strong>la</strong>tera quando raggiunge <strong>la</strong> sveglia. Che bello sarebbe se invece del<strong>la</strong> sua ramanzina sul fatto che<br />

tocca sempre a lui svegliarsi per primo e mettere su <strong>la</strong> macchinetta del caffè, prendesse per una<br />

volta, una volta so<strong>la</strong> uno dei miei cd e lo <strong>la</strong>sciasse partire: il mondo diventerebbe di pan di zucchero<br />

in un secondo. Invece no! “Scegli Fantasma – mi ha detto una volta quando l’ho supplicato - o il<br />

silenzio o i Subsonica”. Beh, il silenzio andrà benissimo.<br />

Dico <strong>da</strong>vvero, io i miei amici li amo, mi piacciono come persone sin <strong>da</strong> quando ancora ragazzini<br />

sig<strong>la</strong>mmo il nostro patto con fiumi di birra e partite a tressette. Qualcuno di loro mi piace anche<br />

fisicamente e se avessi avuto un utero li avrei volentieri ospitati dentro di me quando li ho visti in<br />

crisi acuta <strong>da</strong> rimorchio an<strong>da</strong>to male. Li amo ma nessuno di loro sa <strong>da</strong>rmi quello che mi rega<strong>la</strong> <strong>la</strong><br />

mia cuffia dove girano tracce elettroniche <strong>da</strong>i suoni strani. Non sono né ingrato, né cinico; sono<br />

semplicemente sincero quando dico che potrei sopravvivere senza di loro, mentre non riesco ad<br />

immaginare <strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> senza musica. Il cervello mi diventa un brodo di miele quando <strong>da</strong>lle cuffie<br />

un pezzo mi tocca l’anima e si espande senza misura dentro di me, mi invade i sensi, quasi possa<br />

sentirne il sapore sotto <strong>la</strong> lingua.<br />

In fin dei conti è così anche nei rapporti di coppia, è <strong>la</strong> musica che ne completa il significato, o che<br />

sublima una scopata. Un orgasmo ha senso quando i tuoi occhi e quelli del<strong>la</strong> tua donna stanno<br />

sentendo <strong>la</strong> stessa musica, è <strong>la</strong> musica che unisce due persone. Un orgasmo muto è un orgasmo<br />

triste, ci godi e finisce lì. Non è così quando c’è <strong>la</strong> musica che mi unisce a lei, quando suona <strong>la</strong><br />

stessa canzone per le nostre due bocche, per le mani intrecciate, quando il pezzo è solo per noi due.<br />

Accade poche volte, ma sono quei secondi che rimettono insieme i punti sparsi di una <strong>vita</strong> nel<strong>la</strong><br />

linea ton<strong>da</strong> di una circonferenza, allegra e perfetta!<br />

La mattina do il meglio di me nel filosofeggiare, so che questo è proprio ciò che infastidisce Strillo,<br />

il fatto che io senta <strong>la</strong> sveglia esattamente come lui, ma rimanga qui a divagare nel mio letto mentre<br />

il poverino, costretto <strong>da</strong>l fatto che monta al <strong>la</strong>voro per primo, deve alzarsi e mettere le mani sotto<br />

l’acqua ge<strong>la</strong>ta per <strong>la</strong>vare <strong>la</strong> caffettiera. So che gli dà fastidio e lo sento bronto<strong>la</strong>re, ma oggi sta<br />

esagerando, addirittura si è messo ad ur<strong>la</strong>re.<br />

La porta si apre, eccolo qui Strillo, l’uomo <strong>da</strong>i pigiami più brutti che abbia mai visto.<br />

“Ma sei sordo o cosa?”<br />

“Cosa?” rispondo io.<br />

“C’è quel<strong>la</strong> del pa<strong>la</strong>zzo di fronte... vuole una cassetta di tuo nonno!”<br />

“Chantal?” domando io riemergendo <strong>da</strong>l cuscino.<br />

“E’ già in cucina. Che fai, vieni?”<br />

“Ma... questa poi! Sì... sì...” Iniziamo bene <strong>la</strong> giornata! Ci mancavano gli sfusi minorenni.<br />

Minorenni e mattinieri. Chantal si chiama in realtà Miche<strong>la</strong> o Micae<strong>la</strong>, non lo so, né mi importa, <strong>la</strong><br />

chiamo Miky. Il nome che le abbiamo <strong>da</strong>to, però, pieno di lettere come mo<strong>da</strong>nature, rende meglio<br />

l’idea del tipo. Di quei fuochi d’artificio che esplodono tra le mani del fuochista, Chantal nel giro di<br />

un’estate divenne <strong>da</strong> bruco farfal<strong>la</strong>, o, come disse un giorno mio fratello, “<strong>da</strong> ragazzina che giocava<br />

con le Barbie divenne Barbie Sun Tan in California”. Soprattutto Chantal è <strong>la</strong> nostra vicina. Così<br />

quando mi sono trasferito con gli altri a vivere qui, ci siamo trovati ad avere come referente per i<br />

prestiti di zucchero o caffè questa bambina <strong>da</strong>l corpo burroso e duro. Avendo lei nel mio<br />

immaginario una precisa collocazione come “<strong>la</strong> bambina che abitava nel pa<strong>la</strong>zzo di fronte al<strong>la</strong> vil<strong>la</strong><br />

dei nonni”, non potevo ammettere che fosse diventata donna e soprattutto che suscitasse le<br />

attenzioni dei miei famelici coinquilini. Quando Ulisse chiese quanti anni avesse quel<strong>la</strong> “cacchio<strong>la</strong>”,<br />

mi ingelosii come fosse mia sorel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> e ne venne fuori un gran dibattito che ci portò al divieto<br />

conclusivo di fare gli stronzi con lei, ma anche di dedicarle pensieri impuri nel bagno. Così facendo,<br />

16


mi sono tirato fuori <strong>da</strong>l<strong>la</strong> questione <strong>da</strong> gran signore, anche perché io le seghe me le faccio a letto, è<br />

molto più comodo.<br />

“Ciao Miky, prendi un caffè? Ma non dovresti essere a scuo<strong>la</strong>?” domando, guar<strong>da</strong>ndo quel rottame<br />

di Strillo perché pren<strong>da</strong> una tazzina di quelle che abbiamo rubato nei bar. Ma come si fa ad ospitare<br />

una ragazza vestiti con un pigiama bordeaux? Ha anche una macchiona sospetta proprio sul <strong>da</strong>vanti.<br />

Gli faccio segno di coprirsi.<br />

“Un caffè veloce, sì, volentieri. Oggi entro al<strong>la</strong> terza ora. Sono in crisi, devo fare una ricerca<br />

multimediale sui coccodrilli, ma Internet non va. Mia madre mi ha ricor<strong>da</strong>to di tuo nonno, del<strong>la</strong> sua<br />

collezione di Quark, ce le hai ancora le cassette? Dimmi che hai qualcosa su questi coccodrilli del<br />

cazzo... Faccio qualche foto digitale al<strong>la</strong> tv e spero di cavarme<strong>la</strong>, fanculo...”<br />

Come stanno male le paro<strong>la</strong>cce su quelle <strong>la</strong>bbra, penso mentre mi aziono tuffandomi nel<strong>la</strong> dispensa.<br />

Entra Ulisse in cucina, visibilmente acciaccato <strong>da</strong>l<strong>la</strong> notte. Alle tre mi sono svegliato a far pipì e ho<br />

visto che non era ancora rientrato. Ho idea che in questo periodo stia combinando qualcosa di<br />

grosso. Mi ha detto che è una cosa <strong>da</strong> cui non poteva tirarsi indietro. Presto rimarrà impigliato nel<strong>la</strong><br />

sua rete, anche se ha <strong>da</strong>l<strong>la</strong> sua una gran faccia di culo ed un notevole sangue freddo. Mi deciderò a<br />

par<strong>la</strong>rgli uno di questi giorni.<br />

Saluta Chantal, lei se lo mangia con gli occhi; lui è un vero amico, sa che mi <strong>da</strong>rebbe fastidio se<br />

facesse il cascamorto e finge indifferenza. Chissà che cosa si prova ad essere guar<strong>da</strong>to in quel modo<br />

<strong>da</strong> una donna, non mi è mai successo. Mi viene il sospetto che ‘sta videocassetta sia una scusa per<br />

vedere lui.<br />

Mio nonno teneva le videocassette ordinate per argomento del<strong>la</strong> puntata. Vediamo... Cani<br />

Capodoglio, Cervi... Cicciolina e Moana Mondiali... Cicciolina??? Hai capito il nonno! Ah! Ecco<br />

qua: Coccodrilli!<br />

“Tieni Miky! Non ho idea cosa ci sia dentro. Non facciamo troppa attenzione noi, quando le<br />

vediamo!”<br />

“Grazie, mi hai salvato <strong>la</strong> <strong>vita</strong>! Quello di biologia ce l’ha proprio con me! Pensa che mi obbliga a<br />

mettermi i maglioni lunghi perché non vuole che si ve<strong>da</strong> il piercing all’ombelico” dice e si solleva il<br />

maglione, sorridendo ad Ulisse, Barbie Super Piercing.<br />

E vaffanculo: quando facevamo il terzo liceo noi coglioni a giocare a tressette! Guardo i miei amici<br />

e li odio per avermi rubato l’adolescenza.<br />

“Dai Miky, corri a fare ‘sto compito!” le passo un braccio sul<strong>la</strong> schiena... sto <strong>da</strong>vvero<br />

invecchiando? Sento un profumo di pelle tiepi<strong>da</strong> che mi scatena un intasamento di vasi sanguigni.<br />

L’accompagno al<strong>la</strong> porta, <strong>la</strong> saluto. Chissà come mi vede? Chissà se si accorge che io ho sedici anni<br />

come lei, solo che li ho compiuti già dieci volte. Va’ culetto dorato, vai a scuo<strong>la</strong>, stai lontana <strong>da</strong><br />

questo branco di lupi.<br />

Torno in cucina e quel farabutto di Ulisse sta simu<strong>la</strong>ndo di prender<strong>la</strong> <strong>da</strong> dietro. Elvis the Pelvis in<br />

Memphis... Non faccio in tempo a dire nul<strong>la</strong> che entra nel<strong>la</strong> stanza l’eroe del<strong>la</strong> grande distribuzione,<br />

Sergio Falchetti, alias Non<strong>la</strong>siscttann, sorprendentemente già pettinato e sbarbato!<br />

“Mi sono perso qualcosa?” finisce di leccar<strong>la</strong>, l’accende e:<br />

“Cicileo!”<br />

Un altro giorno sta per iniziare nel<strong>la</strong> nostra casa.<br />

A volte mi fa paura affrontare le cose che si ripetono. I giorni uguali, le routine. Vorrei qualcosa di<br />

più, mugugno mentre raccatto un foglio di carta ed un mozzicone per scarabocchiarci qualcosa<br />

sopra.<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 3)<br />

Io e <strong>la</strong> mia matita,<br />

siamo insieme<br />

un architetto del paesaggio<br />

17


con<strong>da</strong>nnato a non poter dimenticare<br />

l’orografia del tuo corpo<br />

<strong>la</strong> quota singo<strong>la</strong><br />

di ogni punto in cui <strong>la</strong> mia anima ha campeggiato.<br />

18


6.<br />

Pensavo di rimanere solo, invece no! Non<strong>la</strong>siscttann è fi<strong>la</strong>to via in gran segreto, ma non per an<strong>da</strong>re<br />

a <strong>la</strong>vorare. Ha detto solo “poi ti spiego!”. Quando è così, è roba di femmine. Ulisse è uscito, l’ho<br />

visto preoccupato, mi ha guar<strong>da</strong>to e ha detto due volte: “Io sto uscendo”, aveva quasi gli occhi<br />

lucidi. Era agitato. Gli ho chiesto: “Dove vai?” e non mi ha risposto, mi ha passato uno di quei<br />

sorrisi che si scambiano due innamorati quando uno prende un aereo <strong>da</strong>l quale l’altro resta giù. Si è<br />

rifugiato in camera di fretta, ne è schizzato fuori dopo cinque minuti. Mi ha preso il volto tra le<br />

mani, Ulisse ha le mani sempre caldissime. Morbide e caldissime. Mi ha detto con i denti serrati<br />

“Andrà tutto bene... andrà tutto bene. Non rispondere al telefono e non mi cercare, dillo anche agli<br />

altri. Se mi cerca mio padre mettetevi d’accordo perché pensi che sono con uno di voi”. Ha tirato su<br />

con il naso e si è morso le <strong>la</strong>bbra. Lì ho capito. Mi ha baciato ed è vo<strong>la</strong>to via.<br />

Sono an<strong>da</strong>to nel<strong>la</strong> sua stanza. La stanza di Ulisse è <strong>la</strong> più grande, gliel’ho <strong>la</strong>sciata perché in fin dei<br />

conti per lui farei qualunque cosa. Se l’è arre<strong>da</strong>ta lui e, nonostante l’architetto sia io, devo<br />

confessare che è molto meglio del<strong>la</strong> mia. Nessun gioco inutile, niente canestri e puttanate, nessun<br />

indumento fuori posto, mobili in stile barca, <strong>la</strong>ccati che ti ci puoi specchiare e profumati come un<br />

bosco, un copriletto pulito ogni due giorni, <strong>la</strong> libreria piena di testi <strong>da</strong> ingegnere, i raccoglitori con<br />

gli appunti di tutti gli esami divisi per anno, il cassetto delle camicie a quadretti, un altro per quelle<br />

a righe, quelle a tinta unita. Gli an<strong>da</strong>va stretto tutto questo, posso capirlo. Ma non è sparpagliando<br />

neve sullo scrittoio in pelle che ne verrà fuori. Non si è premurato neanche di chiudere <strong>la</strong> porta o<br />

nascondere il sacchetto... porca paletta, mi passo una mano sul<strong>la</strong> fronte, quand’è che non mi sono<br />

accorto di tutto questo?<br />

Mi sono affacciato nel<strong>la</strong> stanza di Strillo, mi sembrava strano che fosse uscito senza salutarmi. E<br />

infatti lo trovo al computer.<br />

“Che cazzo fai? E al <strong>la</strong>voro?” domando.<br />

Lui si spaventa, trasale e mi accorgo che istintivamente mette giù <strong>la</strong> finestra che stava guar<strong>da</strong>ndo<br />

riducendo<strong>la</strong> ad icona.<br />

“No... niente” balbetta, poi si ricompone.<br />

“Guar<strong>da</strong> che per me puoi fare che cazzo vuoi con il computer, tanto te <strong>la</strong> paghi tu <strong>la</strong> bolletta<br />

internet, vai pure con i pornazzi...”<br />

“Ma che stai a dire?” rialza <strong>la</strong> finestra “Stavo chattando, ho beccato una tipa, vedi?”<br />

“Non mi interessa, ti ho detto! Volevo capire perché non fossi al <strong>la</strong>voro...”<br />

“Affanculo <strong>la</strong> filiale, oggi! Al capo ho detto che avevo <strong>la</strong> diarrea!”<br />

“Potrebbe essere quel<strong>la</strong> giusta?” gli domando.<br />

Mi sorride... quante sono quelle giuste che ha già beccato in chat? Uff... io ne ricordo almeno<br />

cinque.<br />

Per non par<strong>la</strong>re di quelle sbagliate... come quel<strong>la</strong> volta che disse che non veniva a giocare a calcetto<br />

con noi perché aveva <strong>la</strong> febbre. Lo <strong>la</strong>sciammo a casa: pigiama color verdone, Coppa Italia in TV,<br />

pizza di patate del<strong>la</strong> mamma di Non<strong>la</strong>siscttann… tutto rego<strong>la</strong>re, insomma! Salvo il fatto che dopo <strong>la</strong><br />

partita incrociammo <strong>la</strong> sua auto <strong>da</strong>vanti ai bar del Lungomare. Ci preoccupammo, noi tre ingenui! E<br />

ci avvicinammo al<strong>la</strong> macchina per control<strong>la</strong>re che non glie<strong>la</strong> avessero rubata... invece era proprio<br />

lui: abbassò il finestrino imbarazzatissimo e prima che noi potessimo doman<strong>da</strong>rgli nul<strong>la</strong>, affianco a<br />

lui, sul sedile passeggero si affacciò verso di noi una tipa con una faccia talmente grande che tutto il<br />

finestrino non riusciva ad inquadrar<strong>la</strong>. Una testa che per farle un cappello ci voleva almeno <strong>la</strong> <strong>la</strong>na<br />

di tre pecore. Io non riuscii a non riderle in faccia.<br />

Dopo mezz’ora eravamo di nuovo tutti e quattro a fare Cicileo sulle panchine del Lungomare,<br />

l’aveva mol<strong>la</strong>ta a casa con <strong>la</strong> stessa scusa che aveva usato con noi!<br />

“Scusa devo tornare a casa, credo di avere <strong>la</strong> febbre, <strong>da</strong>i ci sentiamo un altro giorno!”<br />

Stril<strong>la</strong>cci, che uomo di mer<strong>da</strong>! Però che risate!<br />

19


Non mi ha mai voluto rive<strong>la</strong>re <strong>la</strong> tattica che usa, le sue formule magiche con cui convince le<br />

sconosciute ad accettare i suoi incontri sessualmente espliciti. Immagino che si sia talmente<br />

specializzato <strong>da</strong> seguire un protocollo, ormai. La prima che rimase incastrata nel<strong>la</strong> sua trappo<strong>la</strong> a<br />

forma di finestrel<strong>la</strong> fu una quarantenne divorziata del nord barese. Forse è il caso di dire che fu lei<br />

ad intrappo<strong>la</strong>rlo visto che lui non fece null’altro che assecon<strong>da</strong>re le istruzioni del<strong>la</strong> signora bene<br />

fino a trovarsi completamente nudo al cospetto del<strong>la</strong> donna, con <strong>la</strong> sua picco<strong>la</strong> fava al<strong>la</strong> totale mercé<br />

delle stravaganti voglie di lei.<br />

Ce ne raccontava i partico<strong>la</strong>ri il giorno in cui Non<strong>la</strong>siscttann era stato <strong>la</strong>sciato <strong>da</strong> Eugenia, <strong>la</strong> sua<br />

storica fi<strong>da</strong>nzata <strong>da</strong> tre anni. Più che <strong>la</strong>sciato, lei aveva intrapreso una manovra di allontanamento e<br />

riavvicinamento che sarebbe durata fino ai nostri giorni. Questo però, allora non potevamo saperlo,<br />

e me <strong>la</strong> ricordo <strong>la</strong> faccia di Non<strong>la</strong>siscttann poverino, che cercava conforto mentre noi (finiamo<strong>la</strong> con<br />

questa stronzata che il vero amico si vede nel momento del bisogno!) fingevamo di non ascoltare i<br />

suoi <strong>la</strong>menti per sentire i racconti del<strong>la</strong> golosa signora molfettese.<br />

Quando Non<strong>la</strong>siscttann si <strong>la</strong>mentò di che cazzo di amici fossimo, Ulisse tagliò corto:<br />

“Scusa, ma ti dispiaci che Eugenia ti abbia <strong>la</strong>sciato? Ma dovresti ringraziare che una con un nome<br />

del genere ti ha man<strong>da</strong>to a cagare! Ma potevi passare <strong>la</strong> tua <strong>vita</strong> con una tipa che si chiama<br />

Eugenia?”. Fantastica <strong>la</strong> capacità degli amici di fare sembrare piccoli i tuoi problemi.<br />

Ulisse, che uomo di mer<strong>da</strong>! Però che risate!<br />

“Ti ha detto nul<strong>la</strong> Ulisse?” domando a Daniele.<br />

“Di che?” mi rimbalza lui <strong>la</strong> doman<strong>da</strong> senza staccare gli occhi <strong>da</strong>llo schermo e le mani <strong>da</strong>l<strong>la</strong><br />

tastiera.<br />

“Di dove stava an<strong>da</strong>ndo! Mi ha fatto preoccupare.”<br />

“Avrà avuto <strong>da</strong> prendere un altro carico, forse!”<br />

“Si è fatto una pista prima di uscire, forse più d’una!” gli dico.<br />

Finalmente stoppa quelle cazzo di dita, è come se smettesse di piovere sul suo computer.<br />

“Di mercoledì mattina?”<br />

“Già!”<br />

“In cucina?” doman<strong>da</strong> alludendo con il suo spirito <strong>da</strong> uomo giuridico al<strong>la</strong> rego<strong>la</strong> che vieta i pippotti<br />

in cucina. Si rende conto di aver detto una stronzata, scrive un’ultima frase e, finalmente, si alza.<br />

Andiamo insieme nel<strong>la</strong> stanza di Ulisse. Prende <strong>la</strong> bustina e <strong>la</strong> avvicina al muso, neanche fosse un<br />

animale <strong>da</strong> tartufo.<br />

“Guar<strong>da</strong> che con quel naso vai in overdose se odori un altro po’!”<br />

“E questo cos’è?” tira fuori <strong>da</strong>l cestino di <strong>la</strong>tta del<strong>la</strong> stanza un cartone, vuoto, <strong>la</strong> confezione di un<br />

coltello, una molletta, di quelle capaci di fare <strong>la</strong> voce grossa.<br />

“Ma questo è coglione!” prendo il telefono e faccio il suo numero. Il cellu<strong>la</strong>re squil<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> stanza:<br />

l’ha <strong>la</strong>sciato qui. Metto giù e guardo Strillo. Ognuno dei due si aspetta che l’altro gli dica qualcosa<br />

di rassicurante. Ci conosciamo troppo bene per prenderci in giro.<br />

“Houston, abbiamo un problema!” sussurriamo insieme.<br />

20


7.<br />

Prima dei coccodrilli di Chantal e del<strong>la</strong> sparizione di Ulisse, prima dei miei sogni di risveglio al<br />

suono dei Wheat, dei Kings of Convenience, ma, per non essere difficili, anche dei Badly Drawn<br />

Boy e de Los P<strong>la</strong>netas, prima di incontrare quello che va ad un appuntamento ga<strong>la</strong>nte e l’altro che<br />

fa all’amore con un mucchietto di pixel, prima di tutto questo, oggi doveva essere <strong>la</strong> mia giornata di<br />

riposo. Ho consegnato <strong>la</strong> settimana scorsa il mio primo <strong>la</strong>voro <strong>da</strong> architetto.<br />

E’ stata dura arrendersi al<strong>la</strong> professione, è stata dura dover ammettere a se stessi di essere in grado<br />

di farlo, è stata dura rinunciare al mio sogno di giocare nel<strong>la</strong> nazionale italiana di calcio, è stata dura<br />

ma è an<strong>da</strong>ta. Ho progettato un motel: ok, non proprio! Se così fosse stato mi sarei sistemato per una<br />

decina d’anni. In verità ho soltanto col<strong>la</strong>borato come disegnatore al<strong>la</strong> risistemazione degli interni di<br />

un albergo <strong>da</strong> quattro soldi sul<strong>la</strong> tangenziale. Si trattava di ottenere più stanze di quante ce ne<br />

fossero, di farle più piccole, più scomode, uno di quei <strong>la</strong>vori in cui ci si dovrebbe vergognare di<br />

mettere <strong>la</strong> propria firma. E’ molto più figo dire che ho progettato un motel.<br />

I primi giorni che avevo <strong>da</strong>vanti il mio programma CAD aperto e le piante dei piani terra e interrato<br />

<strong>da</strong> risistemare, ascoltavo How I long dei Gorky’s Zygotic Mynci. Un pezzo di una dolcezza che non<br />

ha nul<strong>la</strong> a che vedere con il suono gaelico del nome del gruppo.<br />

Sentivo <strong>la</strong> canzone e immaginavo il motel, un motel su una stra<strong>da</strong> lungo <strong>la</strong> quale non smetta mai di<br />

piovere, di quelle piogge che imper<strong>la</strong>no l’aria di grigio e di azzurro. Un motel dove i clienti entrino<br />

con il loro impermeabile color Tenente Colombo gron<strong>da</strong>nte acqua, in un mondo in cui gli ombrelli<br />

non esistano, un motel dove non ci sia nessuno al<strong>la</strong> reception, solo un’antica radio di quelle con le<br />

antenne estraibili, misteriosamente capaci di captare nell’aria umi<strong>da</strong> le note vaganti di How I long.<br />

Il pezzo ripetuto in eterno, i clienti sgoccio<strong>la</strong>nti sul<strong>la</strong> moquette rapiti <strong>da</strong>l<strong>la</strong> canzone, silenziosamente<br />

estasiati, <strong>la</strong> reception vuota, le stanze anche. Mi sembrava che questo progetto fosse <strong>la</strong> migliore<br />

proposta per l’incarico che il mio studio aveva ricevuto.<br />

Al terzo giorno mi arrivarono le minacce di licenziamento e mi misi di buona lena a smanettare con<br />

il mouse per ripulire e quotare le piante. Sette anni di università per finire sottopagato a quotare una<br />

pianta. Se sentite di qualcuno che vuole iscriversi al<strong>la</strong> Facoltà di Architettura di Bari, sparategli<br />

prima, lo farete più felice.<br />

Strillo si affaccia in cucina e mi avvisa che sta uscendo. E’ rude, quando va con una donna lui si<br />

mette il profumo. Se fossi sua moglie, saprei esattamente quando mi tradisce. Questo pensiero mi<br />

sorprende e mi infastidisce.<br />

“Scusa, e per Ulisse?” domando io.<br />

“E che possiamo farci noi? Non stare a farti troppe seghe. Stasera gli parliamo e vediamo che ci<br />

dice!”<br />

“E se invece avesse bisogno di noi prima?”<br />

“Ma <strong>da</strong>i, chi credi di essere, Superman? Poi lui è in gamba, se <strong>la</strong> cava <strong>da</strong> solo, molto meglio di te,<br />

me e quell’altro messi insieme!” indica <strong>la</strong> camera di Non<strong>la</strong>siscttann.<br />

Non sono convinto e non gli rispondo.<br />

“Io vado, ciao C<strong>la</strong>rk Kent!”<br />

Sento <strong>la</strong> porta che si chiude. Ora sono solo in casa. La prima cosa che faccio è accendere finalmente<br />

lo stereo, l’hi-fi del<strong>la</strong> sa<strong>la</strong>, a cui accedo solo quando non c’è nessun altro in casa. Metto una<br />

canzone, ovviamente Superman dei Cinerama.<br />

21


8.<br />

Ho acceso <strong>la</strong> TV, togliendo il volume alle repliche di Costanzo: devo ammettere che così <strong>la</strong><br />

trasmissione sembra molto più intelligente. Prendo <strong>la</strong> mia rivincita sul<strong>la</strong> televisione trattando<strong>la</strong><br />

come un acquario: non è male, non devi neanche cambiarle l’acqua.<br />

Bicchiere di coca co<strong>la</strong> e sigaretta: adoro il sapore che mi <strong>la</strong>sciano in bocca. Ma non riesco a<br />

godermi <strong>la</strong> boccata, sono troppo nervoso. Mi arrampico nel sottotetto, dominato <strong>da</strong>l<strong>la</strong> pista a quattro<br />

corsie. Prendo due comandi, uno per mano, e faccio correre le macchinine mia e di Ulisse sul<br />

circuito. Sono penoso.<br />

Apro lo stanzino. Loro sono sempre lì. Le piante del nonno.<br />

La scoperta del<strong>la</strong> pianta fu una delle cose più incredibili del<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>. Ero ancora bambino il<br />

giorno in cui io e mio fratello insospettiti <strong>da</strong>l<strong>la</strong> sorveglianza ferrea del nonno al<strong>la</strong> porta dello<br />

stanzino, approfittammo del<strong>la</strong> sua pennichel<strong>la</strong> per aprire lo sgabuzzino: ricordo solo che<br />

rimanemmo accecati <strong>da</strong> un bagliore assoluto, come se qualcuno ci aspettasse dentro lo stanzino per<br />

fotocopiarci, come se il nonno avesse rubato una stel<strong>la</strong> per <strong>la</strong> nonna e <strong>la</strong> tenesse nascosta per Natale.<br />

Chiudemmo subito, ma non prima che un vento di alloro ci raggiungesse impetuoso. Non ne<br />

par<strong>la</strong>mmo mai. Rimaneva una delle stranezze del nonno picchiatello.<br />

Fu mio fratello a sve<strong>la</strong>re il mistero. Prima di avere i due gemelli, quando tornava a Bari<br />

<strong>da</strong>ll’emigrazione in terra germanica dovuta al<strong>la</strong> sua passione per <strong>la</strong> microelettronica, anche lui<br />

viveva con noi. La sua presenza serviva solo ad aumentare il tasso di divertimento nel<strong>la</strong> casa, grazie<br />

a quello spirito di organizzazione che fin <strong>da</strong> piccolo lo faceva ergere come splendido direttore delle<br />

olimpiadi condominiali, con tanto di specialità come il salto del<strong>la</strong> siepe, il <strong>la</strong>ncio del<strong>la</strong> pietra e il tiro<br />

allo sputo.<br />

Non erano ancora nati i due piccoli tedeschini, Wurstel e Wafer come li chiama Ulisse, il giorno in<br />

cui aprimmo <strong>la</strong> porta dello stanzino. La dovemmo forzare, perché il segreto sul<strong>la</strong> localizzazione<br />

del<strong>la</strong> chiave era morto insieme al nonno. Lo stanzino conteneva una decina di simpatiche piante<br />

ormai ridotte a scheletri rinsecchiti, le <strong>la</strong>mpade per l’illuminazione e quant’altro il pollice verde di<br />

mio nonno riteneva necessario per <strong>la</strong> corretta coltivazione del<strong>la</strong> sua piantagione. Tuttavia, era<br />

chiarissimo il genere a cui quelle piante dovevano essere appartenute. Ci spiegammo molte cose sul<br />

nonno, sul<strong>la</strong> sua bizzarria, e prendemmo due decisioni: primo, non avremmo mai par<strong>la</strong>to ai miei<br />

genitori del contenuto di quei due metri quadrati e mezzo per non alterare il ricordo del nonno;<br />

secondo, ben più importante, avremmo onorato <strong>la</strong> memoria di mio nonno ripristinando <strong>la</strong><br />

coltivazione dello stanzino, e assicurandoci ogni giorno, al mattino appena svegli e <strong>la</strong> sera prima di<br />

an<strong>da</strong>re a letto quando fossimo rientrati tutti, circa <strong>la</strong> genuinità del prodotto, un’insa<strong>la</strong>ta di quelle <strong>da</strong>l<br />

sapore antico. Noi siamo gente che sa ancora apprezzare i buoni prodotti caserecci!<br />

Io sono Fantasma, e mi piace immaginare che anche il Fantasma Garibaldino di mio nonno si aggiri<br />

per <strong>la</strong> casa con <strong>la</strong> sua camminata furba, e che si pren<strong>da</strong> cura delle piante insieme a noi. Ci penso un<br />

po’, me lo immagino ora accanto a me: “Sto sorridendo, grazie nonno!”.<br />

Squil<strong>la</strong> il telefono, forse è Ulisse. Corro a rispondere neanche dovessi arrivare primo tra mille.<br />

22


9.<br />

Non so se sarò mai vecchio, intendo più vecchio di così, o se mi accorgerò di non esistere qualche<br />

tempo prima: so solo che se sarò un vecchio tradizionale, di quelli con problemi al<strong>la</strong> prostata e tanta<br />

voglia di un altro bicchiere, non passerò mai il mio tempo <strong>da</strong> un meccanico. In ogni officina bazzica<br />

sempre un pensionato affascinato <strong>da</strong>i motori, che non avendo di meglio <strong>da</strong> fare passa le sue giornate<br />

sperando di rendersi utile accanto a spinterogeni e carburatori.<br />

Questo lo faceva anche il nonno. Ci portava, piccoli nipoti maschi, garibaldini <strong>da</strong> iniziare al<strong>la</strong><br />

pratica rombante del<strong>la</strong> macchina, a guar<strong>da</strong>re un suo amico meccanico all’opera. Ore interminabili,<br />

mi sono rimaste nel DNA come i momenti più noiosi del<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>. Io non ci vedevo niente di<br />

affascinante in quel <strong>la</strong>voro: solo roba che insozzava le mani di nero al punto che, quando l’amico<br />

del nonno faceva per salutare qualcuno, gli porgeva l’avambraccio <strong>da</strong> stringere. Anche a noi nipoti<br />

toccava il rito del<strong>la</strong> stretta dell’avambraccio: ricordo <strong>la</strong> mia manina sul<strong>la</strong> sua tuta blu, come <strong>la</strong> mano<br />

di un fedele che strofini una reliquia. Per non par<strong>la</strong>re dei cani <strong>da</strong> guardia dell’officina legati al<strong>la</strong><br />

catena e costretti a mangiare coppe di pastasciutta ridotte a poltiglia. L’unico spettacolo in tutta<br />

l’officina <strong>da</strong>vvero bello era mio nonno meravigliosamente eretto con le gambe appena divaricate<br />

vicino al<strong>la</strong> sua macchina, orgoglioso di formare al<strong>la</strong> civiltà dell’auto i suoi due unici nipoti maschi.<br />

Detesto poche cose nel<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>: i quadri storti, le ditate sugli schermi dei computer, le radiografie<br />

che mi terrorizzano e le volte in cui devo an<strong>da</strong>re <strong>da</strong>l meccanico. Ho paura di rimanere intrappo<strong>la</strong>to<br />

nell’attesa perenne dei movimenti lenti ed inspiegabili del meccanico ai miei occhi di profano. Ho<br />

<strong>la</strong> sensazione precisa che il mio tempo <strong>da</strong>l meccanico mi avvicini al<strong>la</strong> morte, e tanto mi basta per<br />

starne lontano il più possibile.<br />

Dico questo perché <strong>la</strong> mia giornata di riposo si complica all’improvviso. Mia madre mi avvisa che il<br />

meccanico verrà a prendersi <strong>la</strong> macchina del nonno in mattinata. La gloriosa Escort color<br />

canechescappa, tecnicamente beige, ha <strong>la</strong>nciato un ultimo sussulto ed è spirata proprio due metri<br />

prima che <strong>la</strong> parcheggiassi, un mese fa. Non rianimandosi con nessun genere di cavo abbiamo<br />

dovuto chiamare il meccanico di famiglia, ebbene sì, lo stesso del nonno! Auto del nonno,<br />

meccanico del nonno, mi sembra lineare! Arriverà a momenti e mi accenderà <strong>la</strong> macchina con un<br />

diabolico defibril<strong>la</strong>tore per batterie cardiopatiche, poi io, al<strong>la</strong> gui<strong>da</strong> del<strong>la</strong> Escort, attento a non<br />

spegner<strong>la</strong>, dovrò seguirlo nel<strong>la</strong> sua officina. Lì si consumerà il mio dramma e mi toccherà assistere<br />

all’ennesima replica dell’eterno duello tra l’Uomo e <strong>la</strong> Macchina.<br />

Sono le dieci, prevedo di fare ritorno a casa nel<strong>la</strong> Escort Beige del nonno di nuovo rombante intorno<br />

alle due. Fanculo le ferie, e le auto che non vanno ad idrogeno.<br />

E’ arrivato alle dieci e mezza. Se c’è qualcosa peggiore di aspettare il meccanico che ti metta a<br />

posto l’auto, è aspettare che se <strong>la</strong> venga a prendere. Finalmente mi citofona ed esco. Dopo avergli<br />

strofinato l’avambraccio del<strong>la</strong> tuta, lo guido al<strong>la</strong> macchina del nonno. Giriamo l’angolo e... porca<br />

paletta, l’auto non c’è più.<br />

Si sa che certi tipi di insa<strong>la</strong>ta attaccano <strong>la</strong> memoria breve: per esempio, non provate mai a chiedere<br />

a nessuno del<strong>la</strong> nostra casa cosa abbia mangiato a pranzo il giorno prima, non cavereste un ragno<br />

<strong>da</strong>l buco. Ma qui <strong>la</strong> memoria non c’entra: io <strong>la</strong> macchina sono sicuro di aver<strong>la</strong> <strong>la</strong>sciata lì! E’ passato<br />

un mese, è vero, ma sono sicuro, <strong>la</strong> vedevo ogni giorno quando an<strong>da</strong>vo in studio.<br />

“Questi <strong>la</strong>dri bastardi!” mi conso<strong>la</strong> il signor De Tullio “Io qua non conosco nessuno... se era a<br />

Madonnel<strong>la</strong>, potevo fare una telefonata e te <strong>la</strong> facevo riavere in un quarto d’ora con tutti i pezzi<br />

addosso. Ma a San Pasquale non posso fare nul<strong>la</strong>!”<br />

Forse per l’eccesso di stima che nutriva verso il nonno, il meccanico ignora che quel<strong>la</strong> macchina è<br />

tutt’altro che un oggetto che farebbe go<strong>la</strong> ai <strong>la</strong>dri. E’ quel genere di auto molto utile perché ti serve<br />

a capire che <strong>la</strong> donna che ti sta a fianco certamente non viene con te per <strong>la</strong> tua macchina; in questo<br />

senso ha più un valore sessuologico che locomotorio. Però, controllo: non è divieto di sosta lì, non<br />

hanno <strong>la</strong>vato <strong>la</strong> stra<strong>da</strong> nell’ultima settimana, non c’è nessun motivo per cui se <strong>la</strong> sia portata un carro<br />

23


attrezzi. Un <strong>la</strong>dro, un pervertito <strong>la</strong>dro amante del marrone chiaro chiaro. Ma come ha fatto? L’ha<br />

defibril<strong>la</strong>ta prima di rubar<strong>la</strong>? E magari le ha anche messo una dieci di benzina visto che era a secco.<br />

Delle due l’una: questa è Fantascienza o Romanticismo. Ladri a Bari ce ne sono di tanti tipi, ma mai<br />

mi era capitato di incontrarne uno Sentimentale.<br />

Saluto il meccanico, si rimette nel<strong>la</strong> sua macchina con <strong>la</strong> ventiquattrore <strong>da</strong> terrorista defibril<strong>la</strong>tore e<br />

se ne va, imprecando contro questa città di <strong>la</strong>dri. Io rientro in casa e chiamo <strong>la</strong> Polizia Municipale.<br />

L’idea del furto è troppo assur<strong>da</strong> per essere <strong>vera</strong>, preferisco immaginare che per qualche folle<br />

motivo se <strong>la</strong> siano portata i vigili. Sono in camera mia, seduto al<strong>la</strong> scrivania, il materasso mi<br />

sorride: “mi dispiace fratello, oggi non sembra giornata in cui io e te si possa stare insieme”.<br />

“Effettivamente <strong>la</strong> Escort targata Bari 775754 l’abbiamo sequestrata noi tre giorni fa. La sua auto è<br />

al deposito di Bitritto” mi diagnostica un signore dopo dieci minuti di melodie che mi hanno tenuto<br />

in attesa.<br />

“Cosa? E perché?”<br />

“Leggo qui, per stato di abbandono!”<br />

“Stato di abbandono...” balbetto. Lo sapevo che quel color cacca non <strong>da</strong>va l’idea del<strong>la</strong> salute. Ma<br />

stato di abbandono mi sembra esagerato: “E quindi cosa devo fare?”<br />

“Mancava il contrassegno dell’assicurazione, anche... oltre ad avere un tergicristallo rotto!”<br />

“Un tergicristallo rotto lei lo chiama stato di abbandono?”<br />

“L’assicurazione l’ha pagata lei?” incalza il signore con <strong>la</strong> sua voce grigia.<br />

Ecco il preciso momento in cui mi accorgo di quanto sono stupido. L’assicurazione l’ha pagata mio<br />

padre, ma io ho dimenticato di cambiare il tagliandino sul parabrezza... ho sempre ritenuto superflue<br />

le attenzioni <strong>da</strong> destinare al<strong>la</strong> burocrazia, e ora mi tocca pagarne lo scotto.<br />

“Certo che l’ho pagata! Ho dimenticato di cambiare il tagliando!”<br />

“Allora si deve recare al Comando portando il tagliando, e le ri<strong>la</strong>sceranno un verbale con cui potrà<br />

recarsi al deposito dove potrà ritirare l’auto”... che tra l’altro non si mette in moto, penso io!<br />

“Quanto dovrò pagare per questa <strong>storia</strong>?”<br />

“Mah, non lo so, non è il mio mestiere questo...”<br />

“Ma lei ne avrà viste tante, no? Ci sarà una contravvenzione?”<br />

“Beh sicuramente dovrà pagare il trasporto del carro attrezzi, i tre giorni di parcheggio al deposito,<br />

poi... dipende se le hanno fatto <strong>la</strong> multa...”<br />

“Mah... <strong>da</strong> quando control<strong>la</strong>te l’assicurazione alle macchine parcheggiate?” domando con un<br />

sarcasmo inutile quanto un frigo al polo nord.<br />

“Senta giovanotto, non faccia lo spiritoso che già mi ha fatto perdere tempo, buona giornata!”<br />

E vaffanculo anche a lei!<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 4)<br />

I baci delle mamme fanno il rumore dei pop-corn,<br />

rimbalzando sotto un coperchio di alluminio.<br />

I baci degli innamorati fanno il rumore del<strong>la</strong> pioggia e del<strong>la</strong> sete,<br />

delle manovre sottomarine delle sirene.<br />

I baci degli anziani fanno il rumore dei passi con le pantofole,<br />

in corridoi troppo lunghi.<br />

I tuoi baci che mi mancano ogni mattina sono il silenzio del vento tra i rami di un albero secco<br />

secco.<br />

Fanno il rumore del vetro,<br />

in frantumi,<br />

di un cuore.<br />

24


10.<br />

Mi metto i vestiti più vecchi che ho, prelevo i soldi del motel che avevo versato sul conto ieri e mi<br />

dirigo al Comando in bici, dopo aver svuotato tutti i cassetti sul materasso fino a trovare quel<br />

bastardissimo tagliandino che mi è costato <strong>la</strong> giornata di riposo.<br />

Al terzo cubicolo sembra che abbia azzeccato <strong>la</strong> persona che mi caverà <strong>da</strong>gli impicci. Trova il mio<br />

verbale.<br />

“Stato di abbandono!” deve piacere proprio tanto ai vigili questa espressione, perché il sopracciglio<br />

unico che attraversa il volto di questo impiegato <strong>da</strong> un orecchio all’altro si inarca in un sorrisetto<br />

diabolico.<br />

“Già!”<br />

“Lei è Maselli Enrico?”<br />

“No! Enrico era mio nonno, io sono il nipote!”<br />

“E va bé! Ma quando c’è un sequestro, solo il proprietario del<strong>la</strong> macchina può venire a ritirar<strong>la</strong>!<br />

Deve dire a suo nonno di passare qua al comando e io stesso gli ri<strong>la</strong>scio il permesso per ritirare<br />

l’auto al deposito...”<br />

“Houston... abbiamo un problema” penso tra me. “Veramente mio nonno non può venire! Sa?”<br />

dico sorridendo.<br />

“Le ha <strong>la</strong>sciato una delega?” mi chiede.<br />

“Non può venire, nel senso che è morto” minchia, ma questo è di coccio!<br />

“Ah!” sembra che qualcuno gli abbia appena preso l’uccello in bocca, perché sta iniziando a godere<br />

“E non avete fatto il passaggio di proprietà?”<br />

“Questo non lo so! Non risulta <strong>da</strong>l terminale?” chiedo, impaurito perché ho <strong>la</strong> precisa sensazione<br />

che <strong>da</strong> quando è suonata quel<strong>la</strong> sveglia una voragine di follia mi stia risucchiando.<br />

“No... no! Lei si rende conto?”<br />

“No che non mi rendo conto!”<br />

“Che fa, lo spiritoso? Non capisce?” gli devo fare proprio schifo con <strong>la</strong> mia ignoranza, a questo qui.<br />

“Mi aiuti a capire lei, per favore!” gli chiedo sorridendo: sette anni di Facoltà sono un ottimo<br />

digestivo per imparare ad ingoiare mer<strong>da</strong> di fronte alle persone.<br />

“Quanti eredi ha suo nonno?”<br />

“I due figli...”<br />

“E a chi l’ha <strong>la</strong>sciata l’auto? C’era un testamento?”<br />

Mi vien <strong>da</strong> ridere al pensiero del nonno con <strong>la</strong> Camicia Rossa e una Sigaretta Divertente che scrive<br />

<strong>la</strong> linea del testamento in cui decide di <strong>la</strong>sciare <strong>la</strong> Escort a uno dei due figli...<br />

“Che mi risulti no... La macchina <strong>la</strong> uso io, ma altro non so!”<br />

“E nessuno degli eredi ha quindi fatto il passaggio di proprietà all’altro? Qui non c’è traccia...”<br />

“Cioè?”<br />

“Guardi! Quando un proprietario di un’auto muore, c’è bisogno che <strong>la</strong> macchina sia intestata ad una<br />

persona so<strong>la</strong>, quindi uno dei due figli, mettiamo suo zio, doveva vendere <strong>la</strong> metà macchina all’altro,<br />

cioè suo padre...”<br />

“E non vale mettersi d’accordo, no? Che <strong>la</strong> macchina <strong>la</strong> usa uno dei due...” ecco che il neurone<br />

eschimese che abita nel mio cervello rientra a casa dopo aver appena acquistato addirittura un<br />

freezer al Polo Nord.<br />

“Ci vuole l’atto notarile che attesti <strong>la</strong> proprietà di uno solo degli eredi! Senza questo, io l’auto non<br />

<strong>la</strong> posso <strong>la</strong>sciare a nessuno!”<br />

“Quindi lei mi sta dicendo che mio padre e mio zio devono an<strong>da</strong>re <strong>da</strong> un notaio, uno dei due deve<br />

vendere mezza macchina all’altro, e con l’atto notarile potrà venire qua a prendersi un documento<br />

che poi ci servirà per an<strong>da</strong>re al deposito a ritirare <strong>la</strong> Escort che non parte nemmeno?”<br />

“Beh, sì! E consideri il fatto che, se <strong>la</strong>sciate passare del tempo, il parcheggio al deposito costa,<br />

credo, sette euro al giorno!”<br />

“E tutto questo perché un tergicristallo rotto vi fa definire <strong>la</strong> mia auto in stato d’abbandono?”<br />

25


Stavamo quasi per an<strong>da</strong>re d’accordo, ma, appena provo a rec<strong>la</strong>mare, il rigo di pennarello che gli fa<br />

<strong>da</strong> sopracciglio ritorna drittissimo; probabilmente scorre una tensione a 220 su quei peli ispidi.<br />

Proprio in quel momento entra nel cubicolo il Coman<strong>da</strong>nte in persona. Ha un berretto del NYPD,<br />

New York Police Department, “tanta voglia di fare lo sbirro” gli si legge negli occhi. Lo guardo e<br />

mi è sufficiente questo a capire perché a Bari, se c’è una co<strong>da</strong> d’auto o un ingorgo stra<strong>da</strong>le ad un<br />

incrocio, puoi sempre ingannare l’attesa e giocare ad individuare nel centro del quadrivio intasato, il<br />

vigile che ha architettato l’imbottigliamento!<br />

Forse il disprezzo me lo legge in faccia, visto che mi ferma e mi chiede cosa ci faccio negli uffici.<br />

Gli spiego brevemente <strong>la</strong> situazione, anche Sopracciglio Elettrico gli ripete quello che ha detto a<br />

me. Il coman<strong>da</strong>nte aggiusta <strong>la</strong> visiera e, dopo aver ripetuto anche lui <strong>la</strong> formu<strong>la</strong> magica che rega<strong>la</strong><br />

orgasmi al<strong>la</strong> Polizia Municipale - Stato di Abbandono - rincara <strong>la</strong> dose:<br />

“Deve allegare all’atto notarile anche il certificato di morte di suo nonno! Va<strong>da</strong> al Comune di Largo<br />

Fraccacreta e si faccia fare un certificato di morte.”<br />

E vai! Gli ordini del Coman<strong>da</strong>nte non si discutono. Meglio an<strong>da</strong>r via, guardo l’orologio, le dodici<br />

meno dieci, se mi sbrigo arrivo al Comune prima che chiu<strong>da</strong>.<br />

26


11.<br />

Adoro il lungomare di Bari, <strong>la</strong> sua quinta di architettura fascista, fatta di pietra dura e volumi forti,<br />

niente altro. Ha una massività che ben si a<strong>da</strong>tta a fronteggiare l’aria di tramontana. Un bastione di<br />

caserme che ur<strong>la</strong> il suo nome con grandi pi<strong>la</strong>stri all’aria forte del mare. E’ meraviglioso passare sul<br />

lungomare, è <strong>la</strong> <strong>vera</strong> identità del<strong>la</strong> mia città, è il palinsesto del<strong>la</strong> sua terra, è un luogo che infi<strong>la</strong> <strong>la</strong><br />

prospettiva, ti rapisce lo sguardo e te lo gui<strong>da</strong> con <strong>la</strong> sua linea ferma e dritta.<br />

Prende i tuoi occhi e li trascina dritto via.<br />

Dritto.<br />

Dritto.<br />

Fino a sbattere contro Punta Perotti, l’ecomostro che tutto il mondo ci invidia:<br />

benvenuti in Terra di Bari.<br />

Però, almeno, in questa giornata di mer<strong>da</strong>, ho <strong>la</strong> fortuna di dirigermi nell’altra direzione e di<br />

guar<strong>da</strong>re <strong>da</strong>ll’altra parte, verso il porto e i suoi oggetti voluminosi, verso le gru intente a beccare<br />

come uccelli futuristi nell’aria lontana, verso il cappello di coppi del<strong>la</strong> Basilica di San Nico<strong>la</strong>, verso<br />

<strong>la</strong> punta solitaria del campanile del<strong>la</strong> Cattedrale, verso <strong>la</strong> muraglia, verso il cantiere perpetuo del<br />

Teatro Margherita, verso il fortino e il nuovo molo. Mentre pe<strong>da</strong>lo piano, il mare mi porta il suo<br />

odore, il colore azzurro delle giornate fredde, senza sole e senza nuvole. Come il mio cuore adesso.<br />

Provo ad immaginare i miei tre amici in questo momento: Strillo in un’auto tappezzata di giornali a<br />

rubare ruzzoli di godimento a qualche vagina sconosciuta, Non<strong>la</strong>siscttann a prendere uno dei suoi<br />

tremi<strong>la</strong> caffè quotidiani in un posto qualsiasi di questa città, Ulisse a fare il samurai con il cervello<br />

pieno di roba e una molletta nel<strong>la</strong> mano destra.<br />

Prendo il cellu<strong>la</strong>re e scrivo un messaggio a Non<strong>la</strong>siscttann, lui non sa ancora nul<strong>la</strong> del<strong>la</strong> sparizione<br />

di Ulisse. Quando <strong>la</strong> bustina segna<strong>la</strong> l’invio, non provo neanche un goccio di sollievo.<br />

Provo a pensare dove vorrei essere io adesso: mi viene in mente solo Lei. Quando smetterò di<br />

scappare e proverò a chiamar<strong>la</strong>?<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 5)<br />

“******...”<br />

“Smetti<strong>la</strong> di chiamarmi così!”<br />

“Ok... Fantasma... mi dici per te, nei tuoi sogni, ce li avrai dei sogni, vecchi, triti, generazionali,<br />

spenti, ma cazzo ce li avrai dei sogni...”<br />

“Da qualche parte...”<br />

“Beh, nei tuoi sogni c’è posto per una donna?”<br />

“Per te?”<br />

“Voglio che mi rispon<strong>da</strong>, e che sia sincero, per me o per qualcun’altra...”<br />

“Che mi importa di sognare...”<br />

“******, io non reggo più... <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong> mi sta addosso come un maglione <strong>da</strong> bambina, è di<br />

due taglie in meno che il mio cuore”<br />

27


12.<br />

“Dovrei richiedere un certificato di morte!”<br />

La signora mi guar<strong>da</strong>, tira giù gli occhiali <strong>da</strong> vicino e solleva sommamente l’intera permanente che<br />

le sarà costata almeno sei ore di parrucchiere.<br />

Davanti al<strong>la</strong> sua perplessità dico una cosa che non mi sarei mai aspettato di dover dire:<br />

“Non è per me, è per mio nonno!”.<br />

Le mancano due canini quando ride.<br />

Un signore di Rutigliano, nell’ufficio sta richiedendo un certificato di nozze che non si trova e ne<br />

approfitta finalmente per raccontare <strong>la</strong> sua <strong>vita</strong>. Non sarei sopravvissuto senza sapere che il parroco<br />

del suo matrimonio era di Rutigliano però le nozze si tennero a Noci per volontà del<strong>la</strong> madre di lei.<br />

“Ma... scusi, ha detto Maselli Nico?” l’impiegata mi richiama.<br />

“No, ho detto Enrico, Maselli Enrico!”<br />

La sensazione è sempre quel<strong>la</strong> che il terreno va<strong>da</strong> franandomi sotto i piedi, sono ormai tre ore che<br />

sguazzo nelle sabbie mobili.<br />

La signora ha una faccia che non promette nul<strong>la</strong> di buono.<br />

“Houston, cazzo, man<strong>da</strong>temi in fretta uno che mi tolga <strong>la</strong> fattura!” penso tra me.<br />

“C’è un problema, vede?” mi gira lo schermo del computer.<br />

Mi avvicino ma non so dove guar<strong>da</strong>re.<br />

“Vede? Suo nonno è Maselli Enrico, nato a Mi<strong>la</strong>no il 15 Marzo del 1915... giusto?”<br />

“Sì, sì, è lui!”<br />

“E’ sicuro che sia morto?”<br />

Non ci credo, non voglio crederci, non può essere, non ha senso, è un incubo, svegliatemi, tiratemi<br />

fuori di qui, ri<strong>da</strong>temi il mio letto, smetterò di brucare insa<strong>la</strong>te divertenti, sarò un bravo architetto, il<br />

re dell’autocad e del progetto esecutivo di impianti e carpenterie, ma ditemi che è tutto uno scherzo.<br />

“Guardi, non risulta... All’anagrafe suo nonno è ancora vivo!”<br />

Mi gratto il collo e sento i muscoli del<strong>la</strong> mia faccia contorcersi, le ossa rompersi fino a riaggregarsi<br />

in una nuova forma <strong>da</strong> punto interrogativo.<br />

“Quando è morto suo nonno?”<br />

“Il <strong>13</strong> ottobre del 2001.”<br />

“Ora capisco, vede?” mi gira di nuovo lo schermo, e io vado ancora al<strong>la</strong> deriva di quei pixel.<br />

“Cioè?” chiedo rassegnato.<br />

“Qui.... non c’è altra spiegazione. Roba <strong>da</strong> pazzi: avranno sbagliato l’atto di morte... infatti... mi<br />

trovo che a Bari il <strong>13</strong> ottobre è morto un Maselli Nico che in realtà non mi risulta mai nato!”<br />

Un respiro, fai un respiro, Fantasma! Un respiro, bravo, così! Un altro, ora il computer farà partire<br />

una schermata animata e ti diranno che sei su Candid Camera.<br />

“Dove sono le telecamere?” chiedo “E’ uno scherzo?”<br />

“Non è uno scherzo purtroppo, abbiamo informatizzato di recente dei <strong>da</strong>ti che tenevamo dispersi nei<br />

vari archivi delle circoscrizioni. Qualcuno, al<strong>la</strong> re<strong>da</strong>zione dell’atto di morte di suo nonno ha<br />

sbagliato a scrivere il nome, o avete sbagliato voi a dettarlo. Fatto sta che lo abbiamo trascritto male<br />

nel computer!”<br />

“Quindi voi fate tranquil<strong>la</strong>mente morire un uomo che non è mai nato... Mentre il fantasma di mio<br />

nonno mi tormenta e non avrà pace finché non lo fate morire anche nel vostro archivio?”<br />

Questa proprio non deve aver<strong>la</strong> capita!<br />

“E poi non vi viene in mente che il nome Nico non esiste? Almeno aveste scritto Nico<strong>la</strong>... Ora cosa<br />

devo fare io?”<br />

“Dovrebbe recarsi al<strong>la</strong> Circoscrizione in cui è stato depositato l’atto di morte, si fa ri<strong>la</strong>sciare<br />

l’originale e me lo porta domani mattina che noi qui tra un po’ chiudiamo. Vedrà, domattina<br />

aggiustiamo tutto!”<br />

“Non si meravigli” interviene il signore di Rutigliano “pensi che quando ci siamo sposati io e mia<br />

moglie, non si trovava il mio certificato di cresima, perché io <strong>la</strong> cresima l’ho fatta a Castel<strong>la</strong>na...”<br />

28


Un tergicristallo, un tergicristallo di mer<strong>da</strong>, un tergicristallo del cazzo mi ha portato fino a questo...<br />

Se mai vi si dovesse rompere un tergicristallo non sottovalutate <strong>la</strong> cosa... vi potrebbe costare molto<br />

caro. Ma ho imparato <strong>la</strong> lezione: proprio domani mattina mi farò instal<strong>la</strong>re tra le chiappe una<br />

spazzo<strong>la</strong> d’emergenza, non si sa mai.<br />

29


<strong>13</strong>.<br />

Sono in bici, nel walkman si rincorrono piano Belle & Sebastian, ed io provo a ricapito<strong>la</strong>re: un<br />

mese fa <strong>la</strong> mia macchina perde una spazzo<strong>la</strong> un giorno di pioggia, per azionare l’altro tergicristallo<br />

sono costretto ad alzare l’asta di ferro di quello che ho perso, altrimenti mi raschierebbe il<br />

parabrezza. Arrivato a casa, <strong>la</strong> macchina spira un secondo prima di parcheggiare. Io accosto e, per<br />

<strong>la</strong> pioggia, non mi curo di rimettere a posto l’asticel<strong>la</strong> alzata. Un mese dopo, un vigile insospettito<br />

<strong>da</strong>l ferro del tergicristallo si avvicina al<strong>la</strong> macchina e nota che non ho cambiato il tagliando<br />

dell’assicurazione. Pare sia un reato <strong>la</strong> mancata esposizione di contrassegno assicurativo su suolo<br />

pubblico. Scatta il sequestro. Io, quando finalmente mi decido a chiamare l’elettrauto, mi accorgo<br />

che <strong>la</strong> mia macchina non c’è più. Scartando l’ipotesi di un <strong>la</strong>dro perverso, scopro che l’auto l’ha<br />

sequestrata <strong>la</strong> Ma<strong>da</strong>ma. Vado a ritirar<strong>la</strong>, ma per riprendere <strong>la</strong> macchina <strong>da</strong>l deposito del<strong>la</strong> Polizia<br />

Municipale in caso di sequestro ci vuole <strong>la</strong> firma del proprietario, o una sua delega. La vettura è<br />

ancora intestata al nonno; al<strong>la</strong> sua morte, mio padre e suo fratello sono diventati proprietari<br />

dell’auto. Ma <strong>la</strong> legge non ammette due padroni di una stessa macchina. Bisogna che uno dei due<br />

figli compri <strong>la</strong> metà auto <strong>da</strong>ll’altro: mio padre ha Esc, mio zio gli vende Ort, e io mi ritrovo una<br />

Escort intera. Il problema è che l’atto di vendita di mezza Escort vale molto più del<strong>la</strong> macchina<br />

stessa. Ormai, però, va fatto! Oltre all’atto notarile, per evadere <strong>la</strong> pratica del ritiro dell’auto, ci<br />

vuole il certificato di morte di mio nonno. Vado a chiederlo al comune, ma negli archivi di Bari mio<br />

nonno non risulta morto. Unica vittima del Millennium Bug occorso agli archivi informatici baresi è<br />

un tale Maselli Nico, che, pur non essendo mai nato, risulta morto al posto di mio nonno.<br />

C’è una morale in tutto questo, c’è qualcosa che può aiutarmi a tappare il vortice di follia<br />

metropolitana che mi sta risucchiando, ed è questo: se le cose stanno come stanno e mio nonno non<br />

è mai morto, non c’è motivo per cui lui stesso non possa, per esempio, firmarmi una delega per<br />

ritirare l’auto <strong>da</strong>l Deposito, facendoci risparmiare <strong>la</strong> spesa del notaio. Con questa idea pazza che mi<br />

frul<strong>la</strong> nel cervello, Fuck the police, rientro nel<strong>la</strong> vil<strong>la</strong>.<br />

30


14.<br />

Seduta sui gradini del<strong>la</strong> porta, ad aspettarmi con il suo sorriso diamantato trovo Heidi. Accarezza un<br />

gatto che non ho mai visto <strong>da</strong> queste parti. Mi avvicino e il gatto scappa come se avesse visto un<br />

Fantasma. La casa raccoglie sfusi di tutti i tipi, è vero, ma a volte è <strong>da</strong>vvero bello quando a trovarti<br />

viene gente come lei, anche <strong>la</strong> pipì esistenziale che gli altri versano nel<strong>la</strong> tua casa può farti del bene.<br />

Si alza e mi tende le mani per abbracciarmi, solleva una busta di carta marroncina ed oleosa, sarà<br />

focaccia:<br />

“Sapevo che sarebbe arrivato qualcuno! Ti va del Cinese, Fantasmino?”<br />

Se non stai a pensare di poter rappresentare qualcosa di definitivo, o quanto meno di importante,<br />

nel<strong>la</strong> <strong>vita</strong> di Heidi, puoi passare con lei qualcuno tra i minuti più preziosi del<strong>la</strong> tua <strong>vita</strong>. Una di<br />

quelle persone pensate per rendere migliore il pianeta terra, per fare felici gli altri, di quelle che<br />

quando sono giù non le vedi perché si nascondono. Non ho mai visto Heidi soffrire, le volte in cui<br />

ho intuito che stava male e lei se n’è accorta mi ha mol<strong>la</strong>to subito: “Non guar<strong>da</strong>rmi dentro,<br />

Fantasma, non farlo!”. Lei vive rega<strong>la</strong>ndo agli altri serate di Musica e Magia, ma cosa <strong>da</strong>vvero<br />

faccia Abraca<strong>da</strong>bra nel suo cuore io non lo so proprio. Ci ho provato, ci abbiamo provato più o<br />

meno tutti e quattro, ognuno a suo modo, ma nessuno ci è an<strong>da</strong>to neanche vicino a tirar fuori un<br />

coniglio <strong>da</strong> quello strano cappello con cui tiene a ba<strong>da</strong> le sue treccine nere. Io sogno troppo, Ulisse<br />

troppo poco, Strillo è troppo scorretto, Non<strong>la</strong>siscttann è troppo corretto. A tutti fa difetto o eccesso<br />

una qualità. Però probabilmente, sommandoci, Heidi pensa che siamo in grado di formare un<br />

amante perfetto. Si diverte <strong>da</strong> morire a <strong>la</strong>sciarsi corteggiare <strong>da</strong> noi, e infatti ogni tanto capita <strong>da</strong><br />

queste parti, ci ritiene probabilmente innocui. Gli altri ne moriranno stasera quando sapranno che ho<br />

pranzato <strong>da</strong> solo con lei. Con le bacchette, poi!<br />

Non so spiegarne il perché ma con <strong>la</strong> maggior parte delle persone, specie se donne, non sono a mio<br />

agio quando siamo a quattrocchi. Forse mi aspetto troppo <strong>da</strong>lle persone, o forse credo che loro si<br />

aspettino troppo <strong>da</strong> me... Non riesco ad avere rapporti banali con gli altri, ma mi spaventano quelli<br />

troppo intimi. Ho paura di incontrare persone speciali, e non perdo tempo con quelle che non mi<br />

interessano. Non c’è via di scampo, sono un solitario e mi tocca tenermi stretti questi tre spatriati.<br />

Heidi fa eccezione, riesco ad essere precisamente me con lei. Il mio lenzuolo diventa un po’ più<br />

rigido <strong>da</strong>vanti a lei, acquista una corporeità simile all’esistenza, adoro le sue domande bizzarre, le<br />

sue riflessioni, <strong>la</strong> sua golosità, le sue letture, il suo bril<strong>la</strong>ntino nell’incisivo, il piercing dell’ombelico<br />

e quello del<strong>la</strong> lingua, i tatuaggi che non ha perché detesta le cose definitive, i cd che sceglie <strong>da</strong>l<strong>la</strong><br />

nostra pi<strong>la</strong> quando mette <strong>la</strong> musica e che sono quasi sempre i miei... stare con lei mette allegria,<br />

assomiglia parecchio a passeggiare sul<strong>la</strong> luna, paro<strong>la</strong> di uno degli astronauti dell’Apollo <strong>13</strong>.<br />

“Fantasma, come mi vedi tra cinque anni?” mi doman<strong>da</strong> mentre le sue bacchette supersoniche<br />

pizzicano pezzi di pollo e bambù.<br />

“Tu? Tra cinque anni? Lasciami pensare... Direi, al fianco di un avvocato, che porti i bambini al<br />

nido, poi di corsa al Circolo Tennis, dove ti trattieni a giocare a Burraco, casa a Barialto, <strong>la</strong><br />

domenica porterai le mazze <strong>da</strong> golf di tuo marito in giro per le 18 buche... sesso poco e triste, lui<br />

sarà il genere d’uomo che non <strong>la</strong>scerà che tu lo baci proprio lì, perché sei sua moglie e quelle cose<br />

<strong>la</strong> sua donna non deve neanche pensarle!” mando giù un boccone e mi fingo mortificato “mi<br />

dispiace, è così che ti vedo!”<br />

“Poco male. Tanto io i pompini non li faccio!”<br />

Smetto di mangiare. Lo spaghetto di soia mi rimane appeso al pizzetto. Non ci credo, questa è<br />

fantastica, dovrei telefonare subito a Strillo. Finalmente l’abbiamo trovata. Ce l’aveva sotto gli<br />

occhi e non se n’è mai accorto. Questa cosa mi scuce un sorriso.<br />

“Naturalmente scherzavo” dico io.<br />

“Naturalmente scherzavo anch’io!” aggiunge lei.<br />

Scoppiamo a ridere.<br />

Falso al<strong>la</strong>rme, mi sa che Strillo mi dovrebbe proprio insegnare qualcosa sulle donne.<br />

31


“Come ti vedi tu, invece?”<br />

“L’ultima volta che mi hanno fatto questa doman<strong>da</strong> è stato al colloquio in uno studio internazionale<br />

di Land Design...”<br />

“No, scemo! E’ per conoscerti meglio, mi piace ascoltarti!”<br />

“Ma credi <strong>da</strong>vvero che questo sia un modo di conoscere una persona? Queste domande senza<br />

senso...”<br />

“Rispondi, <strong>da</strong>i” butta giù un sorso di vino rosso e con un tovagliolo si asciuga le <strong>la</strong>bbra. Il disegno<br />

del suo bacio rimane sul<strong>la</strong> carta, ma come fa una donna a rendere sensuale anche un tovagliolino?<br />

“Spero di riuscire a compiere diciassette anni, prima o poi. Spero di trovare il coraggio di prendere<br />

il telefono e fare una chiamata... Spero di progettare qualcosa di cui non debba vergognarmi...”<br />

“Non voglio speranze, voglio previsioni, progetti! Dove sarai?”<br />

“Vivrò qui... non con loro... se non con Lei, almeno con te, smetterò di fumare... poi, non lo so. Non<br />

riesco ad immaginare nul<strong>la</strong> che mi dà orrore se è questo che ti interessa...”<br />

Preparo <strong>la</strong> caffettiera, le racconto dell’auto, le racconto di Ulisse.<br />

“Che cazzo di amici siete? Ve ne accorgerete solo quando lo sbatteranno dentro, quando <strong>la</strong> finanza<br />

vi entrerà in casa... arance per tutti!”<br />

Prendiamo il caffè, propongo Cicileo ma lei non ne ha voglia, mi consiglia nuovi pezzi, Sophia,<br />

“People are like seasons, un album straordinario”. The Radio Dept, “Ascolta The City Limit,<br />

un’atmosfera impressionante”. Bu<strong>da</strong>pest, “Ma non conosci neanche questi, ma sei una bestia? Tieni<br />

ti <strong>la</strong>scio questo in prestito, Death Cab for Cutie, The Photo Album, non riesco a smettere di<br />

ascoltarlo! Aiutami, fallo sparire!” e mi sorride.<br />

Io le parlo de Los P<strong>la</strong>netas, l’ultima canzone <strong>da</strong> trentadue minuti, ma ormai non sta neanche più a<br />

sentirmi su questo argomento, le presto dei fumetti, poi si mette <strong>la</strong> giacca, è <strong>da</strong>vvero un peccato che<br />

debba coprire il suo seno così generoso, adesso dove lo poggio il mio sguardo? Vorrei dirle di non<br />

an<strong>da</strong>rsene, glielo sussurro con gli occhi, glielo sussurro accarezzandole il collo.<br />

Ho delle belle mani e sulle sue guance stanno ancora meglio. Lei mi accarezza le dita, poi mi<br />

prende le mani. Da vicino i suoi occhi sono simili a due pianeti, grandi che puoi passarci una <strong>vita</strong> ad<br />

esplorarli.<br />

“Metti Serenade ti prego!”<br />

“Arab Strap? Ce l’ho di là.”<br />

Mi sorride. Volo nell’altra stanza. Sono ancora infi<strong>la</strong>to nel mio mobile di Cd quando sento <strong>la</strong> porta<br />

d’ingresso chiudersi. Forse è tornato Ulisse, penso, perché io sono un sognatore, e come tale,<br />

schifosamente ottimista. Un secondo dopo realizzo. E non mi stupisce non trovar<strong>la</strong> più nel salone<br />

quando ritorno <strong>da</strong> lei.<br />

Nell’aria solo le radiazioni del<strong>la</strong> sua femminilità che si attenuano.<br />

Mi metto sul divano a fiori ad ascoltare <strong>la</strong> mia serenata per lei. Prendo il fazzolettino sul tavolo,<br />

accanto al disegno delle <strong>la</strong>bbra, c’è una dedica:<br />

“Al<strong>la</strong> mia età credo ancora ai Fantasmi... eppure sono contenta che Esisti!”<br />

Sorrido.<br />

Ma oggi non si fuma in questa casa?<br />

32


15.<br />

Eppure qualche volta lo sento, come adesso su questo divano con un tovagliolino sporco di vino tra<br />

le dita. Lo sento che siamo qui per qualcosa di più che bearci. Non ho mai chiesto perché, non ho<br />

mai chiesto verso dove... Mi sarebbe sufficiente sapere come, mi piacerebbe trovare un foglietto<br />

illustrativo contenente le cazzo di istruzioni su come devo abitare <strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>.<br />

Heidi mi dà spesso idea che le persone possano migliorare. Mi dà idea di poter diventare come lei.<br />

Se c’è qualcuno incaricato di dipingere gli arcobaleni nel cielo, quello è un <strong>la</strong>voro per lei. Solo le<br />

sue gambe che ho visto bal<strong>la</strong>re il tango saprebbero fare un compasso così grande <strong>da</strong> metterci dentro<br />

tutto il cielo.<br />

Però mi <strong>la</strong>scia una strana sensazione passare il tempo con lei. La sensazione esatta è quel<strong>la</strong> di essere<br />

un marmocchio in un vil<strong>la</strong>ggio del West, aggrappato ai legni sbilenchi di una staccionata, le mani<br />

sporche, grandi vestiti, e di guar<strong>da</strong>re un pistolero stiloso, con tanto di fou<strong>la</strong>rd, di stivali speronati e<br />

di tonde chiappe jeans, mentre spara ai barattoli lontani del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>. Bang! Bang! I barattoli vo<strong>la</strong>no<br />

per aria, roto<strong>la</strong>no nel cielo. Bang! Bang! Li colpisce ancora mentre volteggiano in aria... nel<br />

frattempo io guardo il fumo delle sue pistole che hanno appena sparato e mi chiedo se riuscirò mai a<br />

far saltare per aria <strong>la</strong> mia esistenza di <strong>la</strong>tta.<br />

