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Ottobre 2010 n. 66 - Teramani.info

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conservatori del mondo, se non fossero gli<br />

imbecilli che sono, dovrebbero essere i primi<br />

a promuovere lo scatto ultra-normativo.<br />

E invece. Per questo nel film il paesaggio<br />

è quello di un mondo tutto scisso perché<br />

mai sconfinato. Imperversa, dittatoriale, in<br />

una stagione di anomia, il Fuoco. Ha sterminato<br />

i Nomadi dell’Aria, adesso avanza<br />

come un siluro destrorso verso la Tribù<br />

dell’Acqua per privatizzarla. Ognuno per sé<br />

e Dio (sostituito dal Potere) contro tutti in<br />

un mondo post-global in cui non è difficile<br />

rispecchiare il nostro.<br />

Aang è quindi lo sguardo baby, ragazzino<br />

per tutte le stagioni di decadenza e caos,<br />

terreno fertile per la riapparizione dell’avatar/Gesù<br />

bambino, che incorpora nel suo<br />

sguardo a 3(000) dimensioni (archetipi e<br />

ancestrali incorporati), il sogno di una cosa<br />

sublime. Riunire le parti, ricominciare il regno<br />

dell’Aria, riavviare il mondo. Combattere<br />

il nemico. Qui sintetizzato dal principe<br />

Zuko, figlio scon-fesso del Re del Fuoco e<br />

l’ammiraglio Zhao, cacciati dalla Nazione<br />

disunita dittatoriale. Poveracci che, in linea<br />

con le attuali tendenze mondiali, credono<br />

di riconquistare gli onori perduti, sottomettendosi<br />

a chi ha fatto loro del male e<br />

mettendosi contro chi è a favore. Contro<br />

un salvatore. Pensare, come si dice in una<br />

battuta (del piccolo avatar rivolto a Zuko),<br />

che si poteva (doveva) essere amici: Le<br />

separazioni dei regni sono anche separazioni<br />

tra vittime, focolai di guerre private al<br />

diapason di frustrazioni represse.<br />

Il soggetto proviene da una serie cartoon<br />

americana assai in voga (autori Michael<br />

Dante Di Martino e Bryan Konietzko) che<br />

risulta già, nelle ibride forme, misto di anime<br />

e cartone domestico USA, Oriente e<br />

Occidente, in linea coerente con il discorso<br />

promoter della fusione dopo la confusione.<br />

Film commissionato, film dove Shyamalan,<br />

sempre sor-<br />

prendentemente<br />

veloce nel<br />

suo stile lento<br />

e fantasmatico,<br />

conquistatore<br />

degli applausi<br />

persino di<br />

Jacques Rivette,<br />

deve vedersela<br />

con la velocitàvelocità.Risultando<br />

statico.<br />

Non monta come<br />

va di moda, dilata<br />

anche qui la tenituradell’immagine;<br />

e l’azione<br />

è soprattutto<br />

quella interiore,<br />

essenzializzata<br />

nei primi piani<br />

(ma gli attori non<br />

sono all’altezza).<br />

Tuttavia: strepiti, stile Chaolin e Ba Gua<br />

Zhang, per i combattimenti di Aang, a<br />

inquadratura unica. Però, dinamismo e<br />

grazia latitano. Il più ingessato dei wuxiapian,<br />

fantasy d’Oriente, al confronto<br />

fa un figurone. Considerati i brutti e<br />

algidi fondali da computer grafica, con il<br />

contorno non intonato di creature fantasy,<br />

senza il touch realmente magico (perché<br />

...nonostante tutto, questo<br />

atipico e malriuscito “Otto<br />

e mezzo” risulta simpatico.<br />

Perché, oltrepassando<br />

lo schermo e il plot,<br />

ricongiunge gli opposti.<br />

artigianale) di Nel paese delle creature<br />

selvagge di Spike Jonze, che era<br />

oltretutto viscerale nel descrivere l’essere<br />

adulto dello status infantile. Qui Shyamalan<br />

rinuncia all’inquietudine. Sembra che<br />

questo mondo da brivido non gli faccia più<br />

di tanto paura, confidando troppo nell’avatar<br />

risolutore e, di riflesso, nello spettatore<br />

teen rassicurato. Il plot affastellato non<br />

risulta proprio adatto a un regista dal<br />

tocco incantato e contemplativo, grande<br />

quando deve ruotare intorno a una sola<br />

(grande) idea. Qui fa fatica a narrare in<br />

maniera piatta e lineare, benché densa.<br />

Come piace alla gente.<br />

Le stroncature stavolta sono piovute<br />

ancora più fitte e violente. Qualcuno,<br />

affrettandosi, ha affermato perentorio che,<br />

a 40 anni, il regista è ormai finito. Di sicuro<br />

si tratta di un film non proprio memorabile.<br />

Ma fondamentale come chiave di lettura<br />

di tutto lo Shyamalan maggiore. Ove si<br />

consideri che pure tale sconfinamento di<br />

stili narrativi e di forme (non<br />

certo di visione, come si è<br />

visto sopra) risulta coerente<br />

con un autore che, nelle sue<br />

creazioni, esalta l’uscita da<br />

sé come momento supremo<br />

di riappropriazione di ciò<br />

che al suo interno si è separato.<br />

“Division” si leggeva<br />

nella maglietta dell’inquieto<br />

Mel Gibson di Signs.<br />

E certo, abbiamo un film<br />

molto intimo, una specie di<br />

confessione esplicita dell’uomo Shyamalan.<br />

Travestito da film fin troppo corrente,<br />

ai limiti dell’anonimo. L’autore non ha<br />

saputo divincolarsi dalle trappole di blanda<br />

narrazione. Non ha amato i personaggi<br />

(incarnati da attori antipatici), né il<br />

paesaggio, nè l’intero assunto. Forse per<br />

tema di scontentare i fans del cartone, non<br />

ha insistito nello sprofondare nel fuoco<br />

brillante e risplendente, simile all’Idea di<br />

cui diceva Plotino. Non ha voluto rendere<br />

arché un soggetto pre-esistente, sia pure<br />

da lui riscritto.<br />

“E’ nel cuore che si vincono tutte le<br />

guerre” recita una battuta, pronunciata da<br />

una nonna, lo sguardo saggio e arcaico di<br />

cui necessita quello giovane e ri-fondante.<br />

Una specie di giustificazione autoriale di<br />

un cineasta che ha voluto spostare sul<br />

proprio operato, dal vivo - autentico 3 D,<br />

molto più del live motion del cartone<br />

- ciò che finora compiva per interposto<br />

personaggio.<br />

Per questo, nonostante tutto, questo<br />

atipico e malriuscito Otto e mezzo<br />

risulta simpatico. Perché, oltrepassando lo<br />

schermo e il plot, ricongiunge gli opposti.<br />

Naturale conseguenza di un discorso che<br />

dall’al-di-là dello schermo finisce al-di-qua<br />

della vita (del suo autore). E divenendo<br />

così un film diverso e uguale, futile e<br />

necessario. n<br />

27<br />

ott <strong>2010</strong>

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