CICILEO (la vera storia dell'Apollo 13) - Primperan, vita da trentaneo
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6.<br />
Pensavo di rimanere solo, invece no! Non<strong>la</strong>siscttann è fi<strong>la</strong>to via in gran segreto, ma non per an<strong>da</strong>re<br />
a <strong>la</strong>vorare. Ha detto solo “poi ti spiego!”. Quando è così, è roba di femmine. Ulisse è uscito, l’ho<br />
visto preoccupato, mi ha guar<strong>da</strong>to e ha detto due volte: “Io sto uscendo”, aveva quasi gli occhi<br />
lucidi. Era agitato. Gli ho chiesto: “Dove vai?” e non mi ha risposto, mi ha passato uno di quei<br />
sorrisi che si scambiano due innamorati quando uno prende un aereo <strong>da</strong>l quale l’altro resta giù. Si è<br />
rifugiato in camera di fretta, ne è schizzato fuori dopo cinque minuti. Mi ha preso il volto tra le<br />
mani, Ulisse ha le mani sempre caldissime. Morbide e caldissime. Mi ha detto con i denti serrati<br />
“Andrà tutto bene... andrà tutto bene. Non rispondere al telefono e non mi cercare, dillo anche agli<br />
altri. Se mi cerca mio padre mettetevi d’accordo perché pensi che sono con uno di voi”. Ha tirato su<br />
con il naso e si è morso le <strong>la</strong>bbra. Lì ho capito. Mi ha baciato ed è vo<strong>la</strong>to via.<br />
Sono an<strong>da</strong>to nel<strong>la</strong> sua stanza. La stanza di Ulisse è <strong>la</strong> più grande, gliel’ho <strong>la</strong>sciata perché in fin dei<br />
conti per lui farei qualunque cosa. Se l’è arre<strong>da</strong>ta lui e, nonostante l’architetto sia io, devo<br />
confessare che è molto meglio del<strong>la</strong> mia. Nessun gioco inutile, niente canestri e puttanate, nessun<br />
indumento fuori posto, mobili in stile barca, <strong>la</strong>ccati che ti ci puoi specchiare e profumati come un<br />
bosco, un copriletto pulito ogni due giorni, <strong>la</strong> libreria piena di testi <strong>da</strong> ingegnere, i raccoglitori con<br />
gli appunti di tutti gli esami divisi per anno, il cassetto delle camicie a quadretti, un altro per quelle<br />
a righe, quelle a tinta unita. Gli an<strong>da</strong>va stretto tutto questo, posso capirlo. Ma non è sparpagliando<br />
neve sullo scrittoio in pelle che ne verrà fuori. Non si è premurato neanche di chiudere <strong>la</strong> porta o<br />
nascondere il sacchetto... porca paletta, mi passo una mano sul<strong>la</strong> fronte, quand’è che non mi sono<br />
accorto di tutto questo?<br />
Mi sono affacciato nel<strong>la</strong> stanza di Strillo, mi sembrava strano che fosse uscito senza salutarmi. E<br />
infatti lo trovo al computer.<br />
“Che cazzo fai? E al <strong>la</strong>voro?” domando.<br />
Lui si spaventa, trasale e mi accorgo che istintivamente mette giù <strong>la</strong> finestra che stava guar<strong>da</strong>ndo<br />
riducendo<strong>la</strong> ad icona.<br />
“No... niente” balbetta, poi si ricompone.<br />
“Guar<strong>da</strong> che per me puoi fare che cazzo vuoi con il computer, tanto te <strong>la</strong> paghi tu <strong>la</strong> bolletta<br />
internet, vai pure con i pornazzi...”<br />
“Ma che stai a dire?” rialza <strong>la</strong> finestra “Stavo chattando, ho beccato una tipa, vedi?”<br />
“Non mi interessa, ti ho detto! Volevo capire perché non fossi al <strong>la</strong>voro...”<br />
“Affanculo <strong>la</strong> filiale, oggi! Al capo ho detto che avevo <strong>la</strong> diarrea!”<br />
“Potrebbe essere quel<strong>la</strong> giusta?” gli domando.<br />
Mi sorride... quante sono quelle giuste che ha già beccato in chat? Uff... io ne ricordo almeno<br />
cinque.<br />
Per non par<strong>la</strong>re di quelle sbagliate... come quel<strong>la</strong> volta che disse che non veniva a giocare a calcetto<br />
con noi perché aveva <strong>la</strong> febbre. Lo <strong>la</strong>sciammo a casa: pigiama color verdone, Coppa Italia in TV,<br />
pizza di patate del<strong>la</strong> mamma di Non<strong>la</strong>siscttann… tutto rego<strong>la</strong>re, insomma! Salvo il fatto che dopo <strong>la</strong><br />
partita incrociammo <strong>la</strong> sua auto <strong>da</strong>vanti ai bar del Lungomare. Ci preoccupammo, noi tre ingenui! E<br />
ci avvicinammo al<strong>la</strong> macchina per control<strong>la</strong>re che non glie<strong>la</strong> avessero rubata... invece era proprio<br />
lui: abbassò il finestrino imbarazzatissimo e prima che noi potessimo doman<strong>da</strong>rgli nul<strong>la</strong>, affianco a<br />
lui, sul sedile passeggero si affacciò verso di noi una tipa con una faccia talmente grande che tutto il<br />
finestrino non riusciva ad inquadrar<strong>la</strong>. Una testa che per farle un cappello ci voleva almeno <strong>la</strong> <strong>la</strong>na<br />
di tre pecore. Io non riuscii a non riderle in faccia.<br />
Dopo mezz’ora eravamo di nuovo tutti e quattro a fare Cicileo sulle panchine del Lungomare,<br />
l’aveva mol<strong>la</strong>ta a casa con <strong>la</strong> stessa scusa che aveva usato con noi!<br />
“Scusa devo tornare a casa, credo di avere <strong>la</strong> febbre, <strong>da</strong>i ci sentiamo un altro giorno!”<br />
Stril<strong>la</strong>cci, che uomo di mer<strong>da</strong>! Però che risate!<br />
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