02.06.2013 Views

Relazioni Pol. - Strat. fra Oriente ed Occidente - Università di Trieste ...

Relazioni Pol. - Strat. fra Oriente ed Occidente - Università di Trieste ...

Relazioni Pol. - Strat. fra Oriente ed Occidente - Università di Trieste ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Fer<strong>di</strong>nando Sanfelice <strong>di</strong> Monteforte<br />

LEZIONI DI “RELAZIONI POLITICO-STRATEGICHE<br />

1)-Cenni <strong>di</strong> <strong>Strat</strong>egia<br />

FRA L’ORIENTE E L’OCCIDENTE”<br />

Per l’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Gorizia<br />

a)-La <strong>Strat</strong>egia <strong>ed</strong> i suoi tre pilastri (Ends x Ways x Means)<br />

Il termine “strategia” deriva dalla parola greca στράτηγέιν, che secondo il<br />

vocabolario significa “comandare”, ma anche “usare uno stratagemma, un<br />

inganno” 1 . Come si può notare, fin dall’inizio, i due concetti <strong>di</strong> “<strong>di</strong>rigere” <strong>ed</strong><br />

“ingannare” sono stati legati assieme, come per in<strong>di</strong>care che la via verso il successo,<br />

in ogni situazione conflittuale, caratterizzata dall’esistenza <strong>di</strong> due o più volontà<br />

contrapposte, non sia mai lineare, ma spesso imponga l’adozione <strong>di</strong> trucchi o altri<br />

artifici, per spingere l’avversario a commettere l’errore fatale che comprometterà il<br />

conseguimento dei fini che egli si prefiggeva.<br />

Ma cos’è la strategia? Essa è nata come Arte della Guerra, “è esistita in ogni<br />

tempo, e fu la stessa sotto Cesare come sotto Napoleone. Ma l’arte, confinata nella<br />

testa dei gran<strong>di</strong> capitani, non esisteva in nessun trattato scritto” 2 . Questa <strong>fra</strong>se <strong>di</strong><br />

Jomini spiega la ragione che ha portato, nel tempo, numerosi scrittori, fin da epoche<br />

remote, a spiegare come facevano i condottieri, del passato come nel presente, a<br />

trionfare sui loro nemici.<br />

1 ROCCI. Vocabolario Greco-Italiano. Soc. Ed. Dante Alighieri, pg. 1712.<br />

2 A.H. JOMINI. Précis de l’Art de la Guerre. Ed. Ivrea, 1994. pg. 5.<br />

1


Grazie a questi trattati la strategia è <strong>di</strong>venuta, lentamente, una scienza empirica,<br />

come la m<strong>ed</strong>icina, basandosi sull’osservazione intelligente degli eventi. Come tutte le<br />

<strong>di</strong>scipline dello stesso tipo, la strategia non darà mai una risposta assoluta a tutte le<br />

domande, ma si pone come guida, come metodo per ragionare correttamente, al fine<br />

<strong>di</strong> ottenere il successo. Infatti, l’attore principale rimane sempre il genio, quell’essere<br />

umano capace <strong>di</strong> sconvolgere i piani avversari con la forza dell’intuizione.<br />

Il genio della guerra, peraltro, è sempre stato un personaggio <strong>di</strong>fficile da<br />

identificare preventivamente, <strong>ed</strong> in questo la strategia si <strong>di</strong>fferenzia rispetto agli altri<br />

campi dell’azione umana: un pittore o un m<strong>ed</strong>ico illustre sono infatti in<strong>di</strong>viduabili<br />

con relativa facilità, grazie alle loro opere prec<strong>ed</strong>enti, mentre lo stratega viene messo<br />

alla prova solo al momento decisivo, <strong>ed</strong> i governi devono scommettere sul leader<br />

militare che hanno prescelto, senza avere neanche un minimo <strong>di</strong> confidenza sulle sue<br />

qualità <strong>di</strong> vincere.<br />

Oltretutto, anche qualora sia stato possibile identificare il genio, non si è mai<br />

sicuri che questi conservi nel tempo questa sua genialità: se si prende, ad esempio,<br />

Napoleone si v<strong>ed</strong>e che la sua caduta fu provocata da un errore gravissimo. Come nota<br />

infatti uno scrittore, “egli, il grande maestro della concentrazione (delle forze)<br />

proc<strong>ed</strong>ette col <strong>di</strong>videre le sue forze <strong>fra</strong> i due estremi dell’Europa (la Spagna e la<br />

Russia). I risultati sono ben noti a tutti” 3 .<br />

Quin<strong>di</strong>, la scienza strategica è destinata soprattutto a fornire una guida al leader,<br />

affinché egli eviti gli errori più grossolani, e conduca le sue forze nel modo migliore.<br />

3 A.T. MAHAN. The influence of Sea Power upon the French Revolution and Empire. Ed. Samson Low, 1894. Vol II,<br />

pg. 402.<br />

2


Non a caso, la strategia è stata definita da qualcuno come la scienza del caso<br />

normale; “Dall’accurata raccolta <strong>di</strong> eventi del passato risulta chiaro che certe linee <strong>di</strong><br />

condotta tendono normalmente a produrre certi effetti. Ogni caso <strong>di</strong>fferirà<br />

sicuramente dalla normalità in maggiore o in minor misura, <strong>ed</strong> è altrettanto certo che i<br />

maggiori successi in guerra furono dovuti alle più ar<strong>di</strong>te <strong>di</strong>gressioni dalla normalità.<br />

Tuttavia, per la maggior parte, furono <strong>di</strong>gressioni fatte ad occhi aperti da uomini <strong>di</strong><br />

genio che potevano percepire negli accidenti del caso particolare la giusta ragione per<br />

trasgr<strong>ed</strong>ire” 4 .<br />

In ogni operazione, gli elementi-chiave, a parte la forza principale, sono anzitutto<br />

la base principale, dov’è il nucleo principale della forza propria; vengono poi le linee<br />

<strong>di</strong> comunicazione, che uniscono la base con la zona <strong>di</strong> operazione: esse sono l’aspetto<br />

più delicato, perché quanto più esse si estendono, tanto più sono vulnerabili.<br />

Attraverso le linee <strong>di</strong> comunicazione passano i rifornimenti <strong>ed</strong> i rinforzi, e queste<br />

costituiscono, al bisogno, la migliore linea <strong>di</strong> ritirata possibile. Non a caso, come<br />

v<strong>ed</strong>remo, si <strong>di</strong>ce che “le comunicazioni, nella pienezza del loro significato, dominano<br />

la guerra” 5 . Infine viene la zona <strong>di</strong> operazioni, nella quale è bene crearsi una base<br />

avanzata, per non indebolire le forze principali, col passare del tempo.<br />

Quali sono i fattori che la strategia deve considerare? Ovviamente, in primo luogo<br />

intervengono i fattori materiali, come il fuoco, la massa, il denaro <strong>ed</strong> il numero, oltre<br />

alla velocità <strong>ed</strong> al tempo, ma non bisogna <strong>di</strong>menticare quelli che furono definiti<br />

fattori morali o spirituali, e che oggi è preferibile chiamare immateriali. Essi sono <strong>di</strong><br />

4 J. CORBETT. Alcuni Principi <strong>di</strong> <strong>Strat</strong>egia Marittima. Ed. USMM, 1995, pgg. 17-18.<br />

5 A. T. MAHAN. <strong>Strat</strong>egia Navale. Ed. Forum <strong>Relazioni</strong> Internazionali, 1997. Vol II, pag. 56.<br />

3


tipo positivo, come l’audacia, il coraggio, il valore, l’esaltazione, oppure <strong>di</strong> tipo<br />

negativo, come la paura, l’o<strong>di</strong>o, la vendetta. Nel loro insieme, questi ultimi, se<br />

sottovalutati a favore <strong>di</strong> un’eccessiva fiducia nei prec<strong>ed</strong>enti, possono indurre a<br />

dolorose sorprese.<br />

Oltre ai fattori, esistono i cosiddetti principi, ovvero quelle “regole generali che<br />

mirano a non subire la legge del nemico e ad assicurarsi la superiorità sul punto (o sui<br />

punti) prescelto, m<strong>ed</strong>iante un’azione rapida e determinata” 6 ; la loro importanza deriva<br />

dal fatto che, secondo i più, “non ci si potrebbe allontanare (da essi) senza pericolo, e<br />

la loro applicazione, al contrario, è stata quasi sempre coronata dal successo” 7 .<br />

L’unico grave <strong>di</strong>fetto dei principi <strong>di</strong>scende dal fatto che, “l’aderenza ad un principio<br />

richi<strong>ed</strong>e frequentemente la violazione <strong>di</strong> un altro, e non vi è principio che non<br />

ammetta eccezioni” 8 .<br />

Per ritornare alle definizioni, va detto che, nei nostri tempi, il termine strategia è<br />

usato sempre più spesso, anche in settori che hanno poco a che fare con l’Arte della<br />

Guerra. Questo fenomeno è nato con la constatazione che le armi non sono mai state<br />

l’unico strumento <strong>di</strong> un conflitto, ma spesso anche l’arma economica ha avuto un<br />

ruolo essenziale.<br />

Da questa osservazione, alcuni scrittori hanno sviluppato il concetto <strong>di</strong> “Grande<br />

<strong>Strat</strong>egia”, altrimenti detta “Approccio Omnicomprensivo” o, meglio, “<strong>Strat</strong>egia<br />

Generale”; con questo si è voluto in<strong>di</strong>care il bisogno, per l’uomo <strong>di</strong> stato, <strong>di</strong> usare<br />

6 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pag. 288.<br />

7 A. H. JOMINI. Op. cit. pag. 14.<br />

8 B. BRODIE. A Guide to Naval <strong>Strat</strong>egy. Princeton Univ. Press, 1944, pag. 11.<br />

4


tutti i mezzi a <strong>di</strong>sposizione in modo coerente e coor<strong>di</strong>nato, per avere la meglio<br />

sull’avversario.<br />

Ma la strategia non si usa solo in tempo <strong>di</strong> guerra, anzi è ancor più necessaria in<br />

pace, visto che la forza <strong>ed</strong> il denaro sono <strong>di</strong>sponibili sempre, e <strong>fra</strong> gli stati molte<br />

situazioni conflittuali non degenerano fino alla guerra aperta, soprattutto ai nostri<br />

tempi, nei quali sembra <strong>di</strong> stare in una zona grigia, a metà <strong>fra</strong> conflitto e pace.<br />

Da lì ad usare la parola strategia per le attività in<strong>di</strong>viduali il passo è stato breve, e<br />

questo è un riconoscimento, <strong>di</strong> fatto, che il valore primo della strategia è quello<br />

metodologico. Infatti, “la teoria è almeno uno schema, un programma per registrare,<br />

classificare <strong>ed</strong> infine organizzare dei dati e delle conoscenze. Pur non avendo sempre<br />

un potere <strong>di</strong> pr<strong>ed</strong>izione, essa può avere almeno un potere organizzatore e un valore<br />

critico” 9 .<br />

Deriva da questo una recente definizione, molto generale, <strong>di</strong> strategia, come la<br />

scienza “che ha per oggetto la correlazione razionale tra fini e mezzi in una situazione<br />

<strong>di</strong> competizione tra due soggetti, il cui esito perseguito è l’imposizione della volontà<br />

<strong>di</strong> una parte sulla volontà dell’altra” 10 . Alcuni, però, obiettano che sia bene non<br />

allargare eccessivamente il campo <strong>di</strong> applicazione della strategia, “che deve basarsi<br />

sull’utilizzazione (strategia d’azione) o sulla minaccia <strong>di</strong> utilizzazione (strategia <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ssuasione) della forza” 11 .<br />

Non è questo l’unico <strong>di</strong>fetto della definizione che abbiamo ricordato. La strategia,<br />

infatti, si basa su tre pilastri, e quin<strong>di</strong> non solo sui fini e sui mezzi, bensì anche sugli<br />

9 H. COUTAU-BÉGARIE. Traité de <strong>Strat</strong>égie. Ed. Economica, 2006, pag. 258.<br />

10 A. CORNELI. L’Arte <strong>di</strong> Vincere. Ed. Guida, 1992, pg. 5.<br />

11 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pg. 86.<br />

5


approcci (Ways in Inglese), come giustamente notato dal generale americano<br />

Maxwell-Taylor. V<strong>ed</strong>iamo <strong>di</strong> definire brevemente questi tre elementi fondamentali,<br />

che possono essere ben definiti i suoi pilastri.<br />

Il Fine, anzitutto, come in<strong>di</strong>ca la parola, è l’obiettivo che ci si prefigge <strong>di</strong><br />

conseguire, m<strong>ed</strong>iante una determinata azione. In strategia, questo si <strong>di</strong>vide peraltro in<br />

due parti. Al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> tutto vi è il fine politico o scopo (Zweck, come in<strong>di</strong>cato da<br />

Clausewitz), quello appunto definito dai vertici <strong>di</strong> un’organizzazione. Al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong><br />

questo vi è l’obiettivo finale (Ziel), più concreto del primo, col quale viene definito<br />

dalla <strong>di</strong>rigenza cosa in pratica si voglia conseguire, per ottenere ciò cui i vertici<br />

miravano. Purtroppo, spesso il fine politico viene espresso in termini vaghi, il che,<br />

mentre da una parte consente al <strong>di</strong>rigente una libertà d’azione più ampia, dall’altra<br />

<strong>di</strong>venta spesso fonte <strong>di</strong> tensione interna <strong>fra</strong> il politico e lo stratega.<br />

Abbiamo introdotto, quin<strong>di</strong>, la <strong>di</strong>namica <strong>fra</strong> politica e strategia, definita da alcuni<br />

come il “<strong>di</strong>alogo ineguale” 12 , ma essenziale per l’esito positivo <strong>di</strong> ogni impresa.<br />

Infatti, “più <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> capi rivoluzionari, dai commissari bolscevichi del 1919<br />

ai mullah iraniani, oltre mezzo secolo dopo, si dovettero rivolgere, volenti o nolenti,<br />

ad ufficiali esperti, dei quali essi magari non si fidavano, ma dei cui servigi avevano<br />

bisogno” 13 . In una situazione simile si ritrovò l’ONU negli anni ‘90, quando decise <strong>di</strong><br />

attuare il Peace Enforcing, senza peraltro curarsi <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre dei mezzi e delle tattiche<br />

adeguate. Solo nel 1999, con il Rapporto Brahimi, il Consiglio <strong>di</strong> Sicurezza capì la<br />

necessità <strong>di</strong> adottare approcci coerenti con i mezzi a <strong>di</strong>sposizione.<br />

12 E.A. COHEN. Supreme Command. Ed. Anchor Books, 2003, pg. 263.<br />

13 Ibid.<br />

6


Come <strong>di</strong>ce un altro autore, riferendosi alla Gran Bretagna del XVIII secolo, “le<br />

molte situazioni venivano così valutate e rese armoniche articolandole in un’azione<br />

comune alla quale tutti fornivano il proprio contributo per un appoggio reciproco. Ciò<br />

non si otterrebbe grazie a un solo uomo, bensì attraverso la cooperazione <strong>di</strong> molti.<br />

Questi saranno rappresentati da uomini <strong>di</strong> stato, militari e uomini <strong>di</strong> mare; e per fare<br />

in modo che la loro cooperazione possa essere adeguata, ognuno deve comprendere le<br />

situazioni che con<strong>di</strong>zionano gli altri” 14 .<br />

Quando si parla <strong>di</strong> fini, bisogna comprendere che, in strategia, essi non si limitano<br />

alla ricerca della completa <strong>di</strong>struzione del nemico, m<strong>ed</strong>iante una lotta all’ultimo<br />

sangue. Essi sono molto variegati, <strong>ed</strong> arrivano fino ad includere le con<strong>di</strong>zioni per un<br />

accordo onorevole, tanto da <strong>di</strong>stinguerli in illimitati – appunto, l’annientamento – e<br />

limitati, che sono, <strong>fra</strong> l’altro, i più frequenti.<br />

Il secondo pilastro della strategia è costituito dagli approcci, ovvero i tipi <strong>di</strong><br />

azione che vengono scelti, per conseguire i fini che il vertice ha in<strong>di</strong>viduato. Come<br />

questi, anche gli approcci sono estremamente variegati, e vanno dalla prevenzione<br />

alla <strong>di</strong>plomazia navale (suasion in Inglese) – che include anche il soccorso<br />

umanitario – dalla pressione mostrando le armi all’azione economica, dall’uso<br />

limitato della forza fino all’invasione.<br />

Quello che interessa evidenziare, in questa fin troppo rapida panoramica sulla<br />

strategia, è che gli approcci sono un aspetto critico della strategia, in quanto molti<br />

scrittori si innamorano <strong>di</strong> alcuni, e tendono a scartarne altri. In realtà, essi sono come<br />

14 A.T. MAHAN. <strong>Strat</strong>egia Navale. Ed. Forum <strong>Relazioni</strong> Internazionali, 1997. Vol I, pg. 72.<br />

7


gli attrezzi <strong>di</strong> una cassetta; ognuno serve in determinate circostanze <strong>ed</strong> è inutile in<br />

altre, e quin<strong>di</strong> vanno conosciuti a fondo, affinché si possa usarli in modo efficace.<br />

Il terzo pilastro è costituito dai mezzi, l’elemento concreto che consente <strong>di</strong> mettere<br />

in pratica quanto è stato deciso. In Italia, questo elemento è spesso stato sottovalutato<br />

dalla politica, con il risultato <strong>di</strong> incorrere in sconfitte brucianti. I due esempi opposti<br />

sono Crispi, che lanciò il Paese alla conquista dell’Etiopia, senza d<strong>ed</strong>icarvi le forze<br />

necessarie, e Giolitti, il quale, dopo aver ascoltato dagli esperti militari le loro stime<br />

su quante forze servissero per conquistare la Libia, decise <strong>di</strong> raddoppiarle, evitando<br />

così <strong>di</strong> ripetere l’errore <strong>di</strong> chi lo aveva prec<strong>ed</strong>uto.<br />

I mezzi, peraltro, non si improvvisano, e richi<strong>ed</strong>ono anni per essere sviluppati e<br />

ben impiegati. Per questo è nata la scienza dell’organica, oggi chiamata<br />

pianificazione delle forze. Tre sono i principali meto<strong>di</strong> seguiti. Il primo si basa sul<br />

tipo <strong>di</strong> guerra che si pensa il nemico condurrà, e quin<strong>di</strong> mira a definire i mezzi che<br />

meglio riescano a neutralizzarlo o batterlo, sul campo, se non ad<strong>di</strong>rittura a<br />

scoraggiarne le mire aggressive.<br />

Il secondo metodo si basa sulla simulazione dei cosiddetti “scenari operativi”: si<br />

immaginano situazioni, e con l’aiuto <strong>di</strong> calcolatori si definisce la quantità <strong>ed</strong> i tipi <strong>di</strong><br />

mezzi che servono per prevalere in quelle circostanze.<br />

Il terzo, infine, è basato sui tipi <strong>di</strong> missione da svolgere. Per ognuna <strong>di</strong> esse<br />

vengono create delle situazioni <strong>di</strong> riferimento, preferibilmente corroborate<br />

dall’esperienza prec<strong>ed</strong>ente, e si proc<strong>ed</strong>e, sempre con l’aiuto <strong>di</strong> calcolatori, a definire<br />

cosa serva per portarle a buon fine.<br />

8


L’aspetto principale dei tre pilastri, però, è dato dal fatto che essi devono essere<br />

coerenti <strong>fra</strong> loro: mentre appare chiaro il concetto che senza mezzi, <strong>di</strong> solito, non si<br />

vincono le guerre, e che più ambiziosi sono i fini, più potenza militare è necessaria, il<br />

legame tra i fini e gli approcci è meno intuitivo, ma altrettanto vitale.<br />

Un esempio sarà sufficiente per chiarire l’importanza <strong>di</strong> questa esigenza: se ci si<br />

prefigge la stabilizzazione <strong>di</strong> una zona sconvolta da una guerra civile, non si possono<br />

usare forze in modo non mirato, altrimenti le popolazioni locali penseranno che i loro<br />

stabilizzatori sono in realtà peggio degli attuali nemici, e si schiereranno <strong>di</strong><br />

conseguenza. In sintesi, un fine limitato impone l’uso <strong>di</strong> approcci limitati e viceversa,<br />

pena il fallimento dell’intera operazione.<br />

A conclusione <strong>di</strong> questi cenni va detto anzitutto che la strategia è una utile guida<br />

per i decisori, a con<strong>di</strong>zione che ognuno <strong>di</strong> questi rispetti il ruolo altrui: troppe volte i<br />

vertici, ai quali compete definire la politica, si entusiasmano dei dettagli, e per<br />

converso troppi manager (o generali) tendono a debordare, nella loro azione, nel<br />

campo della politica. In amb<strong>ed</strong>ue i casi, come insegna l’esperienza, il risultato è la<br />

sconfitta.<br />

Bisogna infine <strong>di</strong>re che l’elaborazione strategica è strettamente legata a due<br />

fattori. Il primo è lo spirito dei tempi, in t<strong>ed</strong>esco zeitgeist: nell’epoca romantica, ad<br />

esempio, gli scrittori <strong>di</strong> strategia hanno affrontato i problemi in modo <strong>di</strong>verso rispetto<br />

ai nostri tempi, <strong>ed</strong> altrettanto avverrà nel futuro; leggere un libro <strong>di</strong> strategia al <strong>di</strong><br />

fuori del suo contesto storico è quin<strong>di</strong> fuorviante. Il secondo fattore <strong>di</strong>scende dal fatto<br />

che nelle <strong>di</strong>verse civiltà si tende ad affrontare i problemi della strategia con un’ottica<br />

9


che risente fortemente delle tra<strong>di</strong>zioni, dell’etica e della filosofia consolidate da<br />

secoli, in quella parte del mondo dove ogni civiltà si è sviluppata. Per questo è utile,<br />

in questo corso, gettare un pur breve sguardo al pensiero strategico orientale.<br />

b)-Cenni sul pensiero strategico orientale dell’epoca classica<br />

Contrariamente a quanto si cr<strong>ed</strong>e comunemente, la scienza della strategia è stata<br />

co<strong>di</strong>ficata, per la prima volta, in <strong>Oriente</strong>. Già nella Bibbia si possono trovare<br />

in<strong>di</strong>cazioni interessanti sul modo <strong>di</strong> combattere in Israele, che fin dall’inizio, “non<br />

combatte per la sua f<strong>ed</strong>e, ma per l’esistenza. Ciò significa che la guerra è un’azione<br />

sacra, con ideologia e riti propri che la specificano, a <strong>di</strong>fferenza delle altre guerre<br />

dell’antichità in cui l’aspetto religioso non era che l’accessorio” 15 .<br />

“Più in generale, la strategia e la tattica <strong>di</strong> Israele corrispondono alla situazione del<br />

debole contro il forte, del meno numeroso contro il più numeroso. Una situazione che<br />

si è riprodotta con la ricostituzione dello Stato d’Israele nel 1948. Ma gli<br />

insegnamenti antichi non sono andati perduti: soprattutto l’attenzione per il livello<br />

psicologico dei propri combattenti, la conoscenza minuziosa del terreno e del<br />

nemico” 16 . Se uno legge, peraltro, il passo sulla caduta <strong>di</strong> Gerico, rimane con<br />

l’impressione che il moderno Israele non abbia abbandonato del tutto la tentazione <strong>di</strong><br />

rimanere legato al concetto <strong>di</strong> guerra totale, molto simile a quell’evento, nel quale gli<br />

15 Da A. CORNELI. Op. cit. pag. 29.<br />

16 A CORNELI. Op. cit. pag. 30.<br />

10


Israeliti “votarono allo sterminio tutto ciò che vi era nella città: uomini e donne,<br />

fanciulli e vecchi, persino buoi, pecore e asini, tutto passarono a fil <strong>di</strong> spada” 17 .<br />

Il primo vero trattato <strong>di</strong> strategia, peraltro, è cinese, risale al V-IV secolo a. C. <strong>ed</strong> è<br />

attribuito a Sun Tzu. Che questi fosse un in<strong>di</strong>viduo, oppure che il testo sia una<br />

raccolta <strong>di</strong> massime, avvenuta nel tempo, è una questione ancora oggi <strong>di</strong>battuta;<br />

quello che interessa è che quest’opera si concentra soprattutto sulla “strategia<br />

in<strong>di</strong>retta, poiché il suo principio fondamentale è quello <strong>di</strong> piegare la volontà<br />

dell’avversario senza fare ricorso alla guerra” 18 , andando quin<strong>di</strong> al <strong>di</strong> là del puro<br />

contesto militare.<br />

Ma non si tratta solo <strong>di</strong> questo: infatti troviamo la prima in<strong>di</strong>retta affermazione<br />

sull’importanza dei piani <strong>di</strong> guerra, laddove si <strong>di</strong>ce che “il generale vincente resta a<br />

lungo nella sua tenda a fare molti calcoli prima dello scontro” 19 .<br />

In definitiva, il “pensare in termini strategici, (fatto) che corrisponde non solo alla<br />

natura stessa dell’attività politica, che consiste nel raggiungere un fine senza il ricorso<br />

alla violenza, ma alla natura <strong>di</strong> qualsiasi attività umana trova in Sun Tzu il suo primo<br />

e lucido consapevole interprete” 20 .<br />

Il secondo testo cinese, perso per mille anni e ritrovato, per caso, nel 1972, è il<br />

trattato <strong>di</strong> Sun Bin, che viene ritenuto nipote dell’autore prec<strong>ed</strong>ente. Più attento alla<br />

<strong>di</strong>mensione operativa della guerra, il trattato parla, per la prima volta, della cavalleria,<br />

della logistica e degli ass<strong>ed</strong>i, in<strong>di</strong>ce del progresso tecnico intervenuto nel secolo<br />

17 A. CORNELI. Op. cit. pg. 34.<br />

18 A. CORNELI. Op. cit. pag. 35.<br />

19 SUN TZU. L’Arte della Guerra. Ed. Guida, 1991, pag. 83.<br />

20 A CORNELI. Op. cit. pag. 35.<br />

11


prec<strong>ed</strong>ente. In sintesi, anche se questo trattato “potrebbe sembrare meno teorico<br />

rispetto all’Arte della Guerra <strong>di</strong> Sun Tzu, nelle due opere si trovano delle<br />

preoccupazioni equivalenti” 21 .<br />

Va detto che, in epoca molto più tarda, “alla fine dell’XI secolo, l’imperatore Shen<br />

Zong emanò la lista dei sette classici, compresi nel programma d’esami (che) gli<br />

ufficiali, ma anche i funzionari dovevano conoscere” 22 per essere ammessi alle<br />

funzioni del grado. Di questi libri, solo l’opera <strong>di</strong> Sun Tzu ha resistito ai tempi, <strong>ed</strong> è<br />

ancora oggi un riferimento <strong>di</strong> base per gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> strategia.<br />

Non compreso in questa lista, ma anch’esso <strong>di</strong> grande rilevanza, è il Libro del<br />

Signore <strong>di</strong> Shang, scritto da Shang Yang nel IV secolo a. C. Lo scrittore,<br />

appartenente alla scuola dei Legisti, sosteneva l’esigenza <strong>di</strong> uno stato forte <strong>ed</strong><br />

autoritario, contro i privilegi dei nobili – come v<strong>ed</strong>remo, un problema ricorrente in<br />

Cina – come presupposto <strong>di</strong> ogni espansione.<br />

Secondo l’autore, solo uno stato forte e con una notevole armonia sociale, quin<strong>di</strong>,<br />

può condurre operazioni militari con successo, visto che “la forza militare risi<strong>ed</strong>e nel<br />

morale delle truppe” 23 <strong>ed</strong> in questo la sua modernità è impressionante: basti<br />

considerare l’affermazione che “ogni strategia militare passa per il successo politico<br />

poiché solo una buona amministrazione spegne gli antagonismi <strong>ed</strong> i conflitti<br />

(interni)” 24 , un monito per tanti statisti che hanno scatenato una guerra per superare le<br />

<strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e interne. L’Argentina del 1982, con la sua suicida campagna <strong>di</strong> “riconquista”<br />

21 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit, pag. 145.<br />

22 Ibid. pg. 146-147.<br />

23 A. CORNELI. Op.cit. pg, 46.<br />

24 A. CORNELI. Op. cit. pag. 44.<br />

12


delle Isole Falkland, è solo l’ultimo esempio <strong>di</strong> una lunga serie <strong>di</strong> errori, derivanti<br />

dalla mancata attenzione a questo principio.<br />

In Shang Yang si trova, inoltre, una profonda comprensione delle <strong>di</strong>fferenze <strong>fra</strong> la<br />

guerra terrestre e la guerra sul mare: “un paese esposto su tutti i fronti d<strong>ed</strong>ica le sue<br />

attenzioni alla <strong>di</strong>fesa; un paese addossato al mare le rivolge alla guerra offensiva” 25 .<br />

Infine, va rilevata l’affermazione che “contare sulla sola forza del numero<br />

equivale a praticare la politica del tetto <strong>di</strong> paglia; appoggiarsi alla superiorità<br />

dell’armamento è chi<strong>ed</strong>ere troppo alla tecnica: affidarsi all’abilità dei propri generali<br />

è riporre troppa fiducia nell’astuzia. Se un principe si affida ad una sola delle tre, la<br />

sua rovina è certa” 26 .<br />

In sintesi, Shang Yang ha una visione molto bilanciata dei presupposti<br />

in<strong>di</strong>spensabili per una strategia <strong>di</strong> guerra, qualcosa che, nei tempi recenti, è spesso<br />

mancata, nel mondo occidentale.<br />

Purtroppo, per la scuola cinese, “questo inizio così brillante non porta ad una<br />

<strong>di</strong>scendenza <strong>di</strong> teorici allo stesso livello. Mentre si trovano nei primi stu<strong>di</strong>osi le idee<br />

<strong>di</strong> base <strong>di</strong> una teoria strategica strutturata, con la <strong>di</strong>stinzione tra la vittoria<br />

dell’esercito e la vittoria del paese, la <strong>di</strong>alettica dell’attacco e della <strong>di</strong>fesa, i successori<br />

non approfon<strong>di</strong>scono la strada tracciata e si limitano a glosse ripetitive” 27 .<br />

Sulla scuola cinese, che dovrà attendere secoli, prima <strong>di</strong> trovare in Mao Tze Dong<br />

un epigono degli stu<strong>di</strong>osi appena citati, va detto che “gli occidentali hanno talvolta la<br />

25 A. CORNELI. Op.cit. pag. 46.<br />

26 A. CORNELI. Op. cit. pg. 46.<br />

27 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pag. 148.<br />

13


tendenza a trovare questo pensiero inafferrabile, in quanto esso proc<strong>ed</strong>e sempre nello<br />

stesso modo, per aforismi e massime, preferendo suggerire che precisare” 28 .<br />

In effetti, è necessario v<strong>ed</strong>ere quale era la cultura cinese dell’epoca, lo zeitgeist<br />

che abbiamo citato in prec<strong>ed</strong>enza. Come nota sempre Coutau-Bégarie, “il posto della<br />

guerra nel mondo cinese è intimamente legato ad una visione specifica dell’or<strong>di</strong>ne<br />

mon<strong>di</strong>ale. Da un lato, la Cina si percepisce come ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versa dal resto delle<br />

nazioni <strong>ed</strong> al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> esse. Essa è la civilizzazione, il resto del mondo è composto<br />

da null’altro che barbari che bisogna escludere o da vassalli che bisogna sottomettere.<br />

Nei due casi, si ricercano delle guerre brevi, che non escludono un elevato livello <strong>di</strong><br />

violenza, per punire l’intruso o il ribelle e <strong>di</strong>ssuaderlo dal ricominciare.<br />

Ma, al tempo stesso, il pensiero <strong>di</strong> Confucio privilegia le nozioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong><br />

armonia; la guerra viene quin<strong>di</strong> percepita come un <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne al quale bisogna metter<br />

fine il più rapidamente possibile. (Peraltro) il potere imperiale non <strong>di</strong>sdegna <strong>di</strong><br />

ricorrere alla guerra, e non solo a quella <strong>di</strong>fensiva. Questa ambivalenza penetra la<br />

cultura strategica cinese in un modo che si manifesta a tutti i livelli.<br />

A livello <strong>di</strong> grande strategia, i Cinesi ripu<strong>di</strong>ano la guerra <strong>di</strong> conquista: l’impero<br />

non ha alcun bisogno <strong>di</strong> estendersi a detrimento dei barbari; le conquiste hanno un<br />

obiettivo limitato, per assicurare una maggiore sicurezza del territorio esistente” 29 .<br />

Sta <strong>di</strong> fatto che, malgrado queste caratteristiche peculiari, frutto dell’approccio<br />

culturale dell’epoca, la lettura dei classici cinesi è ancor oggi fonte <strong>di</strong> ispirazione, per<br />

28<br />

H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pgg. 148-149.<br />

29<br />

Ibid. pgg. 424-426.<br />

14


chi debba portare il peso <strong>di</strong> un’organizzazione, in un ambiente competitivo e <strong>di</strong><br />

confronto.<br />

Dalla Cina passiamo ora all’In<strong>di</strong>a, dove il bramano Kautilya, intorno al 300 a. C.,<br />

quin<strong>di</strong> all’epoca dell’invasione da parte <strong>di</strong> Alessandro Magno, scrisse l’Arthasastra,<br />

nel quale si suggerisce “come il principe debba agire per assicurare il benessere e<br />

l’aumento della potenza del suo regno” 30 . Si tratta quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> un testo <strong>di</strong> <strong>Strat</strong>egia<br />

Generale, nel quale, a parte i soliti consigli sulle regole da seguire, sugli “inganni da<br />

evitare o da effettuare, l’originalità consiste in una impostazione razionalistica del<br />

rapporto mezzi-fini” 31 che anticipa Machiavelli.<br />

A livello delle strategie da seguire, colpisce la flessibilità nel consigliare<br />

l’adozione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti approcci, in relazione alle circostanze: “secondo Kautilya, vi<br />

sono invece sei <strong>di</strong>versi comportamenti, che mutano in ragione delle <strong>di</strong>fferenti<br />

situazioni politiche. La pace stabilisce un legame attraverso un patto; la guerra<br />

comporta l’uso della violenza; il temporeggiare consiste nell’attesa degli eventi; la<br />

mobilitazione è raccogliere forze contro un avversario; il ricorrere ad un’alleanza<br />

significa in sostanza affidarsi ad altri; il doppio gioco consiste nel proporre<br />

contemporaneamente la pace e la guerra” 32 .<br />

L’altro aspetto interessante dell’autore, che ha il vizio <strong>di</strong> ripetere il suo nome, ogni<br />

volta che egli introduce le sue idee, è l’enfasi sull’arma economica, <strong>ed</strong> in questo è un<br />

anticipatore: “se si verifica che io resti in pace e rovinerò gli interessi dell’avversario,<br />

oppure (che) grazie al clima <strong>di</strong> fiducia che ispira la pace danneggerò gli interessi<br />