Con un tale complesso di inferiorità, mi chiedo cosa mai dovrebbe trovarci Heidi e <strong>la</strong> gente come lei<br />

in un ragazzino che ama perdere tempo a stupirsi ai bordi di una main street. Cosa potrei offrirle?<br />

Non sono proprio <strong>da</strong> buttar via: le offrirei qualche minuto di godimento, una secchiata di occhi<br />

marroni, le mie ormai storiche lettere d’amore, <strong>la</strong> canzone giusta “Did I say”, Teenage Fanclub, il<br />

mio leggen<strong>da</strong>rio dolce al ciocco<strong>la</strong>to <strong>da</strong>l<strong>la</strong> lie<strong>vita</strong>zione esponenziale in grado di combattere qualsiasi<br />

depressione, e poco altro che ora mi sfugge. Eppure dopo tutto questo, sono certo che resterei con le<br />

cuffie alle orecchie e una fettona di Sbobba al cacao tra le mani, fermo sul divano a guar<strong>da</strong>r<strong>la</strong> an<strong>da</strong>r<br />

via il giorno stesso. Se c’è qualcosa di misterioso più del<strong>la</strong> formu<strong>la</strong> chimica che tiene assieme due<br />

persone e <strong>la</strong> loro pelle, è il perché quasi sempre <strong>la</strong> chimica il giorno dopo svanisca... senza motivo<br />

apparente, senza appello, e ti va bene se non rimane puzza di zolfo nell’aria.<br />

Allora cos’è questo qualcosa di più che Heidi mi ha appena <strong>la</strong>sciato in duecentoventicinque<br />

centimetri quadri di cellulosa? Qual è <strong>la</strong> direzione?<br />

Non<strong>la</strong>siscttann continua a ripetere che abbiamo solo bisogno di un’idea, che non vuole più capi su<br />

di lui, che con una trovata geniale ci si mette in proprio e che con un finanziamento il gioco è fatto,<br />

“basta avere l’idea giusta, e glielo mettiamo in culo!”<br />

“A chi?” ho chiesto io, diffidente perché pregiudizialmente contrario al sesso anale.<br />

“No, in generale! Metterlo in culo a tutti è lo scopo!”<br />

Metterlo in culo a tutti? Ma <strong>la</strong> <strong>vita</strong> serve <strong>da</strong>vvero a trovare un ano metafisico <strong>da</strong> penetrare?<br />

Possiamo dividere il mondo in quelli che sono amici e quelli che non lo sono e puntare il mirino<br />

delle nostre brevi vite giusto al centro delle chiappe dei nostri nemici? Non sono d’accordo.<br />

La cosa straordinaria con i miei amici è che quando proviamo a ragionare seriamente sulle cose,<br />

quasi mai arriviamo al<strong>la</strong> stessa conclusione. E se pure a volte capita di giungere a uguale<br />

destinazione, ci arriviamo partendo <strong>da</strong> stazioni lontanissime tra loro.<br />

Guardo il tovagliolo, lo accartoccio fino a farne un fantasma, gli strappo due piccoli buchi per farne<br />

degli occhi e infilo indice e medio per muoverlo come una marionetta. Giusto al centro del suo<br />

lenzuolino è capitata una paro<strong>la</strong> scritta <strong>da</strong> Heidi: Esisti. Scritto con <strong>la</strong> lettera maiusco<strong>la</strong>. Forse è<br />

questo che mi ha <strong>la</strong>sciato <strong>la</strong> sua visita, un certificato di esistenza, un invito a non sprecar<strong>la</strong>. Allora il<br />

fantasmino prende a muoversi e mi inizia a martel<strong>la</strong>re di domande: mi chiede se ho deciso cosa farò<br />

<strong>da</strong> grande, se disinstallerò infine l’autocad <strong>da</strong>i miei computer, dove vorrei essere adesso e con chi,<br />

se, come ad Ulisse, anche a me tutto questo va<strong>da</strong> stretto e finirò ad infarinarmi il naso come lui... mi<br />

chiede mille cose questo fantasma impertinente, ma snoccio<strong>la</strong>ndo tutto il resto riesco a <strong>la</strong>sciare in<br />

piedi l’unica doman<strong>da</strong> che conta: Fantasma, che hai passato una <strong>vita</strong> intera a divertirti, cosa<br />

succederebbe se, all’improvviso, smettessi di giocare?<br />

33


Suona il campanello. Non c’era motivo per cui dovessi rispondere proprio adesso ad una doman<strong>da</strong> a<br />

cui sfuggo <strong>da</strong> anni.<br />

Opzione A: è Ulisse che finalmente ritorna <strong>da</strong>l<strong>la</strong> sua commissione pericolosa. Le punte aguzze di un<br />

maledettissimo sasso smetterebbero di infi<strong>la</strong>rsi nel mio stomaco ogni volta che mando giù <strong>la</strong> saliva.<br />

Opzione B: è Heidi, ci ha ripensato! Ha pensato che una fetta di dolce al ciocco<strong>la</strong>to è proprio ciò<br />

che le chiede <strong>la</strong> sua <strong>vita</strong> adesso. Qualcuno ha <strong>da</strong>to una pisto<strong>la</strong> al ragazzino sul<strong>la</strong> staccionata che può<br />

provare a colpire quei barattoli vuoti.<br />

Opzione C: è Chantal, tornata <strong>da</strong> scuo<strong>la</strong>, che passa a restituirmi <strong>la</strong> cassetta e ne approfitta per<br />

palleggiare un altro paio di volte le sue curve giusto sotto i miei occhi. Mi dispiace, ma non è un<br />

buon momento, Culetto d’oro!<br />

Opzione D: non rispondo e resto qui a sognare di crescere.<br />

34


16.<br />

“Entra Opzione E!”<br />

“Eh?” mi chiede.<br />

“Cicileo?” domando scuotendone uno sotto il suo naso.<br />

“Non ne ho voglia. Chi c’è?”<br />

“Nessuno, sono solo come...”<br />

La mia metafora si spegne tra le sue <strong>la</strong>bbra, che mi assaggiano con <strong>la</strong> delizia che si riserva al primo<br />

boccone di un banchetto. Prende ad accarezzarmi che <strong>la</strong> porta è ancora aperta. Allungo il mio<br />

braccio perché non mi ve<strong>da</strong>no <strong>da</strong>l<strong>la</strong> stra<strong>da</strong> e avvicino l’uscio, ma già ho perso il conto di quante<br />

siano le sue mani che cercano sotto <strong>la</strong> mia maglietta. Prende a baciarmi <strong>da</strong>vvero dopo lo s<strong>la</strong>m. Mi<br />

sento d’improvviso in <strong>la</strong>vatrice o tra le bolle che salgono silenziose in un acquario. In apnea<br />

indietreggio come un gambero, lei porta le mie mani su di sé, tiene ferme le mie dita che barcol<strong>la</strong>no<br />

sui suoi bottoni. In breve seminiamo vestiti <strong>da</strong>ll’ingresso al<strong>la</strong> mia stanza, quasi ci servissero dopo,<br />

come traccia per ritornare al<strong>la</strong> <strong>vita</strong> <strong>vera</strong>. Ho sbattuto il sedere due tre volte an<strong>da</strong>ndo indietro, ogni<br />

volta con più rumore, lei ha anche sorriso, mai smettendo di baciarmi, mi ha morso il <strong>la</strong>bbro di sotto<br />

ed io ho quasi gri<strong>da</strong>to. Ho provato a morder<strong>la</strong> anch’io. Mi ha poggiato un dito sul<strong>la</strong> bocca. Mi ha<br />

tolto <strong>la</strong> voce pennel<strong>la</strong>ndo avanti e dietro una cerniera muta sulle mie <strong>la</strong>bbra. Finalmente siamo nel<strong>la</strong><br />

mia stanza. Non ricordo in che momento è riuscita anche a sfi<strong>la</strong>rmi il mio pantaloncino. Mi è<br />

addosso, sirena svelta, e con un’altra spinta sono sul letto. Non ho neanche il tempo di capire cosa<br />

mi si sia conficcato nel<strong>la</strong> schiena, se una penna o una freccetta, che già abbiamo preso a respirare<br />

insieme sotto un velo di cotone che ci preserva <strong>da</strong>l mondo. Lei si solleva, puntel<strong>la</strong>ndo le sue mani<br />

sul mio petto scarno. Giaccio sotto di lei. Provo a guar<strong>da</strong>r<strong>la</strong> ed è come fissassi <strong>da</strong>l basso <strong>la</strong> facciata<br />

di una cattedrale p<strong>la</strong>teresca. Tendo una mano che non arriva mai verso il suo seno, scuro ed egizio.<br />

Ha gonfi gli occhi, neri e grandi. Li conosco quegli occhi: prendono sempre quello che vogliono.<br />

Hanno lo stesso colore di universo che si vede <strong>da</strong>gli oblò dell’Apollo <strong>13</strong>.<br />

Sento un piccolo dolore, di bruciatura, come stessimo fondendo assieme i nostri metalli.<br />

Lei sta girando. Ruota esattamente intorno a me. Gira e non smette, come un pattino sul ghiaccio,<br />

come i derwishi rotanti. Di tanta energia cinetica non <strong>la</strong>scia che un goccio solo si trasformi in<br />

disordine, azzera l’entropia e mi riscal<strong>da</strong> l’anima.<br />

Prende fiamma il mio lenzuolino.<br />

Poi lei si trasforma, evapora, <strong>la</strong> sua temperatura inizia a liquefarsi, è <strong>la</strong> sua anima stessa che diventa<br />

rugia<strong>da</strong> su di me. Smetto di pensare, proiettato nel centro di mille binari intrecciati su cui corrono<br />

treni bianchi al mio <strong>la</strong>to. Un aereo panciuto tira fuori il carrello, si avvicina rombando, grosse ruote<br />

puntano me, tonnel<strong>la</strong>te di gomma e rumore: lei asfalta <strong>la</strong> mia corteccia, sento il dolore del<strong>la</strong><br />

concrezione, una fi<strong>la</strong> di aghi che mi punge il cranio. Vorrei ur<strong>la</strong>re ma sto zitto, senza respirare<br />

seguo <strong>la</strong> manovra dell’aereo che atterra esattamente lungo il centro del mio cervello.<br />

Strano è il rumore di un’anima che esplode.<br />

Chiudo gli occhi, tra le <strong>la</strong>bbra il sapore di un sorriso e il biglietto di ritorno <strong>da</strong> un posto sconosciuto.<br />

Non c’era musica, però. Non c’era musica quando siamo ritornati, non c’era musica, nessun suono.<br />

Nessun suono han fatto le sue unghie smaltate sgommando scure sul<strong>la</strong> mia pelle, nessun suono<br />

hanno fatto i miei occhi riaprendosi. Stavano zitte le sue mutandine piccolissime due metri più in là,<br />

non par<strong>la</strong>vano neanche per sapere che fine avesse fatto il reggiseno che era con loro. Nemmeno lui,<br />

poverino, poteva par<strong>la</strong>re, imbrigliato come stava nei miei piedi. Non ho ascoltato nessuna canzone<br />

quando si è voltata scendendo <strong>da</strong>l letto e ho visto il suo culo nudo, un taglio in un tondo, starsene<br />

zitto zitto, dispiaciuto per non essere stato afferrato. Muto il mio sesso, ritirato come una chioccio<strong>la</strong>,<br />

in un piccolo bacino appiccicoso. Ci siamo sciacquati, rivestiti recuperando <strong>la</strong> roba come Pollicino<br />

nel bosco, e abbiamo preso un caffè muto.<br />

35


Le ho chiesto perché l’avesse fatto se eravamo d’accordo di non vederci più. Non le sembrava che<br />

io non volessi, anzi!, mi ha risposto. Post coitum animal triste, le ho detto. Lei mi ha detto solo, io<br />

no, e non c’era proprio più nul<strong>la</strong> <strong>da</strong> dire.<br />

Quando le ho chiesto scusa, che non volevo offender<strong>la</strong>, e un altro s<strong>la</strong>m se l’è portata via, ho pensato<br />

semplicemente che una sega fatta bene mi avrebbe <strong>la</strong>sciato con meno sensi di colpa.<br />

Mi sono seduto al tavolo, ho preso qualsiasi cosa ci fosse, dei cd, delle carte, un cavatappi, un<br />

bicchiere e due tazzine e ho cercato di mettere in equilibrio il maggior numero di oggetti<br />

poggiandoli uno sopra l’altro in improbabili architetture, è una cosa che faccio sempre. Presto è<br />

crol<strong>la</strong>to tutto, e il cavatappi sul legno ha iniziato a fare un rumore bellissimo. Adoro il rumore<br />

incalzante delle cose che smettono di oscil<strong>la</strong>re...<br />

La mia <strong>vita</strong> sta diventando come quelle scene che sono un c<strong>la</strong>ssico dei film strappa<strong>la</strong>crime, quelle<br />

scene in cui <strong>la</strong> telecamera riprende due ascensori e lui, che sta cercando lei, esce <strong>da</strong> quello di<br />

sinistra esattamente un attimo dopo che si siano chiuse le porte di quello di destra nel quale è<br />

appena entrata lei. Un pianerottolo che soffre il jat <strong>la</strong>g, incapace di sincronizzare i miei incontri con<br />

le persone che mi sono attorno: è questo ciò che sono diventato.<br />

Accendo una cande<strong>la</strong> al<strong>la</strong> vaniglia, regalo di Lei, e preparo <strong>la</strong> delega del nonno per ritirare <strong>la</strong><br />

macchina. Certo, mio nonno l’avrebbe scritta con <strong>la</strong> sua Olivetti che tanti e tanti man<strong>da</strong>ti di<br />

amministratore condominiale aveva già assolto, ma una manciata di righe in Word non creeranno<br />

sospetti a nessuno. L’importante è non trovare al comando Sopracciglio Elettrico né Mr NYPD.<br />

Mando in stampa e proprio mentre ascolto il rumore delle testine ho sul<strong>la</strong> pelle <strong>la</strong> grigia sensazione<br />

di non provare Amore.<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 6)<br />

“Ho perso, non sono io... ma <strong>la</strong> tua donna ideale... esiste, almeno, <strong>da</strong> qualche parte? Nei tuoi<br />

ricordi, nelle tue speranze? Ti accontenti di giocare, con le tue macchinine, con il tuo cuore, con<br />

me, con <strong>la</strong> tua <strong>vita</strong>, con i tuoi amici? Ti basta questo, giocare, giocare, giocare, eiacu<strong>la</strong>re il tuo<br />

cervello in qualsiasi forma di gioco?”<br />

“La mia donna ideale è quel<strong>la</strong> che un giorno si alza e mette nello stereo Que no sea Kang, por<br />

favor senza che io gliel’abbia chiesto...”<br />

“******, mavvaffanculo!”<br />

36


17.<br />

Ho deciso di prendere l’autobus, non avevo voglia di pe<strong>da</strong><strong>la</strong>re. Sul<strong>la</strong> vettura, ho assistito a questa<br />

scena. Ragazzino con accento di paese, rivolgendosi ad una ragazza sul<strong>la</strong> trentina, neanche troppo<br />

carina: “Mi scusi signorina, questo autobus passa <strong>da</strong> Giurisprudenza?”<br />

La ragazza incerta prova a fare mente locale. Si inserisce nel<strong>la</strong> conversazione tipico personaggio<br />

anziano <strong>da</strong> autobus barese. Sembra che su ogni linea ci sia uno di questi estroversi signori che<br />

amano rendersi utili agganciando i loro maturi pareri a qualsiasi argomento di conversazione salga<br />

sul<strong>la</strong> carrozza.<br />

“Do’ jè che <strong>da</strong> scì, uagliò?” qual è dunque <strong>la</strong> tua destinazione, aitante giovinotto...<br />

“Giurisprudenza...” dice lui.<br />

“Grsprdenz? E c’ cos jè?” cocktail di consonanti che sta a significare che il signore avendo <strong>da</strong><br />

sempre preferito in <strong>vita</strong> sua gli studi scientifici non ha ben chiaro il concetto di Giurisprudenza.<br />

“L’Ateneo...” ribadisce lui timido.<br />

“L’Atenej?” doman<strong>da</strong> il signore con gli occhi sgranati. Nel<strong>la</strong> sintassi dialettale barese molto spesso<br />

qualsiasi vocale al<strong>la</strong> fine di una paro<strong>la</strong> gradisce essere sostituita <strong>da</strong> una J polivalente...<br />

“L’Università...”<br />

“Ahhh! L’Unversitaj... e u ptiv disc subt!” Se <strong>la</strong> tua destinazione era l’Università degli Studi di Bari<br />

non avevi che <strong>da</strong> chiederlo!<br />

Il signore contento di aver capito dove il ragazzo deve scendere lo guar<strong>da</strong> sorridendo, piuttosto<br />

soddisfatto; quindi inizia a muovere su e giù <strong>la</strong> testa e mostra il suo tetris di denti sopravvissuti<br />

all’età. Il partico<strong>la</strong>re trascurabile è che il signore dimentica di rispondere al ragazzo il quale ancora<br />

in attesa di una risposta lo vede annuire con il capo senza dir nul<strong>la</strong>. Probabilmente l’unica cosa che<br />

è chiara al<strong>la</strong> matrico<strong>la</strong> di legge è che <strong>da</strong> domani non usufruirà più del<strong>la</strong> linea Amtab. La signorina, a<br />

quel punto, interviene avvisando il giovane che quell’autobus è diretto a Japigia e non passa <strong>da</strong>l<br />

centro. Il giovane scende al<strong>la</strong> fermata dopo, il vecchietto gli dà una pacca sul<strong>la</strong> spal<strong>la</strong> e continua a<br />

ridere stringendosi nelle spalle fiero di sé. Io rimango in piedi aggrappato al<strong>la</strong> manigliona<br />

dell’autobus, <strong>la</strong> signorina mi guar<strong>da</strong> e sorride cortesemente <strong>da</strong>vanti al mio sguardo di complicità.<br />

Forse si sente osservata, perché si alza il collo lungo del maglione, ma lo fa troppo piano perché io<br />

non mi accorga del livido che qualche bacio carnivoro le ha <strong>la</strong>sciato sul collo. Guardo altrove,<br />

pensando a quanta <strong>vita</strong> c’è dentro un solo autobus. Quanto mondo <strong>da</strong> conoscere sia fuori di noi,<br />

quanto basti essere curiosi a volte per scoprire le piccole sorprese del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>.<br />

Monto <strong>la</strong> mia faccia di culo, e scendo al Comando dei Vigili Urbani.<br />

Mezz’ora dopo sono fuori <strong>da</strong>l Comando, con il verbale per ritirare l’auto tra le mani. Tutto è fi<strong>la</strong>to<br />

liscio. Il nonno poverino non se l’era sentita di uscire con quel tempaccio. Delegava per il ritiro<br />

dell’auto il nipote ****, cioè io. Quando in qualche ufficio di re<strong>la</strong>zioni con il pubblico trovi un<br />

impiegato grassoccio hai sempre maggiori possibilità di essere trattato bene che se ti attendesse un<br />

impiegato magro. I magri sono un po’ fetosi, lo ammetto... Invece questo signore mi ha guar<strong>da</strong>to<br />

con ammirazione perché mi occupavo del problema al posto del nonno, un nonnino svampito che<br />

aveva dimenticato di sostituire il tagliando dell’assicurazione. Il vigile mi ha sorriso e mi ha detto<br />

che questo tempo è una... sì ha detto: una mannaia, “questo tempo è una mannaia per gli anziani!”...<br />

certo che sono strani ‘sti vigili. Non ho appurato cosa intendesse dire con quel<strong>la</strong> frase, volevo<br />

svignarme<strong>la</strong> al più presto, anche perché non è che sia un gran bluffatore, io. L’unica volta che<br />

abbiamo giocato a poker con gli altri tre, sparai un ri<strong>la</strong>ncio di ventimi<strong>la</strong> lire con in mano due jack.<br />

Vennero tutti a vedere il mio punto perché per l’agitazione mi ero messo a ciccare <strong>la</strong> sigaretta<br />

direttamente sul pavimento pur avendo eserciti di posacenere sul panno verde. Comunque ormai è<br />

fatta: se un giorno i vigili dovessero fare un controllo, non risulterebbe nessuna anomalia, ma tutto<br />

sarebbe a posto grazie al nobile sacrificio di Maselli Nico, morto in luogo del mio arzillo nonnino.<br />

Metta pure il suo pisello in carica nel<strong>la</strong> 220 adesso, Sopracciglio Elettrico!<br />

37


Come quando venni riformato al<strong>la</strong> visita militare dopo giornate interminabili di sissignore, appena<br />

fuori <strong>da</strong>l Comando rivolgo un “vaffanculo con diapositiva ad ombrello” alle Istituzioni. La mia<br />

Anarchia spara a salve, ma serve a sfogarmi!<br />

Un altro autobus mi riporterà a casa.<br />

38


18.<br />

La chiave gira nel<strong>la</strong> toppa, due man<strong>da</strong>te come sempre, ma non ho potuto non notare delle gocce di<br />

sangue sugli scalini <strong>da</strong>vanti al<strong>la</strong> porta. Ho strofinato il piede, il sangue è fresco, goccioline nere e<br />

dense che sotto <strong>la</strong> suo<strong>la</strong> si di<strong>la</strong>tano appena. Lo sconforto mi tende le sue braccia, ma prima di<br />

<strong>la</strong>sciarmi avvolgere entro in casa per capirne di più.<br />

“C’è nessuno?”, <strong>la</strong> mia voce risuona come uno spettro in un cimitero. Non sono molte le gocce di<br />

sangue, ma portano dritte verso il bagno. Nel cesso, l’oblò del<strong>la</strong> <strong>la</strong>vatrice aperto mi indica <strong>la</strong> pista<br />

<strong>da</strong> seguire: i vestiti di Ulisse stanno talmente aggrovigliati che mi basta tirare un calzino perché<br />

vengano fuori tutti assieme. La sua camicia è ridotta <strong>da</strong>vvero male, c’è sangue <strong>da</strong>ppertutto ed un<br />

taglio. La apro e provo a mettere a frutto le decine di puntate di C.S.I. che mi sono sparato e come il<br />

buon vecchio Grissom cerco di studiare <strong>la</strong> scena del crimine: <strong>la</strong> camicia è strappata sul fianco,<br />

sembra il taglio di un coltello, ma proprio lì non c’è sangue. Il sangue è soprattutto <strong>da</strong>vanti, al<br />

centro. Probabilmente è co<strong>la</strong>to sul petto cadendo <strong>da</strong>l naso. Immagino Ulisse con il naso gonfio. Sarà<br />

corso in ospe<strong>da</strong>le? I pantaloni sono sporchi di terreno, come <strong>la</strong> camicia sul retro, l’hanno buttato a<br />

terra e pestato. Mi infastidisce l’idea del mio amico picchiato mentre io ero a letto a farmi una<br />

scopata muta. Provo a chiamarlo subito sul cellu<strong>la</strong>re, ma come stamattina suona ancora nel<strong>la</strong> sua<br />

stanza. Vado in cucina, Ulisse non si è certo premurato di non <strong>la</strong>sciar traccia del suo passaggio, il<br />

contenitore del ghiaccio abbandonato nel<strong>la</strong> vaschetta dei piatti, cubetti sparsi per terra che già sono<br />

quasi sciolti, strofinacci sul tavolo sporchi di sangue, una bottiglia di birra che mi guar<strong>da</strong> mezza<br />

piena: <strong>la</strong> metà vuota deve aver<strong>la</strong> appena bevuta lui.<br />

Cosa deve fare un amico in queste situazioni? Chiamare <strong>la</strong> famiglia per sapere se lui si è fatto vivo,<br />

con il solo esito di fare preoccupare altre persone? Chiamare gli ospe<strong>da</strong>li per sapere se hanno<br />

appena visto nel Pronto Soccorso un deficiente con il naso ridotto male? Chiamare <strong>la</strong> Polizia per<br />

sapere se hanno arrestato un Pesce Piccolo, e gui<strong>da</strong>rli dritti dritti nel<strong>la</strong> rete fino al<strong>la</strong> casa del nonno?<br />

Non ne ho idea. Le decisioni importanti del<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> le ho sempre prese non prendendole,<br />

<strong>la</strong>sciando che gli eventi decidessero per me. Resto fermo ad aspettare anche stavolta, se non altro<br />

Ulisse dovrebbe essere vivo, e in questa giornata di folli, già arrivare al<strong>la</strong> fine per raccontar<strong>la</strong> mi<br />

sembrerebbe un ottimo traguardo. Mi sposto in camera sua per continuare a giocare al Piccolo<br />

Detective.<br />

Il coltello è sul tavolo, già sto meglio. Lo faccio scattare, non c’è sangue. Cerco un messaggio di<br />

Ulisse, qualcosa che mi aiuti a trovarlo. La bustina di polvere bianca non è più lì dove io e Strillo<br />

l’avevamo <strong>la</strong>sciata, è stata riaperta ed è ancora sullo scrittoio, con lo specchietto e <strong>la</strong> cannuccia di<br />

una Bic.<br />

Io quel<strong>la</strong> roba non l’ho mai messa su per il naso, penso di essere l’unico di loro. Non so perché, se<br />

per paura di star male, per paura di star bene, se per distinguermi <strong>da</strong>l<strong>la</strong> maggior parte dei miei<br />

anfetaminici coetanei, più semplicemente perché non mi ci sono mai trovato. Loro ne par<strong>la</strong>no con<br />

rispetto, come di qualcosa di bellissimo e pericoloso. Non c’è paragone con niente altro, dicono,<br />

non dà dipendenza, non dà effetti col<strong>la</strong>terali, ti carica a tremi<strong>la</strong>, come attaccare una pa<strong>la</strong> eolica ad<br />

una macchinina telecoman<strong>da</strong>ta a cui già basti un volt e mezzo per fare piroette, in un giorno di<br />

vento forte. “Allora” ho chiesto io “perché non ve <strong>la</strong> mettete sempre, piuttosto che star qui a<br />

inebetirci ogni mattina?”. “Costa troppo!” mi hanno detto in tre.<br />

Mi rallegra sapere che vivo in una casa di “non-tossici-non-per-scelta-ma-solo-per-problemieconomici”.<br />

Magari dovrò fare a meno di sentirmi come il Dio Dorato di Almost Famous, ma mi conso<strong>la</strong> sapere<br />

anche che non finirò mai come Edward Norton nel<strong>la</strong> Venticinquesima Ora.<br />

Come sempre, resto al centro. Io non l’ho mai provata <strong>la</strong> sensazione di avvicinarmi ai punti estremi<br />

del mio segmento esistenziale. Sono un ottimo osservatore, ho una memoria spaziosa ed ordinata,<br />

sono uno di quei poveri maschi a cui le femmine confi<strong>da</strong>no le loro pene d’amore per altri maschi<br />

molto più bastardi di me e quindi molto più desiderabili, sono uno di quei ragazzi che ogni madre<br />

39


ha sempre desiderato per le loro figlie, probabilmente ritenendomi inoffensivo. Insomma, sono<br />

esattamente quello che mi fa orrore: ho il karma del<strong>la</strong> persona garbata.<br />

Me ne accorsi a quindici anni.<br />

Avevo un’amica al liceo, si chiamava Serena. Nel suo cuore c’era spazio solo per me, diceva; non<br />

par<strong>la</strong>va mai di quanto ben più spaziose fossero invece le sue cosce, al punto <strong>da</strong> rico<strong>vera</strong>re tra loro<br />

un numero imprecisato di giovanotti. Un giorno, si fece succhiare l’anima intera <strong>da</strong> uno di questi<br />

vampiri che le <strong>la</strong>sciò uno scudetto lil<strong>la</strong> giusto sul collo. Quando suo padre, mentre studiavamo a<br />

casa sua, <strong>la</strong> rimproverò e le domandò chi le avesse fatto quel livido, lei rispose “Fantasma”, beh, a<br />

quell’epoca non mi chiamavo ancora così... indicando me che rimasi a guar<strong>da</strong>re divertito e<br />

qualcosina confuso.<br />

Il padre sorrise dicendo che io non sarei mai stato in grado di fare una cosa del genere, e si chiuse<br />

nello studio beandosi del<strong>la</strong> mia scarsa mascolinità piuttosto che preoccupandosi per avere una figlia<br />

zocco<strong>la</strong>.<br />

Che poi Serena zocco<strong>la</strong> non lo era affatto! Semplicemente le piaceva fare l’amore, le piaceva <strong>da</strong><br />

morire: non potevo capir<strong>la</strong> all’epoca, visto che io avrei messo piede su quel pianeta dove lei<br />

passeggiava seminu<strong>da</strong> e sorridente solo qualche anno dopo. Quello che capivo ancor meno, però,<br />

era perché invece con me lei volesse vivere quei momenti lentamente, un passo al<strong>la</strong> volta. Perché<br />

mi amava, diceva... mi vengono ancora i brividi di freddo pensando che anch’io glielo dicevo<br />

sperando di convincer<strong>la</strong> a violentarmi... Invece ogni giorno le cose peggioravano: ogni volta che le<br />

riservavo qualche attenzione o le dicevo una cosa carina, o, peggio, glie<strong>la</strong> scrivevo, non facevo che<br />

zavorrare le mie chance di an<strong>da</strong>rci a letto e di<strong>la</strong>tavo in lei il magico momento dell’innamoramento.<br />

Abitava fuori città, ad una decina di chilometri <strong>da</strong> Bari e mi in<strong>vita</strong>va a studiare a casa sua. Ulisse mi<br />

ci accompagnava con <strong>la</strong> moto, viaggione in trasferta con un tempo <strong>da</strong> lupi per le curve di una<br />

provinciale buia come una vagina:<br />

“Stasera però glielo butti! Capito?”<br />

“Stai tranquillo, mi ha detto che i suoi non ci sono... Me l’ha detto senza che io glielo chiedessi,<br />

qualcosa vorrà dire, no?”<br />

“Vuol dire che devi buttarglielo!”<br />

Citofonavo, salivo e senza dir molto altro ci mettevamo a fare i compiti. Credo di aver battuto ogni<br />

record: riuscivo ad avere erezioni che duravano anche tre ore di seguito, mentre risolvevamo i<br />

problemi di algebra o le versioni di <strong>la</strong>tino. Lei mi provocava:<br />

“Mi sono fatta un tatuaggio!”<br />

“Ah, sì?”<br />

“Già...” poi, dopo un po’ “Non mi chiedi cosa?”<br />

“Già, cosa?”<br />

“Il simbolo dell’anarchia!” e mi disegnava <strong>la</strong> A inscritta in un cerchio sul Dodero, il libro di<br />

matematica.<br />

Poi, dopo altri dieci secondi in cui aspettavo paralizzato:<br />

“Non mi chiedi dove?”<br />

“Già, dove?”<br />

“Non posso dirtelo...” taceva un po’ e diceva “secondo te?”<br />

Io pensavo sul<strong>la</strong> schiena, sul braccio, sul collo, sul<strong>la</strong> caviglia, mai le avrei detto:<br />

“Sul seno, me lo sono fatto sul seno, fa un po’ male, però è bellissimo...”<br />

Tossii pensando al suo seno, quel palloncino sempre gonfio che di<strong>la</strong>tava le maglie dei suoi pullover,<br />

e sarei corso a nascondermi se non fosse stato per l’imbarazzo del mio pisello che mi rigonfiava il<br />

pantalone come se avessi messo in tasca <strong>la</strong> bacchetta di un rabdomante.<br />

Quando <strong>la</strong> sera raccontai queste storie a Ulisse, non ci credeva. Mi <strong>da</strong>va del finocchio.<br />

“E non gliel’hai buttato? Lì non dovevi neanche stare a chiedere. Dovevi metterle una mano sul<strong>la</strong><br />

tetta e dire: vediamo? Vuoi capirlo o no: glielo devi buttare”.<br />

La paro<strong>la</strong> rendeva bene l’idea delle mie difficoltà, ero così timido e impaurito che gliel’avrei buttato<br />

<strong>vera</strong>mente, nel senso che gliel’avrei <strong>la</strong>nciato <strong>da</strong> lontano come una granata e le avrei detto di farne<br />

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quello che voleva, qualsiasi cosa purché dopo me <strong>la</strong> raccontasse, nel frattempo io sarei corso al<br />

riparo dietro un divano.<br />

Mi <strong>la</strong>sciava il suo diario aperto alle pagine in cui scriveva “oggi ho fatto l’amore con...”, mi<br />

confondeva, non capivo cosa volessi <strong>da</strong> lei, né soprattutto lei <strong>da</strong> me, ci tenevamo per mano, stavamo<br />

ore in silenzio, avevo dei dolori pungenti al pene che faticava a star sempre eretto, a volte tutto il<br />

resto del mio corpo si addormentava e non riuscivo a concentrarmi che sul pisello, dritto come un<br />

faro, curioso, ansioso.<br />

Le piacevo per il mio karma <strong>da</strong> bravo figlio, credo, perché <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong> finì quando le dissi che<br />

mi ero rotto le palle. Non dissi altro quel giorno, non avevo un motivo preciso per far<strong>la</strong> finita, se<br />

non che non volevo mentirle ancora dicendole che l’amavo. Però questo era difficile <strong>da</strong> ammettere;<br />

allora dissi solo: “Adesso basta, mi sono rotto le palle!”. Mi voltai e <strong>la</strong> <strong>la</strong>sciai al<strong>la</strong> sua fermata<br />

dell’autobus, a piangere in silenzio.<br />

Il giorno dopo, in c<strong>la</strong>sse, mi guardò e mi sorrise con gli occhi che non le avevo mai visto così verdi.<br />

Io sedevo vicino al<strong>la</strong> finestra, lei nel<strong>la</strong> fi<strong>la</strong> centrale, un paio di metri al<strong>la</strong> mia sinistra. Chinò il capo<br />

sul<strong>la</strong> sinistra, sollevò le sue mani che già mi mancavano e raccolse i capelli che aveva sul<strong>la</strong> sua<br />

destra, spostandoli <strong>da</strong>ll’altro <strong>la</strong>to. Sotto i capelli aveva un disco vo<strong>la</strong>nte, l’unico esemp<strong>la</strong>re di<br />

Unidentified Flying Object che abbia mai avvistato con i miei propri occhi: non ricordo di aver mai<br />

visto un succhiotto così grande neanche in un documentario sui vampiri, aveva tutte le sfumature<br />

<strong>da</strong>l rosso al nero. Mi sorrise con più gusto e rimise a posto i capelli.<br />

Senza altra emozione che l’immancabile erezione, voltai lo sguardo, e non ci rivolgemmo più <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> per i restanti tre anni di liceo. Chissà dove finì l’amore che diceva di provare per me. Il mio<br />

per lei nel mio materasso, tamponato in dieci piani di morbidezza.<br />

Suona di nuovo il campanello. Non c’è rispetto per chi vuol starsene <strong>da</strong> solo a ricor<strong>da</strong>re. Ma giuro<br />

che stavolta non apro.<br />

41


19.<br />

“Ciao Fantasma, è così che ti chiamano, vero?”<br />

“Già!”<br />

“E perché?”<br />

“Pff... è una lunga <strong>storia</strong>, te <strong>la</strong> spiegherò se prenderai Architettura e studierai Scienza delle<br />

Costruzioni, tra qualche anno!”<br />

“Io prenderò medicina, stai sicuro! Diventerò anestesista, sono brava già adesso a far girare <strong>la</strong><br />

testa!”<br />

Ma perché? Ma perché tutto oggi? Ma perché non mi <strong>la</strong>sciate in pace? Houston, staccate ogni<br />

apparecchio e <strong>la</strong>sciatemi vagare <strong>da</strong> solo nello spazio con il mio cazzo di problema del cazzo.<br />

“Passavo a <strong>la</strong>sciarti <strong>la</strong> cassetta? Non mi fai entrare? Ti disturbo per caso?”<br />

“No, no... entra” me lo diceva sempre anche Lei, che non so dire di no.<br />

“Invece a me mi chiamate Chantal, me ne sono accorta, sai? Non mi spieghi neanche questo?”<br />

“Beh, <strong>vera</strong>mente... è un’idea di Ulisse” mento spudoratamente: il nome Chantal è frutto del<strong>la</strong> mia<br />

perversione “non so <strong>da</strong> dove gli sia venuto in mente”.<br />

Entra incuriosita, getta gli occhi <strong>da</strong>ppertutto, forse cerca proprio Ulisse, se non altro può<br />

accontentarsi del suo sangue per terra.<br />

Si siede sul divano. Cerca di mettersi como<strong>da</strong>, ma è dura con quelle molle che ti si infilzano<br />

<strong>da</strong>ppertutto. Rimane seduta e ferma come una sco<strong>la</strong>retta terrorizzata <strong>da</strong>l professore che va<strong>da</strong> su e<br />

giù per il registro al<strong>la</strong> ricerca di qualcuno <strong>da</strong> interrogare. Poi si toglie le scarpe e si rannicchia su un<br />

<strong>la</strong>to. Il tempo di una manovra del suo corpo e adesso terrorizzato sono io.<br />

“Mia madre non vuole che io venga qui. Dice che voi vi drogate, è vero?”<br />

Ma ci mancava anche questa! L’interrogatorio con <strong>la</strong> spia sexy, venuta a spulciare le nostre<br />

coltivazioni illegali, il nostro orticello <strong>da</strong> stanzino.<br />

“Non è vero... tua madre farebbe bene a farsi gli affari suoi!”<br />

“Glielo dico sempre anch’io, quando cerca il fumo nei miei cassetti! E quello cos’è?”<br />

Già, quello cos’è? Adesso che le dico? E’ <strong>da</strong> ore che giace sul tavolo bello che girato, pronto per<br />

essere acceso.<br />

“Cicileo?” mi doman<strong>da</strong> con una ventata di ciglia scure che mi sposta di un metro.<br />

“Dai, Miky... per favore <strong>la</strong>sciami in pace, che già è stata una giornata dura oggi, e non è neanche<br />

finita...”<br />

“Mi puoi chiamare Chantal, mi piace” e mi domando se per dire una frase del genere c’è <strong>da</strong>vvero<br />

bisogno di togliersi il maglione e farmi vedere le tette schiacciate contro <strong>la</strong> magliettina. Io mi metto<br />

a pulire <strong>la</strong> schifezza che ha <strong>la</strong>sciato Ulisse, gli strofinacci imbrattati di sangue, Chantal non se ne<br />

cura, potrei probabilmente fare a pezzettini un ca<strong>da</strong>vere in questo momento, ma non le sembrerebbe<br />

strano: le nuove generazioni sono dure a stupirsi.<br />

“Una giornata dura? Per via di quel<strong>la</strong> tipa che ti aspettava seduta sui gradini? O per via di quel<strong>la</strong> che<br />

ti ha quasi violentato sull’uscio?”<br />

“E tu che ne sai?” domando infastidito. Io di donne non ho mai capito un accidenti, ma stavolta ho<br />

proprio risposto a coppe su una giocata a mazze: questa non è una bambo<strong>la</strong>, è una diavolessa.<br />

“Ogni tanto vi spio... <strong>da</strong>l balcone, quando esco a fumare di nascosto! Vi vedo giocare, fumare,<br />

scherzare, litigare, mi fate venire voglia di stare con voi...”<br />

“Senti Miky, adesso ti offro un bel caffè, poi mi <strong>la</strong>sci stare e torni a casa, ok?”<br />

“Okkei!” risponde facendomi il verso, questo è troppo.<br />

Si alza, e si avvicina al tavolino con i cd. Sto di spalle a lei, trafficando con <strong>la</strong> caffettiera e sento il<br />

rumore di p<strong>la</strong>stica dei dischi tra cui cercherà il pezzo <strong>da</strong> mettere nello stereo. “Ok!” penso “se è<br />

quello che vuoi, se vuoi una scopata triste, hai trovato un esperto, se sei una picco<strong>la</strong> puttanel<strong>la</strong><br />

infoiata, metti solo <strong>la</strong> canzone giusta e vedrai che ti combino”<br />

“Ma non hai niente di Britney Spears? Chi cavolo sono questi... Cinerama? Arab... Arab Strap... Get<br />

Up Kids... Sexy Sadie, Teenage Fanclub... poi questi... Wheat, Slowdive, Los P<strong>la</strong>netas... Yuppie<br />

42


Flu, The Strokes, Maga, Bang Gang, Lambchop?” scoppia a ridere “Non avete un solo cd che si<br />

salvi qui, o che almeno si conosca! Cos’è Belle & Sebastian, il cd dei cartoni animati?”<br />

Grazie, grazie Micae<strong>la</strong> o Miche<strong>la</strong> o come ti chiami, grazie per avermi salvato <strong>da</strong>l<strong>la</strong> tentazione di<br />

strapparti i vestiti con un colpo solo, grazie per aver e<strong>vita</strong>to che mi trasformassi nel Fantasma di<br />

Bruce Lee e con una so<strong>la</strong> mossa ti saltassi addosso.<br />

Finalmente prendiamo il caffè, lei ne approfitta per confi<strong>da</strong>rmi che <strong>la</strong> <strong>storia</strong> delle videocassette era<br />

una cazzata, cercava una scusa per entrare in casa nostra, per vederci <strong>da</strong>l vivo, soprattutto Ulisse,<br />

quello più carino, a suo dire. Che però il nastro se l’è guar<strong>da</strong>to lo stesso appena tornata a casa dopo<br />

aver fumato all’uscita <strong>da</strong> scuo<strong>la</strong> e che si è divertita un mondo.<br />

“Lo sai che tutti gli studiosi hanno sempre pensato che le mamme di coccodrillo si mangiano i loro<br />

piccoli appena dischiuse le uova, mentre in realtà li mettono in bocca senza soffocarli per<br />

trasportarli al sicuro? Non tutto ciò che sembra cattivo lo è in realtà!” e si mette un dito sulle <strong>la</strong>bbra.<br />

Poi mi chiede se noi quattro parliamo mai di lei: a questo punto, dopo che <strong>la</strong> giornata di oggi mi ha<br />

costretto a ritarare i parametri su cosa sia normale e cosa no, non ha senso dirle una cazzata. Le<br />

spiego <strong>la</strong> verità, le spiego che Ulisse, beh non solo lui, ma lui partico<strong>la</strong>rmente doman<strong>da</strong> spesso di<br />

lei. Le spiego che per me è come una sorel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong>, che ne sono geloso e che abbiamo posto il<br />

veto di fare gli stupidi con lei. La <strong>storia</strong> del divieto di seghe <strong>la</strong> censuro, a tutto c’è un limite. Lei<br />

sorride e mi risponde che ha par<strong>la</strong>to di noi alle sue amiche. Che ci hanno spiato anche loro <strong>da</strong>l suo<br />

balcone, che c’è una che mi trova carino. Che magari possono venire a trovarci un giorno di questi.<br />

Poi tira fuori una scatolina <strong>da</strong> una tasca del pantalone: mentre <strong>la</strong> sua mano è in tasca che fruga, <strong>la</strong><br />

<strong>vita</strong> del jeans viene giù, un pochino soltanto, sufficiente a rive<strong>la</strong>re il colore bordeaux del<strong>la</strong> sua<br />

mutandina. Tira fuori un porta-pillole di metallo e lo apre. Solleva tra le dita <strong>da</strong>lle unghia lunghe un<br />

confettino celeste.<br />

“Tu l’hai mai fatto l’amore dopo aver preso una di queste?”<br />

Si avvicina mia sorel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong><br />

Al<strong>la</strong> fine devo sempre ba<strong>da</strong>re a lei<br />

Sorride proprio a tutti<br />

E questo mi man<strong>da</strong> in bestia<br />

Tu! Attento se pensi di avvicinarti a lei<br />

Mi sforzo sempre perché sia <strong>la</strong> ragazza più felice di tutta <strong>la</strong> terra<br />

E di notte<br />

Lei<br />

Mi ricompensa<br />

(Los P<strong>la</strong>netas, Mi hermana pequeña)<br />

43


20.<br />

Mi è arrivato un messaggio. Non c’era mittente, proveniva <strong>da</strong> un numero sconosciuto, 080 e poi<br />

quattro sole cifre. Mi sa che funziona così, quando ti arriva un messaggio <strong>da</strong> una cabina. Tanto so<br />

chi me l’ha man<strong>da</strong>to e che cosa significa. “Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse! Ok?”<br />

Ok! Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse. Oggi si va al<strong>la</strong> fabbrica di birra.<br />

44


Non<strong>la</strong>siscttann<br />

45


1.<br />

Io sono Sergio. Sono Sergio e mi attacco al<strong>la</strong> <strong>vita</strong>. Mi attacco succhiando, spremendo ogni<br />

<strong>storia</strong>, spremendo <strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> come un agrume. Fino all’ultima goccia. Questa deviazione a<br />

non buttare nul<strong>la</strong>, neanche i mozziconi delle sigarette, mi è costata un soprannome<br />

complicato: uno di quei nomi <strong>da</strong> tribù indiana. Fossi nato in una riserva Apache, io sarei<br />

stato il Grande Guerriero Sergio Non La Buttare, invece sono nato a Bari e mi tocca<br />

rispondere quando mi chiamano Non<strong>la</strong>siscttann.<br />

Ho le idee chiare, io. Precise e dritte come il <strong>la</strong>ncio delle navicelle spaziali. Dell’Apollo <strong>13</strong>,<br />

per <strong>la</strong> precisione.<br />

Dividiamo insieme, Fantasma, Strillo, Ulisse ed io, <strong>la</strong> nostra missione aeronautica nel<strong>la</strong><br />

casa che fu dei nonni di Fantasma, e posso dire senza ombra di dubbio che al<strong>la</strong> p<strong>la</strong>ncia di<br />

questo rottame di navicel<strong>la</strong> ci sono io. Sono io che cucino meglio di loro, io che faccio <strong>la</strong><br />

spesa e sfamo questi avvoltoi, io che svuoto il frigorifero prima che il suo contenuto diventi<br />

radioattivo e metta in allerta <strong>la</strong> Protezione Civile. Senza di me, in questa casa loro<br />

starebbero sempre a chiamare i genitori in quel di Houston per chiedere aiuto.<br />

Io <strong>la</strong>voro in una grossa catena di articoli sportivi, ho iniziato come part-time nelle feste di<br />

Natale, poi ho sca<strong>la</strong>to mansioni e reparti e dopo ore e ore di formazione in giro per lo<br />

stivale, sono diventato il più esperto venditore di sci di tutto il Sud Italia. Se si considera il<br />

fatto che non ho mai sciato in <strong>vita</strong> mia, questo è <strong>da</strong>vvero un gran risultato.<br />

Il mio capo ha un gran culo, perché non dirlo? E’ per questo, per rispetto dei milioni di<br />

esercizi di ginnastica che gliel’hanno scolpito, di tutto il sudore che le deve essere costato,<br />

che non mi permetterei mai di rivolgerle dei pensieri maligni... e poi il mio capo è in<br />

gamba... ma ci sono altre decine di pescecani in questa catena che meriterebbero che io<br />

glielo mettessi proprio in quel posto. Ho scelto, tuttavia di provare ad esser meglio di loro.<br />

Quindi, non vivo di espedienti, non soffro di mobbing, semplicemente <strong>la</strong>voro meglio,<br />

produco di più, il mio reparto dà il fumo a tutti gli altri nelle c<strong>la</strong>ssifiche di vendita e non ho<br />

bisogno di aspettare al varco che qualcuno si metta piegato per piazzarmi dietro le sue<br />

chiappe e fare carriera al posto suo.<br />

Un giorno avrò un’idea, un giorno avrò l’idea!<br />

Allora, quel giorno lì, io mi godrò i risultati del<strong>la</strong> mia fatica, realizzerò il mio sogno, mentre<br />

per qualcun altro saranno dolori, anzi bruciori... credo proprio che ci sarà un incremento<br />

delle vendite regionali di vaselina quel giorno, statene certi!<br />

Se mi cercate il weekend sono in negozio, a qualsiasi ora, con delle piccole pause in cui<br />

mi metto orizzontale, poche ore, dormite male, in condizioni alcoliche disastrose, ma<br />

sufficienti a ricaricarmi. Loro non capiscono come faccio, ma del resto ci sono molte cose<br />

che non capiscono di me, soprattutto Fantasma. Fantasma è una di quelle persone per le<br />

quali è stato inventato il punto interrogativo. Lui è un tossico del punto interrogativo, non<br />

riesce a vivere senza doman<strong>da</strong>re, senza doman<strong>da</strong>rsi...<br />

La differenza tra me e Fantasma sta nei nostri miti, lui perde tempo dietro ai supereroi, per<br />

poco non cammina con lo sguardo tra le nuvole aspettandosi di veder passare uno stormo<br />

di X-Men di ron<strong>da</strong> per i cieli di Bari. Il mio mito invece non è un supereroe, è un uomo, un<br />

uomo scritto proprio così, quattro lettere, quattro lettere in corsivo ma due coglioni a<br />

stampatello grandi così. Il mio mito è John Wayne.<br />

Avete presente John Wayne nelle vesti di Ringo Kid, nel film Ombre Rosse di John Ford?<br />

Ce l’avete? Beh, sfi<strong>la</strong>tegli il cavallo <strong>da</strong> sotto al culo e nel<strong>la</strong> stessa postura troverete Sergio<br />

Non<strong>la</strong>siscttann. Bang, bang! Io affronto <strong>la</strong> <strong>vita</strong> esattamente come John Wayne affrontava<br />

gli sporchi musi rossi delle tribù Apaches.<br />

Dimenticavo, nelle feste se mi cercate sono quello lì, sì proprio quello vicino alle casse,<br />

con <strong>la</strong> mano alzata che porta il tempo di questo reggae e che tira a sé in un ballo<br />

appassionato ogni volta una tipa diversa. Se partiamo <strong>da</strong>l presupposto che quando due<br />

47


persone bal<strong>la</strong>no si scambiano delle emozioni e che quando due persone si scambiano<br />

emozioni hanno una <strong>storia</strong>, beh... possiamo dire certamente che a Bari sono poche le<br />

ragazze che non posso considerare delle mie ex.<br />

Sono Sergio, Sergio Non La Buttare. Ragazzi, non <strong>la</strong> buttate <strong>da</strong>vvero <strong>la</strong> vostra <strong>vita</strong> a farvi<br />

delle domande complicate.<br />

48


2.<br />

A mio avviso, l’evento più divertente che si svolge in questa casa non è <strong>la</strong> gara con le<br />

macchinine con cui ci scommettiamo chi <strong>la</strong>va i piatti del<strong>la</strong> cena, né qualsiasi altra forma di<br />

gioco che abbiamo introdotto tra queste mura. Ciò che mi piace <strong>da</strong>vvero è <strong>la</strong> quotidiana<br />

lotta per <strong>la</strong> sveglia.<br />

Daniele è sotto schiaffo, poverino. E’ lui lo sventurato che è costretto ad alzarsi per primo,<br />

perché Fantasma è un libero professionista, libero nel senso che spesso è libero di non<br />

an<strong>da</strong>re allo studio e di disegnare a casa, Ulisse è alle dipendenze di suo padre e quindi va<br />

in azien<strong>da</strong> quando vuole, e per quanto riguar<strong>da</strong> me... beh! almeno una cosa buona esiste<br />

nel <strong>la</strong>vorare per <strong>la</strong> grande distribuzione: non si inizia mai prima delle nove e mezza! Strillo<br />

è pigro e quindi sa che se <strong>la</strong> sveglia <strong>la</strong> sistemasse a portata di mano <strong>da</strong>l letto non ci<br />

metterebbe molto a spegner<strong>la</strong> e riaddormentarsi. E’ pigro e masochista: tiene <strong>la</strong> sveglia<br />

nel corridoio esattamente a metà stra<strong>da</strong> tra le sue orecchie e quelle di Fantasma, e<br />

quando l’orrendo dispositivo inizia a far Pee Pee, lui fa finta di nul<strong>la</strong>.<br />

E’ incredibile, ci prova ogni volta, ad aspettare che qualcuno si alzi al posto suo. Anche<br />

perché il primo che si sveglia prepara il caffè per tutti, è <strong>la</strong> Rego<strong>la</strong>. Allora inizia ad ur<strong>la</strong>re,<br />

anzi ad emettere suoni senza senso all’indirizzo di Fantasma, ma l’omertà regna sovrana.<br />

Strillo si deve alzare per forza in quel momento, mentre noi no! Dopo una quarantina di<br />

secondi di divertimento puro per chi sta ad ascoltarlo, non ricevendo risposta <strong>da</strong> nessuno,<br />

Daniele finalmente si alza, inforca le sue infradito con calzettone annesso (un vero tocco<br />

di c<strong>la</strong>sse) e si dirige b<strong>la</strong>n<strong>da</strong>mente a spegnere <strong>la</strong> sveglia.<br />

Lo sapete mantenere un segreto? Bene, vi confesso che quando inizia a suonare il<br />

cicalino di Strillo, e lui prende ad ur<strong>la</strong>re a Fantasma che almeno per una volta si alzi lui a<br />

spegnere quel <strong>da</strong>nnato aggeggio, io sono già sveglio. Ogni volta prima di an<strong>da</strong>re a<br />

dormire, controllo l’orario sul quale sta puntata <strong>la</strong> <strong>la</strong>ncetta del<strong>la</strong> sveglia del corridoio e in<br />

camera me ne metto una che suoni dolcemente esattamente due minuti prima che si<br />

scateni il pandemonio tra quei due coglioni che tengono il loro dispositivo rubasogni sul<br />

punto medio delle loro stanze. La mia sveglia mi augura buon giorno, io mi stiracchio, mi<br />

metto le mani dietro <strong>la</strong> testa, inizio già a sorridere e mi resta solo il tempo per fare il countdown<br />

alle ur<strong>la</strong> del povero Stril<strong>la</strong>cci.<br />

Stamattina però non è an<strong>da</strong>ta così. Daniele ur<strong>la</strong>va per altri motivi. Avevano suonato al<strong>la</strong><br />

porta e ovviamente è toccato a lui alzarsi a rispondere. Noi abbiamo fatto orecchie <strong>da</strong><br />

mercante e siamo rimasti nei nostri lettini ascoltando le sue bestemmie in dialetto mentre<br />

sciabattava pesantemente fino all’ingresso del<strong>la</strong> casa. Lo sento gri<strong>da</strong>re all’indirizzo di<br />

Fantasma, addirittura sta entrando nel<strong>la</strong> sua stanza, sento <strong>la</strong> porta aprirsi e chiudersi.<br />

Io oggi non <strong>la</strong>voro, oggi ho deciso di fare una cosa nuova, non so perché l’ho fatto, perché<br />

proprio oggi, forse per l’illusione che fare una cosa del genere serva a rendere migliore se<br />

non il mondo, almeno uno degli stronzi che ci cammina sopra. O forse l’ho fatto per gli<br />

occhi scuri e grandi che me l’hanno chiesto, per quel bottone, l’undicesimo di dodici<br />

partendo <strong>da</strong>l basso che era rimasto aperto. Davvero non ho idea di ciò a cui vado incontro<br />

oggi. Davvero non so se ne sarò capace. Se crollerò o se riuscirò ad arrivare fino in fondo.<br />

John Wayne ha <strong>da</strong>vanti a sé una dura prova oggi.<br />

Questo merita una doccia, una sbarbata ed addirittura una mazzata di pettine.<br />

Sono pronto. Vado in cucina, quei balordi sono già lì che litigano e ridono.<br />

Il primo del<strong>la</strong> mattina di solito lo giro io. Anche perché è il momento in cui le mie dita<br />

tremano di meno e perché quelli che faccio io sono di gran lunga migliori di quelli girati<br />

<strong>da</strong>gli altri.<br />

L’alliscio, l’arriccio, l’appiccio.<br />

“Mi sono perso qualcosa?”<br />

49


3.<br />

Non so se mi potrò mai permettere una famiglia, io! Quei babbei neanche ci pensano, loro<br />

continuano a tizzuare al<strong>la</strong> cassa di mamma e papà per le spese impreviste, a volte anche<br />

per quelle previste. Invece, io non prendo soldi <strong>da</strong>i miei <strong>da</strong> ormai quattro anni, <strong>da</strong>l 99!<br />

Sono come Bloch, l’ispettore amico di Dy<strong>la</strong>n Dog, ho smesso di prendere <strong>la</strong> paghetta nel<br />

99, ho smesso di sognare nel 57. Io ho bisogno di quell’idea, altrimenti con <strong>la</strong> sfiga che mi<br />

ritrovo e che mi porta sempre a sbattere con <strong>la</strong> macchina, il mio stipendio basterà appena<br />

a permettermi di pagare il premio dell’assicurazione.<br />

Sono appena fuori di casa, stranamente nessuno mi ha ammaccato l’auto parcheggiata,<br />

sono un campione anche in questo!<br />

“Sergio!” mi sento chiamare.<br />

Mi volto e vedo avvicinarsi al<strong>la</strong> casa le sagome inconfondibili di Luca e del Professore:<br />

storie strane in arrivo!<br />

“Ehilà, ciao boys! Dove an<strong>da</strong>te?”<br />

“Non ci crederai mai!” sorride Luca con il suo <strong>la</strong>bbro spaccato <strong>da</strong>l freddo che gli conge<strong>la</strong> il<br />

sorriso in un ghigno <strong>da</strong> Joker.<br />

“Ci serve un passaggio!” interviene il Professore.<br />

“Dove?”<br />

“Al<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> di Poggiofranco!”<br />

“La scuo<strong>la</strong> dei Puffi?” domando io.<br />

“No, no, non <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> blu. La scuo<strong>la</strong> elementare, quel<strong>la</strong> di fronte al<strong>la</strong> cantina! Ho un<br />

dubbio atroce!” risponde il Professore.<br />

Già mi spaventano le certezze del Professore, figuriamoci i suoi dubbi! Lancio uno<br />

sguardo di soccorso a Luca che mi spiega:<br />

“Non siamo sicuri! Però ci sono ottime probabilità che il Professore ne abbia combinata<br />

una delle sue!”<br />

“Cioè?” le imprese del Professore riempiono libri di Leggende Alcoliche Metropolitane.<br />

“Ieri eravamo al<strong>la</strong> Cantina, a sco<strong>la</strong>re! Io ero con <strong>la</strong> bici!”<br />

Di solito tutto quel gruppo si riunisce con ogni mezzo di locomozione <strong>da</strong>vanti al<strong>la</strong> Cantina,<br />

a volte atterra anche gente in monociclo!<br />

“Beh?” domando timoroso, alcol e bicicletta mi sembrano gli elementi di base per una<br />

buona impresa del Professore.<br />

“Poi siccome faceva freddo e <strong>la</strong> Moskovskaya non è compatibile con i pe<strong>da</strong>li, mi sono fatto<br />

<strong>da</strong>re un passaggio a casa e ho <strong>la</strong>sciato <strong>la</strong> bicicletta lì!”<br />

“Dimenticandoti di legar<strong>la</strong>” aggiungo io, quasi deluso perché l’ultima impresa del Prof è un<br />

banale furto di bici.<br />

“No! Anzi!” mi colpisce Luca con una pacca e scoppia di nuovo a ridere.<br />

“Mi vuoi dire il fatto insomma?”<br />

“Praticamente ci sono buone probabilità che il Professore abbia legato <strong>la</strong> bicicletta al<br />

cancello del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>!”<br />

“E quindi?” fatico a capire. Poi finalmente realizzo. Mi si sgranano gli occhi e non riesco a<br />

crederci!<br />

“La bici? L’hai legata al cancello del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>? Ma... alle sbarre del cancello, no?”<br />

“Veramente no!” sorride il Prof “credo di aver<strong>la</strong> legata al montante che unisce le due ante<br />

del cancello! Mi <strong>da</strong>va l’idea di essere il più sicuro!”<br />

“E quindi?”<br />

50


“Quindi <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> non si apre! Muvt 2 !”mi spinge in macchina Luca “Non perdere tempo,<br />

<strong>da</strong>cci un passaggio! Se non sono riusciti ad entrare in c<strong>la</strong>sse, troveremo <strong>da</strong>vanti al<strong>la</strong><br />

cantina un esercito di bambini impazziti!”<br />

La scena è in tutto simile al capannello di persone che si vede in tv radunata intorno agli<br />

incidenti, alle bombe, alle stragi. Traffico intasato, abbiamo parcheggiato due iso<strong>la</strong>ti più in<br />

là, vigili urbani, bambini che ur<strong>la</strong>no, altri che ridono, genitori incazzati neri che aspettano<br />

con i loro marmocchi, arriva in questo istante addirittura l’unità dei Vigili del Fuoco. E<br />

l’epicentro di tutto questo terremoto è il cancello del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, serrato accuratamente <strong>da</strong>l<strong>la</strong><br />

catena antitenaglia che lega insieme <strong>la</strong> bici del Professore e i due battenti di ferro,<br />

impedendo l’accesso al<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>.<br />

Non riesco a crederci.<br />

Il Professore si fa <strong>la</strong>rgo nel<strong>la</strong> fol<strong>la</strong> a colpi di Scusate e Permesso. I Vigili del Fuoco stanno<br />

già preparando un enorme piede di porco per sfon<strong>da</strong>re il cancello, il Professore si avvicina<br />

e con molta disinvoltura, con l’eleganza che hanno gli artificieri capaci di scegliere sempre<br />

il filo giusto <strong>da</strong> staccare all’ultimo secondo per disinnescare le bombe, infi<strong>la</strong> <strong>la</strong> sua chiave<br />

nel cancello e sposta <strong>la</strong> bici liberando l’ingresso.<br />

Io e Luca, a braccetto <strong>da</strong>ll’altro <strong>la</strong>to del<strong>la</strong> stra<strong>da</strong> ci godiamo <strong>la</strong> scena come a teatro. Il<br />

Professore apre lui stesso il cancello mentre <strong>la</strong> gente assiste ancora incredu<strong>la</strong>, ed inizia a<br />

gestico<strong>la</strong>re come un Vigile:<br />

“Forza, bambini! In c<strong>la</strong>sse che è orario! Su, su! Non è successo nul<strong>la</strong>!”<br />

Come modo di iniziare <strong>la</strong> giornata non c’è male!<br />

Luca fa l’ultimo tiro al<strong>la</strong> sua sigaretta e fa per buttar<strong>la</strong>, lo fermo appena in tempo.<br />

“Non <strong>la</strong> si scttann!”<br />

Poi, attendo che il Professore si becchi <strong>da</strong>i Vigili le giuste paranoie, quindi li saluto,<br />

prendiamo appuntamento per <strong>la</strong> prossima festa di <strong>la</strong>urea nel<strong>la</strong> quale ci infiltreremo e vado<br />

via. Mi rimetto in macchina e <strong>da</strong> gran seduttore che si <strong>la</strong>sci un po’ desiderare arrivo in<br />

ritardo al mio primo appuntamento.<br />

2 Muoviti!<br />

51


4.<br />

Lei sarà sul<strong>la</strong> trentina, probabilmente qualcosa in più se considero l’età del figlio. Ha occhi<br />

enormi, e il rigo di matita che li incornicia li rende ancora più profondi. Il taglio di capelli<br />

non le rende giustizia, sarebbe molto più esplosiva con i capelli lunghi e legati piuttosto<br />

che con un anonimo caschetto omologato. Quando l’ho vista <strong>la</strong> prima volta, più di tutto mi<br />

ha colpito il vestito. Io ce l’ho questa deviazione, a me i vestiti lunghi con i bottoni sul<br />

<strong>da</strong>vanti mi fanno inceppare gli ingranaggi, sbobino!<br />

Nul<strong>la</strong> è più eccitante che immaginare quei bottoni aperti tutti insieme, vramm! E <strong>la</strong> donna<br />

che vi è contenuta, qualsiasi donna, anche un mostro con il fisico a pera, rive<strong>la</strong>rsi nu<strong>da</strong>!<br />

Sudo al solo pensiero, Houston attaccate l’aria condizionata per favore che qui si schiuma.<br />

E’ venuta in negozio <strong>la</strong> settimana scorsa, l’ho notato subito che mi guar<strong>da</strong>va di nascosto,<br />

dietro gli scarponi <strong>da</strong> sci. Mi spiava e non capivo cosa volesse. Io nel frattempo giocavo<br />

con il suo marmocchio, o meglio io giocavo con un marmocchio senza sapere che fosse<br />

suo figlio. Il bambino mi chiedeva: “E perché questi sci sono così lunghi! E perché quelli<br />

sono così corti! Perché rossi, perché neri...”<br />

I bambini mi divertono, anche se nell’età dei perché sono un po’ lessapalle. Benché<br />

sapessi che rispondere al primo perché mi avrebbe condotto in un tunnel senza uscita,<br />

non me <strong>la</strong> sono sentita di censurare <strong>la</strong> sua curiosità e ci siamo messi a par<strong>la</strong>re. Ad un<br />

certo punto ha indicato i doposci e mi ha chiesto:<br />

“Perché questi stivali sono così grandi?”<br />

“Perché hanno il rivestimento in gore-tex e l’imbottitura in un derivato del<strong>la</strong> <strong>la</strong>na di vetro”<br />

mi sembrava una risposta un po’ troppo tecnica ed allora ho detto:<br />

“Perché li usa l’Uomo delle Nevi!” e mi sono messo a fare l’imitazione dello Yeti<br />

rincorrendolo. Lui si è messo a ridere come un pazzo e seguendolo mi sono quasi an<strong>da</strong>to<br />

a scontrare con <strong>la</strong> mamma <strong>da</strong>l<strong>la</strong> quale si era rifugiato. Il mio sguardo, partendo <strong>da</strong>ll’altezza<br />

del marmocchio è risalito bottone per bottone fino al sorriso di lei. Ne ho contati dodici,<br />

compreso quello sbottonato che <strong>la</strong>sciava indovinare una buona terza di tette.<br />

“Sei bravo con i bambini, lo sai?” mi ha detto con le sue <strong>la</strong>bbra belle.<br />

I suoi occhi stavano trasparenti come una vetrata sul mare, erano talmente grandi che si<br />

riusciva a guar<strong>da</strong>r dentro benissimo.<br />

Abbiamo par<strong>la</strong>to una decina di minuti. Un quarto d’ora anche. Il più bel quarto d’ora del<br />

mio ultimo weekend <strong>la</strong>vorativo. Più bello ancora che scoprire di aver doppiato con le<br />

vendite tutti gli altri reparti.<br />

Mi ha <strong>da</strong>to l’idea di una bel<strong>la</strong> persona.<br />

Il vestito, le cose che mi ha detto, quel bottone che aveva rifiutato di star chiuso, gli occhi<br />

grandi e neri... ci siamo scambiati i numeri di telefono, mi ha chiamato dopo tre giorni, e<br />

non ho saputo dirle di no, così eccomi qua.<br />

52


5.<br />

Salgo i due piani di scale, lei mi aspetta nel<strong>la</strong> sua stanza. Che delusione! Ha dei pantaloni<br />

neri invece del vestito <strong>da</strong> svento<strong>la</strong> che mi ha scal<strong>da</strong>to il cuore l’altra volta. Fingo di non<br />

restare male ed iniziamo a par<strong>la</strong>re. Mi dice che è contenta che io abbia accettato l’invito,<br />

mi porta a prendere un caffè orribile <strong>da</strong>l<strong>la</strong> macchinetta vicino agli ascensori. Mi chiede un<br />

po’ di me, è interessata quando le rispondo e sorride spesso. Il marito è dentista, dice:<br />

avrei dovuto capirlo <strong>da</strong>l sorriso perfetto che rive<strong>la</strong> quando riesco a dirle qualcosa di<br />

interessante. Mi par<strong>la</strong> del suo <strong>la</strong>voro, mi par<strong>la</strong> dei bambini. Mi chiede se ho idea di quello<br />

che devo fare. Mi dice che di lì sono passati in tanti, ognuno con le sue buone intenzioni,<br />

ma che non reggono a lungo. “Tu hai l’aria di uno che non mi deluderà” accenna<br />

silenziosamente e quando mi guar<strong>da</strong> una freccia dritta <strong>da</strong> indiano prova a scalfire <strong>la</strong><br />

corazza di John Wayne.<br />

“Adesso basta par<strong>la</strong>re, ok? E’ ora di passare all’azione! Seguimi!”<br />

Esce per prima, io le sono dietro e cammino respirando il profumo complicato che <strong>la</strong>scia<br />

dietro sé. E’ strano: non ricor<strong>da</strong>vo nessun odore partico<strong>la</strong>re quando abbiamo par<strong>la</strong>to nel<br />

negozio.<br />

Arriviamo <strong>da</strong>vanti ad una porta, lei sceglie una chiave <strong>da</strong>lle decine che le pendono intorno<br />

al<strong>la</strong> <strong>vita</strong>.<br />

“Mi aiuti? E’ quel<strong>la</strong> con il tondino celeste!”<br />

Finalmente ho una scusa per guar<strong>da</strong>re il suo sedere senza sentirmi in colpa. Stacco <strong>la</strong><br />

chiave e glie<strong>la</strong> porgo. Mi fa entrare:<br />

“La luce è sul<strong>la</strong> sinistra!”<br />

Metto <strong>la</strong> mano a tentoni, ma non riesco a trovar<strong>la</strong>. Lei si guar<strong>da</strong> intorno sull’uscio e poi<br />

viene dentro con me.<br />

Mette <strong>la</strong> sua mano sul<strong>la</strong> mia. E’ cal<strong>da</strong>. Picco<strong>la</strong> e cal<strong>da</strong>. Mi gui<strong>da</strong> le dita fino all’interruttore.<br />

“E’ sempre un po’ più in alto che nelle case, qui!”<br />

Chiude <strong>la</strong> porta e mi indica un angolo del<strong>la</strong> stanza.<br />

Rimango a bocca aperta e sorrido.<br />

“Quello è il costume, lì c’è <strong>la</strong> pancia finta, le scarpe di p<strong>la</strong>stica, quelle devi metterle <strong>da</strong><br />

sopra le scarpe normali, poi le bretellone, <strong>la</strong> giacca e <strong>la</strong> parrucca...”<br />

“Uau, sono senza parole!”<br />

“Qui poi ci sono i nuovi acquisti: il fiore che spruzza acqua, una scato<strong>la</strong> di bombette,<br />

qualche stel<strong>la</strong> fi<strong>la</strong>nte, i coriandoli...”<br />

“Non manca niente, direi!”<br />

Apre un cassetto e tira fuori una cosa:<br />

“Eh, no! Sergio! Ecco cosa manca!”<br />

“Il naso finto!” dico mentre mi allunga il tondo rosso “non che ne abbia molto bisogno!<br />

Bastava <strong>da</strong>rmi una pennel<strong>la</strong>ta di rosso!”<br />

Lei ride.<br />

Io <strong>la</strong> guardo, <strong>la</strong> faccia dura di John Wayne che sottotito<strong>la</strong>ta vuol dire:<br />

“Donna! Mi secca ammetterlo, ma quando ridi sei <strong>da</strong>vvero un portento!”<br />

“Mai vestito <strong>da</strong> clown a Carnevale?” mi doman<strong>da</strong>.<br />

“No, <strong>da</strong> clown no! Ma mi ero sempre chiesto di che materiale fosse il naso finto! Credevo<br />

fosse morbido, invece” le dico provandolo “Ahio! Fa un po’ male!”<br />

Lei si avvicina e si solleva appena sulle punte:<br />

“Per forza! L’hai messo al contrario!” me lo aggiusta “Voilà! Ah! Ah! Mi fai già ridere!”<br />

“Dove mi cambio?”<br />

“Qua, qua! Ti aspetto fuori! Appena sei pronto mi chiami e ti metto questi!”<br />

“Cosa sono?” domando guar<strong>da</strong>ndo <strong>la</strong> scatoletta che tiene sollevata<br />

