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Una pagina del Risorgimento - admin.ch

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Definito «cattolico-clericale» e «reazionario in mas<strong>ch</strong>era di liberale», posto<br />

da alcuni tra gli «sviati <strong>del</strong>la scuola cattolico liberale» e persino tra i «nemici<br />

<strong>del</strong>la patria italiana», Cantù non ha incontrato consensi nella storiografia<br />

<strong>del</strong> <strong>Risorgimento</strong>. I suoi ideali s<strong>ch</strong>iettamente guelfi affondano le radici,<br />

secondo i biografi, in un contesto lombardo, cattolico ma al tempo stesso<br />

romantico sotto il profilo culturale: un unicum fra gli scrittori politici <strong>del</strong><br />

tempo. La sua opera, non riconducibile né al filone moderato né a maggior<br />

ragione a quello democratico, rivela così una fisionomia inconfondibile.<br />

Tratte dall’opuscolo anonimo Del Governo austriaco, le pagine <strong>ch</strong>e seguono<br />

riassumono i temi e l’ideologia a lui cari con accenti tanto espliciti <strong>ch</strong>e non<br />

è arduo attriburgliene la paternità. In difficile equilibrio fra l’aspra critica al<br />

regime austriaco nel Lombardo-veneto, consegnato al passato al punto da<br />

trattarlo con la sincerità «possibile verso nemico vinto»; e la diffidenza per<br />

i successori, poi<strong>ch</strong>é «ha seminato, e le radici rimangono e germogliano ancora»,<br />

Cantù presenta due documenti per avvalore due sue tesi: <strong>ch</strong>e il «ceto<br />

abbiente» esprime criti<strong>ch</strong>e, ormai ben conosciute, alla conduzione austriaca<br />

degli affari pubblici; e <strong>ch</strong>e le soluzioni proposte da un ministro per sanare<br />

quei mali peccano di po<strong>ch</strong>ezza più <strong>ch</strong>e di insufficienza. Nel volgersi invece<br />

verso «l’antica vita municipale, <strong>ch</strong>e oggi è turpe vezzo il bestemmiare, ma<br />

<strong>ch</strong>e ci sollevò da servi a uomini, da uomini a cittadini», Cantù rivendica i<br />

meriti <strong>del</strong>la decentralizzazione nel campo amministrativo, ricetta opposta<br />

al centralismo e giurisdizionalismo radicali <strong>del</strong>l’età di Giuseppe II (1780-<br />

’90), in parte attenuati già da Leopoldo II (1790-’92). Poi<strong>ch</strong>é, a suo avviso,<br />

conoscere la situazione non aveva impedito all’Impero austriaco <strong>ch</strong>e «da<br />

ragionevoli premesse si traessero le più insulse conseguenze», l’obiettivo è<br />

di far compartecipare al potere la Congregazione centrale, riattivata dopo la<br />

Restaurazione il 7 aprile 1815, composta per ogni provincia di tre deputati:<br />

uno per i nobili, uno per i non nobili e uno per le città. Un mo<strong>del</strong>lo esemplare<br />

dunque <strong>del</strong>l’antico municipalismo e localismo, spazzato via in Italia<br />

dall’età rivoluzionaria più <strong>ch</strong>e dal «secolo dei lumi», e rimpianto laddove<br />

aveva qual<strong>ch</strong>e efficacia. Nel programma di Cantù l’idea-guida <strong>del</strong> XIX secolo,<br />

quella di nazione, è così sostituita dalle «piccole patrie». Questa prospettiva,<br />

limitata all’esperienza lombarda e ancorata al medioevo comunale, non<br />

si spinge molto al di là dei confini regionali e cronologici per verificare se e<br />

dove abbia funzionato altrove. Senza contare <strong>ch</strong>e quel passato idealizzato<br />

non trova riscontro nel presente, <strong>ch</strong>e vede sotto il profilo sociale l’affermazione<br />

di un ceto dirigente borghese e sotto il profilo economico una impetuosa<br />

crescita tecnologico-industriale. Mutamenti <strong>ch</strong>e suscitano nuove<br />

aspettative politi<strong>ch</strong>e e amministrative e rendono difficilmente proponibile il<br />

progetto di Cantù an<strong>ch</strong>e nella soluzione federalista alla «questione italiana»,<br />

consegnandolo ad aspre criti<strong>ch</strong>e.<br />

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