30 A. CORNELI. Op. cit. pag. 49.<br />

31 A. CORNELI. Op. cit. pg. 49.<br />

32 Da A. CORNELI. Op. cit. pg. 51.<br />

15


dell’avversario con mezzi regolari, segreti o spie, oppure (che) attirerò facilmente<br />

dalla mia parte molti degli uomini che arricchiscono le attività<br />

dell’avversario….allora che si opti per un accrescimento <strong>di</strong> potenza attraverso la<br />

pace” 33 .<br />

Per concludere questa breve panoramica del pensiero strategico orientale<br />

dell’epoca classica, non si può trascurare il più importante autore giapponese,<br />

Miyamoto Musashi, che scrisse nel 1643 il Libro dei Cinque Anelli all’età <strong>di</strong><br />

sessant’anni, dopo una vita apparentemente trascorsa in combattimenti vittoriosi,<br />

“ricorrendo spesso alla tecnica <strong>di</strong> innervosire e sorprendere l’avversario” 34 .<br />

La sua attenzione al “passaggio dal particolare all’universale” 35 , poi asserita con<br />

forza da Clausewitz, e le affermazioni sulla “concentrazione estrema del singolo atto<br />

che deve coinvolgere tutte le energie” 36 , uno degli aspetti sui quali Napoleone<br />

insistette nelle sue memorie, ne hanno fatto un modello per gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> strategia<br />

americani del secondo dopoguerra.<br />

I suoi cinque anelli, o meglio le Cinque Vie, trattano del “conoscere le piccole<br />

cose partendo dalle gran<strong>di</strong>” 37 (Libro della Terra), dell’adattabilità, nel vincere, ma<br />

conoscendo “i principi della scherma, (perché) vincere contro un solo avversario è la<br />

stessa cosa che vincere contro migliaia <strong>di</strong> nemici” 38 (Libro dell’Acqua), della<br />

<strong>di</strong>fficoltà, nel combattimento, <strong>di</strong> “agire secondo la propria volontà e con velocità<br />

33<br />

Da A. CORNELI. Op. cit. pag. 52-53.<br />

34<br />

A. CORNELI. Op. cit. pag. 59.<br />

35<br />

Ibid.<br />

36<br />

Ibid.<br />

37<br />

Da A. CORNELI. Op. cit. pag. 60.<br />

38 Ibid.<br />

16


quando si ha a che fare con molta gente” 39 (Libro del Fuoco), delle altre scuole <strong>di</strong><br />

pensiero, perché “se non conosci bene gli altri, <strong>di</strong>venta impossibile conoscere te<br />

stesso. Quando ci si sforza quoti<strong>di</strong>anamente <strong>di</strong> percorrere una via, se il contenuto si<br />

rivela fuorviante, allora non è questa la vera via, anche se personalmente la si ritiene<br />

quella giusta” 40 (Libro del Vento), <strong>ed</strong> infine del fatto che “anche se ci si impadronisce<br />

dei principi, non bisogna legarsi ad essi, Allorché sei assolutamente libero, da te<br />

scaturirà una forza incr<strong>ed</strong>ibile, con sguardo imperturbabile tu guarderai al mondo e ne<br />

conoscerai il ritmo” 41 (Libro del Vuoto).<br />

Come si può notare, nel Musashi si trovano anche l’enfasi sui principi, da non<br />

trasformare in dogmi, <strong>ed</strong> il concetto <strong>di</strong> velocità nelle operazioni, antesignano della<br />

Blitzkrieg t<strong>ed</strong>esca nella Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Più in generale, la cultura strategica giapponese classica <strong>di</strong>fferisce da quella cinese, in<br />

quanto segue “una logica opposta a quella dei Cinesi: il ristabilimento dell’or<strong>di</strong>ne non<br />

si contentava dell’espulsione o della sottomissione simbolica del nemico. Essa<br />

imponeva la sua eliminazione, da cui la devastazione del suo territorio e la ricerca<br />

della battaglia. Ci volevano a volte dei decenni per le regioni, colpite in questo modo,<br />

per riprendersi. Questa brutalità ha traversato i secoli <strong>ed</strong> è risorta (durante<br />

l’invasione) in Cina, dopo il 1931 e durante la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Un altro esempio è quello del rapporto col mare. Il Giappone è un arcipelago e non ha<br />

potuto estendersi che al <strong>di</strong> là del mare. Le vittorie ottenute durante l’era Meiji hanno<br />

naturalmente rinforzato l’immagine <strong>di</strong> una talassocrazia giapponese. La realtà è ben<br />

39 Ibid. pg. 61.<br />

40 Ibid.<br />

41 Ibid. pg. 62.<br />

17


<strong>di</strong>fferente. Lo si vide durante la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, quando lo stato maggiore<br />

dell’esercito si preoccupava principalmente della guerra in Cina e nell’Asia del Sud-<br />

Est. Questo errore <strong>di</strong> prospettiva contribuirà, in maniera decisiva, alla sconfitta<br />

finale” 42 .<br />

Lo v<strong>ed</strong>remo più in dettaglio <strong>fra</strong> qualche giorno, parlando <strong>di</strong> questo grande paese, i cui<br />

problemi sono stati spesso complicati dalla corsa verso le fonti <strong>di</strong> possesso delle<br />

materie prime, ma che ciò nonostante, ha mantenuto a lungo un approccio ai problemi<br />

internazionali fin troppo basato sulla soluzione militare.<br />

c)-La nascita della Geostrategia: Mackinder e la sua conferenza<br />

Dopo questa breve panoramica sui fondamenti della strategia e sul pensiero<br />

strategico dell’<strong>Oriente</strong> nell’epoca classica – per molti versi anticipatore dei primi - è<br />

ora necessario andare in profon<strong>di</strong>tà su <strong>di</strong> un ramo della strategia che è rilevante per il<br />

corso che abbiamo iniziato. Infatti, oltre agli aspetti storici, economici e culturali, la<br />

geografia influenza grandemente la <strong>Strat</strong>egia Generale <strong>di</strong> un paese, specie nei<br />

rapporti con gli altri stati, soprattutto quelli lontani, in<strong>di</strong>cando delle tendenze e delle<br />

realtà, o meglio dei con<strong>di</strong>zionamenti, <strong>di</strong> cui è necessario tener conto, nella sua<br />

attuazione.<br />

L’atto <strong>di</strong> nascita, nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questa branca, risale al generale italiano Giacomo<br />

Durando, che nel suo libro “Della nazionalità italiana” scritto nel 1846, introduce<br />

simultaneamente i concetti <strong>di</strong> geo-strategia e <strong>di</strong> geo-tattica. Anche se il libro fu<br />

42 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pgg. 428-430.<br />

18


tradotto in <strong>fra</strong>ncese e in spagnolo, i due termini non ebbero risonanza internazionale,<br />

fino alla conferenza, tenuta il 25 gennaio 1904, nella s<strong>ed</strong>e della Royal Geographical<br />

Society, da Sir Halford Mackinder, all’epoca insegnante <strong>di</strong> geografia presso<br />

l’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Oxford e <strong>di</strong>rettore della London School of Economics and <strong>Pol</strong>itical<br />

Science. Il testo fu poi pubblicato, nell’aprile successivo, del Geographical Journal e<br />

<strong>di</strong>venne rapidamente un classico, più volte citato e commentato. Il titolo era “The<br />

Geographical Pivot of History”, titolo che in<strong>di</strong>ca l’attenzione alle costanti<br />

geografiche, da considerare in ogni situazione strategica.<br />

Prima <strong>di</strong> raccontare, per sommi capi, le teorie <strong>di</strong> questo autore, va detto che alcuni<br />

videro in lui il propugnatore <strong>di</strong> una politica britannica più attenta alla partecipazione<br />

alle vicende del continente europeo – quella, per intenderci, che portò la Gran<br />

Bretagna ad impegnarsi sui fronti terrestri europei, nel 1914, con gravi per<strong>di</strong>te umane.<br />

Per questo, e per la sua pretesa volontà <strong>di</strong> contrastare il navalismo imperante<br />

all’epoca, Mackinder è stato oggetto <strong>di</strong> molte lo<strong>di</strong> e <strong>di</strong> violente critiche che sono<br />

amb<strong>ed</strong>ue fuorvianti, andando al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quanto contenuto nel testo del suo intervento.<br />

La prima osservazione dell’autore riguarda la <strong>di</strong>fferenza <strong>fra</strong> l’espansione all’epoca<br />

delle gran<strong>di</strong> scoperte, in cui “ogni esplosione <strong>di</strong> forze sociali veniva <strong>di</strong>ssipata nel<br />

circuito circostante <strong>di</strong> spazi ignoti e <strong>di</strong> caos barbarico” 43 , mentre, all’inizio del XX<br />

secolo, questa “si riverbera in modo tagliente dalle parti più lontane del globo, e gli<br />

elementi deboli nell’organismo politico <strong>ed</strong> economico mon<strong>di</strong>ale ne saranno <strong>di</strong>strutti<br />

<strong>di</strong> conseguenza” 44 .<br />

43 H. J. MACKINDER. The Geographical Pivot of History. The Geographical Journal, April 1904, pg. 422.<br />

44 Ibid.<br />

19


V<strong>ed</strong>iamo qui un’allusione non solo alle conseguenze della guerra boera, che aveva<br />

guastato in modo definitivo le relazioni <strong>fra</strong> la Gran Bretagna e la Germania, ma<br />

soprattutto al principio generale, secondo il quale ogni ulteriore espansione coloniale,<br />

in un momento nel quale quasi tutti gli spazi negli altri continenti erano occupati<br />

dall’una o dall’altra potenza, avrebbe provocato ripercussioni in Europa. Per averne<br />

conferma, basti pensare alla nostra guerra <strong>di</strong> Libia, che provocò una violenta lotta nei<br />

Balcani.<br />

Dopo questa constatazione, l’autore passa alla descrizione <strong>di</strong> quelle<br />

“caratteristiche fisiche del mondo che cr<strong>ed</strong>o siano state le più con<strong>di</strong>zionanti l’azione<br />

umana, presentando alcune <strong>fra</strong> le fasi principali della storia come connesse<br />

organicamente a quelle, anche nelle età in cui esse erano sconosciute alla geografia” 45<br />

<strong>ed</strong> aggiunge: “le idee che vanno a costituire una nazione, anziché una semplice folla<br />

<strong>di</strong> animali umani, sono state <strong>di</strong> solito accettate sotto la pressione <strong>di</strong> tribolazioni<br />

comuni, e sotto la comune necessità <strong>di</strong> resistenza ad una forza esterna” 46 .<br />

Quin<strong>di</strong> Mackinder cerca <strong>di</strong> spiegare la sua prima tesi, sul perché la civilizzazione<br />

europea sia il prodotto <strong>di</strong> una lotta secolare contro le invasioni asiatiche. L’origine<br />

fisica è la <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni climatiche <strong>fra</strong> la parte settentrionale e quella<br />

meri<strong>di</strong>onale della Russia, ad ovest degli Urali. Non a caso, per secoli quel territorio è<br />

stato <strong>di</strong>viso in due stati, proprio lungo la linea <strong>di</strong>visoria che va dai Carpazi al centro<br />

degli Urali. Ora, è proprio la parte meri<strong>di</strong>onale, costituita da steppe, ad aver favorito<br />

le invasioni barbariche, che passavano “attraverso l’ampio intervallo <strong>fra</strong> gli Urali <strong>ed</strong> il<br />

45 Ibid.<br />

46 Ibid. pgg. 422-423.<br />

20


Mar Caspio” 47 , mentre il nord della Russia, pieno <strong>di</strong> foreste e palu<strong>di</strong>, era <strong>di</strong> fatto uno<br />

sbarramento per tali migrazioni.<br />

L’esempio della battaglia <strong>di</strong> Chalons, in cui i Romani <strong>ed</strong> i Franchi si allearono per<br />

respingere Attila, che appunto veniva dall’Asia, <strong>di</strong>mostra, secondo l’autore, che<br />

quest’ultimo, costringendo due popoli nemici a coalizzarsi contro <strong>di</strong> lui,<br />

inconsciamente fondò la Francia moderna, la cui nascita fu anche influenzata dalla<br />

quasi contemporanea invasione da Nord dei Vichinghi, questa volta via mare, anche<br />

se <strong>di</strong> entità più limitata.<br />

Viene poi il fatto che, essendo l’interno dei continenti arido, dato che la pioggia<br />

deriva dal mare, le popolazioni si concentrino lungo le coste. Il Sahara, quin<strong>di</strong>, era <strong>ed</strong><br />

è “la frontiera meri<strong>di</strong>onale dell’Europa, piuttosto che il M<strong>ed</strong>iterraneo” 48 . Questa<br />

frontiera, appunto, “<strong>di</strong>vide l’uomo nero da quello bianco” 49 .<br />

Il terzo aspetto considerato dall’autore è il flusso dei fiumi russi, una parte dei<br />

quali è “praticamente inutilizzabile per comunicare con il mondo esterno: (infatti) il<br />

Volga, l’Oxus <strong>ed</strong> il Jaxartes sfociano entro laghi salati; l’Obi, lo Yenissei e la Lena<br />

dentro l’oceano ghiacciato del nord. Questi sono sei dei fiumi più gran<strong>di</strong> del<br />

mondo” 50 . Quin<strong>di</strong> il “nucleo dell’Eurasia è nel suo insieme una terra <strong>di</strong> steppe, che<br />

fornisce <strong>di</strong>ffusi, anche se poveri, pascoli, senza oasi, il che crea le con<strong>di</strong>zioni per<br />

47 Ibid. pag. 427.<br />

48 Ibid. pag. 428.<br />

49 Ibid. pag. 429.<br />

50 Ibid.<br />

21


nutrire una sparsa, ma nel complesso numerosa, popolazione <strong>di</strong> noma<strong>di</strong> a cavallo o su<br />

cammelli” 51 .<br />

Il clima rigido del Nord e le foreste dell’Est della Siberia, quin<strong>di</strong>, costrinsero<br />

quelle popolazioni, i Mongoli, come gli Ottomani prima <strong>di</strong> loro, a <strong>di</strong>rigersi verso<br />

l’Europa, da una parte e verso la Siria dall’altra; i Mongoli, poi invasero la Cina dal<br />

nord, il punto <strong>di</strong> quel paese più esposto alla conquista.<br />

Le quattro regioni litoranee dell’Eurasia, quin<strong>di</strong> bagnate dalla pioggia, sono<br />

<strong>di</strong>ventate, non a caso secondo l’autore, la culla delle quattro religioni principali, il<br />

Bud<strong>di</strong>smo, il Bramanesimo, l’Islamismo e la Cristianità. Finché l’istmo <strong>di</strong> Suez non è<br />

stato tagliato, si aveva una <strong>di</strong>visione netta <strong>fra</strong> Est <strong>ed</strong> Ovest nella zona meri<strong>di</strong>onale,<br />

con il primo più esposto alle incursioni dei noma<strong>di</strong>, che potevano quin<strong>di</strong> acc<strong>ed</strong>ere<br />

all’Europa solo attraverso le steppe russe.<br />

Inoltre, l’autore notava che “la mobilità sugli oceani è la rivale naturale della<br />

mobilità a cavallo e sul cammello verso il cuore del continente. La scoperta della<br />

rotta del Capo (<strong>di</strong> Buona Speranza) verso le In<strong>di</strong>e avrebbe collegato le navigazioni<br />

costiere dell’Ovest e dell’Est dell’Eurasia, benché la rotta fosse un lungo percorso,<br />

neutralizzando in parte il vantaggio della posizione centrale <strong>di</strong> cui godevano i noma<strong>di</strong><br />

delle steppe, premendo su <strong>di</strong> loro dalle retrovie” 52 .<br />

Questo “conferì alla Cristianità la mobilità più ampia possibile per la sua potenza.<br />

L’oceano unico <strong>ed</strong> in<strong>di</strong>viso è la con<strong>di</strong>zione geografica dell’unità <strong>di</strong> dominio del mare.<br />

51 Ibid.<br />

52 Ibid. pag. 432.<br />

22


L’ampio effetto politico è stato il rovesciamento delle relazioni <strong>fra</strong> Europa <strong>ed</strong> Asia” 53 ,<br />

il che consentì agli Europei l’espansione coloniale, ma “il potere terrestre permane<br />

ancor oggi” 54 , grazie all’avvento delle ferrovie trans-continentali, <strong>ed</strong> in particolare <strong>di</strong><br />

quella Transiberiana, il che conferiva, secondo l’autore, alla Russia la possibilità <strong>di</strong><br />

controllare le periferie, in tutte le <strong>di</strong>rezioni, grazie alla sua posizione centrale (pivot).<br />

Di conseguenza, sempre secondo l’autore, la Germania avrebbe interesse ad<br />

allearsi con la Russia, il che costringerebbe l’Europa occidentale a controbilanciare<br />

questo potere terrestre, creando un’alleanza delle potenze marittime, per contenere<br />

dalle coste l’espansione del potere continentale. “Se poi i Cinesi, organizzati dai<br />

Giapponesi, conquistassero la Russia, essi costituirebbero il pericolo giallo per la<br />

libertà del mondo, solo perché aggiungerebbero uno sbocco marittimo alle risorse del<br />

grande continente, un vantaggio finora negato alla Russia, che tiene la regione-<br />

perno” 55 .<br />

Anche se il riassunto <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>scorso è stato un po’ troppo lungo, è possibile<br />

notare, soprattutto per chi <strong>di</strong> Voi ha seguito le conferenze sull’evoluzione concettuale<br />

della NATO, che gli ultimi cinquant’anni del XX secolo sono stati appunto un<br />

confronto, fr<strong>ed</strong>do per nostra fortuna, <strong>fra</strong> la “regione-perno”, coincidente con l’Unione<br />

Sovietica, e l’alleanza occidentale.<br />

In questo, Mackinder è stato un buon profeta; pure il silenzioso e graduale<br />

ripopolamento della Siberia, da parte delle popolazioni cinesi dovrebbe farci riflettere<br />

sull’importanza che la Cina potrebbe acquisire, laddove tale invasione pacifica<br />

53 Ibid.<br />

54 Ibid. pag. 433.<br />

55 Ibid. pag. 437.<br />

23


assumesse proporzioni significative. Le ricchezze della Russia sono appunto in<br />

quell’area inospitale, <strong>ed</strong> il controllo della Siberia è quin<strong>di</strong> una posta estremamente<br />

alta, per le conseguenze che ha sugli equilibri geo-politici.<br />

Sempre a proposito della sua conferenza, va evidenziata un’osservazione generale<br />

che Mackinder sottintende, anche se non l’enuncia chiaramente, è che i flussi <strong>di</strong><br />

popolazione sono il vero motore della storia, <strong>ed</strong> il loro controllo è una con<strong>di</strong>zione<br />

essenziale per evitare ra<strong>di</strong>cali stravolgimenti dell’assetto mon<strong>di</strong>ale.<br />

Nei libri successivi, Mackinder sviluppò la sua teoria ulteriormente, sostituendo il<br />

termine originale <strong>di</strong> “Pivot” con quello <strong>di</strong> “Heartland”, il “Cuore della Terra”, molto<br />

usato in geopolitica, e giunse a <strong>di</strong>re che: “nel cuore dell’Eurasia si trova un’area<br />

strategica che, se controllata da un’unica potenza o da una coalizione, darebbe a<br />

questa forza vantaggi a lungo termine” 56 .<br />

Questa osservazione fu ripresa, durante il nazismo, dal t<strong>ed</strong>esco Haushofer, che<br />

concepì “la <strong>di</strong>visione del mondo in macrosistemi geopolitici in equilibrio tra loro” 57 ,<br />

le pan regioni, controllate da uno stato dominante.<br />

Ma la lezione più importante che Mackinder ci ha lasciato è che bisogna guardare<br />

anche alla geografia, se si vuole capire perché avvengono determinati fenomeni, nella<br />

politica internazionale. Per questo egli, giustamente, può essere annoverato <strong>fra</strong> i<br />

gran<strong>di</strong> della strategia.<br />

56<br />

B. BLOUET. Halford Mackinder, a Biography. Texas Univ. Press, 1987, pag. 118 (citato da M. Roccati. La Terra <strong>ed</strong><br />

il suo Cuore).<br />

57<br />

G. LIZZA. Scenari geopolitici. Ed. UTET, 2009, pag. 5.<br />

24


d)-La strategia dei Gran<strong>di</strong> Spazi<br />

Il pioniere della trasformazione della geo-strategia in strategia dei gran<strong>di</strong> spazi fu<br />

Nicholas Spykman, l’inventore del termine geopolitico “Rimland” (“Terra<br />

Costiera”), il cui libro postumo del 1944, “La geografia della Pace”, riporta in modo<br />

estremamente chiara la nuova concezione della geo-strategia: “nell’era della guerra<br />

totale, la strategia militare deve considerare il mondo intero in modo unitario e<br />

pensare tutti i fronti per i loro rapporti reciproci” 58 . Questo concetto fu ripreso in<br />

Italia pochi anni dopo.<br />

L’Ammiraglio <strong>di</strong> Giamberar<strong>di</strong>no, <strong>fra</strong> le varie sue opere, scrisse un volumetto<br />

rimasto quasi sconosciuto sul “Prossimo conflitto mon<strong>di</strong>ale”; l’autore, peraltro,<br />

decise in quegli anni anche <strong>di</strong> riscrivere il trattato su “L’Arte della Guerra in Mare”,<br />

che pur gli aveva dato molta notorietà, pubblicandone una terza <strong>ed</strong>izione, contenente<br />

ampie novità.<br />

Fra queste, la più importante – riprodotta da un articolo che lo stesso autore aveva<br />

pubblicato sulla Rivista Marittima, nell’aprile del 1948 – è costituita appunto dalla<br />

“<strong>Strat</strong>egia dei Gran<strong>di</strong> Spazi”. L’autore notava, infatti, che la situazione era mutata<br />

profondamente, in pochi anni, rispetto a quella delle due Guerre Mon<strong>di</strong>ali; allora,<br />

infatti, “la potenza militare più importante e con capacità decisiva per il conflitto è<br />

giunta sul fronte europeo da oltre oceano, (e) si è avuto quin<strong>di</strong> un teatro <strong>di</strong> operazioni<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>retto urto in Europa, e una sicura zona lontana nel territorio degli Stati Uniti per<br />

la vasta preparazione <strong>di</strong> mezzi e <strong>di</strong> uomini” 59 .<br />

58 Da H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pag. 728.<br />

59 O. <strong>di</strong> GIAMBERARDINO. L’Arte della Guerra in Mare-III E<strong>di</strong>zione. USMM, 1958, pag. 46.<br />

25


Negli anni post-bellici, invece, “la situazione privilegiata degli Stati Uniti è<br />

mutata. Non solo il raggio d’azione degli aerei è molto aumentato, ma con i<br />

rifornimenti in volo sono praticamente scomparse le zone <strong>di</strong> calma aerea, e tutto il<br />

mondo si trova sotto la minaccia dell’arma dell’aria” 60 .<br />

Qual’era la conseguenza, secondo l’autore? “Entrano nella moderna strategia<br />

aerea più che mai i due fattori dello spazio e del tempo, col fatto nuovo che il tempo,<br />

date le enormi velocità degli aerei e ancora più dei missili, è nelle azioni<br />

inverosimilmente accorciato, mentre nelle vastità dei gran<strong>di</strong> spazi del teatro mon<strong>di</strong>ale<br />

<strong>di</strong> operazione l’aeroplano e il missile non hanno restrizione <strong>di</strong> viabilità o <strong>di</strong><br />

navigabilità, e possono proiettarsi in qualsiasi <strong>di</strong>rezione ritenuta più conveniente o<br />

opportuna. Quin<strong>di</strong> è molto accresciuta l’incertezza sull’obiettivo prescelto, e la <strong>di</strong>fesa<br />

non può essere più tentata attorno ai singoli bersagli. Occorre agire<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dal luogo delle vulnerabilità da proteggere e molto lontano da<br />

esso, con mezzi efficaci <strong>di</strong> esplorazione e <strong>di</strong> intercettazione sistematica preventiva” 61 .<br />

V<strong>ed</strong>iamo, a questo punto, che ai soli fini <strong>di</strong> una guerra totale, gli spazi e le<br />

limitazioni geografiche vengono annullate dall’arma aerea e missilistica, e questo<br />

fattore esiste oggi più che mai. L’autore non lo <strong>di</strong>sse, ma è chiaro che una situazione<br />

del genere sembrerebbe mettere in un angolo la geostrategia, a prima vista, per effetto<br />

dell’annullamento degli spazi, dovuto a sua volta alla compressione dei tempi.<br />

Ma i gran<strong>di</strong> spazi servivano ancora, soprattutto agli Stati Uniti <strong>ed</strong> alla Russia,<br />

consentendo loro una <strong>di</strong>fesa in profon<strong>di</strong>tà, per linee <strong>di</strong>fensive poste in successione,<br />

60 Ibid. pag. 47.<br />

61 Ibid. pag. 48.<br />

26


mentre “l’Europa occidentale, aderente alla cortina <strong>di</strong> ferro, non ha una situazione <strong>di</strong><br />

sempre possibile preavviso che permetta con sufficiente anticipo l’intercettazione<br />

preventiva” 62 . Nonostante la compressione dei tempi, veniva comunque confermata<br />

l’affermazione <strong>di</strong> Mahan, secondo il quale “maggiore è la <strong>di</strong>stanza, maggiore è la<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere e <strong>di</strong> attaccare” 63 .<br />

Infine, “i gran<strong>di</strong> spazi rendono possibile il non completo esaurimento <strong>di</strong> potenza<br />

per (effetto della) <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> cose e <strong>di</strong> uomini esperti <strong>ed</strong> allenati, se ciò che viene a<br />

mancare in una parte potrà essere subito rimpiazzato da quanto sarà stato approntato<br />

altrove e magari molto lontano. Gli eserciti dovrebbero (quin<strong>di</strong>) ricorrere il più<br />

possibile ad una mobilità <strong>di</strong>radata” 64 .<br />

Quello che non era ancora possibile sapere, era che il progresso tecnologico<br />

avrebbe anche consentito “il coor<strong>di</strong>namento delle operazioni che si svolgono<br />

simultaneamente in teatri separati” 65 . Questa è, ai nostri giorni, la caratteristica più<br />

interessante della geo-strategia, o per meglio <strong>di</strong>re la strategia globale, che consente<br />

azioni coor<strong>di</strong>nate e sinergiche in varie parti del mondo.<br />

L’effetto complessivo dell’uso dei gran<strong>di</strong> spazi è quin<strong>di</strong> la possibilità <strong>di</strong> un<br />

controllo globale, in un mondo nel quale, per effetto della globalizzazione delle<br />

attività umane, le situazioni tendono a sfuggire <strong>di</strong> mano.<br />

62 Ibid. pag. 49.<br />

63 A. T. MAHAN. <strong>Strat</strong>egia Navale. Ed. Forum <strong>Relazioni</strong> Internazionali, 1997. Vol I pag. 232.<br />

64 O <strong>di</strong> GIAMBERARDINO. Op. cit. pgg. 50-51.<br />

65 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pag. 452.<br />

27


e)-La scuola marittima <strong>di</strong> geo-strategia (Mahan, Coutau-Bégarie e Vigarié)<br />

Pochi anni dopo la conferenza <strong>di</strong> Mackinder, furono pubblicate, dopo anni dalla<br />

loro stesura, le <strong>di</strong>spense <strong>di</strong> strategia navale che il Mahan aveva scritto per i suoi corsi<br />

al Collegio <strong>di</strong> Guerra Navale <strong>di</strong> Newport, e che erano state lette p<strong>ed</strong>issequamente dai<br />

suoi successori, nessuno dei quali osava inserire varianti a tale testo sacro.<br />

Il testo, dal titolo poco fantasioso <strong>di</strong> “<strong>Strat</strong>egia Navale”, conteneva una parte<br />

importante, ampliata rispetto alle <strong>di</strong>spense, e precisamente uno “stu<strong>di</strong>o del Mare dei<br />

Caraibi e del Golfo del Messico, stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> strategia che considera solo le posizioni;<br />

uno stu<strong>di</strong>o dunque che tiene conto solo delle (loro) valenze militari e commerciali.<br />

Iniziando uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un qualsiasi teatro <strong>di</strong> guerra terrestre, è necessario, per prima<br />

cosa, definire con chiarezza gli elementi essenziali che con<strong>di</strong>zionano la materia; e,<br />

seconda cosa, farsi una conoscenza globale, anche se non troppo dettagliata, delle<br />

caratteristiche naturali del territorio che esercitano un’influenza decisiva sul piano<br />

strategico. Lo stesso modo <strong>di</strong> proc<strong>ed</strong>ere, per le m<strong>ed</strong>esime ragioni, si ad<strong>di</strong>ce allo<br />

stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un teatro strategico marittimo” 66 .<br />

Di questo stu<strong>di</strong>o, nel contesto delle relazioni <strong>fra</strong> <strong>Oriente</strong> <strong>ed</strong> <strong>Occidente</strong>, ci<br />

interessano le considerazioni dell’autore sul ruolo del Canale <strong>di</strong> Panama, considerato<br />

dall’autore uno dei due punti principali dell’area, in quanto lì, in prospettiva, “si<br />

incontrano parecchie strade maestre o iniziano a <strong>di</strong>ramarsi in più <strong>di</strong>rezioni” 67 .<br />

Per questo, l’Istmo avrebbe rivestito, una volta completato il canale,<br />

“un’importanza così grande per il mondo, che non si può fare <strong>di</strong> più per <strong>di</strong>mostrare<br />

66 Ibid. Vol II, pag. 113.<br />

67 Ibid. Vol II, pag. 114.<br />

28


che gli Stati Uniti non possono permettersi <strong>di</strong> essere superati da qualsiasi stato, come<br />

forza navale pr<strong>ed</strong>ominante, eccetto dalla Gran Bretagna; poiché dal pr<strong>ed</strong>ominio<br />

navale, e non dalla semplice occupazione <strong>di</strong> posizioni, <strong>di</strong>penderà un controllo<br />

efficiente dello sbarramento tracciato tra Cuba e Portorico” 68 .<br />

In estrema sintesi, l’autore si preoccupava che una potenza europea potesse<br />

contestare agli Stati Uniti il possesso del futuro Canale, che avrebbe consentito vuoi<br />

una fonte <strong>di</strong> r<strong>ed</strong><strong>di</strong>to, grazie ai p<strong>ed</strong>aggi per il suo attraversamento da parte dei<br />

mercantili, vuoi un migliore collegamento marittimo con la costa occidentale, vuoi<br />

infine il trasferimento agevole delle forze navali da un oceano all’altro, senza dover<br />

compiere il lungo e tempestoso Stretto <strong>di</strong> Magellano.<br />

Non a caso, egli si preoccupava d’insegnare due aspetti fondamentali della geo-<br />

strategia marittima. Il primo era l’importanza del commercio marittimo: “eccetto la<br />

sua funzione <strong>di</strong> grande arteria che unisce i paesi tra loro, il mare non è che un<br />

poss<strong>ed</strong>imento infruttifero. Il mare, o l’acqua, è solo un grande mezzo <strong>di</strong> circolazione,<br />

creato dalla natura, proprio come il denaro è stato creato dall’uomo per lo scambio<br />

dei prodotti. Cambiate il flusso <strong>di</strong> uno qualsiasi <strong>di</strong> questi fattori come <strong>di</strong>rezione o<br />

intensità, e mo<strong>di</strong>ficherete le relazioni politiche e industriali del genere umano” 69 .<br />

Anni dopo, il grande Fernand Braudel definirà il commercio marittimo “l’ampia<br />

circolazione” 70 senza la quale una grande civiltà non può vivere.<br />

Il secondo aspetto cui l’autore teneva moltissimo era quello riguardante<br />

l’importanza delle posizioni. L’aforisma <strong>di</strong> Napoleone sul fatto che “la guerra è un<br />

68 Ibid. Vol II, pag. 135.<br />

69 Ibid. Vol I, pag. 201.<br />

70 F. BRAUDEL. Il M<strong>ed</strong>iterraneo. Ed. Bompiani, 1998, pg. 57.<br />

29


affare <strong>di</strong> posizioni” 71 viene infatti ripetuto nel libro più e più volte. Uno stretto,<br />

ricorda l’autore, “è un punto strategico, il cui valore, come quello <strong>di</strong> altri punti,<br />

<strong>di</strong>pende dalla sua situazione; dalla sua forza e dalle risorse o vantaggi che offre” 72 . Il<br />

Canale <strong>di</strong> Panama, appunto, presentava tali vantaggi da essere un bene prezioso per<br />

gli Stati Uniti.<br />

Quello che Mahan non poteva sapere, era il fatto che il canale <strong>di</strong> Panama sarebbe<br />

in breve <strong>di</strong>venuto un’arteria vitale anche per il commercio marittimo giapponese, i<br />

cui prodotti potevano raggiungere l’Europa e la costa orientale americana in tempi<br />

enormemente più ridotti. Non è infatti un caso che la guerra del Pacifico, che non era<br />

stata innescata dall’embargo americano del petrolio, nei confronti dell’Impero del Sol<br />

Levante, scoppiò invece quando gli Stati Uniti chiusero il Canale ai mercantili<br />

giapponesi.<br />

Roba vecchia, <strong>di</strong>rete Voi! Ebbene, solo venti anni fa, il Presidente <strong>di</strong> Panama,<br />

Noriega, che voleva riprendere il controllo <strong>di</strong> quella via d’acqua, ancora in mano<br />

americana, firmò accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> collaborazione proprio con entità economiche<br />

giapponesi; la reazione USA fu l’invasione della zona e la deposizione e l’arresto del<br />

Presidente. Ma la forza degli eventi era ormai inarrestabile, <strong>ed</strong> ora lo stato <strong>di</strong> Panama<br />

ha preso possesso del Canale, <strong>ed</strong> i finanziatori sono, ancora una volta, giapponesi.<br />

L’attenzione <strong>di</strong> Mackinder e <strong>di</strong> Mahan verso la geo-strategia non è andata persa<br />

sia <strong>fra</strong> gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> strategia generale, sia <strong>fra</strong> quelli <strong>di</strong> strategia marittima, <strong>ed</strong> ha<br />

trovato terreno fertile in Francia, dove tale <strong>di</strong>sciplina ha trovato nuovi sviluppi.<br />

71 A. T. MAHAN. Op. cit. Vol I, pag. 217.<br />

72 Ibid. Vol II, pag. 118.<br />

30


Anche qui, un tale fervore non è nato per caso, visto il <strong>di</strong>lemma storico <strong>di</strong> quella<br />