53


“Il trucco! Hai mai visto un pagliaccio senza trucco?”<br />

“No, no!”<br />

Chiude <strong>la</strong> porta e mi <strong>la</strong>scia solo, con i vestiti <strong>da</strong> pagliaccio ed un naso rosso che mi<br />

impedisce di sniffare ancora un po’ del suo buon odore.<br />

Dopo che mi ha truccato, ed io per almeno mille secondi mi sono <strong>la</strong>sciato tenere tra le sue<br />

mani come un gomitolo tra le zampe di un gatto, esco imbarazzato e goffo, mi guardo allo<br />

specchio e penso che non sia una buona idea: altro che John Wayne! Qui se mi vedono<br />

sono rovinato!<br />

“Sei perfetto! Molto meglio di tutti gli altri! Li farai impazzire, sono sicura!”<br />

“Sì, pero il fiore non va, ho provato a farlo funzionare e non esce l’acqua, vedi?”<br />

Lei si avvicina al mio occhiello, e... troppo facile, delizioso musetto rosso! Bang! Bang!<br />

Colpita!<br />

“Dai! Ma ci sei cascata come un pollo, anzi una pol<strong>la</strong>ccia!” le dico, mentre lei ride e si<br />

asciuga le gocce d’acqua che le co<strong>la</strong>no sul viso.<br />

“Sei anche troppo perfetto, direi!” poi si fa seria “Sei pronto? Andiamo!”<br />

“Magari, aspetta un attimo! Un altro caffè... l’ultimo! Sempre che non ti secchi prendere un<br />

caffè con una persona poco seria, un pagliaccio, insomma...”<br />

Prendiamo il caffè, mi ripete in breve quello che devo fare e quello che non devo fare, le<br />

domande a cui rispondere e quelle <strong>da</strong> sviare, mi par<strong>la</strong> di qualche bambino in partico<strong>la</strong>re.<br />

“Adesso sono pronto!” le dico cercando di concentrarmi. Mi sto accorgendo adesso di<br />

quello che mi aspetta. Ho paura, ma a questo punto è inutile tirarsi indietro.<br />

Mi fa un occhiolino e mi porta per mano <strong>da</strong> loro.<br />

54


6.<br />

“Tu sei quello dell’altro giorno?” mi chiede una bambina, prima ancora che l’intera mia<br />

scarpa sia entrata nel<strong>la</strong> stanza. I bimbi si radunano intorno a me, mi iniziano a toccare <strong>la</strong><br />

pancia finta, i capelli, uno mi salta sui piedi, e mi martel<strong>la</strong>no di domande. Quasi tutti sono<br />

preoccupati di sapere se tornerò <strong>la</strong> prossima volta, prima che io inizi a par<strong>la</strong>re, a giocare<br />

con loro, a farli divertire. Percepisco <strong>la</strong> loro solitudine, <strong>la</strong> diversità di chi si è accorto che gli<br />

amici che vanno a trovarli ad un certo punto non hanno più il coraggio di farlo. Una<br />

bambina alta più o meno quanto un fagiolino mi tira il pantalone con <strong>la</strong> manina, mi chino<br />

proprio in basso con lo sguardo e zoomo il mio cuore per farci entrare solo lei: “Tornerai,<br />

vero?”<br />

L’impatto è forte. E’ stato meglio che io non ci abbia mai pensato fino ad ora, non l’avrei<br />

mai trovata <strong>la</strong> forza di varcare questa porta. E’ meglio che io abbia pensato solo a farmi<br />

bello agli occhi dell’assistente sociale più carina di tutta <strong>la</strong> città. Però adesso sono qui,<br />

sono il loro pagliaccio, sono l’Evento più allegro del<strong>la</strong> loro settimana intera, sono in ballo, e<br />

nessuno in questa città bal<strong>la</strong> meglio di me: forza Sergio, fai qualcosa di magico!<br />

Lo scoppio delle bombette li fa ridere e finalmente riesco a ottenere un po’ di silenzio:<br />

“Direttamente <strong>da</strong>l Circo Russo di Nonsodoviev, ecco a voi...” mi fermo e distribuisco<br />

strumenti musicali di p<strong>la</strong>stica ad ognuno “tu, tu, tu e tu, fate un rullo di tamburi per favore,<br />

tu, tu e tu, suonate queste trombette... dicevo, ecco a voi: il pagliaccio... Falchetti!”<br />

Ci sediamo sul tappeto in circolo e facciamo qualche giochino con le mani, quelli passati di<br />

generazione in generazione come “Vo<strong>la</strong> Gigino, vo<strong>la</strong> Gigetto” oppure “Cecco Bilecco<br />

monta sullo stecco”. Poi organizziamo un piccolo festival, ognuno partecipa con il suo<br />

strumento: i tamburelli, le trombette, <strong>la</strong> piano<strong>la</strong> con i tasti colorati, io dirigo il coro, e dopo<br />

un quarto d’ora di duro apprendimento siamo in grado di cantare <strong>la</strong> canzone degli Elefanti<br />

che si dondo<strong>la</strong>vano sul<strong>la</strong> ragnate<strong>la</strong> e <strong>la</strong> grande hit di tutti i tempi: Ci son due Coccodrilli ed<br />

un Orangutango. Quando qualcuno abbozza un comportamento insurrezionale, io lo<br />

fulmino con una lingua di Menelik e con una bombetta o lo acciuffo <strong>da</strong>l collo facendolo<br />

volteggiare per aria.<br />

Facciamo il trenino, trascinandoci carponi di stazione in stazione dove qualcuno si dà il<br />

cambio per salirmi sul<strong>la</strong> schiena. Poi ognuno di loro vuol farmi vedere i <strong>la</strong>voretti che hanno<br />

fatto negli ultimi tempi: le col<strong>la</strong>ne fatte con <strong>la</strong> pasta, rigatoni per i maschi, tubettini per le<br />

femminucce più vezzose, poi cornici per foto rivestite con ritagli di fumetti, qui Fantasma<br />

avrebbe potuto tenere una lezione!<br />

E… i disegni. Sono tutti uguali i disegni dei bambini, disegnano tutti lo stupido sole<br />

sorridente, <strong>la</strong> casa con il tetto triango<strong>la</strong>re e <strong>la</strong> famiglio<strong>la</strong> messa in posa, basta <strong>da</strong>vvero solo<br />

questo ad un marmocchio per stare bene. Per <strong>la</strong> prima volta <strong>da</strong> quando sono dentro mi<br />

viene <strong>da</strong> piangere. Perché? Perché esiste questo al mondo?<br />

Mi aveva avvisato lei: non pensare mai che siano bambini diversi <strong>da</strong>l normale, non provare<br />

mai compassione per loro, non è quello che gli servirebbe.<br />

Sono il pagliaccio Falchetti, devo farli ridere e non commiserare il loro desiderio di venir<br />

fuori di qui! Il bisogno qualunque di stare insieme ai genitori a bagnarsi di sole come nei<br />

disegni. Ora però ho bisogno di un caffè.<br />

Rientro rinvigorito, il caffè è <strong>la</strong> mia droga preferita. Non bado al<strong>la</strong> gente che guar<strong>da</strong><br />

sconvolta l’aggirarsi di un pagliaccio diretto sul balcone a fumarsi una sigaretta. Rientro<br />

con un vulcano di nuove idee per farli divertire: abbiamo rovesciato delle sedie per terra,<br />

creando un perimetro stretto e lungo. Subito a ridosso abbiamo sistemato un <strong>la</strong>go di<br />

cuscini e ci siamo messi tra le sedie, in fi<strong>la</strong> con le gambe incrociate, a remare in un mare<br />

immaginario. Ognuno di loro sceglie un posto dove an<strong>da</strong>re, si siede a turno al<strong>la</strong> gui<strong>da</strong><br />

del<strong>la</strong> maxi canoa e racconta quello che vede. Margherita ci ha portato a Parigi, abbiam<br />

55


fatto rafting giù per <strong>la</strong> Torre Eiffel, Gigino a Roma, abbiamo navigato dentro il Colosseo e<br />

a Piazza Navona, qualcuno <strong>da</strong>ll’immaginario più piccolo non se l’è sentita di an<strong>da</strong>re più in<br />

là del<strong>la</strong> spiaggia barese di Torre Quetta. E’ il mio turno dopo il piccolo Colino <strong>da</strong>gli occhi<br />

blu che ci ha gui<strong>da</strong>ti tra le acque gelide del Polo Nord, scansando orsi e trichechi.<br />

“Ci siamo, piccoli amici, miei prodi, remate più forte, le vedete, le vedete <strong>da</strong>vanti a noi le<br />

Cascate dell’Iguazù? Siamo in Su<strong>da</strong>merica, in Argentina” le cassette di Quark del<strong>la</strong><br />

mattina mi vengono in soccorso “Guar<strong>da</strong>te lì il tucano, guar<strong>da</strong>te, è l’unico uccello con un<br />

naso più grosso del mio. Ma ora tenetevi forte, miei marinai. Remate bambini, remate, e<br />

tenetevi stretti, il salto sarà di oltre cinquecentomi<strong>la</strong>miliardi di metri, stringetevi al vostro<br />

compagno, forza!”<br />

Poi mi alzo e tiro con forza il tappeto sotto i loro sederi facendoli roto<strong>la</strong>re. Prendo i cuscini<br />

e do il via ad una sfrenata battaglia, tutti contro tutti. E vaffanculo a questo mondo di<br />

mer<strong>da</strong>, penso mentre mi <strong>la</strong>scio abbattere <strong>da</strong> una cuscinata del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> Milly.<br />

56


7.<br />

E’ quasi ora di an<strong>da</strong>rmene quando vedo un marmocchio vestito <strong>da</strong> Batman stare dietro ai<br />

vetri immobile a guar<strong>da</strong>re verso l’alto. Mi avvicino.<br />

“Ciao, perché non vuoi giocare con noi, tu?”<br />

Non mi risponde e non si muove di un centimetro.<br />

“Mi dici almeno il tuo nome?”<br />

Niente. Ma il pagliaccio Falchetti ne sa una più del diavolo. Mi avvicino alle sue orecchie e<br />

sussurro.<br />

“Scusami, Batman, so che non puoi rive<strong>la</strong>re <strong>la</strong> tua identità segreta! Ma io scommetto che<br />

tu hai fame!”<br />

Si volta e mi guar<strong>da</strong>, Houston, <strong>da</strong>temi due palle così per resistere al<strong>la</strong> tentazione di<br />

scappare di fronte ad un marmocchio che piange.<br />

“Ti piacciono i sandwich con il tonno? Lo sai che io faccio i sandwich più buoni del<br />

mondo?”<br />

Silenzio.<br />

“Mettimi <strong>la</strong> mano in tasca, Uomo Pipistrello, senza farti vedere <strong>da</strong>gli altri, mi<br />

raccomando...” e gli strizzo l’occhio. Lui muove il braccio e sento le ditine che scavano<br />

nel<strong>la</strong> mia tasca, ne tira fuori un pacco di Marlboro e mi guar<strong>da</strong> perplesso.<br />

“Ah! Ah! Ci sei cascato! Amico, una buona sigaretta ti rimetterà in sesto!”<br />

Senza par<strong>la</strong>re ancora, si rivolta verso <strong>la</strong> finestra, si avvicina al vetro e segue con lo<br />

sguardo una nuvo<strong>la</strong> che si sbricio<strong>la</strong> per aria. Poi riabbassa <strong>la</strong> testa. Tiro fuori il mio<br />

ineguagliabile sandwich al tonno e glielo metto <strong>da</strong>vanti agli occhi. Ci mette un po’, poi lo<br />

afferra e si mette a rosicchiarlo in silenzio.<br />

“Lo sai mantenere tu un segreto, Batman?”<br />

Mi fa cenno di sì col capo!<br />

“Vedi, io... ho un problema! Ma mi vergogno ad ammetterlo. Però non devi dirlo a<br />

nessuno, ok?”<br />

Altro cenno affermativo, però questa volta si inizia a girare verso di me.<br />

“Vedi io ho un fiore, ho un fiore bellissimo, e lo devo rega<strong>la</strong>re al<strong>la</strong> mia fi<strong>da</strong>nzata... però<br />

questo è un fiore magico, guar<strong>da</strong>, odora!” glielo avvicino “Non senti niente, vero?”<br />

Risposta negativa.<br />

“E’ perché questo fiore ha un odore magico, che si sente solo se schiacci questa<br />

pompetta, ok?”<br />

Affermativo.<br />

“Allora, prima di rega<strong>la</strong>rlo al<strong>la</strong> mia fi<strong>da</strong>nzata, io volevo essere sicuro che il fiore avesse un<br />

buon profumo, però...” abbasso <strong>la</strong> voce “mi vergogno a farmi vedere che annuso un fiore,<br />

mi dovresti <strong>da</strong>re una mano! Ci stai?”<br />

Affermativo.<br />

Lo sollevo:<br />

“Voliamo Batman”<br />

“Batman non vo<strong>la</strong>! Superman vo<strong>la</strong>!” par<strong>la</strong> il marmocchio per <strong>la</strong> prima volta.<br />

Fantasma non avrebbe mai fatto un errore del genere.<br />

“Allora ce l’hai <strong>la</strong> lingua, tu!”<br />

Quasi sorride: sei grande, Pagliaccio Falchetti. Ci nascondiamo dietro un banco.<br />

“Quando io te lo dico, tu devi schiacciare <strong>la</strong> pompetta, tutto chiaro Batman?”<br />

Affermativo.<br />

“Hai paura?”<br />

Negativo.<br />

“Sei concentrato?”<br />

Affermativo.<br />

57


Mi avvicino il fiore al naso.<br />

“3... 2... 1... ora!”<br />

Lui schiaccia ed uno zampillo d’acqua viene fuori <strong>da</strong>l fiore colpendomi dritto nell’occhio<br />

verso dove miravo.<br />

Lui si mette a ridere, finalmente.<br />

Io fingo di arrabbiarmi e di rincorrerlo. Lo prendo e ci mettiamo seduti di nuovo <strong>da</strong>vanti al<strong>la</strong><br />

finestra.<br />

“Perché non vuoi giocare con gli altri bambini?” domando.<br />

“Perché loro sono brutti, io gioco solo con Ugo!”<br />

“Con Ugo?” mi guardo intorno “E Ugo? Dov’è ora Ugo?”<br />

“Lo sto cercando, adesso!” e guar<strong>da</strong> fuori verso le nuvole.<br />

Capisco subito. Mi si ge<strong>la</strong> il sangue. Rimango come un sasso che dopo un piccolo plonf<br />

affon<strong>da</strong> inerte nell’azzurro di un mare calmo. Cerco conforto in lui. Spero dica qualcosa<br />

che sia in grado di rincuorarmi. E’ <strong>da</strong>vvero un supereroe, si è accorto che sto male e mi<br />

passa il panino.<br />

“Hai fame anche tu, vero?” prendo il sandwich “Ugo è in cielo, ha detto mia mamma che<br />

Ugo adesso vive su una nuvo<strong>la</strong>.”<br />

“Su... su una nuvo<strong>la</strong>?” balbetto “Già... già!”<br />

“Però vedi? Le nuvole scompaiono, vedi? Guar<strong>da</strong> una nuvo<strong>la</strong>... si scioglie! E Ugo? Dove<br />

va, Ugo?”<br />

Sto zitto qualche secondo a guar<strong>da</strong>re con lui le nuvole sfi<strong>la</strong>cciarsi in un cielo sbiadito. Sto<br />

male, ma qualcosa devo pur dirglie<strong>la</strong>.<br />

“Batman... le nuvole non scompaiono, non lo sapevi? Guar<strong>da</strong> bene!”<br />

Me lo metto in braccio e afferro <strong>la</strong> sua mano per indicare fuori <strong>da</strong>l<strong>la</strong> finestra.<br />

“Vedi? Guar<strong>da</strong> quel<strong>la</strong> nuvo<strong>la</strong>, quel<strong>la</strong> a forma di orsetto, Ugo è lì sopra adesso! Vedi, segui<br />

il mio dito... La nuvo<strong>la</strong> non scompare, <strong>la</strong> nuvo<strong>la</strong> si sposta soltanto. Cambia forma, perché<br />

<strong>la</strong> sua forma <strong>la</strong> decide Ugo, e lui si sposta con <strong>la</strong> sua nuvo<strong>la</strong> in giro per il Mondo...”<br />

“Può arrivare anche in Australia? E’ lontana l’Australia?”<br />

“In Australia?”<br />

“Ugo dice sempre che vuole vedere un canguro! I canguri vivono in Australia, dice Ugo”<br />

“Bravo Batman, hai visto? Hai visto che lo sai? Quel<strong>la</strong> nuvo<strong>la</strong> sta per fare un lungo viaggio<br />

per arrivare a vedere i canguri, fino in Australia! E’ lontano, è un lungo viaggio, ma Ugo è<br />

in gamba, e ce <strong>la</strong> farà, però lui vuole che tu giochi con gli altri bambini nel frattempo, va<br />

bene?”<br />

Mi sorride e annuisce, io gli asciugo con il fazzoletto colorato gli occhi arrossati e gli<br />

restituisco il panino.<br />

Torno <strong>da</strong>gli altri bambini, Batman si alza e segue <strong>la</strong> nuvo<strong>la</strong> di Ugo <strong>da</strong>ll’altra finestra del<strong>la</strong><br />

stanza, finché <strong>la</strong> nuvo<strong>la</strong> si nasconde dietro un pa<strong>la</strong>zzo.<br />

Entra lei nel<strong>la</strong> stanza. Ha messo il camice. Mi fa segno che i bimbi devono mangiare.<br />

Li saluto con un ultimo scoppio di bombette e con le stelle fi<strong>la</strong>nti.<br />

Proprio prima di uscire sento che mi tirano <strong>la</strong> parrucca e mi giro:<br />

“Ugo non tornerà più, vero?” mi doman<strong>da</strong> Batman. Lei non mi ha detto cosa rispondere ad<br />

una doman<strong>da</strong> del genere e non so proprio cosa dire. Meglio star zitti.<br />

“Però tu... tu tornerai, vero?”<br />

Staccate <strong>la</strong> camera, non riprendete più, salvate il mito e censurate, perché John Wayne<br />

sta per piangere.<br />

58


8.<br />

“Come è an<strong>da</strong>ta?” mi chiede lei, e <strong>da</strong>l suo sguardo capisco che non c’è bisogno che le<br />

rispon<strong>da</strong>.<br />

“Non è giusto questo! Non è giusto!” le dico stando appoggiato con il braccio al<strong>la</strong><br />

macchinetta dell’ennesimo caffè, questa volta lo prendo con l’extrazucchero “Quanti di<br />

loro... insomma quanti?”<br />

“Potremmo far prima a dire quanti se ne sal<strong>vera</strong>nno... è dura, ti avevo avvertito.”<br />

Rimango muto, aspettando che qualcuno mi spieghi se tutto questo ha un senso.<br />

“Pranziamo insieme, ti va?”<br />

“Scusami, ma non me <strong>la</strong> sento...”<br />

“Ti capisco, io sono qui sempre.”<br />

“Tu sei un medico, tu sai spiegare anche perché c’è qualcosa che si ciba delle loro piccole<br />

vite... Tu sai riconoscere qual è <strong>la</strong> cellu<strong>la</strong> che sbal<strong>la</strong> e crea tutto ‘sto casino! Ma io no!” mi<br />

asciugo le <strong>la</strong>crime “Io non ci arrivo, io questa <strong>la</strong> trovo solo un’ingiustizia! Io non posso far<br />

nul<strong>la</strong>, tu non puoi far nul<strong>la</strong>, loro nemmeno, dobbiamo solo aspettare che si spengano<br />

come candele?”<br />

“Ti capirò se non vorrai tornare, Sergio!”<br />

Butto giù il caffè, le guardo il collo, ero venuto sin qui per poggiare le mie <strong>la</strong>bbra su quel<br />

collo, probabilmente. Qualcuno mi ha preso il cuore e me lo ha accartocciato.<br />

“Sei stato magnifico, e non è vero che tu non puoi far nul<strong>la</strong>, tu puoi tornare Sergio, tu puoi<br />

farli divertire, un sorriso sui loro volti vale più di qualsiasi cosa!”<br />

“Ora vado! Poi ci sentiamo, va bene?”<br />

“Ciao Sergio!”<br />

“Ciao Elena!”<br />

Non mi importa più nul<strong>la</strong> che <strong>la</strong> gente mi guardi stranita, neanche fossi uno che se ne va in<br />

giro vestito <strong>da</strong> pagliaccio. Mi rendo conto che sono uscito <strong>da</strong>ll’ospe<strong>da</strong>le senza neanche<br />

cambiarmi, ma non mi importa. Ho i miei vestiti nel<strong>la</strong> borsa, non ho avuto voglia di<br />

cambiarmi, <strong>vera</strong>mente non ho voglia <strong>da</strong>vvero di nul<strong>la</strong>, in questo momento. Riaccendo il<br />

telefono. La picco<strong>la</strong> busta che appare sullo schermino mi avvisa che ho un messaggio.<br />

“Houston, abbiamo un problema, Ulisse è sparito, penso sia nei casini, chiamami subito”,<br />

mittente: ovviamente Fantasma. E’ raro che Fantasma dica di non avere nessun<br />

problema. Fanculo, non ho voglia di chiamarlo. Sono stufo di chi dice di avere un<br />

problema. Non è il suo il problema, non è neanche di Ulisse il problema, o di Strillo, il<br />

problema è avere un cazzo di cancro che ti frul<strong>la</strong> il sangue a 5 anni, a 10 anni, il problema<br />

è quello, e non spipparsi di roba il cervello e camparsi con i soldi dello spaccio, non<br />

starsene il giorno ad inseguire gli ultimi pezzi musicali del<strong>la</strong> scena indipendente, non<br />

chiedersi quando troveremo <strong>la</strong> donna giusta cercando in una chat. In questo istante odio i<br />

miei amici, odio me stesso, odio il negozio ed il giorno in cui è entrata Elena con il suo<br />

marmocchio e i dodici bottoni.<br />

Non so perché, mi volto verso l’ospe<strong>da</strong>le, al<strong>la</strong> finestra del secondo piano un piccolo<br />

Batman mi saluta con il suo guanto nero. Mi saluta e sorride.<br />

E questo mi rimette in pace con il mondo.<br />

59


9.<br />

Mi sono fermato sul<strong>la</strong> panchina. Non avevo voglia di vedere <strong>la</strong> gente per stra<strong>da</strong> che litiga<br />

ai piedi di un semaforo. Non avevo voglia di passare <strong>da</strong>vanti alle scuole a fronteggiare<br />

eserciti di bambini fortunati che escono con i loro zaini mostruosamente carichi e dipinti.<br />

Mi sono fermato sul<strong>la</strong> panchina. Ad aspettare che il mondo riprendesse a girare, che<br />

ritornasse a dirmi all’orecchio quali sono i motivi per essere felice, che mi desse una<br />

risposta. Ci ha messo un po’, occhio e croce qualche centinaio di auto, poi ha ricominciato<br />

a muoversi in tondo, e mi ha sussurrato una paro<strong>la</strong>, proprio un piccolo soffio nel cuore.<br />

La paro<strong>la</strong> era il suo nome, Giorgia. La mia risposta viaggiava in una di quelle auto in co<strong>da</strong>,<br />

proprio come tutte le altre. Nel<strong>la</strong> sua macchinina, lei appariva stressata e distratta come<br />

tutti, probabilmente in quel momento desiderava solo che un bombar<strong>da</strong>mento <strong>da</strong>ll’alto<br />

eliminasse scientificamente tutte le auto che si frapponevano tra lei e casa sua. Non ho<br />

avuto forza di chiamar<strong>la</strong>, ma quando il mondo cospira perché succe<strong>da</strong> qualcosa di bello, a<br />

volte non c’è quasi bisogno che tu ti muova.<br />

Mi ha visto lei. Ha girato <strong>la</strong> testa a sinistra, verso <strong>la</strong> mia panchina, con <strong>la</strong> stessa attenzione<br />

con cui un secondo prima aveva guar<strong>da</strong>to <strong>da</strong>ll’altro <strong>la</strong>to un murale con il simbolo del<br />

Fronte del<strong>la</strong> Gioventù. Poi ha riguar<strong>da</strong>to avanti, giusto il tempo perché <strong>la</strong> mia immagine<br />

prendesse forma nel suo sguardo azzurro. A quel punto si è voltata di scatto ancora a<br />

sinistra, verso di me.<br />

E’ stato bellissimo leggere <strong>la</strong> sorpresa nei suoi occhi, nei suoi occhi blu come i pennelli di<br />

Picasso.<br />

Si è voltata verso di me, e ho vissuto cinque secondi che rivivrei in eterno. Ha abbassato il<br />

finestrino e si è messa a ridere. Cinque secondi in cui non c’erano più auto per lei. Beh,<br />

almeno non ce n’erano <strong>da</strong>vanti. Dietro ce n’erano eccome! Mister Cappottino Grigio e<br />

Cappello In Tinta, nel<strong>la</strong> posizione immediatamente alle sue calcagna, non ci ha messo<br />

molto a suonare <strong>la</strong> sua bitonale nelle orecchie del<strong>la</strong> mia picco<strong>la</strong> amica. Lei ha abbassato il<br />

finestrino si è sporta con i suoi capelli biondi spettinati ad arte, e gli ha detto:<br />

“E allora? Dove vuoi an<strong>da</strong>re?”<br />

Io mi sono fermato a guar<strong>da</strong>r<strong>la</strong>, l’immediatezza delle sue emozioni senza filtro. Ha messo<br />

<strong>la</strong> freccia, ha vissuto una strana guerra <strong>la</strong>mpo di gestacci con Mister Cappottino,<br />

sconfiggendolo grazie ad un raid in cui gli ha mostrato il dito medio, ed è entrata<br />

nell’ospe<strong>da</strong>le.<br />

E’ scesa <strong>da</strong>l<strong>la</strong> macchina, lo sportello ha cigo<strong>la</strong>to come un dinosauro appena risvegliatosi.<br />

“Ma che fai? Ma dove vai così vestito?”<br />

“Fantasma non vuole convincersi ad aggiustare <strong>la</strong> <strong>la</strong>vatrice, ed io ho finito le robe pulite!<br />

Mi rimane solo questo!”<br />

Tra le cose che più mi piacciono di lei, c’è <strong>la</strong> propensione a considerare normali,<br />

affascinantemente normali, alcune cose assurde. Come per esempio, un babbeo vestito<br />

<strong>da</strong> pagliaccio un mercoledì d’inverno.<br />

“Ma tu sei tutto scemo!” mi dice e sorride, ed io voglio scendere qui. Voglio fermare <strong>la</strong> mia<br />

<strong>vita</strong> e scendere qui, nell’istante in cui lei dice che io sono tutto scemo, in cui sorride, in cui<br />

le pubblicità di tutti gli spazzolini del mondo si contenderebbero il suo sorriso, invece no!<br />

Mi dispiace per loro, ma quel sorriso è solo per me. Solo per me.<br />

Lei è sicuramente <strong>la</strong> più importante tra le ragazze che hanno bal<strong>la</strong>to con me, quindi tra le<br />

mie ex. Ho chiesto in giro se ci siamo mai baciati, visto che se pure fosse già successo,<br />

sarei stato comunque troppo ubriaco per ricor<strong>da</strong>rmelo! Quello di cui posso essere sicuro è<br />

che io ci ho provato: ci provo con tutte, basta che ballino, statisticamente l’avrò fatto anche<br />

con lei che è bellina assai, quindi posso star tranquillo... <strong>la</strong> mia parte l’ho fatta. Il resto, se<br />

è successo qualcosa, se le è piaciuto, se ci hanno visti, non mi interessa.<br />

60


“Pranziamo insieme? Dai così mi cucini qualcosa!” mi doman<strong>da</strong>.<br />

Al giorno d’oggi diventa difficile trovare una ragazza a cui piaccia imbracciare mestoli e<br />

padelle, così il fatto che io me <strong>la</strong> cavi dietro ai fornelli moltiplica notevolmente il tasso<br />

d’interesse delle mie azioni!<br />

“Tu che mi <strong>da</strong>i in cambio?” il trucco più vecchio del mondo “Bacetto o scherzetto?”<br />

“Certo che vestito così, non sei il massimo”<br />

Io <strong>la</strong> guardo imponendo ai miei occhi un color verde dubbioso.<br />

“Intendo dire che non incarni precisamente l’oggetto sessuale dei miei sogni! Credo che<br />

opterò per lo scherzetto!” mi spiega e ride.<br />

La colpisco con l’acqua del mio fiore magico: “Allora beccati questo!”<br />

Quanto è bel<strong>la</strong> quando ride. Ma che ci faccio io alle donne?<br />

“Ci vediamo a casa mia! Seguimi, se riesci a starmi dietro!”<br />

Si rinfi<strong>la</strong> in auto, lo sportello già non cigo<strong>la</strong> più, probabilmente il dinosauro è ammutolito<br />

accorgendosi che in questo mondo tutti i suoi simili si sono estinti. Io mi avvicino a lei, sul<br />

sedile del passeggero c’è un gomitolo di <strong>la</strong>na <strong>da</strong>i toni celesti e blu, con dei ferri.<br />

“Ma che te ne fai di quelli?”<br />

“Smanetto ai semafori, sto <strong>la</strong>vorando ad una sciarpa, ottimizzo il mio livello produttivo nel<strong>la</strong><br />

contemporanea società del consumo capitalistico!”<br />

“Hasta <strong>la</strong> victoria!” <strong>la</strong> prendo in giro, alzando il pugno sinistro.<br />

“Siempre! Dai, muoviti, scemo!”<br />

Ridiamo insieme e lei parte. Ma sapete che mi piace <strong>da</strong>vvero quando mi chiama Scemo?<br />

Sto diventando autolesionista come l’opposizione di Governo?<br />

61


10.<br />

Le auto ricominciano a muoversi, e a suonare. La panchina, in cambio, resta immobile, <strong>la</strong><br />

fermata dove ho aspettato che <strong>la</strong> <strong>vita</strong> ripassasse a prendermi. A pensarci bene, non ho<br />

voglia di pranzare con lei. Credo che resterò un altro po’ qui. Passo a prendermi <strong>da</strong>l<strong>la</strong><br />

macchinetta un altro caffettino, fumo una nuova cicca e le scrivo un messaggio.<br />

“Mi ha chiamato il direttore del circo, l’elefante è un po’ depresso, si è innamorato di una<br />

pulce, mi tocca farlo ridere un po’, ci sentiamo nel we!”<br />

E’ ormai un pezzo che sto così. E’ un po’ che non provo passione, non mi riesce proprio di<br />

avvicinarmi ad una donna e ricominciare tutto <strong>da</strong>ccapo. E’ stata Eugenia a rubarmi tutto<br />

questo? Non lo so. Sono invecchiato? E’ probabile. Ho paura di stare bene con una<br />

ragazza? L’ipotesi mi convince!<br />

Quando sono con una donna mi sembra che costruire una re<strong>la</strong>zione consista nel seguire il<br />

proprio cuore, esattamente come se leggessi le istruzioni di montaggio delle tende che<br />

vendo in negozio, sembra semplice, no? Invece, no! Arrivo ad un certo punto, il te<strong>la</strong>io già<br />

montato, i teli distesi, quando solo mancano i picchetti, e mi blocca <strong>la</strong> paura. Che non<br />

dipen<strong>da</strong> <strong>da</strong> me. Che io possa mettere su tutte le tende del mondo, riempirle d’amore, ma<br />

che nul<strong>la</strong> possa fare il giorno in cui una scossa sismica di un nuovo utero torni a<br />

distruggere ogni cosa. E’ così, dunque? Molto verosimile.<br />

Io lo so bene, sono responsabile del reparto montagna: non esistono tende capaci di<br />

resistere alle scosse uterine.<br />

Ho smesso di cercare di capire le donne, adesso pare che non dipen<strong>da</strong> solo <strong>da</strong>l ciclo il<br />

loro umore, dicono che c’entrino qualcosa anche le fasi lunari. Impossibile avvicinare una<br />

donna quando c’è una luna nuova, lo dice una di quelle riviste che per solo un euro e<br />

mezzo pretendono di spiegarti come vivere il mondo. Le fasi lunari: come non bastasse<br />

tutto il resto!<br />

Lo scrivono su quelle magliette orribili <strong>da</strong> turisti beoni che vendono in Grecia, nelle vie<br />

piene di materassini appesi, occhiali <strong>da</strong> sole tarocchi e creme abbronzanti: dieci ragioni<br />

perché una birra è meglio di una donna. Io non lo credo, non lo credo affatto. A me piace<br />

stare con le signorine, frequentare insieme a loro il fondo valle del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>, il paesaggio<br />

fluviale di questa esistenza. E’ lì che mi bagno insieme a loro, è lì che ballo stringendo a<br />

me tutte le sere una diversa. Scambiamo risate, numeri di telefono e messaggini<br />

dolcemente ambigui. La cosa mi piace e non mi mortifica vedere che tutti fanno lo stesso,<br />

che qui nel<strong>la</strong> mia città ci si affanna a desiderare una <strong>storia</strong> con <strong>la</strong> stessa foga asettica con<br />

cui a Wall Street si commerciano le azioni. Sono anch’io un perverso utente del<strong>la</strong> New<br />

Economy sentimentale. Ma al di là del fondo valle, non so stare. Non ho mai voglia di<br />

prendere per mano una di loro, e, infischiandomene del suo umore, dell’incomprensibilità<br />

di fondo tra uomo e donna, del ciclo delle ovaie e di quello del<strong>la</strong> luna, provare a dirle:<br />

“Ehi, Giorgia: che ne pensi se provassimo ad arrampicarci sulle colline del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>, se<br />

an<strong>da</strong>ssimo insieme al<strong>la</strong> ricerca di nuovi paesaggi?”<br />

Credo che visto <strong>da</strong>ll’alto tutto abbia un altro senso: allontanarsi <strong>da</strong>l fondo del<strong>la</strong> valle, <strong>da</strong>l<strong>la</strong><br />

quota zero, innalzarsi, arrampicarsi, conoscere, viaggiare, farsi compagnia, sbozzare il<br />

blocco informe del<strong>la</strong> <strong>vita</strong> a scalpel<strong>la</strong>te d’amore fino a trarne figure meravigliose: però è già<br />

un po’ che questo non mi appartiene più.<br />

Colpa di Eugenia? Non lo so. Certo lei ha avuto poca cura per <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong>, ha tolto<br />

acqua ad una essenza preziosa, ha <strong>la</strong>sciato che seccasse e morisse. Salvo poi tornare ad<br />

innestare con paranoia nuova linfa in un terreno ormai arido. Questo <strong>da</strong>vvero mi ha<br />

fiaccato, però magari non è tutta colpa sua. Magari è solo che il mio amore ha cambiato<br />

ph, necessita di un humus nuovo, di terreno dove germogliare. Magari è così! Magari devo<br />

solo aspettare <strong>la</strong> persona giusta per risalire <strong>da</strong> questo fondo valle, bello quanto volete, ma<br />

62


a volte <strong>da</strong>vvero stagnante, perfino malsano in certi casi. Nel frattempo posso solo<br />

continuare a <strong>da</strong>nzare.<br />

Arriverà <strong>la</strong> persona giusta, anche se suona <strong>da</strong>vvero dolce e stucchevole come un cartiglio<br />

<strong>da</strong> Bacio Perugina, e sarà allora che <strong>la</strong>scerò questa valle di donne per intraprendere il<br />

piccolo sentiero dell’amore, dell’amore vero.<br />

Non faccio a tempo a finire di e<strong>la</strong>borare il mio concetto, che Giorgia è di nuovo qui.<br />

Parcheggia un’altra volta, apre lo sportello, il dinosauro sembra adesso <strong>da</strong>vvero incazzato,<br />

<strong>la</strong> rabbia che avrebbe l’ultimo uomo sul<strong>la</strong> terra, se si accorgesse che tutti gli altri sono<br />

partiti verso le stazioni orbitanti senza di lui. Scende <strong>da</strong>l<strong>la</strong> macchina.<br />

“Sergio!”<br />

“Giorgia!” mi rendo conto adesso di quanto i nostri nomi stiano male insieme, sono parole<br />

talmente stonate che in una poesia potrebbero abitare un verso solo insieme ad altre<br />

come p<strong>la</strong>gio, gorgheggia, fagioli e mangia: “Già, Giorgia mangia fagioli con Sergio”,<br />

l’endecasil<strong>la</strong>bo più brutto del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> mondiale del<strong>la</strong> poesia.<br />

“Se non ti muovi tu, non lo faccio neanche io!” dice, prendendo i suoi ferri e venendo a<br />

smanettare proprio al mio fianco sul<strong>la</strong> panchina.<br />

“Allora, ti devo dire cinque cose…” mi guar<strong>da</strong> inflessibile come il volo di una freccetta che<br />

centri il cerchio più piccolo, quello dei cinquanta punti.<br />

“Cinque?” <strong>la</strong> sua rarezza <strong>la</strong> rende amabile, chi mai nel mondo è stato avvicinato <strong>da</strong><br />

qualcuno che vuole raccontargli ben cinque cose?<br />

“Primo: se fossi venuto a casa mia a cucinare, mi sarei sdebitata proponendoti di farmi <strong>da</strong><br />

cavia visto che sto seguendo un corso per imparare a fare lo shatzu!”<br />

“E ti saresti sdebitata dopo avermi costretto a cucinare per te, pestandomi a sangue con i<br />

tuoi piedi? Questo tu lo chiami sdebitarsi?”<br />

“Non mi interrompere per dire cazzate, Sergio! Lo shatzu non ha niente a che vedere con i<br />

piedi!”<br />

“Chiedo scusa!” le dico sottovoce.<br />

“Secondo: puzzi di caffè terribilmente! Te lo dico <strong>da</strong>vvero, sembri un chicco appena tostato<br />

e, a giudicare <strong>da</strong>l tuo morale raggiante, appena macinato! Questo rende impossibile il<br />

pensare di avvicinarsi a te con secondi fini!”<br />

“Hai ragione, ne ho presi tanti che ho perso il conto” confesso “Ma è <strong>la</strong> mia droga<br />

preferita!”<br />

“Terzo, il punto più importante: a me piace <strong>da</strong>vvero stare insieme a te, ma non credere<br />

che mi aspetti che debba accendersi per forza qualcosa tra noi due! Intendo, senza girarci<br />

troppo attorno: non andrei mai a letto insieme a te, e penso che neanche tu lo faresti!”<br />

“No, infatti!” le mento, John Wayne si è ridestato e ha ripreso a recitare <strong>da</strong> Oscar.<br />

“Tu non sei uno di quelli che affol<strong>la</strong>no le lenzuo<strong>la</strong> delle studentesse fuori sede, forse Strillo<br />

e Ulisse sì, ma tu e quello magrolino…”<br />

“Fantasma!”<br />

“Sì Fantasma… ma ce l’ha un nome ‘sto Fantasma?<br />

“Sì, ma non si <strong>la</strong>scia più chiamare con il suo nome, non <strong>da</strong>gli amici per lo meno! S’incazza<br />

per <strong>da</strong>vvero se lo chiami per nome, lui ormai si presenta come Fantasma…”<br />

“Beh, non che mi interessi molto, ma né tu, né il Lenzuolino siete tipi che una donna<br />

vorrebbe mai accartocciare in una notte di sesso! Troppo poco arrapanti!”<br />

“Arrapanti?” domando sbigottito. Ormai le donne non hanno più paura di niente, a quanto<br />

pare.<br />

“Voi siete quelli dell’amore vero, quelli dell’amore che <strong>la</strong>scia il segno, che non si dimentica,<br />

non siete entità indefinite capaci di entrare nelle mutandine delle donne con l’esclusivo<br />

preciso scopo di fare il solletichino proprio lì! Quelli sono gli uomini che chiamo arrapanti!<br />

Ti è chiaro adesso?”<br />

Faccio cenno di sì con il capo, appena preoccupato, e domando:<br />

63


“Non capisco però se prenderlo come un complimento!”<br />

“Dipende <strong>da</strong> quello che cerchi in una donna!”<br />

Provo a spiegarle il mio punto di vista: “E’ impossibile trovare un uomo a cui non piaccia<br />

sentirsi desiderato… a me piacerebbe che il mio sguardo fosse un detonatore di tampax!”<br />

“Ah, ah!” ride.<br />

Che bel<strong>la</strong> Giorgia quando ride. Il suo fiato si rompe in una cascata improvvisa, è come se<br />

con <strong>la</strong> sua pettinatura decostruttivista riemergesse <strong>da</strong> un mondo triste nel quale non si ride<br />

mai, e finalmente, appena sbucata sul<strong>la</strong> superficie increspata di questo mondo potesse<br />

allora respirare. Una sirena che riemerge <strong>da</strong>ll’apnea appena in tempo per <strong>la</strong>nciare un<br />

affannoso grido di quanto sia bello vivere: ecco spiegata <strong>la</strong> sua risata.<br />

“Ah, ah! Ma tu sei tutto scemo!” di nuovo, e di nuovo mi piace <strong>da</strong> morire. Come può anche<br />

solo pensare che io non farei l’amore con lei?<br />

“Ma questo che c’entra adesso! A cosa dobbiamo questa mortificazione gratuita delle mie<br />

doti seduttive?”<br />

“Lo dico perché penso che tu interpreti un ruolo quando sei con me!”<br />

“Io sono come John Wayne, per me è <strong>la</strong> <strong>vita</strong> stessa che è un set” dico indurendo <strong>la</strong><br />

mascel<strong>la</strong>.<br />

“Stupido, non sto scherzando! Tu reciti <strong>la</strong> parte di quello che deve per forza corteggiare<br />

una ragazza carina come me!”<br />

Il discorso si complica ed io ne approfitto per accendermi una sigaretta. Lei ha iniziato a<br />

sferrettare, tic, tic, plink, intreccia fili celesti e blu, sembra avere energie per fi<strong>la</strong>re una<br />

sciarpa grande quanto il cielo intero.<br />

“Oggi sei triste, si vede... per questo ti ho chiesto se volevi venire a pranzo <strong>da</strong> me, tu non<br />

hai accettato perché pensi che questo pranzo debba inquadrarsi in uno schema che<br />

rappresenta <strong>la</strong> nostra re<strong>la</strong>zione. Uno schema in cui tu sei obbligato a corteggiarmi ed io a<br />

<strong>la</strong>sciarti fare, più o meno lusingata ed attratta!”<br />

Tiro una boccata più forte. Mi sembra una lezione del<strong>la</strong> nostra professoressa di filosofia<br />

del liceo. Per fortuna che, a differenza di quando io e Strillo sedevamo in prima fi<strong>la</strong>,<br />

almeno qui posso fumare.<br />

“E tu di questo oggi non ti senti capace, no?”<br />

“Direi di no…” adoro le domande retoriche, quelle in cui devi assecon<strong>da</strong>re una risposta<br />

scontata senza perdere tempo ad arrovel<strong>la</strong>rti per pensare.<br />

“E’ per questo che non vuoi venire, perché immagini di dover per forza continuare ad<br />

interpretare il tuo ruolo di Sergio con Giorgia! Riesci a capirmi?”<br />

“Forse, vai avanti e vediamo dove vuoi arrivare!”<br />

“Per questo ti dico, ok! A Bari quel<strong>la</strong> è <strong>la</strong> prassi: conoscersi, piaciucchiarsi, nascondere<br />

sotto un messaggio, uno scherzo, una birra sorridente, <strong>la</strong> voglia di portarsi a letto! Che ci<br />

si riesca o meno non importa, che si finisca a contendersi il lenzuolo dopo pochi minuti di<br />

rari orgasmi non è fon<strong>da</strong>mentale. Fon<strong>da</strong>mentale è giocare, recitare. Mostrarsi, stare sul<br />

palco. Riesci a capirmi?”<br />

“E’ come un paesaggio fluviale, no?” provo a doman<strong>da</strong>rle.<br />

“Un paesaggio fluviale?”<br />

“Sì! Tutti ci affanniamo nel fondo valle dell’amore, nessuno ha il coraggio di spingersi per i<br />

sentieri che si inerpicano tra le colline, nessuno prova a guar<strong>da</strong>re le re<strong>la</strong>zioni tra uomo e<br />

donna <strong>da</strong> un altro punto di vista, <strong>da</strong> un’altra quota! Rimaniamo tutti a bagnarci nel fresco<br />

scorrere di questo fiume di carteggio”<br />

“E’ precisamente questo! Per questo ti ho detto quello che ti ho detto: io con te in quel<br />

fiume non mi ci bagnerei mai. Non mi interessi <strong>da</strong> quel punto di vista. Non sei un<br />

detonatore di tampax, non in quel senso, almeno! Ma non credo che dovresti prenderte<strong>la</strong><br />

per questo. Non è un male, semplicemente alcuni nascono alti ed altri bassi, biondi o<br />

64


uni, arrapanti o non arrapanti. Ti è toccata <strong>la</strong> secon<strong>da</strong>. Non prenderte<strong>la</strong>! Se fossi stato<br />

basso cosa avresti fatto allora, ti saresti legato dei sassi alle gambe per fartele allungare?”<br />

“Forse mi hanno legato dei sassi al naso, a giudicare <strong>da</strong>i risultati!”<br />

“E allora ti dico, vieni a casa mia! Perché non mi interessa che tu sia triste e non possa<br />

corteggiarmi, non mi frega niente che tu oggi non hai <strong>la</strong> forza di farti bello ai miei occhi,<br />

perché anche se te ne ho <strong>da</strong>to l’impressione, io non ci verrei mai a letto con te. Anche se<br />

insieme recitiamo un ruolo in cui io me <strong>la</strong> tengo stretta con il sorriso, e tu allenti con il tuo<br />

corteggiamento <strong>la</strong> mia resistenza, sperando che prima o poi tutte le viti che serrano <strong>la</strong> mia<br />

presa vengano via e nul<strong>la</strong> più mi impedisca di <strong>da</strong>rte<strong>la</strong>!”<br />

Ha par<strong>la</strong>to tutto d’un fiato, adesso finalmente prende una pausa! Mi sento proprio come<br />

quel filo di <strong>la</strong>na che lei arroto<strong>la</strong> tra i suoi ferri, mi attorciglio e prendo un aspetto che non ha<br />

proprio alcuna forma: che senso ha quello che mi ha detto, come devo comportarmi?<br />

Sdrammatizzo:<br />

“Respira però ogni tanto!”<br />

Lei ride di nuovo, di nuovo <strong>la</strong> sirena risale sul pelo di questo mondo e prende aria ridendo,<br />

di nuovo quel suono magnifico, di nuovo gli occhi blu come i pennelli di Picasso, di nuovo i<br />

suoi capelli biondi.<br />

“Quarto?” domando.<br />

“Quarto?” ripete lei in tono interrogativo.<br />

“Dovevi dirmi cinque cose, ne hai dette tre fino ad ora!”<br />

“Hai ragione” e ride di nuovo, non è una rarità veder<strong>la</strong> sorridere ma è così bello che non<br />

riesco ad abituarmi.<br />

“Nel frattempo, però le cose sono diventate sei!”<br />

“Quarto!”<br />

“Quarto, è bellissimo quello che hai fatto oggi, se ho capito di cosa si tratta. Conosco un<br />

altro ragazzo che l’ha fatto, però lui non è più stato capace di tornarci una secon<strong>da</strong> volta!<br />

Non se l’è sentita! Sei an<strong>da</strong>to a trovare i bambini ma<strong>la</strong>ti di leucemia, vero?”<br />

Faccio cenno di sì con <strong>la</strong> testa. Avrei una voglia infinita di piangere sul suo petto, dopo<br />

aver fatto l’amore però!<br />

“Sei speciale, Sergio!” e mi bacia <strong>la</strong> guancia “Puzzi di caffè come un chicco macinato, ma<br />

questo bacio te lo meritavi <strong>da</strong>vvero!”<br />

Sorrido.<br />

“Non è vero che io non farei l’amore con te” le dico, con una naturalità che nul<strong>la</strong> ha a che<br />

vedere con i paesaggi fluviali! Via <strong>la</strong> maschera.<br />

“Quinto: io credo che tu dovresti proprio an<strong>da</strong>rci su quel sentiero. Che non sei fatto per<br />

stare qui in questo paesaggio fluviale, come lo hai chiamato tu. Che lì staresti meglio,<br />

Sergio!”<br />

La guardo, e… beh è chiara <strong>la</strong> mia doman<strong>da</strong>, non c’è bisogno che il mio sguardo si faccia<br />

paro<strong>la</strong>. Nell’occhio sinistro si legge benissimo “E”, nell’occhio destro “tu?”. Insieme<br />

compongono <strong>la</strong> mia doman<strong>da</strong> “E tu?”. Infatti, lei risponde senza che io apra bocca.<br />

“Io no, Sergio, io qua sto bene. Non l’ho scelto io. Mi piace. Mi piace e basta. Mi piace il<br />

fondo valle. Mi piace incontrare un uomo che porta con sé uno spiritello capace di<br />

solleticarmi le mutandine. Non l’ho scelto, mi capita e lo faccio. Mi piacciono gli uomini<br />

arrapanti, non pensare male di me!” si stinge nelle spalle.<br />

“Non penso male di te neanche un secondo, però nemmeno tu, non prenderte<strong>la</strong>, se ti<br />

chiedo di restare qui, di non chiedermelo un’altra volta di seguirti a casa tua! Non oggi!”<br />

“Mi <strong>la</strong>sceresti <strong>da</strong>vvero mangiare cordon bleu e spinaci surge<strong>la</strong>ti, allora?” di nuovo il respiro<br />

del<strong>la</strong> sirena.<br />

II mio broncio sta a significare: beh, mi dispiace però sì!<br />

Si rialza, distende <strong>da</strong>vanti a sé un quadrato di <strong>la</strong>na che presto sarà <strong>la</strong> sua sciarpa: ne ha<br />

aggiunto almeno un altro centimetro.<br />

65


“Hmmmm, di questo passo, in un paio di settimane di ora di punta sarà finita!” commenta<br />

soddisfatta.<br />

Rientra in macchina, il dinosauro dello sportello giace di nuovo assopito. Mette in moto, mi<br />

saluta con un bacio vo<strong>la</strong>nte che si perde in quei pochi centimetri che mi separano <strong>da</strong> lei.<br />

“Sesto?” domando quando il suo motore è già acceso.<br />

“Sesto?” mi ripete con un’eco inespressiva.<br />

“Avevi detto che erano diventate sei le cose!”<br />

“Ah, già! Volevo dirti che probabilmente se fossi venuto a casa avremmo finito con il fare<br />

l’amore! Le fasi lunari dicevano che oggi era il momento buono! Invece… mi dispiace,<br />

niente sesso! Almeno tu! Perché io invece… se mangio cibi surge<strong>la</strong>ti… vediamo un po’”<br />

guar<strong>da</strong> l’orologio, annuisce e mi fa un occhiolino “non è detto che non mi avanzi tempo per<br />

dedicarmi al sano vecchio autoerotismo!”<br />

Ora sono io che rido, quanti anni luce abbiamo percorso nell’Apollo <strong>13</strong>, doman<strong>da</strong>ndoci se<br />

le donne si masturbano.<br />

“Sto scherzando, scemo!” non c’è dubbio: è così bello farsi insultare che con il mio<br />

masochismo programmatico il posto <strong>da</strong> leader del centro sinistra alle prossime elezioni mi<br />

spetta di diritto.<br />

“Giorgia!” <strong>la</strong> fermo dopo che quasi abbatte un vaso dell’ospe<strong>da</strong>le in retromarcia.<br />

“Sergio!” rimette fuori <strong>da</strong>l finestrino i suoi capelli amabilmente fuori posto.<br />

“Ci siamo mai baciati, noi due?”<br />

“No, direi proprio di no!”<br />

“Ma… sei sicura che io non ci abbia mai provato?”<br />

“Certo che sì, almeno in un paio di feste…”<br />

“E tu mi…”<br />

“Ti ho allontanato!”<br />

“Ed io che ho fatto?”<br />

“Mi hai detto che ero una stronza e subito dopo ti sei messo a bal<strong>la</strong>re con una talmente<br />

chiatta, che se avessi avuto un lume avresti finito con il posarglielo in testa scambiando<strong>la</strong><br />

per un comodino!”<br />

Da dove le vengono in mente certe idee? Adoro <strong>la</strong> sua stranezza.<br />

“Lo sai che ti voglio bene, vero?” le chiedo<br />

“Immagino di sì!”<br />

“Dì un po’, tu che ph hai?” le domando a ciel sereno.<br />

Storce gli occhi, serra le <strong>la</strong>bbra come Paperino.<br />

“Non capisco!”<br />

“Ehi, Giorgia: che ne pensi se provassimo ad arrampicarci sulle colline del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>, se<br />

an<strong>da</strong>ssimo insieme al<strong>la</strong> ricerca di nuovi paesaggi?” le dico finalmente.<br />

“No grazie” e mi sorride di nuovo.<br />

Mica mi scompongo per un rifiuto io:<br />

“Io ti porterò via <strong>da</strong> questa valle fluviale un giorno! Diventerò talmente arrapante che nelle<br />

tue mutandine sembreranno esserci i fuochi di San Nico<strong>la</strong>!”<br />

“Tu invece lo sai che sei romantico, no?”<br />

“John Wayne è un duro, i duri non sono romantici, non dimenticarlo!”<br />

“Ciao scemo!”<br />

La sirena riemerge un’ultima volta. Prende aria, respira. Poi scompare di nuovo nel fondo<br />

del mare di un mondo in cui non si ride. Dal<strong>la</strong> mia panchina guardo <strong>la</strong> superficie piana<br />

dell’acqua, le onde concentriche che si allontanano <strong>da</strong>l punto in cui ha riso l’ultima volta. Si<br />

allontanano, stinte e flebili fino a scomparire, come il segno di una matita sotto il tocco di<br />

una gomma.<br />

Io resterò qui un altro po’. Più che John Wayne vado trasformandomi in Forrest Gump.<br />

66


11.<br />

Sono rimasto qui un paio d’ore, altri tre caffè con le rispettive tre cicche. Un numero vago<br />

di auto mi è sfi<strong>la</strong>to <strong>da</strong>vanti ed ho provato a contare le persone sorridenti, ma dopo un<br />

quarto d’ora ero fermo a tre ed ho rinunciato. Nel frattempo Elena è an<strong>da</strong>ta via<br />

<strong>da</strong>ll’ospe<strong>da</strong>le, “a prendere il bambino <strong>da</strong>l<strong>la</strong> baby sitter”, si è fermata un secondo, per dirmi<br />

che sapeva di potersi fi<strong>da</strong>re di me, e, con quello sguardo sotto vuoto che riescono ad<br />

avere solo i medici, ha aggiunto che non dovrei bere tutto quel caffè.<br />

Mi sono alzato appena, <strong>da</strong> vero cavaliere, quando si è accostata con <strong>la</strong> macchina, poi mi<br />

sono rimesso seduto sul<strong>la</strong> mia panchina, con <strong>la</strong> stessa inerzia con cui l’acqua prende <strong>la</strong><br />

forma del recipiente che occupa.<br />

Poi ad un certo punto, come se gli eventi del<strong>la</strong> mia giornata fossero stati l’esito di una<br />

conversazione tra un pensieroso Buñuel, una o più bottiglie di Rioja ed un Salvador Dali<br />

che allegramente si arroto<strong>la</strong>va tra le dita <strong>la</strong> punta dei suoi baffi, mi ha raggiunto un amico.<br />

Un tipo strano, uno che dopo essere scappato <strong>da</strong>l<strong>la</strong> sua cel<strong>la</strong> <strong>la</strong> mattina stessa di questa<br />

giornata <strong>da</strong> raccontare, di tanti posti nel mondo tra i quali scegliere quello in cui godersi <strong>la</strong><br />

sua libertà, ha optato proprio per <strong>la</strong> mia panchina.<br />

Indeciso se contare le 500 rosse, o i Vespini Special Color Pastello, ero assorto nel flusso<br />

delle auto con <strong>la</strong> stessa partecipazione emotiva che penso abbia un semaforo. Non mi<br />

sono quindi accorto del suo arrivo.<br />

“Oggi al Petruzzelli, Frank Sinatra!” mi ha richiamato <strong>la</strong> sua voce. Mi sono girato, ma<br />

ovviamente alle mie spalle non c’era nessuno. Ho pensato che probabilmente le overdose<br />

di caffeina iniziano a manifestarsi così: uno sente delle voci che inneggiano ai cantanti<br />

ormai morti, annunciandone <strong>la</strong> presenza in tour nel teatro bruciato del<strong>la</strong> propria città.<br />

Mi sono reso conto in quel momento che <strong>la</strong> mia panchina si trovava sotto un albero: non ci<br />

giurerei, non ne capisco molto, ma se qualcuno venisse <strong>da</strong> me per comprare quest’albero<br />

glielo venderei come una quercia o come un castagno. Chiaro: a secon<strong>da</strong> delle sue<br />

preferenze.<br />

“The Voice, qui al Petruzzelli” ho sentito niti<strong>da</strong>mente. La voce era raschiata, probabilmente<br />

simile a quel<strong>la</strong> che avrò tra quarant’anni se non mi deciderò a cambiare soprannome e<br />

continuerò a fumare i mozziconi di sigaretta dei miei amici.<br />

Questa volta mi sono accorto che <strong>la</strong> voce proveniva <strong>da</strong>l<strong>la</strong> chioma dell’albero, ho guar<strong>da</strong>to<br />

verso l’alto, tutto quello che riuscivo a scorgere era un fogliame verde chiaro che custodiva<br />

<strong>la</strong> mia risposta al<strong>la</strong> probabile intossicazione <strong>da</strong> caffeina. Non si muoveva nul<strong>la</strong>, se non per<br />

un vento pigro portato in giro tra gli edifici come una conversazione <strong>da</strong> parrucchiere, senza<br />

senso alcuno.<br />

Ho pensato che qualcuno avesse montato un altopar<strong>la</strong>nte tra i rami, che mi stessero<br />

facendo uno scherzo, ma l’eventualità che qualcuno si prendesse tutto quel disturbo per<br />

fare uno scherzo ad un pagliaccio triste era quasi più remota che le allucinazioni <strong>da</strong><br />

caffeina. Ho guar<strong>da</strong>to qualche altro secondo verso l’alto, per un attimo mi è sembrato che<br />

qualcosa si muovesse, poi le foglioline piccole e <strong>la</strong>nceo<strong>la</strong>te dell’albero sono ritornate<br />

immote, come in un presepe, ed io ho ripreso a decidere cosa contare, mentre dentro di<br />

me accarezzavo l’idea di tornare a trovare i piccoli dell’ospe<strong>da</strong>le insieme a quei tre balordi<br />

con cui divido <strong>la</strong> mia navicel<strong>la</strong>.<br />

Provavo sempre più forte <strong>la</strong> voglia di tornare con i piedi per terra, di mol<strong>la</strong>re Ulisse,<br />

Fantasma e Strillo al<strong>la</strong> loro deriva spaziale, di eliminare le presenze femminili <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia<br />

agen<strong>da</strong> del telefonino, di smettere di prendere in giro i miei clienti tentando di vendergli<br />

qualsiasi cosa, come se potessero riacquistare in offerta anche le loro stesse anime in una<br />

corsia del reparto montagna del<strong>la</strong> multinazionale degli sportivi.<br />

67


“Ngul a sort! 3 ” mi ha detto <strong>la</strong> voce.<br />

Ho riguar<strong>da</strong>to immediatamente verso l’alto e le foglie si sono mosse, come se l’elica di un<br />

frul<strong>la</strong>tore avesse preso a girare proprio al centro dell’albero.<br />

“Oh!” ho gri<strong>da</strong>to soltanto, poi le foglie si sono strette in un circolo, che si è aperto in un<br />

buco nero, e <strong>da</strong>l buco del culo di un castagno è spuntato fuori lui, che si è <strong>la</strong>nciato in<br />

picchiata verso di me. Istintivamente ho messo le mani <strong>da</strong>vanti al volto ed ho chiuso gli<br />

occhi per proteggermi <strong>da</strong>l proiettile nero che l’albero mi <strong>la</strong>nciava contro.<br />

Quando li ho riaperti, al mio fianco c’era un piccolo merlo, con le zampe arancioni sbiadite<br />

afferrate allo schienale del<strong>la</strong> panchina. Si muoveva di <strong>la</strong>to, avvicinandosi a me sempre di<br />

più, quasi volesse fare spazio al prossimo ospite bizzarro che sarebbe venuto a trovarci<br />

qui vicino.<br />

Sapevo che, nelle barzellette, in qualche film di serie B, nell’immaginario dei bambini,<br />

esistono gli uccelli par<strong>la</strong>nti, ma solitamente sono pappagalli, e mai avevo pensato che<br />

fossero <strong>da</strong>vvero in grado di farlo. Neanche nel<strong>la</strong> collezione di videocassette del nonno di<br />

Fantasma ci siamo mai imbattuti in qualcosa di simile.<br />

Ho guar<strong>da</strong>to il merlo, nero come una goccia di petrolio, con uno scintil<strong>la</strong>nte becco giallo e<br />

gli occhi piccoli ed acidi che mi fissavano.<br />

“Oggi al Petruzzelli, Frank Sinatra!” mi ha ripetuto, e cercavo di convincermi che quello<br />

fosse l’incontro più normale che mi era capitato in tutta una giornata che ancora chissà<br />

cosa mi avrebbe riservato.<br />

“Amico ma tu <strong>da</strong> dove vieni?” gli ho doman<strong>da</strong>to.<br />

Non mi stupiva il fatto che non si muovesse, che non se ne scappasse, del resto era lui<br />

che mi era venuto a cercare, che si era messo comodo al mio fianco. Non c’era motivo per<br />

pensare che se ne sarebbe vo<strong>la</strong>to per <strong>la</strong> paura se io gli avessi chiesto qualcosa.<br />

Il merlo continuava a spostarsi di <strong>la</strong>to, su e giù per <strong>la</strong> panchina come un tergicristallo,<br />

intento a spazzare <strong>da</strong>l mio parabrezza le on<strong>da</strong>te di pensieri che mi stavano investendo.<br />

“Petruzzelli!” mi ha risposto.<br />

“Allora vediamo un po’! Tu vieni <strong>da</strong>l Petruzzelli, e sei fan di Frank Sinatra!”<br />

Il merlo taceva e continuava a passeggiare, ogni volta arrivandomi più vicino.<br />

“Forse però non sai che il Petruzzelli è an<strong>da</strong>to in fiamme più di dieci anni fa, che i colpevoli<br />

non sono mai stati trovati, che il restauro giace incompiuto e che per di più Frank Sinatra è<br />

morto, anche lui non <strong>da</strong> poco!”<br />

“La fess d mamt! 4 ” mi ha risposto, con <strong>la</strong> testar<strong>da</strong>ggine di un fan che non vuole accettare<br />

<strong>la</strong> morte del suo idolo.<br />

Effettivamente Frank Sinatra, The Voice, più o meno nel<strong>la</strong> prima metà degli anni ’80 aveva<br />

tenuto un concerto nel Petruzzelli come unica <strong>da</strong>ta italiana di una sua tournee.<br />

Quel<strong>la</strong> era <strong>la</strong> Bari Socialista di vent’anni fa, <strong>la</strong> Bari capitale del<strong>la</strong> specu<strong>la</strong>zione edilizia, polo<br />

commerciale che attirava su di sé le ricchezze di una provincia in espansione. Era <strong>la</strong> Bari<br />

che voleva mettersi in vetrina, contendere a Napoli il primato del Sud, che stava attenta a<br />

rifarsi il trucco, a ripulire <strong>la</strong> propria facciata. Uno straordinario colpo di rossetto e di<br />

mascara, questo era stato il concerto di Frank Sinatra, un forma archeologica di marketing<br />

urbano, presto rientrata nei ranghi. Liquefattosi il trucco, Bari aveva rimostrato <strong>la</strong> sua <strong>vera</strong><br />

faccia, <strong>da</strong> mignotta malpagata. Avremmo di lì a poco rubato il primato a Napoli, ma solo<br />

per quanto riguar<strong>da</strong> il numero degli scippi.<br />

Poi sarebbero arrivati Urban ed i soldi del<strong>la</strong> comunità europea, il sin<strong>da</strong>co avrebbe tentato<br />

di fare di Corso Vittorio Emanuele <strong>la</strong> ramb<strong>la</strong> di Bari, finendo invece con il trasformare il<br />

centro antico in una succursale commerciale di quegli shopping mall a tema che si<br />

concentrano a Las Vegas, quelli in cui ti ricostruiscono con ingresso riservato una Venezia<br />

a sca<strong>la</strong> di consumo. La gente, affascinata <strong>da</strong> nastri e lustrini, <strong>da</strong>i Capo<strong>da</strong>nno in Piazza e<br />

3 In culo a tua sorel<strong>la</strong>!<br />

4 La fessa di tua madre!<br />

68


<strong>da</strong> Festa d’Estate avrebbe riconfermato lo stesso sin<strong>da</strong>co a capo del<strong>la</strong> città,<br />

dimenticandosi di in<strong>da</strong>gare su chi possedesse <strong>la</strong> metà degli edifici del centro storico, il cui<br />

valore aumentava vertiginosamente, non accorgendosi di come <strong>la</strong> Bari degli Specu<strong>la</strong>tori<br />

Edilizi non aveva mai abbandonato <strong>la</strong> scena, ma anzi, si preparava con maestria ad<br />

assestare il vero assalto finale al<strong>la</strong> nostra costa, allo skyline anonimo di una città in<br />

vendita, <strong>la</strong> costruzione di Punta Perotti. Il tutto sotto l’abile tute<strong>la</strong> del Governatore,<br />

complice non meno degli altri, nel tute<strong>la</strong>re <strong>la</strong> rovina del paesaggio urbano o territoriale che<br />

fosse, con l’approvazione di una nuova magnifica legge sul condono edilizio.<br />

Votate Simeone, votate pure, il vostro Capo<strong>da</strong>nno in piazza non ve lo toccherà nessuno…<br />

Aveva senso stare a spiegare tutto questo al merlo?<br />

Non lo so, ma quando ebbi finito con <strong>la</strong> mia retorica <strong>da</strong> due soldi, il merlo mi guardò dritto<br />

negli occhi, potrei giurarlo, e mi rispose di nuovo:<br />

“Ngul a mamt!”<br />

Non c’era <strong>da</strong>vvero altro <strong>da</strong> dire!<br />

69


12.<br />

Adoro le cose strane, e probabilmente era stato questo il motivo stesso per il quale il merlo<br />

era venuto a passare le sue due ore di libertà proprio con me, sul<strong>la</strong> mia panchina. Sapeva<br />

che non avrei perso tempo a cercare di spiegare il motivo che l’aveva portato <strong>da</strong> me,<br />

percepiva che con quello strano individuo fossilizzato con un costume <strong>da</strong> clown su una<br />

panchina avrebbe potuto farsi due chiacchiere su Frank Sinatra e sul Petruzzelli. Certo, a<br />

contrariarlo finiva male <strong>la</strong> conversazione: se non annunciava il concerto di The Voice,<br />

potevo star certo che apriva il becco solo per bestemmiare contro mia madre o mia<br />

sorel<strong>la</strong>.<br />

Probabilmente <strong>la</strong> mia tenuta bizzarra è stata anche il motivo che ha portato una Renault 5<br />

completa di ogni alettone immaginabile a svoltare ed entrare nell’ospe<strong>da</strong>le. Due tipi sono<br />

scesi <strong>da</strong> un’auto, è rimasta in macchina solo <strong>la</strong> voce di Gigi D’Alessio che chiedeva scusa<br />

se a volte è stato con lei persino romantico. Uno dei due tizi vestiva una tuta di un colore<br />

appena messo a punto, una sorta di prototipo di una sfumatura di giallo accecante. Era<br />

grosso ed allegro, <strong>la</strong> faccia arrossata <strong>da</strong>ll’alcool. C’era più oro addosso a lui che nel<strong>la</strong><br />

cassetta di sicurezza in cui conservo i gioielli che mi hanno rega<strong>la</strong>to i parenti per<br />

Battesimo, Comunione e Cresima. Tutto sommato, però, faceva meno paura dell’altro, uno<br />

magrolino <strong>da</strong>llo sguardo svelto e cattivo, anche lui in tuta, ma con un grosso montone che<br />

lo copriva fino al ginocchio.<br />

“Frankie! La fess d sort!” ha ur<strong>la</strong>to il grosso verso il merlo, senza ba<strong>da</strong>re affatto al<strong>la</strong> mia<br />

presenza clownesca.<br />

Lui ha ovviamente risposto:<br />

“Ngul a mamt!” il suo vocabo<strong>la</strong>rio era basico ma si adeguava perfettamente ad ogni forma<br />

di conversazione.<br />

Mi si sono presentati dicendo che stamattina il merlo era scappato <strong>da</strong>l<strong>la</strong> gabbia non<br />

appena l’avevano aperta per cambiargli il giornale che ne rivestiva il fondo, che avevano<br />

fatto bene a non pulirglie<strong>la</strong> mai prima d’allora, perché quel “figlio di cornuta” non aspettava<br />

altra occasione per scappare.<br />

Senza indugiare lo hanno catturato con uno di quei retini che io usavo <strong>da</strong> piccolo per<br />

prendere i granchi sugli scogli di Torre a Mare. Il pennuto non ha opposto resistenza,<br />

probabilmente sapeva anche lui che lo avrebbero ripreso.<br />

Compiuta <strong>la</strong> caccia i due si sono rimessi in macchina e stavano già per an<strong>da</strong>r via, non<br />

prima che il grosso mi prendesse in giro.<br />

“Uaglio, ma non si fmann tutt sti spnidd 5 , se no, non ti accorgi <strong>la</strong> mattina dei vestiti che ti<br />

metti!” mi ha detto, mentre il magro sghignazzava.<br />

Non mi sono scomposto, e mi sono messo a ridere, <strong>la</strong>nciando un’occhiata commossa alle<br />

tendine con <strong>la</strong> faccia di una tigre ruggente, che insieme al rivestimento del vo<strong>la</strong>nte in pelo<br />

sintetico, ed ai corni rossi appesi allo specchietto capaci di catalizzare l’intera energia<br />

positiva del<strong>la</strong> nostra città, rendevano quel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> Renault 5 a due marmitte, un’icona, o<br />

forse una caricatura, del<strong>la</strong> baresità spiccio<strong>la</strong>.<br />

Poi però li ho fermati, rischiando anche di farmi investire. Forse era inutile e sarebbe<br />

servito solo a rovinarmi il sapore surreale di quel momento, ma volevo saperne di più:<br />

“Scusa capo! Ma il merlo perché par<strong>la</strong> di Frank Sinatra?”<br />

“Tu quand’ann tin?” mi ha doman<strong>da</strong>to squadrandomi il ciccione.<br />

“27” ho risposto.<br />

“Tu non dua rcurd u ngendj du Petruzzidd! 6 ”<br />

“Si, che me lo ricordo!”<br />

5 Ragazzo, non fumare tutti questi spinelli!<br />

6 Tu non te lo ricordi l’incendio del Petruzzelli?<br />

70


“Il merlo prima stava dentro al teatro, nell’ingresso! Era il merlo del Petruzzelli! Dice che<br />

viene <strong>da</strong>ll’India, è un merlo rarissimo!”<br />

“Impara le frasi che sente di più!” interviene l’altro.<br />

“La <strong>storia</strong> di Frank Sinatra l’ha sentita tante volte, che al<strong>la</strong> fine <strong>la</strong> sa di memoria!” si<br />

palleggiano le informazioni i due compari.<br />

“Le paro<strong>la</strong>cce gliele ho imparate io!” dice il ciccione che mostra un sorriso senza l’incisivo<br />

superiore sinistro.<br />

Poi dà una lunga botta d’acceleratore con il cambio ancora a folle. Il povero Frankie, è<br />

passato <strong>da</strong>l retino al<strong>la</strong> gabbia senza più par<strong>la</strong>re, non dice nemmeno più paro<strong>la</strong>cce.<br />

