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Una pagina del Risorgimento - admin.ch

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La Federazione repubblicana, data alle stampe durante un breve soggiorno<br />

a Capolago, segna il fermo rifiuto di un’iniziativa di Mazzini. Questi, caduta<br />

la Repubblica romana nel 1849, era tornato in esilio a Londra e aveva formato<br />

un Comitato centrale democratico europeo, quale direttivo <strong>del</strong>l’associazione<br />

democratica internazionale; e progettato un Comitato nazionale<br />

italiano. Il manifesto, pubblicato a Ginevra nel 1850, proclamava quali fini<br />

<strong>del</strong> Comitato l’indipendenza, la libertà, l’unificazione, da conseguire tramite<br />

la guerra e la costituente; si mostrava possibilista verso il «partito» filosabaudo;<br />

e rinviava quindi la scelta istituzionale tra monar<strong>ch</strong>ia e repubblica e<br />

le riforme sociali. Ferrari, <strong>ch</strong>e aveva già manifestato il suo dissenso, denunzia<br />

ora la debolezza intrinseca <strong>del</strong> moto nazionale, dove gli uomini avrebbero<br />

mancato per dolo o confusione. I nemici più formidabili, scrive, «non<br />

stanno a Vienna»: sono «i domestici nemici»; e coloro <strong>ch</strong>e «intrudonsi nelle<br />

nostre fila, quelli <strong>ch</strong>e si mas<strong>ch</strong>erano, tergiversano, ingannano». Convinto<br />

positivista a differenza di Mazzini, «credente», non si oppone al sentimento<br />

religioso ma individua il nemico interno nel papato, non soltanto nel<br />

potere temporale <strong>del</strong> pontefice: «l’Europa ha intimato a Roma una guerra<br />

di religione, né potremo avanzare d’un passo senza rovesciare la croce».<br />

L’attacco anticlericale trova ragione nel fatto <strong>ch</strong>e dominio temporale e spirituale<br />

sono «correlativi e indivisibili», si formano entrambi «dal primitivo<br />

disordine <strong>del</strong>la guerra e <strong>del</strong>l’ignoranza», e «stabiliscono il regno <strong>del</strong>la forza<br />

e <strong>del</strong>l’impostura». Sradicare il cattolicesimo costituisce così il primo passo<br />

verso l’indipendenza, non meno <strong>ch</strong>e sradicare gli austriaci dalla penisola:<br />

«Nulla sarà quindi la vostra rivoluzione se non giunge né a Roma, né a Milano».<br />

Nel denunziare coloro <strong>ch</strong>e «tergiversano» non si riferisce poi all’ala<br />

moderata quanto ai gruppi mazziniani, per<strong>ch</strong>é se «il Piemonte ci apparec<strong>ch</strong>ia<br />

un’altra catastrofe regia» alcuni repubblicani «ci vanno preparando<br />

catastrofi republicane». Il riferimento a Mazzini e al suo movimento è trasparente<br />

an<strong>ch</strong>e quando pone sullo stesso piano <strong>ch</strong>i persiste a credere agli<br />

«intrighi di corte» e <strong>ch</strong>i confida in una «società secreta» o nella «fortunata<br />

riescita d’una spedizione» per liberare l’Italia e «improvisare una nazionalità».<br />

Alla formula di Carlo Alberto, «l’Italia farà da sé», condivisa di fatto<br />

nel 1848 dall’ideologo dei democratici, contrappone infine l’urgenza di garantire<br />

all’insurrezione popolare l’alleanza invocata nelle Cinque giornate<br />

di Milano: «Spetta alla Francia di liberare l’Italia: è suo diritto, suo dovere,<br />

suo interesse». L’autore critica dunque sia la «teoria <strong>del</strong>l’indipendenza» <strong>ch</strong>e<br />

«si riduce al sistema piemontese, all’ambizione <strong>del</strong> re di Sardegna», sia la<br />

«teoria <strong>del</strong>l’unità» - «teoria piemontese ridutta ad un’astrazione». E propone<br />

invece la federazione di repubbli<strong>ch</strong>e italiane a base popolare, sostenuta<br />

dalla Francia emancipata al socialismo. Concludendo <strong>ch</strong>e «non resta altra<br />

salute all’Italia <strong>ch</strong>e nella rivoluzione sociale»<br />

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