Nazione, le cui ambizioni <strong>di</strong> dominio sul continente hanno sempre cozzato con quelle<br />

in campo marittimo.<br />

In amb<strong>ed</strong>ue i settori, la geografia dell’Esagono, come la Francia viene spesso<br />

chiamata, è sempre stato il fattore con<strong>di</strong>zionante, dalla <strong>di</strong>fficoltà nel <strong>di</strong>fendere le<br />

frontiere terrestri da un attacco da Nord-Est, fino alla sua enorme possibilità <strong>di</strong><br />

sviluppo come potenza marittima, sviluppo perio<strong>di</strong>camente frustrato dalle esigenze <strong>di</strong><br />

terra.<br />

Il primo stu<strong>di</strong>oso, <strong>ed</strong> anche quello <strong>fra</strong> i più autorevoli, è Hervé Coutau-Bégarie, <strong>di</strong><br />

estrazione marittimista, ma che ha esteso il campo delle sue ricerche alla strategia<br />

generale, senza peraltro rinnegare le sue origini. Il suo Trattato <strong>di</strong> <strong>Strat</strong>egia, infatti,<br />

d<strong>ed</strong>ica l’intero Libro III alla geo-strategia, analizzata in profon<strong>di</strong>tà, non senza uno<br />

spirito saggiamente critico verso gli eccessi delle altre scuole <strong>di</strong> pensiero in materia.<br />

La prima <strong>di</strong>fficoltà, in<strong>di</strong>viduata dallo stu<strong>di</strong>oso, è come <strong>di</strong>stinguere questa<br />

<strong>di</strong>sciplina dalla geopolitica, <strong>ed</strong> egli la risolve citando un collega <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>,<br />

l’Ammiraglio Caron, la cui definizione ha “l’immenso merito della chiarezza e della<br />

semplicità” 73 .<br />

Questa definizione insiste sulla “parentela molto intima che unisce, attraverso gli<br />

stessi dati, i due mon<strong>di</strong> della geopolitica e della geo-strategia. La geopolitica non può<br />

essere altro che lo stu<strong>di</strong>o dei fattori generali la cui <strong>di</strong>mensione è <strong>di</strong> natura tale da<br />

influenzare in profon<strong>di</strong>tà, in un senso o nell’altro, il progetto politico; la geo-strategia<br />

73 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit, pag. 704.<br />

31


analizza l’insieme dei dati <strong>di</strong> ogni tipo, appartenenti sia all’economia, sia alla<br />

sociologia, sia alla demografia, ma anche nell’ambito militare, suscettibili<br />

d’influenzare la strategia generale messa in atto dallo Stato” 74 .<br />

La geo-strategia, quin<strong>di</strong>, “prova a valutare le capacità complessive <strong>di</strong> uno Stato o<br />

<strong>di</strong> una zona, (ma) privilegia (i fattori) permanenti nella lunga durata, al <strong>di</strong> là delle<br />

variazioni congiunturali: i fondamenti della potenza russa rimangono, malgrado la<br />

cancellazione passeggera” 75 <strong>di</strong> quest’ultima. Ma “la scoperta delle regolarità, o delle<br />

costanti, non deve condurre alla fissazione geografica. L’Ammiraglio Castex ha fatto<br />

notare che il valore dello spazio cambia in funzione dei mezzi <strong>di</strong>sponibili. Bisogna<br />

sempre guardarsi dalla tentazione del determinismo” 76 .<br />

In definitiva, secondo l’autore, “la geo-strategia è una strategia basata sullo<br />

sfruttamento sistematico delle possibilità offerte dai gran<strong>di</strong> spazi in termini <strong>di</strong><br />

estensione, <strong>di</strong> forma, <strong>di</strong> topografia, e delle risorse <strong>di</strong> ogni tipo” 77 .<br />

Prima <strong>di</strong> concludere questa parte, è bene citare, sia pur brevemente, un altro<br />

stu<strong>di</strong>oso <strong>fra</strong>ncese, André Vigarié, <strong>ed</strong> il suo libro “Economia marittima e Geostrategia<br />

degli Oceani”. L’autore parte dal concetto <strong>di</strong> Braudel, sull’importanza dell’ampia<br />

circolazione, e quin<strong>di</strong> degli scambi commerciali, per sostenere che questi non sono<br />

mai neutrali, in quanto tutte le merci “hanno impresso il segno della società che le ha<br />

prodotte, la quale segue proprie regole nei rapporti esterni” 78 . Inoltre, nell’economia<br />

marittima “risultano inglobati tutti i settori <strong>di</strong> sfruttamento delle risorse del mare, (per<br />

74 Ibid.<br />

75 Ibid. pag. 733.<br />

76 Ibid. pag. 734.<br />

77 Ibid. pag. 753.<br />

78 A . VIGARIÉ. Economia Marittima e Geostrategia degli Oceani. Ed. Mursia, 1992, pag. 5.<br />

32


i quali) sono sorti conflitti d’interesse un po’ dovunque, atteggiamenti e<br />

comportamenti che riflettono la logica della salvaguar<strong>di</strong>a degli interessi nazionali” 79 .<br />

Ecco che, in una situazione <strong>di</strong> tal genere, deve entrare in campo la strategia, come<br />

delegata della politica, per definire come proteggere questi interessi, ma in maggior<br />

parte, questi sono legati a delle zone <strong>di</strong> mare, e quin<strong>di</strong> alla geografia. Le situazioni<br />

conflittuali, come pure gli accor<strong>di</strong> che investono il mare, formano parte <strong>di</strong> questo<br />

libro, che passa a descrivere le varie situazioni regionali, e quin<strong>di</strong> sarà ampiamente<br />

citato nel prosieguo. Il messaggio <strong>di</strong> Vigarié, in linea con quello <strong>di</strong> Mahan, vuole<br />

ricordarci che, oggi ancor più che nel passato, “nessun paese può rinunciare a servirsi<br />

del mare senza subire gravi conseguenze e nessuna economia attuale può essere<br />

impostata in forma moderna senza una affidabile e durevole base marittima” 80 .<br />

Come si può notare, sono ora <strong>di</strong>sponibili tutti gli elementi per comprendere<br />

l’importanza della <strong>di</strong>sciplina, che non è solo focalizzata sulle masse continentali, ma<br />

soprattutto per valutare, caso per caso, l’impatto della geografia sulle strategie che le<br />

varie Nazioni – o gruppi <strong>di</strong> Nazioni – possono perseguire. Questo ci servirà nelle<br />

lezioni successive.<br />

f)-Il problema dell’Asia (Mahan)<br />

Nel 1900, Mahan pubblicò un libro, intitolato The Problem of Asia, e contenente<br />

due stu<strong>di</strong>, amb<strong>ed</strong>ue basati sulla convinzione dell’autore che “il progresso del mondo è<br />

determinato, in larga parte, dalle con<strong>di</strong>zioni geografiche e fisiche. Aggiungete a<br />

79 Ibid. pag. 6.<br />

80 Ibid. pag. 9:<br />

33


queste le caratteristiche razziali (oggi si parlerebbe dei popoli) <strong>ed</strong> avremo<br />

probabilmente i principali ingr<strong>ed</strong>ienti del materiale grezzo che, per effetto degli<br />

impulsi variabili dall’interno e dal <strong>di</strong> fuori, è gradualmente lavorato fino a <strong>di</strong>ventare<br />

storia” 81 . Siamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> nuovo in piena geo-strategia, per uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> previsione<br />

strategica, che ci introduce quin<strong>di</strong>, più <strong>di</strong>rettamente, alle tematiche del corso.<br />

In quel periodo, l’autore, ufficiale <strong>di</strong> Marina in pensione, era impegnato nella<br />

delegazione USA alle Conferenze <strong>di</strong> Pace dell’Aja, e questo si riflette inevitabilmente<br />

sul testo, pieno <strong>di</strong> idee su come le potenze europee potrebbero trovare un accordo<br />

sulla spartizione delle zone d’influenza, in quel continente. Naturalmente, come in<br />

tutti gli esercizi <strong>di</strong> previsione, vi sono parti che appaiono errate, nella nostra visione,<br />

che essendo “a posteriori” nota facilmente cosa non si è materializzato.<br />

I due <strong>di</strong>fetti principali, in questo ambito, sono: anzitutto la mancata comprensione<br />

del fatto che la guerra in Sud Africa, condotta dalla Gran Bretagna contro i Boeri,<br />

aveva causato un trauma profondo in Germania, il cui governo reagì non solo<br />

inviando armamenti ai Boeri – regolarmente bloccati dalle navi da guerra britanniche<br />

– ma anche sviluppando quella corsa agli armamenti navali <strong>di</strong> cui sono piene le<br />

cronache dell’epoca.<br />

Tutti i <strong>di</strong>scorsi dell’autore sugli interessi in comune <strong>di</strong> quelle due potenze, e più in<br />

generale delle nazioni teutoniche, fanno quin<strong>di</strong> sorridere noi, che sappiamo come<br />

andarono i fatti. In sintesi, Mahan sosteneva che, in Asia, vi erano due schieramenti<br />

potenzialmente contrapposti. Da un lato vi era la potenza continentale, la Russia,<br />

81 A. T. MAHAN. The Problem of Asia. Ed Little, Brown & Co. 1900, pag. v<br />

34


simbolo della razza slava, con la sua alleata, la Francia, e dall’altra vi erano le<br />

potenze marittime, tutte teutoniche, e precisamente la Germania, la Gran Bretagna,<br />

gli Stati Uniti, ai quali si sarebbe potuto aggregare il Giappone, la cui popolazione,<br />

sempre secondo lui, aveva delle caratteristiche che l’avvicinavano agli altri. Queste<br />

ultime potenze potevano collaborare ad imporre una politica della “porta aperta” ai<br />

paesi asiatici, a favore dei loro commerci.<br />

Sappiamo bene che questa previsione si avverò in modo imprev<strong>ed</strong>ibile, con la<br />

Gran Bretagna che sfruttò il Giappone per frenare l’espansionismo russo verso i mari<br />

cal<strong>di</strong>, causando alla Russia un’umiliazione che si riflesse nei violenti moti del 1905,<br />

oltre ad indebolirla talmente che, <strong>di</strong>eci anni dopo, quest’ultima non fu in grado <strong>di</strong><br />

reggere le tribolazioni della guerra mon<strong>di</strong>ale, implodendo <strong>fra</strong>gorosamente nel 1917.<br />

L’altro <strong>di</strong>fetto del testo è la sottovalutazione dell’imperialismo giapponese, pur<br />

nella consapevolezza che l’Impero del Sol Levante aveva saputo assimilare le<br />

tecniche <strong>di</strong> guerra occidentali: questo, in effetti, appare strano, vista la forte<br />

opposizione <strong>di</strong> quello stato all’annessione delle isole Hawai, da parte degli USA,<br />

proprio <strong>di</strong> quegli anni, oltretutto citata dall’autore, senza peraltro che questi ne tirasse<br />

le conseguenze.<br />

Mahan infatti riteneva che il Giappone, “qualunque ambizione <strong>di</strong> acquisizioni<br />

territoriali possa avere sul continente, potrà realizzarle in entità limitata, dato il<br />

limitato numero dei suoi abitanti, a paragone <strong>di</strong> quelli della terraferma a<strong>di</strong>acente” 82 .<br />

Se si pensa che nella Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale il Giappone, che aveva già invaso la<br />

82 Ibid. pag. 106.<br />

35


Cina, occupò anche l’Indocina, la Malesia, la Birmania e l’Indonesia, per non parlare<br />

delle Filippine e delle centinaia <strong>di</strong> isole del Pacifico, la valutazione dell’autore appare<br />

quanto meno eccessivamente ottimistica.<br />

Va ricordato, oltretutto, che il governo USA aveva le idee più chiare sul<br />

Giappone, tanto da imporgli grosse rinunce, nei negoziati <strong>di</strong> pace, dopo la vittoria <strong>di</strong><br />

questi contro la Russia; inoltre, il primo piano <strong>di</strong> guerra contro il Giappone, il<br />

cosiddetto “Piano Orange” fu elaborato dal Collegio <strong>di</strong> Guerra Navale <strong>di</strong> Newport<br />

già nel 1910, dopo la vittoria giapponese sulla Russia.<br />

Avendo specificato le manchevolezze del testo, an<strong>di</strong>amo a considerare gli aspetti<br />

positivi dell’opera, che non sono pochi, come v<strong>ed</strong>remo. Anzitutto, dal libro traspare<br />

la consapevolezza che le potenze europee erano sempre più inclini allo scontro, come<br />

avverrà quattor<strong>di</strong>ci anni dopo: “tristemente, il fattore della libertà dagli attriti è ora<br />

cospicuo per la sua assenza. Senza voler tentare <strong>di</strong> pronunciarci sulla ragionevolezza<br />

<strong>di</strong> questo sentimento, si può <strong>di</strong>re certamente che il <strong>di</strong>sagio, che è l’equivalente<br />

mentale dell’attrito, è ora notoriamente prevalente nel consiglio delle nazioni” 83 .<br />

Nessuna tempesta arriva senza segni premonitori, e l’autore li avvertì ben prima <strong>di</strong><br />

ogni altro.<br />

L’altro aspetto interessante, ripetuto più volte nel testo, è costituito dalle<br />

raccomandazioni dell’autore su come evitare che le popolazioni si rivoltino contro gli<br />

occupanti europei. Pur partendo dal concetto che la loro “interferenza” era un bene<br />

per queste popolazioni, poiché, in quei paesi, “sia i governi, sia la gente sono contenti<br />

83 A. T. MAHAN. The Problem of Asia, pag. 49.<br />

36


<strong>di</strong> stare immobili, non conoscendo né desiderando il progresso” 84 , l’autore<br />

raccomanda <strong>di</strong> non “togliere agli abitanti il possesso (delle risorse locali), essendo<br />

questo né praticabile né desiderabile. L’obiettivo razionale può essere solo quello <strong>di</strong><br />

indurli a porsi in con<strong>di</strong>zioni tali da contribuire alla loro rigenerazione, a beneficio<br />

loro e <strong>di</strong> tutto il mondo” 85 . Invece, “è sembrato, senza dubbio, che (quelle<br />

popolazioni) non sono nemmeno considerate p<strong>ed</strong>ine del gioco (in atto), ma solo come<br />

la posta in gioco che andrà al più forte” 86<br />

Anche se si nota in queste parole il fervore missionario, che gli Americani<br />

<strong>di</strong>mostreranno più volte nel XX secolo, nei confronti altrui, la raccomandazione non<br />

era peregrina: da una parte la fine del colonialismo in Asia fu infatti dovuta alla<br />

reazione dei popoli sfruttati dagli Europei, dall’altra Mahan v<strong>ed</strong>eva nel commercio<br />

internazionale la principale fonte <strong>di</strong> prosperità, sia per l’<strong>Occidente</strong>, sia per l’<strong>Oriente</strong>.<br />

Il commercio, peraltro, come avvertiva l’autore, “non è una proprietà privata, nel<br />

senso or<strong>di</strong>nario della parola. È noto che il danaro è il sostegno della guerra. Quando<br />

impegnata nel commercio estero, la mercanzia dei privati è impegnata a generare<br />

danaro per lo stato; essa gioca una parte molto importante nella circolazione della<br />

linfa vitale attraverso l’organizzazione <strong>di</strong> un paese belligerante” 87 , ma non solo, dato<br />

che “il commercio fiorisce grazie alla pace e soffre in conseguenza della guerra” 88<br />

A questo proposito, bisogna riconoscere che quello che gli Stati Uniti hanno fatto<br />

con la Cina, negli ultimi trent’anni, favorendone una rapida industrializzazione <strong>ed</strong><br />

84 Ibid. pag. 59.<br />

85 Ibid. pag. 60.<br />

86 Ibid. pag. 87.<br />

87 Ibid. pgg. 53-54.<br />

88 Ibid. pag. 42.<br />

37


inserendola nel circuito commerciale mon<strong>di</strong>ale, appare perfettamente in linea con le<br />

raccomandazioni dell’autore, fatte ben settant’anni prima.<br />

Ma il commercio, come ricorda l’autore, è essenzialmente marittimo, data la<br />

possibilità <strong>di</strong> trasportare gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong> merci, propria delle navi. Come ricorda<br />

l’autore, “il mare, in sé stesso, è un ambiente desolato; solo come una grande via<br />

comune, la strada del commercio, la s<strong>ed</strong>e delle comunicazioni, esso possi<strong>ed</strong>e un<br />

carattere <strong>ed</strong> un valore unici” 89 .<br />

Per contro, le ferrovie “competono invano (persino) con i fiumi – la maggior<br />

velocità non può compensare il carico minore 90 . In questo, Mahan si <strong>di</strong>mostrò più<br />

preveggente <strong>di</strong> Mackinder: infatti, l’illusione russa <strong>di</strong> sostenere la guerra in<br />

Manciuria contro l’esercito giapponese, grazie alla Transiberiana, si sarebbe in<strong>fra</strong>nta<br />

contro la realtà.<br />

Sul piano della geo-strategia, due sono le considerazioni fondamentali dell’autore<br />

che meritano considerazione. La prima riguarda l’esistenza, in Asia, <strong>di</strong> una fascia <strong>di</strong><br />

territorio, compresa <strong>fra</strong> le latitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> 30° N e <strong>di</strong> 40°N, “dove si trovano le<br />

caratteristiche naturali decisive, come pure quelle <strong>di</strong>visioni politiche, il cui carattere<br />

d’instabilità rende il problema dell’Asia, allo stesso tempo, fonte <strong>di</strong> perplessità <strong>ed</strong><br />

urgente” 91 .<br />

Ma soprattutto, per Mahan, i gran<strong>di</strong> movimenti “sono tra il Nord <strong>ed</strong> il Sud, in un<br />

senso e nell’altro, e questo è un fatto storico, (mentre) le <strong>di</strong>visioni sono <strong>fra</strong> Est <strong>ed</strong><br />

89 Ibid. pag. 52.<br />

90 Ibid. pag. 38.<br />

91 Ibid. pag. 21.<br />

38


Ovest” 92 . Non è solo guardando alla storia, che si nota la veri<strong>di</strong>cità <strong>di</strong> questa<br />

annotazione. Ancor oggi, la silenziosa invasione cinese della Siberia, che l’Unione<br />

Sovietica cercò, negli anni ’70, <strong>di</strong> arrestare con la forza sul fiume Amur, è un<br />

fenomeno imponente <strong>ed</strong> oltremodo preoccupante, tanto da doverci far riflettere.<br />

La seconda considerazione, altrettanto importante, riguarda i rapporti <strong>fra</strong> potere<br />

marittimo e potenza terrestre, e la loro applicazione ai problemi dell’Asia. Premesso<br />

che “il dominio del mare è il dominio del mondo” 93 , e la sua manifestazione “più<br />

decisiva è il controllo del commercio” 94 , Mahan nota che “la limitata capacità delle<br />

Marine <strong>di</strong> estendere la forza coercitiva nell’entroterra, (le rende tali) da non costituire<br />

una minaccia alle libertà <strong>di</strong> un popolo” 95 .<br />

Per converso, il potere terrestre, pur con le limitazioni che derivano dalle<br />

comunicazioni più <strong>di</strong>fficili, è ovviamente in grado “<strong>di</strong> interferire con quello<br />

marittimo” 96 . L’equilibrio <strong>fra</strong> i due poteri è possibile solo grazie alla moderazione <strong>ed</strong><br />

agli accor<strong>di</strong>, che le potenze marittime da un lato e quelle continentali potranno<br />

raggiungere.<br />

In definitiva, il saggio del Mahan presenta aspetti <strong>di</strong> notevole interesse, per capire<br />

le relazioni <strong>fra</strong> Est <strong>ed</strong> Ovest. Riprenderemo in considerazione quest’opera, man mano<br />

che proc<strong>ed</strong>eremo con l’esame delle varie aree, ma prima <strong>di</strong> fare questo, è bene<br />

richiamare le costanti geo-strategiche che riguardano l’Italia visto che non dobbiamo<br />

mai perderle <strong>di</strong> vista, anche in un contesto generale.<br />

92 Ibid. pag. 23.<br />

93 Ibid. pag. 53.<br />

94 Ibid. pag. 51.<br />

95 Ibid. pag. 42.<br />

96 Ibid. pag. 40.<br />

39


g)-Cenni sui con<strong>di</strong>zionamenti della geografia sulle strategie dell’Italia<br />

Stranamente, è proprio nel “Problema dell’Asia” che Mahan si <strong>di</strong>lunga sull’Italia,<br />

a quell’epoca una nazione da poco unificata, con gravi problemi <strong>di</strong> coesione interna e<br />

<strong>di</strong> relazioni esterne che sono stati superati, anche se solo parzialmente. L’autore,<br />

peraltro, concentrandosi sulla geo-strategia, fa delle osservazioni la cui vali<strong>di</strong>tà<br />

permane anche ai nostri giorni.<br />

Per quanto riguarda la geografia, l’autore nota “la sua posizione centrale nel<br />

M<strong>ed</strong>iterraneo, (un mare) che è per l’Europa molto <strong>di</strong> più persino <strong>di</strong> quanto i Caraibi<br />

possano rappresentare per l’America” 97 aggiungendo che : “l’Italia, troppo poco<br />

considerata nella questione dell’Est, insieme a Malta ha il potere, grazie alla sua<br />

posizione, <strong>di</strong> dominare il M<strong>ed</strong>iterraneo dall’est all’ovest” 98 .<br />

Queste affermazioni completano dal punto <strong>di</strong> vista militare, ma anche<br />

commerciale, quanto osservava Braudel, sul fatto che “il M<strong>ed</strong>iterraneo non è un<br />

mare, ma una successione <strong>di</strong> pianure liquide comunicanti <strong>fra</strong> loro attraverso delle<br />

porte più o meno larghe. Così si in<strong>di</strong>vidualizzano, nei due gran<strong>di</strong> bacini Ovest <strong>ed</strong> Est<br />

del M<strong>ed</strong>iterraneo, <strong>fra</strong> le <strong>di</strong>verse avanzate delle masse continentali, una serie <strong>di</strong> mari<br />

ristretti” 99 .<br />

Lo stesso autore ancora, con maggiore precisione, scrive, in un altro suo libro,<br />

“l’Italia è l’asse m<strong>ed</strong>iano del mare, e si è sempre sdoppiata, molto più <strong>di</strong> quanto non<br />

si <strong>di</strong>ca <strong>di</strong> solito, tra un’Italia volta a Ponente e un’altra che guarda a Levante. Non vi<br />

97 Ibid. pag. 145.<br />

98 Ibid. pag. 80.<br />

99 F. BRAUDEL. La Mé<strong>di</strong>terranée et le monde mé<strong>di</strong>terranéen à l’époque de Philippe II. Ed. Colin, 1966. Vol I, pag.<br />

99.<br />

40


ha forse attinto per molto tempo le proprie ricchezze? Naturale è quin<strong>di</strong> per lei la<br />

possibilità, e naturale il sogno, <strong>di</strong> dominare il mare in tutta la sua estensione” 100 .<br />

Infatti, è proprio l’Italia che <strong>di</strong>vide fisicamente questo mare in due bacini, e ne<br />

controlla i flussi grazie alla Sicilia: non a caso, per tre anni, durante la Seconda<br />

Guerra mon<strong>di</strong>ale, abbiamo reso oltremodo ardui i passaggi da un bacino all’altro<br />

persino alla Marina Britannica. Ma il Mahan aggiunge qualcosa <strong>di</strong> più: notando che<br />

l’Italia si trova in una posizione centrale, conferma che noi go<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> una situazione<br />

considerata oltremodo vantaggiosa in strategia, in quanto consente <strong>di</strong> mantenere le<br />

forze concentrate, per farle intervenire in ogni <strong>di</strong>rezione, al momento opportuno.<br />

Questo è valido anche dal punto <strong>di</strong> vista commerciale, malgrado la nota scarsità <strong>di</strong><br />

porti dello stivale: l’esempio recente è costituito da Gioia Tauro, che è <strong>di</strong>ventato, in<br />

pochi anni dalla sua costruzione, il principale porto <strong>di</strong> containers del M<strong>ed</strong>iterraneo,<br />

grazie alla sua posizione, con grande rabbia dei Siciliani, che non si erano attrezzati<br />

per tempo, pur volendo fare la stessa cosa.<br />

Ma, come osservò il Mahan, anni dopo, “per tornare alla <strong>fra</strong>se <strong>di</strong> Napoleone, la<br />

guerra è una questione <strong>di</strong> posizioni, essa non vale tanto per questo, ma per gli uomini<br />

che la presi<strong>di</strong>ano. Un esempio significativo è dato da Malta per i <strong>fra</strong>ncesi nel 1798-<br />

1800. L’isola è posta lungo le linee <strong>di</strong> comunicazione che portano dall’ovest verso il<br />

M<strong>ed</strong>iterraneo orientale, appunto il Levante, ma poiché allora non vi era una flotta<br />

<strong>di</strong>slocata in quel porto, la posizione risultò inutile,salvo per il fatto <strong>di</strong> aver attirato su<br />

<strong>di</strong> sé l’esercizio del blocco da parte <strong>di</strong> una piccola forza navale britannica” 101 .<br />

100 F. BRAUDEL. Il M<strong>ed</strong>iterraneo. Pag. 12.<br />

101 A. T. MAHAN. <strong>Strat</strong>egia Navale. Vol II, pag. 43.<br />

41


Tutte queste dotte citazioni ci <strong>di</strong>cono una cosa fondamentale: noi ci lamentiamo<br />

vuoi della nostra carenza <strong>di</strong> risorse naturali, vuoi <strong>di</strong> non avere terra sufficiente per<br />

l’autosufficienza alimentare, <strong>ed</strong> abbiamo ragione, ma non usiamo la nostra principale<br />

ricchezza, costituita dalla nostra posizione geografica.<br />

Anche questa, però, ha i suoi limiti, costituiti dall’esistenza dei tre passaggi<br />

obbligati per uscire dal M<strong>ed</strong>iterraneo, e precisamente Gibilterra, Suez e gli Stretti<br />

Turchi, uno solo dei quali appartiene ad uno Stato Membro dell’Unione Europea.<br />

Siamo quin<strong>di</strong> in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare una potenza regionale dal punto <strong>di</strong> vista<br />

militare <strong>ed</strong> economico, che sono due aspetti complementari, ma non possiamo<br />

pensare <strong>di</strong> proiettare forza <strong>ed</strong> influenza al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> questi tre passaggi, senza<br />

limitazioni. La nostra proiezione verso il Corno d’Africa, infatti, si è <strong>di</strong>mostrata<br />

insostenibile, anche <strong>di</strong> fronte ad una forza limitata, come quella che la Gran Bretagna<br />

riuscì a mettere in campo contro <strong>di</strong> noi, in quel settore, nel 1941.<br />

Da questo limite, secondo alcuni, nasce la grande attenzione nostra e t<strong>ed</strong>esca verso<br />

la geo-strategia: secondo un profondo stu<strong>di</strong>oso contemporaneo, infatti, “come non si<br />

può fare a meno <strong>di</strong> osservare che l’inventore del concetto è italiano, che nel 1916<br />

l’Ammiraglio Scheer, comandante della Flotta d’Alto Mare t<strong>ed</strong>esca parla della<br />

situazione geografica militare del suo paese? Gli Italiani <strong>ed</strong> i T<strong>ed</strong>eschi si sentivano<br />

sfavoriti dalla geografia che limitava le loro possibilità <strong>di</strong> espansione. Essi erano<br />

quin<strong>di</strong> più sensibili alla componente geografica della strategia, rispetto agli autori<br />

42


anglo-sassoni o persino <strong>fra</strong>ncesi, per i quali questa componente non era un<br />

problema” 102 .<br />

L’ultimo punto sul quale Mahan si sbagliava, almeno in parte, era nel giu<strong>di</strong>care<br />

definitiva l’inimicizia <strong>fra</strong>nco-italiana, forse anche per qualche antipatia personale<br />

verso i nostri “cugini d’oltralpe”; infatti, egli sosteneva che “non bisognava<br />

tralasciare il sincero e cor<strong>di</strong>ale interesse, sia nel passato sia attualmente, delle nazioni<br />

anglofone verso il progresso <strong>ed</strong> il consolidamento dell’unità italiana. Questo non può<br />

non rafforzarsi, non solo per i comuni interessi nel M<strong>ed</strong>iterraneo, ma anche per gli<br />

sforzi incessanti della Francia per ottenere lì una preponderanza, intollerabile per gli<br />

altri stati” 103 .<br />

Per tornare ai rapporti <strong>fra</strong> potenza militare e commerciale, è bene aggiungere alle<br />

citazioni prec<strong>ed</strong>enti un’altra più recente nel tempo. Come notava infatti Paul<br />

Kenn<strong>ed</strong>y, “suona crudelmente mercantilistico esprimerlo nel modo seguente, ma la<br />

ricchezza è normalmente necessaria per puntellare la potenza militare, e la potenza<br />

militare è normalmente necessaria per acquisire e proteggere la ricchezza” 104 .<br />

Va precisato che, quando si parla in questo contesto <strong>di</strong> potenza militare, si intende<br />

quella proiettabile oltremare, non quella che rimane all’interno dei confini. Anche su<br />

questo aspetto, il nostro amato paese è fortemente deficitario, potendone proiettare<br />

poca (la Brigata Anfibia Interforze <strong>ed</strong> i Paracadutisti), con il resto che può essere, al<br />

massimo, trasportato oltremare, a con<strong>di</strong>zione che non vi sia contrasto all’arrivo.<br />

102 H. COUTAU-BÉGARIE. Op. cit. pag. 732.<br />

103 A. T. MAHAN. The Problem of Asia, pag. 105.<br />

104 P. KENNEDY. The Rise and Fall of the Great Powers. Fontana Press, 1989, pag. xvi.<br />

43


2)-Le strategie occidentali <strong>ed</strong> i rapporti con la Galassia Islamica<br />

a)-L’aggiramento islamico da Sud e le Crociate<br />

L’espansione araba dell’alto M<strong>ed</strong>io Evo è ancor oggi un fenomeno<br />

impressionante, per chi lo voglia stu<strong>di</strong>are, data l’enorme estensione delle conquiste<br />

effettuate. Basti pensare che gli Arabi, nel corso <strong>di</strong> tre secoli, presero l’Egitto, la<br />

Libia, la Tunisia, l’Algeria <strong>ed</strong> il Marocco, passando poi sul continente europeo, <strong>ed</strong><br />

impossessandosi della Spagna e della Sicilia.<br />

Se infatti si guarda, sulla carta geografica, dov’è il passo <strong>di</strong> Roncisvalle, nei<br />

Pirenei, chi si occupa <strong>di</strong> questioni militari rimane meravigliato dalla capacità araba <strong>di</strong><br />

proiettare la propria potenza attraverso tutta la Spagna dell’epoca, le cui strade erano<br />

i resti <strong>di</strong> quelle costruite dall’Impero Romano, secoli prima e rovinate dalla mancata<br />

manutenzione, per alcuni secoli.<br />

Indubbiamente, con questa sconfitta, per gli Arabi si era verificato quello che<br />

viene descritto, in strategia, nel seguente modo: “la maggio parte (degli attacchi<br />

strategici) giunge ad un punto in cui le forze <strong>di</strong>sponibili dell’attaccante gli bastano<br />

appena per mantenersi sulla <strong>di</strong>fensiva in attesa della pace. Tutto sta nel comprendere<br />

qual è il punto culminante dell’offensiva” 105 , <strong>ed</strong> a Roncisvalle essi l’avevano<br />

superato.<br />

Bisogna anche <strong>di</strong>re che l’espansione verso ponente non era neanche la <strong>di</strong>rettrice<br />

principale, visto che il campo <strong>di</strong> battaglia primario era nell’Asia del Sud-Ovest, dove<br />

gli Arabi conquistarono la Siria, l’attuale Iraq e furono fermati solo dalla potenza<br />

105 C. von CLAUSEWITZ. Della Guerra. Ed, Mondadori, 1970. Vol II, pgg. 704-705.<br />

44


militare bizantina, sia pure con notevoli <strong>di</strong>fficoltà. Anche per mare, gli Arabi<br />

<strong>di</strong>vennero rapidamente un pericolo, a causa delle loro scorrerie, che si spingevano<br />

all’interno, arrivando fino ai passi alpini, dopo essere sbarcati nel Sud dell’attuale<br />

Francia.<br />

In effetti, il crollo dell’Impero Romano d’<strong>Occidente</strong> aveva creato una situazione<br />

estremamente favorevole, un vuoto <strong>di</strong> potenza che permise agli Arabi il controllo <strong>di</strong><br />

immense zone, la cui popolazione era relativamente scarsa e, soprattutto, priva <strong>di</strong> un<br />

potere militare coeso <strong>ed</strong> efficace, tale da resistere alle avanzate degli invasori.<br />

Cosa c’era <strong>di</strong>etro questa spettacolare serie <strong>di</strong> successi? Indubbiamente, alla base <strong>di</strong><br />

tutto questo esistevano una situazione <strong>di</strong> crescita vertiginosa della popolazione, una<br />

ricchezza senza pari, un sistema militare efficace <strong>ed</strong> innovativo – la cavalleria araba è<br />

rimasta leggendaria - <strong>ed</strong> uno spirito <strong>di</strong> conquista che era sostenuto dalla religione<br />

maomettana, un verbo da <strong>di</strong>ffondere <strong>fra</strong> gli inf<strong>ed</strong>eli.<br />

La reazione occidentale tardò a materializzarsi, per la mancanza <strong>di</strong> poteri forti, in<br />

grado quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> chiamare a raccolta tutte le energie delle comunità, messe in pericolo<br />

da questo nuovo flagello. La stessa vittoria <strong>di</strong> Roncisvalle fu, <strong>di</strong> fatto, una battaglia<br />

d’arresto, che non fu seguita imm<strong>ed</strong>iatamente da alcuna controffensiva, all’interno<br />

della Spagna, per ricacciare l’invasore.<br />

La proclamazione dell’Impero <strong>di</strong> Carlo Magno, in definitiva, non può essere vista<br />

solamente come un movimento interno all’Europa, teso a ripristinare la prec<strong>ed</strong>ente<br />

epoca d’oro dell’Impero <strong>di</strong> Roma, ma era in realtà il primo tentativo <strong>di</strong> far fronte al<br />

pericolo arabo. Bisognò attendere altri due secoli, dopo l’arrivo dei Normanni in<br />

45


Italia, perché una controffensiva avesse luogo. Nel <strong>fra</strong>ttempo, l’Impero d’<strong>Occidente</strong><br />

si era <strong>di</strong> nuovo <strong>di</strong>viso <strong>ed</strong> indebolito seriamente: solo Bisanzio avrebbe potuto<br />

prendere la guida della riscossa.<br />

Le circostanze favorirono la prima riconquista, che si materializzò nell’invasione<br />

della Sicilia, occupata dagli Arabi relativamente <strong>di</strong> recente, <strong>fra</strong> il 827 <strong>ed</strong> il 878. “Una<br />

guerra civile era scoppiata <strong>fra</strong> i governanti arabi dell’isola. L’Emiro <strong>di</strong> Palermo, al<br />

Akhal, si era trovato improvvisamente <strong>di</strong> fronte un esercito d’insorti, con a capo suo<br />