Rimane un’ultima cosa <strong>da</strong> sapere, per fermarli mi rimetto <strong>da</strong>vanti al muso del<strong>la</strong> Super5,<br />

rischiando un ginocchio, ma poco mi importa.<br />

“Scusa U mé! 7 ”<br />

“Uaglio, mo dia scazza! Di, qual je u fatt? 8 ”<br />

“Ma come ci è arrivato il merlo a casa vostra?”<br />

“Pagliaccio, tu vuoi sapere troppe cose!” mi intima il magro con disprezzo.<br />

“Mè, je nu brav uagnon, je nu muerst stran, ma dingiw bun bun u fatt! 9 ” mi sponsorizza<br />

l’altro.<br />

“Quando hanno appicciato 10 il teatro, canatm 11 faceva il parcheggiatore del teatro, quando<br />

arrivarono i pompieri, uscirono il merlo <strong>da</strong>ll’ingresso e non sapevano che farsene. Mio<br />

cognato disse che lo potevano <strong>la</strong>sciare a lui, che glielo <strong>da</strong>va dopo al capo. Prese e se ne<br />

andò, invece!”<br />

“Poi suo cognato lo perse alle carte con me!” ride orgoglioso il più simpatico dei due “e io<br />

gli ho imparato le paro<strong>la</strong>cce! Fai sentire a questo shockato Frankie: u cuedd dj a torc u<br />

cuedd dj a torc! 12 ” e si avvicina al merlo con le mani fingendo di strozzarlo.<br />

“Ngul a mamt!” risponde il merlo spostandosi <strong>da</strong>ll’altro <strong>la</strong>to del<strong>la</strong> gabbia.<br />

“Visto? Troppo forte, eh!” come se <strong>la</strong> spassa ‘sto tipo.<br />

Mi sposto <strong>da</strong>l<strong>la</strong> loro traiettoria, e gli libero <strong>la</strong> stra<strong>da</strong>.<br />

“Uaglio, vadd a vist bun bun, <strong>da</strong>vess a vde mamt che g ven <strong>da</strong> chiang! <strong>13</strong> ” mi consiglia<br />

bonariamente il mio amico.<br />

L’ultimo <strong>la</strong>mpo di genio attraversa <strong>la</strong> mia mente.<br />

“Scusa, ma il merlo, Frankie, era nel teatro, hai detto, era nel teatro, quando hanno<br />

appiccato l’incendio, no?”<br />

I due tacciono.<br />

“Quindi ha visto tutto? Frankie ha visto tutto! Sa chi è il bastardo che ha bruciato il<br />

Petruzzelli!” incalzo io, come un investigatore di una squalli<strong>da</strong> serie di gialli.<br />

“Uaglio’ tu fai troppe domande, te l’ho detto! E qualche giorno… quelli come a te, non si sa<br />

dove vanno a finire!” mi ringhia il compare del gui<strong>da</strong>tore.<br />

L’altro mette un braccio fuori <strong>da</strong>l finestrino, mi prende <strong>da</strong>l collo, e mi avvicina al suo fiato in<br />

cui <strong>la</strong> birra ristagna come l’odore del pesce in un mercato ittico:<br />

“Sind a fratt, non zi fmann l spnidd! Che a mamt g chiang u cor! 14 ” e inserisce <strong>la</strong> marcia, dà<br />

un ultimo paio di pigiate chiassose all’acceleratore prima di an<strong>da</strong>r via.<br />

Ma l’ultima paro<strong>la</strong> di questo dialogo strano, a chiudere un circolo in cui ogni cosa trova il<br />

suo senso proprio <strong>la</strong>ddove lo perde, spetta al merlo. Forse ripete solo l’ultima frase che ho<br />

7<br />

Scusa, Maestro!<br />

8<br />

Ragazzo, ora ti schiaccio, dì, qual è il fatto?<br />

9<br />

Dai è un bravo ragazzo, è un po’ strano, però raccontaglielo per bene il fatto!<br />

10<br />

Acceso.<br />

11<br />

Mio cognato.<br />

12<br />

Il collo ti devo torcere, il collo ti devo torcere.<br />

<strong>13</strong><br />

Ragazzo, vatti a vestire per bene, ti dovesse vedere tua madre che le verrebbe <strong>da</strong> piangere!<br />

14<br />

Dai retta a tuo fratello, non fumare gli spinelli! Che a tua madre le piange il cuore!<br />

71


detto io, forse no, fatto sta che mi guar<strong>da</strong> di nuovo e mentre loro vanno via con le loro<br />

ruote pronte a fischiare, mi dice:<br />

“Frankie ha visto tutto! Frankie ha visto tutto! La fess d sort!”<br />

72


<strong>13</strong>.<br />

Mi rimetto seduto. Dopo un po’ squil<strong>la</strong> il cellu<strong>la</strong>re, un’on<strong>da</strong> telefonica che arriva chissà <strong>da</strong><br />

dove ha puntato dritto verso di me e tenterà di travolgermi per allontanarmi <strong>da</strong>l dolce<br />

torpore del<strong>la</strong> mia panchina <strong>da</strong> pagliaccio. Se è Fantasma non rispondo, se sono i miei<br />

nemmeno. In questo momento non ho voglia di par<strong>la</strong>re con nessuno.<br />

Non è Fantasma, non sono i miei.<br />

Perché? Perché continua a farmi questo? Perché non mi <strong>la</strong>scia in pace?<br />

“Pronto?” provo a dire con un fiato di voce che non ha più forza di opporsi.<br />

“Pronto!” <strong>la</strong> sua, di voce, risuona netta e forte come quel<strong>la</strong> di un condottiero romano che<br />

ordini i movimenti precisi delle fa<strong>la</strong>ngi pronte ad attaccare. Ma io di combattere non ho più<br />

voglia.<br />

“Pronto, mi sembra che ci siamo! Io lo sono, tu anche, che c’è?” le mie parole suonano<br />

lente, impercettibili come sul pelo dell’acqua le virate di un sottomarino che strisci<br />

duecento metri più in basso.<br />

“Stai bene?”<br />

“Avrò giorni migliori, questo è certo!”<br />

“Perché hai <strong>la</strong> voce così bassa?”<br />

“E’ un po’ che non par<strong>la</strong>vo!” mi fermo, c’è bisogno di dirle che sono vestito <strong>da</strong> clown e che<br />

ho appena conosciuto un merlo che potrebbe sve<strong>la</strong>re il mistero del Petruzzelli? Credo di<br />

no!<br />

“Mi devi dire qualcosa?” <strong>la</strong> sua voce suona investigativa, come se <strong>da</strong>l telefono stesse<br />

scan<strong>da</strong>gliando <strong>la</strong> mia anima e riportasse a gal<strong>la</strong> delle sensazioni <strong>da</strong>l<strong>la</strong> forma indefinita a<br />

cui pretende di <strong>da</strong>re un nome.<br />

“Basicamente…” mi fermo. Sto avendo <strong>da</strong>vvero un calo di voce, le mie parole sono<br />

talmente basse che se lei ora fosse qui con me sul<strong>la</strong> panchina e venisse un po’ più vicino<br />

potrebbe sentirle mentre le accarezzano le guance… Provo a raschiare <strong>la</strong> go<strong>la</strong>, ma è<br />

come spa<strong>la</strong>re una viuzza sgombera <strong>la</strong>rga solo pochi centimetri lungo una stra<strong>da</strong> sporca di<br />

catrame. Devo smettere di fumare, devo trovarmi un altro soprannome.<br />

“Basicamente, se tu mi chiami si suppone che sia tu a dovermi dire qualcosa! No?”<br />

Odio questi giochi, odio le persone che non conoscono l’uso del segmento retto come<br />

mezzo più breve per an<strong>da</strong>re <strong>da</strong> un punto all’altro e si complicano <strong>la</strong> <strong>vita</strong> girando in tondo<br />

alle questioni per sentieri tortuosi.<br />

“Cosa dovrei dirti?” domando.<br />

“Dove sei?”<br />

“Su una panchina!”<br />

“Una panchina?”<br />

“Uno schienale, una tavo<strong>la</strong> per poggiare il culo e quattro zampe! Ne hai mai vista una?”<br />

“Non fare il cretino! Ti sembra normale stare su una panchina alle quattro di pomeriggio?”<br />

“La panchina è l’elemento più normale del<strong>la</strong> mia giornata di oggi!”<br />

“Con chi sei?”<br />

“Solo! Ma che ti importa? Cosa vuoi?”<br />

“Perché menti?”<br />

“Eh?” tutto il fastidio di cui sono capace provo ad esprimerlo con un monosil<strong>la</strong>bo.<br />

“So che non sei solo!”<br />

Mi viene giù una risata, eppure sono io il pagliaccio, sono io che dovrei dire cazzate!<br />

“Sei con quel<strong>la</strong> lì!”<br />

“Adesso basta, Eugenia!” mi alzo <strong>da</strong>l<strong>la</strong> panchina. Come potrò mai riuscire a smettere di<br />

fumare, se poi mi fanno innervosire in questo modo? La cicca è già accesa tra le mie<br />

<strong>la</strong>bbra, e per una ventina di secondi, <strong>la</strong> nostra conversazione si artico<strong>la</strong> come una lunga<br />

pausa di fumo scandita <strong>da</strong>lle mie boccate.<br />

73


“Ti ho visto, un’ora e mezzo fa. Tornavo a casa e non riuscivo a credere ai miei occhi, ma<br />

quello eri proprio tu! Vestito <strong>da</strong> pagliaccio a fare lo scemo con una puttanel<strong>la</strong>, che rideva<br />

come una scimmia caricata con <strong>la</strong> cor<strong>da</strong>!”<br />

“Eugenia, non hai nessun diritto di par<strong>la</strong>rmi così, non hai nessun diritto di chiamarmi, di<br />

doman<strong>da</strong>rmi e addirittura di non credermi, hai capito o no, che non ce <strong>la</strong> faccio più? Vuoi<br />

dirmi una volta per tutte cosa vuoi <strong>da</strong> me?”<br />

Silenzio.<br />

“Non è correndo dietro alle sottane svo<strong>la</strong>zzanti che ritroveremo <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong>!” dice.<br />

“E’ quello che vuoi tu? Ritrovare <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong>? Lo vuoi <strong>da</strong>vvero?”<br />

“Non lo so, non lo so, Sergio, io non ho chiaro niente, solo che non voglio perderti, solo<br />

che non voglio vederti buttare il tuo amore tra le cosce di quel<strong>la</strong> mangia uomini!”<br />

“Non mi interessa più quello che non vuoi Eugenia! Sai quello che vuoi? Rispondi o non<br />

chiamarmi più!” sto stringendo il cellu<strong>la</strong>re tra le dita come il collo di un uccel<strong>la</strong>ccio che<br />

vorrei soffocare in questo momento…<br />

Silenzio.<br />

“Te l’ho sempre detto, picco<strong>la</strong>” come suona stonato questo nome “te l’ho detto che <strong>la</strong> cosa<br />

più triste è che mi avresti rivoluto <strong>da</strong>vvero solo nel momento in cui ti fossi accorta che mi<br />

stavi perdendo! Mi fa pena questo, io credevo che sei anni passati insieme meritassero<br />

un’onestà maggiore <strong>da</strong> parte tua!”<br />

“Io ti dico questo perché ho chiaro quello che siamo stati…”<br />

“Una <strong>storia</strong> non è una gita ad un santuario di sensazioni, non è visitando con <strong>la</strong> mente le<br />

reliquie di quello che siamo stati che potremo nutrire <strong>la</strong> nostra re<strong>la</strong>zione!”<br />

“Io forse ho voglia di riscriver<strong>la</strong> <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong>!”<br />

“Sai qual è <strong>la</strong> cosa brutta Eugenia?”<br />

Silenzio.<br />

“Che anche io lo vorrei, ma ormai non si può, ormai è come se mi avessero cambiato <strong>la</strong><br />

posizione delle lettere sul<strong>la</strong> tastiera… E penso sia stata tu, durante questi due ultimi anni e<br />

mezzo a mesco<strong>la</strong>re le lettere. Posso provare a scrivere una paro<strong>la</strong> insieme a te, ma non ci<br />

riesco, cerco con le dita i caratteri giusti, ma non li trovo, non sono al loro posto e, al<strong>la</strong> fine,<br />

<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> che scrivo è ine<strong>vita</strong>bilmente diversa <strong>da</strong> quel<strong>la</strong> che vorrei, <strong>da</strong> quel<strong>la</strong> che scrivi tu!”<br />

“Mi dispiace Sergio…”<br />

“Non ho più voglia di sentirti dire che ti dispiace, non ho voglia di sentirti dire nul<strong>la</strong>, avrei<br />

solo voglia di non sentirti più! Avrei solo voglia di incontrare una bel<strong>la</strong> sensazione quando<br />

ti trovo nei miei pensieri, magari soffrire, rimpiangere, ma ci hai messo due anni e mezzo<br />

per dirmi questo e ti devi assumere le tue responsabilità. Io questi trenta mesi li ho passati<br />

a sperare, trenta mesi a sanguinare senza che ti accorgessi di nul<strong>la</strong>. Ti bastava guar<strong>da</strong>rmi<br />

e accorgerti di quanto stessi male, per giungere al<strong>la</strong> conclusione che tanto ero lì ad<br />

aspettarti… ad aspettare il dira<strong>da</strong>re del<strong>la</strong> tua nebbia” dico questa paro<strong>la</strong>, nebbia, mentre<br />

butto fuori l’ultima boccata di fumo, quasi fosse una diapositiva del mio discorso.<br />

“Ed io, lì ci sono stato <strong>vera</strong>mente, e ho continuato a sanguinare, a sanguinare, e quando il<br />

mio sangue era finito, ho chiesto trasfusioni per continuare a sanguinare per te, e ho<br />

continuato a sperare! Fino a che sangue non ce n’era più, fino a che le vene si sono<br />

talmente ispessite per il dolore, che ormai il sangue non riesce più a scorrere…”<br />

Silenzio.<br />

“Poi… ad un certo punto… niente, c<strong>la</strong>k!”<br />

Silenzio.<br />

“C<strong>la</strong>k?” ripete una voce che è come una remata che si fa <strong>la</strong>rgo tra le <strong>la</strong>crime che è<br />

incapace di versare.<br />

“C<strong>la</strong>k, si cambia… un giorno i tuoi pensieri si sbloccano, fanno <strong>da</strong>vvero il rumore di un<br />

ingranaggio, e non c’è un motivo partico<strong>la</strong>re che abbia oliato le rotelle, è solo l’inerzia che<br />

consuma un sentimento. C<strong>la</strong>k. Semplicemente!”<br />

74


Silenzio.<br />

“C<strong>la</strong>k…” un altro colpo di remo nel<strong>la</strong> sua voce.<br />

“Un giorno ti svegli e ti accorgi che ti sei sbagliato, che non ne vale <strong>la</strong> pena. Mi sono<br />

accorto che <strong>la</strong> tua indecisione non mi piace più, che mi infastidisce che tu abbia pensato<br />

che io sia rimasto per due anni e mezzo sul pianerottolo del<strong>la</strong> tua <strong>vita</strong> aspettando che il tuo<br />

ascensore ripassasse a prendermi. Questa immagine mi ha ripugnato, mi ha allontanato<br />

<strong>da</strong> te, <strong>da</strong> noi. E’ per questo che ti dico che non ho più voglia di sentirti: per <strong>la</strong> mancanza di<br />

rispetto che hai avuto per me, per <strong>la</strong> lezione di disamore che mi hai insegnato e mai avrei<br />

voluto apprendere! C<strong>la</strong>k, e sei svanita. Non parli più con una persona che spera che tu<br />

ritorni <strong>da</strong> lui, parli con uno che vorrebbe incontrarti e stare bene, senza nessuna speranza,<br />

nessun dolore, nessun risentimento, vorrebbe solo che tu ti prendessi le tue responsabilità<br />

e, per onestà ti accorgessi di quello che hai fatto, e così, smettessi di cercarmi!”<br />

Silenzio.<br />

Come ho fatto? Come ci sono riuscito a dirle questo? Par<strong>la</strong>vo di qualcosa che non<br />

conoscevo, ed invece mi è successo <strong>vera</strong>mente, ho fatto c<strong>la</strong>k per <strong>da</strong>vvero durante questa<br />

telefonata, durante una sigaretta qualsiasi.<br />

Il silenzio ammanta <strong>la</strong> città, non fanno rumore le auto che hanno rallentato il loro flusso<br />

dopo l’ora di punta. Non fanno rumore gli edifici disegnati con le loro facciate mute, griglie<br />

di finestre che schermano e custodiscono dietro di sé centinaia di vite pulsanti. Non fanno<br />

rumore le mie ossa di nuovo sistemate sul legno del<strong>la</strong> panchina dell’Ospe<strong>da</strong>letto dei<br />

Bambini. Non fa più rumore nul<strong>la</strong>. Sento solo c<strong>la</strong>k. Eugenia che scorre via <strong>da</strong>l mio cuore.<br />

Un lungo e incessante travasare nel nul<strong>la</strong> di quello che lei è stata nel mio cuore.<br />

Provo <strong>la</strong> stessa sensazione di svuotamento di un camion cisterna rovesciato, di un paio di<br />

palle scaricate tra le cosce fredde di una puttana, mi sento vuoto, come una <strong>la</strong>vagna<br />

appena cancel<strong>la</strong>ta, come un contagiri resettato sullo 000.<br />

Ma è diverso, è bellissimo sapere che quando sei su 000, basta un giro, un piccolo<br />

movimento e sei già a 001.<br />

“Ci sei?”<br />

Arenata <strong>la</strong> sua voce, come se il c<strong>la</strong>k avesse prodotto finalmente una scossa in lei. Come<br />

se avesse demolito quel <strong>da</strong>nnato pozzo dell’ascensore in cui lei ha fatto su e giù per<br />

ottocentocinquanta giorni, control<strong>la</strong>ndo ogni tanto che io fossi ancora ad aspettar<strong>la</strong>, mezzo<br />

addormentato su un tappetino con <strong>la</strong> scritta “salve”.<br />

Il remo delle sue parole si è ingolfato, <strong>la</strong> inghiotte finalmente un remolino 15 di <strong>la</strong>crime.<br />

Piangi, Eugenia, finalmente piangi, piangimi addosso, bagnami delle tue <strong>la</strong>crime, sono<br />

impermeabile oggi, perché io le mie responsabilità me le sono prese. Piangimi ancora, e<br />

poi, c<strong>la</strong>k, svanisci <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>.<br />

15 Vortice, in spagnolo, anche questa paro<strong>la</strong> <strong>la</strong> uso per ragioni fonetiche.<br />

75


14.<br />

Respiro. Respiro piano. Io ed il mio cavallo attraversiamo una terra sconfinata ed ari<strong>da</strong>.<br />

Abbiamo bisogno di rifiatare, di ricominciare, di sciacquare <strong>la</strong> nostra go<strong>la</strong> intasata <strong>da</strong>l<strong>la</strong><br />

polvere del deserto del Nord. Mi fermo un secondo a svuotare <strong>la</strong> borraccia dividendone il<br />

contenuto con il mio cavallo immaginario. Allora respiro. Respiro piano. E’ ora di rimettersi<br />

in marcia, John.<br />

Cioè è tempo di tornare a casa, e una volta lì di fronteggiare i piccoli problemi che mi<br />

aspettano: mettersi in cerca di Ulisse, sollevare il morale di Fantasma, ascoltare<br />

l’ennesimo resoconto dell’ultima avventura erotica di Strillo.<br />

Eppure qualcosa è successo oggi, penso mentre mi alzo <strong>da</strong>l<strong>la</strong> panchina. Qualcosa oggi<br />

sta cambiando, se non <strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>, almeno il mio modo di pensare ad alcune cose.<br />

E’ strano, negli ultimi anni, ho vissuto sempre con due obiettivi: ho cercato a lungo un’idea<br />

per fare soldi e contemporaneamente ho sperato con tutto il mio cuore che Eugenia<br />

venisse a dirmi che voleva riscrivere <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong>.<br />

Oggi, all’improvviso non è più così. Nel tempo di un pomeriggio, e senza mai muovermi <strong>da</strong><br />

una panchina, ho cambiato le mie priorità: seppure mi venisse quell’idea, so che<br />

raggiungerei una soddisfazione breve, che mi accontenterebbe giusto il tempo necessario<br />

per ricominciare a desiderare un’idea più grande, più efficace. E via così, in un circolo<br />

accecante. Non dico di non avere più ambizione e di non voler crescere nel mio <strong>la</strong>voro, ma<br />

non c’è bisogno di incattivirsi per metterlo in culo al<strong>la</strong> gente. Aveva ragione Fantasma,<br />

perché accanirsi contro un ano metafisico? Preferisco affrontare <strong>la</strong> <strong>vita</strong> con <strong>la</strong> testa alta ed<br />

il cuore aperto.<br />

Ed insieme, non ho più voglia di farmi calpestare <strong>da</strong>lle pretese assurde del<strong>la</strong> mia ex<br />

fi<strong>da</strong>nzata che lungamente mi ha trattato come un’aiuo<strong>la</strong> dove pisciare un po’ ogni tanto,<br />

giusto per ricor<strong>da</strong>rmi che appartenevo a lei. Addio Eugenia, non avrei mai creduto che<br />

smettere di amare fosse così facile.<br />

Non ho più bisogno di idee, né di Eugenie, adesso.<br />

Ho voglia di fare qualcosa di diverso, di migliore, ed al più presto. E ho voglia di far<strong>la</strong> con<br />

loro tre, con gli astronauti dell’Apollo <strong>13</strong>, perché anche loro si ren<strong>da</strong>no conto di quanto<br />

possa farti sentire meglio guar<strong>da</strong>re <strong>la</strong> realtà per quello che è, senza bisogno di montare su<br />

una navicel<strong>la</strong> e scappare lontano.<br />

Ecco che arriva un altro messaggio d’al<strong>la</strong>rme. Sarà Fantasma.<br />

No. Mi sono sbagliato.<br />

080? Chi mi man<strong>da</strong> questo messaggio?<br />

“Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse, ok?”.<br />

Ulisse, sorrido.<br />

Problema risolto.<br />

Chiamo Fantasma per prenderlo in giro, le sue apprensioni inutili <strong>da</strong> mammina o <strong>da</strong><br />

innamorato. Anche lui ha ricevuto il messaggio. Mi dice di passarlo a prendere, così<br />

andiamo insieme.<br />

Entro in macchina. Non so ancora come mi sento, domani avrò qualche risposta in più.<br />

Ora ho solo voglia di pensare a qualcosa di bello.<br />

76


Strillo<br />

77


1.<br />

Amo gli inizi. Adoro partire <strong>da</strong>l principio. Per coerenza, per onestà, per logica, per semplicità.<br />

Ed allora, non posso presentarmi e par<strong>la</strong>re di me se non partendo <strong>da</strong>ll’inizio del<strong>la</strong> mia giornata.<br />

Nonostante l’evento sia tutt’altro che esaltante.<br />

Per girare un film sull’inizio del<strong>la</strong> mia giornata, ci sarebbe bisogno di due soli attori: io, Daniele Stril<strong>la</strong>cci in arte<br />

Strillo e Seiko A<strong>la</strong>rm in arte Seiko A<strong>la</strong>rm, che non è un’attrice nippo-americana ma solo <strong>la</strong> mia sveglia.<br />

La mia disperata <strong>storia</strong> con <strong>la</strong> sveglia si ripete sempre uguale ogni mattina alle sette e mezza.<br />

Quelli come me si distinguono subito, intendo quelli che non hanno un buon rapporto con il risveglio. Siamo<br />

una specie di setta, una confraternita di poveri cristi, facilmente riconoscibili per le occhiaie, i nervi tesi, <strong>la</strong><br />

risposta pronta al confine tra <strong>la</strong> precisione e l’isterismo, un pizzico di cinismo ed un aggiunta moderata di<br />

intolleranza nei confronti dei pigri, di chi, bastardo, può dormire più di noi.<br />

Eppure per rego<strong>la</strong>rizzare <strong>la</strong> mia re<strong>la</strong>zione con il materasso ed ottenere un risveglio indolore, ho provato ogni<br />

tattica:<br />

Soluzione numero 1: sveglia telefonica del<strong>la</strong> Telecom. Risultato: rispondo al<strong>la</strong> graziosa voce telefonica che<br />

mi sussurra l’orario, <strong>la</strong> mando dove si conviene e riprendo a dormire.<br />

Soluzione numero 2: sveglia ticchettante con scampanata finale. Risultato: il secondo giorno <strong>la</strong> campanel<strong>la</strong><br />

quasi mi causa un infarto, per non par<strong>la</strong>re del fastidio che le <strong>la</strong>ncette mi producono quando è il momento di<br />

prendere sonno, tic tac tic tac. Sembro Paperino, tanto mi rigiro nel letto per sfuggire al tormento.<br />

Soluzione numero 3: tapparel<strong>la</strong> alzata con conseguente luce filtrante. Risultato: mi sveglio all’alba quando <strong>la</strong><br />

luce si affaccia sul mio corpo malconcio, ine<strong>vita</strong>bilmente troppo presto. Se poi mi riaddormento, riapro gli occhi<br />

quando ormai è già troppo tardi. E’ come nel<strong>la</strong> contraccezione: i metodi naturali non garantiscono un risultato<br />

soddisfacente.<br />

Soluzione numero 4: sveglia con cicalino. Risultato: funziona. L’unico inconveniente è che per e<strong>vita</strong>re di<br />

rimettermi a dormire dopo aver<strong>la</strong> spenta, ho deciso di sistemar<strong>la</strong> fuori <strong>da</strong>l<strong>la</strong> stanza, nel corridoio,<br />

immediatamente a ridosso del<strong>la</strong> mia porta. E di quel<strong>la</strong> di Fantasma. Non si sa mai, un giorno deci<strong>da</strong> lui di<br />

svegliarsi prima di me.<br />

Immagino che debba essere bellissimo sentire una sveglia e sapere che non tocca a te alzarti, ma a qualcuno<br />

che, addirittura, ti preparerà il caffè.<br />

Già, perché io, che attacco al <strong>la</strong>voro alle 8 e mezza e quindi mi alzo per primo, devo fare il caffè per tutti.<br />

E’ <strong>la</strong> rego<strong>la</strong>.<br />

Non che sia buono, io. Non me lo dicevano neanche <strong>da</strong> bambino. Semplicemente preparo il caffè ai miei<br />

compagni aerospaziali perché l’unica caffettiera dell’Apollo <strong>13</strong> è una vecchia carcassa <strong>da</strong> dieci tazze. Mi<br />

preparo <strong>la</strong> co<strong>la</strong>zione ed, a malincuore, sono costretto a <strong>la</strong>sciare sempre qualcosa per loro.<br />

Ma oggi, li fotto! I tre astronauti si aspettano che stamattina, quando suonerà il cicalino, come al solito il loro<br />

maggiordomo Strillo sbraiti rivolgendo un arsenale di paro<strong>la</strong>cce contro <strong>la</strong> sveglia finché, una volta sconfitto,<br />

con il suo pigiama di <strong>la</strong>netta e l’immancabile erezione si diriga verso <strong>la</strong> cucina per preparare loro <strong>la</strong> co<strong>la</strong>zione.<br />

Non sanno, gli stolti, che io oggi non <strong>la</strong>voro. Che oggi mi sto concedendo sotto le coperte il dolce piacere di<br />

accuccio<strong>la</strong>rmi senza dover per forza alzarmi alle sette e mezza. Non sarò io a svegliarli, oggi. Sono fottuti e<br />

spero che arrivino tardi al <strong>la</strong>voro, tutti e tre. Chissà, impareranno <strong>la</strong> lezione e si decideranno a scendere a<br />

patti, a riscrivere le regole su chi deve alzarsi per primo.<br />

In realtà non è che mi stia per prendere un giorno di ma<strong>la</strong>ttia con il solo intento di rovinare il <strong>la</strong>voro dei miei<br />

compari. Non sono cinico fino a questo punto. La spiegazione è molto più semplice.<br />

Senza dirlo a nessuno, mi sono procurato un appuntamento ga<strong>la</strong>nte in mattinata. Fuori orario, diciamo. Tanto<br />

per aumentare il brivido.<br />

Era parecchio che non ne trovavo una così: se verrà <strong>da</strong>vvero, l’incontro di oggi si preannuncia interessante.<br />

Sarò costretto a mentire al <strong>la</strong>voro, però ne varrà <strong>la</strong> pena. Dirò che un frutto di mare imbottito di Goma2 mi ha<br />

detonato il colon, è una scusa sempre vali<strong>da</strong> per un buon barese.<br />

Sento che ci sarà <strong>da</strong> divertirsi oggi.<br />

79


2.<br />

Prima di ieri con Naoko ci eravamo piacevolmente intrattenuti tre-quattro mezz’ore par<strong>la</strong>ndo tra le altre cose di<br />

cinema, musica e sesso. Io, però, avevo notato una insolita sintonia che mi ha fatto decidere di an<strong>da</strong>re più a<br />

fondo.<br />

“Ho voglia di vederti. Ti piace rischiare?” le ho chiesto ieri sera di punto in bianco.<br />

“Che intendi?” mi ha doman<strong>da</strong>to.<br />

“Ti piace rischiare?” <strong>la</strong> mia frase sullo schermo bril<strong>la</strong>va come un bivio. Se ti piace continuiamo, se non ti piace,<br />

addio picco<strong>la</strong>. Il mio cursore ansimava aspettando <strong>la</strong> sua risposta.<br />

“Se mi piace? Sono schiava del gioco d’azzardo. Pensa che mi sono già giocata <strong>la</strong> mia famiglia un paio di<br />

volte, ma non riesco a perderli a nessun tavolo!”<br />

“Ci incontriamo nel<strong>la</strong> Feltrinelli, domani mattina!” le ho detto senza esitazioni.<br />

“Al<strong>la</strong> Feltrinelli?”<br />

“Domani mattina!”<br />

“Ma tu non <strong>la</strong>vori <strong>la</strong> mattina?” mi ha chiesto lei.<br />

“Certo che <strong>la</strong>voro!” le ho detto.<br />

“Lavori al<strong>la</strong> Feltrinelli?” doveva essere una battuta.<br />

“Scema, <strong>la</strong>voro, e <strong>la</strong>voro in un altro posto, ma per incontrarti posso anche litigare con il capo e prendermi un<br />

giorno di ferie, o di ma<strong>la</strong>ttia!”<br />

“Vuoi conoscermi <strong>da</strong>vvero?”<br />

“Incontrarti, poi si pensa!”<br />

“Ma se non sai neanche come sono!”<br />

“Diciamo che mi <strong>da</strong>i l’idea di essere interessante!”<br />

“E’ un complimento?”<br />

“Quando ti farò un complimento, non ci sarà bisogno che tu mi chie<strong>da</strong> se lo è!”<br />

“Ma che facciamo, ci diamo una paro<strong>la</strong> d’ordine?”<br />

“Nei film di spie di Hitchcock, forse!”<br />

“Noi no?” mi ha doman<strong>da</strong>to, tar<strong>da</strong>ndo un po’ a digitare.<br />

“Scegline una... poi vedremo!” le ho concesso, ma solo per curiosità, perché il mio protocollo non transige su<br />

queste cose.<br />

“Allora, vediamo” e mi ha digitato una serie di puntini, che stavano a significare che ci stava pensando su.<br />

“Non lo so, <strong>la</strong> prima che mi viene in mente è questa: I cavallucci di mare hanno un solo partner per tutta <strong>la</strong><br />

<strong>vita</strong>!”<br />

Mi sono messo ovviamente a ridere.<br />

“Da dove l’hai presa questa?” le ho doman<strong>da</strong>to.<br />

“Nell’ultimo numero di National Geographic, ce l’ho qui <strong>da</strong>vanti... I cavallucci sono gli esseri viventi più fedeli,<br />

si riproducono soltanto con lo stesso partner durante tutta <strong>la</strong> loro esistenza...”<br />

Le ho taciuto <strong>la</strong> mia addizione alle cassette di Quark e ho dedicato un bel sorriso al mio computer.<br />

“Comunque è troppo lunga, non ne abbiamo bisogno!”<br />

“No?” mi ha chiesto lei.<br />

“No. Ti piace rischiare?” le ho doman<strong>da</strong>to ancora.<br />

“Sì, ti ho detto di sì. Sei un tipo ripetitivo. Io sono acquario, mi dà fastidio che le persone mi stiano con il fiato<br />

sul collo... Poi non è che io trovi molto rischioso an<strong>da</strong>re una mattina al<strong>la</strong> Feltrinelli!” è comparso sul mio pc,<br />

dopo qualche secondo di attesa.<br />

A giudicare <strong>da</strong>l<strong>la</strong> lunghezza delle frasi, sicuramente doveva essere una newbe, cioè una poco pratica di chat e<br />

messenger, una pivellina virtuale insomma. In chat è sempre meglio affi<strong>da</strong>rsi alle frasi corte, non è cortese<br />

fare aspettare l’altro con pause di scrittura troppo lunghe.<br />

“Il rischio è questo. Se ci piaciamo, ci baciamo, senza neanche salutarci prima!”<br />

“Aha aha!” ha riso lei.<br />

“Non sto scherzando!”<br />

80


“Non perdi tempo tu, eh? E secondo te, io dovrei accettare un appuntamento del genere. Sicuro che sei uno<br />

psicopatico! Vuoi affettarmi e poi mangiarmi!”<br />

“Si! No! No! Si!”<br />

“Che?”<br />

“Sì che dovresti accettare, no che non sono un maniaco, no che non ti affetterei, sì che penso ti mangerei se ti<br />

trovassi già tagliata a fette!”<br />

“Aha aha!”<br />

“Ci verrai?”<br />

“Non lo so. Non faccio di queste cose io.”<br />

“Hai detto tu che ti piace rischiare!”<br />

“Non credo ne valga <strong>la</strong> pena. Sicuramente sarai bruttissimo!”<br />

“Lo dirai tu. Fai un salto al<strong>la</strong> Feltrinelli, e vedrai. Non ti dico di farlo per me, fallo per <strong>la</strong> tua cultura: ti servirà<br />

almeno un libro o un cd!”<br />

“Non lo so. Domani mattina ti dico, collegati alle nove e vediamo un po’, se saprai convincermi...”<br />

“Ci proverò... e credo che ci riuscirò anche... <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> Impossibile non esiste nel mio dizionario”<br />

“Chi diceva questo, Nietzsche?”<br />

“No, Lupin III!”<br />

Abbiamo chiuso <strong>la</strong> comunicazione. Ho spento il computer sereno e mi sono dedicato ad una serata Cicileo<br />

con Sergio e Fantasma. Ulisse non c’era. Però tutto sommato <strong>la</strong> notte è trascorsa tranquil<strong>la</strong> e mi ha<br />

traghettato con dolci sogni fino ad ora, con tanto di parentesi onirico-erotica con una non meglio identificata<br />

donna giunonica che mi consumava fino a farmi invocare pietà. E non è tutto. Il bello deve ancora venire,<br />

adesso che posso star qui ad assaporare i minuti del<strong>la</strong> mattina consapevole che non dovrò alzarmi prima degli<br />

altri per spegnere nessuna <strong>da</strong>nnatissima sveglia. Voglio proprio vedere come andrà a finire, stamattina. Chi<br />

dei tre mi farà un caffè. Chi strillerà oggi.<br />

Eh! Eh! Che sorriso satanico sotto <strong>la</strong> mia barba di due giorni!<br />

81


3.<br />

Suona <strong>la</strong> porta. Chi diavolo può essere? In California gli unici che si potrebbero avvicinare ad una casa a<br />

quest’ora <strong>da</strong> lupi sarebbero il <strong>la</strong>ttaio o il paperboy, ma a Bari alle sette e mezza non può essere che un<br />

rompipalle. Tanto non apro. Non oggi! Non tocca a me!<br />

Io posso dormire, oggi!<br />

Risuonano, altre due volte.<br />

“Fantasmaaaaaaa!” grido allungando <strong>la</strong> A come se fossi un taglialegna che annuncia <strong>la</strong> caduta del tronco. E’<br />

per le ur<strong>la</strong> che <strong>la</strong>ncio quando non voglio svegliarmi che mi hanno storpiato il cognome <strong>da</strong> Stril<strong>la</strong>cci in Strillo. E’<br />

servito a poco, tanto nessuno fa più caso alle mie gri<strong>da</strong>.<br />

Suonano un’altra volta.<br />

Nessuno risponde, non mi interessa, ma io non vado. Stiamo scherzando?<br />

Oggi che devo finalmente vedere le loro facce quando saranno costretti a spegnere quel<strong>la</strong> cazzo di sveglia...<br />

dev’essere uno scherzo, questo. Mi affaccio <strong>da</strong>l<strong>la</strong> finestra del<strong>la</strong> mia stanza per gri<strong>da</strong>re all’allocco che mi vuol<br />

giocare questo tiro che tanto non ci casco, io! Che oggi posso dormire!<br />

Però... Non vedo nessuno.<br />

In realtà <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia stanza non è che si ve<strong>da</strong> un granché. Solo se mi sporgo di molto... ecco! I piedi di chi sta<br />

suonando al cancelletto del<strong>la</strong> vil<strong>la</strong> liberty si dovrebbero vedere.<br />

Però... Non vedo nessuno.<br />

Avranno già smesso di rompere. Mi rimetto a letto, con un sorriso che mi sta irrimediabilmente scol<strong>la</strong>ndo <strong>la</strong><br />

parte superiore <strong>da</strong> quel<strong>la</strong> inferiore del<strong>la</strong> testa.<br />

Invece... Risuonano! Tre volte, addirittura!<br />

Sono sordi, non c’è altra spiegazione, sono dei fottuti sordi rincoglioniti, e l’umanità pur di liberarsene li ha<br />

inviati al<strong>la</strong> deriva nello spazio. Io diventerò martire per essermi sacrificato ad accompagnarli.<br />

Mi riaffaccio, ma quelle... quelle sono caviglie <strong>da</strong> donna. Non mi sbaglio affatto, quelle sono caviglie femminili,<br />

ed anche di buona fattezza. Due caviglie <strong>da</strong> donna suonano al portone di casa nostra! Ho due opzioni a<br />

questo punto: rispondere o rimettermi a dormire.<br />

E’ una prova durissima, caviglia o cuscino? Caviglia o cuscino?<br />

Caviglia, manco a dirlo. Non risparmio però una dose extra di paro<strong>la</strong>cce nel corridoio rivolte ai brutti<br />

addormentati nello spazio che riescono a ronfare nonostante lo scampanellio delle caviglie.<br />

Apro <strong>la</strong> porta:<br />

“ciao scusa l’ora sì lo so è un po’ presto ma beh il nipote del signor enrico l’altro giorno mi ha detto di avere<br />

tutta una collezione di quark mi servirebbe qualcosa sui coccodrilli non guar<strong>da</strong>rmi male è per una ricerca di<br />

biologia devo portare delle foto di coccodrilli ma internet mi ha mol<strong>la</strong>ta sul più bello voglio fare qualche scatto<br />

con <strong>la</strong> macchina digitale mentre vedo <strong>la</strong> cassetta” e finalmente prende fiato.<br />

Come faccio a non guar<strong>da</strong>rti male, tesoro mio?<br />

Certo in un’altra situazione non ti guarderei affatto male. Ti guarderei bene. Te li meriti tutti, i miei sguardi, li<br />

merita il tuo maglione che si distende su quel gran paio di tette, li merita il tuo jeans a <strong>vita</strong> bassa che scende<br />

sempre di più con <strong>la</strong> so<strong>la</strong> forza del mio sguardo, li merita <strong>la</strong> tua mutan<strong>da</strong> bordeaux, ma che dico mutan<strong>da</strong>?<br />

Quello è senza dubbio un perizoma. E li meritano pure le tue caviglie sottili che mi hanno risvegliato<br />

stamattina. Però, non puoi rompere il cazzo alle sette e mezza, no? Non l’unico giorno in cui non devo<br />

svegliarmi prima degli altri.<br />

Lei è Chantal. La nostra vicina di casa. Oggetto di discussione di tanti nostri dibattiti. Chantal è il nome che le<br />

ha <strong>da</strong>to Fantasma, in verità è il nome che lui vorrebbe io dessi a mia figlia, se mai ne avrò una. Questi tre<br />

satanassi coltivano un sogno che mi riguar<strong>da</strong>. Vorrebbero infatti che io avessi un’erede signorina, mentre loro<br />

genereranno solo maschi. I loro primogeniti provvederanno poi a suon di bottarelle a far ricadere su mia figlia<br />

le colpe che io ho sempre avuto contro il genere femminile.<br />

82


Chantal Stril<strong>la</strong>cci. Ma vi rendete conto dove sono arrivati i miei amici? Per il momento, però, nessuno di noi<br />

pensa di metter su famiglia e quindi Chantal, un nome troppo porco per restare parcheggiato in attesa di mia<br />

figlia, è toccato a lei.<br />

Quindici anni, o sedici, <strong>da</strong> qui <strong>la</strong> diatriba. Se per commettere atti impuri nei confronti di una signorina si deve<br />

aspettare che raggiunga <strong>la</strong> maggiore età, i pensieri impuri sono invece vietati verso chi è minore di sedici anni,<br />

un’altra delle Regole dell’Apollo <strong>13</strong>, promotore Fantasma, di educazione gesuita.<br />

“Quindi non chiudetevi nel cesso pensando a Chantal!” diceva, incomprensibilmente animato <strong>da</strong> uno spirito di<br />

protezione verso “una bambina che quando noi an<strong>da</strong>vamo alle elementari ancora doveva nascere!”. Mah!<br />

La rego<strong>la</strong> è rego<strong>la</strong>, e va rispettata, ma come tutte le leggi nasconde un cavillo. Non si possono indirizzare<br />

pensieri impuri (che poi i miei sono purissimi, puro sesso spogliato <strong>da</strong> ogni forma di affetto) alle minori di sedici<br />

anni. Tuttavia una quindicenne è pur sempre nel suo sedicesimo anno di <strong>vita</strong>, no? Quindi, non è più minore di<br />

sedici. Niente <strong>la</strong> protegge <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia immaginazione.<br />

“Aspetta un attimo. Lo chiamo!” le dico che ancora non so se man<strong>da</strong>r<strong>la</strong> a fare in culo o far<strong>la</strong> entrare.<br />

“Me lo faresti un caffè?” mi chiede e mi sorpassa scivo<strong>la</strong>ndo dentro <strong>la</strong> casa con estrema consapevolezza delle<br />

sue curve. Ed io non riesco, non riesco a crederci.<br />

É impossibile, ingiusto, incomprensibile e quante altre parole che iniziano per “I” possano esprimere il mio<br />

disappunto. Ho voglia di piangere al pensiero che toccherà di nuovo a me, preparare <strong>la</strong> caffettiera. Strillo<br />

cercando di dissimu<strong>la</strong>re il mio disappunto.<br />

“Fantasmaaaaaaaa!”<br />

Quel fesso non risponde. Entro nel<strong>la</strong> sua stanza:<br />

“Ma sei sordo o cosa?” gli dico e finalmente apre gli occhi.<br />

83


4.<br />

Abbiam fatto co<strong>la</strong>zione. Preparata <strong>da</strong> me, ovviamente. Si è unito anche Ulisse, con una faccia stravolta.<br />

Fantasma mi ha rimpro<strong>vera</strong>to di essere poco ospitale con Chantal. Mi ha incenerito con un’occhiataccia,<br />

indicandomi il mio pigiama su cui scintil<strong>la</strong>va come rugia<strong>da</strong> una strisciolina dovuta ad una polluzione notturna.<br />

Come se <strong>la</strong> ragazza non sapesse ancora cosa viene fuori <strong>da</strong>ll’organo sessuale maschile. E’ incredibile <strong>la</strong><br />

perse<strong>vera</strong>nza con cui Fantasma appoggia le sue convinzioni, pare proprio che non abbia capito che quello di<br />

Chantal è stato un vero e proprio raid ad un orario insolito per poterci studiare <strong>da</strong> vicino.<br />

Del resto non vedo altra spiegazione. Questa dei coccodrilli è una bal<strong>la</strong> male architettata. Si è mai visto<br />

qualcuno entrare nel pallone per non essere riuscito a fare i compiti di Biologia? Alle sette e mezza di mattina,<br />

poi? Questa è sbal<strong>la</strong>ta completamente! Avete mai conosciuto una studentessa che ha paura di essere<br />

beccata impreparata <strong>da</strong> un professore di Scienze?<br />

Noooo, non ci credo! Ed ho un motivo per farlo!<br />

Io baso le mie considerazioni su deduzioni che hanno al<strong>la</strong> base il <strong>da</strong>to empirico del<strong>la</strong> mia esperienza. E per<br />

essere più attendibile mi attengo anche a quel<strong>la</strong> del mio amico Non<strong>la</strong>siscttann. Ascoltatemi e giudicate.<br />

Dunque, io e Sergio mantenemmo un ottimo rapporto con l’intera area scientifica durante i quattro anni in cui il<br />

nostro corso di studi prevedeva l’insegnamento misto di Chimica, Biologia e Geografia Astronomica.<br />

Sergio ottenne il libro di Biologia, un mattone con copertina verde e una grossa ape che si inebria di polline,<br />

<strong>da</strong>l padre che lo fece, diciamo, miracolosamente sparire <strong>da</strong>l<strong>la</strong> libreria in cui <strong>la</strong>vorava.<br />

Dopo neanche una settimana di lezione Non<strong>la</strong>siscttann aveva venduto il suo libro di Biologia ancora vergine al<br />

mercatino dell’usato di Piazza Umberto. Fu un’operazione che approvammo tutti, giacché i futuri astronauti<br />

dell’Apollo <strong>13</strong> usufruirono dei fondi ammontanti a ben ventiquattro mi<strong>la</strong> lire per finanziare il proprio tirocinio di<br />

un paio di settimane presso il Centro Amatori Biliardo, divisione Carambo<strong>la</strong> all’Italiana.<br />

Sergio in pratica ha seguito quattro anni di Biologia senza mai avere il libro, e in quarto ha preso addirittura<br />

sette. Inspiegabilmente.<br />

Io, <strong>da</strong>l canto mio, mi sono accontentato di fare il mio onesto <strong>la</strong>voro <strong>da</strong> studente di mezza c<strong>la</strong>ssifica. Un onesto<br />

<strong>la</strong>voro scandito <strong>da</strong> una serie di eventi memorabili.<br />

Interrogazione in chimica del secondo anno:<br />

“Stril<strong>la</strong>cci, nel<strong>la</strong> tavo<strong>la</strong> periodica cosa c’è a sinistra?”<br />

“I metalli, professoressa!”<br />

“Bene!”<br />

Sette in pagel<strong>la</strong>.<br />

Interrogazione di Biologia del terzo:<br />

“Stril<strong>la</strong>cci, tu fumi?”<br />

“No, professoressa!”<br />

“Bene!”<br />

Sette in pagel<strong>la</strong>.<br />

Interrogazione di Biologia del quarto anno:<br />

“Stril<strong>la</strong>cci, dove si trovano gli spermatozoi nel corpo umano?”<br />

“Nello scroto, professoressa!”<br />

“Stril<strong>la</strong>cci, ma sei impazzito? Quest’anno dovrò metterti sei!”<br />

“No professoressa, volevo dire i testicoli, o le gonadi...”<br />

“L chigghiun 16 ” suggeriva Ulisse <strong>da</strong>l fondo dell’au<strong>la</strong>.<br />

“Stril<strong>la</strong>cci! Ormai ti ho messo sei!”<br />

“Eh, no professoressa. Almeno sette!”<br />

“E va bene! Ma non fumare, mi raccomando!”<br />

“No, professoressa, non fumo!”<br />

Sette in pagel<strong>la</strong>.<br />

E gran finale con interrogazione su argomento a piacere in geografia astronomica in quinto liceo:<br />

“Stril<strong>la</strong>cci, cosa porti tu?”<br />

16 I coglioni!<br />

84


“La terra, professoressa!”<br />

“E che mi dici del<strong>la</strong> terra?”<br />

“Che ha <strong>la</strong> forma di un geoide?”<br />

“E che cos’è un geoide?”<br />

“Una sfera schiacciata sui poli!”<br />

“Che altro?”<br />

“Beh, questo è il <strong>da</strong>to più importante!”<br />

“Bene! Hai ragione!”<br />

Ammesso agli esami di maturità con otto in pagel<strong>la</strong>!<br />

E’ per questo, per <strong>la</strong> nostra su<strong>da</strong>ta esperienza nel campo delle Scienze, che fatico a credere che Chantal si<br />

sia fion<strong>da</strong>ta seminu<strong>da</strong> (almeno era ridotta ad uno stato di seminudità dopo che io l’ho guar<strong>da</strong>ta per dieci<br />

minuti) nel<strong>la</strong> nostra tana per scampare ad una impreparazione in Biologia. Dico bene o sbaglio?<br />

Beh, per lo meno sono certo di non essere il solo a pensar<strong>la</strong> così, <strong>da</strong>to che, appena Fantasma l’ha<br />

accompagnata al<strong>la</strong> porta, Ulisse, sorseggiando il mio caffè che non lo soddisfa mai, mi ha detto che il giusto<br />

castigo che <strong>la</strong> tipa meritava per avermi svegliato in quel modo era una botta di spon<strong>da</strong> sul tavolo del<strong>la</strong> cucina.<br />

“Elvis, the pelvis in the Memphis” mi ha simu<strong>la</strong>to, mentre Lenzuolino rientrava in cucina sbiancando come<br />

dopo un <strong>la</strong>vaggio a 60 gradi, anzi a 90...<br />

Poi è apparso Sergio, addirittura sbarbato. Ulisse ha messo una cassetta sulle giraffe ed abbiam fatto Cicileo.<br />

Tutto sembrava essere normale.<br />

85


5.<br />

Mi rendo conto che questo risveglio, il nostro stato belluino di prima mattina, può indurre a pensare che siamo<br />

quattro venticinquenni (non vedo perché debbano rubare sull’età solo le donne) alle prese con un viaggio<br />

spaziale <strong>la</strong> cui orbita gira solo intorno al sesso femminile. Ma vi assicuro che non è così.<br />

Certo, se chiedete in giro notizie di Daniele Stril<strong>la</strong>cci, in arte Strillo, ine<strong>vita</strong>bilmente vi parleranno del<strong>la</strong> mia<br />

passione per il sesso orale. Lo faranno perché io non ho mai fatto mistero del fatto che mi piaccia una fel<strong>la</strong>tio,<br />

così come mi piace il calcio, o <strong>la</strong> birra. Eppure <strong>la</strong> mia aspirazione, il cammino ideale per raggiungere <strong>la</strong> mia<br />

felicità non passa per un divano sopra il quale me lo pren<strong>da</strong>no in bocca mentre guardo una partita di pallone<br />

con in mano una bottiglia di birra.<br />

Forse un tempo pensavo che quello potesse essere un traguardo. Sicuramente, ho spesso guar<strong>da</strong>to alle<br />

donne con un occhio più attento a rilevare i flessi meravigliosi delle loro curve che ad ascoltare <strong>la</strong> cultura che<br />

fluiva <strong>da</strong>i loro discorsi. I miei momenti più belli con l’altro sesso li ho sempre vissuti tra le lenzuo<strong>la</strong>, o sul sedile<br />

di un auto. Non penso ci sia <strong>da</strong> vergognarsi nel dir questo. Passo per arido, per cinico, per pervertito? Non lo<br />

so. Ma mi interessa poco.<br />

Magari è perché io mi spiego male.<br />

Mi<strong>la</strong>n Kundera creò un personaggio che riusciva a toccare con mano <strong>la</strong> leggerezza dell’essere soltanto nel<br />

momento in cui <strong>la</strong> propria partner godeva. Tradiva <strong>la</strong> sua compagna perché nell’atto sessuale, nell’orgasmo<br />

femminile gli si rive<strong>la</strong>va <strong>la</strong> diversità intima ed ontologica di ogni essere umano.<br />

Quel<strong>la</strong> era letteratura. Quel<strong>la</strong> di Strillo è una dipendenza <strong>da</strong>l pompino.<br />

Sono gli effetti del<strong>la</strong> globalizzazione: Kundera è Kundera, lo scrittore preferito di tanti tra cui mi infilo anch’io, io<br />

sono Strillo, semplicemente Strillo, e non sono il preferito neanche dei miei genitori, pur essendo figlio unico.<br />

Stamattina mi sono svegliato pensieroso. Il primo pensiero è stato per Chantal, forzatamente; il secondo (e<br />

qualcuno dirà anche che due pensieri insieme nel<strong>la</strong> mia testa calva non ci sono mai stati) è vo<strong>la</strong>to<br />

direttamente a Barbara.<br />

Quel<strong>la</strong> volta in cui mi chiese di curar<strong>la</strong>.<br />

Non riesco a saltare di palo in frasca, <strong>la</strong> Pin<strong>da</strong>ro Airlines non mi vuole proprio a bordo dei suoi aerei. Io ho<br />

un’ine<strong>vita</strong>bile tendenza a numerare le cose. Da uno in su, <strong>da</strong>l<strong>la</strong> A al<strong>la</strong> Z. Solo così riesco a trovare chiarezza<br />

nelle cose. Per questo credo di dovervi delle spiegazioni. E partirò <strong>da</strong>l giorno in cui conobbi Barbara.<br />

Sull’autobus. Su quelle schifose carrozze dell’Amtab dove non era mai stata vista sbocciare una <strong>storia</strong><br />

d’amore, prima che salissimo insieme io e lei.<br />

86


6.<br />

Non riuscii. Non ce <strong>la</strong> feci a sterzare nel momento esatto in cui <strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> cambiava per sempre. Me ne<br />

accorsi una frazione di istante prima che succedesse. Mi rimase il tempo per capire che ci saremmo toccati.<br />

Avrei avuto modo di farmi <strong>da</strong> parte, seppur con un movimento poco aggraziato dei miei. Ma non lo feci.<br />

Osservai <strong>la</strong> traiettoria di lei, ine<strong>vita</strong>bilmente destinata ad entrare in collisione con <strong>la</strong> mia, e con tutta l’inerzia<br />

che tiene fermi i pianeti, rimasi fermo ad aspettare lo scontro.<br />

L’autobus aveva inchio<strong>da</strong>to improvvisamente, mentre io ero fermo a guar<strong>da</strong>r<strong>la</strong>, indeciso se innamorarmi o<br />

meno. E lei, come un uccello troppo preso a p<strong>la</strong>nare ad altre quote rispetto agli esseri umani per accorgersi di<br />

un colpo di vento improvviso, perse l’equilibrio nel<strong>la</strong> frenata.<br />

Fu più desta, però. Si può dire che avrei dovuto capire come sarebbe an<strong>da</strong>ta a finire già <strong>da</strong>l modo in cui ci<br />

conoscemmo.<br />

Nel tempo che dura <strong>la</strong> corsa del pe<strong>da</strong>le del freno di un autobus incrociammo i nostri sguardi ricamando nello<br />

spazio semivuoto del<strong>la</strong> carrozza un piccolo fulmine che mi bruciò subito. La vidi avvicinarsi con gli occhi sereni<br />

perché io sarei stato lì a prender<strong>la</strong> tra le mie braccia.<br />

Un pedone distratto, un autista nervoso, un asfalto bagnato: sono ridicoli gli ingredienti che hanno cambiato <strong>la</strong><br />

mia <strong>vita</strong>.<br />

Mentre io mi facevo paesaggio, disteso e piano per accogliere il suo volo, Barbara mi guardò una secon<strong>da</strong><br />

volta. Probabilmente già sapendo che ne ero innamorato capì di poter contare su di me. Fece una strana<br />

piroetta, ricompose le sue ali, si riappropriò del<strong>la</strong> sua traiettoria e ritornò dritta e meravigliosa. Non ci<br />

toccammo. Ci sfiorammo, forse.<br />

Quello che non riuscì a control<strong>la</strong>re neanche lei, però, fu l’on<strong>da</strong>ta del suo profumo al cocco.<br />

Non avrei mai immaginato di essere sensibile al cocco. Non mi piace il sapore di quel frutto troppo bianco,<br />

detesto il ge<strong>la</strong>to e gli snack, le creme abbronzanti, i posacenere ricavati <strong>da</strong>i suoi gusci. Infine, sono immune<br />

al<strong>la</strong> cocco-mania di<strong>la</strong>gante sul pianeta terra.<br />

Eppure mi <strong>la</strong>sciai schiacciare <strong>da</strong>l volteggio incontrol<strong>la</strong>to del suo aroma. Barbara si fermò a 20 centimetri <strong>da</strong><br />

me, ma sentii <strong>la</strong> nuvo<strong>la</strong> del suo profumo fare testaco<strong>da</strong> nel tentativo inutile di fermarsi e me ne <strong>la</strong>sciai<br />

avvolgere, inebriare, al punto che dovetti storcere il naso come se mi avessero appena catapultato nel centro<br />

di un campo di fiori in polline.<br />

Quando l’autobus si rimise in moto, l’eco lontana del conducente che bestemmiava, lei mi guardò e sorrise.<br />

“Peccato!” dissi io, alludendo al fatto che non ci fossimo toccati e scrol<strong>la</strong>ndo il capo per liberarmi <strong>da</strong>ll’abbraccio<br />

soffocante del suo odore.<br />

“Peccato?” mi domandò Barbara.<br />

Non credo alle cazzate dell’anima gemel<strong>la</strong>, del<strong>la</strong> mezza me<strong>la</strong> che viaggia solitaria in qualche angolo del<strong>la</strong><br />

terra in attesa di ricomporsi con <strong>la</strong> sua secon<strong>da</strong> metà. Credo al<strong>la</strong> chimica inspiegabile delle persone che si<br />

guar<strong>da</strong>no, e che si piacciono.<br />

Noi ci piacevamo. E non era perché io avessi un tesoro dentro di me che lei stesse cercando, o viceversa.<br />

Quelle sono cose che <strong>la</strong>sciamo ad Indiana Jones. Ci piacevamo per quello che ognuno poteva vedere,<br />

sentire, annusare dell’altro nello spazio instabile e tremo<strong>la</strong>nte di un autobus.<br />

Così le dissi qualcosa. E lei mi rispose. Par<strong>la</strong>mmo.<br />

E par<strong>la</strong>mmo dell’autista, del pedone, del destino che non ci aveva fatto scontrare, del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> casualità che<br />

era venuta meno perché lei finisse dritta tra le mie braccia. Di come il caos delle piccole coincidenze a volte<br />

cospira perché succe<strong>da</strong>no eventi che ti cambiano <strong>la</strong> <strong>vita</strong>.<br />

“Il caos”, ripetei io.<br />

“Il Kaos, l’entropia” aggiustò il tiro Barbara.<br />

Mi parlò dell’entropia di un sistema chiuso, che qualcuno ha dimostrato essere sempre in aumento. La sapevo<br />

questa, <strong>la</strong> mia preparazione in fisica era già meno imbarazzante di quel<strong>la</strong> in Scienze:<br />

“Se consideriamo l’universo intero come un sistema chiuso, l’entropia, <strong>la</strong> misura del suo livello di disordine è<br />

destinata ad aumentare…”<br />

“Cioè, per quanto ci muoviamo in questa città di mer<strong>da</strong> tentando di mettere ogni cosa al suo posto, il casino<br />

che produce ogni nostra azione è destinato a non finire mai!”<br />

87


Non capii. Ma mi sembrava un buon momento per chiederle il numero di telefono.<br />

“Troppo facile, io valgo di più di questo” mi rispose sicura “vediamo un po’…” si mise a pensare.<br />

Poteva prendersi il tempo che voleva, in quel momento io avevo tra le dita una matita appena sbozzata con <strong>la</strong><br />

quale tentavo di fissare nel<strong>la</strong> mia mente i punti del suo profilo. Per ricomporli e tornare a sognarli quel<strong>la</strong> notte.<br />

“Ecco qua, facciamo così” riprese a par<strong>la</strong>re chè già avevamo bruciato una manciata di semafori “crèati un<br />

indirizzo di posta elettronica, chiamalo entropia chioccio<strong>la</strong> quello che vuoi. Password… metti… non so, <strong>da</strong>mmi<br />

una password!”<br />

“Peccato” ridissi io, con una allusione al doppio senso del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> che lei probabilmente non colse.<br />

“Già… peccato! Come <strong>la</strong> prima paro<strong>la</strong> che mi hai detto!” E mi sorrise di nuovo.<br />

“E?” le doman<strong>da</strong>i, mentre lei schiacciava il pulsantino arancione con cui prenotava <strong>la</strong> discesa <strong>da</strong>ll’autobus.<br />

“Sai giocare a Master Mind?” mi domandò.<br />

“Sì” mentii.<br />

Io sono uno di quelli che non dicono <strong>la</strong> verità alle donne. Di più, io credo sia impossibile dire <strong>la</strong> verità alle<br />

donne. Almeno è impossibile dire <strong>la</strong> verità prima di averci fatto l’amore. Nel<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> è stato così, mi sono<br />

accorto di quanto una donna fosse importante per me sempre dopo esserci stato a letto. Mi capitava il più<br />

delle volte, di avere voglia di fuggire dopo essere venuto e a volte l’ho anche fatto. Quando si trattava di<br />

sbrogliare un groviglio di carni che si erano combattute per un orgasmo triste.<br />

Prima del sesso è tutto facile, è tutto sangue che pompa, è tutto bello e falso. Un uomo può iniziare a dire <strong>la</strong><br />

verità ad una donna solo quando non sta pensando all’immediata possibilità di infi<strong>la</strong>rsi tra le sue lenzuo<strong>la</strong>.<br />

Quando una donna ha scritto qualcosa nel<strong>la</strong> scorza dura del mio cuore me ne sono accorto, perché, dopo<br />

aver fatto l’amore, non riuscivo più a mentirle. Quando non solo non avevo <strong>la</strong> minima urgenza di rivestirmi e<br />

scappare, ma addirittura sentivo <strong>la</strong> necessità di dirle qualcosa di <strong>vera</strong>mente mio.<br />

Infine, <strong>la</strong> verità tra un uomo e una donna può venir fuori solo dopo un orgasmo.<br />

Non essendo neanche vicino al<strong>la</strong> possibilità di an<strong>da</strong>re a letto con Barbara, in quel momento, non aveva senso<br />

dirle <strong>la</strong> verità ed ammettere un mio punto debole, che in una circostanza singo<strong>la</strong>re come quel<strong>la</strong>, avrebbe<br />

allontanato definitivamente le nostre astronavi che si avvicinavano. Il mio annuire al<strong>la</strong> sua doman<strong>da</strong> era degno<br />

del campione mondiale di Master Mind.<br />

“Scrivi un messaggio nel<strong>la</strong> casel<strong>la</strong> di posta. Prova ad indovinare. Metti un numero di telefono, uno qualsiasi, e<br />

salva il messaggio. Io aprirò <strong>la</strong> cartel<strong>la</strong> di posta, guarderò il numero. Ti metterò un segnalino bianco per ogni<br />

numero corretto ma nel<strong>la</strong> posizione sbagliata, un segnalino nero per ogni numero corretto nel<strong>la</strong> posizione<br />

corretta. Poi tu potrai riprovarci finché non riuscirai a comporre il mio numero...”<br />

“Okay” provai a memorizzare quello che mi diceva, ma ero più attento al<strong>la</strong> stra<strong>da</strong> che ancora mancava prima<br />

del<strong>la</strong> fermata successiva, ai pochi metri di lei che mi restavano prima di perder<strong>la</strong>. Non le facevo caso mentre<br />

mi spiegava le regole del gioco. Fantasma ed Ulisse mi avrebbero aiutato. Master Mind. Che gioco era mai<br />

questo?<br />

“Non scrivermi altro, non ti risponderò se mi scri<strong>vera</strong>i qualcosa!”<br />

“Okay” ripetei con <strong>la</strong> stessa intonazione di prima, come se qualcuno mi stesse tirando una cor<strong>da</strong> dietro <strong>la</strong><br />

schiena, per caricare l’unica paro<strong>la</strong> che conoscessi tra le tante del dizionario italiano.<br />

“Ciao…” mi disse prima di scendere “Ci conto!”<br />

“Okay” dissi ancora.<br />

Poi, lei scese.<br />

Barbara scese ed io tossii e, che ci crediate o no, <strong>la</strong> mia tosse <strong>da</strong>va ancora di cocco.<br />

La sera in cui conobbi Barbara, ed ancora non sapevo il suo nome, tornai a casa deciso per una volta a<br />

mettermi al computer con l’intenzione ferma di dribb<strong>la</strong>re le decine di appuntamenti che già avevo fissato.<br />

Lasciai senza carica le piccole trappole sessuali che sono solito tendere nel<strong>la</strong> rete. Chiesi a Fantasma notizie<br />

sul Master Mind. Ovviamente non mancava neanche quello nel<strong>la</strong> sua giovane <strong>vita</strong> <strong>da</strong> Olimpionico del<br />

Cazzeggio. Me ne spiegò sommariamente le regole:<br />

“Si gioca in due, uno dei due sceglie una combinazione di quattro pirulini tra otto colori differenti. E <strong>la</strong> tiene<br />

nascosta. L’altro prova ad indovinare <strong>la</strong> combinazione segreta con vari tentativi. Dopo ogni tentativo, il primo<br />

concorrente segna<strong>la</strong> con uno zippetto più piccolino di colore nero i pirulini colorati presenti nel<strong>la</strong> combinazione<br />

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che sono al posto giusto. E con uno di colore bianco quelli che sono presenti ma nel posto sbagliato. In base<br />

alle informazioni che ricava <strong>da</strong> questi zippetti, il secondo concorrente propone una secon<strong>da</strong> combinazione, e<br />

via così fino ad indovinare <strong>la</strong> sequenza. Il primo concorrente somma tanti punti quanti sono i tentativi che ha<br />

impiegato il secondo per indovinare. A quel punto ci si scambia le posizioni e tocca al secondo creare <strong>la</strong><br />

combinazione ed al primo indovinare…”<br />

Insomma, a parte zippetti e pirulini, <strong>la</strong> sua spiegazione mi schiarì parecchio le idee.<br />

Provai a trasporre l’applicazione delle regole del Master Mind al<strong>la</strong> divinazione di un numero telefonico. La cosa<br />

si complicava esponenzialmente. Un numero di telefonino contiene dieci cifre, e, pur <strong>da</strong>ndo per scontata <strong>la</strong><br />

prima che è sempre un 3, me ne restavano comunque nove <strong>da</strong> indovinare.<br />

“Nove elevato al<strong>la</strong> nove” mi confortò Fantasma.<br />

“Veramente sono dieci al<strong>la</strong> nove, c’è anche lo 0, non te ne dimenticare” disse Ulisse.<br />

“Cioè, quanto fa in numeri?”<br />

“Un miliardo!” dissero insieme. A volte penso che siano fatti l’uno per l’altro.<br />

Con un tocco di sconforto che mi accompagnava tenendomi <strong>la</strong> mano, li <strong>la</strong>sciai alle loro conversazioni <strong>da</strong><br />

frustrati membri del Mensa ed entrai nel<strong>la</strong> mia stanza.<br />

Creai un indirizzo di posta elettronica, con il portale più comune del<strong>la</strong> web italiana. Seguii le istruzioni di lei,<br />

ogni tanto fermandomi per fantasticare acrobazie tra lenzuo<strong>la</strong> che sapessero di cocco, perché quello era<br />

chiaro <strong>da</strong>l primo minuto: era lì dove volevo arrivare.<br />

Immaginai quanto sarebbe stato bello che io mi potessi inventare un numero, e che fosse quello giusto.<br />

Un’insolita on<strong>da</strong>ta di romanticismo si alzò nel mare dove solitamente io navigavo a piccole botte di passioni a<br />

ve<strong>la</strong>. Fu un’on<strong>da</strong>ta forte, di quelle che liberano nell’aria un pulviscolo rinfrescante, di quelle che di fronte a<br />

tanta potenza ti fanno sentire piccolo. Chiusi gli occhi, provai a bagnarmene e digitai un numero a caso.<br />

Quando li riaprii avevo scritto:<br />

“00424447858” dissi a voce alta. Uno doppio zero iniziale voleva significare una chiamata in un’altra nazione.<br />

Per curiosità provai a guar<strong>da</strong>re in internet a che stato corrispondesse il prefisso che avevo marcato.<br />

“Congo?” biascicai sconfortato, provando ad immaginar<strong>la</strong> mentre mi rispondeva al telefono vestita <strong>da</strong> indigena<br />

dell’Africa Centrale.<br />

Cancel<strong>la</strong>i presto le cifre, ne digitai altre. Salvai il messaggio e chiusi <strong>la</strong> finestra dell’Internet Explorer.<br />

Dopo tre giorni mi chiamò lei. Dopo cinque giorni an<strong>da</strong>mmo al cinema, <strong>la</strong> qual cosa mi sembrava poco<br />

comunicativa come primo appuntamento. Ugualmente rimasi incantato <strong>da</strong>l sonnolento ritmo di quel cartone<br />

animato francese. Dopo nove giorni e tre birre Weiss a testa ci baciammo protetti <strong>da</strong>l culo rotondo del<strong>la</strong><br />

cattedrale di Trani. Dopo dodici giorni scopammo. Dico scopammo, perché fu brutale. Fu doloroso, forte,<br />

violento, come se volessimo <strong>la</strong>sciare ognuno il segno di sé sul corpo dell’altro. Non avevo mai strappato uno<br />

slip ad una partner, mai avevo provato a <strong>la</strong>sciarle i segni delle mie dita stringendo<strong>la</strong>. Non avevo mai sentito i<br />

miei fianchi scricchio<strong>la</strong>re come piccole baracche di legno al vento prima di quel giorno in cui stavano stretti tra<br />

le sue cosce. Non avevo mai provato <strong>la</strong> sensazione che finalmente potessi morire dopo essere venuto. Né mi<br />

era mai venuto il fiatone o avevo mai avuto desiderio di piangere come in quell’abbraccio che mesco<strong>la</strong>va <strong>la</strong><br />

sua pelle umi<strong>da</strong> all’odore del cocco.<br />

Fu allora che Barbara mi guardò. Mi guardò. Spa<strong>la</strong>ncò gli occhi. Poi tornò a chiuderli, e <strong>la</strong>crimando, mi<br />

sussurrò:<br />

“Curami, ti prego Daniele, curami!”<br />

89


7.<br />

Il mio primo pensiero stamattina è stato per Chantal, forzatamente. Il secondo è stato per Barbara, che con gli<br />

occhi chiusi mi chiede di curar<strong>la</strong>. Addirittura esagero e mi permetto il lusso di un terzo pensiero: e penso che<br />

non è giusto che gli esseri umani provino sensazioni che siano contemporaneamente tanto forti e tanto<br />

incomplete. La persi in quello stesso momento. Anche se tutto doveva ancora venire, anche se nelle due<br />

settimane che sarebbero seguite avremmo fatto l’amore con dolcezza, con intimità, come due piccoli cuori tutti<br />

presi ad innamorarsi rispetto ad un esercito di cuori intorno a noi ai quali semplicemente fossero state<br />

assegnate funzioni cardiocirco<strong>la</strong>torie. La persi quando mi chiese di curar<strong>la</strong>, quando <strong>la</strong> sua <strong>vita</strong> mi chiese aiuto,<br />

ed io mi accorsi di non poter fare nul<strong>la</strong> per lei. Provai ad abbracciar<strong>la</strong>, piansi insieme a lei, le dissi che l’amavo,<br />

ed era vero, non mentivo, non mentivo neanche mentre glielo dicevo prima di godere. Le dicevo ti amo, e non<br />

mi sembrava stonato.<br />

Le chiesi cosa avesse, ma lei si fece picco<strong>la</strong>, più picco<strong>la</strong> di quanto già gracile fosse, al punto che mi si fece<br />

difficile riuscire a tener<strong>la</strong> affianco a me, senza paura di schiacciar<strong>la</strong> con i miei movimenti goffi, o di perder<strong>la</strong> tra<br />

le pieghe delle lenzuo<strong>la</strong> profumate. Le dissi che sarei stato lì. La chiamai per nome, <strong>la</strong> baciai e le chiesi scusa.<br />

