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Maurizio Brucchi Il gobbo napoletano Marco Valerio ... - Teramani.info

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pag<br />

28<br />

cinema<br />

La<br />

educacion<br />

maleta<br />

Pedro Almodovar<br />

nel nome del padre<br />

D<br />

opo la madre (Volver) il padre. E dopo un’opera (apparentemente)<br />

armonica, riconciliata (con la morte),<br />

narrativamente fluida, ecco adesso un film frammentato,<br />

a spezzoni non conclusi, con personaggi intermittenti, funzioni<br />

narrative abortite, (apparentemente) pretestuoso e gratuito, un<br />

lavoro mancato. Come un atto mancato.<br />

Los abrazos rotos è di nuovo un melodramma. Che espone,<br />

anche didascalicamente e nonostante le<br />

iniezioni di altri generi, cosa sia un melodramma.<br />

Una love story impedita. Un<br />

abbraccio spezzato. Un coitus interruptus.<br />

Tra le tante citazioni, quella esplicita di<br />

Viaggio in Italia, nella scena a Pompei dove<br />

si ritrova la coppia sorpresa dalla morte<br />

nell’amplesso. Quella che spinge Ingrid<br />

Bergman a un’esplosione di lacrime e poi<br />

a dire (non mostrato nel film di Almodovar)<br />

«Com’è breve la vita!». A seguire, la coppia<br />

del film che fa un autoscatto. La fotografia (il<br />

cinema) salva dalla morte e dalla vita breve.<br />

Anche quando esso stesso viene impedito,<br />

manipolato o, come accade alle fotografie<br />

del film, ridotte a pezzi. Bisogna pazientare<br />

e, quando è giunto il momento, ricostruirlo:<br />

ricostruirsi. Anche se nel frattempo,<br />

edipicamente, non si hanno più gli occhi. Ma<br />

si è diventati veggenti come Tiresia. Uominidonne<br />

come Tiresia.<br />

Da questo punto di vista, il film è esplicito<br />

sin dall’inizio. Quando Lluis Homar, il regista<br />

Mateo Blanco aka Harry Caine (Hurricane?), cieco, fa descrivere<br />

all’avvenente fanciulla abbordata il corpo di lei, la macchina da<br />

presa indugia sul corpo di lui. Sulla patta. Touch mal-educato<br />

almodovariano, che inanella volgarità, quanto meno te lo aspetti,<br />

nelle atmosfere vecchia scuola della trama. «E’dura se non<br />

ti succhiano il cazzo» (ripetuto due volte, con compiacimento)<br />

oppure, durante un’agnizione successiva a un coma per quanto<br />

breve, «Non mi sono nemmeno pulita il culo». <strong>Il</strong> pipì, il popò. E’<br />

come quando l’adolescente di Tutto su mia madre scandalizza la<br />

novembre 2009<br />

di Leonardo Persia<br />

mamma dicendole, aggressivo, che nella vita si ha successo solo<br />

se si ha cotanta mazza.<br />

L’adolescente è centrale nel cinema di Pedro. Specie l’adolescente<br />

gay. E quello invecchiato. Cresciuto. Ma che coltiva ancora<br />

il suo risentimento, esplicitato dalle sue esternazioni anali o da<br />

una maglietta con su scritto Sock it to me. Tutto perché si è stati<br />

guardati dal padre. L’occhio che con-fonde e uccide. Altro film (di<br />

Michael Powell) esplicitamente citato. E rovesciato. Qui è il figlio,<br />

dagli occhi a raggi X, che scruta il padre, fa da Peeping Tom. Ma<br />

i ruoli padre-figlio, come in ogni melodramma con-fuso, si nascondono<br />

e si intrecciano. Mateo Blanco è un padre-figlio come il<br />

magnate Ernesto Martel è, nei confronti di Lena (Penelope Cruz),<br />

un amante-padre, sostituto dell’autentico genitore di lei, morto<br />

di cancro allo stomaco. E la Cruz è equiparata al figlio vero di lui,<br />

Ernesto jr, il Ray-X che scanna darkly. La donna, come il ragazzo,<br />

vuole fare cinema. Anzi, è il cinema (che va oltre l’anatomia, fotografa<br />

l’anima). <strong>Il</strong> padre non ci sta, poi lo concede, purché alle sue<br />

condizioni di padre padrone. Quando la figlia-amante fa l’amore<br />

con lui, non può che sentire il disgusto inevitabile di ogni incesto.<br />

Eppure anche Mateo/Harry è, ai suoi occhi, un papà (putativo), non<br />

solo perché il gioco degli incastri passato/presente ce lo mostra<br />

poi oltremodo più vecchio di lei. E’ lui che la edifica come diva,<br />

come donna, dandole l’identità mancata.<br />

Quella che Pedro cerca dal cinema/padre.<br />

Ma si tratta di un’identità femminile,<br />

negatagli dalla natura e, manco a dirlo, dal<br />

padre.<br />

Penolepe Cruz è quindi l’alter-ego più<br />

radicale e trans-vestito dell’autore. Bionda<br />

o dark, vittima o dominatrice, femme fatale<br />

e femme letale. Inserita nel gioco continuo<br />

di ricomprensione degli opposti dell’opera,<br />

se non di tutta l’opera del regista. Pedro la<br />

usa come Sternberg faceva con Marlene,<br />

ma desiderando essere Marlene (o Audrey<br />

Hepburn, che era il modello del fanciullo<br />

canterino de La mala educacion). <strong>Il</strong> vero<br />

amplesso spezzato del film è quello con<br />

la propria femminilità. <strong>Il</strong> parlare con lei<br />

interrotto. O represso, ridicolizzato. Able<br />

con ella era un film etero che nascondeva<br />

passioni omo. La donna morente costituiva<br />

simbolicamente il proprio requiem sul non<br />

essere mai stati donne, la latenza che qui<br />

si sposta sul piano filiale. Sei giorni di coma<br />

per il ragazzo dee-jay figlio di ignoti, refrattario al tocco altrui e,<br />

come tutti i giovani d’oggi, dedito alle droghe (sostituto dell’amore<br />

e comprensione paterni). Al risveglio-metafora, è svelata l’identità<br />

del padre e, con essa, quella, simbolica, del figlio. <strong>Il</strong> regista invece<br />

svela la sua femminilità divelta. La scena-clou sono le mani del<br />

regista su quelle immagini sgranellate, fotogramma per fotogramma,<br />

in cui è registrato l’ultimo alone di LEI che se ne va. Non<br />

essere più (con) lei. Altro risveglio, consapevolezza adulta. Del<br />

proprio corpo maschile. Assenza esterna (e quindi iper-presenza

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