<strong>fra</strong>tello Abu Hafs, rinforzato da 6000 guerrieri africani, comandati da Abdullah, figlio<br />

del Califfo <strong>di</strong> Kairouan; e nel 1035, sempre più <strong>di</strong>sperato, fece appello a Bisanzio per<br />

aiuto” 106 .<br />

La sp<strong>ed</strong>izione bizantina fu rinforzata dai guerrieri normanni, che allora erano al<br />

servizio del principe <strong>di</strong> Salerno, e vennero messi da questi subito a <strong>di</strong>sposizione, in<br />

quanto essi erano “un numero crescente <strong>di</strong> avventurieri in ozio, annoiati, pr<strong>ed</strong>atori e<br />

totalmente senza principi, alla ricerca <strong>di</strong> guai e costretti a vivere dei prodotti locali<br />

della terra, (e) costituivano per lui un grave imbarazzo” 107 .<br />

Fatto sta che la sp<strong>ed</strong>izione, capitanata dal generale bizantino Maniakes, colse i<br />

primi successi, anche grazie ai Normanni, il cui capo, Guglielmo d’Altavilla, si<br />

guadagnò su campo il soprannome <strong>di</strong> “Bras de Fer” 108 , ma finì per perdere coesione e<br />

sfaldarsi, Maniakes fu accusato <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento, richiamato in patria <strong>ed</strong> imprigionato, il<br />

suo sostituto, un incapace, or<strong>di</strong>nò la ritirata, e così ebbe fine il primo tentativo <strong>di</strong><br />

riconquista. Ma i Normanni avevano imparato come fare.<br />

106 J. J. NORWICH. The Normans in the South. Ed. Longmans, 1967. pag. 52.<br />

107 Ibid. pag. 49.<br />

108 Ibid. pag. 54.<br />

46


Nel 1060, i <strong>fra</strong>telli Roberto e Ruggero, detto il Guiscardo, dopo essersi muniti<br />

della ben<strong>ed</strong>izione papale <strong>di</strong> papa Niccolò II, iniziarono la loro marcia verso sud,<br />

conquistando Taranto e quin<strong>di</strong> la Calabria. Una volta stabilite le loro linee <strong>di</strong><br />

comunicazione con la fonte della loro potenza militare, che era concentrata in<br />

Campania, essi furono poi in grado <strong>di</strong> compiere l’impresa più <strong>di</strong>fficile, invadendo la<br />

Sicilia, superando gli alti e bassi, inevitabili in ogni sp<strong>ed</strong>izione oltremare, e<br />

conseguendo infine un successo decisivo nell’estate del 1068, sconfiggendo gli Arabi<br />

nella battaglia <strong>di</strong> Misilmeri.<br />

Anche in questo caso, come accaduto molte volte nella storia, il generale nemico<br />

Ayub commise l’errore fatale, in quanto “aveva deciso <strong>di</strong> giocarsi non solo il suo<br />

esercito, ma anche la sua reputazione politica e militare sull’esito <strong>di</strong> una battaglia, <strong>ed</strong><br />

aveva perso” 109 .<br />

Non a caso, i suoi pr<strong>ed</strong>ecessori, dopo la prima vittoria normanna a Cerami, nel<br />

1063, avevano evitato <strong>di</strong> impegnarsi in battaglie decisive, in modo da tirare la lotta<br />

per le lunghe: loro infatti avevano il vantaggio <strong>di</strong> combattere in casa, farsi inviare<br />

rinforzi e rifornimenti dall’Africa, quando necessario, mentre i Normanni dovevano<br />

contare su linee <strong>di</strong> comunicazione estremamente lunghe e vulnerabili, attraverso la<br />

Calabria ancora non completamente sottomessa. Ci vollero, naturalmente, ancora<br />

degli anni per far capitolare, una dopo l’altra, le varie fortezze: Palermo fu presa nel<br />

1072, Girgenti nel 1086, Butera l’anno successivo, <strong>ed</strong> infine “nel 1091 cadde l’ultimo<br />

castello arabo, Noto: tutta l’isola fu libera” 110<br />

109 Ibid. pag. 167.<br />

110 F. COGNASSO. Storia delle Crociate. Ed dall’Oglio, 1967. pag. 109.<br />

47


Parallelamente, era iniziata la seconda controffensiva cristiana, questa volta in<br />

Ispagna, la cosiddetta “Reconquista” che fu ancor più lunga e <strong>di</strong>fficile, tanto da<br />

concludersi sono a metà del XV secolo; si può <strong>di</strong>re che gli Arabi erano, da per tutto,<br />

in ripiegamento, e ne v<strong>ed</strong>remo <strong>fra</strong> poco i motivi.<br />

Nel <strong>fra</strong>ttempo, erano sorte le Repubbliche Marinare, anzitutto Amalfi, seguita da<br />

Pisa e, quin<strong>di</strong>, da Genova e Venezia, il cui ruolo fu duplice: esse riaprirono il<br />

M<strong>ed</strong>iterraneo al commercio, monopolizzando i traffici; in tal modo si arricchirono e<br />

furono poi in grado <strong>di</strong> sostenerli militarmente, contro i pirati e le flotte arabe, quando,<br />

due secoli dopo, la flotta bizantina avrà perduto la sua consistenza, per effetto del<br />

progressivo logoramento dell’Impero.<br />

Inoltre, quando si creò il grande moto popolare per la liberazione della Terra<br />

Santa, furono le Repubbliche Marinare a consentire ad una parte dei contingenti<br />

cristiani, sia pure a caro prezzo, il loro trasferimento verso il Levante, fornendo<br />

talvolta anche il supporto m<strong>ed</strong>ico e logistico in loco: l’osp<strong>ed</strong>ale <strong>di</strong> Amalfi a<br />

Gerusalemme, noto per essere stato la culla dell’Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Malta, ne è l’esempio più<br />

cospicuo.<br />

Ma iniziamo a v<strong>ed</strong>ere perché gli Arabi stavano perdendo lo slancio dell’offensiva,<br />

<strong>ed</strong> almeno lungo i fianchi estremi dei loro domini avevano perso talmente forza da<br />

dover ripiegare, lasciando <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> loro la popolazione civile, che li aveva a suo<br />

tempo seguiti nella trionfale avanzata.<br />

Il fronte principale, per gli Arabi, era costituito dall’Asia sud-occidentale, e<br />

comprendeva l’o<strong>di</strong>erna Siria, la Mesopotamia e l’Iran. Per conquistare quei vasti<br />

48


territori, <strong>di</strong>minuendo quin<strong>di</strong> la pressione demografica sulla penisola arabica, erano<br />

dovuti entrare in conflitto con l’Impero <strong>di</strong> Bisanzio, al quale avevano strappato vasti<br />

poss<strong>ed</strong>imenti.<br />

Ma nei secoli VIII e IX, “gli Abbassi<strong>di</strong> abbandonarono la politica <strong>di</strong> espansione<br />

che forma la gloria degli Omaya<strong>di</strong>: l’impero era troppo vasto, oramai, troppo pesante.<br />

Non cessarono però le guerre, specie con l’Impero bizantino” 111 . Il fattore che però<br />

tolse gran parte della spinta propulsiva, come del resto avviene spesso nella storia, fu<br />

l’accendersi delle lotte intestine. Anzitutto vi è la lotta <strong>fra</strong> il califfo <strong>ed</strong> i governatori<br />

delle provincie che “tendevano all’autonomia, all’in<strong>di</strong>pendenza” 112 . Poi vennero le<br />

<strong>di</strong>spute <strong>di</strong> famiglia, nelle quali “non si combatte più per l’onore della tribù, ma<br />

secondo il denaro versato” 113 .<br />

Infine vi fu la grande eresia sciita, causa ancor oggi <strong>di</strong> una lotta sorda e sotterranea<br />

<strong>fra</strong> queste due componenti maggiori del mondo islamico: gli sciiti, infatti, o meglio<br />

“gli Schiat Ali, il partito <strong>di</strong> Alì, riven<strong>di</strong>cavano alla famiglia del Profeta <strong>ed</strong> ai<br />

<strong>di</strong>scendenti legittimi il <strong>di</strong>ritto esclusivo <strong>di</strong> provare la verità, <strong>di</strong> governare la comunità<br />

islamica, <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong>vino intrinseco, non acquisito. Per gli Sciiti erano usurpatori così i<br />

califfi <strong>di</strong> Baghdad come quelli <strong>di</strong> Damasco. Nel secolo VIII gli Sciiti si <strong>di</strong>ffusero<br />

assai nelle provincie persiane, in<strong>di</strong>ane, persino bud<strong>di</strong>ste. Alcuni gruppi <strong>di</strong> Sciiti<br />

estremisti provocarono ribellioni assai gravi; perseguitati, si nascosero in società<br />

segrete. Il califfo Maamun per calmare gli spiriti sposò la figlia ad un principe alida<br />

che riconobbe come suo successore, ma a Baghdad, quando si vide la ban<strong>di</strong>era verde<br />

111 Ibid. pag. 12.<br />

112 Ibid. pag. 13.<br />

113 Ibid.<br />

49


alida anziché quella nera abbassida, la popolazione sunnita insorse <strong>ed</strong> il tentativo <strong>di</strong><br />

riconciliazione fallì (819)” 114 .<br />

Storicamente, gli effetti delle <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e civili e religiose sono spesso due,<br />

strettamente legati <strong>fra</strong> loro, essendo andata perduta nel popolo la motivazione a<br />

combattere, per affermare la f<strong>ed</strong>e: il primo è la per<strong>di</strong>ta della spinta espansionistica,<br />

con conseguente calo dei reclutamenti, <strong>ed</strong> il secondo è la conseguente necessità <strong>di</strong><br />

ricorrere a mercenari, normalmente stranieri. Fu questo secondo fattore, come<br />

v<strong>ed</strong>remo, a far entrare in azione i Turchi.<br />

Contro Bisanzio non mancarono agli Arabi, a <strong>di</strong>re il vero, successi anche<br />

significativi, almeno all’inizio, tanto che il califfo Harun-el-Rashid, nel 782, era<br />

giunto fino al Bosforo, ma con il tempo la situazione si era mo<strong>di</strong>ficata: ormai “tra<br />

basileis e califfi vi erano infatti interessi economici <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza creati dalle<br />

correnti commerciali che erano più forti dell’antagonismo religioso” 115 .<br />

In questa prima epopea islamica troviamo tutti gli elementi <strong>di</strong> un classico ciclo <strong>di</strong><br />

eventi, che si sono ripetuti più volte nella storia: anzitutto, si avverte, ad un dato<br />

momento, l’esigenza <strong>di</strong> espandersi, come <strong>di</strong>ceva Mackinder a causa dell’esplosione<br />

demografica, e per il conseguente problema per la popolazione, il cui sostentamento<br />

non è più possibile nei territori <strong>di</strong> origine.<br />

Iniziano, quin<strong>di</strong>, le <strong>di</strong>spute per il pr<strong>ed</strong>ominio, le razzie e le stragi <strong>fra</strong> le varie tribù,<br />

fino al momento in cui un leader carismatico non trova il modo <strong>di</strong> rappacificare il<br />

popolo. Ma questi è ben consapevole che la pace non risolve il problema della fame,<br />

114 Ibid. pag. 14.<br />

115 Ibid. pag. 12.<br />

50


<strong>ed</strong> impone quin<strong>di</strong> l’espansione come obiettivo. Una volta raggiunto il punto massimo<br />

dell’espansione, il popolo <strong>di</strong>venta s<strong>ed</strong>entario, <strong>ed</strong> è esposto agli attacchi <strong>di</strong> altre tribù,<br />

che cercano nella razzia il modo per sostentarsi, a spese altrui, e così via.<br />

Questa successione <strong>di</strong> eventi, “che anticipa la teoria dei cicli storici vichiani, (fu<br />

elaborata dal) tunisino Ibn Khaldun (1332-1406), il quale fonda il <strong>di</strong>venire storico<br />

nell’alternanza <strong>fra</strong> popoli noma<strong>di</strong> e s<strong>ed</strong>entari. I popoli noma<strong>di</strong> conquistarono le terre<br />

abitate dai popoli s<strong>ed</strong>entari e la dominarono, per poi trasformarsi essi stessi in<br />

s<strong>ed</strong>entari <strong>ed</strong> essere conquistati da nuovi popoli noma<strong>di</strong>, provenienti dal deserto o<br />

dalla profon<strong>di</strong>tà della massa continentale asiatica” 116 . Giova notare la consonanza <strong>di</strong><br />

idee con Mackinder, ma anche il fatto che questa iper-semplificazione contiene alcuni<br />

elementi che, in determinati contesti del Terzo Mondo, si verificano ancora.<br />

Se pensate, ad esempio, al Darfour, v<strong>ed</strong>rete i Janjawe<strong>ed</strong>, pastori noma<strong>di</strong>, tentare <strong>di</strong><br />

salvaguardare i loro pascoli, scacciando gli agricoltori provenienti dal Chad; è ben<br />

vero che, al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> questa lotta elementare si innestano gli appetiti petroliferi<br />

delle gran<strong>di</strong> compagnie, spinte dai rispettivi governi, ma bisogna entrare nell’or<strong>di</strong>ne<br />

d’idee che nei rapporti con popolazioni meno benestanti <strong>di</strong> noi i bisogni elementari,<br />

quelli che noi <strong>di</strong>amo per scontati, sono ben presenti nella loro mente, e costituiscono<br />

il vero motore della loro azione.<br />

Non bisogna, infatti, finire nel ri<strong>di</strong>colo, assumendo atteggiamenti del tipo <strong>di</strong><br />

quello che – si <strong>di</strong>ce – assunse la regina Maria Antonietta <strong>di</strong> Francia, quando fu<br />

informata della mancanza <strong>di</strong> pane <strong>fra</strong> il popolo, che per tale motivo si era sollevato.<br />

116 C. JEAN. Manuale <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> <strong>Strat</strong>egici. Ed. Franco Angeli, 2004, pag. 33.<br />

51


La sua reazione in estrema buona f<strong>ed</strong>e, si racconta, fu che se mancava il pane per il<br />

popolo, si poteva dar loro le brioches. Mai, alla povera regina, proveniente<br />

dall’Austria del buon governo, sarebbe venuto in mente che il problema era <strong>di</strong><br />

approvvigionamento, vuoi per carenza <strong>di</strong> prodotto, vuoi per aggiotaggio, vuoi infine<br />

per inefficienza della macchina governativa.<br />

Bisogna però ritornare agli Arabi <strong>ed</strong> ai loro rapporti con l’<strong>Occidente</strong> <strong>di</strong> allora. Nel<br />

flusso e riflusso degli occupanti <strong>di</strong> quello che noi chiamiamo, alla maniera della<br />

geografia tolemaica, il M<strong>ed</strong>io <strong>Oriente</strong>, anche la Città Santa, Gerusalemme, aveva<br />

vissuto alterne vicende. Posta sotto il dominio bizantino, a partire dal VII secolo, la<br />

città fu prima conquistata, il 19 maggio 614, dai Persiani <strong>di</strong> re Cosroe, e questi “con<br />

l’aiuto dell’elemento giudaico sempre represso e sempre turbolento, fecero strage<br />

della popolazione cristiana. Le gran<strong>di</strong> basiliche costantiniane e giustinianee andarono<br />

<strong>di</strong>strutte” 117 .<br />

Riconquistata nel 629 dall’Imperatore Eraclio, fu <strong>di</strong> nuovo persa dai cristiani, nel<br />

637, quando “gli Arabi <strong>di</strong> Omar comparvero davanti alla Città Santa. Quattro mesi<br />

resistettero i cristiani; poi il califfo venne da M<strong>ed</strong>ina per regolare personalmente la<br />

capitolazione con il patriarca Sofronio. Poi entrò in città modestamente e si recò a<br />

riverire sulla soglia il Santo Sepolcro” 118 .<br />

In estrema sintesi, la resa <strong>di</strong> Gerusalemme fu il risultato <strong>di</strong> un accordo, nel quale<br />

“il culto cristiano fu permesso, non però pubblicamente. Furono rispettate le chiese, i<br />

monasteri, le croci collocate nei vari punti della città; nessun <strong>ed</strong>ificio fu tolto al culto<br />

117 F. COGNASSO. Op. cit. pag. 97.<br />

118 Ibid.<br />

52


cristiano, salvo la basilica giustinianea del Moriah, che <strong>di</strong>ventò la Mes<strong>di</strong>jd-el-Aksa, la<br />

moschea lontana dove Maometto era stato portato (oggi nota come la Moschea <strong>di</strong><br />

Omar). Secondo gli or<strong>di</strong>ni del Profeta, Gerusalemme fu per i mussulmani la Città<br />

Santa, dopo la Mecca” 119 .<br />

Va detto che, grazie a questo accordo <strong>ed</strong> alla tolleranza dei governatori arabi, i<br />

pellegrinaggi cristiani continuarono, anche se, quando le guerre con Bisanzio<br />

riprendevano, i poveri pellegrini finivano, ogni tanto trucidati. Con il pur parziale<br />

risorgere della potenza dell’Europa occidentale, grazie ai re Franchi, anche questi si<br />

interessarono della questione; era un interesse logico <strong>ed</strong> ampiamente giustificato, dato<br />

che un gran numero <strong>di</strong> pellegrini veniva da questa parte del continente.<br />

Naturalmente, la questione <strong>di</strong> Gerusalemme era solo uno degli argomenti che si<br />

tentava <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere, visto il desiderio <strong>di</strong> cercare un modo <strong>di</strong> regolare i rapporti con il<br />

mondo arabo, in ossequio al precetto che “la guerra non è se non la continuazione del<br />

lavoro politico, al quale si <strong>fra</strong>mmischiano altri mezzi” 120 .<br />

Iniziò, a quanto sembra, re Pipino, che inviò ambasciatori nel 765 alla corte <strong>di</strong><br />

Baghdad, ma i cronisti <strong>fra</strong>nchi non specificarono le questioni da trattare. Carlo<br />

Magno, a sua volta, inviò una delegazione nel 797; solo nell’ 801, “mentre<br />

l’imperatore, <strong>di</strong> ritorno dall’incoronazione a Roma si avviava al Gran San<br />

Bernardo” 121 , giunsero notizie che ambasciatori da Baghdad erano sbarcati a Porto<br />

Pisano. Dei membri della delegazione occidentale, si seppe che era sopravvissuto il<br />

119 Ibid. pag. 98.<br />

120 C. von CLAUSEWITZ. Op. cit. Vol. II, pag. 811.<br />

121 F. COGNASSO. Op. cit. pag. 99.<br />

53


solo interprete, l’ebreo Isacco, il quale “era in Egitto con l’elefante e molti altri dono<br />

del califfo” 122 , che era il già noto Harun-el-Rashid.<br />

Le trattative continuarono negli anni successivi, e <strong>di</strong> queste rimane traccia in un<br />

passo, piuttosto ambiguo, del biografo dell’imperatore, Eginardo, il quale, “dopo aver<br />

ricordato i buoni rapporti dei due gran<strong>di</strong> principi, <strong>di</strong>ce del califfo (che) essendo venuti<br />

a lui gli ambasciatori che Carlo aveva inviato con doni al Sepolcro <strong>ed</strong> al Luogo della<br />

Resurrezione del Nostro Signore e Salvatore, <strong>ed</strong> avendogli in<strong>di</strong>cato la volontà del<br />

loro signore, non solo permise che si facesse quello che era richiesto, ma anche<br />

concesse che venisse assegnato alla sua podestà quel sacro e salutare luogo” 123 .<br />

Malgrado alcuni abbiano voluto v<strong>ed</strong>ere una cessione <strong>di</strong> sovranità sui Luoghi Santi,<br />

si deve ritenere che non si potesse parlare <strong>di</strong> protettorato, essendo la “cosa non<br />

conforme alle concezioni politiche dell’epoca e all’importanza che nel mondo<br />

islamico si riconosceva a Gerusalemme” 124 . Quin<strong>di</strong>, come <strong>di</strong>ce uno storico illustre,<br />

“protettorato no, ma protezione sì” 125 . Come v<strong>ed</strong>remo, queste trattative saranno poi<br />

citate per giustificare gli interventi cristiani in Terra Santa.<br />

Grazie alle relazioni <strong>fra</strong> i sovrani occidentali <strong>ed</strong> i califfi, la situazione della<br />

cristianità a Gerusalemme migliorò, se pure con momenti <strong>di</strong> alti e bassi. Nel<br />

complesso, peraltro, il clima era <strong>di</strong> benevolenza, <strong>ed</strong> “il Santo Sepolcro grazie alla<br />

generosità dei pellegrini o <strong>di</strong> devoti aveva potuto crearsi in <strong>Occidente</strong> un patrimonio<br />

122 Ibid.<br />

123 Ibid. pag. 100.<br />

124 Ibid.<br />

125 Ibid.<br />

54


terriero <strong>di</strong> cui non mancano le tracce nei vari paesi. (Ogni tanto) comparivano in<br />

<strong>Occidente</strong> dei monaci per riscuotere gli affitti” 126 .<br />

Nel 969, il dominio <strong>di</strong> Gerusalemme passò ai califfi fatimi<strong>di</strong> del Cairo, ma la<br />

situazione non cambiò, anche se “le cose pare andarono male sotto il fanatico califfo<br />

El-Hakim (996-1021)” 127 . Da notare che, in questo periodo, si ebbe una notevole<br />

presenza amalfitana nella Città Santa, grazie a commercianti <strong>ed</strong> all’interesse del<br />

vescovo <strong>di</strong> quella città.<br />

Il grande cambiamento avvenne nel 1071, con lo stabilirsi <strong>di</strong> un presi<strong>di</strong>o turco<br />

nella città, <strong>ed</strong> i nuovi dominatori “aggravarono i cristiani con nuove molestie <strong>ed</strong><br />

angherie, (<strong>fra</strong> cui) il pagamento <strong>di</strong> un p<strong>ed</strong>aggio per entrare in Gerusalemme e per<br />

visitare il Santo Sepolcro” 128 . È ben vero che, nel 1076, per effetto della ribellione<br />

araba contro i Turchi, poi soffocata in un bagno <strong>di</strong> sangue, gli abitanti cristiani<br />

soffrirono le conseguenze della repressione, ma non si può <strong>di</strong>re che il cambio <strong>di</strong><br />

regime avesse creato una situazione davvero insostenibile.<br />

Nel <strong>fra</strong>ttempo, il mondo cristiano era scosso da due lotte <strong>di</strong> potere, le cui<br />

conseguenze portarono allo scontro frontale <strong>fra</strong> <strong>Oriente</strong> <strong>ed</strong> <strong>Occidente</strong>. La prima fu lo<br />

scisma della Chiesa, conseguenza del rifiuto dei patriarchi <strong>di</strong> Bisanzio <strong>di</strong> accettare la<br />

supremazia della Chiesa <strong>di</strong> Roma. Dietro questa lotta, in <strong>Occidente</strong>, vi era l’avvenuto<br />

accordo <strong>fra</strong> l’imperatore Ottone <strong>ed</strong> il Papato, per cui “Roma <strong>di</strong>ventava <strong>di</strong> nuovo il<br />

pretesto ideale <strong>di</strong> una azione politica <strong>di</strong>retta ad escludere Bisanzio da ogni influsso in<br />

126 Ibid. pag. 101.<br />

127 Ibid.<br />

128 Ibid. pgg. 102-103.<br />

55


<strong>Occidente</strong>” 129 , dove, come abbiamo visto, essa aveva ancora dei poss<strong>ed</strong>imenti, specie<br />

nell’Italia meri<strong>di</strong>onale, soprattutto in Puglia, anche se questi erano minacciati dai<br />

Normanni e sarebbero presto caduti sotto il loro potere.<br />

Come al solito, questo scontro finì per essere mascherato da una <strong>di</strong>sputa<br />

dottrinaria, nel cui ambito la questione più nota era quella del Cr<strong>ed</strong>o romano, nel<br />

quale era inserita, a proposito dello Spirito Santo, la <strong>fra</strong>se “Qui ex Patre filioque<br />

proc<strong>ed</strong>it”. Solo <strong>di</strong>mostrando, infatti, che la Chiesa <strong>di</strong> Roma era in errore teologico,<br />

quella <strong>di</strong> Bisanzio poteva affermare la sua supremazia morale.<br />

Dopo un concilio a Bari, che non produsse la riconciliazione auspicata, un sabato,<br />

il 16 luglio 1054, lo scisma si consumò a Costantinopoli, vuoi perché “i Legati<br />

pontifici si comportarono con pochissimo tatto, (tanto che) la delegazione romana,<br />

mentre il clero <strong>di</strong> Santa Sofia celebrava la sacra liturgia, depositò sull’altare la<br />

sentenza <strong>di</strong> scomunica contro il patriarca (Michele Cerulario) e poi si ritirò” 130 , vuoi<br />

infine perché l’imperatore Costantino IX non fece nulla per imp<strong>ed</strong>ire lo scisma, a<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> sua madre, l’imperatrice Teodora.<br />

L’altro evento che produsse conseguenze altrettanto gravi, fu la lotta del nuovo<br />

imperatore d’<strong>Occidente</strong>, Enrico IV, contro il Papato, il cui Pontefice, Gregorio VII, il<br />

grande riformatore della purezza spirituale della Chiesa, era <strong>di</strong>ventato anche l’alfiere<br />

della supremazia morale della Chiesa sullo Stato. Dopo la morte del Papa, ebbe luogo<br />

l’elevazione al Soglio Pontificio <strong>di</strong> Vittore III, che morì due anni dopo, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Urbano II; quest’ultimo, un monaco <strong>fra</strong>ncese della famosa abbazia <strong>di</strong> Cluny, era stato<br />

129 Ibid. pag. 49.<br />

130 Ibid. pag. 52.<br />

56


uno dei principali collaboratori <strong>di</strong> Gregorio VII <strong>ed</strong> era stato raccomandato da lui<br />

come suo successore in punto <strong>di</strong> morte. Per reazione, l’imperatore fece eleggere<br />

Guiberto, arcivescovo <strong>di</strong> Ravenna, che si installò a Roma, sotto la protezione delle<br />

armi imperiali, col nome <strong>di</strong> Clemente III.<br />

Urbano II, esiliato da Roma, continuò l’opera per restaurare la purezza della<br />

Chiesa, continuando la lotta contro la simonia e l’affermazione dell’in<strong>di</strong>pendenza dai<br />

poteri statali, con l’indebolirsi della potenza militare imperiale, “nel 1095 andò a<br />

portare la sua propaganda nell’Italia superiore che era ancora la roccaforte degli<br />

imperialisti e scismatici” 131 .<br />

Il concilio <strong>di</strong> Piacenza, protetto dalle forze della contessa Matilde, che era<br />

<strong>di</strong>ventata l’anima della rivolta anti-imperiale – <strong>di</strong>etro l’in<strong>di</strong>pendenza della religione si<br />

erano raggruppati gli in<strong>di</strong>pendentisti italiani – trattò delle principali questioni<br />

religiose sul tappeto, ma incluse anche un appello per portare “aiuto ai <strong>fra</strong>telli<br />

d’<strong>Oriente</strong> oppressi dagli inf<strong>ed</strong>eli” 132 .<br />

Su questo argomento, gli ambasciatori <strong>di</strong> Costantinopoli, presenti al concilio,<br />

avevano apparentemente portato al Papa una lettera, nella quale si spiegava la<br />

situazione, sempre più <strong>di</strong>fficile, dell’impero d’<strong>Oriente</strong>, <strong>di</strong> fronte alla potenza militare<br />

turca, che aveva occupato gran parte dell’Anatolia, fonte principale delle entrate e<br />

dell’approvvigionamento alimentare, <strong>ed</strong> aveva stabilito a Nicea la sua s<strong>ed</strong>e principale<br />

nella regione.<br />

131 Ibid. pag. 61.<br />

132 Ibid. pag. 62.<br />

57


Era però chiaro fin dall’inizio, a Papa Urbano II, che invocare l’aiuto a Bisanzio in<br />

Italia non era un’iniziativa destinata ad andare molto lontano, dati i fin troppo recenti<br />

conflitti con quell’impero, che avevano appunto interessato la penisola, fino alla<br />

cacciata delle sue truppe. Il Papa, quin<strong>di</strong>, si mise in cammino per la Francia, in vista<br />

<strong>di</strong> un secondo concilio che aveva indetto a Clermont, nel nord della Francia, “per<br />

l’ottava <strong>di</strong> San Martino (18 novembre 1095)” 133 .<br />

Anche in Francia, la situazione dei rapporti <strong>fra</strong> Stato e Chiesa non era delle più<br />

tranquille, visto che il re era stato scomunicato, avendo ripu<strong>di</strong>ato la moglie,<br />

sostituendola con un’altra, Bertrada <strong>di</strong> Montfort, che era sposata con Folco d’Angiò.<br />

Inoltre, il clero <strong>fra</strong>ncese non era un modello <strong>di</strong> comportamento, secondo i parametri<br />

gregoriani, visto che abbondavano “investiture laiche, simonia e concubinato” 134 . Ma<br />

il re <strong>di</strong> Francia era il nemico naturale <strong>di</strong> Enrico IV, del quale non avrebbe mai<br />

riconosciuto la supremazia.<br />

I lavori conciliari, in presenza <strong>di</strong> una gran folla, si svolsero dal 18 al 26 novembre,<br />

Fra i vari provv<strong>ed</strong>imenti, l’istituto della “Tregua <strong>di</strong> Dio” <strong>di</strong>venne legge generale<br />

della Cristianità. Questa sospensione delle armi si era <strong>di</strong>mostrata più praticabile della<br />

“Pace <strong>di</strong> Dio”, che la Chiesa <strong>fra</strong>ncese aveva cercato <strong>di</strong> imporre, per far cessare le<br />

continue guerre <strong>fra</strong> cristiani, circa 60 anni prima. Ad<strong>di</strong>rittura, al concilio <strong>di</strong> Puy, in<br />

quegli anni, “si prescrive ai nobili <strong>ed</strong> ai rurali <strong>di</strong> unirsi e <strong>di</strong> creare una forza armata<br />

per imporre il rispetto della pace” 135 .<br />

133 Ibid. pag. 63.<br />

134 Ibid.<br />

135 Ibid. pag. 42.<br />

58


In questo, la Chiesa <strong>fra</strong>ncese sviluppava la dottrina <strong>di</strong> Sant’Agostino, che aveva<br />

per primo introdotto il concetto <strong>di</strong> “guerra giusta”, per <strong>di</strong>fendere un bene perduto, per<br />

la F<strong>ed</strong>e, per raggiungere la pace e per convertire l’avversario. Come si v<strong>ed</strong>e, il<br />

pacifismo della Chiesa cattolica ha ra<strong>di</strong>ci lontane, e in questa linea si collocano gli<br />

appelli <strong>di</strong> Papa Giovanni Paolo II, durante il Giubileo del 2000, quando egli <strong>di</strong>sse: “la<br />

pace è un <strong>di</strong>ritto fondamentale <strong>di</strong> ogni essere umano, da promuovere continuamente.<br />

Spesso questo compito, come anche recenti esperienze hanno <strong>di</strong>mostrato, comporta<br />

iniziative concrete per <strong>di</strong>sarmare l’aggressore. Intendo riferirmi alla cosiddetta<br />

interferenza umanitaria, che rappresenta, dopo il fallimento degli sforzi politici e dei<br />

mezzi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa non violenta, il tentativo estremo da farsi, per fermare la mano<br />

dell’ingiusto aggressore” 136 .<br />

Ma il Papa Urbano II andò oltre questo concetto <strong>di</strong> uso della forza per la <strong>di</strong>fesa<br />

contro un aggressore. Nella sessione <strong>di</strong> chiusura, tenuta sulla pubblica piazza,<br />

nell’impartire la ben<strong>ed</strong>izione, egli “esortò i presenti a <strong>di</strong>fendere la Chiesa, la<br />

cristianità nella pace, a conservare la pace <strong>di</strong> Dio. E poi <strong>di</strong>sse cose nuove. Ricordò<br />

come gli inf<strong>ed</strong>eli avessero desolato la cristianità d’<strong>Oriente</strong>: occorreva <strong>di</strong>fenderla<br />

come si <strong>di</strong>fendeva la cristianità <strong>di</strong> Spagna. Tutti i f<strong>ed</strong>eli <strong>di</strong> Cristo si unissero <strong>ed</strong><br />

andassero a combattere i nemici della F<strong>ed</strong>e” 137 .<br />

Questo appello, che non conteneva alcun riferimento esplicito alla Città Santa,<br />

destò l’emozione generale, che portò alla Prima Crociata. Era una <strong>di</strong>chiarazione che<br />

oggi potremmo definire “a fr<strong>ed</strong>do”, non fatta sull’onda <strong>di</strong> avvenimenti luttuosi, tali<br />

136 L’Osservatore Romano, 20-21 novembre 2000.<br />

137 F. COGNASSO. Op. cit. pag. 65.<br />

59


quin<strong>di</strong> da pr<strong>ed</strong>isporre l’opinione pubblica in senso favorevole, e quin<strong>di</strong> fu l’atto <strong>di</strong><br />

una ben precisa strategia, la stessa praticata dai musulmani, e precisamente quella<br />

dello scontro <strong>fra</strong> le civiltà, che v<strong>ed</strong>remo <strong>fra</strong> breve.<br />

Infatti, il Papa, con questo nobile <strong>ed</strong> accorato appello, si poneva anzitutto su un<br />

gra<strong>di</strong>no più alto rispetto ai sovrani – quin<strong>di</strong> anche rispetto ad Enrico IV –<br />

<strong>di</strong>mostrando <strong>di</strong> essere in grado <strong>di</strong> mobilitare le masse, pur non avendo forze militari<br />

sotto il suo comando. Quando Stalin chiese, sardonicamente, quante <strong>di</strong>visioni avesse<br />

il Papa, commise lo stesso errore <strong>di</strong> Enrico IV, sottovalutando la forza dei sentimenti<br />

collettivi, uno dei fattori della strategia.<br />

Inoltre, con il soccorso a Bisanzio, fortemente indebolita, Urbano II si prefiggeva<br />

un modo per far rientrare lo scisma, <strong>di</strong>mostrando l’utilità dell’unione <strong>fra</strong> i Cristiani;<br />

egli sapeva benissimo che le forze da lui scatenate avrebbero attraversato i territori<br />

dell’impero d’<strong>Oriente</strong>, saccheggiandolo <strong>ed</strong> indebolendolo ulteriormente – cosa che in<br />

effetti si verificò – e quin<strong>di</strong> sperava che l’imperatore sarebbe sceso a patti,<br />

imponendosi sulla sua Chiesa.<br />

Infine, con la <strong>di</strong>chiarazione della “Guerra <strong>di</strong> Dio”, che poi sarà conosciuta come<br />

“Guerra Santa”, il Papa rispondeva al mondo mussulmano, <strong>di</strong>mostrando che anche<br />

l’<strong>Occidente</strong> era in grado <strong>di</strong> scatenare le stesse forze morali che avevano costituito la<br />

molla dell’espansione islamica. Lo abbiamo visto, ai nostri giorni, con la “Guerra al<br />