Barbara non mi rispose, non ebbi mai <strong>la</strong> sensazione che fosse <strong>vera</strong>mente lì con me in quel momento. Sentii<br />

freddo e dolore in tutte le ossa, contemporaneamente sapevo che non avevo mai provato tanto amore in <strong>vita</strong><br />

mia. Neanche infi<strong>la</strong>ndo uno sull’altro gli orgasmi più vertiginosi fabbricati nei letti in cui fossi mai entrato<br />

raggiungevo <strong>la</strong> quota alta dove ero appena vo<strong>la</strong>to con lei. E <strong>da</strong> così in alto stavo cadendo.<br />

Giù. Già lontano <strong>da</strong> lei.<br />

E mi faceva male.<br />

Penso a questo, stamattina, il primo pensiero è an<strong>da</strong>to a Chantal, forzatamente. Il secondo è vo<strong>la</strong>to a Barbara<br />

con gli occhi chiusi che mi chiede di curar<strong>la</strong>. Il terzo pensiero sull’incompletezza si è declinato in un quarto:<br />

penso che non è giusto che provassi tanto amore ma che non fossi capace di utilizzarlo.<br />

Passammo due settimane insieme, <strong>da</strong>l tredicesimo al venticinquesimo giorno dopo quel<strong>la</strong> volta nell’autobus.<br />

Stemmo insieme ogni secondo. Le raccontai tutto di me, come se le stessi affi<strong>da</strong>ndo ogni pensiero ed ogni<br />

ricordo di quelle poche tracce che mi sembrava di aver <strong>la</strong>sciato sul<strong>la</strong> terra. Le raccontai cose che neanche nei<br />

momenti più intimi dell’Apollo <strong>13</strong> ero mai stato capace di tirar fuori <strong>da</strong>l<strong>la</strong> cassa del<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>. Le guar<strong>da</strong>vo<br />

insieme a lei. Discutevamo delle cose del<strong>la</strong> mia esistenza insieme, e sotto il suo sguardo mi sembrava che<br />

finalmente avessero un nome che mi permettesse di catalogarle, di <strong>da</strong>r loro un senso. Era come se ogni cosa<br />

che era stata nel<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> si traslocasse in un nuovo posto, come se nel raccontarle di me, insieme io e<br />

Barbara impacchettassimo i miei ricordi, i miei sogni e li portassimo in un altro posto dove poi li avremmo<br />

sistemati come si conveniva. Le sue mani mi aiutavano a traslocare verso l’età adulta.<br />

Era bellissimo. Era bellissimo ed era facile. Perché non avevo problemi di spazio. In pochi giorni <strong>la</strong>sciai che mi<br />

aiutasse a disegnare una nuova dimora di me, dove i suoi passi governassero senza confini.<br />

Le cose cambiavano quando par<strong>la</strong>vamo di lei. Ognuno di noi raccontava di sé all’altro. Io però, non arrivavo<br />

fino a lei. Probabilmente semplificavo troppo le cose. Immaginavo che per arrivare al centro del suo cuore<br />

fosse sufficiente abbandonarsi totalmente, provare amore. Che a Barbara bastasse sapere che l’amavo<br />

perché fosse felice.<br />

Proprio non era così.<br />

Lei quando par<strong>la</strong>va di sé, lo faceva con i puntini. Sospendeva le sue frasi come se le parole per descrivere<br />

quello che <strong>da</strong>vvero provava le fossero negate. Si interrompeva e mi guar<strong>da</strong>va, aspettando che io continuassi a<br />

par<strong>la</strong>re al posto suo. A volte ci provavo, indovinando anche. Altre volte restavo zitto, sentendomi ridicolo come<br />

deve essere un uomo che vuol sfi<strong>da</strong>re <strong>la</strong> nudità dell’oceano soltanto vestito del proprio costume <strong>da</strong> bagno.<br />

La sua <strong>vita</strong> si dispiegava come un’on<strong>da</strong> che toccasse picchi più alti di quelle di tutti noi, nel bene e nel male.<br />

Par<strong>la</strong>va di un quadro come se riuscisse a portartici dentro ed a spiegarti cose che fuori <strong>da</strong>l<strong>la</strong> te<strong>la</strong> non si<br />

riuscissero a vedere. Il suo cervello non sostava ai box neanche quando sognava, galleggiava lontano <strong>da</strong>lle<br />

banalità.<br />

Era questo che le faceva male, forse. Il non accettare i limiti di un essere umano, cose stupide come cercare<br />

parcheggio, dover cagare ogni mattina, dover fare mezz’ora di co<strong>da</strong> per mangiare un panzerotto, mettere un<br />

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perizoma sotto un pantalone bianco. Non accettava che anche lei dovesse piegarsi a tanto, non accettava<br />

l’idea di essere normale. Una volta mi disse:<br />

“Strillo, a volte penso che <strong>la</strong> <strong>vita</strong> sia un condotto del calibro di un centimetro nel quale dovrebbe scorrere un<br />

flusso molto più impetuoso. Il nostro essere ha un diametro mille volte più grande. Pensa un attimo a come<br />

veniamo al mondo.”<br />

“Parli del parto?” le chiesi.<br />

“Già! La nascita è esattamente il simbolo di questo condotto” mi diceva gestico<strong>la</strong>ndo “La testa di un bambino è<br />

grande quanto un pompelmo e passa per l’utero del<strong>la</strong> madre, un buco grande quanto un’albicocca…”<br />

Quando Barbara mi par<strong>la</strong>va, era come se riuscisse a pettinarmi l’anima. Mi affascinava, al punto che ascoltavo<br />

ebbro senza pensare quanto invece lei soffrisse <strong>da</strong>vvero.<br />

”Io non voglio essere un fottuto canale otturato. Io voglio scorrere libera…” si fermava ancora, di fronte a me<br />

che restavo zitto “Pensi che quando moriremo, si romperà <strong>la</strong> diga? Che <strong>la</strong> corrente potrà finalmente di<strong>la</strong>gare in<br />

ogni direzione?” mi doman<strong>da</strong>va. Ed io non sapevo che rispondere. Proprio non ce l’avevo queste risposte. Né<br />

le cercavo.<br />

Questo lei lo sapeva bene, del resto.<br />

Sapeva già che non le avremmo risposto, nè io, né <strong>la</strong> cocaina, né un analista <strong>da</strong> 100 euro l’ora. Però almeno<br />

servivamo ad alleviare il pensiero di dover cercare il parcheggio il giorno dopo.<br />

Immagino che il cammino per <strong>la</strong> sua felicità passasse soltanto per un filo <strong>da</strong> equilibrista. Che lei avrebbe<br />

presto attraversato senza preoccuparsi se mai fosse caduta.<br />

Io stupido, invece avrei voluto che lei scendesse e camminasse tenendomi per mano. Su una stra<strong>da</strong><br />

abbastanza <strong>la</strong>rga <strong>da</strong> non rischiare mai di cadere.<br />

Ma non si può <strong>da</strong>re un marciapiede ad uno che vuole camminare su un filo.<br />

91


8.<br />

Sto divagando, questa non è <strong>la</strong> <strong>storia</strong> di Barbara. Questa è <strong>la</strong> mia, di <strong>storia</strong>. Barbara è stata solo il mio<br />

secondo pensiero del<strong>la</strong> giornata. Il primo è stato per Chantal, forzatamente.<br />

Del resto Barbara mi <strong>la</strong>sciò e lo fece <strong>da</strong> cani, l’on<strong>da</strong> scese presto <strong>da</strong>l ti amo al non voglio più vederti,<br />

passando per sei il mio migliore amico e <strong>da</strong>mmi il numero del tuo amico.<br />

Fu inatteso: quando tutte le mie casse furono arrivate nel<strong>la</strong> casa che avevo progettato per lei, lei sparì. Mi<br />

<strong>la</strong>sciò solo, con dei pensieri impacchettati, ad aspettare che tornasse. E non lo fece. Se non per lo schifoso<br />

appuntamento di restituzione dei cd.<br />

Eppure in quelle due sole settimane con Barbara, imparai più cose su di me e sul<strong>la</strong> <strong>vita</strong> di quante ne avessi<br />

imparate fino ad allora. Ero più intelligente, più vivo, più in<strong>da</strong>gatore, più deduttivo. Ero innamorato. Pensavo di<br />

prendere lezione d’amore <strong>da</strong> lei.<br />

Lei mi diede <strong>la</strong> precisa sensazione di essere capace di materializzare concetti che fino ad allora erano state<br />

soltanto immagini confuse dentro di me. Quando finivamo di fare l’amore e restavamo immobili a guar<strong>da</strong>rci, il<br />

suo profilo si addolciva tanto che ero certo nell’accarezzare <strong>la</strong> sua pelle bianca, che in quello stesso momento<br />

le mie mani stessero toccando <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> Dolcezza, con tutte le sue otto lettere distribuite strategicamente<br />

lungo un profilo di velluto che le correva tra le sopracciglia e le caviglie. Toccavo <strong>la</strong> dolcezza esattamente<br />

come potevo toccare il lenzuolo o <strong>la</strong> sveglia o il pacco di sigarette.<br />

Trasformava i concetti in cose tangibili. E sapeva farlo nel bene e nel male.<br />

Veder<strong>la</strong> dopo una decina di giorni in un bar con il mio semi-amico del quale le avevo <strong>da</strong>to il numero, mentre<br />

e<strong>vita</strong>va il mio sguardo, mi <strong>da</strong>va infatti <strong>la</strong> sensazione di avere di fronte a me una confezione <strong>da</strong> un metro e<br />

sessantacinque di cattiveria.<br />

Mi insegnò molto. Re<strong>da</strong>sse in due settimane l’Enciclopedia Universale delle sensazioni di Strillo.<br />

Eppure non so più nul<strong>la</strong> di lei <strong>da</strong> allora. Ma non importa. Sto divagando. Questa non è <strong>la</strong> <strong>storia</strong> di Barbara.<br />

Questa è <strong>la</strong> mia, di <strong>storia</strong>.<br />

Dopo di lei, in un anno ho scopato con sette donne. La farmacista che mi obbligava a mettermi il preservativo<br />

stimo<strong>la</strong>nte, quello con il profilo sagomato, perché altrimenti lei non veniva. Almeno le spese per <strong>la</strong><br />

contraccezione erano a suo carico ed in cambio del fastidio di ricoprirmi di <strong>la</strong>ttice ottenni lo sfizio di<br />

protagonizzare un focoso remake “Sotto il camice niente”. La studentessa che me l’aveva già preso in bocca<br />

senza che ancora sapessimo il vero nome l’uno dell’altro. La tipa che mentre me lo teneva in mano par<strong>la</strong>va al<br />

telefono con il suo fi<strong>da</strong>nzato dicendogli di non fare lo stupido con le sue amiche di corso. Quel<strong>la</strong> che aveva un<br />

accento orribile di paese, che proprio non ce <strong>la</strong> facevo quando diceva “goudo”. Una so<strong>la</strong> volta fu più che<br />

sufficiente. Quel<strong>la</strong> cicciottel<strong>la</strong> che mi assalì nell’ennesima festa di <strong>la</strong>urea dove ci eravamo infiltrati. Che mi<br />

chiese dove fosse il bar scontrandosi con me nel giardino del<strong>la</strong> masseria, mentre io an<strong>da</strong>vo a fare Cicileo con<br />

gli altri tre. Ed ovviamente io non persi tempo a spiegarglielo, ma l’accompagnai direttamente. Era una tipa<br />

strana, faceva l’amore in silenzio, che mi sembra una cosa orribile, salvo poi <strong>la</strong>nciare acuti <strong>da</strong> soprano solo<br />

quando si metteva sopra di me e mi <strong>da</strong>va le spalle Dopo di lei venne <strong>la</strong> sua amica, magrissima, con <strong>la</strong> voce di<br />

un topo e il culo smagliato. Non sprecai tempo a giustificarmi quando venni in un batter d’occhio in prima<br />

istanza e <strong>la</strong> secon<strong>da</strong> neanche mi si alzò. Mi rivestii e me ne scappai a casa a farmi una doccia, però nessun<br />

getto d’acqua portava via <strong>da</strong> me quello strato triste che mi avvolgeva perennemente dopo aver rubato<br />

un’eiacu<strong>la</strong>zione.<br />

Infine <strong>la</strong> tipa con gli occhiali, che cercava il suo principe azzurro, una tipa tanto miope <strong>da</strong> scambiare me per<br />

lui. Le mentii, più di una volta, perché aveva un signor fondoschiena e mi sembrava che sporcarmi <strong>la</strong><br />

coscienza valesse <strong>la</strong> pena al fine di schiacciare il suo viso <strong>da</strong> principessa in un cuscino mentre <strong>la</strong> afferravo a<br />

carponi.<br />

Tranne l’amante silenziosa conosciuta al<strong>la</strong> festa e <strong>la</strong> sua amica, le altre le beccai tutte in rete. Ognuna di loro<br />

aveva un nick-name, Stellina, Dafne, Pantera71, Smeraldo, e così via. Ognuna di loro riversava il proprio<br />

tasteggiare in una stanza piena di bit, una cosiddetta chat room, cioè un grosso contenitore virtuale di<br />

solitudini dove, se sai cosa cercare, stai certo che trovi <strong>da</strong>vvero tutto. Ed io sapevo quello che cercavo.<br />

Con tutte ho usato <strong>la</strong> stessa tattica.<br />

92


Rego<strong>la</strong> numero uno: entrare solo nelle chat room di Bari e dintorni. Non mi interessavano amicizie, storie o<br />

amori impossibili. E’ difficile portare le palle a svuotare a più di 30 km <strong>da</strong> casa.<br />

Rego<strong>la</strong> numero due: non perdere tempo con filosofie, carinerie e giri di parole che dirigano <strong>la</strong> conversazione<br />

su un piano gentile ed amicale. Proporre subito <strong>la</strong> propria smisurata ed incondizionata passione.<br />

Rego<strong>la</strong> numero tre: come avrete già capito <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia conversazione con Naoko, quando si decide di<br />

incontrarsi in carne ed ossa, con i propri odori e <strong>la</strong> propria pelle, se ci si piace, ci si bacia senza bisogno di dire<br />

altro. Aspettando che il sapore di un bacio si appoggi <strong>da</strong>lle parti del cuore, del cervello o del sesso.<br />

Aspettandone una reazione, per capire come comportarsi dopo. Se invece in carne ed ossa non ci si piace, si<br />

va via. Senza dire nul<strong>la</strong>. In ogni caso, insomma, non si corre il rischio di sprecare delle parole.<br />

Rego<strong>la</strong> numero quattro: avere sempre con sé le chiavi di un qualsiasi luogo dotato di un tetto, un <strong>la</strong>vandino ed<br />

un materasso, dove an<strong>da</strong>re a consumare un orgasmo fuori orario.<br />

Unendo questi quattro coman<strong>da</strong>menti con <strong>la</strong> scienza esatta del<strong>la</strong> statistica, su una cinquantina di donne<br />

diverse con cui ho iniziato a scambiarmi messaggi in una chat, sono stato a letto con cinque. Non c’è ragione<br />

di pensare che a loro non sia piaciuto. Né ho mai ingannato nessuna, non ho promesso nul<strong>la</strong> più di quello che<br />

ho <strong>da</strong>to.<br />

Non so bene cosa mi <strong>la</strong>sci questo. Sono sensazioni contrastanti, sorprendenti, come salire su un punto alto<br />

che affacci su panorami tra loro diversissimi.<br />

A volte ho sentito su di me il peso del<strong>la</strong> solitudine, come se nello spazio bianco del<strong>la</strong> chat stessimo tutti ad<br />

odorarci quasi fossimo animali che in una cel<strong>la</strong> frigorifera non si rendono conto di essere già carne morta<br />

appesa ad un gancio. Una sensazione di freddo, una macelleria di sesso sporco <strong>da</strong> due soldi.<br />

Altre volte, incontrando gente che lo fa per il puro piacere edonistico di mettersi in vetrina, è stato divertente. É<br />

stato assaporare il godimento, <strong>la</strong> seduzione, <strong>la</strong> passione, liberandoli <strong>da</strong> ogni mo<strong>da</strong>natura, riuscendo a dividere<br />

l’atomo che molti credono inscindibile dell’amore <strong>da</strong>l sesso.<br />

A volte mi ha <strong>da</strong>to voglia di an<strong>da</strong>re oltre, di essere sincero, di essere un io di fronte ad un altro io, che provano<br />

a vedere se le loro sagome si possono incastrare formando un noi. Sono an<strong>da</strong>to più a fondo, ho scambiato<br />

numeri di telefono, tenerezze, pensieri non impuri, finché è durato.<br />

Ogni volta i tre miei astronauti mi guar<strong>da</strong>no uscire <strong>da</strong>l bagno dell’Apollo <strong>13</strong>, sbarbato e profumato, dirigermi<br />

verso lo sportello del<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong> e riscendere sul<strong>la</strong> Terra, dove poi sceglierò un caffè dove incontrarmi con una<br />

picco<strong>la</strong> Ninfea, o una LadyDesiderio o con una Mariposa.<br />

Farò così anche oggi, con questa qui che si fa chiamare Naoko.<br />

Loro sono convinti che io cerchi <strong>la</strong> donna giusta, ma non è affatto così. Ogni volta che rientro <strong>da</strong> un<br />

appuntamento, ogni volta che esco <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia stanza e tolgo <strong>la</strong> sciarpa del Bari per segna<strong>la</strong>re che <strong>la</strong> presenza<br />

femminile aliena ha abbandonato l’astronave, i tre fanno a gara per chiedermi se “era quel<strong>la</strong> giusta”.<br />

Non sanno che io non chiedo questo, che mi interessa poco, e che comunque <strong>la</strong> donna giusta si rivelerebbe<br />

tale solo dopo lungo e studiato approfondimento. Non c’è nul<strong>la</strong> di più lontano <strong>da</strong> questo: io chiedo solo che un<br />

incontro al buio defibrilli per un attimo il mio cuore ferito. Chiedo mistero, passione, adrenalina. Non è chiedere<br />

troppo, mi sembra.<br />

93


9.<br />

Finita <strong>la</strong> co<strong>la</strong>zione, entro nel<strong>la</strong> chat con un buon quarto d’ora di ritardo rispetto all’orario concor<strong>da</strong>to, per non<br />

<strong>da</strong>re l’impressione a Naoko di prendere l’appuntamento virtuale troppo sul serio. In fin dei conti rimane sempre<br />

un gioco. Solo che invece di muovere un funghetto, una cande<strong>la</strong>, una me<strong>la</strong> o una pera come nel Monopoli, le<br />

pedine di questo gioco siamo noi stessi esseri a metà stra<strong>da</strong> tra il virtuale e l’umano.<br />

Naoko è già nel<strong>la</strong> stanza.<br />

Mi par<strong>la</strong> lei:<br />

“ZZZZ, che sonno! Non ho voglia di alzarmi oggi” mi scrive, con vari caratteri che disegnano faccine ed<br />

oggetti, in gergo emoticons, non riesco ancora a capire se è una newbe o una user esperta.<br />

“Sei ancora in pigiama?” le domando.<br />

“Non uso il pigiama per dormire!” raccoglie lei.<br />

“Chanel come Marilyn?”<br />

“Se non ho gente intorno, il mio camicione <strong>da</strong> notte. Se non sono so<strong>la</strong>, preferisco vestirmi di lui.”<br />

Sento <strong>la</strong> porta del<strong>la</strong> mia stanza che si apre e rimango zitto un secondo.<br />

“O di lei” compare sul mio schermo un secondo dopo.<br />

Nel frattempo Fantasma è già in camera, con i suoi soliti problemi <strong>da</strong> spettro perduto in una <strong>vita</strong> dove lo spazio<br />

per <strong>la</strong> gente eterea come lui si riduce sempre di più.<br />

Minimizzo <strong>la</strong> finestrel<strong>la</strong> dove chatto con Naoko e provo a far finta di nul<strong>la</strong>. Lui mi ha visto e mi dice che non gli<br />

frega nul<strong>la</strong> se surfo sui siti porno! Che tanto <strong>la</strong> bolletta <strong>la</strong> pago io!<br />

Che cretino, sesso virtuale va bene, ma di qui ad interagire con un mucchio di pixel pornografici ce ne corre.<br />

Gli spiego <strong>la</strong> situazione, che sto per incontrarmi con una tipa. Nel frattempo continuo a par<strong>la</strong>re con Naoko che<br />

mi racconta del<strong>la</strong> sua biancheria, delle culotte tornate di mo<strong>da</strong>, delle calze autoreggenti. Fantasma pronuncia<br />

<strong>la</strong> sua stupi<strong>da</strong> doman<strong>da</strong> di rito: “Potrebbe essere quel<strong>la</strong> giusta?”.<br />

Io sorrido e non rispondo.<br />

“Ci sei?” mi chiede nel frattempo Naoko.<br />

Il tempismo è tutto, nel<strong>la</strong> mia tattica; se sbaglio di un momento, se non calcolo il tempo di ogni frase, di ogni<br />

entrata nel<strong>la</strong> conversazione, brucio qualsiasi chance di appuntamento.<br />

“Scusa, <strong>la</strong> mia casa è infestata <strong>da</strong>i fantasmi, vado un secondo a chiamare i Ghostbusters e torno...” le scrivo<br />

mentre Fantasma mi racconta di Ulisse, del<strong>la</strong> cocaina. Mi sembra insolito. Provo a capire e gli chiedo almeno<br />

se ha rispettato <strong>la</strong> rego<strong>la</strong> di non fare pippotti in cucina.<br />

Fantasma mi incenerisce con uno sguardo. Mi alzo ed andiamo insieme in camera di Ulisse.<br />

94


10.<br />

La maggior parte delle persone che conosce gente in chat parte <strong>da</strong>llo scambio delle fotografie. Ci si scambia<br />

quattro chiacchiere, si entra in confidenza cercando una persona che rispon<strong>da</strong> a tono alle proprie richieste e<br />

subito si verifica se dietro i tasti e lo schermo con cui si interagisce ci sia una persona esteticamente<br />

gradevole. Una delle prime volte che frequentavo le stanze virtuali, conobbi una tipa di Viareggio. Almeno così<br />

diceva lei, perché quello che è certo è che nel<strong>la</strong> rete puoi diventare tutto quello che vuoi, occultare i tuoi <strong>la</strong>ti<br />

oscuri, ridisegnarti. Insomma, questa tipa si era disegnata come una model<strong>la</strong> di Viareggio. Mi chiese di<br />

man<strong>da</strong>rle una mia foto, ed io le dissi che l’avrei fatto solo dopo che lei mi avesse inviato <strong>la</strong> sua. In un paio di<br />

minuti nel<strong>la</strong> mia casel<strong>la</strong> di posta elettronica arrivò un messaggio. Scaricai l’allegato e quando l’aprii, una<br />

stupen<strong>da</strong> fanciul<strong>la</strong> svestita mi sorrideva seduta su una spiaggia. Dietro di lei, <strong>la</strong> scritta “Saluti <strong>da</strong> Viareggio”.<br />

Cioè, mi aveva inviato <strong>la</strong> scansione di una cartolina.<br />

Non persi neanche tempo a risponderle.<br />

Eppure mi affezionai tanto al<strong>la</strong> vicen<strong>da</strong> al punto <strong>da</strong> conservare ancor oggi il file che mi inviò <strong>la</strong> tipa. Se mai<br />

capitate a Viareggio, in un edico<strong>la</strong> dove ci siano delle cartoline, cercatene una con una signorina in costume<br />

minimalista che vi fa gli occhi dolci. Quel<strong>la</strong> ci ha provato con me!<br />

A questa esperienza ne seguirono altre. Mi accorsi così che tutte le donne che mi mostravano le loro foto<br />

erano belle <strong>da</strong> morire. Detestavo il fatto che dietro quel<strong>la</strong> bellezza ci fosse un paziente <strong>la</strong>voro di cernita tra<br />

migliaia di foto per scegliere quel<strong>la</strong> in cui non si vedessero il grasso sui fianchi, o <strong>la</strong> pelle rovinata, o i denti<br />

storti. Per non par<strong>la</strong>re di quelle donne più tecnologiche capaci di perfezionare <strong>la</strong> propria immagine con <strong>la</strong><br />

bacchetta magica del Photoshop o di altri programmi di foto-ritocco. Deluso <strong>da</strong>ll’incontrare poi in carne ed<br />

ossa, donne totalmente diverse <strong>da</strong>i Jpeg che mi avevano inviato, decisi con il tempo di saltare a piè pari <strong>la</strong><br />

fase dello scambio di foto.<br />

Quando anzi me lo propongono, trovo una breve scusa, <strong>la</strong> più stupi<strong>da</strong> che mi venga in mente, e mi dileguo. A<br />

volte mi disconnetto di punto in bianco. Nessuno potrà mai rimpro<strong>vera</strong>rmi per questo, perché nessuno mi<br />

ritroverà mai.<br />

Senza foto c’è più mistero. Adrenalina. E quando ci si incontra in un posto è divertente stare a guar<strong>da</strong>re le<br />

persone che affol<strong>la</strong>no il bar, o il negozio, al<strong>la</strong> ricerca di una tipa che non si sa neanche com’è fatta. Oltretutto,<br />

non chiedendo di vedere una foto del<strong>la</strong> signorina (o signora, è capitato anche questo!) prima di incontrar<strong>la</strong>, <strong>da</strong>i<br />

l’impressione di essere una persona sicura di te, di non temere l’incontro avventuroso, e fai anche una parte<br />

<strong>da</strong> signore non giudicando <strong>la</strong> tipa per il suo aspetto fisico, ma solo per l’intrigo alchemico che le poche battute<br />

in chat hanno creato. L’anonimato ha una condizione di leggerezza che è molto sensuale, ti rega<strong>la</strong> un piacere<br />

voyeuristico di guar<strong>da</strong>re in una fol<strong>la</strong> di persona sapendo che <strong>da</strong> qualche parte, tra quel<strong>la</strong> gente, c’è una che<br />

probabilmente, se saprete riconoscervi e se vi piacerete, ti guarderà e verrà a baciarti.<br />

Lo status virtuale di queste re<strong>la</strong>zioni mi intriga per <strong>la</strong> possibilità di saltare tutte quelle barriere e quei giri di<br />

parole che convenzionalmente si frappongono tra due persone e <strong>la</strong> loro immediata voglia di saltarsi addosso.<br />

Ovviamente non è facile.<br />

Questo mio osare immediato, senza perder tempo, mi porta, scontato dirlo, <strong>la</strong> maggior parte delle volte a<br />

conversazioni che mi si troncano in faccia, a finestrelle chat dove in un secondo, in seguito ad una paro<strong>la</strong><br />

sbagliata, mi ritrovo solo soletto ad aspettare <strong>la</strong> prossima signorina che si caccerà nel<strong>la</strong> mia trappo<strong>la</strong>. Finché<br />

non incontro <strong>la</strong> tipa che, proprio come me, ne ha le tasche piene dei paro<strong>la</strong>i, segaioli, perditempo che affol<strong>la</strong>no<br />

le stanzette. E, proprio come me, considera <strong>la</strong> finestrel<strong>la</strong> un trampolino dove fare due tre passi prima di saltare<br />

in un appuntamento al buio.<br />

Una volta Ulisse, il bell’Ulisse, che ha file di donne che gli <strong>da</strong>nno <strong>la</strong> caccia capitanate <strong>da</strong>l<strong>la</strong> sua fi<strong>da</strong>nzata, ma<br />

che è un imbranato terribile quando invece l’iniziativa tocca a lui, mi chiese di aiutarlo a conoscere una donna<br />

in chat. Partiva <strong>da</strong>l presupposto che se io ne avevo già beccate tre o quattro, lui che era più attraente di me<br />

(assunto indimostrabile) ne avrebbe avute migliaia. Aveva un’immagine distorta del<strong>la</strong> realtà virtuale, come se<br />

<strong>la</strong> rete fosse un catalogo di mignotte tra cui lui avrebbe scelto quel<strong>la</strong> che più gli aggra<strong>da</strong>va.<br />

Ci mettemmo fianco a fianco, una chiappa per uno sul<strong>la</strong> mia sedia e ci appostammo silenziosi in una stanza.<br />

La prima cosa <strong>da</strong> fare in una room è guar<strong>da</strong>rsi intorno, ascoltare le conversazioni degli altri per capire chi è un<br />

esaltato, chi un frustrato, chi è uomo però si fa passare per donna, chi è una persona so<strong>la</strong>, o annoiata, o<br />

95


incuriosita. Individuato il bersaglio si <strong>la</strong>ncia l’esca. In pvt, cioè in privato. In pratica si chiama una persona<br />

scrivendole un messaggio che solo lei può leggere.<br />

Io ed Ulisse leggevamo in silenzio i messaggi del<strong>la</strong> room.<br />

“Ma possibile che vi siate bevuti il cervello, tutti quanti? Questa room è piena di immondizia” scrisse una tipa<br />

che non aveva ancora par<strong>la</strong>to, evidentemente indignata per <strong>la</strong> bruttura delle identità virtuali che riempivano <strong>la</strong><br />

room.<br />

“E’ lei” dissi io, con <strong>la</strong> freddezza del cacciatore che ha appena visto <strong>la</strong> propria pre<strong>da</strong> uscire allo scoperto.<br />

“Dalle stanze virtuali è più difficile portare via l’immondizia e <strong>la</strong> polvere! Ne sono tutte pienissime. Non dirmi<br />

che sei un acaro anche tu?” le scrissi in pvt. Ulisse si mise a ridere. Presto lo avrebbe fatto anche <strong>la</strong> tipa.<br />

“Ah, ah, lol” scrisse lei, cioè Lots Of Laughters, Un sacco di risate, tre letterine che vogliono dire che hai fatto<br />

una battuta simpatica. Spiegai ad Ulisse il significato di quel<strong>la</strong> sig<strong>la</strong>, e lui fremeva contento.<br />

“Non sono un acaro, ma sono stufa di perdere tempo in chat infestate <strong>da</strong> maniaci e psicopatici! Sei un<br />

maniaco anche tu?”<br />

“Dille di sì!” mi faceva Ulisse scuotendomi il braccio al punto che quasi non riuscivo più a digitare.<br />

“A parte l’odore del<strong>la</strong> Nutel<strong>la</strong> che mi man<strong>da</strong> in brodo di giuggiole, non ho manie partico<strong>la</strong>ri!”<br />

“La passione per l’odore del<strong>la</strong> Nutel<strong>la</strong> è un c<strong>la</strong>ssico che accomuna gli esseri umani, si va sul sicuro” dissi ad<br />

Ulisse che mi studiava attento “L’importante è par<strong>la</strong>re di cose insolite, due tre frasi per farle accorgere che sei<br />

una persona diversa <strong>da</strong>l<strong>la</strong> pattumiera virtuale e poi ti fai avanti. Guar<strong>da</strong> adesso!”<br />

Infatti <strong>la</strong> tipa mi rispose subito:<br />

“L’odore del<strong>la</strong> Nutel<strong>la</strong>, ammazzerei i miei genitori per una sniffata di Nutel<strong>la</strong>!” e poi ci aggiunse una faccina<br />

sorridente con una lingua, uno smile.<br />

In situazioni come quel<strong>la</strong>, quando trovo una tipa che mi dà cor<strong>da</strong>, prima che <strong>la</strong> conversazione si instauri su un<br />

piano di intrattenimento ameno (per arrivare a portarsi a letto una donna puntando sul<strong>la</strong> propria simpatia c’è<br />

<strong>da</strong> <strong>la</strong>vorare troppo a lungo) io di solito propongo una svolta nel<strong>la</strong> conversazione.<br />

“Ti piace rischiare?” domando all’improvviso, ormai l’avrete capito che è <strong>la</strong> mia frase di rito.<br />

A questo punto c’è chi si tira indietro, chi mi chiede spiegazioni, chi mi dice di sì, chi mi dice di no. Però è un<br />

buon discriminante per capire fin dove si può arrivare. Ulisse mi guar<strong>da</strong>va sorpreso.<br />

“Dipende <strong>da</strong>l rischio” scrisse lei “Gui<strong>da</strong>re senza patente, bere del <strong>la</strong>tte scaduto... non è il genere di cosa che<br />

mi dà adrenalina per esempio!”<br />

“Che tipo di rischio ti piace?”<br />

“Bungee jumping, rafting, toccare il culo ad un ragazzo in una festa, già mi piace di più! Tu di cosa parli?”<br />

Avevamo <strong>da</strong>vvero trovato una ragazza a<strong>da</strong>tta per svezzare Ulisse nel mondo delle storie virtuali.<br />

“Lascia fare a me!” mi disse.<br />

“Sei sicuro?” doman<strong>da</strong>i, come un genitore che ha appena tolto le rotelle al<strong>la</strong> bici del figlio “Te <strong>la</strong> senti?”<br />

“Scemo, io di sicuro ho avuto più donne di te! Ho capito i tuoi trucchi, è una puttanata! Guar<strong>da</strong> e impara!”<br />

La tipa si accorse che non stavamo digitando e scrisse.<br />

“Allora, che proponi?”<br />

“Come ti chiami?” scrisse Ulisse tar<strong>da</strong>ndo un secolo a trovare <strong>la</strong> H.<br />

Che pena! Erroraccio! Se uno volesse essere conosciuto per il proprio nome non ricorrerebbe ad un nick.<br />

Rispettare sempre <strong>la</strong> virtualità del<strong>la</strong> persona con cui stai par<strong>la</strong>ndo. Lasciare sempre che sia lei a rive<strong>la</strong>rsi e<br />

non tu a scoprir<strong>la</strong>. Non fare domande personali convenzionali, tanto meno su cose così stupide come il nome!<br />

E’ un altro dei concetti fon<strong>da</strong>mentali per muoversi nel<strong>la</strong> rete.<br />

Scossi <strong>la</strong> testa, e provai a spiegare ad Ulisse.<br />

“Non capisci un cazzo, <strong>la</strong>sciami fare!” si scaldò lui.<br />

La tipa tardò un po’, però poi rispose:<br />

“Vera, mi chiamo Vera. E ora che te ne fai del mio nome?” domandò con un tono polemico che mi sentivo di<br />

sottoscrivere.<br />

“Vera?” ripeté Ulisse ad alta voce, pensandoci su un secondo. Poi si mise a digitare. Mentre vedevo <strong>la</strong> frase<br />

che si componeva carattere dopo carattere sullo schermo, non riuscivo a credere ai miei occhi. Volevo ur<strong>la</strong>re e<br />

provai a fermarlo prima che desse l’invio. Ma non feci a tempo.<br />

96


“Come all’acqua minerale?” campeggiava con tutti i suoi bit luminosi comprensivi di errore sintattico, sullo<br />

schermo del<strong>la</strong> mia stanza e, cosa ben più grave, sullo schermo del<strong>la</strong> tipa, dovunque lei fosse.<br />

Non si degnò neanche di risponderci. Chiuse <strong>la</strong> finestrel<strong>la</strong> e sparì. Lasciando Ulisse con le mani sul<strong>la</strong> tastiera<br />

come un pistolero con le dita sulle fondine di due pistole scariche. Lui rimase un paio di minuti ad aspettare<br />

che lei riapparisse. Ma <strong>la</strong> tipa non lo fece.<br />

E come <strong>da</strong>rle torto?<br />

Io iniziai a ridere, mentre Ulisse mi chiedeva spiegazioni sul dove avesse sbagliato, sul come aveva fatto in<br />

sole due battute a bruciare una conversazione che probabilmente io avrei potuto trasferire <strong>da</strong> uno schermo ad<br />

un materasso. Poi arrivò Sergio richiamandoci a fare Cicileo.<br />

Come all’acqua minerale... non riuscivamo a smettere di ridere.<br />

97


11.<br />

Siamo diversi, noi quattro.<br />

Eppure siamo irriconoscibili quando siamo assieme, talmente simbiotici nei nostri ritmi <strong>da</strong> far pensare a noi<br />

come ad un solo essere vivente vagamente tossicodipendente. In realtà siamo altrettanto diversi se presi<br />

singo<strong>la</strong>rmente.<br />

Ulisse è il nostro capobranco, lo riconosco. E’ quello che ha una testa più pensante degli altri, più,<br />

indipendente, anche se pare che ultimamente <strong>la</strong> stia utilizzando per rovinarsi. Ulisse ha un’autorità silente che<br />

noi tutti gli riconosciamo, è l’unico che riuscirebbe a sfuggire all’obbligo di fare qualcosa per il semplice fatto<br />

che <strong>la</strong> stiano facendo gli altri tre.<br />

Sergio è il nostro amministratore, ruolo che ricopre per <strong>la</strong> sua onestà e per il suo senso di responsabilità, è<br />

anche il cuoco, l’ufficiale aerospaziale incaricato delle cucine, ed è quello che gira il primo del<strong>la</strong> mattina.<br />

Fantasma è <strong>la</strong> nostra memoria storica. Ricor<strong>da</strong> ogni cosa, mi fa spavento, può recitare i numeri di telefono dei<br />

compagni di scuo<strong>la</strong> delle elementari, le targhe di tutte le auto degli amici e non gli si sono cancel<strong>la</strong>ti neanche i<br />

file in cui immagazzina i nostri vestiti del primo giorno di liceo.<br />

Sergio aveva una polo del<strong>la</strong> American System, rossa e violetta, io una maglietta straordinariamente avanti nei<br />

tempi perché anticipatrice del<strong>la</strong> tinta me<strong>la</strong>nge che sarebbe diventata di mo<strong>da</strong> solo molto dopo, lui (che ancora<br />

rispondeva quando lo si chiamava ******) una felpa a mezze maniche del<strong>la</strong> Best Company spaventosamente<br />

gial<strong>la</strong> e lil<strong>la</strong>, e poi Ulisse... Beh, Ulisse me lo ricordo anch’io.<br />

Aveva una camicia celeste a tinta unita meravigliosa, impeccabile ed austera se vista <strong>da</strong> dietro, come se già<br />

<strong>da</strong>ll’abbigliamento gli si potesse riconoscere l’autorità del capoc<strong>la</strong>sse. Poi però si girò, e non si poteva non<br />

ridere. L’intero <strong>da</strong>vanti del<strong>la</strong> sua camicia era invaso <strong>da</strong>l ricamo in cotone di un fotografo con una reflex ed un<br />

f<strong>la</strong>sh che emanava un bagliore giallo. Indimenticabile.<br />

Immagino che <strong>la</strong> memoria sia come un baule, in cui ognuno di noi riesce a stiparvi una quantità normale di <strong>da</strong>ti<br />

significativi. Sembra che Fantasma si sia accorto che questo baule ha in realtà un doppio fondo, che lui è<br />

riuscito a tirar via, espandendo <strong>la</strong> propria memoria di un numero imprecisato di Giga. Il suo archivio di ricordi è<br />

capiente e ordinato, inspiegabile e, a volte, fastidioso.<br />

Il mio ruolo nell’astronave è quello ingrato di suonare <strong>la</strong> sveglia, poi quello di mantenere il rispetto del<strong>la</strong> legge<br />

in qualità di homo iuridicus che sono sempre stato, di attrezzare gli spazi del<strong>la</strong> vil<strong>la</strong> del Signor Enrico con<br />

giochi di ogni tipo, e quello di proporre involontariamente i miei affari di cuore al<strong>la</strong> mercé dei miei compagni in<br />

attesa del<strong>la</strong> loro non richiesta approvazione.<br />

Penso a questo, mentre sono <strong>da</strong>vanti al mio computer, con <strong>la</strong> precisa missione di conquistare una donna che<br />

non conosco, di cui non so neanche il vero nome, di cui ho raccolto pochi dettagli che me ne hanno fatto<br />

invaghire. Devo dirle qualcosa che <strong>la</strong> convinca ad accettare di incontrarmi stamattina. Lei è lì lì per cedere,<br />

questo è certo. Però devo <strong>da</strong>rle un motivo, una picco<strong>la</strong> spintarel<strong>la</strong> perché accetti di vedermi.<br />

Riflettevo sulle diversità di noi quattro, immaginando come si comporterebbe ognuno di noi di fronte ad una<br />

ragazza su cui vuol far colpo.<br />

Ulisse per conquistare una donna deve solo farsi scegliere, troppo facile.<br />

Fantasma pensa che corteggiare una donna sia far<strong>la</strong> sentire importante, speciale, adu<strong>la</strong>r<strong>la</strong>, troppo sdolcinato.<br />

Sergio è talmente onesto che per lui l’impresa si tradurrebbe semplicemente nel<strong>la</strong> solita assunzione di<br />

responsabilità: mi piaci, quindi devo dirtelo, troppo palloso.<br />

Per me <strong>la</strong> conquista è semplicemente mistero, una formu<strong>la</strong> chimica fatta di sorpresa e zodiaco.<br />

Naoko è Acquario, le è sfuggito ieri. Ma un Acquario va d’accordo con un Gemelli?<br />

“Ci sono!” le scrivo.<br />

“Cacciati i fantasmi?”<br />

“Non ho esattamente un aspetto che possa mettere in fuga qualcuno...” le scrivo, e subito dopo:<br />

“... tanto meno una dolce signorina che accetti di incontrarmi, pur non avendomi mai visto!”<br />

“Aha, aha! Che fai, ci riprovi?”<br />

“Non ho mai smesso di provarci se non te ne sei accorta!” mi sbi<strong>la</strong>ncio.<br />

“Perché <strong>la</strong> Feltrinelli?” mi doman<strong>da</strong>. E non capisco che senso abbia <strong>la</strong> sua perplessità.<br />

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“Vuoi proporre tu un posto?”<br />

“No, tanto più che mi sono ricor<strong>da</strong>ta che al<strong>la</strong> Feltrinelli ci devo an<strong>da</strong>re proprio oggi...”<br />

“Cioè, stai dicendo che accetti di incontrarmi?” sorrido mentre digito.<br />

“Questo non l’ho detto! Ho detto che io stamattina sarò al<strong>la</strong> Feltrinelli... per motivi, diciamo, personali!”<br />

“Mmmm, e quindi posso metter via <strong>la</strong> mia lista di argomenti decisivi per convincerti ad incontrarmi?” bluffo.<br />

“Aha, aha! Ma perché tu sei ancora convinto che gli uomini contino qualcosa nelle decisioni sugli affari di<br />

cuore?”<br />

“Touché!” non posso <strong>da</strong>rle torto.<br />

“Su cosa avresti puntato? Virilità? Rudezza? Promesse di posti di <strong>la</strong>voro?” ... ma questa è tutta matta.<br />

“Aha, aha! Sai che mi fai ridere? Mi intrighi e mi diverti in dosi uguali!”<br />

“In dosi uguali? Cosa sono ingredienti?”<br />

“Aha, aha, scusa, non volevo dire questo!” provo a scriverle, ma lei è più veloce di me e sul mio schermo c’è<br />

già <strong>la</strong> sua battuta.<br />

“Immagino che con una terza di tette sarei <strong>la</strong> ricetta ideale di una donna...”<br />

La situazione mi sta sfuggendo <strong>da</strong>lle mani. Questa Naoko mi precede, al punto che non c’è nul<strong>la</strong> che possa<br />

dirle che <strong>la</strong> sorpren<strong>da</strong> o che mi faccia passare per misterioso. Mi tiene come un libro aperto. Provo una<br />

piacevole sensazione, come se il gioco del corteggiamento anonimo oggi si stia complicando, stia rompendo i<br />

miei schemi prestampati. Sono <strong>da</strong>vvero frastornato. So solo che ho voglia di vederti, Naoko.<br />

Devo fare qualcosa di sorprendente, devo uscire <strong>da</strong>l<strong>la</strong> morsa in cui mi sta tenendo. E penso che <strong>la</strong> cosa più<br />

sorprendente a questo punto, sia proprio abbandonare <strong>la</strong> conversazione.<br />

Giocare il tutto per tutto.<br />

“Devo an<strong>da</strong>re...” digito all’improvviso. E per un minuto smettiamo di scriverci. Ho fallito l’azzardo, è lì che mi<br />

sta studiando.<br />

“Stai bluffando!” mi scrive lei “Non andresti mai via senza che prima ci si sia accor<strong>da</strong>ti!”<br />

Non è possibile Naoko, ma tu che fai, mi leggi nel pensiero?<br />

“Ok, sgamato! Lo dicevo solo per il fatto che tu, <strong>da</strong> buon Acquario, non vuoi che ti si stia con il fiato sul collo!”<br />

“Ah, ah! Ok, grazie allora! Alle undici e mezza va bene?”<br />

“Perfetto!”<br />

“A dopo! Non dimenticare <strong>la</strong> primu<strong>la</strong> rossa, altrimenti non potrò riconoscerti!” scrive e si scollega. Ed io<br />

rimango a rileggermi almeno un paio di volte <strong>la</strong> nostra conversazione per capire quando <strong>la</strong> situazione mi è<br />

scivo<strong>la</strong>ta di mano.<br />

99


12.<br />

Smarrite le tracce di Ulisse, ho ripiegato il lenzuolo del Fantasma di Superman, perché non sbattesse troppo<br />

al vento delle sue preoccupazioni inutili e sono uscito.<br />

Ho preso il motorino e sono arrivato al<strong>la</strong> Feltrinelli, un quarto d’ora prima dell’orario convenuto.<br />

Non so perché, ma sono un po’ nervoso, vorrei tanto che questo incontro stamattina fosse qualcosa di più di<br />

un’avventura low cost. Ho una strana sensazione, un presentimento, probabilmente Naoko non verrà, o<br />

succederà qualcosa di strano, di inatteso. Lo avverto.<br />

Solitamente riesco a prefigurarmi le donne che incontro al buio. E’ una delle parti più divertenti del mio sporco<br />

<strong>la</strong>voro <strong>da</strong> cacciatore virtuale. Trasformo le poche battute che scambio normalmente in una chat in un insieme<br />

di indizi che mi aiutano a comporre l’identikit del<strong>la</strong> donna con cui farò conoscenza.<br />

Naoko mi sfugge. Devo <strong>da</strong>vvero sforzarmi per riuscire a <strong>da</strong>rle un aspetto fisico nel<strong>la</strong> mia immaginazione.<br />

Fatemi provare, ma non garantisco nessun risultato.<br />

Innanzitutto credo sia alta. Me <strong>la</strong> immagino statuaria, una delle antiche dee romane dell’opulenza, una<br />

matrona meridionale, non chiedetemi perché. Avrà i capelli profumati e legati, un filo di trucco, non avrà il<br />

rossetto, un sedere più <strong>la</strong>rgo che rotondo. Non ne trovo una ragione però sono quasi sicuro che sia bruttina.<br />

Una bruttina allegra e sessualmente travolgente, era Eros quello che sentivo scorrere sui suoi tasti quando mi<br />

par<strong>la</strong>va del<strong>la</strong> sua biancheria.<br />

Materializzo questa immagine <strong>da</strong>vanti ai miei occhi però subito sfuma come cancel<strong>la</strong>ta <strong>da</strong> una gomma<br />

frettolosa. Non riesco a mettere a fuoco un dettaglio che mi è sfuggito, ne sono certo.<br />

Probabilmente mi ha mentito su un sacco di cose, soprattutto quando abbiamo par<strong>la</strong>to di sesso, e di altre cose<br />

più intime. Non dorme nu<strong>da</strong>. Non è bisex. Soprattutto non le piace rischiare. Si è presa gioco di me ed oggi<br />

non verrà. Mi capita poche volte di sentirmi così, in realtà i suoi discorsi mi hanno appannato, ribaltando lo<br />

scenario in cui io ero il cacciatore e lei <strong>la</strong> pre<strong>da</strong>.<br />

Forse addirittura potrebbe essere un uomo. Un finocchio o un buontempone.<br />

Eccomi passare l’ingresso del Mega Store.<br />

Dal momento che non voglio mai <strong>da</strong>re l’impressione di essere in attesa, dopo una rapi<strong>da</strong> scorsa al piano dei<br />

videogiochi, mi dirigo al reparto guide turistiche, e mi sfoglio qualche pagina delle Lonely P<strong>la</strong>net, dei posti in<br />

cui sono già stato.<br />

Mi ri<strong>la</strong>sso leggendo dei bar di Sultanhamet ad Istanbul, rivivendo le atmosfere fumose delle sale <strong>da</strong> the, il<br />

viaggio in barca sullo stretto del Bosforo, il panino con il pesce sul porticciolo vicino al ponte di Ga<strong>la</strong>ta, i<br />

venditori ambu<strong>la</strong>nti di qualsiasi mercanzia, <strong>da</strong>lle cozze alle fotocopie, <strong>la</strong> cupo<strong>la</strong> di Haya Sofia, il Gran Bazar...<br />

Quando riguardo l’orologio mi accorgo che l’orario dell’appuntamento è già passato <strong>da</strong> una decina di minuti.<br />

Mi alzo e risistemo <strong>la</strong> gui<strong>da</strong> al suo posto, ba<strong>da</strong>ndo bene di muovermi lentamente per non <strong>da</strong>re nell’occhio.<br />

Alzo <strong>la</strong> testa e <strong>la</strong>ncio intorno a me uno sguardo d’ispezione discreto come il periscopio di un sottomarino.<br />

Non c’è proprio nul<strong>la</strong> che richiami <strong>la</strong> mia attenzione. Una serie di teste basse appartenenti a clienti grigi in<br />

cerca di qualche pagina tra le milioni del negozio.<br />

Già, nessun cliente che sembra essere qui per me. E’ ora di uscire allo scoperto. Prendo un libro a caso <strong>da</strong><br />

uno scaffale, <strong>da</strong>ndo l’impressione di volerlo acquistare. Lo sfoglio brevemente e con il mio alibi in mano, faccio<br />

un giro di perlustrazione sui due piani.<br />

Ho dismesso i panni dell’osservatore discreto e mi sono messo a scrutare sfacciatamente tra le persone che<br />

come insetti operosi si muovono con ordine tra le pile di libri e di cd. Eppure, niente.<br />

Nessun cliente.<br />

Quasi quasi mi metto a guar<strong>da</strong>re le commesse. Anche perché ce n’è una carina. Carinissima e che mi sta<br />

guar<strong>da</strong>ndo. Mi sta guar<strong>da</strong>ndo fin troppo a lungo. Da quando ho messo piede nel negozio mi sta fissando.<br />

...<br />

Che stupido! Sono <strong>da</strong>vvero un fesso! É lei...<br />

Ecco cosa c’era che non an<strong>da</strong>va, cosa mi <strong>da</strong>va l’impressione di giocare in trasferta... ho <strong>da</strong>to un<br />

appuntamento al buio al<strong>la</strong> Feltrinelli ad una dipendente del<strong>la</strong> Feltrinelli, probabilmente... senza volerlo, le ho<br />

proposto di incontrarci nel suo posto di <strong>la</strong>voro. Ecco perché <strong>la</strong> situazione mi sembrava irreale ed ero confuso.<br />

100


Sono smarrito perché sono nel<strong>la</strong> sua tana, e mi ci sono cacciato io. E così facendo le ho semplificato <strong>la</strong> scelta,<br />

lei può guar<strong>da</strong>re tutte le persone che entrano nel<strong>la</strong> libreria, valutando, nel caso in cui riesca a riconoscermi, se<br />

le piaccio o meno, senza bisogno di uscire allo scoperto.<br />

In pratica le ho inconsapevolmente messo tra le mani il fucile <strong>da</strong> cacciatore ed io sono diventato un bersaglio<br />

<strong>da</strong>vvero facile.<br />

Mi ero sbagliato anche sul suo aspetto fisico. Ha i capelli corti, gli orecchini ed il rossetto, è bassa e, ora che si<br />

gira, un sedere molto più tondo del previsto. Non ne ho presa una. Gli orecchini... si passa una mano per<br />

aggiustarsene uno. Non avrei mai pensato che portasse accessori così vistosi, mi sembrava una persona<br />

molto più essenziale, diretta per ricorrere a ninnoli pacchiani. Mi fermo a fissare <strong>la</strong> sua mano, <strong>la</strong> stessa con cui<br />

digitava delle frasi per me... Si volta di nuovo ed io guardo altrove, lentamente, fingendo che il mio sguardo si<br />

sia soffermato su di lei come se fosse soltanto una picco<strong>la</strong> pausa tra due scaffali di libri.<br />

Anche se... ormai le carte sono <strong>da</strong>te e <strong>la</strong> partita è iniziata. Adesso tocca a me.<br />

Poggio il mio libro fuori posto, per <strong>da</strong>re ancora di più nell’occhio, e senza più alibi, mi sposto silenziosamente<br />

verso i tascabili, fingendo di essere al<strong>la</strong> ricerca di un romanzo intrigante.<br />

Le passerò vicino e le sorriderò, proverò a farle un sorriso complice, per farle capire che ho scoperto il suo<br />

gioco e per venire fuori con un po’ d’ironia <strong>da</strong> questa situazione scomo<strong>da</strong>.<br />

Del resto me lo posso proprio scor<strong>da</strong>re un suo bacio, seppure le piacessi. É pur sempre il suo posto di <strong>la</strong>voro,<br />

questo. Il mio appuntamento al buio è compromesso <strong>da</strong> una fortuita scelta del posto. Per questo si è divertita<br />

a leggere le mie frasi in chat mentre cercavo di convincer<strong>la</strong> ad incontrarmi. Lei sapeva già che sarebbe stata<br />

qui. Non aveva proprio nul<strong>la</strong> <strong>da</strong> perdere, <strong>la</strong> furba!<br />

Ma non è un male, questo. Innanzitutto lei è <strong>vera</strong>mente carina. Poi, mi sta guar<strong>da</strong>ndo, segno che devo<br />

piacerle anch’io. Inoltre, il fatto che non potremmo baciarci come avevamo convenuto rende tutto molto più<br />

proibito ed intrigante. Forse dovrò ricorrere al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> d’ordine, proprio come nei film di spie di Hitckock.<br />

Otto passi, nove se li accorcio, mi separano <strong>da</strong> lei. Mi sta guar<strong>da</strong>ndo. Mi ha riconosciuto. Le sorrido. Lei si<br />

passa di nuovo <strong>la</strong> mano sinistra sull’orecchino. Che carina sei, picco<strong>la</strong> mia!<br />

“I cavallucci di mare hanno un solo partner per tutta <strong>la</strong> <strong>vita</strong>...” le dico, e distendo le mie sopracciglia in segno di<br />

resa. Hai vinto, tu Naoko.<br />

“Prego?” mi dice lei.<br />

Le sorrido.<br />

“Posso aiutar<strong>la</strong>?” mi chiede, <strong>da</strong>ndomi del lei e attendendo in silenzio.<br />

E adesso? Che vuol dire tutto ciò?<br />

Che non le piaccio. E’ l’unica spiegazione possibile.<br />

“Io... io...” balbetto. E’ <strong>la</strong> prima volta che tentenno <strong>da</strong>vanti ad una tipa beccata in una chat.<br />

“Non le serve niente?” mi incalza, con <strong>la</strong> mano che si aggiusta quell’orecchino che non vuole stare al suo<br />

posto.<br />

“No... no...” farfuglio “I cavallucci di mare...” provo a dirle, ma mi accorgo che non ha senso insistere.<br />

Si toglie l’orecchino.<br />

“E’ un titolo?” mi sorride con una cordialità fred<strong>da</strong> che sicuramente sarà frutto di qualche ora di formazione su<br />

come comportarsi con i clienti strani.<br />

“No... no... è una paro<strong>la</strong> d’ordine...”<br />

“Una paro<strong>la</strong> d’ordine?” è sbigottita “Si sente bene?”<br />

“Io... io... sì, sì... devo essermi sbagliato!”<br />

“Probabilmente...” mi dice e si rimette ad agghin<strong>da</strong>rsi l’orecchio, per poi <strong>la</strong>nciarsi a sistemare una pi<strong>la</strong> di<br />

dizionari, <strong>da</strong>ndomi le spalle.<br />

Ok! Peccato! Naoko, eri <strong>da</strong>vvero un bel bocconcino. Tu ed io si sarebbe stati bene insieme ed invece non ha<br />

funzionato.<br />

E adesso?<br />

Adesso è tempo di tornare a casa. Mah! Le donne... certo che almeno un cenno di intesa poteva farmelo!<br />

Forse si è tirata indietro al<strong>la</strong> fine. Non se l’è sentita di rischiare ed ha avuto paura. O più semplicemente non<br />

ero il suo tipo. La guardo ancora, i grossi orecchini che le pendono <strong>da</strong>i lobi come protesi mal proporzionate.<br />

“Ma sì, non eri neanche sto splendore, Naoko!”<br />

101


Mi dirigo verso l’uscita. Una vibrazione nel taschino mi fa fermare, avvisandomi che mi è arrivato un sms. Mi<br />

fermo e lo apro. Il messaggio proviene <strong>da</strong> un numero che non conosco.<br />

“Scusa, mi <strong>da</strong>i un appuntamento in libreria e tu che fai? Ti metti a corteggiare <strong>la</strong> commessa?” trovo scritto. E<br />

poi <strong>la</strong> sua firma “Naoko”.<br />

E adesso? Questo è ancora più sorprendente. Dev’essere uno scherzo, qualcosa di simile ad un Truman<br />

Show. Mi guardo intorno per cercare le telecamere. Devo vederci chiaro.<br />

Provo a riguar<strong>da</strong>re <strong>la</strong> commessa ed i suoi orecchini, non può certo essere stata lei. Non avrebbe avuto il<br />

tempo di man<strong>da</strong>rmi un messaggio in pochi secondi. Ed infatti, non sembra mai essersi mossa <strong>da</strong>l<strong>la</strong> sua<br />

montagna di vocabo<strong>la</strong>ri.<br />

Le torno incontro, si ferma:<br />

“Dì un po’, mi stai prendendo in giro?” le domando con un tono troppo aggressivo.<br />

“Ma che cosa vuoi <strong>da</strong> me? Sei pazzo!” trasale lei, e chiama a voce alta qualcuno. Nessuno le risponde ed<br />

allora <strong>la</strong> vedo dirigersi <strong>da</strong>l vigi<strong>la</strong>nte. Iniziano a par<strong>la</strong>re e lei indica verso di me.<br />

Qui si sta per mettere male. Credo di aver<strong>la</strong> combinata grossa, questa volta. Oggi sembra che <strong>la</strong> mia trappo<strong>la</strong><br />

si stia chiudendo proprio intorno a me. Meglio an<strong>da</strong>r via.<br />

Ma, un attimo... Come fa Naoko ad avere il mio numero di telefono, se io non gliel’ho mai <strong>da</strong>to? Allora, mi<br />

conosce? E come fa a vedermi? E’ qui anche lei... ma dove?<br />

Forse non è ancora il momento di an<strong>da</strong>r via, penso mentre svicolo al piano di sotto, al riparo <strong>da</strong>l vigi<strong>la</strong>nte che<br />

sicuramente mi starà già cercando.<br />

Non mi rimane che una cosa <strong>da</strong> fare. Mi fermo e armeggio con il cellu<strong>la</strong>re finché non compongo il numero <strong>da</strong>l<br />

quale ho ricevuto il messaggio.<br />

Mi accomodo sulle sedioline destinate a chi consulta i libri del<strong>la</strong> sezione Arte ed Architettura, <strong>da</strong>vanti ad una<br />

stampa di Keith Haring, aspettando che Naoko mi rispon<strong>da</strong> e voglia finalmente avere <strong>la</strong> bontà di <strong>da</strong>rmi<br />

qualche spiegazione.<br />

All’improvviso due mani mi tappano gli occhi. Due mani di donna, immagino per <strong>la</strong> morbidezza del contatto. Le<br />

mani di Naoko, visto che l’unico suono che ho riconosciuto in questo momento di confusione è stato quello<br />

del<strong>la</strong> suoneria di un cellu<strong>la</strong>re, dove giace senza risposta <strong>la</strong> mia telefonata.<br />

Infatti, con gli occhi chiusi, interrompo <strong>la</strong> comunicazione ed il cellu<strong>la</strong>re alle mie spalle smette di suonare.<br />

Brava Naoko... mi hai catturato. Sorrido, cercando di immaginare i suoi occhi che mi vedono.<br />

Sorrido sereno in attesa di spiegazioni, finché non mi accorgo di una cosa che mi fa un male atroce.<br />

Un’impressione, un dubbio che in un secondo diventa una certezza, perché a volte le cicatrici riprendono a<br />

sanguinare, quando riconoscono l’arma che le ha provocate.<br />

In un secondo mi si ragge<strong>la</strong> il sangue. Sento ogni globulo cristallizzarsi e conge<strong>la</strong>rsi. Non può essere. Non<br />

può.<br />

Invece è così. Sotto le mani di Naoko, i miei occhi ci mettono un secondo a sorprendersi ed a <strong>la</strong>crimare.<br />

102


<strong>13</strong>.<br />

Credo sia stato il momento nel<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> in cui più mi è sembrato di provare qualcosa di simile al<strong>la</strong> morte.<br />

Un’emozione troppo forte mi ha risucchiato il cuore, me l’ha stretto, schiacciato, l’ho sentito rimpicciolirsi e<br />

sprofon<strong>da</strong>re in se stesso come se mi fossi <strong>la</strong>nciato in apnea a mille metri di profondità.<br />

Non ho avuto bisogno di chiedere nul<strong>la</strong>. Non mi serviva doman<strong>da</strong>re niente, né toccare altro.<br />

L’ho capito subito, perché in queste cose non c’è mai logica, ma solo chimica, e <strong>la</strong> chimica, che è una scienza<br />

esatta, dà delle risposte certe.<br />

Così, quando ho capito, volevo solo piangere, ed insieme volevo che quelle mani rimanessero lì sui miei<br />

occhi. Volevo che quel momento non finisse mai. Davvero, volevo morire lì. Lì con lei.<br />

Quando lei si è accorta del mio pianto silenzioso, quando i palmi delle sue mani si erano già bagnati, ha<br />

iniziato ad asciugarmi le <strong>la</strong>crime. Mi ha allentato <strong>la</strong> presa e mi ha liberato, iniziandomi ad accarezzare. Ma io<br />

non avevo <strong>la</strong> forza di aprire gli occhi.<br />

Mi è sembrato che il destino mi avesse giocato <strong>da</strong>vvero un tiro che non meritavo. Proprio non ero pronto<br />

perché mi succedesse qualcosa del genere. Ancora con gli occhi chiusi, ho provato a par<strong>la</strong>re:<br />

“I cavallucci di mare hanno un solo partner per tutta <strong>la</strong> <strong>vita</strong>...” ho sussurrato appena “e forse anche alcuni<br />

uomini. Vero, Barbara?”<br />

“Non lo so, Strillo, non lo so! Non par<strong>la</strong>re” mi ha detto. E solo quando ho sentito <strong>la</strong> sua voce ho aperto<br />

finalmente gli occhi.<br />

E, che bello, quando li ho aperti, c’erano lì i suoi ad aspettarmi.<br />

Tutto ha iniziato a girarmi intorno. Il negozio, i libri, lei alle mie spalle, le stampe di Keith Haring e quelle di Van<br />

Gogh, i suoi occhi, le sue mani. Solo le sue <strong>la</strong>bbra vedevo star ferme, giusto nel centro di un girotondo che<br />

presto mi avrebbe risucchiato.<br />

Dovevo tenermi a gal<strong>la</strong> in quel vortice, ed allora, per restare su, per non svenire, ho desiderato che lei mi<br />

baciasse, perché così avremmo dovuto fare vedendoci, senza dire nul<strong>la</strong>, come avevamo convenuto.<br />

Ho sentito il suo <strong>la</strong>bbro inferiore arrivare per primo. Solo dopo un attimo, è arrivato l’altro a stringere <strong>la</strong> mia<br />

bocca. Ho sentito l’umidità del suo bacio morbido sfiorarmi lentamente, bagnarmi, sollevarmi, raccontarmi,<br />

come se avesse tutto il tempo per assaporarmi, come se altrove, dove io non sapessi, l’avessero incaricata di<br />

mangiarmi, di divorarmi, e lei avesse scelto di iniziare di lì, <strong>da</strong>l mio <strong>la</strong>bbro superiore.<br />

Io ho solo <strong>la</strong>sciato che lei mi assaggiasse, che mi baciasse. Sono stato lì, ma non sapevo neanche dove fossi,<br />

come ci fossi arrivato, cosa mi fosse successo, e non mi importava che molta gente ci stesse guar<strong>da</strong>ndo, che<br />

un vigi<strong>la</strong>nte mi stesse cercando per aver molestato una commessa.<br />

Un pensiero solo riusciva ad attraversare il mio universo che gra<strong>vita</strong>va tremo<strong>la</strong>ndo attorno alle sue <strong>la</strong>bbra. Che<br />

avevo voglia di rischiare. E volevo rischiare <strong>da</strong>vvero tutto.<br />

Allora, ho chiuso gli occhi. Ed ho provato a sognare. Ho chiuso gli occhi ed ho pensato ai cavallucci di mare,<br />

che sanno amare una volta so<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> loro <strong>vita</strong>. Ho sognato che forse anch’io sono così. Anch’io che pure <strong>la</strong><br />

mia Barbara l’ho amata e l’ho già persa tempo fa, forse a partire <strong>da</strong> allora mi sono mosso nel<strong>la</strong> <strong>vita</strong>, nelle<br />

feste, nelle chat, con <strong>la</strong> so<strong>la</strong> speranza di ritrovare se non lei, almeno una parte di lei in ognuna delle donne<br />

che ho avuto. Ed in ognuna di loro ho trovato un pezzettino di Barbara, che fosse una mano, una linea del suo<br />

ventre, una curva del ginocchio, un’espressione dei suoi occhi, un’interca<strong>la</strong>re che usava solo lei. Ne ho messo<br />

insieme tanti pezzi, <strong>da</strong> comporre una mappa. Ma non mi è mai bastato.<br />

Non mi è mai bastato, eppure ho continuato a cercare. Con <strong>la</strong> perse<strong>vera</strong>nza e <strong>la</strong> fedeltà del cuore di un<br />

cavalluccio di mare.<br />

Finché non l’ho ritrovata.<br />

Perché di tanto sognare, a volte succede che i sogni si realizzino.<br />

Ed ora, le sue <strong>la</strong>bbra nelle mie, non so cosa succederà. Ed ho paura, ho paura di svegliarmi, ho paura che<br />

questo bacio finisca, e di cosa accadrà dopo.<br />

Ho paura <strong>da</strong>vvero, Barbara, non smettere di baciarmi, ti prego. Baciami Barbara, baciami ancora.<br />

103


14.<br />

“Sai che dopo il tuo ostinarti ad irrompere nel<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>, forse dovrei <strong>la</strong>sciarti entrare per <strong>da</strong>vvero?” mi dice<br />

dieci minuti dopo, <strong>da</strong>vanti ad un caffè macchiato che si è premurata di chiedere - né caldo né freddo, tiepido<br />

per favore -.<br />

Ho dovuto insistere perché non scappasse via subito, quando le nostre <strong>la</strong>bbra si sono separate. Lei ha detto<br />

che tanto non serviva a nul<strong>la</strong>, che era stato un momento sublime, sublime proprio perché bruciatosi come un<br />

sogno, un desiderio onirico. Sublime perché non servirà a riportarci insieme, mi ha detto. Perché fine a se<br />

stesso. Perché l’esito di una micro<strong>storia</strong>. Un puro desiderio, un incontro - un bell’incontro -, e mi ha sorriso.<br />

Io non ho accettato che rian<strong>da</strong>sse via così, che spazzasse con un sorriso il più bel bacio del<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>. L’ho<br />

costretta a seguirmi in questo bar.<br />

E’ vero: mentre mi baciava mi ero illuso una volta di più, pensando solo a me.<br />

“Certo che se fossi una di quelle che crede alle coincidenze, Strillo, ti porterei all’altare anche domani!”<br />

Io sorrido confuso <strong>da</strong>vanti al mio caffè corretto al Bayleys, perché, ed è certo, io ho proprio bisogno di<br />

qualcosa di forte per riprendermi. Non ho neanche <strong>la</strong> prontezza per dirle che troppe coincidenze sono un<br />

indizio. Ma evidentemente le coincidenze sono troppo banali per lei. Ci <strong>la</strong>nciamo in una conversazione <strong>da</strong> ex<br />

fi<strong>da</strong>nzati, quelle tanto simili ad una stra<strong>da</strong> che non arriva mai a nessuna destinazione.<br />

“Quel<strong>la</strong> volta sull’autobus, non avevo affatto voglia di <strong>la</strong>sciarti fare irruzione nel<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong>...”<br />

“Eppure...”<br />

“Inventai quel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> del Master Mind, perché tu desistessi. Perché fossi tu a non voler entrare, e non io che ti<br />

sbarrassi l’accesso! Affi<strong>da</strong>i al destino <strong>la</strong> nostra <strong>storia</strong>, complicandogli il modo di metterci in contatto. Non ti<br />

volevo al mio fianco però non volevo <strong>la</strong> responsabilità di allontanarti, perché avevo <strong>la</strong> sensazione che mi<br />

avresti amato <strong>da</strong>vvero...”<br />

“E allora?” domando perplesso.<br />

“E allora, che ci pensasse il destino, con quel gioco impossibile...”<br />

“Perché non mi <strong>la</strong>sci dimostrare che posso farti del bene, Barbara?”<br />

“Perché quelle sono cazzate, Daniele...”<br />

“Allora perché mi chiamasti quel giorno? Cosa pensavi che potesse succedere tra di noi?” le domando, ma<br />

non sono sicuro di voler ascoltare <strong>la</strong> sua risposta.<br />

“Questo caffè è una mer<strong>da</strong>, l’avevo chiesto tiepido, tie-pi-do. Possibile che nessuno sappia a cosa corrisponde<br />

<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> tiepido?” dice mentre io le tendo una mano, che rimane vuota come un ramo secco spogliato di tutte<br />

le sue foglie. Sono <strong>da</strong>vvero un fesso.<br />

“Barbara...”<br />

“Strillo...”<br />

“Sei abbastanza intelligente <strong>da</strong> non utilizzare quel<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, il destino...”<br />

“Il fottuto destino!”<br />

“Io credo a me, a te, non al destino!”<br />

“Strillo, tu sei romantico all’inverosimile! Anche se tenti di stuprare le commesse del<strong>la</strong> Feltrinelli, e per poco<br />

non ti arrestano, rimani un romantico!” prova a buttar giù una battuta che non mi fa affatto ridere.<br />

“Prova a dire questa cosa ai miei amici, vedrai come ridono!”<br />

“L’Apollo <strong>13</strong>. Mi mancate!” dice lei, pensando al<strong>la</strong> nostra navicel<strong>la</strong> per un secondo appena.<br />

“Quando mi resi conto che non ce l’avrei mai fatta ad indovinare il tuo numero, se non prima di un paio di<br />

mesi, ammettendo che tu mi rispondessi ogni giorno, ho chiuso gli occhi e ho cercato di immaginare <strong>la</strong><br />

combinazione che mi avrebbe permesso di entrare in contatto con te...”<br />

“... ed hai fatto un numero internazionale, del Cile, no? Me l’hai raccontata <strong>la</strong> <strong>storia</strong>!”<br />

“... del Congo! Non era del Cile, era del Congo. Stammi a sentire un secondo, per favore! Non perdere già <strong>la</strong><br />

pazienza...”<br />

“Scusa, dimmi!”<br />

“Allora, vedendo un numero senza capo né co<strong>da</strong> digitato <strong>da</strong>l destino, <strong>da</strong>l fottuto destino, come lo chiami tu, o<br />

<strong>da</strong>lle mie dita cieche che si affi<strong>da</strong>vano al<strong>la</strong> sorte, ho capito una cosa, Barbara!”<br />

