Archivio omelie Anno Liturgico 2004-2005 (anno A)
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DELLE PALME<br />
Matteo 26,14-27,66<br />
Per tradizione quando si legge la Passione non c’è omelia.<br />
E questo per due motivi, credo: perché il tempo per le celebrazioni è misurato, e poi perché è<br />
oggettivamente impossibile commentare un testo così lungo e così ricco.<br />
Sarà così anche questa volta.<br />
E poiché suppongo che i pochi che leggono queste riflessioni siano per lo più anziani, li invito a<br />
ricordare come era, una volta, il “Passio”. Interminabile perché anche nelle chiese più umili veniva<br />
cantato: la voce di Gesù sempre bassissima; quella del narratore normale, e quelle degli altri<br />
interlocutori sempre altissima, tanto che chi si assumeva quel ruolo faceva la “parte del gallo”.<br />
Non capivamo niente, perché il canto era rigorosamente in latino, eppure il senso drammatico del<br />
racconto non ci sfuggiva, e qualcosa lo intuivano anche i bambini: “crucifige, crucifige eum”;<br />
“Consummatum est”. E si capiva che si parlava di odio e di morte.<br />
E mi domando se sono più fortunati i cristiani di oggi che capiscono tutto ma anche dimenticano<br />
presto, o se lo erano quelli di un tempo che capivano poco, ma quel poco li segnava per sempre.<br />
Mah!<br />
Tra tutti i personaggi che il testo ci propone voglio parlare di uno: di Giuseppe di Arimatea, che si<br />
incontra proprio nell’ultima parte della Passione.<br />
Il racconto di Luca dice che era una persona buona e giusta, e che essendo membro del sinedrio, il<br />
tribunale che aveva condannato Gesù, non aveva aderito alla decisione presa quasi all’unanimità.<br />
Luca racconta ancora che si presentò da solo a Ponzio Pilato per chiedere il premesso di seppellire<br />
Gesù, e che, ottenutolo, si prese il compito, tutt'altro che allegro e che ogni ebreo evitava volentieri<br />
(perché rendeva impuri e cioè indegni di partecipare al culto) di schiodarlo dalla croce, di<br />
avvolgerlo in un lenzuolo, e di metterlo in una tomba nuova,.<br />
Matteo aggiunge che la tomba era quella che Giuseppe aveva fatto scavare per se.<br />
Io sono affascinato da questa figura di uomo che da solo lotta contro una maggioranza pericolosa<br />
per una causa già persa.<br />
Da questa figura di uomo che si espone pubblicamente di fronte alle autorità romana ed ebraica per<br />
prendere personalmente il corpo di un giustiziato.<br />
Da questa figura di uomo che dà la sua tomba nuova per uno sconfitto.<br />
Nelle tenebre del Venerdì santo non c’è speranza di risurrezione.<br />
Nella sconfitta della croce non c’è attesa di vittoria pasquale.<br />
Quello di Giuseppe è amore vero, un amore che non calcola, un amore che ama solo per amore.<br />
Che ama nella solitudine, che ama rischiando, che ama donando, che ama senza la speranza del<br />
più piccolo contraccambio.<br />
Giuseppe è l’amico nella sventura. Raro da trovare.<br />
Giuseppe è, più di ogni altro, colui che ci riscatta come uomini…<br />
Con questo gesto Giuseppe getta tutto nel piatto. e di lui, dopo, non si dice più niente.<br />
Matteo lo liquida, per sempre, con un “se ne andò”<br />
Io invece sono certo che uno di quelli che Gesù ha incontrato dopo la risurrezione è stato proprio<br />
lui. Immagino un lungo abbraccio affettuoso, un “grazie” appena sussurrato, un incrociarsi di<br />
sguardi luminosi.<br />
E mi piacerebbe, lo dico davvero, diventare come lui.<br />
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