Terrorismo”, anch’essa un’espressione politica – la guerra, in strategia, la si fa contro<br />

altre entità collettive, non contro un metodo, qual è il terrorismo.<br />

60


In definitiva, abbiamo qui il primo esempio occidentale <strong>di</strong> come lo scontro <strong>fra</strong><br />

civiltà sia una strategia, più che una situazione, anche se questa deve appoggiarsi,<br />

preferibilmente, su clamorosi eventi accaduti. Per avere successo, questa strategia,<br />

naturalmente, presuppone l’uso <strong>di</strong> tutte le energie <strong>di</strong> uno Stato o <strong>di</strong> una collettività, <strong>ed</strong><br />

ha come fine l’annientamento del nemico.<br />

La Crociata, peraltro, era una scommessa, basata com’era sul volontariato, visto<br />

che gli Stati non si impegnarono <strong>di</strong>rettamente, limitandosi ad autorizzare un certo<br />

numero <strong>di</strong> principi e duchi, con le milizie che essi avevano raccolto, ad andare a<br />

combattere gli inf<strong>ed</strong>eli: pur non potendosi opporre apertamente all’iniziativa papale, i<br />

Sovrani <strong>di</strong> fatto si limitarono quin<strong>di</strong> a riconoscerne la vali<strong>di</strong>tà, senza spendere troppe<br />

energie, necessarie per la lotta <strong>di</strong> potere sul continente europeo. Questo fu uno dei<br />

fattori che limitò l’ampiezza delle sp<strong>ed</strong>izioni nel Levante, riducendone l’efficacia.<br />

La Prima Crociata ottenne una serie <strong>di</strong> risultati positivi, nel mo<strong>di</strong>ficare gli<br />

equilibri <strong>fra</strong> <strong>Oriente</strong> <strong>ed</strong> <strong>Occidente</strong>: anzitutto, fissò forze notevoli del nemico islamico<br />

nel Levante, facendo quin<strong>di</strong> venir meno, per alcuni anni, la sua spinta espansionistica.<br />

Poi, le forze crociate conquistarono Nicea, rigettando lontano da Costantinopoli il<br />

nemico, grazie alla vittoria <strong>di</strong> Dorileo, il 1° luglio 1097, che aprì loro la strada verso<br />

Antiochia.<br />

Va detto che i leader islamici avevano sottovalutato il nuovo nemico, dopo che il<br />

Sultano Qilig Arslān, il 21 ottobre 1096, aveva fatto agevolmente strage, nei pressi <strong>di</strong><br />

Nicea, <strong>di</strong> un primo gruppo <strong>di</strong> Cristiani, guidato da Pietro l’Eremita, e composto da<br />

“centinaia <strong>di</strong> cavalieri e un gran numero <strong>di</strong> fanti armati, insieme a migliaia <strong>di</strong> donne,<br />

61


ambini e vecchi vestiti <strong>di</strong> stracci: si sarebbe detto un popolo cacciato dalle proprie<br />

terre da un invasore. Si raccontava inoltre che tutti portassero, cucite sul dorso, strisce<br />

<strong>di</strong> stoffa in forma <strong>di</strong> croce” 138 .<br />

Il grosso dei Crociati – che le cronache islamiche dell’epoca chiamavano<br />

“Franchi” – arrivò l’anno successivo e gli esploratori islamici notarono subito<br />

qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso: “non si trattava più, come in estate, <strong>di</strong> bande <strong>di</strong> saccheggiatori<br />

sbrindellati, ma <strong>di</strong> veri e propri eserciti composti da migliaia <strong>di</strong> cavalieri<br />

pesantemente equipaggiati” 139 . Nella battaglia <strong>di</strong> Dorileo, appunto, la tattica dei<br />

guerrieri turchi, secondo la quale “i cavalieri si avvicinavano, scaricavano una<br />

pioggia <strong>di</strong> frecce mortali sul nemico e si allontanavano a grande velocità, per lasciare<br />

il posto ad una nuova fila <strong>di</strong> attaccanti” 140 si rivelò infruttuosa contro le corazze dei<br />

loro nemici.<br />

Da questa breve descrizione si possono trarre due considerazioni: anzitutto, una<br />

tattica, che funziona in una situazione, può essere inefficace in un’altra. Il Sultano<br />

Qilig Arslān, che non cambiò per tempo il tipo <strong>di</strong> attacco, perse la battaglia e la sua<br />

vita. L’altro aspetto da ritenere è che la conquista della Terrasanta fu dovuta a due<br />

fattori, vere e proprie sorprese tecnologiche: la corazzatura dei fanti e dei cavalieri, e<br />

l’appoggio navale.<br />

La notizia sull’esito della battaglia destò, naturalmente, molto scalpore. Come<br />

racconta un cronachista dell’epoca, “quando si seppe che l’Islām aveva subìto una<br />

sorte così vergognosa, si <strong>di</strong>ffuse un vero e proprio panico tra la gente. Il terrore e<br />

138 A. MAALOUF. Le Crociate viste dagli Arabi. Società E<strong>di</strong>trice Internazionale, Torino 1989, pag. 19<br />

139 Ibid. pag. 26.<br />

140 Ibid. pag. 31<br />

62


l’ansia assunsero notevoli proporzioni” 141 . Da quel momento, questo fattore<br />

psicologico, il senso d’inferiorità che gli islamici provavano verso questi guerrieri<br />

bion<strong>di</strong> e grossi, ebbe la sua importanza in tutti gli avvenimenti e gli scontri<br />

successivi.<br />

L’esercito imperiale, come concordato, riprese possesso dell’Anatolia<br />

occidentale, mentre i Crociati occupavano la sua parte meri<strong>di</strong>onale, da Edessa ad<br />

Iskenderun, mettendosi quin<strong>di</strong> in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ricevere via mare i rinforzi <strong>ed</strong> i<br />

rifornimenti. La conquista <strong>di</strong> Antiochia, e quin<strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Gerusalemme, compiuta il<br />

15 luglio 1099, grazie anche all’ausilio dei marinai genovesi, fu una serie <strong>di</strong> atti<br />

eroici, seguiti da un’orgia <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione e <strong>di</strong> massacri.<br />

Nota uno scrittore nostro contemporaneo che: “il sacco <strong>di</strong> Gerusalemme (fu) il<br />

punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> una ostilità millenaria tra l’Islām e l’<strong>Occidente</strong>. Occorrerà<br />

attendere circa mezzo secolo prima che l’<strong>Oriente</strong> arabo si mobiliti contro l’invasore e<br />

che la chiamata alla Guerra Santa lanciata dal qādī <strong>di</strong> Damasco nella Cancelleria del<br />

Califfo sia celebrata come il primo atto solenne della resistenza” 142 .<br />

In definitiva, il fatto che il regno, o meglio “l’Avvocatura della Chiesa del Santo<br />

Sepolcro”, sia durato quasi un secolo, fino al 1187, è già un vero e proprio miracolo,<br />

una sfida all’impossibile, legata più alla debolezza e alla <strong>di</strong>sunione delle varie<br />

componenti del potere islamico nella regione, che non ad una capacità <strong>di</strong> imporsi in<br />

modo stabile nella zona; malgrado i rifornimenti <strong>ed</strong> i rinforzi, che giungevano<br />

141 Ibid. pag. 32.<br />

142 Ibid. pag. 12.<br />

63


perio<strong>di</strong>camente via mare, in realtà al Terrasanta si trovava ben al <strong>di</strong> là della <strong>di</strong>stanza<br />

<strong>di</strong> agevole supporto, come del resto v<strong>ed</strong>remo, parlando della Seconda Crociata.<br />

Da questa epopea nasce, però, un fattore <strong>di</strong> forza per l’<strong>Occidente</strong> che eserciterà la<br />

sua influenza per molti secoli: l’Or<strong>di</strong>ne degli Osp<strong>ed</strong>alieri <strong>di</strong> San Giovanni, poi noto<br />

come Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Malta, ebbe appunto origine in quel periodo, nell’osp<strong>ed</strong>ale amalfitano<br />

della Città Santa, d<strong>ed</strong>icato a San Giovanni Battista.<br />

L’evento che scatenò la Seconda Crociata fu la caduta <strong>di</strong> Edessa, l’attuale Urfa,<br />

“capitale del più antico dei quattro Stati <strong>fra</strong>nchi d’<strong>Oriente</strong>” 143 il 23 <strong>di</strong>cembre 1144; da<br />

parte islamica, questo successo fu visto come “il coronamento della risposta araba<br />

agli invasori e come l’inizio della lunga marcia verso la vittoria” 144 , e il vincitore,<br />

l’atabek Zenkī, signore <strong>di</strong> Aleppo e <strong>di</strong> Mossul <strong>di</strong>venne un eroe dell’Islam.<br />

Questi, padre del più celebre Nūr al-Dīn, detto Noran<strong>di</strong>no, aveva finalmente<br />

cambiato il modo <strong>di</strong> combattere dei guerrieri islamici: “prima <strong>di</strong> lui, i generali turchi<br />

arrivavano in siria accompagnati da truppe impazienti si saccheggiare e <strong>di</strong> ripartire<br />

con il soldo e il bottino. L’effetto delle loro vittorie veniva rapidamente annullato<br />

dalle successive sconfitte. Si smobilitavano le truppe per mobilitarle nuovamente<br />

l’anno dopo. Con Zenkī le cose cambiarono. Per <strong>di</strong>ciotto anni questo guerriero<br />

infaticabile percorrerà in lungo e in largo la Siria e l’Iraq, dormando sulla paglia per<br />

proteggersi dal fango, combattendo gli uni, patteggiando con gli altri, tessendo<br />

intrighi contro tutti” 145 . Furono lui, suo figlio e, soprattutto, Salah el-Dīn prima a<br />

143 Ibid. pag. 153.<br />

144 Ibid.<br />

145 Ibid. pag. 134.<br />

64


contenere la spinta offensiva dei Crociati e poi a creare le premesse per la loro<br />

cacciata da Gerusalemme.<br />

D’altra parte, però, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Edessa, il cui possesso era essenziale per garantire<br />

le comunicazioni <strong>ed</strong> i rifornimenti tra il nord <strong>ed</strong> il sud dell’Anatolia, scatenò<br />

l’emozione generale, in <strong>Occidente</strong>, soprattutto grazie alla pr<strong>ed</strong>icazione <strong>di</strong> San<br />

Bernardo da Clairvaux (Chiaravalle).<br />

Anche in questo caso, la pr<strong>ed</strong>icazione del santo servì a sventare una nuova guerra<br />

per la Sicilia, detenuta dai Normanni, ma riven<strong>di</strong>cata da Bisanzio, che per l’occasione<br />

si era alleato con l’imperatore d’<strong>Occidente</strong>, Corrado <strong>di</strong> Hohenstaufen. Sia<br />

quest’ultimo, sia il re <strong>di</strong> Francia, Luigi VII, decisero <strong>di</strong> partecipare all’impresa, il che<br />

<strong>di</strong><strong>ed</strong>e un attimo <strong>di</strong> respiro ai re normanni, i quali offersero al re <strong>fra</strong>ncese la loro flotta<br />

e, quando l’offerta fu rifiutata, la usarono per occupare le isole Ionie, Corfù in primo<br />

luogo, e per crearsi dei punti fortificati sulla costa del Peloponneso.<br />

L’imperatore d’<strong>Oriente</strong>, Manuele Comneno, corse ai ripari firmando la pace con<br />

l’emiro <strong>di</strong> Konya, un atto che scandalizzò i Crociati. Arrivati questi a Costantinopoli,<br />

re Luigi fu tentato <strong>di</strong> prendere il potere, ma decise invece <strong>di</strong> riprendere la marcia<br />

attraverso l’Anatolia, mentre l’imperatore Corrado, via mare, raggiunse <strong>di</strong>rettamente<br />

la Siria. Il contingente <strong>fra</strong>ncese, cui si era unito il conte <strong>di</strong> Savoia Am<strong>ed</strong>eo III con i<br />

suoi armati, fu talmente malmenato dai Turchi, che lo sottomisero a continue<br />

imboscate e lo costrinsero a conquistare a viva forza tutti i passaggi obbligati, che<br />

dovette deviare verso la costa, ad Antalia, dove il re Luigi si reimbarcò per<br />

65


aggiungere Antiochia, lasciando <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé i membri del contingente sabaudo che<br />

erano sopravvissuti a quella terribile esperienza.<br />

Non meraviglia, quin<strong>di</strong> che, nel consiglio dei re, alla richiesta <strong>di</strong> “attaccare<br />

Aleppo, per riprendere le posizioni perdute, Luigi VII respinse le sollecitazioni” 146 , e<br />

partì in nave per Gerusalemme. Ad Acri, dove in effetti sbarcarono i contingenti<br />

<strong>fra</strong>nco-t<strong>ed</strong>eschi, si tenne un nuovo consiglio <strong>di</strong> guerra, nel quale “si respinse come<br />

assurda l’idea <strong>di</strong> riconquistare Edessa, e (invece) si decise <strong>di</strong> assalire Damasco, come<br />

centro mussulmano pericoloso” 147 .<br />

L’idea era buona, in teoria, in quanto avrebbe fatto venir meno un centro motore<br />

della resistenza islamica, con conseguente caduta <strong>di</strong> quelli secondari, come Edessa,<br />

che si sarebbero trovati privi del loro appoggio nella regione, oltretutto, la città era<br />

scarsamente fortificata, per cui l’impresa sembrava fattibile.<br />

Ma gli avversari erano in grado, più degli Occidentali, <strong>di</strong> coalizzarsi al momento<br />

del pericolo, e quin<strong>di</strong> l’attacco, così all’interno della Siria, fuori quin<strong>di</strong> dalle agevoli<br />

possibilità <strong>di</strong> rinforzo e rifornimento via mare, si rivelò decisamente superiore alle<br />

possibilità dei Crociati, e fallì miseramente il 28 luglio 1148, anche per una serie <strong>di</strong><br />

errori commessi dagli attaccanti, che dovettero rinunciare all’impresa e intraprendere<br />

una penosa ritirata.<br />

Nelle inevitabili polemiche fu coinvolto anche San Bernardo, il cui prestigio <strong>di</strong><br />

capo morale della Chiesa era stato gravemente intaccato, per aver proposto l’impresa<br />

con tanta “temerarietà e leggerezza. (nella sua <strong>di</strong>fesa, egli <strong>di</strong>sse che) aveva obb<strong>ed</strong>ito<br />

146 COGNASSO. pag. 439-440.<br />

147 Ibid. pag. 441.<br />

66


agli or<strong>di</strong>ni del Papa o, per meglio <strong>di</strong>re, agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Dio trasmessigli dal Papa. Se<br />

tutto era andato male, la colpa era degli uomini che avevano peccato” 148 . Il capro<br />

espiatorio fu in<strong>di</strong>viduato nell’imperatore <strong>di</strong> Bisanzio, e cominciarono a montare le<br />

pressioni per farla finita con quest’impero che non solo non aiutava i Crociati,<br />

facendo loro mancare i rifornimenti promessi, ma ad<strong>di</strong>rittura si alleava col nemico!<br />

Come avviene dopo ogni sconfitta, subita da un contingente straniero <strong>di</strong><br />

sp<strong>ed</strong>izione, le forze della regione si imbaldanzirono, ritenendo a ragione che, per un<br />

po’, l’<strong>Occidente</strong> non avrebbe più interferito negli affari loro. Quin<strong>di</strong>, da una parte i<br />

Turchi ripresero l’offensiva contro il regno <strong>di</strong> Gerusalemme <strong>ed</strong> i connessi principati<br />

latini, e dall’altra l’imperatore <strong>di</strong> Bisanzio, in temporaneo accordo con i primi, ne<br />

approfittò per ottenere la sottomissione <strong>di</strong> quello sventurato regno.<br />

Un astro nascente, nel campo mussulmano, creò le premesse per la fine della<br />

conquista latina dei Luoghi Santi. Salah el-Dīn, più noto da noi come il “feroce<br />

Sala<strong>di</strong>no” non aveva propositi bellicosi contro il regno, ma intendeva continuare la<br />

politica prudente dei suoi pr<strong>ed</strong>ecessori, stretto com’era <strong>fra</strong> l’impero bizantino e gli<br />

altri potentati islamici, che spesso si alleavano ai cristiani per allargare i loro domini.<br />

Fu una scorreria <strong>di</strong> un personaggio minore, Renaud <strong>di</strong> Chatillon, <strong>di</strong>venuto signore<br />

<strong>di</strong> Kerak,un castello nel Moab, che dominava i passaggi delle carovane con la Mecca,<br />

(noto anche come il Krak dei Cavalieri) a sconvolgere il precario equilibrio esistente.<br />

Egli era un ulteriore esempio <strong>di</strong> un Occidentale “che il pellegrinaggio o la sete <strong>di</strong><br />

avventura conducevano in <strong>Oriente</strong>, dove trovavano una sposa” 149 . Nel nostro caso,<br />

148 Ibid. pag. 445.<br />

149 J. RICHARD. La Grande Storia delle Crociate. Newton & Compton, 1999, pag. 186.<br />

67


egli era al soldo <strong>di</strong> re Baldovino, in qualità <strong>di</strong> “cavaliere pellegrino” e, pur essendo <strong>di</strong><br />

famiglia nobile, “è probabile che avesse subìto dei rovesci <strong>di</strong> fortuna: chiese infatti a<br />

Luigi VII <strong>di</strong> far in modo che gli venisse restituito il patrimonio che i suoi nemici gli<br />

avevano sottratto” 150 . La sua sete <strong>di</strong> danaro e <strong>di</strong> razzie, probabilmente, era legata alla<br />

sua voglia <strong>di</strong> riprendersi la ricchezza che gli era stata tolta.<br />

Dopo aver sposato Costanza, v<strong>ed</strong>ova <strong>di</strong> Raimondo <strong>di</strong> Poitiers, e regina <strong>di</strong><br />

Antiochia, egli si d<strong>ed</strong>icò a compiere scorrerie in territorio nemico, attirandosi l’o<strong>di</strong>o<br />

delle popolazioni islamiche; durante una <strong>di</strong> queste, il 23 novembre 1161, Renaud fu<br />

fatto prigioniero da Nūr al-Dīn, che lo tenne “prigioniero ad Aleppo per quin<strong>di</strong>ci<br />

anni, e non sembra che (l’imperatore) Manuele sia intervenuto in suo favore come<br />

fece per altri prigionieri 151 ”. Il suo approccio da falco, e la sua crudeltà gli avevano<br />

evidentemente alienato anche parte dei capi occidentali.<br />

Una volta liberato, Renaud riprese le sue scorrerie, nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> ostilità;<br />

purtroppo per i Crociati, durante un periodo <strong>di</strong> tregua tra il regno <strong>di</strong> Gerusalemme e<br />

Sala<strong>di</strong>no, egli decise <strong>di</strong> razziare una ricca carovana che andava dal Cairo a Damasco,<br />

alla fine del 1186. Sala<strong>di</strong>no, <strong>di</strong> conseguenza, “giurò la <strong>di</strong>struzione definitiva della<br />

dominazione dei Cristiani <strong>di</strong> Siria, (e) mobilitò tutti i suoi popoli per la guerra santa<br />

contro i Latini spergiuri” 152 .<br />

La sp<strong>ed</strong>izione <strong>di</strong> Sala<strong>di</strong>no si <strong>di</strong>resse verso Tiberiade e la conquistò, dopo aver<br />

sconfitto i Cristiani a Saffuriya, il 1° maggio 1187. La controffensiva fallì<br />

clamorosamente: il 4 luglio ad Hittin, vicino al lago, l’esercito cristiano subì una<br />

150 Ibid. pag. 186.<br />

151 Ibid. pag. 192.<br />

152 COGNASSO. pag. 530.<br />

68


seconda, decisiva sconfitta, seguita dal massacro dei prigionieri, e Gerusalemme,<br />

ormai priva della protezione delle forze militari, cadde il 20 settembre successivo. La<br />

notizia colse le corti europee nel bel mezzo dell’ennesima guerra tra Francia <strong>ed</strong><br />

Inghilterra, mentre il re normanno fomentava ribellioni nei Balcani <strong>ed</strong> a Cipro contro<br />

Bisanzio.<br />

Ma l’evento colpì profondamente il Papa Urbano III, già vecchio e stanco, che<br />

morì il 20 ottobre. “Toccò al nuovo Papa, Gregorio VIII <strong>di</strong> sottoscrivere la grande<br />

bolla del 29 ottobre, da Ferrara, che lui (stesso), come cancelliere, aveva r<strong>ed</strong>atto:<br />

Au<strong>di</strong>ta tremenda severi tate iu<strong>di</strong>cii” 153 , nella quale, sulla falsariga <strong>di</strong> San Bernardo,<br />

mezzo secolo prima, si invitava alla penitenza <strong>ed</strong> alla purificazione.<br />

Un mese dopo. Il Papa emanò un’altra bolla, da Parma, in cui egli proclamava una<br />

nuova crociata, poco prima <strong>di</strong> morire. Il suo successore, Clemente III, si assunse il<br />

compito della pr<strong>ed</strong>icazione della Crociata, ottenendo la pace, sia pure temporanea, tra<br />

Francia <strong>ed</strong> Inghilterra i cui re proclamarono la “decima sala<strong>di</strong>na”, una tassa destinata<br />

a finanziare la nuova sp<strong>ed</strong>izione, ma che sollevò un enorme malcontento nei due<br />

paesi, già prostrati economicamente dalla guerra.<br />

Il primo a partire fu l’imperatore <strong>di</strong> Germania, F<strong>ed</strong>erico detto il Barbarossa, nella<br />

primavera del 1188, dopo aver dato assicurazioni al suo equivalente <strong>di</strong> Bisanzio,<br />

Isacco Angelo, che la sp<strong>ed</strong>izione non era <strong>di</strong>retta contro <strong>di</strong> lui: dopo l’esito infausto<br />

della crociata prec<strong>ed</strong>ente, a Costantinopoli ci si attendeva una ritorsione. Le colonne<br />

t<strong>ed</strong>esche attraversarono i Balcani compiendo le solite razzie, e si stabilirono ad<br />

153 Ibid. pag. 613.<br />

69


Adrianopoli, per svernare. Le relazioni con Bisanzio raggiunsero momenti <strong>di</strong><br />

tensione, tanto che Pisa inviò delle galere per partecipare all’attacco alla capitale.<br />

Alla fine fu raggiunto l’accordo, <strong>ed</strong> i Crociati t<strong>ed</strong>eschi entrarono in Anatolia,<br />

traghettati dalla flotta bizantina. Sboccati nella piana <strong>di</strong> Lao<strong>di</strong>cea, oltre i confini <strong>di</strong><br />

Bisanzio, si entrò in una terra che ormai non era più coltivata, essendo abitata da<br />

tempo da pastori noma<strong>di</strong> turchi, i quali si eclissavano con le loro greggi<br />

all’avvicinarsi dei Crociati.<br />

La <strong>di</strong>rettrice <strong>di</strong> marcia, malgrado le sempre crescenti <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong><br />

approvvigionamento e gli attacchi turchi, fu fissata verso Konya, che fu raggiunta e<br />

conquistata il 17 maggio, il che convinse il sultano locale a chi<strong>ed</strong>ere la pace, dando<br />

“in mano all’imperatore 20 emiri come ostaggi <strong>ed</strong> a fornire il vettovagliamento” 154 .<br />

Pochi giorni dopo, mentre il contingente proseguiva la sua marcia verso la pianura<br />

della Cilicia, l’imperatore F<strong>ed</strong>erico morì il 10 giugno 1190, secondo alcune fonti<br />

cadendo da cavallo mentre attraversava un torrente in piena, secondo altre, “colpito<br />

da sincope dopo il pasto, nell’acqua fr<strong>ed</strong>da” 155 .<br />

Le truppe t<strong>ed</strong>esche continuarono verso Acri, mentre la salma dell’imperatore<br />

veniva portata ad Antiochia; lì esse furono raggiunte dal contingente dei paesi baltici,<br />

venuto via mare, che nel <strong>fra</strong>ttempo aveva aiutato il re Sancho del Portogallo a<br />

riprendere possesso della regione dell’Algarve, conquistandone il centro principale,<br />

Silves.<br />

154 Ibid. pag. 635.<br />

155 Ibid.<br />

70


Ad Acri arrivò anche Riccardo, re d’Inghilterra, l’8 giugno 1191, dopo un lungo<br />

tragitto via mare, durante il quale aveva conquistato l’isola <strong>di</strong> Cipro, deponendo il suo<br />

preteso re, Isacco Comneno, che aveva rifiutato viveri <strong>ed</strong> acqua agli Inglesi, <strong>ed</strong> aveva<br />

intimato loro <strong>di</strong> sgomberare. Nel <strong>fra</strong>ttempo, però, l’ass<strong>ed</strong>io <strong>di</strong> Acri, dopo due anni,<br />

volgeva ormai al termine e la città si arrese, il 12 luglio 1191, un mese dopo l’arrivo<br />

<strong>di</strong> Riccardo. Questa volta i Crociati erano riusciti a sostenere l’ass<strong>ed</strong>io <strong>ed</strong> a<br />

respingere i contrattacchi <strong>di</strong> Sala<strong>di</strong>no, grazie all’appoggio del potere marittimo,<br />

fornito dalle repubbliche marinare italiane, che avevano rifornito i Crociati, avevano<br />

trasportato i rinforzi, <strong>ed</strong> avevano imposto un blocco alla città, imp<strong>ed</strong>endo l’arrivo dei<br />

rifornimenti del nemico.<br />

Dopo la vittoria, le <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e si ripresentarono in campo alleato, <strong>ed</strong> i Francesi<br />

abbandonarono la sp<strong>ed</strong>izione; Riccardo decise <strong>di</strong> continuare verso Gerusalemme,<br />

tenendosi vicino al mare, da cui traeva forza, e si stabilì a Giaffa, e ad Ascalona, ma<br />

fu <strong>di</strong>ssuaso dal tentare l’ass<strong>ed</strong>io <strong>di</strong> Gerusalemme, dato il rischio <strong>di</strong> essere tagliato<br />

fuori dai collegamenti col mare, date le sue forze limitate, insufficienti a controllare il<br />

territorio circostante, <strong>di</strong> fronte a Sala<strong>di</strong>no, che faceva terra bruciata e compiva<br />

incursioni nei punti deboli del suo schieramento.<br />

Alla fine, il 8 ottobre 1192, egli concluse una tregua <strong>di</strong> tre anni con il nemico e si<br />

ritirò. Stando all’accordo, “i cristiani avrebbero conservato Giaffa, avrebbero invece<br />

abbattuto quello che avevano costruito ad Ascalona; libere sarebbero state le<br />

comunicazioni, i commerci; i cristiani avrebbero potuto visitare il Santo Sepolcro e<br />

71


tutti i santuari” 156 . Una sp<strong>ed</strong>izione, a sorpresa, fu compiuta, pochi anni dopo, nel<br />

1197, dall’imperatore Enrico VI, i cui soldati conquistarono Beirut e si <strong>di</strong>ressero<br />

verso Gerusalemme, quando giunse la notizia della morte dell’imperatore, avvenuta a<br />

Messina il 28 settembre prec<strong>ed</strong>ente.<br />

I crociati giurarono f<strong>ed</strong>eltà al nuovo imperatore, F<strong>ed</strong>erico II, <strong>ed</strong> iniziarono<br />

l’ass<strong>ed</strong>io della fortezza <strong>di</strong> Tibnin, che sbarrava il cammino verso la Città Santa. La<br />

resistenza dei mussulmani convinse i T<strong>ed</strong>eschi a togliere l’ass<strong>ed</strong>io, il 2 febbraio 1198.<br />

Anche questo tentativo era fallito.<br />

Come si è visto, gli sforzi del Papato, dopo l’iniziale appello per soccorrere i<br />

Cristiani d’<strong>Oriente</strong>, si erano rapidamente orientati in <strong>di</strong>rezione della conquista, e<br />

quin<strong>di</strong> della <strong>di</strong>fesa dei Luoghi Santi. Il motivo era stata la crescente inimicizia <strong>fra</strong> i<br />

sovrani dell’Europa occidentale e Bisanzio, sentimento accentuato dai contatti <strong>di</strong>retti<br />

che erano intercorsi, durante le Crociate svoltesi finora, ma soprattutto a causa della<br />

condotta ambigua dei reggitori bizantini.<br />

Essi infatti avevano spesso mancato ai loro impegni <strong>di</strong> sostenere i contingenti<br />

crociati che attraversavano l’Anatolia, proprio per fare loro un grande favore, in<br />

quanto ampliavano la zona anatolica controllata da Bisanzio, battendosi contro il<br />

nemico turco; ad<strong>di</strong>rittura, come abbiamo visto, i Bizantini si erano alleati con questi<br />

ultimi contro i “soccorritori occidentali”mettendoli in gravi <strong>di</strong>fficoltà.<br />

Per tutti questi motivi, come abbiamo visto, già in passato era mancato poco che la<br />

situazione sfuggisse <strong>di</strong> mano, <strong>ed</strong> i Crociati si impadronissero <strong>di</strong> Costantinopoli; la<br />

156 Ibid. pag. 658.<br />

72


miccia era accesa e la bomba scoppiò <strong>fra</strong>gorosamente in occasione della Crociata<br />

indetta dal Papa Innocenzo III, elevato al Soglio Pontificio nel 1198, all’età <strong>di</strong> soli 38<br />

anni.<br />

La giovane età portò il Papa ad adottare un nuovo approccio: anzitutto egli si<br />

rivolse ai vescovi, affinché pr<strong>ed</strong>icassero che “la crociata è un dovere; tutti i f<strong>ed</strong>eli, per<br />

la salvezza dell’anima debbono attendere alla guerra santa. Ai re <strong>di</strong> Francia e<br />

d’Inghilterra (egli) rivolse non preghiere, ma sollecitazioni imperiose. Sotto pena<br />

dell’interdetto per i loro regni essi dovevano cessare la loro guerra, fare pace o<br />

almeno tregua per cinque anni” 157 .<br />

Meraviglia il fatto che questo tono duro e minaccioso delle missive, nelle quali il<br />

Papa trattava i sovrani come suoi sottoposti, ottenne il risultato sperato: i due re<br />

firmarono una tregua quinquennale, anche se nella primavera successiva le ostilità<br />

ripresero , e re Riccardo morì, colpito da una freccia all’ass<strong>ed</strong>io del castello <strong>di</strong><br />

Chalus. In queste con<strong>di</strong>zioni, nessuno dei due sovrani avrebbe potuto guidare la<br />

crociata, <strong>ed</strong> infatti il Pontefice, nelle sue lettere, evitò con cura l’argomento della<br />

leadership militare. Anche l’imperatore <strong>di</strong> Bisanzio, Alessio III Angelo, ricevette una<br />

lettera dal Papa, nella quale quest’ultimo gli rimproverava lo scisma e <strong>di</strong>chiarava che<br />

la crociata esigeva l’unità.<br />

Meno successo fu conseguito in campo finanziario, tanto che Innocenzo raccolse<br />

più malumori che sol<strong>di</strong>, e v<strong>ed</strong>remo quanto ciò con<strong>di</strong>zionerà l’intera sp<strong>ed</strong>izione. Nel<br />

<strong>fra</strong>ttempo, la corrispondenza <strong>fra</strong> Innocenzo III e l’imperatore <strong>di</strong> Bisanzio si faceva<br />

157 Ibid. pag. 695-696.<br />

73


sempre più fitta e piena <strong>di</strong> contenziosi. Alessio III, che aveva preso il potere<br />

accecando il <strong>fra</strong>tello <strong>ed</strong> imprigionando il nipote, temeva che questo Papa minaccioso<br />

gli sollevasse la popolazione contro, e rispose con prudenza, non senza ricordare i<br />

saccheggi delle truppe <strong>di</strong> F<strong>ed</strong>erico Barbarossa <strong>ed</strong> il fatto che Cipro gli era stata<br />

sottratta, anche se al momento della conquista, da parte <strong>di</strong> re Riccardo, su quell’isola<br />

dominava un usurpatore.<br />

Oltre al Papa <strong>ed</strong> ai suoi Legati che premevano sui principi, un pr<strong>ed</strong>icatore, Folco<br />

<strong>di</strong> Neuilly, un parroco <strong>di</strong> campagna dei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Parigi, si rivolse alle masse, come<br />

Pietro l’Eremita aveva fatto all’epoca della Prima Crociata. La prima risposta positiva<br />

venne dai baroni <strong>di</strong> Fiandra e dello Champagne, che radunarono le loro truppe, anche<br />

per sottrarsi alle pretese del re <strong>di</strong> Francia, ma furono subito <strong>di</strong>rottati dal Papa in Italia<br />

meri<strong>di</strong>onale, per combattere F<strong>ed</strong>erico II, dopo che questi avevano negoziato con<br />

Venezia il trasporto in Terra Santa, versando 2.000 marchi d’argento a titolo <strong>di</strong><br />

anticipo.<br />

Dalla Germania e dall’Italia, anche a causa del conflitto <strong>fra</strong> il Papa e l’imperatore,<br />

arrivarono pochissimi volontari; la sp<strong>ed</strong>izione era quin<strong>di</strong> composta, in prevalenza, dai<br />

già citati fiamminghi e dai contingenti della regione <strong>di</strong> Champagne. Alla resa dei<br />

conti, mancavano ben 33.500 marchi, che i baroni non erano in grado <strong>di</strong> pagare. Il<br />

doge, allora, concesse una <strong>di</strong>lazione nel pagamento, a patto che i Crociati gli<br />

riconquistassero Zara, che si era ribellata alla Serenissima.<br />

Ma ormai circolava anche la voce <strong>di</strong> una conquista <strong>di</strong> Costantinopoli, e<br />

l’imperatore <strong>di</strong> Bisanzio se ne preoccupò, chi<strong>ed</strong>endo spiegazioni al Papa, il quale<br />

74


ispose in modo evasivo, mostrando <strong>di</strong> non essere contrario ad un tale fatto, anche se<br />

lo <strong>di</strong>sapprovava, tanto che – si <strong>di</strong>ce – egli si a<strong>di</strong>rò alla notizia della presa e del<br />

saccheggio <strong>di</strong> Zara. La <strong>di</strong>fficoltà maggiore fu incontrata dai capi militari, quando<br />

questi annunciarono alle truppe la convenzione con Venezia, che prev<strong>ed</strong>eva appunto<br />

la presa <strong>di</strong> Costantinopoli, per rimettere sul trono il legittimo imperatore, e molti<br />

tentarono <strong>di</strong> rientrare, con alterne fortune.<br />

Innocenzo III, allora, scrisse una lettera per fermare la sp<strong>ed</strong>izione, ma lo fece<br />

troppo tar<strong>di</strong>, quando i Crociati erano già partiti, sotto il comando <strong>di</strong> Bonifacio <strong>di</strong><br />

Monferrato. Nel luglio 1203, la flotta cristiana iniziò l’attacco, costringendo Alessio<br />

III alla fuga verso Adrianopoli, dove ricostituì la sua base <strong>di</strong> potere; il 1° agosto<br />

successivo, Isacco, liberato dalla prigione, era <strong>di</strong> nuovo sul trono e suo figlio “fu<br />

incoronato imperatore collega del padre” 158 , con il nome <strong>di</strong> Alessio IV.<br />