104


I suoi occhi aspettano <strong>la</strong> mia risposta. In una attesa senza amore. Non sta quasi ad ascoltarmi, ma io devo<br />

una spiegazione più a me stesso che a lei, ed allora continuo.<br />

“Ho capito che se volevo <strong>da</strong>vvero incontrarti, non potevo affi<strong>da</strong>rmi ad un gioco stupido fatto di bastoncini<br />

bianchi e neri. Io credevo che ne valesse <strong>la</strong> pena, <strong>da</strong>vvero! E che l’unica cosa che potevo fare, per dimostrarti<br />

che io volevo arrivare <strong>da</strong> te e non <strong>da</strong>l tuo numero, era scriverti il mio, di numero!”<br />

Sorride, ricor<strong>da</strong>ndo quel piccolo momento in cui doveva aver pensato che potevo aiutar<strong>la</strong>.<br />

“Già! Ed infatti ti telefonai io, quando pensai che quel numero era troppo stupido per essere un numero<br />

inventato. Era talmente normale che doveva essere per forza vero! Strillo, non capisco dove vuoi arrivare?<br />

Cos’è, un riassunto per chi si è perso le puntate precedenti’”<br />

“Nessun riassunto. Sto solo cercando di farti aprire gli occhi. Perché il destino non esiste. Perché siamo noi<br />

che siamo liberi di farci del bene...”<br />

“E del male!”<br />

“Sì, anche del male. E l’abbiamo fatto, abbiamo fatto <strong>la</strong> nostra <strong>vita</strong> insieme nel bene e nel male... siamo stati io<br />

e te... Quei giorni c’eravamo io e te. Ed anche questa volta, siamo io e te... O no?”<br />

“Davvero non ti capisco, Dani!”<br />

“Voglio dirti che se mi hai baciato perché sembrava che il destino ti costringesse, perché era un bel finale, non<br />

avresti dovuto farlo!”<br />

“Strillo, perché devi appesantire così le cose? L’hai detto tu: ci baciamo e poi vediamo che succede! Non<br />

guar<strong>da</strong>rmi male, perché io già me ne porto più di quante dovrei, di colpe... non è mica colpa mia anche<br />

questa...”<br />

La guardo, so già che mi sta per fare del male, però è giusto che me lo dica, è giusto che distrugga le mie<br />

illusioni, ed è una tipa che quando ti deve colpire al cuore ha una mira maledettamente precisa:<br />

“Non ha funzionato allora, non funzionerà oggi, né funzionerebbe domani!”<br />

“Declini il verbo funzionare meravigliosamente...” provo a scherzare per farmi meno male.<br />

“Le parole si declinano, i verbi si coniugano!”<br />

“Già!”<br />

“Non voglio girarci intorno, non voglio farti altro male...”<br />

“Forse quando mi hai visto, saresti dovuta an<strong>da</strong>r via...”<br />

“Volevo baciarti perché era una bel<strong>la</strong> micro<strong>storia</strong>, perché ero curiosa e felice...”<br />

“Ancora con questa micro<strong>storia</strong>? Dove l’hai trovata sta paro<strong>la</strong>? Io non ho proprio nul<strong>la</strong> di micro quando penso<br />

a te... io ti amo Barbara, ti amo ancora. E forse quando capirò quel che è successo oggi e ci penserò su, ti<br />

amerò ancora di più...”<br />

“Strillo, non mi batte il cuore per te...” dice interrompendomi.<br />

“Già...”<br />

“Scusami!” e le vedo gli occhi arrossarsi. Non voglio <strong>la</strong> tua pietà Barbara, non voglio <strong>la</strong> tua pena, nè il tuo<br />

dolore.<br />

“Però se il fottuto destino ci mette di nuovo a tu per tu, <strong>la</strong> terza volta, promettimi che ti sforzi un po’ di più per<br />

innamorarti di me, ok?”<br />

Lei sorride. Questo vorrei Barbara, i tuoi sorrisi.<br />

“Strillo, tu sei una bel<strong>la</strong> persona, non perdere tempo con una testa di cazzo egoista come me, non sprecare<br />

neanche un tuo sogno a starmi dietro. Non posso farti che male, non posso che fare del male anche a me...”<br />

“Quando <strong>la</strong> smetterai di <strong>da</strong>rti addosso, utilizzando <strong>la</strong> confessione dei tuoi fallimenti come scusa per non<br />

lottare, ed inizierai a reagire, forse sarai più felice, Barbara!” le dico, e mi rendo conto che queste mie parole<br />

che non le avevo mai detto, potrebbero aiutar<strong>la</strong> molto di più dei miei appiccicosi “ti amo”.<br />

“Non è così brutto essere normali, Barbie... Sta a te decidere di non essere una testa di cazzo, ma una<br />

persona normale, con i suoi difetti ed i suoi sogni! Smetti<strong>la</strong> di pensare che non sai fare che del male! Usa <strong>la</strong><br />

tua tenacia per fare qualcosa di buono, se non per gli altri almeno per te!”<br />

Mi fermo un attimo, a cosa diavolo serve che io rimanga ancora qui?<br />

“Barbara, vorrei dirti troppe cose, ma forse non è il caso, forse non servono a nul<strong>la</strong>. É meglio che va<strong>da</strong>!”<br />

105


Mi alzo, pago i caffè e vado verso l’uscita. Aspetto che lei mi chiami, ma non lo farà. Sei una testa di cazzo<br />

egoista, penso per un attimo. Poi penso al suo cuore, che non batte per me. E non riesco ad averce<strong>la</strong> con lei.<br />

La porta del bar si richiude alle mie spalle e sono di nuovo in stra<strong>da</strong>.<br />

106


15.<br />

Sceso <strong>da</strong>l<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong> stamattina, an<strong>da</strong>vo all’incontro con Naoko credendo di mettere piede su un pianeta<br />

nuovo (e mi sarei accontentato anche di un satellite). Invece i miei strumenti di navigazione erano talmente<br />

sbal<strong>la</strong>ti che non mi sono accorto che <strong>la</strong> mia rotta puntava direttamente verso il pianeta dove ero già stato,<br />

dove avevo amato e sofferto, ma soprattutto dove <strong>la</strong> mia bandierina non era mai riuscita a svento<strong>la</strong>re.<br />

Se rivedo gli occhi di Barbara <strong>da</strong>vanti a quel caffè penso che quel<strong>la</strong> bandiera sia vo<strong>la</strong>ta via, al<strong>la</strong> deriva nello<br />

spazio dell’oblio. Penso che su di lei non sia rimasto neanche il buco di quando gliel’ho piantata, quel<strong>la</strong><br />

bandierina. E per <strong>la</strong> prima volta, le mie metafore non alludono ad un significato sessuale.<br />

Sono tornato per sbaglio sul Pianeta Barbara, ma <strong>la</strong> gravità, passeggiando <strong>da</strong> quelle parti, era troppo pesante<br />

per me. Non sono riuscito neanche a mettermi in piedi. Se non quando sono an<strong>da</strong>to via. Con un’uscita di<br />

scena teatrale che non serviva a nul<strong>la</strong>.<br />

Sono uno stupido! Quando imparerò a campare? Ho passato un anno a criticare Sergio che non riusciva a<br />

sfuggire ad Eugenia, Ulisse che tradiva <strong>la</strong> sua ragazza, Fantasma che non aveva neanche il coraggio di fare<br />

una telefonata. Pensavo di essere meglio di loro, di avere le idee più chiare, di essere più maturo, di amare<br />

meglio e di poter addirittura <strong>da</strong>r loro dei consigli.<br />

Invece, mi è bastato che Barbara mi baciasse, al termine di questa stupi<strong>da</strong> micro<strong>storia</strong>, come <strong>la</strong> chiama lei,<br />

perché <strong>la</strong> mia riabilitazione cardiaca pazientemente portata avanti durante un anno, venisse vanificata.<br />

Spero che il vento in faccia sul motorino mi rinfreschi un attimo le idee.<br />

E intanto, tra una cosa e l’altra, è ora di pranzo. Nessuna voglia di tornare a casa. Nessuna voglia di vedere i<br />

miei compagni di viaggio e le loro valigie piene di problemi inutili. Nel<strong>la</strong> peggiore delle ipotesi, correrei il rischio<br />

che mi tirassero anche un po’ su. Io invece voglio restare almeno per ora nel mio pantano, ad affon<strong>da</strong>re piano.<br />

Ed allora non ho dubbi e parcheggio il motorino <strong>da</strong>vanti al posto più triste al mondo per mettersi a tavo<strong>la</strong>.<br />

Mi infilo nel Mc Donald’s: se proprio devo soffrire, oggi, che sia fino in fondo, no?<br />

107


16.<br />

Mai <strong>da</strong>rsi per vinti nel<strong>la</strong> <strong>vita</strong>. Fermarsi ogni tanto, perché poi <strong>la</strong> <strong>vita</strong> ti ripassa sempre a prendere. E se non<br />

passa lei, è bene saltarle addosso. Ed è stato un bene portarmi addosso le chiavi del<strong>la</strong> vil<strong>la</strong> dei miei.<br />

Non immaginavo che mi sarebbero mai piaciuti. Non immaginavo certo che poche ore dopo aver deciso che<br />

erano una schifezza, avrei goduto guar<strong>da</strong>ndo quegli orecchini che sbattevano allegri e rotondi, facendo un<br />

rumore di campanelli che suonavano a festa.<br />

Chi poteva pensarlo, che <strong>la</strong> commessa sarebbe an<strong>da</strong>ta a pranzare proprio nel Mc Donald’s? Chi poteva dirlo<br />

che si sarebbe accomo<strong>da</strong>ta all’unico posto libero proprio accanto al mio? Cos’era, un altro scherzo del fottuto<br />

destino? Mi ero <strong>da</strong>vvero stufato. Il destino non esiste, mi sono detto tra le <strong>la</strong>bbra che addentavano un<br />

hamburger orribile. Ed allora lo scherzo al destino ho deciso di tirarlo io!<br />

Le ho chiesto scusa appena l’ho vista. Lei è trasalita e <strong>la</strong> sua prima reazione è stata alzarsi <strong>da</strong>l tavolino per<br />

an<strong>da</strong>rsene. L’ho fermata, chiamando<strong>la</strong> per nome. Silvia. Ho avuto un momento di esitazione, non sapevo<br />

perché l’avessi chiamata così. Probabilmente mi era rimasto intrappo<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> retina il fotogramma in cui le<br />

avevo guar<strong>da</strong>to il gilettino <strong>da</strong> commessa a cui stava attaccato il bedge con il nome. Le ho chiesto di <strong>da</strong>rmi un<br />

minuto. Che volevo spiegarle. Le ho garantito che sono una persona normale e che c’era stato un malinteso.<br />

Lei prima si è fermata in piedi e mi ha ascoltato, e <strong>la</strong> sua tensione è an<strong>da</strong>ta rasserenandosi mentre le par<strong>la</strong>vo.<br />

L’ho in<strong>vita</strong>ta a risedersi. Ho usato una gentilezza ed una amabilità per me inconsuete. E tutto mi usciva fluido.<br />

Probabilmente sarei riuscito in quel momento anche a venderle un’automobile usata, tanto sembravo<br />

suadente. Lei, ritornando piano sul<strong>la</strong> sua sediolina, mi ascoltava divertita ed incredu<strong>la</strong>. E poco a poco, sono<br />

riuscito a fare in modo che mi guar<strong>da</strong>sse di nuovo come <strong>la</strong> prima volta nel<strong>la</strong> corsia delle guide turistiche. Ho<br />

provato a spiegarle <strong>la</strong> situazione, per filo e per segno, ca<strong>la</strong>ndomi nel<strong>la</strong> parte dell’innamorato ferito, facendo<br />

leva sul suo istinto materno di neomamma divorziata (l’ho scoperto dopo), dicendole che se probabilmente<br />

l’avevo scambiata per <strong>la</strong> ragazza dell’appuntamento al buio, era perché speravo inconsciamente che fosse lei.<br />

Non avevo neanche voglia di mentirle. Non potevo sprecare ancora quel poco che mi restava <strong>da</strong> <strong>da</strong>re. Ho<br />

deciso di essere sincero, per <strong>la</strong> prima volta ho par<strong>la</strong>to chiaramente ad una donna prima di an<strong>da</strong>rci a letto.<br />

Non ho perso tempo, non avevo vergogna, né sentimenti, avevo già svuotato tutto il mio cuore nel caffè di<br />

Barbara. Le ho detto che mi sarebbe piaciuto baciar<strong>la</strong>. Ad an<strong>da</strong>r male, avrebbe richiesto l’intervento del<strong>la</strong><br />

Sicurezza anche nel Mc Donald’s. E presto <strong>la</strong> mia foto segnaletica avrebbe campeggiato in tutte le Agenzie di<br />

Vigi<strong>la</strong>nza Privata di Bari.<br />

Invece... non c’è che dire, ha funzionato. Per fortuna esistono ancora donne meravigliose capaci di<br />

apprezzare <strong>la</strong> sincerità di un uomo.<br />

Poche volte tutto è an<strong>da</strong>to così liscio come con lei. Scevra <strong>da</strong> ogni inutilità, abbiamo avuto una conversazione<br />

diretta a capire chi fossimo, come ci fossimo incontrati, cosa ci potessimo scambiare e dove.<br />

Le ho offerto un McCazzo, o come si chiama quel ge<strong>la</strong>to al<strong>la</strong> vaniglia talmente dolce <strong>da</strong> stroncare un diabetico<br />

che solo lo ve<strong>da</strong>. Certo, non ci starei mai io con una tipa capace di mangiare per intero un ge<strong>la</strong>to del genere,<br />

ma tanta dolcezza non deve averle nuociuto, vista <strong>la</strong> sua essenza di miele che trasu<strong>da</strong>va mentre <strong>la</strong> tenevo a<br />

me sollevandole le gambe sul tappeto del soggiorno.<br />

Mi ero così inebriato d’amore struggente e doloroso nel solo tempo di un bacio che mi ero scambiato con<br />

Barbara, <strong>da</strong> provare invece con <strong>la</strong> libraia una gioiosissima, assoluta voglia di fare sesso, allontanandomi al<strong>la</strong><br />

velocità del<strong>la</strong> luce <strong>da</strong> qualsiasi paro<strong>la</strong> d’amore.<br />

E’ stato incredibile. Adoro trovare una donna che domini i miei movimenti, mi dia dei suggerimenti, adoro<br />

portar<strong>la</strong> in giro per tutte le stanze, scambiare parole e fantasie. Ad un certo punto, per il ritmo del nostro<br />

sesso, i suoi orecchini hanno iniziato ad ondeggiare ampiamente disegnando una traiettoria buffa nell’aria ed<br />

un suono leggerissimo di metallo nelle mie orecchie.<br />

In perenne lotta contro gli accessori, lei si è fermata, se li è sganciati e li ha poggiati sul<strong>la</strong> menso<strong>la</strong> del camino.<br />

Ed è tornata <strong>da</strong> me.<br />

L’ho abbracciata forte, aveva una pelle troppo chiara, che si infuocava improvvisamente in alcuni punti, come<br />

piccoli falò. Mi sorrideva dietro due guance arrossate <strong>da</strong>l<strong>la</strong> passione.<br />

“Li rimetti?” le ho chiesto.<br />

“Cosa?”<br />

108


“Gli orecchini!”<br />

Si è fermata un attimo. Staccando <strong>la</strong> spina del piacere che ci stava avvolgendo. Si è diretta di nuovo verso <strong>la</strong><br />

menso<strong>la</strong>. L’ho guar<strong>da</strong>ta muoversi nu<strong>da</strong>: quando camminava il suo sedere appena sovradimensionato<br />

ammiccava con una fossetta che si spostava <strong>da</strong> una chiappa all’altra. Ho sorriso.<br />

“Che guardi?” si è voltata all’improvviso coprendosi con una mano picco<strong>la</strong> il sedere troppo tondo.<br />

“Hai un culetto con le fossette!”<br />

“Non ti piace?”<br />

“Lo adoro, già!” le ho detto, mentre tra le gambe <strong>la</strong> mia erezione pulsava perché lei ritornasse <strong>da</strong> me.<br />

“Lascia fare a me, voglio metterteli io!” le ho teso una mano.<br />

Me li ha <strong>da</strong>ti. Erano bruttissimi. Non c’è che dire. Grossi pezzi di p<strong>la</strong>stica variopinta, con due agganci in<br />

metallo che cigo<strong>la</strong>vano. Mi sono fermato tenendoli tra le mani a lungo. Lei si è messa <strong>da</strong>vanti a me. E si è<br />

piegata finché non ho sentito l’umidità del suo sesso venirmi vicino. La sua mano mi ha cercato, mi ha stretto<br />

e mi ha diretto di nuovo verso di lei. Quando le sue mani erano di nuovo libere, ha aiutato le mie dita troppo<br />

grosse a risistemarle gli orecchini. Ha girato il collo, mi ha guar<strong>da</strong>to e baciato come fosse un unico movimento<br />

senza attrito.<br />

Eravamo di nuovo incastrati. Il suo corpo faceva su e giu, inarcandosi, distendendosi e poi ritirandosi, come<br />

fosse una ve<strong>la</strong> ed io l’albero di una barca che an<strong>da</strong>va avanti in un mare silenzioso ed ignoto.<br />

Mi sono concentrato sul suo movimento misterioso, seguendo <strong>la</strong> traccia dei suoi orecchini. Tintinnavano<br />

minimamente ma, in me, il loro rumore si faceva sempre più forte, fino a riempire <strong>la</strong> stanza, a far sparire ogni<br />

altro suono, del sottofondo del<strong>la</strong> radio, delle macchine lontane oltre quel<strong>la</strong> finestra, anche del<strong>la</strong> voce di lei.<br />

Sentivo solo il tintinnio dei suoi orecchini, essere sempre più dentro il mio corpo, dentro il mio cervello, finché<br />

in un suono di campane dolcissimo, imbevuto del miele che lei traspirava, sono esploso anch’io.<br />

109


17.<br />

Ci siamo <strong>la</strong>sciati senza sapere se ci rivedremo. Ci siamo scambiati i numeri di telefono, senza false parole,<br />

senza neanche una promessa se non quel sorriso di miele che mi ha <strong>la</strong>sciato con l’ultimo bacio. Vedremo se<br />

riuscirò ad essere maturo stavolta. Vedremo se riuscirò a sintonizzarmi con lei per cavalcare <strong>la</strong> stessa<br />

lunghezza d’on<strong>da</strong>. Non lo so. Magari non sapremo trovarci interessanti, magari non funzionerà e rimarrà<br />

soltanto una chiavata indimenticabile. Di questi tempi non è mica poco.<br />

L’ho <strong>la</strong>sciata a casa sua. Non mi ha baciato prima di scendere. Ma questo non vuol dir niente, mi convinco.<br />

Mentre sono fermo al primo semaforo rosso, mi guardo allo specchio, domani mi rado, non c’è dubbio. Mi<br />

guardo meglio: ma sono proprio io, quel deficiente che mi sorride così sfacciatamente contento?<br />

Mentre assaporo <strong>la</strong> mia felicità il mio telefono gracchia di nuovo, un messaggio.<br />

Mittente di nuovo il numero di Naoko.<br />

“Volevo chiederti scusa, credimi ci sto malissimo, chiamami, mi farebbe piacere!”<br />

Mi fermo, per risponderle. Ho sempre fatto così, non ho mai perso neanche un secondo a rispondere ai<br />

messaggi che Barbara mi man<strong>da</strong>va, né ho mai <strong>la</strong>sciato che fosse lei a rispondermi per ultima. I quattordici<br />

giorni che siamo stati insieme le avrò man<strong>da</strong>to almeno cento sms. Allora, ho aperto <strong>la</strong> finestrel<strong>la</strong> di scrittura.<br />

Ho visto il cursore che <strong>la</strong>mpeggiava. Ho pensato al mio cuore che batte. Ed al suo che non batte più. Che<br />

forse non ha mai battuto. Al<strong>la</strong> mia mano tesa verso di lei, ed a lei, contemporaneamente, che si <strong>la</strong>menta<br />

perché il suo caffè non è tiepido.<br />

“Fanculo!” mi sono detto tra le <strong>la</strong>bbra, ed ho schiacciato il tasto cancel finché non è riapparso l’orario sul mio<br />

telefono. Non ho più voglia di speranze inutili. Ho riacceso <strong>la</strong> macchina e mi sono rimesso in moto.<br />

Neanche un secondo dopo, ecco arrivare un altro messaggio. Lo apro ed attendo di scoprire il mittente.<br />

Che diavolo di numero è questo? Si direbbe una cabina...<br />

“Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse, ok?” dice soltanto il messaggio.<br />

Incredibile, mi ero quasi dimenticato di tutti loro; mi sono talmente allontanato <strong>da</strong>ll’Apollo <strong>13</strong>, <strong>da</strong> infischiarmene<br />

dell’avventura in cui si sarà an<strong>da</strong>to a cacciare quel passaguai di Ulisse...<br />

“Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse, ok?”<br />

Che bello, <strong>la</strong> mia gioia più grande sono i miei amici, i miei compagni di c<strong>la</strong>sse, i miei compagni di viaggio...<br />

oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse, ok? Houston, avvisate quei tre brutti ceffi che io sto arrivando! Strillo è presente.<br />

110


Ulisse<br />

111


112


1.<br />

Una so<strong>la</strong>. Una so<strong>la</strong> e vado. Non sul tavolo del<strong>la</strong> cucina, però: è <strong>la</strong><br />

Rego<strong>la</strong>. Mi accontento dello scrittoio del<strong>la</strong> mia camera, così<br />

nessuno di loro potrà dirmi nul<strong>la</strong>. Il cofanetto di un cd,<br />

solitamente musica c<strong>la</strong>ssica, un taglierino di bassa fattura, una<br />

bic senza inchiostro. Dura il tempo di un respiro. Non capirò mai<br />

come il tempo di un respiro possa procurarti tutto quel piacere.<br />

Una so<strong>la</strong>. Una so<strong>la</strong> e vado. Metto il mondo in riga. Faccio i<br />

problemi a granelli. Poi basta un bel respiro. Un respiro bello<br />

forte e i problemi sono già via.<br />

Oggi siamo al<strong>la</strong> resa dei conti, sono stufo di rischiare <strong>la</strong> mia<br />

<strong>vita</strong>, <strong>la</strong> fedina, <strong>la</strong> reputazione, e accontentarmi ogni volta che<br />

venga sbattuta <strong>la</strong> tovaglia dove loro hanno pranzato per<br />

accontentarmi di un pugno di briciole. Polifemo e i suoi si<br />

abbuffano attorno ad un tavolo mentre io devo agitare un po’ <strong>la</strong><br />

co<strong>da</strong> durante i loro pasti perché si accorgano di me e mi <strong>la</strong>ncino<br />

al volo un osso <strong>da</strong> rosicchiare.<br />

Il mio destino forse sta scritto nel mio nome, come in un b-movie<br />

di bassissimo livello, qualcosa tipo il sabato in giallo di<br />

Raidue; è quello che ho pensato quando ho incontrato Polifemo <strong>la</strong><br />

prima volta. Gli ho guar<strong>da</strong>to l’occhio strabico, ho preso le misure<br />

del suo metro e ottantacinque di diametro e ho pensato che chi ha<br />

scritto <strong>la</strong> sceneggiatura del<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> poteva <strong>da</strong>rsi <strong>da</strong> fare a<br />

trovare una soluzione più originale dello scontro omerico tra<br />

Ulisse e Polifemo.<br />

Io però dell’Ulisse di Omero non ho un granché, a parte il nome di<br />

battesimo, un nome che mi fa schifo ma posso ancora dire che mi è<br />

an<strong>da</strong>ta bene in una famiglia di tradizionale educazione fascista:<br />

rischiavo di chiamarmi Primo, Italo, Galeazzo Secondo dopo mio<br />

padre Galeazzo Primo, o Vittorio come il nonno.<br />

L’Ulisse di Itaca è famoso per l’arguzia.<br />

Io sono <strong>la</strong> versione barese: sopperisco all’intelligenza dell’eroe<br />

omerico con il coraggio e <strong>la</strong> sfacciataggine, lo spirito levantino;<br />

<strong>la</strong> mia abilità sta nel fregare gli altri.<br />

In questo genere di affari bisogna essere au<strong>da</strong>ci, au<strong>da</strong>ci e<br />

spietati, non certo si può essere buoni in questa roba. Ed io...<br />

beh, io buono non lo sono proprio. Il mio cuore è attrezzato per<br />

temperature siberiane, ci stanno sopra due dita di pelo.<br />

Non esistono sconti o favori in questa attività. C’è un codice,<br />

una gerarchia, e se vuoi <strong>vera</strong>mente puntare in alto, devi farti<br />

rispettare. Senza rispetto qui sei finito. Non importa a che<br />

gradino ti trovi nel<strong>la</strong> gerarchia, se qualcuno ti tratta come non<br />

dovrebbe e tu neanche alzi <strong>la</strong> testa, sei tagliato fuori, ti<br />

buttano sempre più giù. C’è sempre bisogno qui di qualcuno che si<br />

sbatta, si pren<strong>da</strong> tutti i rischi e ne ricavi sempre meno.<br />

Solitamente sono anche quelli che prima o poi si fanno incastrare.<br />

E io proprio non ci tengo a finire nelle foto segnaletiche delle<br />

operazioni di Polizia: non è una questione di principio,<br />

semplicemente vengo male nelle foto di profilo.<br />

Uso una metafora. Mi hanno spinto con un piede in una pozzanghera<br />

di cacca, e mi sono sporcato il pantalone. Posso scegliere:<br />

1<strong>13</strong>


attraversare <strong>la</strong> pozzanghera, sporcarmi per bene e arrivare<br />

sull’altra spon<strong>da</strong> per fare i conti con chi mi ci ha spinto, oppure<br />

ritirare il piede indietro e restare qui tutto sporco di cacca, ad<br />

aspettare <strong>la</strong> prossima spinta.<br />

L’efficacia del<strong>la</strong> metafora mi ha convinto a passare di là.<br />

Così stanotte è an<strong>da</strong>ta, ho fatto il mio passo, ho mosso il mio<br />

pezzo sul<strong>la</strong> scacchiera. Adesso tocca a lui, a Polifemo.<br />

Non è stupido il ragazzo, in quel<strong>la</strong> rissa gli hanno sfregiato un<br />

occhio, non certo il cervello. Ne parleremo e, va<strong>da</strong> come va<strong>da</strong>,<br />

sono certo che finiremo <strong>la</strong> discussione tintinnando le nostre birre<br />

<strong>da</strong> trentatre centilitri, l’unità di misura del<strong>la</strong> baresità: cin<br />

cin e di nuovo soci, solo che questa volta un posticino al tavolo<br />

l’avrò pure io. Polifemo non è stupido, sa riconoscere che il mio<br />

<strong>la</strong>voro lo so fare al<strong>la</strong> grande, e non vorrà perdermi. Per questo<br />

devo dirgli che ha sbagliato, perché so che mi starà ad ascoltare.<br />

Lui c’è stato, dentro. Non gli ho mai chiesto perché, ma se non è<br />

roba di omicidio sarà solo perché l’hanno fermato in tempo.<br />

Questo mi fa paura, nel caso non dovesse prendere bene <strong>la</strong> mia<br />

scelta. Nel<strong>la</strong> peggiore delle ipotesi, se si dovesse incazzare con<br />

me, gli parlerò, gli dirò dove ho messo <strong>la</strong> roba e glie<strong>la</strong><br />

restituirò. Dirò qualcosa come:<br />

“Scusa, Polifemo, ma se io mi occupo di prender<strong>la</strong> <strong>da</strong>gli sbarchi, e<br />

se io mi occupo di vender<strong>la</strong> al dettaglio, mi spieghi perché <strong>la</strong><br />

roba deve passare <strong>da</strong> te? Posso steccar<strong>la</strong> io. Posso fare i pezzi.<br />

Chiedo solo un po’ di soldi in più! Sono onesto, non prendo niente<br />

per me! Lo sai...”, no! Meglio di no! Questa cazzata non convince<br />

neanche me.<br />

Allora forse potrei dirgli:<br />

“Polifaim, non je che mo’ de <strong>la</strong> <strong>da</strong> pgghja p stu fatt! Pero non m<br />

put manna a me <strong>da</strong>ll’albanis 17 ... Ascoltami, io sono pesce piccolo e<br />

tu mi paghi come pesce piccolo. Se tu vuoi che io sono pesce<br />

grande, tu paghi me come pesce grande, chiaro?” così andrebbe<br />

meglio.<br />

Il problema è che ormai non ci sono più alternative. Adesso non mi<br />

farebbero mai tornare indietro, ci sono direzioni ine<strong>vita</strong>bili<br />

nelle cose che si muovono nel<strong>la</strong> <strong>vita</strong>, tentare di uscire <strong>da</strong> questo<br />

giro adesso è come guar<strong>da</strong>re un orologio sperando che le <strong>la</strong>ncette<br />

si mettano a girare nell’altro senso. Non si può, il tempo ha una<br />

so<strong>la</strong> direzione. Una fottuta inerzia levogira: è questo che mi<br />

tiene incastrato.<br />

E’ un mese che io faccio il corriere. Ho iniziato <strong>da</strong> quando<br />

Vitino, il cognato di Polifemo, si è amma<strong>la</strong>to una sera. Era lui,<br />

con il suo fiorino bianco <strong>da</strong> idraulico, che si occupava del<br />

trasporto dei carichi. Finché una sera non ha potuto, era<br />

costipato e non poteva an<strong>da</strong>re sul mare in una notte di tramontana<br />

ad aspettare lo sbarco. Un semplice raffreddore gli è costato<br />

caro, però!<br />

Per sostituire Vitino Raffred<strong>da</strong>to quel<strong>la</strong> sera hanno chiamato me.<br />

Io ho sempre <strong>da</strong>to grandi soddisfazioni ai miei <strong>da</strong>tori di <strong>la</strong>voro,<br />

così tutto è an<strong>da</strong>to liscio, anche quel<strong>la</strong> volta. Mi sono pure<br />

17 “Polifemo, adesso non prenderte<strong>la</strong> per questo! Però non puoi man<strong>da</strong>re me <strong>da</strong>gli Albanesi...”<br />

114


divertito: in realtà ero talmente pieno di roba che mi sarei<br />

divertito anche in un museo geologico. Fatto sta che <strong>la</strong> <strong>storia</strong> è<br />

an<strong>da</strong>ta bene. Ho preso il carico e l’ho portato <strong>da</strong> Polifemo. Il<br />

quale ha fatto due conti ed ha scoperto che c’era più roba del<br />

solito, un chiletto. Siccome in questo genere d’affari non capita<br />

mai che qualcuno ti regali qualcosa o che sbagli a tuo favore,<br />

soprattutto se hai a che fare con gente che viene <strong>da</strong>ll’altro <strong>la</strong>to<br />

dell’Adriatico, il primo pensiero di Polifemo è stata una semplice<br />

deduzione <strong>da</strong> uomo di mondo, qualcosa che sotto l’aspetto <strong>da</strong><br />

inconsapevole sofisma invece nascondeva una verità che lo ha<br />

man<strong>da</strong>to su tutte le furie: probabilmente non era questa volta che<br />

ce n’era di più di roba, ma tutte le altre volte ce n’era stata di<br />

meno. Si è scoperto così (gli argomenti di persuasione di Polifemo<br />

posso immaginarli) che Vitino ad ogni carico si prendeva sempre<br />

qualcosa per sé.<br />

Io Vitino non l’ho più visto <strong>da</strong> allora, dicono che Polifemo gli<br />

abbia richiesto il denaro indietro fino all’ultimo centesimo, che<br />

gli abbia fatto saltare un dente per ogni carico truccato, e<br />

quando non aveva neanche più mo<strong>la</strong>ri in bocca abbia iniziato a<br />

rompergli le dita, con <strong>la</strong> stessa precisione contabile. A me, il<br />

giorno in cui mi ha conferito l’incarico, ha detto soltanto: “E va<br />

disc grazzj che je canattm, e che u vogghje bbun com a nu frat 18 !”<br />

Io ho preso il compito di “Vitino-per-me-un-succo-di-pera-grazie”,<br />

come l’ho ribattezzato scherzando con Polifemo sul<strong>la</strong> sua<br />

impossibilità di masticare. Però immaginavo che questa promozione<br />

comportasse un bel po’ di soldi in più per me. Se mi pizzicano<br />

adesso, non è più un tocco, questo è traffico internazionale, io<br />

ci rimetto le chiappe, non ho appello. Diciamo almeno dieci anni!<br />

A cui va aggiunto il preventivo di un paio di cuori infartuati<br />

nel<strong>la</strong> mia famiglia e dello smarrimento del<strong>la</strong> stima di questi tre<br />

campioni che vivono con me, se ancora ne hanno. E’ un prezzo<br />

troppo caro: allora, se proprio devo fare il corriere, lo faccio,<br />

anche perché non ho scelta. Ma ai miei prezzi ed alle mie<br />

condizioni. Non con <strong>la</strong> bustina come omaggio, e che me ne devo<br />

fare, mi infarino il cervello e poi?<br />

Funziona così: IO ricevo <strong>la</strong> comunicazione del posto. IO vado<br />

all’appuntamento, IO parlo con gli albanesi, IO mi cago sotto<br />

quando li incontro, ché il più bello sembra che gli abbiano<br />

squagliato <strong>la</strong> faccia con l’acido. IO controllo che tutto sia a<br />

posto e non mi abbiano truffato. IO me <strong>la</strong> devo trasportare fino a<br />

casa, sotto il culo dell’auto azien<strong>da</strong>le, IO <strong>la</strong> devo riportare <strong>da</strong><br />

Polifemo, normalmente <strong>la</strong> sera stessa, a meno che non mi si chie<strong>da</strong><br />

di far passare un paio di giorni, finché le acque si calmino un<br />

pochino. Lui sta comodo comodo sul divano di casa, a vedersi Maria<br />

De Filippi (motivo in più per ribel<strong>la</strong>rsi), divide di qua, assaggia<br />

di là. Quando è pronto, mi chiama, IO vado di nuovo a casa sua<br />

perché mi restituisca le dosi, e solo a questo punto inizia il mio<br />

vecchio <strong>la</strong>voro di un tempo. Il resto è tutto extra, che IO faccio<br />

per <strong>la</strong> gloria. Il rischio più grosso che corre Polifemo è che<br />

qualche partigiano catodico compia un attentato al piccolo schermo<br />

18 “E deve ringraziare che è mio cognato, e che gli voglio bene come ad un fratello!”<br />

115


e ci liberi <strong>da</strong>lle schifezze di Costanzo e consorte. A quel punto<br />

il povero Polifemo dovrebbe ripiegare sul<strong>la</strong> D’Eusanio.<br />

Visto quanti IO ci sono nello svolgimento del piano? Con questo<br />

fanno nove, e si pren<strong>da</strong> nota del fatto che al sottoscritto non<br />

piace partico<strong>la</strong>rmente par<strong>la</strong>re di sé! L’unico posto in cui mancano<br />

gli IO è nel<strong>la</strong> ripartizione dei gua<strong>da</strong>gni. Per il resto, lo<br />

sbattimento è tutto mio. Auè... fesso sì, ma coglione proprio no!<br />

Allora ho fatto una cosa, stanotte. Non so giocare a scacchi, e<br />

forse per questo ho preso un pezzo a caso e l’ho mosso per fare il<br />

casino più grosso che potessi. Starò a vedere.<br />

116


2.<br />

“Pronto?”<br />

“Pronto! Ulisse, sei scemo?”<br />

“Pronto, chi sei?”<br />

“Ulisse, forse ti sei sbagliato, ma guar<strong>da</strong> che Polifemo ti<br />

aspettava ieri sera! Ulisse che cazzo di fine hai fatto?”<br />

“Giovanni...”<br />

“Ulisse, che CAZZO hai fatto? Quello se ti prende ti ammazza!”<br />

“Giovanni! Non ti incaricare, me <strong>la</strong> vedo io!”<br />

“Ulisse, non fare stronzate, quelli ti rompono tutte le ossa!<br />

Tutte! A te e a me! Vuol sapere dove sei! Ora ti sta per chiamare!<br />

Digli solo che eri troppo stanco per an<strong>da</strong>re <strong>da</strong> lui. Che pensavi di<br />

dover aspettare qualche giorno. Che ti sei sbagliato. Digli che<br />

stai correndo a casa sua, che è tutto come al solito. Ulisse, sono<br />

cazzi se non ti muovi!”<br />

“Giovanni, ti ho detto che me <strong>la</strong> vedo io! So quello che faccio!<br />

Non ho altro <strong>da</strong> dirti!”<br />

“Ma sei scemo? Ma ti rendi conto che ci vado di mezzo anch’io?”<br />

“E’ questo che ti preoccupa, no? Stai tranquillo, dirò a lui che è<br />

tutta un’iniziativa mia, ti tirerò fuori io! E’ una cosa tra me e<br />

lui, lo sa e non ti metterà in mezzo, stai sereno! Mettiti pure<br />

tranquillo a scal<strong>da</strong>re il tuo cucchiaino!”<br />

“Ma, e se mi chiede di te, cosa devo dirgli?”<br />

“Dì che non sai nul<strong>la</strong>! Mi basta questo! Digli che non riesci a<br />

par<strong>la</strong>rmi!”<br />

“Dove vai adesso?”<br />

“Sono fatti miei!”<br />

“Dimmelo, fesso, io sono l’unico che potrebbe salvarti <strong>da</strong>l<br />

pericolo, lo sai che sono preoccupato per quello che può<br />

succederti!”<br />

“Giovanni!”<br />

“Ulisse!”<br />

“Non sono stupido al punto <strong>da</strong> crederti! Tu venderesti tua madre,<br />

perfino! Stai bene, bello!”<br />

“Ma...”<br />

Giovanni. Giovanni Cagasotto. Fu lui a farmi conoscere Polifemo.<br />

Chi se <strong>la</strong> scor<strong>da</strong> <strong>la</strong> faccia del Ciclope quando gli dissi il mio<br />

nome. Non è un caso che lui mi chiami “U’Nggnir”, l’Ingegnere. Non<br />

so dire il perché, dubito che lui abbia letto l’Odissea, però mi<br />

ha sempre temuto, o rispettato. Forse perché sono pochi i suoi<br />

dipendenti che vantino una <strong>la</strong>urea del Politecnico. Forse perché<br />

sono uno sveglio, uno pulito, uno che fa comodo. Quello di<br />

stanotte è stato solo un atto dimostrativo, probabilmente ai suoi<br />

occhi gua<strong>da</strong>gnerò ancora più rispetto, quello che stava perdendo in<br />

questi giorni, <strong>da</strong> quando mi fa fare il traghettatore del<strong>la</strong> sua<br />

roba. In fin dei conti so che riusciremo a metterci d’accordo.<br />

Conviene a tutti e due.<br />

117


3.<br />

Quel<strong>la</strong> del pa<strong>la</strong>zzo di fronte ce l’ha scritto in faccia! E<br />

Fantasma, che ha dei problemi con <strong>la</strong> sua sessualità sin <strong>da</strong><br />

bambino, tutto agitato si mette a dire “No, ragazzi, smettete<strong>la</strong> è<br />

una bambina, <strong>la</strong>sciate<strong>la</strong> stare! Quando noi ci siamo conosciuti al<br />

liceo, lei non aveva ancora iniziato le elementari!”.<br />

Fantasma mi fa tenerezza. E’ fuori <strong>da</strong>l mondo! Ma quale bambina,<br />

come fa a non accorgersi proprio di nul<strong>la</strong>!<br />

Io sono il suo opposto, anche se non sono meno patologico di lui!<br />

La mia è una malformazione genetica, sono radioattivo. I miei<br />

occhi emettono una speciale radiazione a lunghezza d’on<strong>da</strong><br />

control<strong>la</strong>ta in grado di reagire con <strong>la</strong> pelle di una donna<br />

investita <strong>da</strong>l mio sguardo. Tale reazione si manifesta formando un<br />

alone iridescente intorno al<strong>la</strong> lei in questione, tanto più vivido,<br />

quanto più è grande <strong>la</strong> sua voglia di sesso.<br />

Al centro delle piste <strong>da</strong> ballo, tra le corsie del supermercato, in<br />

fi<strong>la</strong> al<strong>la</strong> posta, nel<strong>la</strong> macchina che mi si affianca al rosso del<br />

semaforo: ovunque ci sia una donna, il mio sguardo può misurare<br />

l’entità del<strong>la</strong> sua splendente voglia di <strong>vita</strong>, calibrata in lux<br />

sessuali! La città di Bari è uno stupendo tappeto di lucine ai<br />

miei occhi, e, posso assicurarlo, io quando <strong>la</strong> vedo quel<strong>la</strong><br />

Chantal, ho bisogno di mettermi gli occhiali <strong>da</strong> sole, tanta è <strong>la</strong><br />

luce che abbaglia intorno a lei. Nel<strong>la</strong> mia sca<strong>la</strong> di riferimento<br />

fanno 90 lux, che arrivano a 100, cioè il massimo, se provo ad<br />

immaginar<strong>la</strong> a piedi scalzi. Mah, chissà perché c’ho sta fissa dei<br />

piedi nudi!<br />

Torno nel<strong>la</strong> mia stanza, dopo il rito del<strong>la</strong> mattina. La bustina è<br />

ancora lì, sul tavolo, le cinque chiamate senza risposta di<br />

Polifemo pure. C’è anche un messaggio: Laura... vediamo, Laura,<br />

chi è Laura? Ah si! Il messaggio dice:<br />

“C’è niente per me? Io ho qualcosa per te!”, a volte non sono io<br />

che trovo loro, accade il contrario.<br />

Il mio segreto professionale sta nel metodo. Dicono che, perché<br />

due persone qualunque del mondo si conoscano, bastano sette<br />

rapporti intermedi di conoscenza. Cioè che di qualunque persona<br />

del<strong>la</strong> Terra si può dire: “è un amico di un amico di un amico...”,<br />

fino a sette volte. Bastano sette anelli per metterci tutti in<br />

comunicazione. Per me è una gran stronzata, non credo che sette<br />

persone siano sufficienti a mettermi in contatto con un cinese o<br />

un <strong>la</strong>ppone o un aborigeno. Però fingo di crederci per ispirare il<br />

mio metodo di <strong>la</strong>voro. Che consiste, per pararsi le chiappe, nel<br />

limitare <strong>la</strong> sfera d’affari ai primi due livelli di conoscenza. Io<br />

commercio solo con gente che conosco, o con i loro amici. Se viene<br />

<strong>da</strong> me qualcuno che non sia legato <strong>da</strong> questi due anelli di catena,<br />

per quanto mi riguar<strong>da</strong>, può an<strong>da</strong>re sbattuto. Quel<strong>la</strong> tenuta insieme<br />

<strong>da</strong> questa catena a due soli anelli è una sfera abbastanza grande<br />

<strong>da</strong> contenere il numero giusto di clienti, il rapporto ottimale tra<br />

gua<strong>da</strong>gni e riduzione dei rischi. Perché se poi inizi a stare anche<br />

sul<strong>la</strong> bocca di gente che non ti conosce, finisce che un giorno ti<br />

118


trovi attaccato al culo il cane del<strong>la</strong> Finanza. E <strong>la</strong> giostra<br />

finisce.<br />

Laura è un’amica di un’amica. Una fi<strong>da</strong>ta. Ha un cane enorme, il<br />

culo rotondo, un buon numero di lux sessuali, tra i 55 e i 65, e<br />

bacia benissimo: tre di questi quattro sono buoni motivi per<br />

fissare un appuntamento con lei. Un indizio per trovare l’elemento<br />

intruso? I cani non mi piacciono un granché.<br />

Le rispondo al messaggio. Passa un minuto ed ecco un’altra bustina<br />

SMS. Mittente, vediamo: Polifemo? Minchia, ha imparato a scrivere<br />

i messaggi! Allora è seria <strong>la</strong> <strong>storia</strong>.<br />

“Ingegnere, stai uscendo matto? Io ti rompo il pallone mo’ che ti<br />

prendo... lo sai che ti prendo, vero?”<br />

Il problema è serio. Non so se rispondergli, né in che modo. Per<br />

ora è importante solo che non mi trovi. In barca non verrebbe mai<br />

a cercarmi. Devo farmi coraggio. Andrà tutto bene. Andrà tutto<br />

bene. Forse, però, è meglio farsene un’altra. Una so<strong>la</strong>. Una so<strong>la</strong> e<br />

vado. Non sul tavolo del<strong>la</strong> cucina, però: è <strong>la</strong> Rego<strong>la</strong>.<br />

119


4.<br />

Ho bisogno di un caffè. Quello di Strillo fa schifo. Cazzo,<br />

neanche un caffè sa fare... Arriveremo a trent’anni, il passo è<br />

breve, e ci accorgeremo che non possiamo più fare a meno di<br />

Sergio, l’unico che sappia mettere mano ai fornelli. L’unico<br />

capace di rifornire di cibo i nostri stomaci già sfatti <strong>da</strong>ll’abuso<br />

di alcol e <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mancanza di gravità di questa fottuta navicel<strong>la</strong>.<br />

Già immagino che litigheremo per chi potrà portarlo con sé quando<br />

ci separeremo e <strong>la</strong>sceremo per sempre l’Apollo <strong>13</strong>. Almeno, però,<br />

seppure non dovesse venire con me ed io mi trovassi un giorno<br />

faccia a faccia con <strong>la</strong> mia cucina, un caffè decente sono sicuro<br />

che riuscirei a farlo, non quel<strong>la</strong> cicoria di Stril<strong>la</strong>cci, che esce<br />

a fatica, come <strong>la</strong> tosse di un vecchietto, cough, cough, ogni volta<br />

come se <strong>la</strong> macchinetta stesse per esplodere. Io faccio un buon<br />

caffè, e non solo! So farmi un buon toast, e un’ottima crema al<br />

limone. Nell’ordine corretto, potrebbero garantirmi un pasto<br />

completo.<br />

Entro nel baretto. Credo che i bar siano dei microcosmi pieni di<br />

storie, quanto più piccoli sono, tanto più dense sono le storie<br />

che vi si anni<strong>da</strong>no. Bari pullu<strong>la</strong> di baretti, e in ognuno ci trovi<br />

sempre lo sfiato delle macchine di caffè quando montano il <strong>la</strong>tte,<br />

i rumori dei piattini, <strong>la</strong> Gazzetta del Mezzogiorno sul tavolino<br />

rotondo con <strong>la</strong> tovaglia piegata triste fino a baciare per terra,<br />

le conversazioni sui Matarrese, su Cassano e sugli arbitri a<br />

favore del<strong>la</strong> Juve, cornetti paleolitici e un po’ avvizziti con un<br />

baffo di crema che giorno dopo giorno riduce <strong>la</strong> distanza tra il<br />

giallo e il verde. E in questo bar, nel mio bar, ci trovi anche il<br />

Signore e <strong>la</strong> Signora.<br />

Lui è un omone, sul<strong>la</strong> cinquantina, ma per quanto ricordi io, ha<br />

sempre avuto quest’età, probabilmente è nato cinquantenne e così<br />

morirà. Il grembiule legato in <strong>vita</strong>, i baffi impol<strong>vera</strong>ti di bianco<br />

come i capelli, <strong>la</strong> camicia a quadri di f<strong>la</strong>nel<strong>la</strong>, perfino le<br />

macchie sul grembiule sembrano essere le stesse di quando sono<br />

entrato per <strong>la</strong> prima volta nel bar. Il suo nome lo ignoro, mi<br />

basterebbe stringere appena gli occhi per riuscire a leggerlo<br />

sul<strong>la</strong> licenza che tiene appesa affianco al<strong>la</strong> macchina del caffè,<br />

ma non servirebbe a nul<strong>la</strong>: lui è per tutti il Signore. Anche<br />

quando par<strong>la</strong> di sé, dice “Il Signore”.<br />

Il Signore è come... beh, immaginate una fotografia scattata ad un<br />

barista quindici anni fa. Scattata e rinchiusa in uno di quei<br />

vecchi album di foto, libroni di cartoncino e velina. Immaginate<br />

che, stufo di stare rinchiuso nell’album, il barista per una<br />

decina di ore al giorno ne venga fuori, si dia una sgranchita per<br />

recuperare <strong>la</strong> sua pancia e si metta dietro un bancone per farvi il<br />

miglior espressino del<strong>la</strong> città. Poi, chiusa <strong>la</strong> saracinesca del<br />

baretto intorno alle otto di sera, immaginate che il Signore<br />

ritorni nel suo album a riposare sotto un lenzuolo di carta<br />

velina. La sua <strong>vita</strong> si è fermata lì, quindici anni fa al momento<br />

del click: il Signore è il primo uomo conge<strong>la</strong>to <strong>da</strong> una macchina<br />

fotografica... e per fortuna <strong>la</strong> pellico<strong>la</strong> era a colori! Ve lo<br />

immaginate un barista in bianco e nero?<br />

120


Poi c’è <strong>la</strong> Signora. La Signora.<br />

La Signora è più giovane di lui, i suoi capelli si imper<strong>la</strong>no<br />

velocemente, è <strong>la</strong> prova che è viva. Chissà quando il suo cervello<br />

ha fatto zot, quando le hanno tolto <strong>la</strong> spina. Non posso non<br />

accorgermene, io sono radioattivo, gia l’ho detto. La luminosità<br />

del<strong>la</strong> Signora è una di quelle insegne al neon che segna<strong>la</strong>no <strong>la</strong><br />

presenza dei motel sulle strade americane dei film. Una di quelle<br />

strade che qualche cowboy pioniere ha tracciato con una matita<br />

sba<strong>da</strong>ta solcando il paesaggio americano per unire due punti nel<br />

modo più breve. Una di quelle strade dove ci trovi solo Rutger<br />

Hauer che fa l’autostop dopo aver appena finito di girare The<br />

Hitcher, maledicendo <strong>la</strong> troupe che si è dimenticata di<br />

riportarselo a casa. Una stra<strong>da</strong> deserta, insomma. Finché, ad un<br />

certo punto, non <strong>la</strong> vedi a chilometri di distanza, quel<strong>la</strong> insegna,<br />

che se stai zitto, riesci quasi a sentirne il ronzio del neon<br />

portato <strong>da</strong>l vento. Cambia colore, bril<strong>la</strong> portandoti segnali di<br />

<strong>vita</strong>, di casa, di letto. Il riposo di un viaggio.<br />

Sono radioattivo, e sono pieno di roba, lo so! Ma ci vedo questo<br />

io nel<strong>la</strong> Signora. Una magnifica insegna di un Motel su una Stra<strong>da</strong><br />

americana. Una magnifica insegna a cui abbiano tolto <strong>la</strong> corrente.<br />

E, proprio come i neon appena spenti, anche lei ogni tanto emana<br />

qualche bagliore stanco, ricordo di quello che fu. Mi dà i<br />

brividi, con <strong>la</strong> sigaretta serrata tra le <strong>la</strong>bbra, le mani distese,<br />

le guance che si scavano quando aspira, come se volesse<br />

riprendersi a boccate qualcosa che le hanno rubato. Tiene legati i<br />

capelli, sempre puliti, immagino morbidi di qualche aroma strano,<br />

qualche erba salutista. Ogni settimana un pennello bianco le<br />

<strong>la</strong>scia qualche linea in più nel<strong>la</strong> co<strong>da</strong>.<br />

Invece gli occhi non invecchiano. Ha gli occhi di una di quelle<br />

donne molto complicate, quelle che <strong>la</strong> felicità <strong>la</strong> considerano<br />

sempre troppo distante, quelle che hanno cercato a lungo il<br />

biglietto d’istruzioni del<strong>la</strong> loro <strong>vita</strong>, pensando di averlo<br />

smarrito in molti letti, dove non si stancano di cercare.<br />

Immagino. Immagino e <strong>la</strong> vedo nei raduni rock, nelle comunità<br />

hippy, in una Diana a fare l’amore fino quasi a fare cappottare<br />

l’auto. La immagino aprire <strong>la</strong> bocca e tentare di gri<strong>da</strong>re per dire<br />

che l’ha trovato, che è lì il suo manuale d’uso, <strong>la</strong> immagino<br />

an<strong>da</strong>re su e giù, con <strong>la</strong> bocca aperta e <strong>la</strong> voce che non esce.<br />

An<strong>da</strong>re su e giù, i capelli finalmente sciolti con un gesto delle<br />

due mani lunghe, un seno al balcone, l’altro ancora coperto,<br />

triste asimmetria, il viso arrossarsi, e tentare di gri<strong>da</strong>re.<br />

Un urlo terrificante e muto.<br />

E quel<strong>la</strong> <strong>la</strong>crima che le attraversa il volto magro qualche minuto<br />

dopo è perché, porca puttana, il libretto per <strong>la</strong> felicità non era<br />

neanche in quel<strong>la</strong> Diana.<br />

La Signora è tutto questo, fi<strong>da</strong>tevi del mio misuratore di lux.<br />

121


5.<br />

“Buongiorno” e tiro su con il naso. Devo essere <strong>da</strong>vvero bello con<br />

i miei tic. Mi sto intossicando, è così che ce ne si accorge.<br />

“Caffè, dottore?”<br />

“Espressino Signore, un Espressino corretto con un po’ di<br />

Coraggio!” subito immagino il film di Lino Banfi, il caffè con<br />

Utopia di Vieni avanti, cretino!<br />

Fantasma racconta strane storie su questo bar, riportate <strong>da</strong>i suoi<br />

nonni. Il Signore era in una clinica psichiatrica, e pensava di<br />

essere un infermiere, <strong>la</strong> Signora ne entrava e ne usciva con le<br />

braccia livide, perché poi, ad un certo punto, <strong>la</strong> sua risposta<br />

credeva di aver<strong>la</strong> trovata, bastava iniettarse<strong>la</strong> in una vena tenuta<br />

stretta <strong>da</strong> un <strong>la</strong>ccio. Si erano conosciuti nel bar dell’ospe<strong>da</strong>le,<br />

passavano il loro tempo lì. E lui diceva che si era stufato di<br />

fare l’infermiere, che avrebbe voluto fare il barista, che aveva<br />

un sogno. Lei stava ore a guar<strong>da</strong>re quei tavolini sozzi del bar<br />

del<strong>la</strong> clinica. Ci passava <strong>la</strong> mano, prima piano, poi con forza, ma<br />

le macchie non an<strong>da</strong>vano via. Strisciate di grasso, unto,<br />

caffe<strong>la</strong>tte cristallizzato che neanche Mastro Lindo...<br />

“Signore, se mi promette che nel suo bar mi farà trovare un<br />

tavolino lucido, verrò a trovar<strong>la</strong>, <strong>da</strong>vvero!” disse lei.<br />

E così fu.<br />

Beh, Fantasma è un gran pallonista, però questa <strong>storia</strong> è bel<strong>la</strong>.<br />

Non mi dispiacerebbe che fosse anche <strong>vera</strong>.<br />

Il Signore prende il mio espressino, lo poggia sul piano che ha<br />

alle sue spalle, si gira, prende una bottiglia verde e mi butta un<br />

goccio di qualcosa nel<strong>la</strong> tazzina.<br />

“Espressino con Coraggio, Dottore!”<br />

La Signora è poco più in là, a metter l’acqua nel paio di piante<br />

che sono nel bar. Poggia l’annaffiatoio e sfi<strong>la</strong> lo strofinaccio<br />

che porta sempre ad un passante dei suoi pantaloni neri. Prende<br />

una boccata di fumo e si piega sul tavolino a luci<strong>da</strong>rlo. Resta<br />

piegata e anche se un po’ imbarazzato mi tocca guar<strong>da</strong>rle il culo.<br />

Tondo. Tondo come <strong>la</strong> terra, l’insegna del motel fa una scintil<strong>la</strong>.<br />

Uno di quei sederoni che crescono con l’età senza appendersi,<br />

restano meravigliosamente curvi e allegri: fa più coraggio questo<br />

dell’espressino del Signore.<br />

“Dottore, tu sei Ingegnere, vero?”<br />

“Stando ai pezzi di carta, si!” rispondo io.<br />

“Aiutami un po’ per favore”<br />

Già mi immagino qualche doman<strong>da</strong> che metta in crisi <strong>la</strong> mia scarsa<br />

preparazione. Le domande le cui risposte nell’immaginario<br />

collettivo spettano agli ingegneri mi spaventano.<br />

Tira fuori un pezzo di carta, un tovagliolo ad esser precisi. Con<br />

degli scarabocchi disegnati, un cerchio grande con <strong>la</strong> forma<br />

dell’Italia verso il centro, ed altri piccoli cerchi affiancati<br />

l’uno all’altro.<br />

“Questa è <strong>la</strong> terra, no?” indica il cerchio grande.<br />

In una bizzarra rivisitazione geofisica, ci può stare!<br />

“La circonferenza del<strong>la</strong> terra misura 40 km... se ha due<br />

minuti...” faccio cenno di sì con il capo.<br />

122


Il Signore mette le mani sotto il bancone e ne tira fuori un<br />

articolo stropicciato, lo stende, poi inizia a leggere:<br />

“Eratostene nell’antica Grecia misurò per <strong>la</strong> prima volta <strong>la</strong><br />

Circonferenza del<strong>la</strong> Terra. Intorno al 230 a. C., il 21 giugno - il<br />

giorno del solstizio d’estate-, aveva potuto constatare che a<br />

Siene - l'attuale Assuan, in Egitto - a mezzogiorno gli oggetti<br />

non avevano ombra in quanto il Sole era esattamente sul<strong>la</strong><br />

verticale, cioè allo zenit.<br />

Inoltre era riuscito ad appurare che, nello stesso istante, ad<br />

Alessandria d'Egitto il Sole formava con <strong>la</strong> verticale un angolo di<br />

7° 12', che equivale a 1/50 di una circonferenza completa.<br />

Poiché, secondo Eratostene, Alessandria si trovava esattamente a<br />

nord di Siene sullo stesso meridiano e poiché conosceva in modo<br />

preciso <strong>la</strong> distanza fra Siene e Alessandria - 5.000 stadi, che<br />

corrispondono a circa 890 km -, moltiplicò questa distanza per 50<br />

ottenendo <strong>la</strong> lunghezza del<strong>la</strong> circonferenza terrestre e quindi del<br />

meridiano stesso. Secondo il suo calcolo <strong>la</strong> circonferenza del<br />

globo doveva quindi essere di 44.500 km!” mette giù il giornale<br />

“Geniale, no, Ingegnere? Così semplice, eppure così geniale,<br />

bastava misurare un ombra!”<br />

“Davvero! Non ci avevo mai pensato, e dire che abbiamo aspettato<br />

Copernico per ammettere che <strong>la</strong> Terra è ton<strong>da</strong>! Questo aveva già<br />

capito tutto, mi sembra!”<br />

“I greci! Sono grandi i greci! Sapevano tutto!”<br />

“Non capisco come posso aiutar<strong>la</strong>, però!” chiedo sinceramente.<br />

“L’articolo continua, dicendo che con i mezzi scientifici di oggi<br />

si è potuto calco<strong>la</strong>re che Eratostene aveva un po’ sbagliato, e che<br />

<strong>la</strong> circonferenza del nostro pianeta misura... vediamo un po’, ah,<br />

ecco qui: 40.009,152 chilometri!”<br />

Mi guar<strong>da</strong> con i baffi che si inarcano fino a trasformarsi in punto<br />

interrogativo.<br />

Mi sento di tranquillizzarlo:<br />

“Beh. Se lo ha letto, sarà vero!”<br />

“Allora Ingegnere, ti spiego!”<br />

Mette le mani nel <strong>la</strong>vabo e tira fuori un piattino <strong>da</strong> caffè.<br />

“Questo misurerà diciamo dieci centimetri di diametro, no?”<br />

Lo guardo pensando che lui è pazzo, ed io che lo sto ad ascoltare<br />

sono più pazzo di lui. Per fortuna <strong>la</strong> polvere non mi rende<br />

aggressivo.<br />

“Dove vuole arrivare?” domando un po’ seccato.<br />

“Diciamo che io servo più o meno duecento caffè al giorno. Quando<br />

li ho contati ne ho fatti, 180, 223, 201, 191. Una media di 200,<br />

quindi!”<br />

Il problema si complica.<br />

“Per ogni caffè, metto uno di questi sul bancone, no?”<br />

Annuisco.<br />

“Immaginiamo, per esempio, che io <strong>da</strong> quindici anni, <strong>da</strong> quando ho<br />

aperto questo bar, abbia affiancato i piattini uno accanto<br />

all’altro, di continuo... sia partito <strong>da</strong> qui e per ogni caffè<br />

servito abbia aggiunto un piattino al<strong>la</strong> catena, così” e mi indica<br />

il disegno dei cerchietti piccolini.<br />

“Beh?”<br />

123


“Ingegnere, tu mi devi aiutare! Voglio sapere se i miei piattini<br />

hanno già fatto il giro del<strong>la</strong> Terra, o quanto manca!”<br />

Non riesco a crederci. Questo è sfasato. Mi era capitato di<br />

sentirgli dire cose strane, ma questa le batte tutte.<br />

Un barista che vuol fare una cintura di piattini al mondo!<br />

E’ così insensata questa <strong>storia</strong>, che mi ha incuriosito e mi<br />

dispongo a fare il calcolo!<br />

Lui tira fuori una vecchia calco<strong>la</strong>trice di quelle ad energia<br />

so<strong>la</strong>re. Me <strong>la</strong> passa quasi con commozione:<br />

“E’ <strong>da</strong> un sacco che volevo chiedertelo, Ingegnere!”<br />

Allora, vediamo, duecento caffè al giorno, per dieci centimetri di<br />

piattino:<br />

“Venti metri al giorno!” dico.<br />

Mi guar<strong>da</strong> perplesso e ansioso, come fossi un oracolo, ha capito<br />

subito che non ce <strong>la</strong> facciamo.<br />

“Venti metri al giorno, fanno, vediamo un po’ venti per trecento<br />

fa seimi<strong>la</strong>, sono 6 chilometri l’anno, con 300 giorni <strong>la</strong>vorativi. A<br />

meno che... lei apre anche <strong>la</strong> domenica, no?”<br />

“Certo che apro <strong>la</strong> domenica, sto sempre aperto io!”<br />

Del resto dove altro potrebbe an<strong>da</strong>re quest’uomo-fotografia? O nel<br />

bar, o nell’album. Mi domando se lui <strong>la</strong>vora a questo scopo, se<br />

salta fuori <strong>da</strong> una collezione di ricordi su carta fotografica solo<br />

per questo, per fare il giro del mondo con i suoi piattini. Se è<br />

questo il sogno di cui par<strong>la</strong>va Fantasma nel suo racconto.<br />

“Allora, 7... 7 chilometri di piattini all’anno.”<br />

“Poteva aprirsi una pizzeria se era quello che voleva, Signore!<br />

Con i piatti delle pizze si sarebbe sbrigato molto prima!” par<strong>la</strong><br />

<strong>la</strong> Signora, che butta <strong>la</strong> cicca nel posacenere e si rimette dritta,<br />

dopo aver riposto lo strofinaccio nel<strong>la</strong> fondina.<br />

Il Signore non <strong>la</strong> ascolta neanche, c’è rimasto male <strong>da</strong>vvero!<br />

“Allora 40000 diviso 7...” il risultato mi fa spaventare. Non<br />

vorrei proprio essere io a dirglielo!<br />

“Sono 5700 anni, 5700 e qualcosa!”<br />

“Cioè... altri... altri 5685 anni, altri 5685!”<br />

La Signora si avvicina, ha uno strano profumo, qualcosa come di<br />

tabacco macerato nell’acqua di rose, se mai fosse possibile.<br />

Qualcosa di repellente e insieme molto sensuale, come una castagna<br />

messa ad arrostire su un camino che non tira bene. Distende il<br />

braccio, lentamente avvicinando <strong>la</strong> sua lunga mano ai capelli<br />

ingrigiti del Signore.<br />

“Signore, <strong>la</strong> prego, non faccia così! Se serviranno altri 5685<br />

anni, staremo qui altri 5685 anni. E se vorrà ricominceremo<br />

<strong>da</strong>ccapo! Un nuovo giro, piattini piccoli, grandi, cucchiaini,<br />

tazzine, bicchierini, affiancheremo ogni cosa e porteremo i suoi<br />

caffè in giro dove vorremo!”<br />

Mi viene un’idea.<br />

“Può servire il caffè nei piattini del cappuccino, questo le può<br />

permettere di gua<strong>da</strong>gnare qualcosa, diciamo un paio di centimetri<br />

per caffè, che in termini percentuali fa... vediamo un 20% in più,<br />

ci metterebbe <strong>13</strong>00 anni di meno, occhio e croce! Una so<strong>la</strong> mossa e<br />

gua<strong>da</strong>gna <strong>13</strong>00 anni!”<br />

124


Non si scompone il Signore. Il colpo si sta ancora assestando. In<br />

quel momento entrano sei persone, dipendenti dello stesso ufficio,<br />

a giudicare <strong>da</strong>lle giacche in serie che vestono. Ordinano sei<br />

caffè. Guardo i piattini che il Signore dispone sul bancone di<br />

metallo lucente. Altri sei passettini nel suo giro del mondo che<br />

non finirà mai. Non sarà più lo stesso, quando prenderò un caffè<br />

in <strong>vita</strong> mia.<br />

Gli ripasso <strong>la</strong> calco<strong>la</strong>trice, <strong>la</strong> mette via con gli occhi lucidi.<br />

“Grazie, grazie <strong>da</strong>vvero Ingegnere! Da oggi solo piattini grandi,<br />

allora!” prova a sorridermi “Il caffè oggi lo offre il Signore!”<br />

Sorrido amaro anch’io ed esco.<br />

La Signora esce subito dietro di me.<br />

“Ingegnere!”<br />

“Sì, Signora?”<br />

“Lei sa anche quanto è lontana <strong>la</strong> luna <strong>da</strong>l<strong>la</strong> terra?”<br />

“No... direi proprio di no!”<br />

“Glielo dico io: 384.000 chilometri! E le risparmio <strong>la</strong> <strong>storia</strong> di<br />

Aristarco di Samo, tanto io non ho bisogno di calcoli...”<br />

“Per cosa?” domando incuriosito, di fronte a lei ho sempre <strong>la</strong><br />

sensazione di essere tenuto in pugno.<br />

“Ne ho presi tanti, io. Ne ho presi tanti. Tanti che mettendoli in<br />

fi<strong>la</strong> uno dietro l’altro, io al<strong>la</strong> luna ci arrivo e ci torno...”<br />

Non so se ridere, se prender<strong>la</strong> come una proposta, <strong>la</strong> Signora mi<br />

confonde, mi attira e mi fa ribrezzo insieme. Provo a buttare tra<br />

me e lei un sorriso, del tutto fuori luogo.<br />

“Ingegnere!”<br />

“Signora?”<br />

“Non è servito a nul<strong>la</strong>”<br />

La guardo, vorrei dirle del mio dono, vorrei par<strong>la</strong>rle del<strong>la</strong> mia<br />

radioattività, dell’insegna del motel, delle due righe di<br />

stamattina, che mi hanno fatto immaginare lei in una Diana<br />

ammortizzata, vorrei dirle che so già tutto, so che non ha trovato<br />

quello che cercava. Vorrei dirlo, e non lo faccio, non ha senso.<br />

“Non è servito a nul<strong>la</strong>” ripete con <strong>la</strong> prima boccata di una nuova<br />

sigaretta “sul<strong>la</strong> Luna non c’è niente! Non c’è niente! Solo una<br />

fottuta bandiera a stelle e strisce!”<br />

“Già” dico, e sono ormai girato. La sua voce mi richiama.<br />

“Ingegnere!”<br />

“Signora?”<br />

“Vacci piano con quel<strong>la</strong> roba! Ti farai del male!”<br />

Ora sì che posso sorridere, sentendomi miseramente stupido.<br />

“A domani, Signora!”<br />

“Ciao, Ingegnere!”<br />

125


6.<br />

Arrivo al CUS, Centro Universitario Sportivo. Mio padre ha nel CUS<br />

<strong>la</strong> sua barca, io ho nel<strong>la</strong> sua barca <strong>la</strong> mia roba. E’ come una<br />

Matrioska.<br />

Ho <strong>la</strong>sciato il telefono a casa per e<strong>vita</strong>re che Polifemo<br />

continuasse a cercarmi, mi innervosivano le sue chiamate a cui non<br />

ho voluto rispondere. Ora che ci penso però, se Laura dovesse<br />

avere problemi non potrebbe avvisarmi. Non so che fare, devo<br />

aspettare che Polifemo si calmi. I miei pensieri non riescono a<br />

tenere assieme più di cinque parole al<strong>la</strong> volta. Fa così quando<br />

finisce l’effetto. Ho paura: ho preso due righe, un caffè con<br />

Coraggio eppure sono qui che ho paura.<br />

Forse è meglio che gli riporti tutto, forse dovrei iniziare a<br />

tirarmene fuori, magari poco al<strong>la</strong> volta me ne faranno uscire. Non<br />

chiederò nuovi soldi, dirò che avevo sonno e sono an<strong>da</strong>to a<br />

dormire, che il carico è arrivato più tardi. Sì, dirò così.<br />

Passeggio per gli impianti, gente che fa sport di ogni tipo,<br />

vogatori, cestisti, nuotatori, gente che corre e solleva pesi, ed<br />

è solo mattina. C’è un’aria talmente salutare che verrebbe voglia<br />

di ricominciare <strong>da</strong>ccapo. Arrivo fino al molo del<strong>la</strong> barca di papà<br />

che ondeggia appena. Avvicino <strong>la</strong> scaletta per montare a bordo.<br />

E’ una giornata strana, potrebbe essere di un mese qualunque, ad<br />

un’ora qualunque, <strong>la</strong> luce in cielo non si capisce se sia appena<br />

arrivata o stia per svanire. Quel<strong>la</strong> luna ha dimenticato di an<strong>da</strong>r<br />

via o è già pronta per <strong>la</strong> notte come una tipa bruttina che<br />

finalmente abbia un appuntamento per <strong>la</strong> serata e sia già pronta<br />

<strong>da</strong>l pomeriggio. La guardo, sfumata nel celeste del cielo, immagino<br />

una linea ininterrotta che arrivi fino lì. Torno a pensare al<strong>la</strong><br />

Signora. Metto gli occhi a terra e quasi non inciampo in un’altra<br />

linea con i piattini del Signore. Mi ha preso male, e quand’è così<br />

c’è una so<strong>la</strong> soluzione. Una so<strong>la</strong>.<br />

126


7.<br />

Mezz’ora dopo sto molto meglio e sono a prendere una bibita con<br />

Laura, con Laura e il suo cane Kaos. Lo portiamo a passeggio per<br />

una decina di minuti, anche se starebbe meglio dire che lui ha<br />

portato noi a passeggio.<br />

Avete mai visto un dogo argentino che pensa di essere uno<br />

yorkshire? E’ convinto di avere tre taglie di meno, come una donna<br />

che non voglia ammettere <strong>la</strong> sua grossezza pur di entrare<br />

nell’ultimo jeans di Cavalli, ottenendo a fatica un risultato <strong>da</strong><br />

insaccato. Kaos non si rende conto di sé, è fuor di dubbio: si<br />

spaventa quando vede un cane che gli abbaia, anche se non gli<br />

arriva neanche al pisello; quando vede qualcuno che gli è<br />

simpatico lo atterra manifestandogli <strong>la</strong> sua voglia di giocare; a<br />

volte cerca di passare in varchi nei quali non entra neanche <strong>la</strong><br />

sua so<strong>la</strong> testa. Gli manca totalmente <strong>la</strong> consapevolezza del<strong>la</strong><br />

propria mole. Per non par<strong>la</strong>re delle pozzanghere bavose che segnano<br />

il suo passaggio. Ci fermiamo stremati e sorridenti, siamo<br />

riusciti a finire <strong>la</strong> passeggiata del cane, senza ossa rotte. E’ un<br />

gran traguardo.<br />

“Non potevi <strong>la</strong>sciarlo?”<br />

“Perché avrei dovuto?”<br />

“Pensavo volessi stare un po’ <strong>da</strong> so<strong>la</strong> con me!”<br />

