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Ottobre 2010 n. 66 - Teramani.info

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26<br />

ott <strong>2010</strong><br />

CINEMA<br />

Il film del mese<br />

L’insostenibile<br />

leggerezza<br />

dell’aria<br />

Shyamalan ricapitola il suo cinema<br />

in un extra-film<br />

Acqua e aria e terra e fuoco. Acqua è aria è terra è fuoco.<br />

Congiunzione (che, a volte, è anche separazione) e poi equivalenza.<br />

Il cinema dell’indian-american M. Night Shyamalan<br />

è tutto qui. Filosofico, in linea<br />

con la legge cosmica platonico aristotelica.<br />

Le quattro radici dell’universo, gli<br />

elementi primordiali di cui sopra, fanno<br />

del mondo, dell’esistenza e dell’uomo<br />

un essere vivente razionale. Ogni elemento<br />

naturale vive dell’altro, nessuno<br />

può essere scisso dall’altro. Dentro e<br />

fuori di sé.<br />

Signs, il suo capolavoro, era la visualizzazione<br />

ad alto grado mistico di una<br />

massima indiana: “Accendi il fuoco; ti<br />

farò vedere una bella cosa: una grande<br />

palla di neve!”. Dal fuoco della passione<br />

(amore, ira, dolore) si scatenavano le<br />

luci d’inverno interiori (il ghiaccio) che<br />

portavano un sacerdote episcopale<br />

a rinnegare Dio e sé stesso, fino a<br />

materializzare creature aliene terribili e<br />

incendiarie. Terra (mondo) e aria (vita)<br />

in subbuglio. Ma per spegnere gli alieni<br />

niente di più semplice che l’acqua,<br />

quarta essenza “quintessenza”. Dopodiché<br />

ricomposizione necessaria: ritorno<br />

della fede, ghiaccio sciolto, fuoco (familiare)<br />

ritrovato.<br />

Si accorsero in pochi, all’uscita del film,<br />

addirittura da molti stroncato, dell’infinita<br />

tessitura simbolico-religiosa spalmata<br />

su uno stile controllatissimo e magistrale, per niente mainstream.<br />

Mentre ci fu quasi una unanimità per The Village, più in leggibile<br />

linea nel mettere in luce, con furore, una certa tendenza mondia-<br />

di<br />

Leonardo<br />

Persia dimmitutto@teramani.<strong>info</strong><br />

le post-11 settembre a chiudersi dentro, a non voler varcare un<br />

confine tutto mentale, e per via di uno stile dimesso-spettacolare<br />

(inconfondibile) che finiva per amplificare horror e metafora. Lì si<br />

trattava di ri-dare aria e acqua a un terreno/territorio non più irrigato,<br />

limite estremo di condensazione. Scura opacità, in posizione di<br />

separazione rispetto alla brillantezza<br />

shining di fuoco e luce. L’America<br />

ha in parte superato quel periodo<br />

regressivo; l’Italia berluscopica ne<br />

sta scontando adesso l’apoteosi<br />

putrida. Arrivi al più presto, per farci<br />

di nuovo respirare, un flusso d’ariaacqua-terra-fuoco!<br />

Che il regista non fosse del tutto<br />

compreso in queste brillanti osservazioni<br />

forse inconsce ma ispirate al<br />

claustro-mondo monade che (non)<br />

viviamo, fu confermato da Lady<br />

in the Water, opera geniale sul<br />

narrare post-moderno bloccato e<br />

ripiegato su sé stesso che, per virtù di irrigazione sociale, nel film<br />

ricomincia a scorrere. L’acqua veniva mostrata come la sostanza<br />

primordiale da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna, simbolo cosmogonico<br />

di purificazione e rigenerazione,<br />

che era altresì metafora del cinema,<br />

liquido di luce. Forse davvero l’icosaedro<br />

platonico che, decomposto, diventa<br />

un tetraedro di fuoco e due ottaedri<br />

d’aria. Lo ha sempre saputo James<br />

Cameron, da tirare in ballo perché ne<br />

L’ultimo dominatore dell’aria, si<br />

riaffaccia il concetto, ormai stranoto,<br />

oltre che straniato, dell’avatar. Un<br />

concetto mi(s)tico, ancora, che sta a<br />

quest’ultimo film come stava la signora<br />

dell’acqua al film omonimo.<br />

Il dodicenne Aang (Noah Ringer) è<br />

the last airbender, unico superstite<br />

dei Nomadi dell’Aria, unico capace di<br />

dominare tutti e quattro gli elementi,<br />

in un mondo caratterizzato da terribili<br />

separazioni geo-politiche tra quattro<br />

regni rispettivamente intitolati agli<br />

stessi. Appare tra il ghiaccio, col fuoco,<br />

facendo esplodere l’aria, mentre Katara<br />

(Nicola Peltz), dominatrice dell’acqua,<br />

giocando un po’ troppo coi suoi<br />

poteri, che la porta a sconfinare al-di-là<br />

dei villaggi (anche mentali) consentiti,<br />

lo fa emergere come il dio bambino<br />

che è.<br />

Il fratello Sokka (James Rathbone) la<br />

rimprovera, ma tant’è. Nel gioco dicotomico yin yang, maschile<br />

femminile, giocoso razionale, tutto tradotto in termini adolescenziali,<br />

la ri-composizione non può che avvenire trasgredendo. I<br />

Il plot affastellato non<br />

risulta proprio adatto a un<br />

regista dal tocco incantato e<br />

contemplativo, grande quando<br />

deve ruotare intorno a una<br />

sola (grande) idea.<br />

Qui fa fatica a narrare in<br />

maniera piatta e lineare,<br />

benché densa.

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