Ben presto si verificò la rottura dei rapporti <strong>fra</strong> il nuovo imperatore <strong>ed</strong> i Crociati,<br />

cui il primo aveva promesso viveri e denaro, senza avere alcuna possibilità <strong>di</strong> onorare<br />

tali impegni. La sp<strong>ed</strong>izione non poteva quin<strong>di</strong> proseguire per la Siria e decise <strong>di</strong><br />

svernare nel Bosforo. Questo la mise in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> intervenire <strong>di</strong> nuovo, quando il<br />

malcontento della popolazione <strong>di</strong> Costantinopoli, manifestatosi in un violento<br />

tumulto, spinse un cortigiano, Alessio Ducas detto Marzuflo, ad imprigionare e<br />

strozzare il giovane “imperatore collega”, l’8 febbraio 1204. In quegli stessi giorni, il<br />

vecchio Isacco II morì.<br />

158 Ibid. pag. 726.<br />

75


I Crociati decisero <strong>di</strong> intervenire <strong>ed</strong> il 13 aprile ebbero <strong>di</strong> nuovo Costantinopoli<br />

nelle loro mani, anche perché i rivoltosi non avevano avuto il tempo <strong>di</strong> rafforzare le<br />

<strong>di</strong>fese in modo adeguato. Con l’elezione del nuovo imperatore, nella quale Baldovino<br />

<strong>di</strong> Fiandra prevalse su Bonifacio, iniziava l’impero latino d’<strong>Oriente</strong>, che avrebbe<br />

avuto una vita effimera, malgrado il nuovo regime avesse posto fine, almeno sul<br />

piano formale, allo scisma. L’imperatore neo eletto fu, oltretutto, fatto prigioniero <strong>di</strong><br />

Bulgari, un anno dopo l’incoronazione, e fu sostituito dal <strong>fra</strong>tello, Enrico <strong>di</strong> Hainault,<br />

i Greci avevano fondato lo stato <strong>di</strong> Nicea, da dove non fu possibile sloggiarli, <strong>ed</strong> i<br />

Bulgari premevano sui confini settentrionali.<br />

Enrico morì nel 1216, senza lasciare er<strong>ed</strong>i <strong>di</strong>retti, lasciando l’impero in con<strong>di</strong>zioni<br />

drammatiche: senza alcun controllo della terra ferma, dato che sia l’Anatolia sia la<br />

Tracia erano sotto il potere dei Greci, il cui imperatore, Teodoro Angelo, continuava<br />

a lottare per cacciare gli invasori, molti Crociati pensarono <strong>di</strong> lasciar stare tutto e<br />

ritornare in patria. In effetti, malgrado le numerose bolle papali, i rinforzi arrivavano<br />

col contagocce, e per soprammercato, nel 1255, scoppiò la guerra <strong>fra</strong> Venezia e<br />

Genova, per il controllo dei lucrosi traffici con la Cina, attraverso il Mar Nero, lotta<br />

che indebolì ulteriormente l’impero, privandolo dell’unica forza rimasta, quella<br />

navale.<br />

Fu così che, “all’alba del 25 luglio 1261, l’esercito (greco) entrò nella città,<br />

incontrando una debole resistenza” 159 . L’imperatore Baldovino riuscì a fuggire su <strong>di</strong><br />

un mercantile veneziano, ma l’impero latino d’<strong>Oriente</strong> era finito, in modo inglorioso.<br />

159 J.J. NORWICH. Byzantium- The Decline and Fall. Ed. Penguin Books, 1991, pag. 211.<br />

76


Le conseguenze strategiche della Quarta Crociata, purtroppo, furono gravissime:<br />

un solco <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o era stato scavato <strong>fra</strong> i cristiani d’<strong>Oriente</strong> e quelli dell’<strong>Occidente</strong>, la<br />

potenza militare <strong>di</strong> amb<strong>ed</strong>ue i contendenti si indebolì in modo irreversibile,<br />

agevolando l’invasione mongola, con la conseguente per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tutto il Levante, e<br />

l’impero bizantino, una volta ricostituito, non fu più in grado <strong>di</strong> contenere<br />

efficacemente, a lungo, le invasioni successive, la maggiore delle quali fu appunto<br />

quella ottomana.<br />

b) Un approfon<strong>di</strong>mento: lo scontro <strong>di</strong> civiltà come strategia<br />

Provate a domandare ad altri se uno scontro <strong>fra</strong> civiltà sia una situazione o una<br />

strategia, e potreste scoprire che quasi nessuno considererà la seconda opzione, per la<br />

loro risposta.<br />

Di fatto, questa situazione è spesso il prodotto <strong>di</strong> una politica deliberata, che si<br />

verifica ogni volta in cui una Grande Potenza, in alternativa, decida <strong>di</strong> dover<br />

<strong>di</strong>fendere la sua identità <strong>ed</strong> i suoi valori da altre Nazioni potenti, oppure voglia<br />

soggiogare tutti i popoli vicini, al fine <strong>di</strong> illuminarli imponendo loro la sua religione o<br />

dottrina sociale.<br />

Essa prende quin<strong>di</strong> una posizione forte contro il resto del mondo e persegue ogni<br />

azione possibile, non solo con mezzi militari, per conquistarlo, indebolirlo o<br />

con<strong>di</strong>zionarlo. La Francia rivoluzionaria è solo un esempio <strong>di</strong> questa politica.<br />

Chiaramente, gruppi etnici o religiosi, quando sostenuti dal potere economico, sono<br />

77


in grado <strong>di</strong> perseguire lo stesso tipo <strong>di</strong> strategia, prevalentemente con mezzi non–<br />

convenzionali, come la guerriglia o il terrorismo.<br />

Questa strategia, oltre a provocare una <strong>fra</strong> le situazioni più scottanti e <strong>di</strong>fficili che<br />

la <strong>di</strong>plomazia deve gestire, ha sfortunatamente, una grande attrattiva per molti attori<br />

politici: la Nazione o il gruppo riesce, infatti, a motivare le sue masse, come pure il<br />

suo personale militare. Infatti, è ben noto che solo una forte motivazione aiuta la<br />

gente a sopportare <strong>di</strong>sagi e rovesci, in vista <strong>di</strong> un futuro più luminoso o del trionfo<br />

della “grande idea” che essa venera e vuole <strong>di</strong>ffondere. Il fanatismo, sostenuto da<br />

slogan come “Dio lo vuole”, “Dio è con noi” oppure “Allah è grande” è il singolo<br />

fattore motivante più forte possibile per convincere la gente che vale la pena <strong>di</strong><br />

sacrificare la propria vita per una causa nobile, ad<strong>di</strong>rittura sacra.<br />

Il rischio intrinseco è che, quando questi ideali, esaltati con tanta forza, <strong>di</strong>ventano<br />

obsoleti o — ancora peggio — sono visibilmente tra<strong>di</strong>ti dai leaders, per mala f<strong>ed</strong>e o<br />

per assoluta incompetenza, essi <strong>di</strong>ventano spesso una specie <strong>di</strong> boomerang,<br />

ingenerando lo scetticismo generale che macchia tutta la vita nazionale, attraverso la<br />

resistenza passiva alle iniziative del governo, <strong>ed</strong> in alcuni casi finendo persino in<br />

aperte rivolte, con l’inevitabile caduta dei leaders e del regime.<br />

L’esempio più tipico è l’ideale delle Crociate. Quando i crociati, invece <strong>di</strong><br />

riconquistare i Luoghi Santi, iniziarono a massacrare i Catari, nella Francia<br />

meri<strong>di</strong>onale, oppure deviarono persino dal loro cammino verso la Palestina, vuoi per<br />

conquistare delle città cristiane, come nel caso <strong>di</strong> Constantinopoli, o per fare altre<br />

sp<strong>ed</strong>izioni, perseguendo fini politici più materiali, il fascino <strong>di</strong> questa specie <strong>di</strong><br />

78


imprese, <strong>fra</strong> le masse, <strong>di</strong>minuì rapidamente. La saggezza collettiva della gente è<br />

molto <strong>di</strong>fficile da ingannare!<br />

Solo i Cavalieri <strong>di</strong> Malta, un gruppo piccolo, ma altamente motivato <strong>di</strong> monaci<br />

guerrieri, basati nell’isola <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong> e, più tar<strong>di</strong>, a Malta, rimasero f<strong>ed</strong>eli al loro ideale<br />

della Crociata Perenne e <strong>di</strong>vennero il solo bastione contro l’offensiva ottomana sul<br />

mare, contro le coste <strong>ed</strong> il commercio delle Nazioni Cristiane.<br />

In quel mentre, queste ultime, da parte loro, mostravano sfortunatamente poca<br />

coesione contro questo cosiddetto pericolo comune: Genova era felice <strong>di</strong> prendersi<br />

tutti gli avamposti commerciali dei Veneziani, una volta confiscati dai Sultani;<br />

inoltre, i re <strong>di</strong> Francia v<strong>ed</strong>evano gli Ottomani come i loro soli alleati naturali contro la<br />

sempre crescente potenza Austro–Spagnola. Contro un’opposizione così <strong>di</strong>visa, non<br />

meraviglia che i successi per gli Ottomani fossero più agevoli, in quanto essi avevano<br />

a loro vantaggio “il grande fattore morale che raddoppia le energie, del quale<br />

Napoleone <strong>di</strong>sse che domina la guerra — il flusso <strong>di</strong> fiducia ingenerato dal successo”.<br />

Solo l’eccessiva espansione, causata da troppe vittorie, poteva rovesciare la<br />

bilancia, e ci vollero vari secoli per v<strong>ed</strong>ere l’offensiva Ottomana fermata, prima a<br />

Lepanto, quin<strong>di</strong> sotto le mura <strong>di</strong> Vienna e più tar<strong>di</strong> a Belgrado, cioè nel pieno cuore<br />

dell’Europa. Gli ultimi rantoli <strong>di</strong> questo Impero in declino ebbero luogo dopo quattro<br />

secoli <strong>di</strong> pr<strong>ed</strong>ominanza sul mondo cristiano, lacerato da rivalità intestine e gelosie, e<br />

potremmo quin<strong>di</strong> avere l’impressione che si trattasse <strong>di</strong> una struttura altamente<br />

inefficiente. Invece, non era stato così per un lungo tempo, e questa è una verità che<br />

nessuno dovrebbe <strong>di</strong>menticare.<br />

79


Nel XIX secolo, peraltro, le Potenze europee, e la Gran Bretagna in prima fila,<br />

erano giunte a considerare l’Impero Ottomano un ingr<strong>ed</strong>iente in<strong>di</strong>spensabile<br />

del’equilibrio continentale e tentarono invano <strong>di</strong> assicurarne la sopravvivenza,<br />

malgrado la sua obsolescenza e lo scontento crescente dei suoi sud<strong>di</strong>ti tartassati.<br />

In un certo qual modo, gli Europei nutrirono, per un certo periodo, sentimenti<br />

simili in tempi molto recenti, quando videro il declino precipitoso del’Impero<br />

Sovietico. Ma perché la saga <strong>di</strong> quest’ultimo era durata così poco, se confrontata con<br />

quella degli Ottomani? Durante la Guerra Fr<strong>ed</strong>da, infatti, l’<strong>Occidente</strong> era stato<br />

abbastanza coeso per sostenere la pressione e contenere l’espansionismo sovietico per<br />

un tempo sufficiente da consentire al regime comunista <strong>di</strong> crollare sotto il peso<br />

combinato delle sue contrad<strong>di</strong>zioni interne. La lotta durò quin<strong>di</strong> molto meno <strong>di</strong> un<br />

secolo, e fortunatamente non fu infiammata da scorrimenti <strong>di</strong> sangue, evitando così<br />

ogni o<strong>di</strong>o duraturo.<br />

Il fattore decisivo fu, come abbiamo visto, la possibilità <strong>di</strong> mantenere il confronto<br />

al <strong>di</strong> sotto della soglia della guerra aperta, incoraggiando in tal modo gli scambi<br />

commerciali, un’inter<strong>di</strong>pendenza crescente e la mutua volontà <strong>di</strong> coesistere,<br />

nonostante le ideologie <strong>di</strong>fferenti. Come il Presidente Kruschev <strong>di</strong>sse una volta, “ho<br />

visto come vivono gli schiavi del capitalismo, <strong>ed</strong> essi vivono abbastanza bene. Gli<br />

schiavi del comunismo vivono anche loro abbastanza bene, e facciamoli vivere nel<br />

modo in cui essi vogliono”.<br />

80


In fondo, la Distensione, come essa fu chiamata, aiutò molto a demotivare le<br />

popolazioni del’Impero Sovietico, consentì loro <strong>di</strong> notare cosa mancasse loro, e le<br />

incoraggiò a cercare altre forme <strong>di</strong> governo, più attente alle loro esigenze.<br />

Ma nessun confronto <strong>fra</strong> opposte civiltà si limita al’uso della potenza militare, sia<br />

essa messa in campo realmente, oppure tenuta in potenza per scopi <strong>di</strong> deterrenza. La<br />

guerra economica è usata più spesso, per indebolire gli avversari e privarli delle<br />

risorse finanziarie, necessarie per costituire i loro strumenti militari. I pionieri furono<br />

gli Ottomani, i quali iniziarono questo tipo <strong>di</strong> guerra bloccando la via della seta, che<br />

essi resero non r<strong>ed</strong><strong>di</strong>tizia finanziariamente imponendo pesanti dazi per il transito <strong>di</strong><br />

quei beni attraverso i loro domini.<br />

La reazione, da parte delle Potenze occidentali, fu pronta. Esse iniziarono<br />

imm<strong>ed</strong>iatamente a cercare nuove strade per raggiungere l’<strong>Oriente</strong>, questa volta via<br />

mare. Dopo numerosi tentativi, e grazie ad alcune carte nautiche — apparentemente<br />

salvate dalla <strong>di</strong>struzione dei resoconti cinesi delle loro esplorazioni del XV secolo<br />

compiute dalle flotte del tesoro — i Portoghesi furono in grado <strong>di</strong> doppiare il Capo <strong>di</strong><br />

Buona Speranza e raggiungere l’In<strong>di</strong>a. Essi riuscirono anche a sconfiggere il potere<br />

marittimo ottomano in quell’oceano, acquisendo così la possibilità <strong>di</strong> transito<br />

incontrastato fino alla fonte delle spezie tanto ambite.<br />

Similmente, Colombo tentò la rotta occidentale, in seguito percorsa da Magellano,<br />

per lo stesso fine. Questo corrobora quanto notato da Mahan, e precisamente che il<br />

commercio è come un fiume, le cui acque proc<strong>ed</strong>ono evitando ostacoli, finché esse<br />

trovano la strada fino al mare. “Il mare, o l’acqua, è il grande mezzo <strong>di</strong> circolazione<br />

81


stabilito dalla natura, proprio come il denaro è stato sviluppato dall’uomo per gli<br />

scambi dei prodotti. Cambiate il flusso <strong>di</strong> uno dei due come <strong>di</strong>rezione o ammontare, e<br />

voi mo<strong>di</strong>ficherete le relazioni politiche <strong>ed</strong> industriali del genere umano”.<br />

Questo è precisamente ciò che accadde. Il perdente, alla fine, fu l’Impero<br />

Ottomano, dato che il flusso <strong>di</strong> quei beni preziosi cambiò <strong>di</strong>rezione e non dovette più<br />

pagare dazi alla Sublime Porta, a danno <strong>di</strong> quest’ultima. Inoltre, durante la Guerra<br />

Fr<strong>ed</strong>da, l’Unione Sovietica tentò un simile approccio, vendendo sotto costo manufatti<br />

d’acciaio sul mercato globale a prezzi molto bassi, e costruendo una flotta <strong>di</strong> navi per<br />

trasporti alla rinfusa, estremamente economici da gestire, causando in tal modo una<br />

caduta verticale dei noli. Anche questa volta, fu un <strong>di</strong>sastro, causa<br />

dell’impoverimento dell’Unione Sovietica, per le significative per<strong>di</strong>te operative. In<br />

amb<strong>ed</strong>ue i casi, il principio secondo il quale la guerra economica è sostenibile solo<br />

quando essa è finanziariamente conveniente fu ampiamente confermato<br />

dall’esperienza.<br />

È stato notato prima che la scelta deliberata <strong>di</strong> stabilire un confronto aperto <strong>fra</strong><br />

civiltà è dovuto prevalentemente a ragioni interne, a leader timorosi della mancanza<br />

<strong>di</strong> coesione interna della loro Nazione, e desiderosi <strong>di</strong> risolvere questo problema<br />

dando ala loro popolazione ideali semplici e attraenti.<br />

Questa è, peraltro, una strada senza ritorno. Quando la “grande idea” perde il suo<br />

fascino, lo scetticismo pervade la popolazione, e ci vuole molto tempo per convincere<br />

la gente a perseguire altri fini collettivi. Guardate l’Italia, ad esempio. La saga<br />

nazionalista del fascismo, una volta finita nella sconfitta e nell’umiliazione del paese,<br />

82


ha lasciato poco orgoglio nazionale, con risultati negativi in termini <strong>di</strong> coesione del<br />

popolo. Solo in rare occasioni, come durante i campionati mon<strong>di</strong>ali <strong>di</strong> calcio,<br />

l’esultanza collettiva per i successi della squadra italiana mostra che questo<br />

sentimento non è perduto completamente.<br />

Quali sono le implicazioni militari <strong>di</strong> questa forma esacerbata <strong>di</strong> politica? Ci vuole<br />

poca immaginazione per comprendere che il bastione in<strong>di</strong>spensabile per la<br />

conseguente strategia è un assetto militare forte, invero capace si sopraffare. Nessuna<br />

lotta contro altre civiltà può aver luogo senza il possesso <strong>di</strong> una grande forza, in<br />

grado <strong>di</strong> proiettarsi ben al <strong>di</strong> là delle frontiere.<br />

Sfortunatamente, le spese smoderate, richieste per conseguire una preponderanza<br />

mon<strong>di</strong>ale o regionale, sono spesso un serio imp<strong>ed</strong>imento per consentire uno standard<br />

elevato <strong>di</strong> vita <strong>ed</strong> una solida economia, e possono persino mettere a rischio la<br />

sopravvivenza del regime politico, quando esse si espandono fuori controllo.<br />

Come notò un saggio stu<strong>di</strong>oso, “esiste un collegamento molto chiaro, nel lungo<br />

termine, <strong>fra</strong> l’ascesa economica <strong>ed</strong> il declino <strong>di</strong> una singola Grande Potenza e la sua<br />

crescita e declino come una potenza militare importante (o impero mon<strong>di</strong>ale)”. Più<br />

pericoloso <strong>ed</strong> estremamente preoccupante è, in questo caso, la tentazione crescente<br />

dei leader, <strong>di</strong> sfruttare la loro potenza militare, una volta acquisita ad un costo<br />

elevato, per paura <strong>di</strong> v<strong>ed</strong>ere la sua obsolescenza <strong>ed</strong> il suo <strong>di</strong>ssolvimento<br />

Ma anche il successo, nello sforzo <strong>di</strong> dominare i vicini, è una trappola. Come i<br />

Russi fecero con Napoleone, c<strong>ed</strong>endo terreno senza combattere, più una Nazione si<br />

espande, più essa arriva vicina al suo punto <strong>di</strong> eccessiva estensione. Come Clausewitz<br />

83


notò, “la maggioranza degli attacchi strategici arriva solo al punto in cui la loro forza<br />

residua è appena sufficiente per mantenere una <strong>di</strong>fesa <strong>ed</strong> attendere la pace. Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong><br />

quel punto, la bilancia si ribalta e ne segue una reazione con una forza che<br />

normalmente è molto più forte <strong>di</strong> quella dell’attacco iniziale”. Questa verità non si<br />

applica solo alla forza militare; essa ha invero un’applicazione generale a tutte le<br />

branche dell’attività governativa.<br />

Con l’aumento dei territori conquistati, due problemi principali devono essere<br />

gestiti. Il primo è che esiste un’esigenza crescente <strong>di</strong> controllare le popolazioni<br />

sottomesse solo con la violenza e riluttanti ad accettare la nuova f<strong>ed</strong>e. Man mano che<br />

i locali si irritano sempre più per il governo tirannico degli invasori, una proporzione<br />

delle loro forze potrebbe essere richiesta per controllare il territorio, mentre le linee <strong>di</strong><br />

comunicazione <strong>di</strong>ventano troppo lunghe e quin<strong>di</strong> più vulnerabili. Pochi esempi<br />

basteranno, per spiegare l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> grandezza del problema.<br />

Durante la <strong>di</strong>fesa contro l’invasione alleata dell’Italia, dopo la sua resa, nel 1943–<br />

45, l’Esercito t<strong>ed</strong>esco fu in grado <strong>di</strong> schierare sulla linea del fronte solo la metà delle<br />

Divisioni <strong>di</strong>sponibili, mentre le rimanenti, invece <strong>di</strong> riposarsi <strong>ed</strong> addestrarsi, furono<br />

costrette a combattere un’accesa campagna anti-partigiana, praticamente da sole, per<br />

proteggere le linee <strong>di</strong> comunicazione verso il fronte, a causa della debolezza<br />

dell’Esercito Repubblicano Italiano, leale a Mussolini, ma ancora da organizzare.<br />

Un altro esempio sulla vulnerabilità delle linee <strong>di</strong> comunicazione, è anch’esso<br />

tratto dalla Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale. Si trovò, in Libia, che la metà del materiale e<br />

dei rifornimenti, destinati ai Corpi combinati italiano e t<strong>ed</strong>esco, trincerati ad El–<br />

84


Alamein, veniva perso durante il suo trasferimento via terra <strong>fra</strong> il porto <strong>di</strong> Tripoli, e la<br />

linea dei combattimenti. I Libici, che combattevano contro l’Italia, invasore inf<strong>ed</strong>ele,<br />

<strong>di</strong>sturbavano la lunga linea <strong>di</strong> comunicazione, indebolendo così l’esercito dell’ Asse.<br />

Il secondo problema da gestire è la protezione dei fianchi, durante e dopo la<br />

campagna, finché l’esercito avanzante sia vulnerabile. Qui, sia gli Ottomani sia i<br />

Sovietici (secoli dopo) adottarono la stessa strategia, basata su <strong>di</strong> una flotta<br />

“sacrificabile” che può essere sconfitta, nel caso <strong>di</strong> una sua inferiorità numerica, ma<br />

in ogni caso riuscirebbe a contenere la forza avversaria, scoraggiandola dal tentare<br />

uno sbarco alle sue spalle.<br />

Il principio alla base <strong>di</strong> questo è ben spiegato da un commento <strong>di</strong> Nelson: “questo<br />

lo azzardo liberamente, che, quando essi (i Francesi) avranno sconfitto Calder, essi<br />

non procureranno all’Inghilterra ulteriori problemi quest’anno”. Naturalmente,<br />

Nelson si riferiva al rischio d’invasione del suo Paese da parte <strong>di</strong> Napoleone, e<br />

<strong>di</strong>chiarava che persino una vittoria, da parte della flotta combinata <strong>fra</strong>nco-spagnola<br />

sulla squadriglia, relativamente inferiore, comandata dal Contrammiraglio Calder,<br />

avrebbe tolto alla Francia la possibilità <strong>di</strong> mettere in pratica il piano d’invasione.<br />

Infatti, la vittoria <strong>di</strong> Lepanto assomiglia molto ad un sacrificio deliberato della<br />

flotta ottomana, al fine <strong>di</strong> tenere occupata la flotta della Lega Cristiana <strong>ed</strong> indebolirla,<br />

costringendola così ad abbandonare ogni idea <strong>di</strong> aggirare l’armata del Gran Vizir,<br />

immersa in profon<strong>di</strong>tà nei Balcani, m<strong>ed</strong>iante uno sbarco alle sue spalle.<br />

Per ricapitolare, una strategia basata su <strong>di</strong> una lotta contro un’altra civilizzazione<br />

<strong>di</strong>pende molto da una capacità <strong>di</strong> condurre sp<strong>ed</strong>izioni militari, come pure da un<br />

85


assetto cr<strong>ed</strong>ibile <strong>di</strong> deterrenza, qualcosa che deve basarsi sulla ricchezza economica e<br />

comporta un atteggiamento espansionista, ma è esposto all’estensione eccessiva se<br />

non vi è un meccanismo <strong>di</strong> auto-limitazione.<br />

La moderazione, quin<strong>di</strong>, è il segreto del successo, quando questa politica viene<br />

perseguita. Sono necessarie notevoli forze militari, ma la loro <strong>di</strong>mensione deve essere<br />

limitata dagli imperativi economici, l’espansione può essere perseguita, a con<strong>di</strong>zione<br />

che vi sia un sufficiente consenso <strong>fra</strong> le popolazioni coinvolte, l’arma economica può<br />

essere usata per costringere o per guadagnarsi alleati, ma questo non deve incidere<br />

sulla qualità della vita in patria. Infine, ma molto importante, i leaders devono evitare<br />

<strong>di</strong> instillare “i gran<strong>di</strong> ideali” troppo fortemente nei cuori e nelle menti del loro<br />

popolo, pena l’accusa <strong>di</strong> scarsa incisività nel perseguire i fini proclamati.<br />

c)-L’espansione ottomana<br />

La popolazione turca, penetrata in Anatolia nel corso delle Crociate, si era inserita<br />

nel complicato gioco <strong>di</strong> potere <strong>fra</strong> i vari governatori islamici, e forniva loro la forza<br />

militare, sia come truppe sia come capi militari; si trattava in origine <strong>di</strong> pastori<br />

noma<strong>di</strong>, che smerciavano i loro prodotti anche ai Bizantini, e che ben presto si<br />

trovarono a dover lottare per loro conto, sotto la pressione degli eventi.<br />

Il primo leader turco, Osman, conquistò la fama <strong>di</strong> ottimo capo militare, e finì “per<br />

attirare una folta schiera <strong>di</strong> persone attratte dal bottino e in cerca <strong>di</strong> avventura. La sua<br />

86


combattività porta i soldati che erano al servizio <strong>di</strong> altri capi turchi, meno <strong>di</strong>namici,<br />

ad abbandonarli e ad unirsi al suo esercito” 160 .<br />

Questo spiega perché l’impero fondato dai suoi successori fu chiamato<br />

“Osmanico” o, più comunemente, “Ottomano”. La sua prima, grande vittoria ebbe<br />

luogo a Bapheus, vicino a Nicom<strong>ed</strong>ia, contro i Bizantini dell’eteriarca Muzelon, e<br />

questa vittoria non solo lo elevò al rango degli altri emiri, ma accelerò il processo <strong>di</strong><br />

aggregazione dei Turchi sotto le sue ban<strong>di</strong>ere.<br />

Da questo momento, la pressione ottomana sull’impero <strong>di</strong> Bisanzio <strong>di</strong>ventò<br />

continua, con frequenti battaglie non risolutive, <strong>ed</strong> un’avanzata costante dei Turchi in<br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Costantinopoli, tentandone l’aggiramento con l’aiuto della loro flotta,<br />

che essi avevano, col tempo, costruito <strong>ed</strong> imparato ad usare.<br />

Già nel 1366 ci volle l’intervento <strong>di</strong> Am<strong>ed</strong>eo VI <strong>di</strong> Savoia, il Conte Verde, per<br />

ricacciarli da Gallipoli, Enneakossia e Kalyonero, ma la sua partenza, per ritornare in<br />

patria dopo aver liberato l’imperatore <strong>di</strong> Bisanzio Giovanni V, suo cugino, consentì<br />

agli ottomani <strong>di</strong> riprendere il movimento aggirante, conquistando Adrianopoli <strong>ed</strong><br />

iniziando la loro penetrazione in Rumelia. Si può quin<strong>di</strong> notare come la vocazione<br />

balcanica sia stata presente <strong>fra</strong> i Turchi fin dai primor<strong>di</strong> della loro epopea, anche a<br />

causa della presenza, al <strong>di</strong> là dell’Anatolia, <strong>di</strong> entità molto più temibili e numerose,<br />

come i Mongoli.<br />

Per inciso, anche la riconquista <strong>di</strong> Gallipoli fu un successo temporaneo. Infatti, “in<br />

occasione del suo viaggio in Italia, Giovanni V aveva proposto <strong>di</strong> c<strong>ed</strong>ere ai Veneziani<br />

160 R. MANTRAN (a cura <strong>di</strong>). Storia dell’Impero Ottomano. Ed. Argo, 1999, pag. 29.<br />

87


l’isola <strong>di</strong> Ten<strong>ed</strong>o. I Genovesi erano ostili a questo trattato poiché avevano degli<br />

interessi considerevoli a Galata e nel Mar Nero. Così essi appoggiarono Andronico in<br />

una nuova rivolta. Andronico, che nel <strong>fra</strong>ttempo si era assicurato l’appoggio<br />

materiale <strong>di</strong> Murad I in cambio della promessa della sua obb<strong>ed</strong>ienza e <strong>di</strong> un tributo,<br />

assalì Costantinopoli in luglio (1376). Vittorioso in ottobre, imprigionò Giovanni” 161 .<br />

Questo episo<strong>di</strong>o della lunga contesa <strong>fra</strong> Bisanzio e gli Ottomani ci mostra un certo<br />

numero <strong>di</strong> aspetti che saranno ricorrenti, nel prosieguo delle relazioni <strong>di</strong> questi ultimi<br />

con l’<strong>Occidente</strong>. In primo luogo va evidenziata la flessibilità nel tessere intrighi e nel<br />

creare alleanze, anche con i nemici da abbattere, sfruttando le loro <strong>di</strong>visioni e le lotte<br />

intestine.<br />

Questo è possibile – e qui entra in gioco il secondo aspetto – solo se vi è un<br />

<strong>di</strong>segno, un piano strategico <strong>di</strong> lungo respiro. Non è vero, infatti, che i Turchi si siano<br />

espansi solo nelle <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong> minima resistenza, come avevano fatto i popoli venuti<br />

dall’Est, inclusi i loro stessi antenati. Un tale approccio si era già rivelato pieno <strong>di</strong><br />

inconvenienti, dando luogo a domini spesso incoerenti territorialmente e, quasi<br />

sempre, in<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>bili.<br />

Gli Ottomani, invece, avevano il loro <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> espansione, conoscevano quasi<br />

sempre dove potevano arrivare – anche se, nei secoli successivi, perderanno questa<br />

capacità, perdendo irreversibilmente la loro forza – e, almeno all’inizio, sapevano<br />

aspettare l’occasione propizia. Il fattore tempo, in strategia, non viene infatti sfruttato<br />

161 Ibid. pgg. 51-52.<br />

88


solo m<strong>ed</strong>iante la sua conversione in velocità, alla maniera <strong>di</strong> Napoleone, che arrivava<br />

sul terreno dello scontro do<strong>di</strong>ci ore prima del previsto.<br />

L’altro modo <strong>di</strong> utilizzo del tempo, particolarmente efficace nei confronti <strong>di</strong> noi<br />

occidentali, è quello <strong>di</strong> menare apparentemente il can per l’aia, mantenendo però una<br />

pressione costante sulla controparte, in modo da costringerla vuoi ad accettare<br />

con<strong>di</strong>zioni più sfavorevoli, vuoi a scoprire le sue carte, vuoi infine a stancarsi <strong>ed</strong> a<br />

mollare la presa, un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> noi occidentali che si è già visto comparire più volte,<br />

nel racconto delle Crociate. Anche qui, la con<strong>di</strong>zione necessaria è <strong>di</strong> sapere non solo<br />

dove si vuole arrivare, ma anche qual è l’obiettivo minimo accettabile, cosa che in<br />

<strong>Occidente</strong> non è un fatto comune.<br />

Infine, e qui arriva l’ultimo, più importante aspetto, una costante nella storia<br />

ottomana, i Turchi erano consapevoli <strong>di</strong> essere un impero basato sulla forza militare,<br />

strumento che loro utilizzavano verso l’esterno, per conquistare o <strong>di</strong>fendersi, come<br />

anche verso l’interno, per sottomettere gli abitanti dei territori conquistati e<br />

controllare, anche con il ricorso alla forza militare, gli altri potentati islamici, quando<br />

questi ultimi non si lasciavano cooptare. Tracce significative <strong>di</strong> questo ruolo storico<br />

delle Forze Armate sono avvertibili ancor oggi, nella Turchia kemalista.<br />

Grazie a questi fattori <strong>di</strong> potenza, gli Ottomani praticarono, nei primi secoli, una<br />

doppia politica, tesa a creare una base solida per ulteriori progressi territoriali: lo<br />

strangolamento progressivo dell’impero bizantino, m<strong>ed</strong>iante l’accerchiamento, <strong>ed</strong> il<br />

controllo dell’Egitto, essenziale base <strong>di</strong> rifornimento e <strong>di</strong> transito delle ricchezze per<br />

il futuro impero.<br />

89


Così facendo, essi <strong>di</strong>mostravano <strong>di</strong> aver scelto anzitutto una base principale a<br />

cavallo <strong>fra</strong> i due continenti europeo <strong>ed</strong> asiatico, il cui nucleo era l’Anatolia <strong>ed</strong> il cui<br />

centro naturale era, logicamente, Costantinopoli, come del resto anche Costantino il<br />

grande aveva intuito un millennio prima – la geografia è sempre quella!<br />

Complementare alla base <strong>di</strong> proiezione era la doppia linea <strong>di</strong> rifornimento<br />

principale secondo une <strong>di</strong>rettrice nord-sud nel Levante, ad un tempo marittima e<br />

terrestre, lungo la costa asiatica del M<strong>ed</strong>iterraneo, tali da sostenersi vicendevolmente<br />

e da creare alternative <strong>di</strong> percorso, a seconda delle situazioni.<br />

Questo era il <strong>di</strong>segno complessivo nella preparazione dell’espansione ottomana, il<br />

che ci aiuterà a capire le ragioni dei comportamenti sia dei Turchi sia dei leader<br />

occidentali, durante il turbolento e violento periodo storico che sarebbe seguito.<br />

Il primo passo fondamentale fu la conquista <strong>di</strong> Costantinopoli, il 29 maggio 1453;<br />

l’impero bizantino era stato ormai privato dei suoi poss<strong>ed</strong>imenti circostanti, <strong>ed</strong> era<br />

poco più <strong>di</strong> una città-stato. Ma le fortificazioni, apparentemente impenetrabili, erano<br />

una <strong>di</strong>fficoltà notevole da superare, tanto da spingere il suo generale, il Gran Vizir, a<br />

sconsigliare Maometto II dal compiere l’impresa, per paura <strong>di</strong> un eccessivo<br />

logoramento delle forze <strong>di</strong>sponibili.<br />

In questa prudenza del Gran Vizir si può trovare un parallelo con la <strong>fra</strong>se <strong>di</strong><br />

Churchill, durante la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, quando egli osservò: “potete<br />

prendere il marinaio più valoroso, l’aviatore più intrepido, o il soldato più audace,<br />