“Ho detto di avere qualcosa per te, non di voler stare <strong>da</strong> so<strong>la</strong> con<br />

te!”<br />

Laura richiama il cane che gioca a rincorrere i gabbiani sui moli<br />

mettendoli in fuga.<br />

“Kaos! Vieni qua!”<br />

La bestia si arresta, ci vede, ci riconosce, ci punta ed inizia a<br />

correre verso di noi! Ottanta chili di muscoli saltel<strong>la</strong>nti mi<br />

stanno per franare addosso.<br />

“Fermalo, fermalo ti prego! Mi ammazza! Fermalo! Aiuto!”<br />

Un secondo dopo sono già sotto di lui, e, non so se è <strong>la</strong> terza<br />

linea, ma non riesco a smettere di ridere, nonostante mi coli<br />

borracce di bava su tutta <strong>la</strong> faccia.<br />

127


8.<br />

Un quarto d’ora dopo siamo in barca, Kaos si è fatto legare fuori<br />

sul pontile e a meno che non sradichi l’ormeggio non dovrebbe<br />

<strong>da</strong>rci più problemi!<br />

“Scusami, scusami <strong>da</strong>vvero!” mi dice lei mentre mi asciugo i<br />

capelli.<br />

“Non ti preoccupare, un giorno incontrerà il suo Logos e allora si<br />

calmerà!”<br />

“Cosa?”<br />

“Kaos e Logos! La Teogonia di Esiodo!”<br />

Proprio non capisce, le faccio <strong>la</strong> parafrasi:<br />

“Quando lo farai accoppiare diventerà molto più mansueto!”<br />

“Ah!” fa un piccolo sorriso e poi mi guar<strong>da</strong> strano. E non so <strong>da</strong>rle<br />

torto.<br />

“Puoi fare un caffè, mentre finisco di asciugarmi?” le domando <strong>da</strong>l<br />

piccolo bagno del<strong>la</strong> barca “Tutto il necessario è in quel<br />

mobiletto! Puoi toglierti <strong>la</strong> giacca!” le urlo.<br />

“Veramente devo far presto!” mi risponde.<br />

Prendiamo il caffè:<br />

“Voglio cinque pezzi!” mi dice.<br />

Prendo <strong>la</strong> roba e preparo ciò che mi ha chiesto. E’ strano, è molto<br />

strano. Mi aspettavo che mi facesse domande. Sul perché ci siamo<br />

incontrati qui e non al solito posto, sul perché <strong>la</strong> roba non è già<br />

suddivisa, sul perché sono già strafatto alle undici di mattina.<br />

Non mi piace affatto, tutto questo. Qualcosa ancora non torna. Ma<br />

<strong>la</strong> verità è che oggi sto paranoico.<br />

I pezzi sono diventati quattro e mezzo dopo pochi secondi che sono<br />

nelle sue mani. Finalmente si ri<strong>la</strong>ssa e toglie <strong>la</strong> giacca. Si porta<br />

le mani al naso, tira su ogni granello le sia rimasto sul dorso<br />

del<strong>la</strong> mano. Fa una decina di respiri profondi, sembra quasi faccia<br />

fatica a prendere aria. Poi cerca <strong>la</strong> giacca, fa per an<strong>da</strong>rsene di<br />

nuovo e mi chiede scusa, ché non sta bene. Sban<strong>da</strong> e si rimette<br />

seduta.<br />

“Mi gira <strong>la</strong> testa! E’ normale?”<br />

“E’ roba buona, forte, non sei abituata a quel<strong>la</strong> tagliata così, ha<br />

poca anfetamina, vuol dire solo che è buona, cerca di non<br />

pensarci. Lascia fare a lei! Stenditi un attimo!” non avrei dovuto<br />

farglie<strong>la</strong> prendere nel<strong>la</strong> barca. Se si sente male sono fottuto.<br />

Sono stato <strong>da</strong>vvero poco professionale. La faccio stendere sul<br />

divanetto. E sventolo a pochi centimetri <strong>da</strong>l suo viso una gazzetta<br />

ingiallita. Per fortuna sembra sentirsi meglio. In pochi secondi<br />

riprende colore. Prima ancora di riaprire gli occhi, inizia già a<br />

ridere. Poi dice qualche picco<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Mi tranquillizza. Sorride<br />

e sgrana gli occhi.<br />

“Oh grazie, mio dio, è incredibile! Dio, che bello! Che bomba! Mai<br />

stata così!” e scoppia ancora a ridere. Ma quante cazzo sono le<br />

emozioni che sta provando nel giro di pochi secondi? Un attimo fa<br />

pensavo stesse per morire, ora invece sembra abbia appena finito<br />

di scartare il più bel regalo di Natale del<strong>la</strong> sua <strong>vita</strong>.<br />

128


E’ talmente finta, sintetica, <strong>la</strong> sua allegria che quasi mi faccio<br />

schifo per essere stato io a procurarglie<strong>la</strong>.<br />

Allora, se mi faccio schifo, perché non mi sottraggo quando si<br />

avvicina e poggia le sue <strong>la</strong>bbra sulle mie? Perché non le dico di<br />

no quando mi infi<strong>la</strong> svelta le dita nei capelli e mi schiaccia <strong>la</strong><br />

testa tra le tette, che quasi mi intossico con l’odore del<br />

bagnoschiuma al cocco capace di trapassare anche il suo maglione?<br />

Se <strong>da</strong>vvero provo schifo per me, non dovrei allora forse e<strong>vita</strong>re di<br />

tenere le due mani aperte sul suo sedere rotondo? Non ho il tempo<br />

di provare a rispondere che l’ho già afferrata, le ho abbassato<br />

con due mani i pantaloni che le stavano strettissimi, le avrò<br />

anche rotto un bottone, credo, poi l’ho messa giù <strong>da</strong>vanti a me. Me<br />

<strong>la</strong> sono presa con il suo culo; non ho fatto altro che seguire le<br />

linee del suo tatuaggio tribale che aveva proprio nel<strong>la</strong> parte<br />

bassa del<strong>la</strong> schiena e che puntavano una freccia esattamente verso<br />

il suo sedere dove ho sfogato finalmente tutta <strong>la</strong> mia paura, <strong>la</strong><br />

mia rabbia, il mio schifo. Mi ha fermato e mi ha detto qualcosa,<br />

che non voleva <strong>da</strong> dietro e mi sono arrestato. Ho preso un’altra<br />

linea piccolissima, strisciandoglie<strong>la</strong> sull’ombelico, leccando<br />

quello che le rimaneva sul<strong>la</strong> pelle umi<strong>da</strong>. E poi più giù. E lei<br />

bisbigliava qualcosa che già non aveva più senso, sono risalito,<br />

fino a baciarle le <strong>la</strong>bbra dure. Mi ha preso il membro e me l’ha<br />

infi<strong>la</strong>to dentro di sé. Sono stato dentro di lei con <strong>la</strong> pienezza,<br />

l’eleganza e <strong>la</strong> percussione incalzante di un’orchestra sinfonica.<br />

Ci siamo fatti musica, e non riconoscevo più l’uno <strong>da</strong>ll’altro il<br />

suono del<strong>la</strong> sua voce <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia e <strong>da</strong>llo scampanel<strong>la</strong>re degli alberi<br />

delle barche che tintinnano vuoti. Le nostre voci finivano col<br />

fare t<strong>la</strong>ng t<strong>la</strong>ng, c<strong>la</strong>nk, plunf, nel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> coperta del<strong>la</strong> mia<br />

barca, dolce rumore di una scopata.<br />

129


9.<br />

L’anima è fissata al corpo. Nul<strong>la</strong> più che con delle graffette.<br />

Centinaia di punti metallici tengono l’anima ai bordi del corpo,<br />

trasformano gli stimoli del mondo esterno in sensazioni, talvolta<br />

in pensieri. L’anima soggiorna instancabile subito dietro le<br />

pupille, abita il colore nero degli occhi, si dirama nei<br />

centimetri morbidi del<strong>la</strong> pelle, corre sul<strong>la</strong> punta delle dita,<br />

nell’umidità del<strong>la</strong> lingua. Da lì costantemente trasforma il mondo<br />

esterno in percezione, mette in comunicazione il soggetto e gli<br />

oggetti che gli stanno intorno.<br />

Le droghe fanno questo, scol<strong>la</strong>no questi punti. Portano via le<br />

spille, staccano ine<strong>vita</strong>bilmente l’anima <strong>da</strong>l corpo, alterano il<br />

rapporto immediato che intercorre tra uno stimolo e <strong>la</strong> sua<br />

percezione.<br />

Mi è successo questo. Ho infi<strong>la</strong>to tre righe e mezzo, fumato una<br />

roba potentissima al limite dell’allucinogeno che conservo in<br />

barca, e, di colpo, ho sentito <strong>la</strong> mia anima venir giù, abbandonare<br />

il suo involucro, ridotto a sarcofago, sprofon<strong>da</strong>re rumorosamente<br />

in un abisso, un fracasso di legno e mattoni, uguale ad un<br />

edificio sbricio<strong>la</strong>to <strong>da</strong> un sisma.<br />

Ho avvertito ogni punto del mio corpo <strong>da</strong> cui l’anima stava<br />

scappando. Prima sono venute via le graffette vicino alle<br />

orecchie: d’improvviso ogni rumore mi arrivava come sott’acqua,<br />

giacevo immerso in un mare buio, senza nessuna forma vivente<br />

intorno. L’unico suono che potevo ancora sentire era l’eco del<br />

velo del<strong>la</strong> mia anima che scivo<strong>la</strong>va sul fondo di quest’acqua<br />

torbi<strong>da</strong>. Flush flush, e neanche un pesce pigro che si avvicinasse<br />

a guar<strong>da</strong>re. Come una radio che smette di trasmettere. Non sentivo<br />

più nul<strong>la</strong>. Appena bzz in una delle due orecchie.<br />

Poi è venuta via <strong>la</strong> voce. Non potevo più par<strong>la</strong>re, non sapevo più<br />

riconoscere il significato delle parole che mi saltel<strong>la</strong>vano come<br />

mucchi informi di lettere tra le <strong>la</strong>bbra serrate. Non che fossi<br />

muto, non che avessi perso <strong>la</strong> lingua, semplicemente facevo<br />

frul<strong>la</strong>to di suoni. Ogni paro<strong>la</strong> si amplificava nell’anima che ormai<br />

precipitava, ogni cosa che avrei voluto dire evocava un romanzo,<br />

un viaggio, un secolo di <strong>storia</strong>, ed io lì in mezzo, che avrei<br />

voluto spiegare tutto questo, senza esserne capace. Io potevo solo<br />

an<strong>da</strong>re giù.<br />

Inabissandosi, ogni percezione si mesco<strong>la</strong>va alle altre. Giù, con<br />

l’inerzia silente con cui i rottami di un aereo appena esploso nel<br />

cielo toccano terra privi di <strong>vita</strong>. La cosa peggiore <strong>da</strong> fare in<br />

quei momenti è cercare di ritrovare il significato originale di<br />

quelle tracce sparse. Mettersi a ricostruire <strong>la</strong> carlinga<br />

dell’anima, ri<strong>da</strong>re ad ogni cosa il proprio posto come filologi<br />

dell’essere. Invece proprio nul<strong>la</strong> ha più il senso che aveva prima.<br />

Nessun filo ripercorso all’indietro porta al punto di partenza.<br />

A quel punto, di più vale assecon<strong>da</strong>re l’alterazione dei propri<br />

sensi, divertirsi di allucinazioni. Mi sono voltato allora verso<br />

di lei, faceva così caldo che ho visto <strong>la</strong> sua pelle diventare<br />

sabbia, seccarsi ruvi<strong>da</strong>. Il suo braccio addormentato ha poi preso<br />

a su<strong>da</strong>re, mentre io ridevo. Tutto il suo corpo si è fatto umido, e<br />

<strong>13</strong>0


in un secondo è diventato per<strong>la</strong>. L’ho vista chiaramente mentre si<br />

faceva liquido, il suo corpo intero su<strong>da</strong>va tanto che si è<br />

decomposto come un secchio d’acqua appena rovesciato. E’ scomparsa<br />

sotto i miei occhi alterati con il rumore di una cascata. E ho<br />

continuato a ridere, mentre <strong>la</strong> mia anima svaniva sempre più in<br />

basso, continuando a scol<strong>la</strong>rsi <strong>da</strong>l mio corpo.<br />

Da lì ho perso in breve sequenza gli occhi, che orbitavano<br />

sbilenchi intorno a qualsiasi punto fisso, le mani, sopite e<br />

gonfie. L’anima si è fatta tanto picco<strong>la</strong> che ormai era lontana <strong>da</strong>l<br />

confine del corpo, introvabile per chi si fosse messo a cercar<strong>la</strong>.<br />

Trasformata in un piccolo sorridente semino di me<strong>la</strong>.<br />

Sono stato a lungo sul fondo del mio corpo, ridotto a nul<strong>la</strong> più<br />

che quel piccolo seme, giacendo inerme come un corpo caduto,<br />

accanto a lei che già dormiva.<br />

Poi mi è mancato il respiro, e ho avuto voglia di tornare in<br />

superficie, ma ancora non era tempo.<br />

Mi sono concentrato sul rumore del mare ed allora un piccolo<br />

guscio di noce mi è venuto a salvare, non so <strong>da</strong> dove fosse entrato<br />

ma ho sentito con dolore che mi attraversava il corpo, fino ad<br />

avvicinarsi p<strong>la</strong>cido al punto dov’era precipitato il mio piccolo<br />

io. Il guscio ha imbarcato il seme del<strong>la</strong> mia anima e lo ha<br />

traghettato, navigando sonnolento fino ad esser fuori <strong>da</strong> quel mare<br />

tossico. Con un altro sorriso mi sono addormentato.<br />

<strong>13</strong>1


10.<br />

Abbiamo dormito, credo. Guardo l’orologio, le due meno venti. Due<br />

ore di sonno mi hanno quasi rimesso in sesto.<br />

Laura ed io stiamo intrecciati sul materasso del<strong>la</strong> cameretta del<strong>la</strong><br />

stiva, potremmo quasi sembrare due innamorati felici alle prime<br />

armi. Mi guar<strong>da</strong> con gli occhi grandi, forse appena troppo vicini<br />

tra loro.<br />

“Come stai?”<br />

Sorrido. E con l’indice del<strong>la</strong> mano destra <strong>la</strong> scopro <strong>da</strong>lle<br />

lenzuo<strong>la</strong>, passeggiando piano sul<strong>la</strong> sua pelle.<br />

“Quando hai iniziato a fare questo?”<br />

Non dovrei rispondere, un altro segreto di un buon negozio sta<br />

nel<strong>la</strong> riservatezza, ma tanto ho deciso di smettere. Forse.<br />

“Due, tre anni, non ricordo!”<br />

“Perché? Ulisse, posso chiederti perché? Tu non sei un criminale,<br />

né un disperato, né niente di ciò! Nessuno ti ha costretto! Hai un<br />

<strong>la</strong>voro, di più! Hai un’azien<strong>da</strong> tua, del<strong>la</strong> tua famiglia; hai<br />

macchina, moto, pure una barca, hai degli amici, se non ricordo<br />

male hai anche una fi<strong>da</strong>nzata. Perché?” e suppongo che mi stia<br />

guar<strong>da</strong>ndo, dietro le mani che si strofina sugli occhi.<br />

“Non ce l’hai una doman<strong>da</strong> più facile?”<br />

“Non capisco <strong>da</strong>vvero...”<br />

“Adesso non lo so perché lo faccio... Forse <strong>la</strong> doman<strong>da</strong> è: perché<br />

no?”<br />

“Prima non prendevi nul<strong>la</strong>, fumavi soltanto! Guar<strong>da</strong> come sei messo<br />

adesso!” devo essere proprio messo male, lo so. Però c’è una<br />

spiegazione e provo a <strong>da</strong>rglie<strong>la</strong>.<br />

“Guar<strong>da</strong> che oggi è... come dire, un giorno speciale. E comunque<br />

con questa ho iniziato <strong>da</strong> poco” indico <strong>la</strong> bustina bianca sul<br />

tavolo “prima mi prendeva male, mi faceva diventare violento,<br />

adesso mi rasserena, mi dà allegria, riduce le paure, mi dà<br />

l’impressione e <strong>la</strong> voglia di far tutto, e tutto bene. E comunque<br />

ho esagerato solo oggi, stamattina... non so perché, di solito non<br />

faccio così! Ma questi sono fatti miei...” e tiro su con il naso.<br />

“Che vuol dire che adesso non lo sai perché lo fai? C’è stato un<br />

momento in cui lo sapevi?”<br />

Sembra un’intervista dossier di un telegiornale, questa; le sue<br />

domande oggi sono <strong>da</strong>vvero strane. La sensazione che mi stia<br />

nascondendo qualcosa è sempre più forte.<br />

“So perché ho iniziato! Allora c’era un perché! Ora penso che ci<br />

sono dentro solo per inerzia! Non posso più uscirne.”<br />

“Qual era il perché, Ulisse? Qual era il tuo perché?”<br />

“Non puoi capire, non puoi capire, nessuno può capire...”<br />

“Se non provi a spiegarlo è <strong>da</strong>vvero difficile, ti assicuro!” dice<br />

sorridendo.<br />

“E va bene! Lo vuoi sapere? Lo vuoi <strong>da</strong>vvero sapere? E’ così<br />

importante che tu sappia perché faccio questo? Vuoi una risposta<br />

sincera? Io l’ho fatto per i soldi. L’ho fatto solo per i soldi.<br />

Per lo schifo che mi <strong>da</strong>nno i soldi!”<br />

“Che vuol dire? Come puoi dire questo con tutto quello che hai?”<br />

<strong>13</strong>2


“Appunto, ecco perché lo dico! Ho iniziato a <strong>la</strong>vorare nel<strong>la</strong> ditta<br />

di mio padre, con gli operai che prendevano un milione e sei per<br />

spaccarsi <strong>la</strong> schiena dodici ore al giorno. Li accompagnavo con le<br />

mie camicie sempre pulite, divise per cassetti, uno per quelle a<br />

quadretti, uno per quelle a righe, uno per quelle a tinta unita. E<br />

salivo con il mio nobile culo sui loro camion. Ho conosciuto <strong>la</strong><br />

miseria delle loro vite, ho visto gente che dimostrava<br />

sessant’anni festeggiare il proprio trentacinquesimo compleanno.<br />

Ho visto miei coetanei mettere al mondo dei marmocchi <strong>da</strong> mogli che<br />

già odiavano ma non potevano togliersi di dosso! La <strong>vita</strong>... <strong>la</strong><br />

loro <strong>vita</strong> vale un merdoso milione e sei delle casse di mio<br />

padre...”<br />

“E questo ti ha portato a fare lo spacciatore? Bel<strong>la</strong> reazione, non<br />

c’è che dire!”<br />

“So che è difficile <strong>da</strong> capire, ma invece ho iniziato per quello,<br />

non lo so perché: io stesso non ci arrivo, non lo so qual è<br />

l’anello che mi ha portato <strong>da</strong> una cosa all’altra. E’ an<strong>da</strong>ta così:<br />

ho gua<strong>da</strong>gnato un milione e sei steccando il primo panetto. La<br />

coincidenza di gua<strong>da</strong>gnare un milione e sei semplicemente<br />

trasportando un pezzo di una sostanza illegale in uno zaino,<br />

sfi<strong>da</strong>ndo <strong>la</strong> sorte, i luoghi comuni, i posti di blocco, ché<br />

difficilmente mi fermano, perché ho una faccia troppo pulita: è<br />

stato questo. Mi sentivo un supereroe, pensavo di an<strong>da</strong>re contro il<br />

sistema, ero un anarchico, ero più furbo, dimostravo che nel mondo<br />

c’è anche un altro modo per mettere in tasca un milione e sei,<br />

senza scendere a patti con nessuno. Mi sentivo di riscattare con<br />

il mio <strong>la</strong>voro veloce e indolore tutti quegli operai invecchiati<br />

sui camion di mio padre. Riesci a capirmi?”<br />

“No, proprio no!” scuote <strong>la</strong> testa e guar<strong>da</strong> l’orologio.<br />

“Non penso sia giusto quello che faccio, non l’ho pensato mai,<br />

neanche una volta. Ma non ho mai fatto morire nessuno, io! E’ <strong>da</strong><br />

poco che ho questa. Prima ho sempre e solo preso il fumo per gli<br />

amici. Mi fanno schifo i soldi, mi fa schifo l’idea di <strong>la</strong>vorare<br />

per gua<strong>da</strong>gnare uno stipendio che metà già è <strong>da</strong>ta ai creditori<br />

prima di passare <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia tasca, mi fa schifo questo sistema.<br />

An<strong>da</strong>re contro le sue regole, è il mio modo di oppormi. Ho <strong>la</strong><br />

stra<strong>da</strong> spianata, è vero. L’azien<strong>da</strong> di mio padre, tre amici su una<br />

navicel<strong>la</strong> spaziale, una <strong>la</strong>urea, una bel<strong>la</strong> macchina, tre cassetti<br />

di camicie, una fi<strong>da</strong>nzata, una barca e quello che vuoi, ma non mi<br />

basta. Mi sta stretto!”<br />

“Sei una gran testa di cazzo, prova a par<strong>la</strong>re così ad uno dei tuoi<br />

operai sessantenni, vedrai che ti dice!”<br />

Questo non è giusto che lei me lo dica. Chi diavolo crede di<br />

essere?<br />

“Non devi dirmi questo, in fin dei conti anche tu sfrutti il mio<br />

<strong>la</strong>voro!”<br />

“Già”<br />

“E poi, ormai non posso tirarmi indietro. Sto con loro. Sono uno<br />

di loro. So troppe cose. La corrente di questo fiume è troppo<br />

forte per tirarsi a riva...”<br />

“Non per nuotare contro corrente, però! No?”<br />

<strong>13</strong>3


All’improvviso tra di noi scende il silenzio. Capisco tutto in un<br />

secondo. Le sue domande, il suo messaggio, il suo comportamento,<br />

il pentimento e <strong>la</strong> voglia di capire. Mi si ge<strong>la</strong> il sangue, gli<br />

occhi al<strong>la</strong>gati <strong>da</strong> un mare d’angoscia.<br />

“Tu che ne sai?” provo a chiedere.<br />

“Vedi, ti ho detto che non ti capivo, ti ho chiesto una<br />

spiegazione, perché <strong>da</strong>vvero volevo arrivarci!”<br />

“Di che parli?” inizio ad incalzar<strong>la</strong>, mi metto di fronte a lei.<br />

“Tu hai tutto, eppure! Ti stai spingendo più in là. Non ci<br />

metterai molto a finire come me, o come Giovanni...”<br />

“Di che cazzo parli? Non capisco...” <strong>la</strong> prendo per il collo, ma<br />

lei mi strattona e si libera. Inizia ad ur<strong>la</strong>re:<br />

“Non capisci? Non capisci? Non lo sai ancora cosa si prova quando<br />

ne hai bisogno e faresti qualunque cosa per aver<strong>la</strong>? Non lo sai,<br />

vero? Non lo capisci, vero? Non lo capisci?”<br />

“Calmati adesso, Laura, ti prego!” anche Kaos inizia ad abbaiare<br />

sul<strong>la</strong> banchina, qui succede un casino se questa non abbassa <strong>la</strong><br />

voce.<br />

“Io... io non volevo, io non volevo. Ma capisci, ne avevo bisogno.<br />

Non ho più un cazzo di <strong>la</strong>voro, io. Non ho più soldi. Ho dovuto<br />

farlo. Ho dovuto. Ti prego, perdonami, non volevo.” Si rimette<br />

seduta e tranquil<strong>la</strong>, ed inizia a piangere.<br />

“Di che cazzo parli, Laura?” ho bisogno di sentirmelo dire <strong>da</strong> lei,<br />

non posso crederlo.<br />

“Perdonami <strong>da</strong>vvero!”<br />

“Di che stai par<strong>la</strong>ndo Laura? Per l’amor del cielo smetti<strong>la</strong> di<br />

piangere!” sto per farlo anch’io.<br />

“Polifemo, è lui che mi ha man<strong>da</strong>ta qui!”<br />

“Co-cosa?” quel nome, ancora quel <strong>da</strong>nnato nome. Il mio primo<br />

pensiero va ancora una volta, a quel bastardo di Omero, che molti<br />

secoli fa, così come Eratostene e Aristarco, aveva già capito<br />

tutto. Ulisse e Polifemo, presto uno contro l’altro, un sequel<br />

dell’Odissea, una di quelle “Part Two” tanto care ad Hollywood.<br />

“Ero disperata! Avevo bisogno di soldi e lui lo sapeva, mi ha<br />

chiesto di chiamarti per sapere dov’eri! Ti raggiungerà tra poco!<br />

Hai ragione tu... Non è giusto quello che fai! Non è giusto<br />

neanche un po’! Non è giusto che io abbia dovuto farti questo! Ed<br />

ormai è troppo tardi per tirarsi indietro! Sono meno un quarto,<br />

tra un quarto d’ora sarà qui!”<br />

Non sto neanche più ad ascoltar<strong>la</strong>, non ha più senso nul<strong>la</strong>, ora<br />

devo solo scappare. Ora devo solo nascondermi. Prendo una sacca<br />

che mio padre usa per <strong>la</strong> pesca, svuoto ogni cosa per terra, ed<br />

inizio a metterci i sacchetti di roba. Devo nascondermi. Devo<br />

nascondermi. Fortuna che ho il coltello con me. Ho paura, ancora<br />

una volta oggi ho paura. Non posso biasimar<strong>la</strong> Laura, non ci<br />

riesco. Sono io il fesso, sono io che ci sono cascato, forse<br />

questo suo pentimento dell’ultimo quarto d’ora può servire a<br />

mettermi in salvo.<br />

“Quello che volevo <strong>da</strong>rti di cui par<strong>la</strong>vo nel messaggio era questo”<br />

mi dice lei. E mi bacia. Le asciugo le <strong>la</strong>crime, devo ammetterlo,<br />

bacia <strong>da</strong>vvero benissimo:<br />

<strong>13</strong>4


“Non ce l’ho con te, curati, bambina! Siamo ancora in tempo per<br />

non buttarci via!”<br />

“Buona fortuna Ulisse!”<br />

“Ne ho bisogno, <strong>da</strong>vvero! Tirati dietro <strong>la</strong> porta del<strong>la</strong> cabina<br />

quando vai via...”<br />

Esco <strong>da</strong>l<strong>la</strong> barca, vicino all’ormeggio Kaos mi guar<strong>da</strong> e scodinzo<strong>la</strong>.<br />

Che ci trovi di bello tu in questa <strong>vita</strong>, amico mio?<br />

<strong>13</strong>5


11.<br />

Ho una cantina, una picco<strong>la</strong> cantino<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> Città Vecchia, questo<br />

non lo sanno neanche i miei tre amici. Ho una boto<strong>la</strong> nel<strong>la</strong><br />

navicel<strong>la</strong> che gli altri astronauti non hanno mai conosciuto, dove<br />

ho portato le donne più luminose, a scal<strong>da</strong>rmi <strong>la</strong> <strong>vita</strong> per qualche<br />

quarto d’ora. E’ un locale voltato a botte, umido, come si<br />

conviene ad una cantina. C’è dentro un materasso con delle<br />

coperte, un frigo e un <strong>la</strong>vandino. E’ più simile ad una cel<strong>la</strong> e mi<br />

intristisce pensare a quante volte ci sono venuto a fare sesso,<br />

quando proprio non mi an<strong>da</strong>va di farlo in auto. Tengo <strong>la</strong> chiave<br />

del<strong>la</strong> cantina sempre legata insieme alle altre. Non ci venivo <strong>da</strong><br />

due anni quasi. Però oggi poteva essere <strong>la</strong> mia salvezza. Se solo<br />

fossi riuscito ad arrivare al<strong>la</strong> cantina prima che mi trovassero<br />

loro. Se solo fossi riuscito a <strong>la</strong>sciare <strong>la</strong> sacca prima che mi<br />

prendessero, avrei avuto una merce di scambio per trattare con<br />

Polifemo <strong>la</strong> mia possibilità di tirarmene fuori. Ho parcheggiato di<br />

fronte al monastero di Santa Sco<strong>la</strong>stica, e sono venuto su per <strong>la</strong><br />

muraglia, mi hanno beccato proprio quando già vedevo <strong>la</strong> porta<br />

d’ingresso del<strong>la</strong> cantina. Mi hanno preso cinquanta metri prima di<br />

essere in salvo. Non sapevo chi fossero, né dove mi stessero<br />

portando, sapevo solo che ci avrei trovato lui, una volta arrivati<br />

a destinazione.<br />

Due tipi mi stavano aspettando sul<strong>la</strong> muraglia e mi hanno afferrato<br />

<strong>da</strong>lle braccia, ordinandomi di seguirli. Penso che i ragazzi di<br />

Polifemo mi abbiano seguito <strong>da</strong>l CUS, mi avranno scortato a<br />

distanza per tutto il Lungomare, poi quando ho parcheggiato, sarà<br />

bastata una telefonata per trovare due “ma<strong>la</strong>mente” qualsiasi che<br />

si appol<strong>la</strong>iassero con il retino pronto per catturarmi. Il<br />

coltello me l’hanno tolto subito, <strong>la</strong> mia arma segreta è finita già<br />

nelle loro mani. Questi sono talmente svelti che non ti accorgi di<br />

nul<strong>la</strong>: uno di loro che mi sta riempiendo di paro<strong>la</strong>cce e puzza<br />

terribilmente di birra e di aglio, me l’ha sfi<strong>la</strong>to in un secondo<br />

<strong>da</strong>l<strong>la</strong> tasca interna del<strong>la</strong> giacca. L’altro ha i capelli rossi, non<br />

mi sono mai piaciuti quelli con i capelli rossi. Ha i capelli<br />

rossi e sta zitto, ma glielo leggo negli occhi arrugginiti quanta<br />

voglia ha di farmi saltare i denti!<br />

Non provo a reagire, né a gri<strong>da</strong>re, né a scappare. Paradossalmente<br />

ho meno paura adesso che in barca, ora mi sembra tutto così<br />

banale, così ine<strong>vita</strong>bile, che quasi non vedo l’ora che finisca.<br />

Non pensavo di essere così freddo e degno in un momento del<br />

genere.<br />

Mi hanno portato su un terrazzo. Duecento metri più in là di Santa<br />

Sco<strong>la</strong>stica. Riesco a vedere <strong>la</strong> mia auto. Riesco a vedere il tetto<br />

del Monastero, che ospitava <strong>la</strong> prima Facoltà di Architettura fino<br />

al 96, dove ci arrampicavamo quando an<strong>da</strong>vo a trovare Fantasma, e<br />

facevamo Cicileo, e lui chiamava quello il posto più bello di<br />

Bari. Il tetto di Bari. Non avevamo sogni allora, non volevamo<br />

altro se non che quello che stavamo vivendo continuasse, che quei<br />

momenti non finissero mai... Quando sono finiti? Quando siamo<br />

diventati questo? Dove sei amico mio? Dove diavolo sei, perché tu<br />

non sei uno di quei fottuti supereroi che ti piacciono tanto e non<br />

<strong>13</strong>6


atterri su questo tetto per salvarmi <strong>da</strong> questi che mi<br />

ammazzeranno?<br />

Il primo calcio l’ho avuto <strong>da</strong> dietro, mentre uno di loro mi teneva<br />

schiacciato il muso contro un muretto sul terrazzo. Ho sentito<br />

l’odore del mare arrivarmi vicino quando <strong>la</strong> guancia mi si è<br />

sbucciata contro il muro male intonacato, poi un dolore acuto<br />

vicino al culo. Sono caduto come un fuci<strong>la</strong>to, come un pugile al<br />

tappeto. E ho visto con <strong>la</strong> co<strong>da</strong> dell’occhio il Rosso luci<strong>da</strong>rsi <strong>la</strong><br />

punta del<strong>la</strong> scarpa con cui mi aveva calciato. Mi hanno rialzato e<br />

sputato in faccia, perché sono un bastardo, un traditore. Mi hanno<br />

riempito di schiaffi.<br />

Sono più umilianti, gli schiaffi. Fanno più male dei pugni.<br />

Quello che puzzava mi teneva fermo, e continuava a sbraitarmi<br />

nelle orecchie, e mi riempiva il cervello del suo fiato stantio,<br />

mentre l’altro mi <strong>da</strong>va calci nello stomaco. Ho provato ad indurire<br />

gli addominali, ma poi mi ha colpito al<strong>la</strong> bocca dello stomaco con<br />

un calcio <strong>da</strong> dietro, una mossa al<strong>la</strong> Bruce Lee: lì credo di essere<br />

svenuto. L’ultima cosa che ricordo è lo sguardo del Rosso. Il suo<br />

sorriso. Non mi sono mai piaciuti i rossi.<br />

<strong>13</strong>7


12.<br />

Quando ho riaperto gli occhi, avevo <strong>da</strong>vanti Polifemo. Ho iniziato<br />

subito a par<strong>la</strong>re, meravigliandomi che non mi avessero colpito<br />

sul<strong>la</strong> bocca. Avevo ancora tutti i denti.<br />

“Polifemo, io volevo solo par<strong>la</strong>rti! Non c’è bisogno che tu mi<br />

faccia questo!”<br />

“Lurido pezzo di mer<strong>da</strong>, eh? Non c’è bisogno, no? Tu sparisci con<br />

centomi<strong>la</strong> euro di roba e non c’è bisogno, no? Mi volevi par<strong>la</strong>re, è<br />

vero? E allora questo che cosa ce l’avevi a fare addosso?” in una<br />

mossa so<strong>la</strong> mi ha già puntato il mio stesso coltello al<strong>la</strong> go<strong>la</strong>. Sto<br />

per morire, mi infilzerà come un pollo ed io morirò su questo<br />

terrazzo. Tento di girare il collo, per guar<strong>da</strong>re il mio mare<br />

un’ultima volta: tutto quello che riescono ad abbracciare i miei<br />

occhi è <strong>la</strong> sagoma di Punta Perotti ed un traghetto del<strong>la</strong> Ventouris<br />

Ferries che avanza lento, una di quelle bagnarole che ci hanno<br />

portato in Grecia per tante estati. Che panorama di mer<strong>da</strong> per<br />

morire!<br />

Il coltello mi schiaccia il pomo d’A<strong>da</strong>mo. Non so se sto<br />

sanguinando, certamente sto su<strong>da</strong>ndo, e sento le gambe calde e<br />

bagnate.<br />

“Si è pisciato sotto! Guar<strong>da</strong>! Si è pisciato sotto!” ur<strong>la</strong> Tonio<br />

Spezzacatene, quello che è arrivato insieme a Polifemo.<br />

Spezzacatene mi colpisce sul<strong>la</strong> testa con qualcosa di duro, forse<br />

il calcio di una pisto<strong>la</strong>.<br />

Polifemo lo ferma.<br />

“Statt ferm, chessa storj ge <strong>la</strong> ma vde ji e jid. Tu non gintr<br />

nudd! Mò sciatavinn <strong>da</strong> dò! Sciatavinn! 19 ” e mi toglie il coltello<br />

<strong>da</strong>l<strong>la</strong> go<strong>la</strong>, agitandolo contro Spezzacatene.<br />

“Polifem!” obietta uno di loro.<br />

“Sciatavinn!” ur<strong>la</strong> ancora. Gli altri vanno via sbattendo le ali,<br />

proprio come i gabbiani messi in fuga <strong>da</strong> Kaos.<br />

Quando siamo soli, ricomincia a par<strong>la</strong>re in italiano.<br />

“Non ti pensare che io sono ignorante, non mi fare stupido a me.”<br />

Prende un accendino <strong>da</strong> una tasca ed inizia a riscal<strong>da</strong>re <strong>la</strong> <strong>la</strong>ma<br />

del coltello.<br />

“A me questa <strong>storia</strong> me l’hanno raccontata, Polifemo e Ulisse, lo<br />

vedi?” mi indica il coltello e l’accendino “Io lo so com’è an<strong>da</strong>ta<br />

a finire quel<strong>la</strong> volta...”<br />

Continua a rigirare <strong>la</strong> <strong>la</strong>ma, come fosse una bistecca <strong>da</strong> cuocere a<br />

puntino.<br />

“Ingegnere, di tutta questa ban<strong>da</strong> di chiaconi, non ce n’è uno che<br />

valeva metà del<strong>la</strong> decima parte del cervello tuo, ingegnere...”<br />

“Polifemo, io volevo solo farti capire che mi stavi pagando poco!<br />

Che i rischi stavano aumentando, ma i soldi no!”<br />

“I soldi?” butta a terra l’accendino e si mette a ur<strong>la</strong>re in<br />

dialetto “L trris, l trris, e c so stat, maj nu problem l trris p<br />

nu? 20 ” mi riavvicina il coltello al<strong>la</strong> go<strong>la</strong>, sento il calore del<strong>la</strong><br />

19 Stai fermo, questa <strong>storia</strong> ce <strong>la</strong> dobbiamo vedere io e lui. Tu non c’entri nul<strong>la</strong>! Adesso an<strong>da</strong>tevene <strong>da</strong> qui! An<strong>da</strong>tevene!<br />

20 I soldi, i soldi, e sono stati mai un problema i soldi per noi?<br />

<strong>13</strong>8


<strong>la</strong>ma venire sempre più vicino, indietreggio con il collo, fino a<br />

toccare contro il muro del terrazzo.<br />

“Io ti volevo bene come a un fratello, Ingegnere! Tu hai sempre<br />

<strong>la</strong>vorato per me e questo non me lo dovevi fare!”<br />

“Lo so, Polifemo, lo so, ti chiedo scusa! Ho sbagliato, lo so!<br />

Stavo pieno di roba! Mi sembrava tutto facile, giusto!”<br />

“E mò, Nggnir, mò com a ma fa? 21 Tu non mi hai <strong>da</strong>to scelta! Io sono<br />

Polifemo, uagliò! Questo dovevi tenerlo a mente prima! Mò è tardi!<br />

Ji d vlev bbun com a nu frat, m dspiasc assa! 22 ” tira indietro il<br />

braccio per vibrare il colpo, vedo <strong>la</strong> sua spal<strong>la</strong> indietreggiare,<br />

mi colpirà al ventre, o peggio, proprio in mezzo alle gambe. Gli<br />

ultimi secondi di <strong>vita</strong> hanno il sapore di metallo. Un forte sapore<br />

di metallo sotto <strong>la</strong> lingua.<br />

Swish. Mi ha tagliato <strong>la</strong> camicia, mi ha solo preso di striscio su<br />

un fianco. Il coltello si è infi<strong>la</strong>to tra i conci di tufo,<br />

infilzando <strong>la</strong> mia preziosa camicia a quadretti, sembro <strong>da</strong>vvero <strong>la</strong><br />

donna che fa <strong>da</strong> bersaglio al <strong>la</strong>nciatore di coltelli.<br />

“Perché?” domando quasi senza voce respirando due o tre volte tra<br />

una paro<strong>la</strong> e l’altra “Perché non <strong>la</strong> fai finita? Perché vuoi<br />

prenderti anche <strong>la</strong> mia paura?”<br />

Polifemo scuote <strong>la</strong> testa, mi guar<strong>da</strong>, non c’è traccia dei suoi<br />

crimini in quello sguardo. C’è solo delusione perché l’ho tradito.<br />

Questo <strong>da</strong>vvero non me l’aspettavo.<br />

“Nggnir tu si nu brav uagnon, allj <strong>da</strong> <strong>la</strong> cap sti pnzir, pinz a<br />

camba, ca tu si frtnat! 23 ”<br />

La compassione mi salverà <strong>la</strong> <strong>vita</strong>, forse. Polifemo si appoggia al<br />

muretto, scuote <strong>la</strong> testa, sta pensando se ammazzarmi o meno, ne<br />

sono sicuro. Vorrei <strong>da</strong>rgli una ragione per non farlo, vorrei<br />

trovarne almeno una, ma non ci riesco, penso proprio di non<br />

meritarmi <strong>la</strong> sua grazia. E probabilmente ci arriva anche lui, a<br />

questa conclusione.<br />

Si rigira verso di me, mi si <strong>la</strong>ncia contro. Tira fuori il coltello<br />

<strong>da</strong>l muro, mi afferra <strong>la</strong> testa <strong>da</strong> dietro, solleva il coltello per<br />

piantarmelo dritto nell’occhio, com’era scritto che fosse. Mi<br />

guar<strong>da</strong> e trema, trema forse più lui di me. Vorrei tenere aperti<br />

gli occhi, ma non ne ho <strong>la</strong> forza, come un cane che riconosce<br />

l’autorità del suo capobranco, chiudo gli occhi, in attesa del<br />

colpo. Il coltello scende su di me.<br />

Un secondo dopo sono a terra, in una pozza di sangue. Polifemo<br />

ur<strong>la</strong>:<br />

“Mò vattinn, chin d merd... jalzt, ja... 24 ” mi riprende a <strong>da</strong>r calci<br />

“Vattinn prim che cangc pnzir! Pigghjt stu cazz d crtidd e<br />

vattinn! 25 ” i suoi calci sono talmente forti che mi risollevano <strong>da</strong><br />

terra. Ma che diavolo? Mi rendo conto solo adesso che non mi ha<br />

colpito con il coltello. Mi ha rotto il naso. Mi ha distrutto il<br />

21 E adesso Ingegnere, adesso come facciamo?<br />

22 Io ti volevo bene come ad un fratello, mi dispiace molto!<br />

23 Ingegnere tu sei un bravo ragazzo, togliti <strong>da</strong>l<strong>la</strong> testa questi pensieri, pensa a campare, che tu sei fortunato!<br />

24 Adesso vattene, pieno di mer<strong>da</strong>, alzati, alzati...<br />

25 Vattene prima che cambi idea! Prenditi questo cazzo di coltello e vattene.<br />

<strong>13</strong>9


naso e mi ha risparmiato. Perdo sangue come un rubinetto, ma sono<br />

ancora vivo. Mi ha risparmiato. Mi ha <strong>da</strong>to una testata. Mi sollevo<br />

e lo vedo ancora tremare.<br />

“Vattiiiiinn!” mi ur<strong>la</strong> ed estrae una pisto<strong>la</strong> <strong>da</strong>i pantaloni<br />

“Vattinn, d sparc, d sparc! 26 ”<br />

Tremo, perdo sangue, credo di stare piangendo addirittura, mi<br />

chino per raccogliere il coltello, vedo <strong>la</strong> porta del torrino delle<br />

scale, <strong>la</strong> via di fuga che lui mi indica con <strong>la</strong> pisto<strong>la</strong> in mano, mi<br />

avvicino, senza mai smettere di guar<strong>da</strong>re Polifemo.<br />

“Grazie” gli posso solo dire “grazie!”, poi sono giù per le scale<br />

tre gradini al<strong>la</strong> volta.<br />

26 Vattene, ti sparo, ti sparo!<br />

140


<strong>13</strong>.<br />

Sono corso a casa, sperando di non trovarci nessuno. Non voglio<br />

che mi ve<strong>da</strong>no così. La casa era vuota, conge<strong>la</strong>ta e silenziosa,<br />

sembrava fosse rimasta senza parole nel vedermi così ridotto. Sono<br />

passato solo per cambiarmi prima di an<strong>da</strong>rmi a fare le radiografie.<br />

Il naso mi fa un male cane. Ho preso del ghiaccio, degli stracci<br />

per tamponare il sangue che continua ad uscirmi, ho buttato le<br />

robe in <strong>la</strong>vatrice, mangiato un boccone di una sbobba cinese<br />

avanzata in una vaschetta e bevuto una mezza birra. Sono an<strong>da</strong>to in<br />

camera mia, a scegliere i vestiti, sorvo<strong>la</strong>ndo sui cassetti delle<br />

camicie: una tuta mi starà benissimo. Ho poggiato il coltello che<br />

mi stava per ammazzare sul tavolo, affianco al<strong>la</strong> roba. Quando sono<br />

uscito stamattina, <strong>la</strong> polvere l’ho <strong>la</strong>sciata sul tavolo e neanche<br />

me ne sono accorto. Chissà se loro l’hanno vista, chissà che<br />

avranno pensato. La prendo, avrei <strong>da</strong>vvero bisogno di un’altra riga<br />

adesso. Una so<strong>la</strong>. Una so<strong>la</strong> e vado. Ho aperto <strong>la</strong> bustina, preso lo<br />

specchietto. Poi mi sono fermato. Non so perché. Non ne avevo più<br />

voglia.<br />

Sono uscito pensando a cosa dirò all’ospe<strong>da</strong>le, cosa dirò ai miei<br />

amici, al<strong>la</strong> mia ragazza, a mio padre. Cerco di capire a cosa sta<br />

servendo questa giornata in cui neanche il cielo ha capito di che<br />

colore vestirsi, cerco di capire se Polifemo ritornerà in sé, e<br />

verrà ancora a cercarmi, se vorrà finirmi. Almeno, <strong>la</strong> roba è<br />

tornata nelle sue mani, con tanto di sacca <strong>da</strong> velista<br />

professionista: i suoi affari non hanno avuto nessun intoppo, ma<br />

quello che <strong>da</strong>vvero mi preoccupa è che, risparmiandomi, ha mostrato<br />

un’incrinatura <strong>da</strong>vanti ai suoi. Un capo dovrebbe essere freddo,<br />

spietato, vendicativo. Invece loro lo hanno visto concedermi una<br />

via di fuga. Lo hanno visto perdere <strong>la</strong> testa, mostrare debolezza.<br />

Mi ha detto che mi voleva bene come a un fratello. Lo stesso aveva<br />

detto di Vitino. E noi l’abbiamo tradito. Quasi non si capisce chi<br />

sia il malvagio in questa <strong>storia</strong>.<br />

Ma non c’è <strong>da</strong> scherzare: non scherzava con quel<strong>la</strong> pisto<strong>la</strong> in mano,<br />

quando stava per spararmi, voleva spararmi e insieme voleva che me<br />

ne an<strong>da</strong>ssi. Mi voleva sfregiare un occhio, come hanno fatto a lui<br />

tanti anni fa, ma non l’ha fatto. Mi ha detto che sono fortunato,<br />

che devo <strong>la</strong>sciare questa roba e pensare a vivere. Ma a che è<br />

servito che mi abbia <strong>la</strong>sciato vivo, sano? Cosa farò adesso? A cosa<br />

è ser<strong>vita</strong> questa lunga <strong>storia</strong>? Qual è il senso?<br />

Sicuramente è ser<strong>vita</strong> a storcermi il naso, anche se un naso rotto<br />

non deve essere proprio male ora che ci penso guar<strong>da</strong>ndomi allo<br />

specchio, probabilmente questa imperfezione sul mio viso mi<br />

procurerà ancora più avventure luminose, alle donne piacciono i<br />

lineamenti rudi.<br />

E’ ser<strong>vita</strong> a capire che l’Odissea è un libro sempre attuale, che<br />

<strong>la</strong> Ventouris viaggia anche d’inverno, che Berlusconi aveva ragione<br />

quando diceva che Punta Perotti è una mer<strong>da</strong>. Che i Supereroi non<br />

esistono. Che i cattivi non lo sono per forza fino in fondo. E che<br />

gli amici non ci sono mai nel momento del bisogno.<br />

Che ci vuol fare, dottore? C’è <strong>da</strong> stare attenti, sa, dottore? Gli<br />

incidenti domestici sono all’ordine del giorno... uno pensa di<br />

141


farsi una cantata sotto <strong>la</strong> doccia, ed all’improvviso mette un<br />

piede male e si trova a terra con il naso rotto!<br />

142


14.<br />

Per ora devo aspettare. La radiografia evidenzia una comunissima<br />

deviazione del setto nasale. Al momento non c’è nul<strong>la</strong> <strong>da</strong> fare, se<br />

non tenermi il dolore, aspettare qualche giorno, vedere se mi dà<br />

difficoltà a respirare, decidere se operare o meno, e<strong>vita</strong>re colpi,<br />

stare più attento quando faccio <strong>la</strong> doccia, e, chissà, tornare a<br />

radiologia con più calma per control<strong>la</strong>re se al<strong>la</strong> radiologa <strong>da</strong> 52-<br />

53 lux piace fare i giochini con <strong>la</strong> Nutel<strong>la</strong> come piace tanto a me.<br />

Mi hanno messo dei tamponi, farà male toglierli, dicono. Mai come<br />

<strong>la</strong> testata di Polifemo, avrei voluto rispondere. Mi hanno detto di<br />

tenere sempre qualcosa di ghiacciato sul<strong>la</strong> fronte nelle prossime<br />

ore, e mi hanno chiesto se volessi avvisare qualcuno, i miei. Ma<br />

ho detto di no.<br />

Per oggi sono cresciuto abbastanza, non ho voglia di par<strong>la</strong>re con i<br />

miei, con <strong>la</strong> mia fi<strong>da</strong>nzata, ho voglia di fuggire, di fuggire in<br />

grande stile, di fuggire come quando eravamo ragazzini. Cerco il<br />

telefono, ma l’ho <strong>la</strong>sciato di nuovo a casa. Mi frugo nel<strong>la</strong> tasca<br />

al<strong>la</strong> ricerca di qualche spicciolo e faccio una cosa che ho sempre<br />

desiderato fare, man<strong>da</strong>re un sms <strong>da</strong> una cabina.<br />

“Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse, ok?”. Lo invio tre volte.<br />

Chissà se capiranno. Apollo <strong>13</strong>, rispondete!<br />

143


144


Epilogo<br />

145


146


1.<br />

La fabbrica di birra. Il primo segnale di <strong>vita</strong> del<strong>la</strong> nostra città. Dovunque tu sia stato, sei <strong>vera</strong>mente<br />

tornato a Bari, quando vedi l’insegna del<strong>la</strong> fabbrica di birra. Lo sky-line di Bari non esiste, <strong>la</strong> mia<br />

non è una di quelle città che ti inizia a raccontare qualcosa di sé <strong>da</strong> lontano, mentre ti avvicini.<br />

Percorri <strong>la</strong> tangenziale e potresti essere dovunque, dovunque ci siano tre corsie per carreggiata,<br />

dovunque ci sia un numero di cavalcavia in calcestruzzo precompresso che aumenta ogni anno,<br />

dovunque ci siano ulivi intorno a te, dovunque ci siano campetti <strong>da</strong> calcio e ipermercati.<br />

Tutto tace. Nul<strong>la</strong> par<strong>la</strong> di Bari.<br />

La fabbrica di birra, sul bordo del<strong>la</strong> tangenziale, è l’unica che abbia qualcosa <strong>da</strong> dire: con il suo<br />

neon bianco e rosso, l’edificio alto di mattoncini cotti ruba <strong>la</strong> scena pure allo Stadio di Renzo Piano,<br />

il suo vicino di casa. Si fronteggiano come due famiglie capitate per sbaglio sullo stesso<br />

pianerottolo, che nul<strong>la</strong> abbiano a che fare tra loro, di quelle che non si prestano lo zucchero né il<br />

prezzemolo, eppure basta vivere poco tempo <strong>da</strong> queste parti per giungere all’ine<strong>vita</strong>bile conclusione<br />

che <strong>la</strong> fabbrica abbia più motivi per essere lì di quel<strong>la</strong> strana astronave parcheggiata in campagna.<br />

La fabbrica di birra ce <strong>la</strong> iniettano nel sangue già <strong>da</strong> bambini: è lì che portano in gita tutte le scuole<br />

elementari. Il primo viaggio, <strong>la</strong> prima esperienza <strong>da</strong> grande, ogni piccolo barese <strong>la</strong> compie per<br />

vedere dove si fabbrica il nostro marchio doc. E’ significativo che ti ci portino con i tuoi amici, e<br />

che non ci si va<strong>da</strong> con <strong>la</strong> famiglia. Già lì capisci che <strong>la</strong> birra ti terrà compagnia nei momenti più<br />

divertenti del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>. Invece di essere a scuo<strong>la</strong>, con il grembiule bluastro, le mani sporche di gesso,<br />

sempre nel mirino del<strong>la</strong> maestra, almeno per una volta ogni bambino barese è stato nel<strong>la</strong> fabbrica di<br />

birra, con più libidine di Homer Simpson quando è in visita al<strong>la</strong> Duff.<br />

E dopo i giri attorno ai silos, dopo le occhiate aggrovigliate nel seguire i tubi dell’industria, <strong>la</strong> cosa<br />

più bel<strong>la</strong>, <strong>la</strong> <strong>vera</strong> iniziazione è nel rito finale: quando, al<strong>la</strong> fine del giro del malto in 80 minuti, del<br />

viaggio al centro del<strong>la</strong> birra, ad ognuno dei bimbi spetta inalienabile un bicchiere di dorata, fresca,<br />

schiumosa, proibita bevan<strong>da</strong>. Penso sia quello il momento in cui entra nel nostro codice genetico.<br />

Quel<strong>la</strong> birra e non altre.<br />

Ne è piena <strong>la</strong> città vecchia, a tutte le ore. Ne è pieno il molo di Nderr a <strong>la</strong> <strong>la</strong>nz, il tentacolo in cui<br />

Bari si bacia con il mare. La gente che “sbatte <strong>la</strong> birra” sembra faccia solo quello nel<strong>la</strong> propria <strong>vita</strong>,<br />

appunto sbattere <strong>la</strong> birra. Poi magari nel tempo libero c’è chi fa il muratore, chi l’idraulico, chi il<br />

ma<strong>la</strong>mente, chi il disoccupato, ma essenzialmente e primariamente tutti sono sbattitori di birra.<br />

La riconosciamo ad occhi chiusi <strong>da</strong>l peso del vetro, <strong>da</strong>l rumore del tappo aperto, prendiamo con<br />

diffidenza le sue concessioni al design ed al mercato: i cambi del suo profilo, del<strong>la</strong> grafica delle<br />

etichette, il rinnovo del<strong>la</strong> casse, le pubblicità sulle reti nazionali ed il consumo smo<strong>da</strong>to di bottiglie<br />

vuoto a perdere. La <strong>vera</strong> birra barese, infatti, è bottiglia <strong>da</strong> cauzionare, ha il collo bello lungo, non<br />

va d’accordo con i bicchieri, sfiora il limite del<strong>la</strong> temperatura di conge<strong>la</strong>mento e va estratta sempre<br />

<strong>da</strong> una cassa, mai <strong>da</strong> un cartone, un pack <strong>da</strong> tre di quelli che occhieggiano sugli scaffali dei<br />

supermercati. La birra barese è baresità pura, è quanto di più no global riesca a trovare intorno a me.<br />

147


2.<br />

La fabbrica di birra entrò nel<strong>la</strong> nostra <strong>vita</strong> prima ancora che montassimo sull’Apollo <strong>13</strong>. Fu proprio<br />

lì, precisamente alle sue spalle, che nacque Cicileo.<br />

Facevamo il quarto liceo, ed era un giovedì in cui il nostro orario recitava Italiano-Inglese-Biologia<br />

e soprattutto Filosofia-Filosofia, due ore di interrogazione durante le quali <strong>la</strong> tensione era così alta<br />

che Ulisse, come in una sauna, perdeva abitualmente due litri di sudore, mentre Sergio si accaniva<br />

con i tappi delle Bic divorandone uno a settimana, poco importava il colore, tanto al<strong>la</strong> fine ne<br />

rimaneva soltanto una striscia di p<strong>la</strong>stica bianca a cui lui aveva succhiato tutto l’inchiostro.<br />

Quel giovedì l’idea venne a Ulisse. Come ogni mattina, ci incontrammo <strong>da</strong>vanti al cancello del<br />

Liceo, dove di solito ci fermavamo a verificare lo stato del<strong>la</strong> nostra preparazione, al<strong>la</strong> ricerca<br />

improbabile di qualcuno <strong>da</strong> immo<strong>la</strong>re come volontario in un’interrogazione. Ulisse disse solo:<br />

“Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse! Ok?”<br />

L’idea di saltare <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, di fare X come diciamo a Bari, non mi aveva mai sfiorato, colpa del<strong>la</strong><br />

subdo<strong>la</strong> psicologia al contrario di mia madre che mi aveva sempre detto “quando non vuoi an<strong>da</strong>re a<br />

scuo<strong>la</strong>, basta che tu me lo dica e puoi non an<strong>da</strong>rci. Ma non voglio che tu me lo nascon<strong>da</strong>!”.<br />

Risultato: ero sempre in c<strong>la</strong>sse, seduto al fianco di Ulisse, solitamente sul fondo dell’au<strong>la</strong>, mentre<br />

Strillo e Sergio bazzicavano tra le prime file. Quel<strong>la</strong> mattina, però, senza bisogno di pensarci oltre,<br />

ci trovammo d’accordo. Tanto più che nessuno aveva studiato Filosofia, neanch’io che ero stato<br />

interrogato un paio di giorni prima.<br />

Il vero problema quando si saltava <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> era che dopo <strong>la</strong> co<strong>la</strong>zione al bar e un’oretta di biliardo<br />

o videogiochi, non si sapeva mai cosa fare, era quasi più noioso delle spiegazioni del<strong>la</strong> nostra<br />

professoressa di Italiano che leggeva con voce morente <strong>da</strong>l Materiale e l’Immaginario. Ulisse quel<br />

giorno decise di svoltare, prese <strong>la</strong> sua motoretta gial<strong>la</strong> e nera, mi fece salire dietro, e si mise a fare<br />

stra<strong>da</strong> agli altri due che arrancavano sul vespino blu di Daniele, quello facilmente riconoscibile per<br />

l’orribile adesivo dei Simpson sul <strong>da</strong>vanti.<br />

Ciò che difficilmente avremmo potuto sapere allontanandoci in moto quel<strong>la</strong> mattina era che gli altri<br />

maschi del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse, una decina in tutto, vedendoci an<strong>da</strong>r via <strong>da</strong>l<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, pensarono di acco<strong>da</strong>rsi a<br />

noi in una sorta di sciopero globale e disertarono in blocco le lezioni. In c<strong>la</strong>sse quel giorno<br />

entrarono solo una manciata di ragazze, con grande sconcerto dei professori che si <strong>da</strong>vano il cambio<br />

chiedendo alle signorine cosa fosse successo a noi colleghi maschietti. Eppure, a parte qualche<br />

rimprovero paternale che <strong>la</strong>nciò <strong>la</strong> Professoressa di Italiano, tutto filò liscio fino alle due ore di<br />

Filosofia. La professoressa non disse nul<strong>la</strong>, <strong>la</strong>nciò un’occhiata perplessa, interrogò i superstiti e,<br />

come faceva al<strong>la</strong> fine di ogni lezione, anticipò l’argomento di quel<strong>la</strong> successiva: “domani parleremo<br />

di Erasmo <strong>da</strong> Rotter<strong>da</strong>m”.<br />

“Non interroga domani, Professoressa?” chiese tendenziosamente <strong>la</strong> fi<strong>da</strong>nzata di Ulisse.<br />

“Ho interrogato oggi, no?” <strong>la</strong> campanel<strong>la</strong> suonò in quell’istante.<br />

Ignari di tutto, quel<strong>la</strong> mattina noi seguivamo l’idea del nostro capobranco. Ulisse si fermò sotto casa<br />

sua, salì e ne ridiscese un secondo dopo, senza dir nul<strong>la</strong>. Mi passò il suo zaino ed io mi insospettii<br />

per un tintinnio familiare di vetro che difficilmente due libri posti a contatto sono in grado di<br />

emettere, oltre che per l’improvviso freddo che sentivo sul<strong>la</strong> schiena dopo aver imbracciato <strong>la</strong> sua<br />

cartel<strong>la</strong>. Arrivammo al<strong>la</strong> fabbrica di birra, facemmo un giro strano fino ad essere alle sue spalle, ci<br />

fermammo quasi sul bordo del<strong>la</strong> tangenziale, ad una cinquantina di metri <strong>da</strong>l deposito delle cassette<br />

e scendemmo <strong>da</strong>lle moto.<br />

Non c’erano campanelle quel<strong>la</strong> mattina, né registri su cui i nostri nomi campeggiassero come<br />

oggetti in vetrina, non c’era bisogno di nascondersi in bagno per fumare, non c’era nul<strong>la</strong> se non il<br />

rumore del motore di Ulisse che si spegneva, quello del cavalletto del vespino di Strillo, e <strong>la</strong> voce di<br />

Sergio:<br />

“E mo’ che dobbiamo fare?”<br />

148


Ci sedemmo sul bordo del<strong>la</strong> scarpata che portava al deposito, con le gambe ciondo<strong>la</strong>nti. Ulisse tirò<br />

fuori le birre: “Una a testa, per il momento”, disse scuotendo lo zaino che tintinnava ancora. Ce le<br />

distribuì:<br />

“Basicamente è un piacere proibito, un po’ come mangiare un agnello piuttosto che sacrificarlo su<br />

un altare...” seguirono dei secondi di silenzio. Strillo cercò di stargli dietro.<br />

“Cioè?”<br />

“La fabbrica è l’altare, no? Noi portiamo un’offerta all’altare, ma invece di sacrificar<strong>la</strong>, ce <strong>la</strong><br />

tracanniamo noi! Chiaro, adesso?”<br />

Non gli demmo ascolto, stappammo le birre con l’accendino, e brin<strong>da</strong>mmo. Alle cazzate di Ulisse,<br />

dissi io. Perché non smettano mai di tenerci qui assieme. Lo dissi in rima, non ricordo con che<br />

metrica, so solo che avevo questa fissa di par<strong>la</strong>re in rima quando ero un po’ più piccolo.<br />

Sergio ci offrì una sigaretta <strong>da</strong>l suo pacchetto di Marlboro Rosse di Contrabbando.<br />

“05?” chiesi prima di accettare.<br />

“Meh, fuma e non rompere!” mi obbligò Sergio.<br />

Approfittando del silenzio con cui ognuno di noi si dedicava al<strong>la</strong> sua birra, provai a par<strong>la</strong>r loro dei<br />

miei problemi d’amore ma non ci fu nessuno che fosse disposto a sentirmi.<br />

Quando le prime birre furono svuotate, Ulisse prese <strong>da</strong>l<strong>la</strong> tasca del suo giubbino di pelle un piccolo<br />

razzetto storto, una carta arroto<strong>la</strong>ta, con qualcosa di scuro dentro. Cavò un accendino <strong>da</strong>i suoi 501<br />

aderentissimi e disse una paro<strong>la</strong> strana:<br />

“Cicileo?”<br />

Non capimmo, e continuammo a guar<strong>da</strong>rlo in silenzio. Si accese <strong>la</strong> sigaretta sbilenca. Aveva un<br />

odore di alloro, sapone e rosmarino.<br />

“Cici…ché?” chiese Strillo.<br />

“E’ droga?” doman<strong>da</strong>i scosso a Ulisse, sniffando l’odore del fumo intorno a lui come un segugio.<br />

“Funziona così, ragà... quando io fumo lo tengo un po’, poi dico Cicileo, il primo di voi che<br />

risponde Eo, se lo prende, chiaro? E così si fa girare, Cicileo-eo”<br />

Cicileo-eo, cicileo-eo, cicileo-eo, cicileo-eo. Imparammo subito.<br />

Dicevamo quel<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> senza senso, con una balbuzie finale, ridevamo, fumavamo, brin<strong>da</strong>vamo, ci<br />

facevamo confessioni, tenuti a due metri <strong>da</strong>l suolo <strong>da</strong>ll’alettare del<strong>la</strong> nostra libertà inaspettata.<br />

Ci stendemmo sull’asfalto, protetti <strong>da</strong>l guard-rail su una stra<strong>da</strong> in cui non passava nessuno. Dieci<br />

metri più in là, sul<strong>la</strong> tangenziale, <strong>la</strong> città in movimento pulsava pesante, mentre cinquanta metri<br />

<strong>da</strong>ll’altro <strong>la</strong>to, <strong>la</strong> fabbrica di birra sorrideva operosa e rendeva tutto questo possibile. Ad un certo<br />

punto mi rimisi seduto e li vidi quasi addormentati, allora mi alzai, presi il libro di Italiano ed iniziai<br />

a leggere imitando <strong>la</strong> voce del<strong>la</strong> nostra professoressa. Sono sempre stato bravo a fare le imitazioni,<br />

soprattutto del<strong>la</strong> gente che mi sta attorno, non dei personaggi televisivi, troppo facile... a me piace<br />

imitare gente come il meccanico, l’amministratore del condominio o talvolta i professori. Quel<strong>la</strong><br />

d’italiano, poi, mi veniva benissimo. Iniziai a leggere qualcosa sul<strong>la</strong> lingua d’oc e d’oil. Avrebbe<br />

fatto riaddormentare anche un orso appena uscito <strong>da</strong>l letargo.<br />

Vidi quei tre stesi <strong>da</strong>vanti a me, con gli occhi chiusi e le <strong>la</strong>bbra sorridenti. Finalmente potevano<br />

dormire mentre sentivano quelle odiose spiegazioni...<br />

Che io ricordi, penso sia nata quel giorno <strong>la</strong> fissa di Daniele, quando nel pieno del<strong>la</strong> mattinata, si<br />

sbottonò <strong>la</strong> patta e tirò fuori un orribile citrullino arrossato, ma <strong>da</strong>vvero come carne cru<strong>da</strong>.<br />

“Ragazzi, come faccio a dirle che i pompini non me li deve fare con i denti?”<br />

Scoppiammo a ridere.<br />

“Mi fa un male! Però è bello, è bello assai!”<br />

“Quelli non si chiamano pompini, si chiamano rigatoni!” disse Ulisse, e non ci fu verso di smettere<br />

di ridere per almeno dieci minuti.<br />

Mi alzai, guar<strong>da</strong>i <strong>da</strong>vanti a me le centinaia di cassette di birra una sull’altra, rosse, gialle, blu, verdi,<br />

grigie, cubi colorati altissimi che si staccavano sul prato inglese <strong>da</strong>vanti al deposito. Così<br />

accatastate assumevano proporzioni incalco<strong>la</strong>bili, formavano veri e propri edifici chiamati con le<br />

149


loro tinte a riscattare le forme grigie del<strong>la</strong> città <strong>da</strong> cui eravamo scappati. Disegnavano una quinta<br />

ininterrotta, un segmento di birra, scandito solo <strong>da</strong>ll’alternarsi dei colori. Era quanto di più artistico<br />

avessi mai visto nascondersi tra le pieghe dei paesaggi urbani. Mi sembrava di essere sprofon<strong>da</strong>to in<br />

un quadro cubista, o di avere attraversato un varco che mi avesse permesso di entrare in uno dei<br />

quadri di Andy Warhol, quelli sul<strong>la</strong> massificazione dell’arte attraverso <strong>la</strong> riproduzione in serie degli<br />

oggetti industriali. Nel caso specifico il titolo del quadro sarebbe stato “La moltiplicazione del<strong>la</strong><br />

cassetta di birra”. Ero commosso, profon<strong>da</strong>mente emozionato, e così doveva sentirsi anche Sergio<br />

che si alzò insieme a me:<br />

“Ci è beeeeeeeeeeeell! 27 ” disse, e si rimise steso.<br />

Cicileo nacque quel giorno. Anche se bastarono ventiquattro ore perché apprendessimo quanto a<br />

volte <strong>la</strong> <strong>vita</strong> si diverta a rovinarti l’happy end delle tue storie.<br />

Il venerdì, infatti, rassicurati <strong>da</strong>ll’indiscrezione soffiata al<strong>la</strong> professoressa di Filosofia <strong>da</strong>l<strong>la</strong> ragazza<br />

di Ulisse, ci presentammo in c<strong>la</strong>sse, con <strong>la</strong> nostra giustifica che variamente recitava: Motivi di<br />

salute, Indisposizione, Motivi familiari e giù di lì. Avevamo proprio Filosofia al<strong>la</strong> prima ora. La<br />

Professoressa entrò e si mise seduta in silenzio. Compilò il registro, prese le nostre giustifiche senza<br />

batter ciglio, chiuse il quadernone e iniziò a squadrarci passandosi una mano tra i capelli ingrigiti, e<br />

tirandosi su ogni tanto gli occhiali tondi che le scendevano fino al<strong>la</strong> punta del naso.<br />

Notando che qualcosa an<strong>da</strong>va storto, che i nostri banchi an<strong>da</strong>vano ogni secondo di più prendendo <strong>la</strong><br />

forma di una trincea, chiesi a Ulisse:<br />

“Ma non è che c’interroga?”<br />

“No, no tranquillo ha detto che spiegava, che spiegava...”<br />

La voce del<strong>la</strong> professoressa lo interruppe.<br />

“Oggi parliamo di Erasmo <strong>da</strong> Rotter<strong>da</strong>m...” e si fermò.<br />

Ulisse mi strinse l’occhio: “Hai visto?”<br />

Stril<strong>la</strong>cci si voltò verso di noi, facendo il gesto dello scampato pericolo:<br />

“Che goccia!” mi parve di leggere sulle sue <strong>la</strong>bbra.<br />

“Erasmo <strong>da</strong> Rotter<strong>da</strong>m, ha scritto una famosissima opera: L’elogio del<strong>la</strong> Follia! L’ha scritta<br />

pensando ai ragazzi del<strong>la</strong> quarta G che ieri non sono entrati...”<br />

Sbiancammo. Non avemmo neanche il tempo di scambiarci degli sguardi terrorizzati che già aveva<br />

iniziato a chiamarci uno al<strong>la</strong> volta per interrogarci sul programma del giorno precedente.<br />

Sergio e Daniele furono tra i primi. La professoressa fece domande partico<strong>la</strong>rmente difficili, al<br />

punto che a volte non si capiva quando si interrompesse per prendere una pausa <strong>da</strong>l discorso e<br />

quando invece <strong>la</strong> doman<strong>da</strong> fosse effettivamente finita.<br />

Strillo fece <strong>la</strong> parte più penosa:<br />

“Ah... posso rispondere? Pensavo non fosse finita <strong>la</strong> doman<strong>da</strong>!”<br />

“Non c’è bisogno che tu rispon<strong>da</strong>, allora!” disse lei geli<strong>da</strong>.<br />

Poi toccò a noi due. Io ero quello bravo, quello <strong>da</strong> cui non ci si aspettava mica una interrogazione<br />

muta. Mio fratello, prima di diventare tedesco, era stato alunno del<strong>la</strong> stessa professoressa, e mi<br />

aveva avvertito: “Se mai un giorno ti dovesse chiamare Cicci, è brutto il fatto!”<br />

Lei mi squadrò, in quel momento dovevo avere dei cerchi concentrici dipinti sul petto. Prese <strong>la</strong> mira<br />

del suo <strong>da</strong>rdo e lo fece. Mi chiamò Cicci.<br />

“Cicci hai studiato?” mi chiese. Ero già con un piede nel<strong>la</strong> fossa ma non potevo confessare, io ero<br />

quello bravo <strong>da</strong>vvero.<br />

“Sì... ma...” balbettai.<br />

“Sì ma che cosa?” urlò lei e gli occhiali le ritornarono su <strong>da</strong> soli, tanto si corrugò il suo viso.<br />

“Veramente... c’erano delle cose che non avevo capito...”<br />

“E se non vieni a scuo<strong>la</strong> come faccio a spiegartele?” mi domandò con logica ineccepibile.<br />

Abbassai il capo e mi rimisi al<strong>la</strong> clemenza delle sue domande.<br />

Spietate.<br />

27 Com’è bello!<br />

150


“Ulisse?” domandò, con poca fiducia <strong>la</strong> professoressa, dopo aver finito con me.<br />

“Non ho studiato, professoressa” ammise senza combattere il mio compagno di banco.<br />

“Cicci, ti becchi imprepareto!” urlò sbattendo il registro. Lo disse proprio così, con <strong>la</strong> “E”, come nel<br />

dialetto finto barese che i film di Lino Banfi hanno esportato in tutta Italia.<br />