90


metterli insieme ad un tavolo, e cosa ne ricavate? La somma totale dei loro<br />

timori!” 162 .<br />

Ma Maometto II aveva una carta vincente, nella persona <strong>di</strong> “un ungherese che<br />

costruiva campane (e che) provò la magica povere (da sparo) in una campana<br />

capovolta. Mastro Janos Urban migliorò la geometria della campana modellando un<br />

lungo tubo <strong>di</strong> argilla che potesse contenere una pietra rotonda, dopo<strong>di</strong>ché versò del<br />

bronzo nella forma. Un cannone! (Egli quin<strong>di</strong>) <strong>di</strong>sse ad<strong>di</strong>o ai suoi cari, montò in<br />

groppa a un cavallo e viaggiò fino a Costantinopoli portando con sé il <strong>di</strong>segno della<br />

sua invenzione, per offrirlo al sovrano dell’Impero Romano d’<strong>Oriente</strong>, Costantino XI<br />

Dragases. Purtroppo però non ebbe mai la possibilità <strong>di</strong> v<strong>ed</strong>ere l’imperatore, dal<br />

momento che i funzionari <strong>di</strong> corte misero alla porta lui e la sua invenzione. Si mise<br />

dunque alla ricerca <strong>di</strong> altri possibili acquirenti e ne trovò uno molto ricco nella<br />

persona <strong>di</strong> Maometto II” 163 .<br />

Fu appunto l’invenzione del Maestro Urban, grazie al quale “le fonderie del<br />

sultano crearono pezzi <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni inau<strong>di</strong>te che avrebbero avuto un ruolo<br />

importante” 164 . Questi cannoni enormi, che proprio Costantino XI aveva rifiutato,<br />

danneggiarono gravemente le celebri mura della città, impegnando la maggior parte<br />

dei <strong>di</strong>fensori nella loro riparazione, tanto che nessuno poté opporsi alla manovra <strong>di</strong><br />

trasporto, via terra, <strong>di</strong> una parte della flotta ottomana dal Bosforo al Corno d’Oro, il<br />

che rese possibile uno sbarco alle spalle del sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, che collassò in breve.<br />

162 E. A. COHEN. Supreme Command. Ed. Anchor Books, 2002. pag. 110.<br />

163 E. DURSCHMIED. L’Altra faccia degli Eroi. Ed. Piemme, 2002. pag. 48.<br />

164 R. MANTRAM (a cura <strong>di</strong>). Op. cit. pag.98.<br />

91


Dall’<strong>Occidente</strong> erano arrivati pochissimi aiuti: Genova e Venezia erano in<br />

competizione <strong>fra</strong> loro per accaparrarsi i favori del sultano, il Papa insistette fino alla<br />

fine sulla necessità <strong>di</strong> far rientrare lo scisma, come con<strong>di</strong>zione preliminare per una<br />

qualsiasi proclamazione <strong>di</strong> una nuova Crociata, <strong>ed</strong> in definitiva fu il <strong>di</strong>sinteresse<br />

dell’Europa il fattore decisivo del trionfo <strong>di</strong> Maometto II.<br />

Questo trionfo accelerò l’espansione ottomana, che nel <strong>fra</strong>ttempo era arrivata<br />

quasi alle porte dell’Ungheria, che peraltro riuscì a respingere il nemico, che invece<br />

ebbe maggiore fortuna in Albania, dove la lotta <strong>di</strong>sperata <strong>di</strong> Scanderbeg dovette<br />

cessare nel 1457; poi venne l’ora della Serbia, della Morea e del Negroponte mentre,<br />

verso Est, Sinope e Trebisonda furono conquistate, in poco tempo.<br />

Meno fortunato fu il tentativo <strong>di</strong> sottomettere l’Egitto, nel 1491: questo paese<br />

riuscì infatti a mantenere una certa in<strong>di</strong>pendenza nei secoli successivi, alternando la<br />

collaborazione con la Sublime Porta – così si faceva chiamare il nuovo impero – a<br />

lotte aperte, sempre senza risultati definitivi per gli Ottomani.<br />

Le punte massime dell’avanzata ottomana verso nord furono la conquista della<br />

Romania, della Crimea e dell’Ungheria, quest’ultima invasa nel 1526, ma che rimase<br />

il campo <strong>di</strong> battaglia principale con l’<strong>Occidente</strong>, fino al fallito ass<strong>ed</strong>io <strong>di</strong> Vienna,<br />

dell’estate 1683. Verso sud, gli Ottomani arrivarono ad occupare Aden e la costa<br />

occidentale della penisola arabica, ma non riuscirono a controllare l’oceano In<strong>di</strong>ano,<br />

dove la loro flotta fu sconfitta dai Portoghesi, nel 1511.<br />

Neanche l’espansione verso levante fu agevole: la lotta con la Persia, l’attuale<br />

Iran, conobbe alti e bassi, tanto che Baghdad, l’Armenia e l’Azerbaigian passarono<br />

92


dall’uno all’altro dei contendenti più volte, e comunque l’impero dovette contentarsi<br />

<strong>di</strong> contenere il potente rivale, imp<strong>ed</strong>endogli l’occupazione definitiva delle zone-<br />

chiave dell’Iraq meri<strong>di</strong>onale e del Caucaso.<br />

Un altro aspetto importante dell’espansione mussulmana è costituito dalla politica<br />

marittima e commerciale. L’impero ottomano, dopo aver illuso le Repubbliche<br />

marinare <strong>di</strong> Genova e Venezia, praticò una politica monopolistica dei commerci<br />

internazionali con l’Asia centro-orientale, imponendo pesanti tributi e quin<strong>di</strong><br />

chiudendo <strong>di</strong> fatto la “via della seta” all’Europa.<br />

Questo, come abbiamo visto, portò alla scoperta del continente americano, nonché<br />

della rotta attraverso il Capo <strong>di</strong> Buona Speranza, da parte dell’<strong>Occidente</strong>. Il risultato<br />

brillante fu che la Sublime Porta, invece <strong>di</strong> ritagliarsi la sua giusta fetta <strong>di</strong> profitto sui<br />

traffici con l’Asia, attraverso una politica commerciale avv<strong>ed</strong>uta, si trovò a perdere<br />

una fonte <strong>di</strong> prosperità, fatto oltremodo pericoloso per una grande potenza, con<br />

ambizioni espansionistiche.<br />

Il M<strong>ed</strong>iterraneo, per la Sublime Porta, era poi un’area in cui da una parte era<br />

possibile contenere <strong>ed</strong> indebolire le potenze occidentali, scatenando la guerra al<br />

commercio, e compiendo razzie sulle coste, per il tramite dei potentati nord-africani;<br />

dall’altra, i sultani erano ben consapevoli che l’Adriatico <strong>ed</strong> il Mar Ionio erano una<br />

porta aperta per attaccare il fianco sinistro della loro progressione nei Balcani, e<br />

quin<strong>di</strong> la funzione principale della loro flotta era <strong>di</strong> proteggere quel lato esposto,<br />

sacrificandosi, se necessario, come avvenne a Lepanto nel 1571.<br />

93


Ma il problema più grave, <strong>ed</strong> uno sguardo alla carta geografica è sufficiente, era<br />

che l’impero ottomano, al momento della sconfitta del suo esercito davanti a Vienna,<br />

si era allargato eccessivamente, e quel che è peggio, aveva ormai troppe popolazioni<br />

eterogenee sotto il suo dominio. In questo, l’approccio militaresco della <strong>di</strong>rigenza<br />

ottomana, in gran parte formatasi sul campo <strong>di</strong> battaglia, non fu efficace nel processo<br />

<strong>di</strong> assimilazione dei soggetti dell’impero, salvo alcune cospicue eccezioni, come la<br />

Bosnia e l’Albania.<br />

Le conseguenze negative <strong>di</strong> questo allargamento enorme esistevano, peraltro, da<br />

molto tempo: come infatti notava un profondo stu<strong>di</strong>oso, già “alla metà del XVI<br />

secolo, l’impero mostrava segni <strong>di</strong> eccessiva estensione strategica, con un numeroso<br />

esercito stazionato nell’Europa centrale, una costosa operazione marittima nel<br />

M<strong>ed</strong>iterraneo, truppe impegnate nel Nord Africa, nell’Egeo, a Cipro e nel Mar Rosso,<br />

<strong>ed</strong> il bisogno <strong>di</strong> rinforzi per mantenere la Crimea contro una nascente potenza<br />

russa” 165 .<br />

Economicamente, tutti questi impegni non erano sostenibili molto a lungo, e<br />

quin<strong>di</strong> la Sublime Porta era già prima del suo ripiegamento un gigante dai pi<strong>ed</strong>i<br />

d’argilla; nel XIX secolo questa debolezza <strong>di</strong>venne strutturale e non più<br />

compensabile, quando i movimenti nazionalistici, insieme alla lotta all’ultimo sangue<br />

con la Russia, gli infersero dei colpi terribili.<br />

165 P. KENNEDY. Op. cit. pag. 13.<br />

94


d)-L’<strong>Occidente</strong> <strong>di</strong>viso<br />

Il fattore che permise all’impero ottomano <strong>di</strong> mantenersi in pi<strong>ed</strong>i, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quanto<br />

fosse logico, fu proprio la possibilità <strong>di</strong> sfruttare le profonde <strong>di</strong>visioni esistenti nel<br />

mondo cristiano. Queste <strong>di</strong>visioni resero <strong>di</strong>fficile la concezione <strong>di</strong> una strategia <strong>di</strong><br />

lungo periodo, finalizzata al contenimento della minaccia turca, visto che gli interessi<br />

e l’attenzione maggiori erano concentrati nella lotta <strong>di</strong> potere <strong>fra</strong> le potenze europee.<br />

Solo il Papato mantenne desta l’attenzione generale verso il pericolo costituito<br />

dalla Mezzaluna. Era questo l’unico modo per affermare la propria trans nazionalità<br />

<strong>ed</strong> il proprio livello <strong>di</strong> entità super partes nella contesa generale, specie dopo che<br />

l’improvvida sua adesione alla Lega contro Carlo V, si era conclusa con il Sacco <strong>di</strong><br />

Roma e, fatto ancora più temibile, con la presenza permanente <strong>di</strong> cospicue truppe<br />

spagnole il Toscana, nell’Argentario, a soli quattro giorni <strong>di</strong> marcia dal Soglio<br />

Pontificio.<br />

L’unica forza militare <strong>di</strong>sponibile, a parte le Leghe che il Vaticano riuscì a mettere<br />

insieme saltuariamente, non sempre con un successo pari a quello <strong>di</strong> Lepanto, era<br />

costituita dai Cavalieri <strong>di</strong> San Giovanni, i quali, una volta espulsi dalla Terra Santa, si<br />

erano riciclati come marinai, prima a Cipro e poi a Ro<strong>di</strong>.<br />

In questa loro seconda s<strong>ed</strong>e, il cui scopo era ancora quello <strong>di</strong> costituire una base<br />

per un’eventuale proiezione cristiana in Terra Santa, con l’avvento degli ottomani, i<br />

Cavalieri si trovarono a due passi dal filone marittimo della principale linea <strong>di</strong><br />

comunicazione <strong>di</strong> questi ultimi, la loro vera arteria giugulare che faceva affluire il<br />

sangue alla testa dell’impero. Inutile <strong>di</strong>re che la reazione fu feroce, anche se a lungo<br />

95


coronata da insuccessi, data la grande abilità tattica, l’elevata motivazione dei<br />

Cavalieri, pala<strong>di</strong>ni della Crociata Perenne, e soprattutto alla perfetta organizzazione<br />

<strong>di</strong> supporto, che consentiva una preparazione maniacale dei mezzi e degli uomini.<br />

I Cavalieri, quin<strong>di</strong>, riuscirono a rimanere a Ro<strong>di</strong> dal 1310 al 1522, nonostante gli<br />

sforzi per sloggiarli, e fu solo dopo due ass<strong>ed</strong>i che essi dovettero abbandonare l’isola,<br />

a causa del mancato aiuto da parte degli Europei, ma nonostante questo, lo fecero<br />

con l’onore delle armi, fatto oltremodo raro per gli avversari dei Turchi, in<br />

quell’epoca. Dopo essere stati cacciati dall’Egeo, e venuta meno la possibilità <strong>di</strong><br />

presi<strong>di</strong>are Cerigo – un’isola strategicamente fondamentale, che controllava ogni<br />

transito dallo Ionio verso oriente – i Cavalieri ebbero l’arcipelago <strong>di</strong> Malta in<br />

concessione dal re <strong>di</strong> Spagna. Anche lì dovettero sostenere un feroce ass<strong>ed</strong>io turco,<br />

respinto grazie agli aiuti europei, e quin<strong>di</strong> poterono d<strong>ed</strong>icarsi alla guerra <strong>di</strong> corsa<br />

contro il traffico marittimo nord-africano, con qualche puntata episo<strong>di</strong>ca in Grecia e<br />

nell’Egeo, ormai troppo lontano.<br />

Per quanto riguarda le gran<strong>di</strong> potenze, gli Austro-Spagnoli avevano troppo da<br />

perdere, nei loro domini m<strong>ed</strong>iterranei, a causa delle incursioni mussulmane: il<br />

collegamento <strong>fra</strong> la costa spagnola e l’Italia continentale <strong>ed</strong> insulare era essenziale<br />

anche ai fini della guerra in Europa centrale, <strong>ed</strong> una sua interruzione non era<br />

sopportabile; gli Austro-Spagnolo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>vennero i nemici naturali dai quali<br />

Istanbul e, soprattutto, i potentati nord-africani dovevano guardarsi.<br />

Opposto era invece il caso della Francia, incapace <strong>di</strong> contenere la potenza<br />

avversaria, che l’accerchiava, premendo dai Pirenei, dalle Alpi e dalle Fiandre. Essa,<br />

96


pertanto, vide nella Sublime Porta il suo naturale alleato, capace <strong>di</strong> limitare la potenza<br />

asburgica, sia per terra che per mare, e fece <strong>di</strong> tutto per agevolarla, in alcuni casi<br />

fornendo ad<strong>di</strong>rittura dei capaci ufficiali <strong>ed</strong> ammiragli, quando la Sublime Porta ne era<br />

a corto.<br />

Curiosamente, i marinai <strong>fra</strong>ncesi, molti dei quali erano Cavalieri <strong>di</strong> San Giovanni,<br />

si trovarono impegnati talvolta nella Crociata Perenne, talvolta nelle guerre europee,<br />

<strong>ed</strong> infine quale parte della flotta ottomana, a seconda dell’andamento dei rapporti<br />

politici in Europa.<br />

Vengono infine i piccoli stati che avevano rapporti con l’impero, quali le due<br />

Repubbliche Marinare <strong>di</strong> Genova e <strong>di</strong> Venezia. Gli ottomani alternarono lusinghe e<br />

minacce, nei loro confronti, ma in definitiva, quando serviva loro qualcosa, come ad<br />

esempio Cipro o Creta, essi se la prendevano, senza badare tanto alle forme. Nel fare<br />

questo, essi sapevano benissimo che, una volta ingoiata l’umiliazione, le due<br />

repubbliche sarebbero tornate a chi<strong>ed</strong>ere vantaggi commerciali, che era facile<br />

conc<strong>ed</strong>ere loro. In definitiva, i piccoli stati facevano sempre la fine dei “polli <strong>di</strong><br />

Renzo” nei confronti della Sublime Porta.<br />

In questa situazione, quest’ultima <strong>di</strong>venne potenzialmente l’ago della bilancia<br />

dell’equilibrio <strong>di</strong> potere in Europa. Purtroppo per lei, pur avendo una parte della sua<br />

leadership le capacità per svolgere quel ruolo in modo efficace, la strategia che essa<br />

perseguiva era assolutamente incompatibile: chi <strong>di</strong>stribuisce gran<strong>di</strong> colpi <strong>di</strong> accetta in<br />

giro non può essere considerato un buon m<strong>ed</strong>iatore.<br />

97


e)-La mina balcanica e il contrasto con la Russia<br />

Uno dei problemi <strong>di</strong> ogni potenza che persegua una strategia espansionista in una<br />

data <strong>di</strong>rezione geografica è che, prima o poi, arriva ad incontrarne un’altra, con<br />

analoghe aspirazioni, che si muove nella <strong>di</strong>rezione opposta. Come nel caso <strong>di</strong> due<br />

automobili, se nessuna delle due frena, si ha uno scontro frontale.<br />

Questo è appunto ciò che successe <strong>fra</strong> la Sublime Porta e la Russia zarista, non<br />

appena quest’ultima acquisì una compattezza sufficiente per allargare il suo territorio,<br />

nel tentativo <strong>di</strong> espandersi verso i climi cal<strong>di</strong>, cosa che comportava l’annessione <strong>di</strong><br />

territori da strappare al mondo islamico, oltre a costringere la Turchia ad arretrare.<br />

Va detto che la comparsa della Russia sulla scena mon<strong>di</strong>ale è un evento accaduto<br />

relativamente tar<strong>di</strong>, avendo tale paese dovuto sopportare una serie <strong>di</strong> invasioni, che la<br />

lasciavano regolarmente prostrata; ma la sua comparsa ricorda la battuta <strong>di</strong> quel padre<br />

il quale, parlando <strong>di</strong> sua figlia, <strong>di</strong>ceva che questa “aveva cominciato a parlare<br />

piuttosto tar<strong>di</strong>, ma da quel momento non aveva più smesso”.<br />

Fu proprio la sua tar<strong>di</strong>va comparsa sulla scena mon<strong>di</strong>ale a consentire alla Russia<br />

quella serie ininterrotta <strong>di</strong> vittorie che prostrarono l’impero ottomano, costringendolo<br />

molte volte a patti umilianti, con enormi per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> territorio e spese senza fine per<br />

contrastare una potenza militare <strong>di</strong> elevata qualità, che aveva compiuto il più duro <strong>fra</strong><br />

tutti i tirocini possibili, e precisamente quello della guerra contro le potenze<br />

dell’Europa centrale.<br />

Questi eventi verranno ricapitolati nella parte che riguarda tale nazione; bisogna<br />

ricordare che ci fu un altro elemento a causare la rapida decadenza dell’impero<br />

98


ottomano, e precisamente la rinascita dei nazionalismi in Europa, fenomeno che non<br />

risparmiò affatto i Balcani.<br />

f)-La decadenza <strong>ed</strong> i movimenti in<strong>di</strong>pendentistici 166<br />

Dopo la fine del Congresso <strong>di</strong> Vienna, la volontà, da parte delle potenze europee,<br />

<strong>di</strong> assicurare pace e stabilità nel continente trovò ben presto un altro campo d’azione,<br />

dopo le repressioni in Italia <strong>ed</strong> in Spagna. L’impero ottomano, gravemente indebolito<br />

dalla Russia, durante la guerra del 1770, aveva subito ulteriori umiliazioni da<br />

Napoleone, tanto che esso aveva dovuto ricorrere alla Gran Bretagna per evitare la<br />

per<strong>di</strong>ta della Siria e dell’Egitto.<br />

Ci vollero, infatti, il carattere eccentrico <strong>ed</strong> il valore <strong>di</strong> Sir Sidney Smith, nonché il<br />

genio militare del generale Abercromby – che fu ferito mortalmente nella vittoriosa<br />

battaglia <strong>di</strong> Alessandria – per cacciare i Francesi dall’Egitto, nel settembre 1801, per<br />

riportarlo, almeno nominalmente, nell’area <strong>di</strong> influenza ottomana.<br />

Durante la guerra del 1806-1812, sempre con la Russia, una conseguenza<br />

dell’annessione della Georgia, da parte <strong>di</strong> quest’ultima, l’impero soffrì ulteriori<br />

per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> territori, oltre ad essere ulteriormente indebolito dalle sconfitte che gli<br />

erano state inflitte dalla brillante campagna, condotta dal generale Kutuzov.<br />

Fortunatamente per la Sublime Porta, il rischio imminente dell’invasione<br />

napoleonica costrinse la Russia a raggiungere in fretta un accordo, nel 1812, c<strong>ed</strong>endo<br />

gran parte dei territori conquistati.<br />

166 Per tutto questo paragrafo, vds F. SANFELICE <strong>di</strong> MONTEFORTE. <strong>Strat</strong>egy and Peace. Ed. Aracne, 2007..<br />

99


In generale, l’impero assomigliava ormai ad una conf<strong>ed</strong>erazione poco<br />

centralizzata, in cui i governatori delle province lontane rispettavano formalmente la<br />

Sublime Porta, ma facevano ciò che volevano, <strong>ed</strong> il sultano non aveva più la forza<br />

militare necessaria per imporre la sua volontà. Questa era un’occasione unica per tutti<br />

coloro che volevano liberarsi dal giogo del sultano.<br />

Ma un pericolo maggiore si profilava per la Sublime Porta, e questa volta nessuna<br />

potenza europea era né pronta né desiderosa <strong>di</strong> aiutarla. La parte più meri<strong>di</strong>onale dei<br />

Balcani, denominata Yunanistan, ma oggi nota come Grecia, era rimasta sotto il<br />

dominio ottomano fin dal 1458, quando Maometto II aveva invaso quella penisola,<br />

per costringere i due despoti della Morea, Tommaso <strong>di</strong> Patrasso e Demetrio <strong>di</strong> Mistrà,<br />

a versargli i tributi.<br />

Da quell’epoca, una gran parte, vuoi della terraferma, vuoi delle isole dell’Egeo e<br />

dello Ionio era stata occasionalmente sottratta al dominio ottomano dai Veneziani. In<br />

generale, peraltro, la Sublime Porta non aveva risparmiato sforzi per mantenerne il<br />

possesso, anzitutto in quanto la Grecia era la base per le sue proiezioni verso il centro<br />

dell’Europa, <strong>ed</strong> inoltre perché la linea strategica principale <strong>di</strong> rifornimento<br />

dell’impero, dall’Arabia e dall’Egitto, verso l’Anatolia <strong>ed</strong> i Balcani attraversava il<br />

Mar Egeo.<br />

Durante questa lunga dominazione, un numero elevato <strong>di</strong> greci trovarono un modo<br />

più che decente <strong>di</strong> vivere d<strong>ed</strong>icandosi al commercio marittimo, oltre che arruolarsi<br />

nella flotta ottomana. Quando la rivoluzione iniziò, nel 1821, le tre “isole marittime”<br />

<strong>di</strong> Idra, Spetsis e Psarà avevano raggiunto una notevole rilevanza economica,<br />

100


ospitando la maggioranza dei circa 500 mercantili <strong>di</strong> proprietà e con equipaggio<br />

greci. Questi equipaggi, come pure i loro compatrioti che prestavano servizio nella<br />

Marina ottomana, <strong>di</strong>vennero una risorsa eccezionale, durante gli eventi che<br />

seguirono.<br />

Quando Alessandro Ypsilantis invase i Principati danubiani e, nel Peloponneso, il<br />

metropolita <strong>di</strong> Patrasso, Ghermanòs, alzò la ban<strong>di</strong>era della rivolta sul monastero <strong>di</strong><br />

Aghèa Làvra, il 25 marzo 1821, tutte le cancelleria europee vennero colte <strong>di</strong> sorpresa.<br />

Sorprendentemente, malgrado l’inimicizia <strong>di</strong> lunga durata con gli Ottomani, lo zar<br />

Alessandro I approvò la <strong>di</strong>slocazione <strong>di</strong> truppe turche nei Principati danubiani,<br />

contribuendo così alla sconfitta <strong>di</strong> Ypsilantis a Drǎgǎşami.<br />

Chiaramente, lo zar non voleva altri problemi, dopo la più recente guerra contro il<br />

nemico naturale del suo paese, conclusa col trattato <strong>di</strong> Bucarest del 1812. In ogni<br />

caso, egli voleva decidere in autonomia il momento <strong>ed</strong> i mo<strong>di</strong> della ripresa delle<br />

ostilità. Egli quin<strong>di</strong> fornì solo un supporto in<strong>di</strong>retto alla rivoluzione greca, c<strong>ed</strong>endo<br />

delle armi agli insorti, <strong>ed</strong> iniziò la guerra molto dopo, nel 1828, quando la battaglia <strong>di</strong><br />

Navarino aveva spazzato via in modo definitivo la potenza navale ottomana.<br />

Fin dall’inizio, le potenze europee si erano <strong>di</strong>mostrate contrarie alla rivoluzione<br />

greca, e quando esse si riunirono al Congresso <strong>di</strong> Laybach, esse <strong>di</strong>chiararono la loro<br />

neutralità, incoraggiando in tal modo la repressione ottomana. Ciò era naturale, in<br />

quanto la Santa Alleanza temeva ogni minaccia al precario equilibrio, appena<br />

raggiunto dopo la sconfitta <strong>di</strong> Napoleone.<br />

101


Metternich, il Cancelliere austriaco, era il più contrario alla causa greca, <strong>fra</strong> tutti<br />

gli statisti europei, temendo che la rivoluzione fornisse alla Russia un’altra scusa per<br />

<strong>di</strong>chiarare guerra all’impero ottomano. Oltretutto, l’Austria, da sempre, sognava <strong>di</strong><br />

impossessarsi dei Principati danubiani, e temeva la concorrenza dello zar.<br />

Ma l’uccisione del patriarca <strong>di</strong> Costantinopoli (questo era ancora il suo titolo),<br />

insieme alle notizie dei massacri commessi dagli eserciti e dalle flotte turchi <strong>ed</strong><br />

egiziani, inutili comunque per reprimere la rivolta, spinsero lentamente l’opinione<br />

pubblica europea in favore dei Greci.<br />

Fra i numerosi liberali europei che sposarono la causa dell’in<strong>di</strong>pendenza greca,<br />

Lord Byron era stato il sostenitore più influente <strong>di</strong> questo voltafaccia. Egli <strong>di</strong>venne,<br />

infatti, il più potente propagan<strong>di</strong>sta delle aspirazioni greche, fino alla sua morte<br />

prematura a Missolunghi, la roccaforte degli insorti, a causa delle febbri, nel 1824.<br />

Ma già nel 1822 il ministro degli esteri britannico, George Canning, aveva<br />

riconosciuto lo stato <strong>di</strong> belligerante ai Greci. Inoltre, le enormi per<strong>di</strong>te finanziarie<br />

subite dal r<strong>ed</strong><strong>di</strong>tizio commercio del grano dalla Russia, come la necessità <strong>di</strong><br />

proteggere gli interessi mercantili della Francia e della Gran Bretagna nella regione,<br />

convinsero anche le altre potenze a prendere una parte più attiva nella crisi.<br />

Mentre la Prussia e l’Austria rimanevano sospettose, le altre due nazioni, insieme<br />

alla Russia,firmarono il trattato <strong>di</strong> Londra nel giugno 1827. Come concordato dalle<br />

parti, una flotta multinazionale fu rapidamente <strong>di</strong>slocata in Grecia, con il compito <strong>di</strong><br />

garantire il rispetto <strong>di</strong> un armistizio <strong>fra</strong> gli insorti e la Sublime Porta, senza prendere<br />

parte alcuna nelle ostilità, una politica ambigua che fu ben descritta da Canning col<br />

102


termine <strong>di</strong> “interferenza pacifica”, un termine scoperto <strong>di</strong> nuovo al giorno d’oggi, sia<br />

pure nella sua versione “umanitaria”.<br />

Tale missione, che oggi sarebbe meglio chiamata <strong>di</strong> “interposizione”, era qualcosa<br />

<strong>di</strong> molto avanzato per quei tempi. Le flotte erano abituate al combattimento senza<br />

limiti, o poco meno, dopo tanti decenni <strong>di</strong> lotta aperta e senza pietà <strong>fra</strong> la Francia <strong>ed</strong> il<br />

resto del mondo, e la simpatia degli equipaggi, dal leader, l’Ammiraglio Codrington,<br />

fino al marinaio più giovane, andava alla guerra <strong>di</strong> liberazione greca.<br />

Quando l’ammiraglio chiese all’ambasciatore britannico ad Istanbul, <strong>Strat</strong>ford<br />

Canning (parente del ministro, ma dal carattere molto <strong>di</strong>verso) <strong>di</strong> chiarire le<br />

istruzioni, gli fu detto <strong>di</strong> “mantenere la pace con il megafono, e quando gli altri mezzi<br />

erano esauriti, a colpi <strong>di</strong> cannone” 167 . Per come andarono le cose, egli interpretò i<br />

suoi or<strong>di</strong>ni in modo estensivo, sentendosi incoraggiato dall’ambasciatore, <strong>ed</strong> il 20<br />

ottobre 1827, con una determinazione tipica dei marinai, decise <strong>di</strong> agire. Un gran<br />

numero <strong>di</strong> vascelli turchi <strong>ed</strong> egiziani si era radunato nella baia <strong>di</strong> Navarino, protetta<br />

dalle batterie costiere. La flotta combinata degli Alleati <strong>di</strong>resse verso <strong>di</strong> loro, pronta a<br />

far fuoco, e senza né spiegazioni né trattative, questo complesso formidabile <strong>di</strong> forze<br />

si mise <strong>di</strong> fianco alla linea imponente delle navi da guerra mussulmane.<br />

Gli ammiragli alleati non pensavano <strong>di</strong> sfidare i Turchi ad un combattimento<br />

generale, ma il loro comportamento minaccioso non poteva che avere un solo<br />

risultato. La tensione era già insostenibile. Qualcuno sparò ad un’imbarcazione<br />

britannica e, in un momento, un combattimento furioso si sviluppò a <strong>di</strong>stanza<br />

167 C. LLOYD. A Short History of the Royal Navy-1805 to 1918. Ed. Methuen & Co. 1942, pag. 34.<br />

103


avvicinata, con il risultato della <strong>di</strong>struzione della flotta ottomana. Come con un tratto<br />

<strong>di</strong> penna, il potere marittimo del grande impero mussulmano era stato demolito.<br />

Questo “spiacevole evento”, come <strong>di</strong>sse Lord Wellington, usando un eufemismo<br />

per in<strong>di</strong>care un vero <strong>di</strong>sastro politico, causò una reazione a catena. La Grecia fu<br />

strappata al dominio dell’islam, la Russia scatenò la campagna <strong>di</strong> Adrianopoli, la più<br />

trionfale del XIX secolo, e come conseguenza l’impero ottomano fu indebolito<br />

mortalmente. La battaglia <strong>di</strong> Navarino vinse il dubbio primato <strong>di</strong> essere una delle<br />

poche occasioni in cui un ammiraglio sia stato destituito per essere andato oltre le<br />

istruzioni, vincendo una battaglia decisiva.<br />

A posteriori, possiamo facilmente criticare l’eccesso <strong>di</strong> iniziativa dell’ammiraglio<br />

Codrington, come fece il governo britannico, ma dobbiamo anche ricavare alcuni<br />

ammaestramenti da questo evento. Chiaramente, gli interessi inconfessati degli<br />

Alleati erano <strong>di</strong> fermare il bagno <strong>di</strong> sangue in Grecia, a prescindere dal vincitore. La<br />

stessa conclusione, sia pure con maggiore riluttanza, fu con<strong>di</strong>visa dalla Prussia e<br />

dall’Austria, timorose <strong>di</strong> un’espansione russa verso ovest, ma consapevoli della loro<br />

impotenza nel fermare una guerra <strong>di</strong> liberazione, che stava creando un cattivo<br />

prec<strong>ed</strong>ente in tutta l’Europa.<br />

Sfortunatamente per loro, la crisi non consentiva alcun intervento senza l’uso del<br />

potere marittimo, <strong>ed</strong> esse non lo poss<strong>ed</strong>evano. In questa situazione, la flotta alleata<br />

era stata messa, poco saggiamente, nelle mani del rappresentante <strong>di</strong> quella nazione, la<br />

Gran Bretagna, la cui opinione pubblica era decisamente in favore della causa greca.<br />

Considerando che anche la Russia con<strong>di</strong>videva gli stessi sentimenti, forse solo una<br />

104


leadership <strong>fra</strong>ncese avrebbe garantito un’aderenza stretta all’ambiguo mandato, anche<br />

perché le navi <strong>fra</strong>ncesi erano le più numerose. Vale la pena <strong>di</strong> notare, però, che<br />

persino la Francia, pochi anni dopo, prese una posizione simile nei confronti degli<br />

insorti dell’Italia centrale, durante le rivolte del 1831.<br />

È anche un dato <strong>di</strong> fatto che un leader militare, inviato con una forza, lontano dal<br />

controllo dei suoi capi politici, e senza un mandato chiaro, tenda a comportarsi<br />

liberamente, specialmente se il suo controllore politico più prossimo, nel nostro caso<br />

l’ambasciatore britannico, non con<strong>di</strong>vida le posizioni del suo governo. Il fatto che<br />

l’ammiraglio Codrington sia stato rimproverato e rimosso, peraltro, non esclude<br />

totalmente la possibilità che l’ambasciatore britannico agisse sulla base <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ni<br />

segreti, molto <strong>di</strong>versi dalle istruzioni ufficiali.<br />

Come raccomandava Jomini, nel caso <strong>di</strong> sp<strong>ed</strong>izioni multinazionali, “è essenziale<br />

scegliere un leader militare che abbia una mentalità vuoi politica vuoi militare,<br />

accordarsi chiaramente con gli Alleati su quale parte nelle operazioni ognuno debba<br />

svolgere, e finalmente definire un obiettivo che sia in armonia con gli interessi<br />

comuni” 168 .<br />

Nessuno può fare a meno <strong>di</strong> notare che nessuna <strong>di</strong> quelle con<strong>di</strong>zioni esisteva nel<br />

nostro caso, Il risultato, e precisamente l’ulteriore indebolimento della Sublime Porta,<br />

il Malato d’Europa, come era chiamata in tutti gli ambienti politici del continente, fu<br />

che furono necessarie ulteriori sp<strong>ed</strong>izioni multinazionali, da parte delle potenze<br />

europee, con la Gran Bretagna in prima fila.<br />

168 A. H. JOMINI. Op. cit. pag. 30.<br />

105


In queste imprese, quest’ultima si trovò spesso da sola. La Prussia e l’Austria<br />

erano impotenti, prive com’erano <strong>di</strong> potere marittimo, la Francia seguiva un incerto<br />

percorso, essendo <strong>di</strong>visa <strong>fra</strong> il suo partito reazionario <strong>ed</strong> i liberali, mentre la Russia<br />

seguiva la sua strategia <strong>di</strong> strappare, uno dopo l’altro, grossi pezzi dell’impero<br />

ottomano, ogni volta in cui se ne presentava l’occasione. Nell’intervallo <strong>fra</strong> due<br />

annessioni, lo zar manteneva una benevolenza formale verso la Sublime Porta, che<br />

non la tranquillizzava per niente.<br />

Gli ottomani avevano la sensazione <strong>di</strong> provare a carezzare <strong>ed</strong> a farsi amico un<br />

grande orso, ogni volta in cui essi tentavano a migliorare i loro rapporti con la Russia.<br />

Lo zar <strong>di</strong>sse a Sir Hamilton Seymour, nel 1853, poco prima dello scoppio della<br />

guerra <strong>di</strong> Crimea, qualcosa <strong>di</strong> illuminante: “noi abbiamo nelle nostre mani un uomo<br />

malato gravemente; sarebbe una <strong>di</strong>sgrazia - e sono <strong>fra</strong>nco su ciò - se egli morisse uno<br />

dei prossimi giorni, specialmente prima che tutti i provv<strong>ed</strong>imenti necessari siano stati<br />

presi” 169 . Ma prima che lo zar provasse, in quello stesso anno, <strong>di</strong> curare il paziente<br />