Cicileo aveva solo un giorno ma già era riuscito a portare scompiglio e sorrisi nelle nostre vite.<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 7)<br />

“Perché fai questo?”<br />

“Perché? Perché merito qualcosa di più nel<strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> di un uomo nascosto <strong>da</strong> un lenzuolo...”<br />

“Io non capisco proprio cosa non va<strong>da</strong> tra noi, di cosa ti <strong>la</strong>menti...”<br />

“Mi dispiace per te, te lo giuro, mi dispiace per te, ******”<br />

“Fantasma”<br />

“******, o Fantasma, o come cazzo vuoi farti chiamare... Bravo, fatti chiamare come vuoi, ma non<br />

sarò io a chiamarti...”<br />

“Ma dimmelo, ti prego dimmelo, cosa c’è... spiegamelo, cosa non va, di cosa ti <strong>la</strong>menti...”<br />

“La smetti con questa frase... io non mi <strong>la</strong>mento, cazzo, io non mi <strong>la</strong>mento... cosa sei un ufficio<br />

rec<strong>la</strong>mi? Io ho solo voglia di costruire qualcosa che duri un po’ di più di un te<strong>la</strong>io <strong>da</strong> due cartine,<br />

qualcosa che non faccia ogni giorno lo stesso giro come le macchinine del<strong>la</strong> Polistil che hai sotto il<br />

tetto, io ho voglia di costruire... capisci... costruire!”<br />

“E <strong>da</strong>lle! Ma cosa cazzo credi che sia io? Un muratore? Costruire costruire costruire... Vuoi un<br />

cazzo di muratore al tuo fianco o vuoi una persona felice?”<br />

“Stai dietro al<strong>la</strong> tua felicità Fantasma, stacci dietro... allena sempre il tuo cervello, le braccia e<br />

l’uccello... e <strong>la</strong>scia pure morire il tuo cuore, <strong>la</strong>scialo morire... non basterebbe neanche più un<br />

defibril<strong>la</strong>tore, ormai”<br />

151


3.<br />

Dopo aver ricevuto il messaggio, ho allontanato amabilmente Chantal e le sue pastiglie <strong>da</strong>l<br />

contenuto erotizzante, mi sono stappato una birra, finalmente sorseggiando il primo attimo di<br />

tranquillità del<strong>la</strong> giornata, in attesa che Non<strong>la</strong>siscttann passi a prendermi.<br />

Ho messo un cd dei Mogwai, e ho e<strong>la</strong>borato il mio personale credo metafisico. Questa giornata mi<br />

ha fatto rendere conto di una cosa: sono troppi gli interrogativi che si nascondono in ogni momento<br />

del<strong>la</strong> <strong>vita</strong>, dietro ogni persona, dietro ogni scelta: il perché delle cose non ci è ancora <strong>da</strong>to ad<br />

intendere. Posso sforzarmi quanto voglio ma è difficile che riesca a trovare delle risposte, almeno in<br />

questa <strong>vita</strong>. Il mio soffio <strong>vita</strong>le è incompleto e per natura non può arrivare fino lì. Però ho afferrato<br />

un’altra cosa, qualcosa che riscatta il passo che prima o poi compierò, qualcosa che sarà il mio<br />

punto di partenza una volta che, accadrà presto, compirò diciassette anni e <strong>la</strong>scerò <strong>da</strong> parte <strong>la</strong> mia<br />

giocoleria.<br />

E’ un concetto evolutivo, tanto vero quanto il fatto che <strong>da</strong> soli si nasce, e si muore, però che è<br />

straordinariamente più bello condividere tutto ciò che è contenuto tra queste due parentesi di<br />

solitudine con i propri amici.<br />

Sono arrivato al<strong>la</strong> conclusione che, insegnano le cassette del nonno, così come il primate <strong>da</strong> cui<br />

discendiamo si è naturalmente evoluto verso <strong>la</strong> posizione eretta (beh, non tutti, provate a guar<strong>da</strong>rci<br />

quando ci sono le pastarelle sul tavolo del<strong>la</strong> cucina), allo stesso modo il nostro soffio <strong>vita</strong>le<br />

migliorerà, si completerà an<strong>da</strong>ndo avanti. Non spariremo evaporando in 21 grammi, semplicemente<br />

ci trasferiremo altrove. Non parlo di reincarnazione, non necessariamente: il concetto di carne è<br />

troppo contingente, non posso immaginare che un groviglio di muscoli, ossa e sangue resti sempre<br />

<strong>la</strong> dimora del<strong>la</strong> nostra anima. Ci trasferiremo altrove, non importa se nel mondo visibile o invisibile,<br />

ma diventeremo “naturalmente” qualcosa di più complesso, qualcosa che si avvicini sempre di più<br />

alle risposte che adesso ci sfuggono. Quel<strong>la</strong> che mi consuma non è <strong>la</strong> frustrazione di un’anima<br />

incompleta, ma <strong>la</strong> curiosità pioniera di chi desidera immaginare che paesaggio ci sarà dopo.<br />

L’anima è un vento, come un vento non puoi toccar<strong>la</strong> eppure <strong>la</strong> senti, a volte ci è straordinariamente<br />

leggera e rinfrescante come quel<strong>la</strong> che accarezza l’ombra di un portico che affacci sul mare, a volte<br />

diventa schiacciante ed afosa come il vento di scirocco che porta con <strong>la</strong> pioggia <strong>la</strong> terra rossa e<br />

lontana. L’anima è vento, io sono vento, vento che si muoverà, cambierà e girerà il mondo, si<br />

arrampicherà ed un giorno raggiungerà un punto alto, più delle piramidi infi<strong>la</strong>te una sull’altra, più<br />

delle torri del<strong>la</strong> Bologna medievale montate insieme come uno stecchino storto. Arriverò sul<strong>la</strong><br />

punta del mondo e mi fermerò. Dall’alto mi sarà tutto chiaro. Arriverò più lontano di questa<br />

navicel<strong>la</strong> <strong>da</strong> cui presto scenderemo, avrò ogni risposta e smetterò di doman<strong>da</strong>re.<br />

Provo adesso una dolcissima ed inconsueta sensazione di sollievo, non so dire il perché: forse <strong>la</strong><br />

musica dei Mogwai, forse Ulisse che ci man<strong>da</strong> a chiamare, forse il pensiero che presto sarò grande,<br />

forse <strong>la</strong> decisione che ho preso di partecipare finalmente a qualche concorso di architettura per<br />

conto mio, senza stare a raddrizzare linee su un computer per volontà di qualcun altro, forse il<br />

pensiero di Lei che diventa più forte, l’idea di costruire qualcosa.<br />

Fatto sta che non ho paura in questo momento, non ho paura di cosa ci sia sotto il mio lenzuolo, non<br />

ho più bisogno di restare tutto il tempo a giocare, succhiando a più non posso <strong>la</strong> polpa del<strong>la</strong> <strong>vita</strong><br />

perché un giorno smetterò di farlo. Diventerò qualcosa di straordinariamente più grande di questo.<br />

Se avete bisogno di un paio di atmosfere di autostima, prendete una birra, mettetevi comodi e<br />

chiedetemi qualche dritta sul<strong>la</strong> musica <strong>da</strong> ascoltare.<br />

152


4.<br />

Sergio è arrivato vestito <strong>da</strong> pagliaccio, ed io che pensavo di essere quello che aveva qualcosa <strong>da</strong><br />

raccontare. Non si è cambiato e ci siamo infi<strong>la</strong>ti presto nel<strong>la</strong> sua auto. Lui è l’unico onnivoro<br />

musicale tra noi quattro, quindi l’unico con il quale mi possa azzar<strong>da</strong>re a proporre una selezione di<br />

ciò che ascolto io. Magari lui mi <strong>la</strong>scia fare, c’è un pezzo de Los P<strong>la</strong>netas che addirittura gli piace,<br />

quello in cui Mendieta fa un gol incredibile. Gli ho anche fatto delle compi<strong>la</strong>tion. Solitamente<br />

ascolta paziente <strong>la</strong> mia musica, salvo poi sbottare in alcune circostanze, soprattutto quando i pezzi si<br />

fanno tristi come per esempio adesso, June dei Pinback.<br />

Vedendo che teneva <strong>la</strong> radio inserita e spenta, ho messo uno dei miei cd <strong>da</strong>l suo astuccio. Presto<br />

l’atmosfera si è fatta più densa, lo stomaco mi si raggomito<strong>la</strong> sempre quando sento questo pezzo, e<br />

mi stava rendendo felice ascoltarlo con Non<strong>la</strong>siscttann. Immaginavo che il pianoforte lo stesse<br />

facendo commuovere, il vibrare solenne di tasti neri e bianchi, vedevo una strana luce nei suoi<br />

occhi. Invece lui mi ha guar<strong>da</strong>to e mi ha detto:<br />

“Alliv sta bas, uagliò! 28 Ho voglia di una cosa allegra. Che <strong>la</strong> <strong>vita</strong> è un cesso, c’è già puzza di cacca<br />

senza che ti ci sie<strong>da</strong> pure tu!”<br />

Ha tolto il cd e me l’ha buttato <strong>da</strong>l finestrino “chissà <strong>la</strong> smetti di ascoltare ‘sta musica paranoica!”<br />

Ho guar<strong>da</strong>to incredulo il cd <strong>da</strong>llo specchietto: ha roto<strong>la</strong>to per un po’ sull’asfalto, poi una<br />

macchinona l’ha schiacciato impietosamente. Nello stereo nel frattempo si era già insediata Radio<br />

Maria, con le sue onde miracolosamente capaci di raggiungere anche <strong>la</strong> luna: ci siamo guar<strong>da</strong>ti, lui<br />

ha sorriso, <strong>la</strong> maschera triste dei clown, e ha spento lo stereo. Non so perché ma, pur nel suo vestito<br />

<strong>da</strong> pagliaccio, mi sembrava che fosse improvvisamente diventato più grande. In silenzio siamo<br />

arrivati al<strong>la</strong> fabbrica di birra.<br />

28 Togli questa base, ragazzo!<br />

153


5.<br />

Sergio spegne il motore e scendiamo. Loro sono già qui.<br />

“Allora? Ma che hai fatto? Fa vedere?” dico preoccupato a Ulisse avvicinandomi a lui come una<br />

mamma premurosa. Mi rendo conto di essere più appiccicoso di una marmel<strong>la</strong>ta di fragole, però<br />

avevo ragione, gli hanno spaccato il naso. Grissom sarebbe fiero del<strong>la</strong> mia ricostruzione sul<strong>la</strong> scena<br />

del crimine.<br />

“Non è niente, un tuzzo 29 , solo un tuzzo!” si scansa.<br />

“Ma tu sei scemo! Ma è rotto?”<br />

“No, solo deviato!”<br />

“Sarai bellissimo con il naso <strong>da</strong> tucano!” lo pizzica Sergio.<br />

“Pensa come staresti tu se succedesse a te con quel naso... ridi pagliaccio, ridi!”<br />

“Come hai fatto, che ti è successo?” doman<strong>da</strong> incredulo Strillo, <strong>la</strong> sua inclinazione ine<strong>vita</strong>bile a<br />

voler comprendere le cose <strong>da</strong>ll’inizio.<br />

Ulisse inizia a raccontare, riferisce <strong>la</strong> sua <strong>storia</strong> con un filo di incoscienza come se stesse par<strong>la</strong>ndo<br />

del<strong>la</strong> trama di un film, con tanto di traffico di roba, coltelli, tradimenti, pistole. Lui è<br />

tranquillissimo, penserei che si è inventato tutto se non fosse per il naso gonfio e le venature<br />

vio<strong>la</strong>cee che già si affacciano sotto i suoi occhi.<br />

“Ti verranno di nuovo a cercare?” gli chiedo quando ha finito di raccontare.<br />

“Non lo so, Fantasma, ci sto pensando e ti giuro che non lo so... di sicuro, non sarò più io a cercare<br />

loro!” dice Ulisse, abbassando lo sguardo.<br />

“Ehi, coglione” gli dico accarezzandogli i capelli “Guar<strong>da</strong> che <strong>da</strong> oggi le regole del<strong>la</strong> casa sono<br />

cambiate: prima rego<strong>la</strong>, il divieto di polveri bianche è esteso a tutti e due i piani, sottotetto<br />

compreso, secon<strong>da</strong> rego<strong>la</strong>, o te ne tiri fuori <strong>da</strong> queste storie o ti trovi un’altra casa, terza rego<strong>la</strong>, <strong>la</strong><br />

più importante, il divieto di seghe con dedica a Chantal è ufficialmente deposto dopo quello che è<br />

successo oggi!”<br />

“Che è successo?” doman<strong>da</strong> Strillo infastidito per essersi perso <strong>la</strong> scena.<br />

“Niente, io sono un ga<strong>la</strong>ntuomo, certe cose non le dico!”<br />

“100 lux... io l’ho detto... se le hai tolto le scarpe, sono 100 lux!”<br />

“Le birre!” lo interrompe Sergio “Siamo qua per questo, no? Oggi non si entra in c<strong>la</strong>sse!” Si alza e<br />

prende <strong>la</strong> busta <strong>da</strong>l<strong>la</strong> macchina.<br />

Ulisse prende <strong>la</strong> sua bottiglietta e senza aprir<strong>la</strong> <strong>la</strong> appoggia sul naso: “Bel<strong>la</strong> ghiacciata! Che<br />

sollievo!”<br />

Stappiamo, chissà se loro lo ricor<strong>da</strong>no, se ricor<strong>da</strong>no il brindisi che feci dieci anni fa. Ne ricostruisco<br />

il senso:<br />

“Brindiamo alle cazzate di Ulisse, perché gli costeranno talmente caro che prima o poi smetteranno<br />

di tenerci qui assieme!”<br />

Fanno un rumore strano le birre che tintinnano.<br />

“Voi ve lo ricor<strong>da</strong>te?” dice Ulisse, dopo <strong>la</strong> sorsata.<br />

“Cazzo, ragà, ma è triste così!” prova ad obiettare Sergio “Sembriamo quattro ex fi<strong>da</strong>nzati che<br />

provano a ricor<strong>da</strong>rsi le volte in cui sono stati felici...”<br />

“Scusa, ma come fanno ad esistere quattro ex fi<strong>da</strong>nzati, non ci si fi<strong>da</strong>nza due al<strong>la</strong> volta?” risponde<br />

ineccepibilmente il solito Strillo.<br />

“Io sì che me lo ricordo... mi ricordo come eri vestito addirittura... l’odore del tuo giubbino di pelle<br />

e dell’olio del motore... mi ricordo <strong>la</strong> sensazione di prendere <strong>la</strong> <strong>vita</strong> e piegar<strong>la</strong> come volevamo...”<br />

dico io.<br />

“Quando ci hai insegnato a fare Cicileo e poi quando siamo entrati in quel<strong>la</strong> casa, non lo so...<br />

pensavo di fermare il tempo. Ho avuto l’illusione che il tempo an<strong>da</strong>sse avanti solo per gli altri, che<br />

noi stessimo <strong>da</strong>vvero fluttuando nello spazio, che potessimo di<strong>la</strong>tare in eterno il nostro cazzeggio,<br />

29 Una testata.<br />

154


che gli affanni del<strong>la</strong> terra fossero così lontani, che l’Apollo <strong>13</strong> ci preservasse <strong>da</strong>l mondo fuori e <strong>da</strong><br />

tutte le sue <strong>la</strong>ncette...” confessa Sergio, sotto l’effetto paranoico del<strong>la</strong> musica indie che gli ho fatto<br />

ascoltare.<br />

“Ahhh! Hai fermato il tempo, tu! Ora capisco perché non ti sei ancora <strong>la</strong>ureato!” Ulisse è quello che<br />

ci fa ridere anche se ha una birra ghiacciata poggiata sul setto nasale.<br />

“Ce <strong>la</strong> farò un giorno, e magari i vostri figli si infiltreranno al<strong>la</strong> mia festa di <strong>la</strong>urea! Però non è<br />

questo che mi interessa oggi! Ragazzi oggi ho avuto un’idea!”<br />

Le sue parole ci paralizzano. Rimango con il gomito sollevato, <strong>la</strong> birra quasi non mi affoga, faccio<br />

co<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> schiuma sul<strong>la</strong> mia barbetta. Sono anni che Sergio Non<strong>la</strong>siscttann ci dice che un giorno<br />

avrà un’idea. Sono anni che aspettiamo questo momento. Ci ha pensato a lungo, non c’è che dire,<br />

ma è stato di paro<strong>la</strong>, “un giorno troverò l’idea!” ci ha ripetuto fino al<strong>la</strong> nausea, ma finalmente<br />

sembra sia arrivato il profetico momento del<strong>la</strong> svolta con cui ci ha lungamente tediato. Houston, che<br />

nessuno si muova, Sergio Non<strong>la</strong>siscttann ha un’idea.<br />

“Ragazzi, non prendete impegni per <strong>la</strong> settimana prossima, non mi frega nul<strong>la</strong> del vostro <strong>la</strong>voro,<br />

non vi leverò tempo, vi porterò via solo <strong>la</strong> pausa pranzo! Tra sette giorni, <strong>da</strong>ll’una alle due e mezzo<br />

siete miei, me lo promettete?”<br />

Ci guardiamo perplessi.<br />

“Dov’è l’idea?” chiede diffidente Ulisse.<br />

“L’idea è an<strong>da</strong>re a trovare degli amici! Dei miei amici!”<br />

“Che c’entra questo con il tuo <strong>la</strong>voro?” doman<strong>da</strong> Daniele.<br />

“Niente, infatti! Non sto par<strong>la</strong>ndo di <strong>la</strong>voro, parlo di qualcosa di più importante, più bello, qualcosa<br />

in cui ho capito di più del<strong>la</strong> <strong>vita</strong> di quanto abbia imparato in quattro anni passati a vendere<br />

snowboard. Qualcosa che mi ha fatto sentire vivo, importante, qualcosa che esiste nel mondo e che<br />

ci <strong>da</strong>rà occasione finalmente per agire, per renderci utili, piuttosto che stare a scal<strong>da</strong>re le molle del<br />

divano del nonno di un Fantasma. Poi vi spiego! Mi basta sapere che siete con me! Allora?”<br />

“Se ci sono donne, io ci sto!” il solito Strillo.<br />

“Gli amici dei miei amici sono miei amici...” dico io.<br />

“Certo non sarò io a tirarmi indietro, allora!” si unisce infine Ulisse.<br />

“Grazie ragazzi, siete degli amici!”<br />

Quattro sorsate di birra provano ad abbassare il volume dei camion del<strong>la</strong> tangenziale.<br />

“E pensare che tutto è iniziato proprio qui!” dice Ulisse, con <strong>la</strong> sua birra sempre poggiata tra le<br />

sopracciglia.<br />

“Sono... dieci anni! No?” doman<strong>da</strong> Sergio.<br />

“Dieci!”<br />

“Oh! E’ cambiato tutto in dieci anni!” dice guar<strong>da</strong>ndosi intorno<br />

“Non direi! C’è quel cavalcavia in più, hanno tolto <strong>la</strong> stradina... hanno cambiato <strong>la</strong> recinzione, poco<br />

altro...” dico io.<br />

La stradina dove ci stendemmo quel giovedì con le gambe all’aria non c’è più, in effetti. Abbiamo<br />

dovuto parcheggiare sul<strong>la</strong> corsia d’emergenza del<strong>la</strong> tangenziale, scavalcare il guard-rail. I camion<br />

del<strong>la</strong> rotta Atene-Berlino ci passano vicino vicino coprendo ad intermittenza con le loro centinaia di<br />

ruote le parole che ci scambiamo. Stiamo scomodi, adesso. La città si è presa il nostro posto.<br />

“Non parlo del<strong>la</strong> città. Parlo di noi! Avete mai <strong>la</strong> sensazione che state facendo una cosa per l’ultima<br />

volta?”<br />

“Che vuoi dire, oh! Ma sai che oggi sei strano? Cos’hai, strani presentimenti? Non vorrai suici<strong>da</strong>rti<br />

per una canzone che ti ho fatto ascoltare?” provo a scherzare.<br />

“No, affatto! Guar<strong>da</strong>, non è che devi per forza morire per smettere di fare una cosa! Non avete mai<br />

il presentimento, quando fate qualcosa, che non succederà più, che quel<strong>la</strong> cosa non <strong>la</strong> farete mai<br />

più? Fosse anche mangiare una frittura di pesce!”<br />

“Io quando tradisco <strong>la</strong> mia ragazza!” dice Ulisse.<br />

“Io quando accendo il computer e avvio l’autocad!” questo sono io.<br />

155


“Io quando rimango deluso <strong>da</strong> una donna! Perché mi riprometto di non scoprire mai più il fianco...”<br />

l’ipocrita Strillo, come se fosse lui quello che soffre e non le donne che abbandona.<br />

“Già, poi oggi com’è an<strong>da</strong>ta?” doman<strong>da</strong> Sergio.<br />

“Lasciamo stare! Ve ne parlo in un altro momento!” sorride Strillo, dev’esserci cascato un’altra<br />

volta.<br />

“Era quel<strong>la</strong> giusta?” gli chiede Ulisse.<br />

“Promettetemi che non mi farete più questa doman<strong>da</strong>!” dice inspiegabilmente Daniele “Oggi ci<br />

avevo creduto anch’io ad un certo punto... sì! Era quel<strong>la</strong> giusta. L’ho pensato <strong>da</strong>vvero e ho sperato<br />

che un giorno se ne convincesse anche lei!”<br />

“E poi?” chiedo incuriosito.<br />

“Poi, niente. Ho scoperto che devo imparare ad amare, di meno e meglio! Magari un giorno vi<br />

spiego! Ma tu perché hai fatto questa doman<strong>da</strong>, Sergio?”<br />

“Io ce l’ho adesso, questa sensazione, qua seduto con voi! Non verremo più a guar<strong>da</strong>re le spalle<br />

del<strong>la</strong> fabbrica di birra! Ne sono sicuro!”<br />

“Bah! Per me stai rincoglionendo!”<br />

“Sei ca<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> parte del pagliaccio!”<br />

“Che volete <strong>da</strong> me! E’ un presentimento!”<br />

“Se è così, allora, via quelle facce <strong>da</strong> funerale, no? Bisogna festeggiare!”<br />

“Cicileo?” doman<strong>da</strong> Ulisse.<br />

“Io non ho nul<strong>la</strong>!” risponde Strillo.<br />

“Non<strong>la</strong>siscttann?” doman<strong>da</strong>no in fretta entrambi.<br />

“Niente, mi dispiace!”<br />

A me non chiedono neanche, io fumo meno di loro, non me lo porto mai addosso, e giro degli<br />

sgorbi che spesso si aprono sul più bello: tre motivi validissimi perché io non abbia con me nul<strong>la</strong>.<br />

Invece, stavolta... All’improvviso mi è tutto chiaro, tutto lo strano svolgersi del<strong>la</strong> mia giornata. Ora<br />

capisco perché nessuno che incontrassi voleva fumare, è fin troppo evidente! Doveva arrivare<br />

intatto fino ad ora. Con un colpo di scena metto una mano in tasca e tiro fuori <strong>la</strong> mia sigaretta<br />

divertente, già rul<strong>la</strong>ta <strong>da</strong> stamattina: forse era scritto che dovessimo aspettare questo momento<br />

insieme.<br />

“Cicileo?” domando, infi<strong>la</strong>ndolo nelle <strong>la</strong>bbra serrate di Ulisse.<br />

“Eo”.<br />

LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (track 8)<br />

“Sono Fantasma”<br />

“Perché? Perché mi chiami ancora? Perché devi costringermi a non risponderti più?”<br />

“Io non ce <strong>la</strong> faccio più, io voglio tornare con te, io ti amo! Vuoi credermi, io sono sincero, io ti<br />

amo...”<br />

“Non mi sta più bene il tuo modo di amare... Non cercarmi più, <strong>la</strong>sciami in pace... ti giuro, non te<br />

ne faccio una colpa, non ha funzionato, è finita, ma ti prego capiscilo, io non ho più voglia di<br />

sentirti, di vederti, non mi cercare più!”<br />

“Io cambierò, te lo prometto”<br />

“Non voglio le tue promesse, non voglio i tuoi cambiamenti, lo capisci che io sono felice così, ora?<br />

Che sto bene... Fantasma, vaffanculo, io sto meglio... io sto meglio senza di te... Non chiamarmi<br />

più... mi fai solo star male”<br />

“Se stai male vuol dire che ancora ci pensi, no?”<br />

“Sai qual è <strong>la</strong> cosa triste Fantasma...”<br />

“Qual è?”<br />

“Che il dolore che provo nel sentirti è... è solo pena... l’unica cosa che provo è... è che mi dispiace<br />

per te...”<br />

“...”<br />

156


“Hai capito adesso? Hai capito...”<br />

“...”<br />

“Beh non rispondi adesso?”<br />

“...”<br />

“******...”<br />

“...”<br />

“Fantasma...”<br />

“Ti chiamerò, ti chiamerò ancora...”<br />

“Mi dispiace, mi dispiace <strong>da</strong>vvero, ma io non risponderò”<br />

157


6.<br />

Dopo che ognuno di noi ha raccontato agli altri <strong>la</strong> propria incredibile giornata, abbiamo<br />

abbandonato <strong>la</strong> Fabbrica di Birra. Chissà, forse per l’ultima volta.<br />

Tornando a casa, ci siamo fermati a prendere un panzerotto fritto. Non<strong>la</strong>siscttann dice che in questa<br />

serata così speciale e piena di ricordi non ha voglia di mettersi a cucinare, vuol vedere come ce <strong>la</strong><br />

caviamo noi senza di lui. Ci siamo ingegnati un po’: ci siamo fermati al primo, abbiamo un vuoto<br />

sui secondi. Io pensavo di deliziarli con i miei spaghetti alle vongole, però, <strong>da</strong>l canto suo, anche<br />

Strillo ama preparare i primi. Nel<strong>la</strong> fattispecie si tratta di pasta con <strong>la</strong> panna e con un ingrediente<br />

che ci <strong>la</strong>scerebbe scegliere tra: prosciutto, funghi, piselli, salmone, tonno???, speck... e lì l’abbiamo<br />

fermato con il forte sospetto che lui con <strong>la</strong> panna ci metterebbe anche le lenticchie. Dopo i due<br />

primi, ci sarebbe a conclusione il dessert costituito <strong>da</strong>ll’impareggiabile crema di Ulisse.<br />

Decantato il menù che ci aspettava e considerato che l’ultimo uovo che abbiamo aperto in casa ha<br />

quasi fatto pio pio, abbiamo optato per <strong>la</strong> libidine di un panzerotto fritto.<br />

Nel<strong>la</strong> stradina del<strong>la</strong> pizzeria ogni mattina si tiene il mercato rionale. Gli odori delle bancarelle sono<br />

talmente forti che rimangono quasi interi anche quando il mercato smonta. Attraversando <strong>la</strong> viuzza<br />

di sera puoi seguire ancora l’alternarsi degli odori rimasti nell’aria: così, dopo varie sniffate di<br />

pesce, salumi, arance, verdure, olive e formaggi, le nostre narici hanno riconosciuto il traguardo<br />

dell’ineguagliabile puzza di fritto che circon<strong>da</strong> come un alone iridescente <strong>la</strong> pizzeria.<br />

Non è esattamente quello che si definisce un locale esclusivo. Scrigno barese, piastrelle bianche su<br />

tutti i muri, forno a legna, foto del tito<strong>la</strong>re defunto su un altarino con ceri e garofani, menù che<br />

apporta sempre un nuovo contributo al<strong>la</strong> ricerca filologica sul<strong>la</strong> lingua germanica riguardo a come<br />

si scriva <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> wurstel, il ritmo dei colpi del pizzaiolo sul marmo quando stende <strong>la</strong> massa, e,<br />

infine, immancabili, le offerte, le offerte speciali.<br />

Marketing urbano, non c’è dubbio: a Bari ogni pizzeria <strong>vera</strong>mente barese ha <strong>la</strong> propria offerta<br />

speciale. La più comune recita: Bruschetta, Pizza a scelta, e Bevan<strong>da</strong> per una cifra che varia tra i 5 e<br />

i 7 euro, rigorosamente vali<strong>da</strong> <strong>da</strong>l lunedì al venerdì. Poi c’è chi aggiunge un dolce, variabile a<br />

secon<strong>da</strong> del<strong>la</strong> ricorrenza, chi punta sul digestivo, chi invece subdo<strong>la</strong>mente abbassa il prezzo<br />

dell’offerta escludendo le bevande, che faranno poi improvvisamente lie<strong>vita</strong>re il conto. Ma<br />

basicamente lo schema è quello.<br />

Quel<strong>la</strong> dove siamo stasera, per esempio, puntando ad una cliente<strong>la</strong> di sfusi come noi, accanto<br />

all’offerta base, ci delizia con trovate più eccentriche del tipo: ogni 10 pizze un panzerotto in<br />

omaggio, ogni 10 panzerotti una birra grande in omaggio. Ergo, ogni 100 pizze una birra grande in<br />

omaggio. L’offerta è allettante, non c’è dubbio.<br />

La scena è stata questa: prima di noi c’erano cinque tipi. Quando siamo scesi <strong>da</strong>l<strong>la</strong> macchina loro<br />

vestiti a puntino tutti in abito e cappotto, probabilmente appena usciti <strong>da</strong>l <strong>la</strong>voro, stavano con le<br />

gambe divaricate mordicchiando con caute<strong>la</strong> i loro cinque panzerotti.<br />

Se non ci stai attento, se non lo curi, il panzerotto non perdona, si vendica. E <strong>la</strong> sua vendetta si attua<br />

con un rito sempre uguale: il panzerotto sbrodo<strong>la</strong>. Se non lo accarezzi con <strong>la</strong> cura che riservi solo<br />

alle cose preziose, lui <strong>la</strong> prende a male e nel<strong>la</strong> sua massa si aprono più falle che nel Titanic<br />

squarciato <strong>da</strong>ll’iceberg. Tu e il tuo panzerotto divenite a quel punto una so<strong>la</strong> entità che perde<br />

mozzarel<strong>la</strong> e sugo di pomodoro <strong>da</strong> tutte le parti. E tu finisci con il coprirti di ridicolo.<br />

Perché il vero barese il panzerotto non lo rompe mai!<br />

Tra i cinque, una buona percentuale del sessanta per cento portava a termine <strong>la</strong> propria sfi<strong>da</strong><br />

alimentare senza macchia, mentre il restante quaranta arrancava: un venti, occhialuto e stempiato,<br />

soccombeva, drammaticamente co<strong>la</strong>ndogli il panzerotto nel<strong>la</strong> manica del cappotto, mentre l’altro<br />

bestemmiava costretto <strong>da</strong>l<strong>la</strong> mozzarel<strong>la</strong> trasbor<strong>da</strong>nte ad alleggerire per terra parte del prezioso<br />

ripieno.<br />

Noi abbiamo preso le nostre cinque mezze lune indorate e ci siamo disposti a mangiarle con<br />

devozione, prestando ascolto ai <strong>la</strong>menti dei due poveretti che erano affianco a noi.<br />

158


“Certo che quello è proprio polmone!” ho detto a Strillo tra le <strong>la</strong>bbra, mentre soffiavo sul mio<br />

panzerotto che una volta addentato si era messo a <strong>la</strong>nciare inutili segnali di fumo per invocare aiuto<br />

<strong>da</strong>l<strong>la</strong> mia bocca vorace.<br />

“E’ vero, eh?” annuiva lui.<br />

“Poi, <strong>la</strong> cosa più assur<strong>da</strong> è che gli sfigati ce l’hanno scritto in faccia! Se li guardi, tra tutti e cinque,<br />

lo sapevi già a chi doveva capitare il panzerotto che si apriva!”<br />

Daniele continuava a fare su e giù con il capo. Ogni tanto allentava <strong>la</strong> presa per sorseggiare una<br />

nuova birra.<br />

“Cioè, quando uno è occhialuto e stempiato, è per forza sfigato, no?” ho doman<strong>da</strong>to.<br />

Strillo mi ha guar<strong>da</strong>to e si è messo a ridere. Rideva e per poco il panzerotto non l’ha punito<br />

soffocandolo. Quando finalmente è riuscito a man<strong>da</strong>r giù il boccone, ha par<strong>la</strong>to.<br />

“Guar<strong>da</strong> che anche tu sei occhialuto e stempiato!” e si beava per <strong>la</strong> sua constatazione.<br />

I tre miei amici, con spirito di cameratismo hanno brin<strong>da</strong>to con le loro birre, per questo angolino di<br />

buon umore che ho fornito loro sul canonico piatto d’argento. Ma <strong>la</strong> scena non è finita lì.<br />

Sentivamo i cinque tipi affianco a noi par<strong>la</strong>re con giubilo dei panzerotti. Dicevano più o meno così:<br />

“Ne prendiamo un altro, no <strong>da</strong>i, è fritto, fa male, chissà ogni quanto cambiano l’olio, perché tu credi<br />

che lo cambino, <strong>da</strong>i però sono buoni, allora chi lo vuole, io, dunque, due, <strong>da</strong>i allora anch’io, io no,<br />

<strong>da</strong>i lo prendiamo tutti un altro se no niente, allora tre, va bene facciamo quattro, <strong>da</strong>i manchi solo tu,<br />

no <strong>da</strong>i, non lo voglio, <strong>da</strong>i ma non fare il guastafeste, cosa vuoi che ti faccia, e va bene, grande,<br />

allora cinque, altro giro”<br />

Insomma, l’occhialuto, pur restio, è stato costretto <strong>da</strong>gli amici a prendere un altro panzerotto ed è<br />

entrato nel locale per ordinare il nuovo giro, proprio mentre io e Daniele stavamo pagando <strong>la</strong> nostra<br />

roba. Il tipo ha ordinato i cinque panzerotti, quando ad un tratto ha osservato il cartello, scritto con<br />

un pennarello incerto su un cartoncino colorato, c<strong>la</strong>morosamente scintil<strong>la</strong>nte sul bianco delle<br />

piastrelle: impossibile <strong>da</strong> non notare! Allora Mister Occhiale Piuttosto Spesso Sì Sono Miope Su<br />

Fronte Alta Ma Non Sono Tecnicamente Calvo Beh Non Ancora paga i panzerotti e dice con un<br />

sorriso timido al pizzaiolo:<br />

“Ogni dieci panzerotti fritti una birra grande in omaggio, vero? Io ne ho presi cinque prima, e<br />

cinque adesso!” dice, e <strong>la</strong> sua voce si stempera come una radio a cui sia stata staccata <strong>la</strong> spina.<br />

Il pizzaiolo sorride, mette le mani infarinate sui fianchi, rendendo il proprio profilo quasi<br />

indistinguibile <strong>da</strong> quello dell’asso di coppe. Guar<strong>da</strong> il tipo e con occhi <strong>da</strong>vvero gioiosi, mentre il<br />

fuoco alle sue spalle ne amplifica il sorriso satanico, gli fa:<br />

“Se, auand a jid, uagliò, fatt furb <strong>la</strong> prossma vold! 30 ” e scoppia a ridere bonariamente. Poi,<br />

rivolgendosi a me e Daniele:<br />

“Eh, e scus, no? Je ggiust o no? 31 ” e continua a ridere.<br />

C’è solo una definizione per questo: baresità estrema.<br />

30 Sì, eccolo lui, ragazzo, fatti furbo <strong>la</strong> prossima volta!<br />

31 Eh, e scusa, no? E’ giusto o no?<br />

159


7.<br />

Mi sono fatto <strong>la</strong>sciare l’auto <strong>da</strong> Non<strong>la</strong>siscttann. Dovevo fare un servizio, gli ho detto. Non so se<br />

avranno capito. Ma possibile che se ne siano <strong>da</strong>vvero scor<strong>da</strong>ti? Fatto sta che ho fatto quel che<br />

dovevo fare e sono rientrato in casa, nascondendo nel mio zainetto <strong>la</strong> sorpresa che devo far loro.<br />

L’ho portata nel<strong>la</strong> mia stanza, ho aperto <strong>la</strong> finestra nonostante il freddo e l’ho messa sul <strong>da</strong>vanzale.<br />

In cucina c’erano Daniele ed Ulisse che si accanivano sul<strong>la</strong> scelta del<strong>la</strong> cassetta di Quark <strong>da</strong> vedere.<br />

“Voglio il Procione!” diceva Strillo.<br />

“Ho detto Giaguaro! Uffa, almeno oggi che ho rischiato di morire posso scegliere io?” diceva Ulisse<br />

con una nuova birra ghiacciata schiacciata contro il setto nasale.<br />

“Tu hai messo le giraffe stamattina!” ha sentenziato Strillo, in giurisprudenza non si può competere<br />

con lui.<br />

“Allora facciamo scegliere agli altri!”<br />

“Non hai chiesto il parere degli altri quando hai voluto vedere le giraffe!” ha detto Daniele, mentre<br />

gli nascondeva <strong>la</strong> cassetta che inutilmente Ulisse cercava di strappargli <strong>da</strong>lle mani.<br />

“Ma sei pesante, lo sai? Non<strong>la</strong>siscttann, Procione o Giaguaro?” ha doman<strong>da</strong>to ur<strong>la</strong>ndo Ulisse.<br />

“Non me ne frega niente, sto leggendo il libro di Faletti!” è arrivata <strong>da</strong>ll’altra stanza una voce super<br />

partes.<br />

Sono entrato in cucina in quel momento. Mi hanno guar<strong>da</strong>to e mi hanno chiesto insieme.<br />

“Procione o Giaguaro?”<br />

“Magari... Koa<strong>la</strong>” ho risposto io.<br />

“No, Procione o Giaguaro!” mi hanno ripetuto ancora all’unisono. Ulisse, approfittando del<strong>la</strong><br />

distrazione di Strillo, gli ha soffiato <strong>la</strong> cassetta. Ognuno brandiva il suo nastro, dimostravano sedici<br />

anni in due.<br />

“Perché par<strong>la</strong>te come Pao<strong>la</strong> e Chiara?”<br />

“Procione o Giaguaro?” mi hanno incalzato.<br />

“Boh, direi Giaguaro!”<br />

“E vai!” ha ur<strong>la</strong>to Ulisse.<br />

“Vabbé, ma... Sergio!” ha ur<strong>la</strong>to Daniele “Non puoi <strong>la</strong>sciarmi <strong>da</strong> solo contro questi due che fanno<br />

comunel<strong>la</strong>!”<br />

“Sto leggendo” è arrivato di nuovo flebile <strong>la</strong> voce intellettuale di Sergio Non La Buttare.<br />

Io e Ulisse abbiamo improvvisato un hi-five <strong>da</strong> veri cazzoni americani e Ulisse ha finalmente messo<br />

il nastro.<br />

“Sai una cosa? Davvero non ho mai capito qual è <strong>la</strong> differenza tra un giaguaro, un ghepardo ed un<br />

leopardo...” ha confessato Daniele, arrendendosi.<br />

“Hai visto? Io per te lo dicevo, che sei un pezzo di ignorante! Mettiti zitto zitto che impari qualche<br />

cosa!”<br />

“Bello, ora ti rompo il naso!”<br />

“Arrivi tardi, allora!”<br />

Ci mettiamo in cucina, <strong>la</strong> cassetta parte e sullo schermo appare una mappa dell’America del Sud,<br />

che si stringe fino a mettere a fuoco <strong>la</strong> lunga striscia del<strong>la</strong> Patagonia. Scorrono le prime immagini<br />

del giaguaro, solitario ed elegante.<br />

“Boh! Per me è uguale al ghepardo e al leopardo...” ripete Strillo.<br />

La voce di Mr. Quark nostra infaticabile compagna di viaggio nel<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong>, attacca subito:<br />

Il suo nome indio è yaguara, "colui che uccide con un balzo".<br />

Questo animale infatti non insegue <strong>la</strong> sua pre<strong>da</strong>, <strong>la</strong> attende in agguato e nel momento più<br />

opportuno le balza addosso azzannandole <strong>la</strong> testa ai due lobi temporali. Quando il giaguaro tocca<br />

terra, <strong>la</strong> pre<strong>da</strong> è già morta con il cranio spaccato. Se però fallisce il colpo, non ci riproverà una<br />

secon<strong>da</strong> volta.<br />

160


Sergio entra in stanza in quel momento. Si tuffa sul divano insieme agli altri, con il suo libro in<br />

mano:<br />

“Troppa cultura potrebbe anche uccidermi...” dice, chiudendo il romanzo ed iniziando a girarne uno<br />

proprio sul<strong>la</strong> copertina.<br />

Io, nel frattempo, sono in perlustrazione nel frigo, con tanto di tuta antiradiazioni, al<strong>la</strong> ricerca di<br />

qualcosa che possa integrare il nostro salutare spuntino a base di frittura.<br />

“Secondo me questo è un leopardo!” martel<strong>la</strong> ancora Daniele. Mr. Quark, fai qualcosa per questo<br />

uomo scettico!<br />

Più massiccio del leopardo, più lento del ghepardo, è più piccolo del leone e del<strong>la</strong> tigre, ma più<br />

feroce perfino di quest'ultima.<br />

“Così ti stai zitto, finalmente!” urlo io <strong>da</strong>l cassetto delle verdure, grazie Mr. Quark!<br />

“Però assomigliano molto, dovete ammetterlo!”<br />

Animale misterioso e solitario, è molto difficile riuscire a vederlo e delle sue abitudini si sa<br />

pochissimo.<br />

I giaguari abitano un territorio che può estendersi fino a 300 miglia, si incontrano soltanto durante<br />

il calore, ma sono così solitari <strong>da</strong> irritarsi a vicen<strong>da</strong> durante il sesso.<br />

“Anch’io mi irrito a volte, quando vengo troppo presto!”<br />

Il loro potere è al contempo forte e versatile.<br />

Il giaguaro infatti sa cacciare nel<strong>la</strong> prateria come nel<strong>la</strong> foresta e le paludi; predilige <strong>la</strong> vicinanza<br />

dell'acqua, con cui, a differenza del<strong>la</strong> maggioranza dei felini, si trova a suo agio; sa pescare con le<br />

zampe al<strong>la</strong> maniere degli Orsi; è ottimo nuotatore e caccia anche piccoli alligatori o caimani.<br />

Per contro sono stati visti giaguari fino a 3800 metri d'altitudine.<br />

Non per caso gli indios narrano che possono vo<strong>la</strong>re sulle cime delle montagne e che ci sono<br />

giaguari acquatici che abitano le profondità dei fiumi.<br />

“Cazzutissimo!” ammira Ulisse “Praticamente un animale olimpionico!”<br />

“Cicileo!” chi arriverà per primo?<br />

“Eo” eccolo là Stril<strong>la</strong>cci, è sempre ben appostato, non c’è nul<strong>la</strong> <strong>da</strong> fare.<br />

Io nel frattempo sono indeciso tra un’insa<strong>la</strong>ta di pomodori e cetrioli o un piatto di pasta con le<br />

zucchine.<br />

In Centro e Su<strong>da</strong>merica è il Signore degli Animali nonché il principale alleato di molti sciamani.<br />

Sciamano-animale e Viaggiatore tra i Mondi, è grazie al suo viaggiare in questa e altre realtà che<br />

ha acquisito i suoi molti poteri. E ha <strong>la</strong> saggezza arcaica, forse oggi fuori-mo<strong>da</strong> (non a caso rischia<br />

l'estinzione), di tenere le sue conoscenze segrete.<br />

Sembra però che <strong>la</strong> sua origine sia ctonia, <strong>da</strong>l Mondo Sotterraneo verso cui accompagna spesso le<br />

anime dei morti, nel ruolo di psicopompo, gui<strong>da</strong> delle anime.<br />

“Psicopompo?” doman<strong>da</strong> al<strong>la</strong>rmato Daniele.<br />

“Certo che tu proprio non <strong>la</strong> smetti mai di pensare a quello! Sei deviato!” sottolinea Sergio<br />

“Insa<strong>la</strong>ta o pasta?” chiedo.<br />

“Pasta!” Ulisse.<br />

“Insa<strong>la</strong>ta!” Sergio.<br />

“Boh?” Daniele.<br />

“Ecco! Grazie per l’aiuto!” Io.<br />

161


“Cicileo!” Daniele.<br />

“Eo!” Ulisse.<br />

E' anche il signore delle montagne, dell'eco e del tamburo. Il suo ruggito è <strong>la</strong> voce del Tamburo e<br />

del Tuono.<br />

Occorre essere rispettosi del Giaguaro. Solo gli sciamani possono padroneggiarne lo spirito, negli<br />

uomini comuni esso può <strong>da</strong>r luogo a fenomeni di grave possessione: in Su<strong>da</strong>merica sono noti dei<br />

"giaguari mannari", analoghi ai licantropi europei.<br />

I Giaguari sono spesso animali lunari, perché schivi e in prevalenza notturni. Ma soprattutto il<br />

Giaguaro è l'incarnazione del<strong>la</strong> Terra che al tramonto divora il sole e diventa il potere dell'astro<br />

so<strong>la</strong>re durante <strong>la</strong> sua corsa notturna.<br />

Esso è perciò il Sole che splende nel Mondo Sotterraneo. E' anche guardiano del Fuoco.<br />

“Ma sai che non me lo facevo così in gamba quest’animale?”<br />

“Allora perché si dice: sei un giaguaro, no?”<br />

“Sembra che sappia fare tutto, secondo me è in gamba anche a fare...”<br />

“Smetti<strong>la</strong>!”<br />

“A fare politica, volevo dire! Potrebbe essere il leader del centro-sinistra che aspettiamo <strong>da</strong> anni!”<br />

“Oh, a lui non glie<strong>la</strong> passate più, che sta già delirando!”<br />

In Amazzonia, come gli sciamani di quel<strong>la</strong> terra, mangia <strong>la</strong> corteccia di Ayahuasca, <strong>la</strong> potente<br />

pianta psicotropa usata per avere visioni. Gli indios dicono che lo fa "per balzare nell'altra realtà".<br />

Nessun bianco l'ha visto direttamente farlo, anche se ne hanno trovato le tracce. Ma in esperimenti<br />

sui gatti, li hanno visti, dopo aver mangiato l'Ayahuasca, fare salti all'indietro: salti "al contrario",<br />

verso l'Altro Mondo.<br />

“E’ un grandee! L’animale tossicomane!”<br />

“Hai ancora voglia di scherzare sulle droghe, tu?”<br />

“Cicileo!”<br />

“Eo!”<br />

E' attivo soprattutto di notte. Ma in parte anche durante il giorno, specie al crepuscolo e all'alba, e<br />

non è un caso: queste infatti sono le ore "intermedie", in cui si aprono varchi tra le Realtà, varchi<br />

che i Giaguari-sciamani attraversano, spesso divorando l'Ayahuasca.<br />

Si accoppia, pare, in tutti i periodi dell'anno.<br />

“Massimo rispetto! Sesso, droga, sono sicuro che gli piacciono anche i Rolling Stones!”<br />

“Perché non <strong>la</strong> musica indie, no? Cicileo...”<br />

“Eo... Secondo me, il reggae!”<br />

“La techno! No no, no no no no, no no no no, no no, there’s no limits! Ahia, il naso!”<br />

Come animale saltatore, ha arti e artico<strong>la</strong>zioni possenti. Ma <strong>la</strong> sua maestria nell'agguato richiede<br />

grande potere negli occhi e nell'olfatto.<br />

Le sue mascelle e i denti sono poi incredibilmente forti, tra i pochi in grado di rompere anche il<br />

guscio delle più solide tartarughe.<br />

L'insolita tecnica di uccisione, che non spezza il collo del<strong>la</strong> vittima, ma gli ossi delle tempie, ci dice<br />

che il giaguaro colpisce al<strong>la</strong> testa e alle zone evolute del cervello e che di questi poteri si alimenta.<br />

“Allora, pasta! Va bene?”<br />

“Ma non mettere aglio, se no non <strong>la</strong> mangio!”<br />

“Con le zucchine si mette <strong>la</strong> cipol<strong>la</strong>!”<br />

162


“Voi non capite nul<strong>la</strong>, Houston, man<strong>da</strong>teci un cartone di 4 salti in padel<strong>la</strong>, che io non cucino più per<br />

questi!”<br />

“Daniele, apparecchi per favore?”<br />

“C’è un’altra birra? Questa mi si è riscal<strong>da</strong>ta sul naso!”<br />

“L’unica cosa che non manca in questo frigo sono le birre!”<br />

163


8.<br />

E’ difficile riconoscerci quando siamo insieme. Distinguere le parole, le riflessioni di ognuno di noi<br />

<strong>da</strong> quelle degli altri. Le nostre coscienze svaniscono, assorbite <strong>da</strong> un unico corpo collettivo, un<br />

corpo con quattro teste che è animato <strong>da</strong>llo spirito irriducibile di un fanciulletto.<br />

Sono troppi anni che ci conosciamo, abbiam finito per inerzia con l’assomigliarci tutti. C’è <strong>da</strong><br />

giurare che se fossimo state donne avremmo avuto il ciclo tutte nello stesso giorno. E probabilmente<br />

avremmo realizzato il nostro comune sogno erotico di assistere ad una scena d’amore saffico.<br />

Li guardo adesso, Non<strong>la</strong>siscttann, Strillo e Ulisse, e provo ad immaginare come sarebbero stati se<br />

fossero state donne. Mi domando se Daniele avrebbe avuto ugualmente i peli sulle spalle, come i<br />

gradi d’un prestigioso ufficiale d’altri tempi, poi immagino Ulisse: perennemente in tailleur, due<br />

volte a settimana <strong>da</strong>l parrucchiere per tenere a ba<strong>da</strong> i suoi capelli ricci. Sergio, con il naso <strong>da</strong><br />

barbagianni, complessata <strong>da</strong> morire. Saremmo state quattro racchie, io mi ci aggiungo con il mio<br />

culo appuntito.<br />

Quando stiamo insieme, le nostre anime si dissolvono, sfumano, come bolle messe a contatto che<br />

vengano assorbite <strong>da</strong> una più grande, e diano così <strong>vita</strong> ad un globo molto più allegro e simpatico.<br />

Eppure, sarà vero? Ci trasformiamo in qualcosa di più grande insieme o semplicemente<br />

dimentichiamo i nostri affanni, le nostre solitudini radicate, ci accostiamo uno all’altro per giocare<br />

con <strong>la</strong> <strong>vita</strong>, stormo di uccelli che piscia allegramente sulle miserie del mondo? Se siamo così<br />

meravigliosamente amici, perché poi ci troviamo come oggi, soli e incapaci di comunicare <strong>da</strong>vvero<br />

tra di noi?<br />

Faccio un riassunto, che avvalori <strong>la</strong> mia tesi sulle nostre intime solitudini:<br />

- il primo rischia di morire senza che gli altri neanche lo sappiano, impantanato in giri di<br />

droga come un criminale <strong>da</strong> foto segnaletica, sparisce per un giorno <strong>la</strong>sciando di sé tracce di<br />

polvere bianca ed una camicia insanguinata e strappata,<br />

- il secondo soffre per una tipa con cui è stato solo due settimane, un anno fa. Quattordici<br />

giorni, oh! Il tempo che intercorre tra due partite casalinghe del Bari. Una tipa del<strong>la</strong> quale<br />

dice “con lei ho raggiunto un grado di confidenza che con voi non ho mai sfiorato!”, donna<br />

batte amici per quattordici giorni a quattordici anni e considerato quello che Strillo confi<strong>da</strong> a<br />

noi, non posso immaginare cosa sia arrivato a dire a lei...<br />

- il terzo, vestito <strong>da</strong> pagliaccio, proprio non ci vuole stare ad ascoltare quando lo vogliamo<br />

costringere a studiare per fare l’ultimo esame; butta <strong>da</strong>l finestrino <strong>la</strong> mia compi<strong>la</strong>tion e<br />

tiene noi tutti fuori <strong>da</strong>lle storie del suo <strong>la</strong>voro perché tanto non potremmo capire, gli basta<br />

che gli garantiamo che lo accompagneremo in un posto <strong>la</strong> settimana prossima all’ora di<br />

pranzo, bontà sua...<br />

- il quarto, beh, il quarto sono io e... beh, per dimostrare <strong>la</strong> mia solitudine basta dire che se ne<br />

sono <strong>da</strong>vvero dimenticati, a quanto pare.<br />

Da tanto navigare aerospaziale, forse una cosa l’ho capita: non sono poi diversi gli esseri umani <strong>da</strong>i<br />

corpi metallici che popo<strong>la</strong>no il cosmo. Ne abbiamo visti tanti passare vicino <strong>la</strong> nostra astronave,<br />

ognuno affannato a girare nel<strong>la</strong> fissità del<strong>la</strong> propria orbita, destinato a sfiorarsi, amabilmente<br />

incrociarsi con qualche altro corpo, per tornare un attimo dopo ad orbitare solitario. Noi siamo così,<br />

forse non siamo astronauti, ma solo satelliti, quattro satelliti capitati molto molto vicini, con delle<br />

orbite, diciamo, “condominiali”, al punto che ognuno di noi riesce a distinguere perfettamente ciò<br />

che si para lungo il cammino degli altri. Però, forse, non sappiamo fare più di questo: non<br />

riusciremo mai a toccarci <strong>da</strong>vvero, a portare a fusione le nostre anime. Siamo satelliti. Siamo<br />

compagni di viaggio. Un meraviglioso, divertentissimo viaggio per le ga<strong>la</strong>ssie baresi, a bordo di una<br />

navicel<strong>la</strong> sgangherata, con finestre mal siliconate, con un frigo <strong>da</strong>l contenuto tossico, con uno<br />

stanzino pieno pieno di marijuana, con una pista nel sottotetto.<br />

Non esiste viaggio più bello di questo, nessun pacchetto <strong>da</strong> vil<strong>la</strong>ggio turistico arriverà a farci<br />

divertire tanto. E’ stato stupendo, probabilmente incontrarci è stata <strong>la</strong> cosa migliore del<strong>la</strong> nostra<br />

<strong>vita</strong>. Sono rimasto per dieci anni sedicenne in questo viaggio.<br />

164


Ma c’è una cosa che ho capito solo oggi, ed è questa: <strong>da</strong> un viaggio prima o poi si torna, altrimenti<br />

quello non è più un viaggio, ma lo si deve chiamare in un altro modo, e il suo nome è fuga.<br />

Io, di scappare, ne ho piene le tasche.<br />

165


9.<br />

E’ quasi l’ora. Ho sparecchiato e preso <strong>la</strong> sorpresa <strong>da</strong>l <strong>da</strong>vanzale del<strong>la</strong> mia camera. Il documentario<br />

avanza, si è dilungato sul puma e sull’anacon<strong>da</strong>, abbiamo imparato parecchie cose strane sul<strong>la</strong><br />

foresta amazzonica, e dopo un’oretta durante <strong>la</strong> quale abbiamo mangiato una pasta con le zucchine<br />

appena commestibile, adesso <strong>la</strong> voce è ritornata a raccontarci del felino che dà il titolo al<strong>la</strong><br />

videocassetta del nonno.<br />

Si par<strong>la</strong> degli uomini-giaguaro: secondo gli Indio ogni essere umano ha un animale che lo protegge,<br />

le divinità animali vegliano su di noi, esercitando <strong>la</strong> loro tute<strong>la</strong> attraverso le qualità che ci<br />

infondono. I miei tre amici giacciono sul divano storditi, le tinte delle fodere marroncine e verdi che<br />

scelse il nonno <strong>da</strong>nno al divano sicuramente più <strong>vita</strong>lità dei loro sederi addormentati. Chissà qual è<br />

l’animale che protegge ognuno di loro, probabilmente <strong>la</strong> balena spiaggiata.<br />

Quasi sottovoce, per non risvegliare le nostre coscienze dormienti, Mr. Quark descrive gli Uomini<br />

Giaguaro:<br />

Il Giaguaro porta poteri assai impegnativi <strong>da</strong> gestire, come <strong>la</strong> forza e <strong>la</strong> versatilità insieme, il<br />

talento in molti campi diversi, ma anche <strong>la</strong> solitudine, il potere di gestire questi talenti <strong>da</strong> soli,<br />

senza l'aiuto degli altri.<br />

Gli uomini-giaguaro e le donne-giaguaro, se prendono in mano il loro potere, sanno esprimersi su<br />

terreni assai diversi, esploratori di vasti e incontaminati territori in senso sia letterale sia<br />

spirituale.<br />

Sono maestri nell'agguato e nell'attendere il momento opportuno, e quando attaccano sono<br />

inesorabili.<br />

E' difficile dominare l'aggressività del giaguaro.<br />

Individualisti, scontrosi, spesso insofferenti al<strong>la</strong> presenza degli altri, suscettibili, hanno bisogno di<br />

un loro spazio <strong>vita</strong>le che non venga invaso. Possono aver difficoltà nel<strong>la</strong> <strong>vita</strong> di coppia.<br />

Devono sviluppare i loro progetti <strong>da</strong> soli e tenere segrete le loro intenzioni altrimenti perderanno<br />

potere e al<strong>la</strong> fine saranno deboli e sconfitti.<br />

Se però non riescono a gestire o rifiutano <strong>la</strong> sfi<strong>da</strong> di padroneggiare il loro potere, presenteranno<br />

problemi al<strong>la</strong> vista e ai denti.<br />

Tutto ciò che realizzeranno sarà dovuto solo ai loro sforzi personali.<br />

Sono affascinanti ma suscitano timore e diffidenza. Timidi ma anche aggressivi e talora spietati.<br />

Sanno vedere nel buio e hanno dunque doti di chiaroveggenza, spesso fin <strong>da</strong>ll'infanz... click.<br />

“Oddio, ma!” si risveglia Ulisse, quando spengo <strong>la</strong> tv.<br />

“E questa?” doman<strong>da</strong> Strillo, con occhio già libidinoso.<br />

“Basta con queste cazzate!” dico io “Le donne giaguaro mancavano nel<strong>la</strong> nostra <strong>vita</strong>... come se non<br />

avessimo abbastanza problemi con le donne normali!”<br />

“Ma, che vuol dire quel<strong>la</strong>?” mi chiede Non<strong>la</strong>siscttann, svegliatosi per ultimo, indicando quello che<br />

ho in mano.<br />

“Che ore sono?” inizio a prender<strong>la</strong> <strong>da</strong> dietro.<br />

“Le... ventitre e cinquantotto!” dice l’Ingegner Ulisse, ripresosi <strong>da</strong>l torpore, guar<strong>da</strong>ndo sul suo<br />

Rolex.<br />

“Cioè mancano due minuti a...” li aiuto, occhieggiando dietro <strong>la</strong> torta che ho messo in vetrina sui<br />

loro sguardi.<br />

“Mezzanotte!” dicono insieme.<br />

“Che giorno è oggi?”<br />

“Mi pare... mercoledì!”<br />

“Non che giorno del<strong>la</strong> settimana, che numero, voglio dire...”<br />

“29?” doman<strong>da</strong> Daniele.<br />

“No, mi dispiace è 30!”<br />

166


Silenzio.<br />

“Mancano due minuti al trentuno!” dico.<br />

“Il tuo compleanno! Porca trota, mi sono dimenticato!” Ulisse si sente sinceramente in colpa, lo so.<br />

“Mo’!” dice soltanto Sergio, rimanendo a bocca aperta.<br />

La reazione di Strillo è <strong>la</strong> più emozionata:<br />

“Il tuo compleanno? Già siamo arrivati al 31?” doman<strong>da</strong>.<br />

“Eh già!” sorrido imbarazzato.<br />

“Porca puttana! Che coglione che sono!” bestemmia, con enfasi insolita.<br />

Provo a tranquillizzarlo:<br />

“Dai, non mi offendo, anche se ti sei scor<strong>da</strong>to! Non volevo certo il regalo!”<br />

“Ma mica parlo del tuo compleanno, mi è scaduto il bollo al<strong>la</strong> macchina! Avevo associato <strong>la</strong><br />

scadenza al tuo compleanno! Ma porca puttana! Certo che tu... mi raccomando, in silenzio, fai <strong>la</strong><br />

sorpresa, non dire nul<strong>la</strong>, no?”<br />

“Oh, scusami, non volevo <strong>da</strong>rti noia!” dico polemicamente.<br />

“Dai affrettiamoci, che manca poco! Hai comprato una bottiglia?” mi chiede Sergio.<br />

“E’ chiaro! Sta di là!”<br />

Vo<strong>la</strong> a prender<strong>la</strong>, ritorna, mi cantano <strong>la</strong> versione intramontabile di ‘Cause He’s a jolly good fellow,<br />

con finale in rima Ragazzo-Testa di Cazzo.<br />

Dieci. Nove. Otto. Sette. Sei. Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno.<br />

Auguriiiii.<br />

Riempiamo i bicchieri e brindiamo al<strong>la</strong> pazzesca giornata che è appena finita:<br />

“Perché <strong>la</strong> <strong>vita</strong> non smetta mai di scorrere con tutto il suo impeto nelle nostre vene e nel<strong>la</strong> nostra<br />

città, magari però senza nasi rotti!” dice Ulisse.<br />

“Perché le idee su come rendere questo pianeta migliore arrivino sempre in almeno uno dei nostri<br />

quattro cervelli, e perché Fantasma impari a cucinare qualcosa di più saporito di quel<strong>la</strong> pasta<br />

schifosa!” questo è Sergio.<br />

“Perché le donne non smettano mai di...”<br />

”Ok! Abbiamo capito...” interrompo Strillo.<br />

“... volevo dire, perché le donne non smettano mai di farci battere il cuore e... soprattutto... perché<br />

Fantasma impari ad ascoltare qualcosa meglio di questa musica! Tieni, <strong>da</strong> parte dell’Apollo <strong>13</strong>!”<br />

dice e tira fuori <strong>da</strong> sotto il divano una busta con un pacchetto.<br />

Lo scarto in fretta, contiene dei cd de Los P<strong>la</strong>netas, addirittura l’introvabile EP “Medusa”, e il<br />

doppio di B-Sides “Canzoni per un’orchestra chimica”: non posso crederci, <strong>la</strong> mia collezione adesso<br />

è completa.<br />

“Ma, allora non vi siete dimenticati!”<br />

“Già immagino le paranoie che ti eri sparato per non aver avuto il regalo! Confessa!”<br />

“No, ma che dici!” a questo punto è meglio tenere per me <strong>la</strong> <strong>storia</strong> di noi quattro come satelliti nello<br />

spazio che non si toccheranno mai.<br />

“Auguri Fantasmino!” mi gri<strong>da</strong>no insieme. Pazzesco, chissà come avranno fatto a farsi spedire i Cd<br />

<strong>da</strong>l<strong>la</strong> Spagna.<br />

Beh, adesso non manca proprio nul<strong>la</strong>.<br />

“Mangiamo <strong>la</strong> torta, o no?” era qui che voleva arrivare Daniele.<br />

La poggio sul tavolo, prendo paletta e piattini. Sto per fare il taglio.<br />

“No! Ma che fai?” mi ferma Non<strong>la</strong>siscttann “Sei pazzo? E le candeline?”<br />

“Dai! Le candeline, adesso... ormai sono fatto ciuccio grande 32 !” dico italianizzando il baresismo.<br />

“Sei senza priscio 33 !” dice Ulisse che con <strong>la</strong> bottiglia di spumante a raffred<strong>da</strong>rgli il naso si è messo<br />

a rovistare nel<strong>la</strong> credenza del nonno.<br />

“Non credo ce ne siano!” dico io.<br />

32 Sono diventato un asino grande, cioè sono cresciutello.<br />

33 Divertimento.<br />

167


“Ci saranno quelle di tuo nonno forse. Strillo, vedi tu, che non riesco a piegarmi, mi fa male il<br />

naso!”<br />

“Ti fa male il naso e non riesci a piegare le gambe?” polemizza Daniele.<br />

“Dai, muoviti!”<br />

E’ incredibile <strong>la</strong> <strong>vita</strong>lità che il mio compleanno ha ritirato fuori in queste carcasse di cetaceo.<br />

Stril<strong>la</strong>cci si spalma con <strong>la</strong> guancia per terra e rastrel<strong>la</strong> il fondo del<strong>la</strong> credenza.<br />

“Ho trovato qualcosa! Sono un grande!” gli piace spesso dirselo <strong>da</strong> solo “Ecco qua!”<br />

Riemerge con un ciuffo di polvere impigliata al<strong>la</strong> barba che si è <strong>la</strong>sciato crescere negli ultimi tre<br />

giorni. Tira fuori due candele soltanto, quelle a forma di numero, di quando mio nonno compì<br />

settantuno anni.<br />

“Beh, meglio di niente!”<br />

“E che ce ne facciamo?” dice Sergio.<br />

“Settantuno anni. Beh è di buon auspicio!” sottolinea Daniele.<br />

“Li porti bene, però!” il caro vecchio Ulisse.<br />

“Oppure...” mi viene un’idea.<br />

I simboli del<strong>la</strong> <strong>vita</strong> si nascondono nelle piccole cose del mondo.<br />

Basta invertire l’ordine delle cifre e dopo un minuto ecco che, soffiando sulle candeline a forma di<br />

uno e di sette, Fantasma finalmente compie diciassette anni.<br />

168


LE PAROLE DELL’AMORE CHE FINISCE NON HANNO SENSO (bonus track, come in ogni cd<br />

che si rispetti)<br />

Siamo saliti nel sottotetto, però troppo viva era l’emozione per quello che sento dentro. Così,<br />

irrimediabilmente, mi sono schiantato al<strong>la</strong> prima curva! Non bisognerebbe mai mettersi al vo<strong>la</strong>nte<br />

in stato emotivo confusionale. Io, invece, l’ho fatto. Sono partito forte, e mi sono messo subito<br />

<strong>da</strong>vanti agli altri. Al<strong>la</strong> fine del primo rettilineo ero nettamente in testa. Di due buone lunghezze.<br />

C’era <strong>la</strong> curva, ma non mi faceva paura. Sentivo in quel momento che <strong>la</strong> mia <strong>vita</strong> avrebbe<br />

raddrizzato ogni curva. E allora, ho accelerato ancora, ho accelerato proprio prima di entrare in<br />

curva. La mia Lotus nera ha scu<strong>la</strong>to un po’, però sarebbe bastato mantenere il motore in trazione,<br />

e<strong>vita</strong>re scosse, e le ruote si sarebbero raddrizzate, l’assetto sarebbe tornato a posto e sarei uscito<br />

<strong>da</strong>l<strong>la</strong> curva esattamente <strong>da</strong>vanti agli altri. Di poco, ma <strong>da</strong>vanti. Avrei perso una lunghezza delle<br />

due che avevo preso, ma con l’aggiunta spettaco<strong>la</strong>re di un brivido, sarei rimasto ancora lì a far<br />

loro mangiare <strong>la</strong> mia polvere.<br />

Invece ho schiacciato ancora il pe<strong>da</strong>le, ho <strong>da</strong>to più gas e <strong>la</strong> mia macchina, pum, è an<strong>da</strong>ta dritta,<br />

dritta fi<strong>la</strong>ta, ha rigorosamente tracciato <strong>la</strong> tangente del<strong>la</strong> curva, ricor<strong>da</strong>ndomi che, come <strong>la</strong><br />

matematica, anche <strong>la</strong> geometria è materia poco opinabile. E’ durato un attimo, ho tagliato <strong>la</strong><br />

curva, sono an<strong>da</strong>to fuori carreggiata, ho sfon<strong>da</strong>to il guard-rail, mi sono cappottato, e <strong>la</strong> mia<br />

macchinina si è ribaltata fino al<strong>la</strong> porta dello stanzino delle piante del nonno, dove si è fermata <strong>la</strong><br />

sua corsa.<br />

Troppo occupati a contendersi <strong>la</strong> via libera, quei tre quasi non se ne sono accorti, hanno fatto una<br />

risatina generale, beandosi di avere un concorrente in meno verso il traguardo. Io ho recuperato <strong>la</strong><br />

mia macchinina, e silenzioso come un buon Fantasma, sono scivo<strong>la</strong>to al piano di sotto.<br />

Ho ripreso i cd che mi hanno rega<strong>la</strong>to i miei amici, ne ho accarezzato le copertine come fosse il<br />

pelo di un animale rarissimo. Ho spento le luci. Ho appoggiato <strong>la</strong> Lotus di Piquet sul termosifone,<br />

quello che il nonno teneva quasi sempre spento. Ho pensato a lungo sul<strong>la</strong> canzone <strong>da</strong> mettere, il<br />

compleanno di un Fantasma richiederebbe qualcosa come P<strong>la</strong>in Song dei Cure cantata però <strong>da</strong><br />

Yuppie Flu. La casa, con tutte le bottiglie di birra vuote per terra, chiede bisbigliando che io metta<br />

nello stereo <strong>la</strong> canzone de Los P<strong>la</strong>netas che si chiama come lei, La casa. Il buio di qui sotto ricor<strong>da</strong><br />

le Notti Artiche di Nacho Vegas, e neanche Valentine dei Get Up Kids, Celesta o Una piel de<br />

Astracan dei Maga o addirittura Caramel Pop dei Verdena starebbero male adesso. Invece ne ho<br />

scelta un’altra. Ho messo ancora i Wheat: Per second, Per second, Every second è l’album, The<br />

beginner <strong>la</strong> canzone che ascolto adesso.<br />

La voce entra <strong>da</strong> so<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> stanza, quasi chiedendo permesso al silenzio. Sono i pezzi che amo di<br />

più, quelli in cui gli strumenti si aggiungono uno al<strong>la</strong> volta, lentamente. Le note si moltiplicano,<br />

l’anima si di<strong>la</strong>ta piano per accoglierle. Aria pura, come di un’alba sul<strong>la</strong> neve, pervade i miei<br />

polmoni. Respiro Amore, sono certo, respiro Amore. E ogni secondo che passa mi sento meglio.<br />

Ne ho voglia. Ne ho voglia come quando <strong>da</strong> bambino il sabato pomeriggio guar<strong>da</strong>vo il cielo <strong>da</strong><br />

dietro i vetri del<strong>la</strong> mia cucina sperando che smettesse presto di piovere per poter an<strong>da</strong>re a giocare<br />

a pallone. Ne ho voglia come quando mi passavo tra le <strong>la</strong>bbra il sapore del primo bacio e non<br />

vedevo l’ora che <strong>la</strong> mia fi<strong>da</strong>nzatina ritornasse perché desideravo provarlo ancora. Ne ho voglia<br />

come quando mio padre tornava <strong>da</strong>i suoi viaggi di <strong>la</strong>voro e aspettavo con ansia silenziosa che<br />

disfacesse il suo bagaglio e nel<strong>la</strong> sua valigia, per picco<strong>la</strong> che fosse, accanto alle camicie, al<strong>la</strong><br />

borsa del rasoio ed al pigiama, stai sicuro che c’era sempre un piccolo posto per un regalo a me e<br />

mio fratello.<br />

Ne ho voglia, ho voglia di farlo. Ho voglia di afferrarlo <strong>da</strong> un lembo, strattonarlo e di vedere cosa<br />

c’è sotto.<br />

Sotto il mio lenzuolo.<br />

Provo a tirarlo via.<br />

F<strong>la</strong>p.<br />

Respiro. Respiro piano e finalmente riesco a piangere.<br />

169


Prendo il telefono, mi fermo, soppeso su un palmo <strong>la</strong> cornetta che in questo momento pesa ben più<br />

d’un quintale. Non servirà a nul<strong>la</strong>, forse tornerò a nascondermi tra un secondo. O forse no.<br />

Ci metto dieci numeri. E qualche eterno secondo finché prendo <strong>la</strong> linea. Lei risponde al terzo<br />

squillo. Il cuore mi si stringe tanto che starebbe <strong>la</strong>rgo in una scato<strong>la</strong> di fiammiferi.<br />

“Pronto?” è <strong>la</strong> sua voce.<br />

Ora tocca a me:<br />

“Pronto…, ciao… sono… sono Matteo… ”<br />

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