<strong>di</strong>chiarandogli guerra, le potenze europee dovettero fermare un altro pericolo per la<br />

Sublime Porta, e precisamente l’Egitto.<br />

Durante la lunga lotta per imp<strong>ed</strong>ire l’in<strong>di</strong>pendenza greca, la Sublime Porta si era<br />

basata moltissimo sulla flotta e l’esercito egiziani; il viceré in quella nazione, era<br />

Mehmet Ali. Le sue truppe avevano <strong>di</strong>mostrato una superiorità rispetto ai soldati<br />

turchi che non si poteva fare a meno <strong>di</strong> notare. La sua flotta, ricostruita dopo la<br />

169 R. MANTRAN (a cura <strong>di</strong>). Op. cit. pag. 538.<br />

106


attaglia <strong>di</strong> Navarino, era decisamente superiore rispetto alla squadriglia che era stata<br />

rinchiusa per tanti mesi nel Mar <strong>di</strong> Marmara dalle navi da guerra dello zar.<br />

Una volta ingoiata la pillola amara dell’in<strong>di</strong>pendenza greca, Mehmet Ali cominciò<br />

a riflettere che la sua posizione subor<strong>di</strong>nata verso la Sublime Porta avrebbe dovuto<br />

essere considerata ex novo. Egli <strong>ed</strong> il suo popolo erano <strong>di</strong>ventati la vera pietra<br />

angolare del trono ottomano, e questo non aveva portato nessun vantaggio, in termini<br />

politici. La sua aspirazione <strong>di</strong> aggiungere l’isola <strong>di</strong> Creta e la penisola <strong>di</strong> Morea ai<br />

suoi domini era stata sventata dalle potenze occidentali; la sua richiesta a Mahmud II<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare anche il governatore della Siria era stata rifiutata, <strong>ed</strong> ora persino l’offerta<br />

<strong>di</strong> Creta, come premio <strong>di</strong> consolazione, suonava come una specie <strong>di</strong> elemosina,<br />

totalmente inadeguata agli sforzi sostenuti.<br />

Ma Mahmud II aveva commesso un piccolo errore, rifiutando <strong>di</strong> c<strong>ed</strong>ere alle<br />

richieste del suo sottoposto egiziano, abbastanza irrequieto. Egli aveva assunto una<br />

posizione forte, senza avere abbastanza forze per scoraggiarlo e tenerlo sotto<br />

controllo. Mehmet Ali lanciò le truppe egiziane, al comando <strong>di</strong> suo figlio, Ibrahim<br />

Pascià, lungo la strada che portava verso nord, da Gaza e dall’oasi <strong>di</strong> El-Arish, quella<br />

già utilizzata da Napoleone nel suo sfortunato tentativo <strong>di</strong> mettere in ginocchio<br />

l’impero ottomano.<br />

L’esercito egiziano, doverosamente protetto dalla flotta, invase la Palestina, quin<strong>di</strong><br />

occupò la Siria e, dopo un secondo rifiuto da parte <strong>di</strong> Mahmud II <strong>di</strong> esu<strong>di</strong>re le sue<br />

richieste, entrò in Anatolia, sconfisse l’esercito ottomano a Konya <strong>ed</strong> arrivò ad<br />

107


occupare Kütahya nel febbraio 1833. Il sultano, quin<strong>di</strong>, dovette ingoiare il suo<br />

orgoglio e chi<strong>ed</strong>ere il sostegno della Russia.<br />

Lo zar, Nicola I, fu rapido ad inviare le sue truppe e le sua navi ad Istanbul –<br />

facendo ciò egli realizzava un suo antico sogno – ma la Francia e la Gran Bretagna<br />

reagirono velocemente e costrinsero l’Egitto e la Sublime Porta a venire a patti.<br />

Ibrahim Pascià, il vincitore sul campo, <strong>di</strong>venne governatore della Siria, della Cilicia e<br />

dell’Heggiaz (parte dell’attuale Arabia Sau<strong>di</strong>ta), mentre il padre, a parte la sua<br />

conferma a governatore dell’Egitto, accettò anche l’isola <strong>di</strong> Creta.<br />

Ma anche la Russia voleva la sua ricompensa. Con il ritiro della sua flotta dal<br />

Bosforo, lo zar costrinse il sultano a firmare il trattato <strong>di</strong> Hünkar-Iskelesi, con il quale<br />

lo stretto veniva chiuso a tutte le navi da guerra che non appartenessero a stati<br />

rivieraschi del Mar Nero. La questione degli Stretti era <strong>di</strong> nuovo aperta, dopo tanti<br />

secoli, e le <strong>di</strong>plomazie occidentali sarebbero state coinvolte fino in fondo per molti<br />

anni, in una successione <strong>di</strong> mosse e <strong>di</strong> contromosse, che finirono dopo più <strong>di</strong> un<br />

secolo, nel 1936, con la Convenzione <strong>di</strong> Montreux.<br />

La lotta <strong>fra</strong> l’Egitto e la Sublime Porta non era però ancora finita. Mehmet Ali,<br />

oltre ad espandere la sua influenza, voleva conseguire la piena in<strong>di</strong>pendenza dalla<br />

Sublime Porta, mentre il sultano, naturalmente, cercava la vendetta. Trascorsero sei<br />

anni <strong>di</strong> una tregua piena <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenze, finché Mahmud II si sentì pronto. Le sue<br />

truppe invasero la Siria, dove furono sconfitte a Nisibin il 24 luglio 1839. Questa, <strong>fra</strong><br />

l’altro, fu la prima esperienza <strong>di</strong> combattimento <strong>di</strong> un giovane ufficiale t<strong>ed</strong>esco,<br />

assegnato all’esercito ottomano, <strong>di</strong> nome von Moltke. La flotta ottomana, che<br />

108


avrebbe potuto giocare un ruolo-chiave, non si comportò meglio, avendo deciso <strong>di</strong><br />

arrendersi a tra<strong>di</strong>mento nel porto <strong>di</strong> Alessandria.<br />

Come al solito, secondo quanto <strong>di</strong>ce un vecchio proverbio, quando un coniglio<br />

attacca un leone, o è miope o è stupido. Il sultano aveva ampiamente sopravvalutato<br />

la sua potenza militare, <strong>ed</strong> ora era nelle mani del suo ambizioso subor<strong>di</strong>nato, <strong>di</strong>venuto<br />

un rivale. Questa volta le potenze occidentali, con l’eccezione della Francia,<br />

nonostante avessero corteggiato fino ad allora vuoi con la Sublime Porta, vuoi con<br />

l’Egitto, si sentirono obbligate ad imp<strong>ed</strong>ire che l’impero ottomano cadesse a pezzi, <strong>ed</strong><br />

unirono i loro sforzi.<br />

La Francia, in effetti, aveva rimpiazzato la Gran Bretagna nel cuore <strong>di</strong> Mehmet<br />

Ali. Quando le potenze emanarono un ultimatum chi<strong>ed</strong>endogli <strong>di</strong> abbandonare le sue<br />

conquiste siriane e restituire la flotta ottomana alla Sublime Porta, “ci fu uno scoppio<br />

<strong>di</strong> entusiasmo guerriero nei viali (<strong>di</strong> Parigi), <strong>di</strong>retto specialmente contro l’Inghilterra.<br />

Per qualche tempo, un conflitto tra le due nazioni sembrò quasi inevitabile” 170 . Ma, a<br />

questo punto, amb<strong>ed</strong>ue i governi mostrarono del buon senso. Una tale lotta per il<br />

Levante avrebbe comportato un confronto <strong>fra</strong> le due flotte, e purtroppo amb<strong>ed</strong>ue<br />

stavano decadendo per mancanza <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> per le manutenzioni. La Francia esitò ad<br />

impegnarsi, e quin<strong>di</strong> una flotta britannica <strong>ed</strong> austriaca poterono <strong>di</strong>slocarsi nel<br />

Levante.<br />

Si può capire agevolmente quale influenza determinante il potere marittimo possa<br />

esercitare sulle operazioni terrestri quando esse facciano perno su <strong>di</strong> una linea <strong>di</strong><br />

170 C. E. CALLWELL. The Effect of Maritime Command on Land campaigns since Waterloo. Ed. W. Blackwood<br />

&Sons, 1897, pag. 133.<br />

109


comunicazione che attraversi un passaggio avente l’oceano su <strong>di</strong> un lato. E la strada<br />

terrestre lungo la costa siriana presenta esattamente queste con<strong>di</strong>zioni. Mehmet Ali<br />

aveva goduto <strong>di</strong> un appoggio virtualmente inviolabile dal mare, durante la sua<br />

campagna prec<strong>ed</strong>ente, ma questa volta egli aveva perso il suo vantaggio decisivo. In<br />

pochi mesi tutte le sue posizioni fortificate furono bloccate e caddero, con San<br />

Giovanni d’Acri per ultima, nonostante l’eroica resistenza della sua guarnigione.<br />

La Santa Alleanza, peraltro, era a pezzi. La Francia, già impegnata nel suo fatale<br />

sogno messicano, dove stava cogliendo i suoi primi ingannevoli successi a Vera<br />

Cruz, aveva guardato con rabbia repressa le altre potenze intervenire contro l’Egitto.<br />

Anche la Russia provò il <strong>di</strong>sappunto più amaro quando la Sublime Porta fu costretta a<br />

“mo<strong>di</strong>ficare lievemente” (per usare un’espressione <strong>di</strong>plomatica) la Convenzione degli<br />

Stretti, accettando che il bando alle navi da guerra fosse applicato solo quando la<br />

Sublime Porta non fosse in guerra. La Prussia, non avendo una flotta, fu<br />

impossibilitata a svolgere un ruolo significativo nelle trattative che seguirono, e si<br />

conclusero a Londra nel 1841. Da quel momento, un equilibrio precario <strong>fra</strong> tutte le<br />

potenze europee avrebbe assicurato la pace e la stabilità nel continente.<br />

Sappiamo cosa accadde dopo, e cioè più <strong>di</strong> due decenni <strong>di</strong> rivoluzioni, guerre e<br />

sofferenze. Quello che emerse da tale periodo era un’Europa totalmente <strong>di</strong>versa, con<br />

una nuova nazione, l’Italia, un grande impero, l’Austria, umiliata e desiderosa <strong>di</strong><br />

vendetta, mentre la Francia finì per subire una delle più serie sconfitte della sua<br />

storia. La Sublime Porta, nel <strong>fra</strong>ttempo, era pronta a subire un altro colpo dal suo<br />

110


nemico storico, la Russia, nonostante l’aiuto sostanziale fornitole dalle potenze<br />

europee durante la guerra <strong>di</strong> Crimea.<br />

Nei Balcani del XIX secolo, sempre irrequieti sotto il pesante giogo ottomano, vi<br />

era una piccola regione che nessun esercito turco era stato in grado <strong>di</strong> controllare.<br />

Questa era il Montenegro, le cui montagne erano abitate da una popolazione fiera e<br />

guerriera, capeggiata da vescovi ortodossi. Essi venivano chiamati Vla<strong>di</strong>kas, <strong>ed</strong><br />

appartenevano tutti alla stessa famiglia dei Niegosh.<br />

Il vescovo, a quel tempo, Danilo, cercò <strong>di</strong> conseguire una base più stabile per la<br />

sua autorità, cercando, nel febbraio 1852, <strong>di</strong> essere riconosciuto dallo zar <strong>di</strong> Russia<br />

come Principe del Montenegro. Questa richiesta, molto simile ad un’accettazione<br />

volontaria <strong>di</strong> una posizione subor<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> vassallaggio, era musica per le orecchie<br />

dello zar Nicola I, <strong>ed</strong> il Principe Danilo ebbe imm<strong>ed</strong>iatamente ciò che voleva.<br />

Ben provvisto <strong>di</strong> onori e <strong>di</strong> finanziamenti, appena rientrato in patria, <strong>di</strong> ritorno da<br />

San Pietroburgo, il nuovo principe <strong>di</strong>chiarò guerra alla Turchia, nel giugno<br />

successivo. Dopo alcuni successi iniziali, peraltro, egli si trovò contro un’armata<br />

relativamente numerosa, con a capo Omar Pascià, un generale capace che aveva<br />

sottomesso <strong>di</strong> recente la Bosnia. Fortunatamente, nelle montagne <strong>di</strong> quel teatro <strong>di</strong><br />

guerra, le tattiche del tipo “colpisci e fuggi”, praticate dai Montenegrini erano almeno<br />

abbastanza efficaci da ritardare l’esito finale dei combattimenti, e questa situazione <strong>di</strong><br />

stallo concesse abbastanza tempo alla <strong>di</strong>plomazia per intervenire.<br />

Infatti, sia la Gran Bretagna, che temeva ogni instabilità troppo vicino al Mare<br />

Adriatico, specie vicino alle isole Ionie, e l’Austria, che già aveva problemi ad<br />

111


assicurarsi la lealtà dei suoi sud<strong>di</strong>ti slavi, agirono velocemente e con destrezza per<br />

moderare i Turchi e stabilire una situazione <strong>di</strong> sovranità nominale per la Sublime<br />

Porta su questa provincia irrequieta, riconoscendo così <strong>di</strong> fatto la posizione <strong>di</strong> quasi<br />

in<strong>di</strong>pendenza del Montenegro e la leadership del principe Danilo.<br />

Grazie all’ abilità <strong>di</strong> questi, <strong>ed</strong> alle con<strong>di</strong>zioni topografiche favorevoli, quin<strong>di</strong>, il<br />

Montenegro fu in grado <strong>di</strong> entrare nella carta politica dell’Europa. Ancora una volta,<br />

il Montenegro era la <strong>di</strong>mostrazione che un popolo, unito nel perseguimento <strong>di</strong> un fine<br />

comune, adottando tattiche <strong>di</strong> guerriglia, molto efficaci in aree scoscese e<br />

montagnose, può tenere in scacco truppe ben addestrate, comandate da generali<br />

capaci, semplicemente prolungando la lotta e rendendo impossibile una vittoria,<br />

evitando accuratamente ogni scontro che potrebbe finire in una vittoria decisiva per il<br />

nemico.<br />

Questa strategia, messa in pratica ampiamente nei tempi recenti, <strong>di</strong>mostra che<br />

soluzioni convenzionali e standar<strong>di</strong>zzate a problemi strategici non comuni funzionano<br />

<strong>di</strong> rado. Adesso, la chiamiamo guerra <strong>di</strong> quarta generazione, solo perché non<br />

leggiamo la storia abbastanza.<br />

Quella che oggi chiamiamo Romania è stata per secoli <strong>di</strong>visa in due province, la<br />

Moldavia e la Valacchia. Esse erano parte dell’impero bizantino, ma durante la sua<br />

decadenza amb<strong>ed</strong>ue furono costrette ad accettare la dominazione ottomana. Esse<br />

quin<strong>di</strong> dovevano pagare i tributi al sultano, la Moldavia dal 1455 e la Valacchia<br />

anche da prima, essendo stata sottomessa dal grande sultano Bayaz<strong>ed</strong> nel 1395.<br />

112


Amb<strong>ed</strong>ue le province, peraltro, godevano <strong>di</strong> una forma pur limitata <strong>di</strong><br />

autogoverno, essendo governate da principi locali, noti come Voivodas or<br />

Hospodars, spesso scelti <strong>fra</strong> i principi greci leali alla Sublime Porta, chiamati<br />

Phanariotes, dal nome del <strong>di</strong>stretto greco <strong>di</strong> Istanbul. Stretti <strong>fra</strong> la potenza emergente<br />

della Russia e la Bulgaria, dominati dagli Ottomani, questi governanti seguirono una<br />

politica <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>tanza formale verso la Sublime Porta, avendo cura, però, <strong>di</strong> non<br />

opporsi alla Russia, ogni qualvolta questa conduceva una guerra offensiva contro i<br />

Turchi.<br />

Ma questa regione godeva <strong>di</strong> un altro vantaggio, visto che si trovava all’estrema<br />

periferia dell’impero ottomano. Essa, infatti, era aperta e permeabile anche dalle<br />

influenze europee, grazie alla sua lingua, molto simile al <strong>fra</strong>ncese – e questo consentì<br />

alla gente colta <strong>di</strong> leggere i saggi del periodo rivoluzionario <strong>fra</strong>ncese – nonché grazie<br />

alla sua frontiera con l’Ungheria, sorvegliata meno strettamente <strong>di</strong> ogni altra frontiera<br />

dell’impero.<br />

Non che le relazioni con i Magiari fossero sempre facili <strong>ed</strong> amichevoli! L’area<br />

chiamata Transilvania era, <strong>ed</strong> è ancora, il pomo della <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a, essendo abitata da<br />

una forte minoranza ungherese, più sviluppata e ricca della maggioranza,<br />

prevalentemente basata sull’etnia rumena. Nel complesso, questi due principati, o<br />

Principalità, come vennero chiamate più tar<strong>di</strong>, godevano <strong>di</strong> molta più libertà rispetto<br />

agli altri poss<strong>ed</strong>imenti europei della Sublime Porta.<br />

Durante il periodo della guerra d’in<strong>di</strong>pendenza greca, molti leader rivoluzionari<br />

avevano stretti legami con le Principalità; le usavano per fare la spola in sicurezza <strong>fra</strong><br />

113


la Russia e la loro patria, e ad<strong>di</strong>rittura sfruttarono il territorio come base <strong>di</strong><br />

rifornimenti e rifugio.<br />

Anche la rivolta rumena del 1821, capeggiata da Tudor Vla<strong>di</strong>mirescu, era<br />

fomentata con il loro aiuto, al fine <strong>di</strong> creare un’ondata <strong>di</strong> instabilità in tutto l’impero<br />

ottomano, agevolando così la causa greca. Fu così che il desiderio <strong>di</strong> una<br />

in<strong>di</strong>pendenza totale e <strong>di</strong> unificazione era penetrato lentamente ma decisamente nei<br />

cuori e nelle menti del popolo, o almeno <strong>di</strong> quelli che avevano la fortuna <strong>di</strong> poss<strong>ed</strong>ere<br />

una cultura elevata.<br />

Il trattato <strong>di</strong> Adrianopoli, del 1829, aveva allentato i legami <strong>fra</strong> le Principalità e la<br />

Sublime Porta, che riceveva ancora da loro il tributo annuale, ma non poteva più<br />

sfruttare l’ingiusto privilegio <strong>di</strong> acquistare i prodotti <strong>di</strong> quella terra su base <strong>di</strong><br />

monopolio. Ma l’accresciuta influenza della Russia non migliorò la situazione<br />

generale nelle Principalità: anche queste ultime imponevano restrizioni al commercio,<br />

oltre a basarsi fortemente su <strong>di</strong> un sistema quasi feudale, che dava il potere e la<br />

ricchezza ad un’oligarchia, i nobili o Boyari, com’erano chiamati.<br />

I liberali provarono a sfruttare il <strong>di</strong>ffuso malcontento scatenando la rivoluzione nel<br />

1848, prima a Iasi, la capitale della Moldavia, e quin<strong>di</strong> in Valacchia. Il successo<br />

temporaneo <strong>di</strong> amb<strong>ed</strong>ue le rivolte lasciò i liberali con un paese unificato per la prima<br />

volta, ma anche con nemici potenti. Fu infatti lo stesso zar russo, per una volta<br />

d’accordo con la Sublime Porta, ad incoraggiare il sultano Abdul Mecid a s<strong>ed</strong>are la<br />

rivolta e riportare al potere i governanti prec<strong>ed</strong>enti, per paura che i liberali rumeni<br />

114


<strong>di</strong>ffondessero la sovversione nei loro domini e mettessero in dubbio la saggezza nel<br />

mantenere il regime autocratico in Russia.<br />

Questo tra<strong>di</strong>mento fu un’altra prova, agli occhi dell’opinione pubblica, che i<br />

liberali avevano ragione, quando affermavano che “la Romania era l’avamposto della<br />

civiltà occidentale, <strong>ed</strong> aveva molte più cose in comune con la cultura <strong>fra</strong>ncese <strong>ed</strong><br />

inglese, che non con i valori asiatici delle altre regioni dell’impero ottomano” 171 , per<br />

non parlare dello stato russo retrogrado e reazionario.<br />

La guerra <strong>di</strong> Crimea costrinse amb<strong>ed</strong>ue le Principalità ad accettare con riluttanza<br />

l’occupazione russa, e trasformò il paese in un campo <strong>di</strong> battaglia, a causa della<br />

controffensiva ottomana, che respinse le truppe dello zar dalla frontiera bulgara.<br />

Durante le trattative <strong>di</strong> pace, a Parigi, sembrò possibile ottenere l’in<strong>di</strong>pendenza e<br />

l’unificazione della Romania, grazie al potente appoggio <strong>di</strong> Napoleone III, ma il<br />

massimo che si riuscì ad ottenere fu la nomina <strong>di</strong> un solo governatore per amb<strong>ed</strong>ue le<br />

Principalità.<br />

I liberali pensarono che questo era meglio <strong>di</strong> niente, data la riluttanza dell’Austria<br />

ad avere una nazione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni che, non solo veniva creata subito al <strong>di</strong> là<br />

della frontiera ungherese, ma aveva anche un forte interesse a riven<strong>di</strong>care sia la<br />

Transilvania, popolata da una maggioranza rumena, come abbiamo visto, sia la<br />

Bucovina, amb<strong>ed</strong>ue sotto la dominazione austriaca. Sfortunatamente, quando le<br />

truppe russe si ritirarono, il 30 marzo 1857, una serie <strong>di</strong> fro<strong>di</strong> elettorali, organizzate<br />

dal governo turco, permise a tutti i Boiari, i nobili decisamente contrari<br />

171 M. GLENNY. The Balkans. Ed. Granta Books, 1999. pag. 63<br />

115


all’unificazione della Romania, a conquistare la maggioranza dei seggi nei due<br />

Divani, come erano chiamati i parlamenti nell’impero, si anella capitale Istanbul che<br />

nelle provincie.<br />

La Francia, la Russia e la Prussia protestarono con forza, ma senza risultati, dato<br />

che la Turchia era appoggiata dall’Austria e, questa volta, anche dalla Gran Bretagna;<br />

nessuno, infatti, voleva provocare un’altra guerra, subito dopo lo spargimento <strong>di</strong><br />

sangue della Crimea, e la questione fu lasciata cadere, con grande <strong>di</strong>sappunto delle<br />

popolazioni interessate. Il nuovo principe, Alexander Cuza, le cui nobili idee liberali<br />

non erano sostenute da una personalità forte, dovette quin<strong>di</strong> combattere quasi da solo<br />

contro i Boiari, molto attenti a conservare i loro privilegi feudali, malgrado<br />

l’irrequietu<strong>di</strong>ne montante nelle campagne; solo organizzando un colpo <strong>di</strong> stato<br />

militare, egli riuscì ad emanare le riforme agricole, assolutamente necessarie, nel<br />

1864.<br />

Due anni dopo, i liberali compirono con successo l’ultimo tentativo <strong>di</strong><br />

unificazione del paese. Un gruppo <strong>di</strong> ufficiali dell’esercito scontenti colse Cuza <strong>di</strong><br />

sorpresa e lo depose senza spargimento <strong>di</strong> sangue. I liberali allora andarono alla<br />

ricerca <strong>di</strong> un principe europeo, finché trovarono Carlo (Carol) <strong>di</strong> Hohenzollern-<br />

Sigmaringen, un altro parente del re <strong>di</strong> Prussia, che accettò il trono.<br />

Come preventivato, in Moldavia, dove la gente era molto contraria alla per<strong>di</strong>ta<br />

della loro autonomia, sotto un regime con s<strong>ed</strong>e a Bucarest, la capitale della<br />

Valacchia, “invase le strade della capitale (Iasi) per <strong>di</strong>mostrare contro Carol e<br />

l’unificazione. Peraltro i <strong>di</strong>mostranti non riuscirono a persuadere l’esercito ad unirsi a<br />

116


loro” 172 . La rivolta fu facilmente s<strong>ed</strong>ata e la Romania iniziò la sua nuova vita senza<br />

ulteriori lotte, con grande sollievo dei liberali, timorosi <strong>di</strong> un veto proveniente dalle<br />

capitali europee, un veto che non arrivò mai. Ma cos’era accaduto alla forte<br />

opposizione internazionale, che si era verificata fino ad allora?<br />

Le circostanze, infatti, erano particolarmente favorevoli: nessuno voleva sollevare<br />

obiezioni contro un principe t<strong>ed</strong>esco, specialmente in quel momento, con l’imminente<br />

scoppio della guerra <strong>fra</strong> l’Austria e la Prussia che attirava l’attenzione sulla scena<br />

europea. L’Austria, naturalmente, non poteva spostare forze lontano dal teatro<br />

principale <strong>di</strong> guerra, la Boemia, e la Turchia temeva un intervento russo.<br />

In tal modo la Romania <strong>di</strong>venne l’unica nazione europea nata pacificamente<br />

durante quel tormentato periodo. Fu questo un capolavoro <strong>di</strong>plomatico?<br />

Probabilmente fu pura fortuna e poco più; talvolta, peraltro, le circostanze<br />

favoriscono coloro che hanno il coraggio <strong>di</strong> cogliere l’occasione del momento,<br />

riuscendo così a risolvere problemi da tempo in sospeso, grazie alla loro saggezza e<br />

ad un grande coraggio politico.<br />

Il lettore forse conosce l’isola <strong>di</strong> Creta, un posto meraviglioso per le vacanze<br />

estive, <strong>ed</strong> una parte essenziale della Repubblica <strong>di</strong> Grecia. Durante la seconda metà<br />

del XIX secolo, invece, Creta era sempre sotto il dominio ottomano, come<br />

conseguenza della conferenza <strong>di</strong> Londra, che aveva sanzionato l’in<strong>di</strong>pendenza della<br />

Grecia continentale. La Sublime Porta la occupava fin dal 1669, quando le forze<br />

172 Ibid. pgg 67-68.<br />

117


turche erano riuscite alla fine a piegare la fiera resistenza dei Veneziano, dopo uno<br />

dei più lunghi ass<strong>ed</strong>i della storia moderna.<br />

L’isola, nel 1839-41 era stata prima desiderata e poi retta dal governatore<br />

dell’Egitto, fino agli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> pace, successivi alla sua ribellione contro la Sublime<br />

Porta. Ma la maggioranza della sua popolazione era costituita da isolani greci, una<br />

razza <strong>di</strong> montanari e marinai, fieri <strong>di</strong>fensori della loro autonomia e del loro stile <strong>di</strong><br />

vita spartano. E la popolazione non aveva risparmiato gli sforzi per liberarsi dal giogo<br />

ottomano. Dopo le fine della guerra d’in<strong>di</strong>pendenza greca, essi si erano sollevati tre<br />

volte, contro i loro oppressori, prima nel 1841, quin<strong>di</strong> nel 1856 e, più tar<strong>di</strong> , nel 1863,<br />

nonostante la crudele repressione compiuta, ogni volta, dalle truppe turche.<br />

Nel maggio 1866, la popolazione iniziò a lamentarsi per le pesanti tasse e contro<br />

l’ingiusto sistema giu<strong>di</strong>ziario. Non era precisamente una <strong>di</strong>mostrazione pacifica, data<br />

l’abitu<strong>di</strong>ne inveterata degli abitanti ad essere armati, anche quando essi erano a casa,<br />

ma nel complesso il governatore era riuscito a calmare la folla promettendo che le<br />

lamentele sarebbero state sottoposte alla Sublime Porta. Questo era, naturalmente,<br />

solo un tentativo <strong>di</strong> guadagnar tempo, perché l’esito non era in dubbio: le finanze<br />

dell’impero erano vicine alla bancarotta, e nessun sultano avrebbe mai concesso né<br />

una riforma giu<strong>di</strong>ziaria, che desse più spazio alle aspirazioni locali, né una drastica<br />

riduzione degli elevati tributi da pagare.<br />

Oltre a ciò, il sultano temeva che ogni concessione a Creta avrebbe<br />

imm<strong>ed</strong>iatamente acceso ulteriori richieste pressanti, da parte dei già irrequieti slavi<br />

dei Balcani. Passarono due mesi, prima che arrivasse la risposta, e questa volta essa<br />

118


era non solo negativa, ma anche arrogante e minacciosa. Avendo ricevuto l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sperdersi, i patrioti affermarono i loro <strong>di</strong>ritti con l’uso delle armi. Nel <strong>fra</strong>ttempo,<br />

truppe ottomane erano state inviate per proteggere gli abitanti turchi, ma il secco<br />

rifiuto venuto da Istanbul aveva causato una rivolta generale. Il 23 settembre 1866, il<br />

parlamento popolare <strong>di</strong> Sphakia proclamò solennemente l’unione <strong>di</strong> Creta alla Grecia,<br />

la loro terra <strong>di</strong> origine (Ενώσις = Unione).<br />

Ulteriori truppe, inviate prontamente dall’Anatolia e dall’Egitto consentirono al<br />

nuovo governatore, Omer Pascià, <strong>di</strong> iniziare una repressione brutale, ma con risultati<br />

limitati. Gli insorti, ben organizzati in bande, si stabilirono sulle montagne, furono<br />

raggiunti da volontari provenienti dal continente, come pure da altre parti d’Europa:<br />

<strong>fra</strong> loro, ad esempio, vi era Gustave Flourens, un <strong>fra</strong>ncese che <strong>di</strong>venne noto più tar<strong>di</strong>,<br />

nel 1871, come uno dei leader della Comune <strong>di</strong> Parigi.<br />

Sfortunatamente per gli insorti, il momento era totalmente sfavorevole, a causa<br />

della crisi imminente <strong>fra</strong> Austria e Prussia. Mentre la Grecia e, naturalmente, la<br />

Russia appoggiavano la rivolta con denaro <strong>ed</strong> armi, la Francia e la Prussia<br />

<strong>di</strong>mostrarono un interesse moderato, vicino all’in<strong>di</strong>fferenza – il Cancelliere<br />

prussiano, Bismark, <strong>di</strong>sse in quell’occasione <strong>di</strong> non leggere mai il corriere da Istanbul<br />

– mentre la Gran Bretagna e l’Austria si opponevano ad ogni ulteriore indebolimento<br />

dell’impero ottomano.<br />

Il consenso generale <strong>fra</strong> le potenze europee, quin<strong>di</strong>, fu favorevole ad una<br />

composizione pacifica. Il re <strong>di</strong> Grecia fu incoraggiato a destituire il suo Primo<br />

Ministro, Kumunduros, l’ardente avvocato dell’unione, <strong>ed</strong> il sultano fu convinto a<br />

119


conc<strong>ed</strong>ere, nel 1868, uno statuto speciale che dava ai Cristiani un ruolo più<br />

importante nel governo locale. Più decisivo, peraltro, fu l’ultimatum, emanato l’11<br />

<strong>di</strong>cembre 1868 dalla Sublime Porta al governo greco, una mossa che costrinse<br />

quest’ultimo ad arrestare il flusso <strong>di</strong> armi e rifornimenti, trasportati sull’isola da una<br />

miriade <strong>di</strong> barchette, e precipitarsi ad organizzare la <strong>di</strong>fesa nazionale. La rivolta<br />

dell’isola, in tal modo, perse il suo impeto e fu alla fine sconfitta un anno dopo.<br />

Passarono molti anni, ma la situazione a Creta continuava ad essere estremamente<br />

tesa. Un’altra rivolta, nel 1889, era stata soffocata in un bagno <strong>di</strong> sangue. Nel 1896,<br />

<strong>di</strong> nuovo, il sultano Abdul Hamid, che aveva abrogato le concessioni fatte dal suo<br />

pr<strong>ed</strong>ecessore alla popolazione, causando quin<strong>di</strong> un significativo innalzamento della<br />

tensione nell’isola, colse l’opportunità (della repressione della rivolta armena) per<br />

incoraggiare la minoranza mussulmana, richiamando il governatore <strong>di</strong> creta, che era<br />

un Cristiano, quello stesso Alexander Caratheodory che lo aveva servito così<br />

lealmente a Berlino, nominando un Mussulmano al suo posto.<br />

Non fu una sorpresa che si verificasse un’ennesima rivolta. Le potenze europee, in<br />

un tentativo <strong>di</strong>sperato per prevenire la crisi, concordarono <strong>di</strong> <strong>di</strong>spiegare una flotta<br />

multinazionale nella Baia <strong>di</strong> Suda, ma la rabbia in Grecia era tale che il re <strong>di</strong>chiarò<br />

guerra alla Sublime Porta nel 1897, dopo aver rifiutato, poco saggiamente come gli<br />

eventi <strong>di</strong>mostrarono, una proposta delle potenze <strong>di</strong> garantire uno stato <strong>di</strong> autogoverno<br />

all’isola, sia pure sotto la sovranità nominale ottomana.<br />

Il re aveva grandemente sottovalutato la potenza nemica. Da alcuni anni, in<br />

conseguenza delle relazioni amichevoli stabilite <strong>fra</strong> l’imperatore Guglielmo II <strong>ed</strong> il<br />

120


sultano, l’esercito turco era stato riorganizzato da un capace generale t<strong>ed</strong>esco, che era<br />

anche ben conosciuto come insegnante <strong>di</strong> strategia, Von der Goltz. Quando la crisi<br />

peggiorò, a causa dello sbarco <strong>di</strong> truppe greche a Creta, il 13 febbraio 1897, <strong>ed</strong><br />

un’offensiva limitata fu lanciata in Tracia, la Turchia colpì. Dall’inizio alla fine fu<br />

una serie ininterrotta <strong>di</strong> <strong>di</strong>sastri per la Grecia. Le sue truppe, benché valorose, erano<br />

totalmente <strong>di</strong>sorganizzate <strong>ed</strong> inferiori sotto ogni aspetto, rispetto ai <strong>di</strong>sciplinati soldati<br />

turchi, comandati da ufficiali addestrati in Germania.<br />

In trenta giorni le truppe turche avanzarono fino a Larissa, che fu occupata in<br />

maggio. Solo allora la Grecia chiese la m<strong>ed</strong>iazione delle potenze europee, e questo<br />

portò alla sospensione delle ostilità il 21 maggio, seguita dai preliminari <strong>di</strong> pace in<br />

settembre e dal trattato <strong>di</strong> pace bilaterale del 4 <strong>di</strong>cembre 1897. Mentre le clausole per<br />

la Grecia erano molto onerose, l’isola colse i frutti migliori della lotta. Benché<br />

sempre sotto la dominazione turca, l’isola ebbe lo stato <strong>di</strong> autogoverno. Ma ora, a<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto proposto prima dello scoppio delle ostilità, il governatore<br />

sarebbe stato scelto con il consenso delle potenze, e nel 1898, il governatore scelto fu<br />

il principe Giorgio, secondogenito del re <strong>di</strong> Grecia, con il grande sollievo <strong>di</strong> tutti i<br />

Greci. La pace era stata ottenuta, anche se l’unione era stata rimandata, e lo fu fino al<br />

termine delle guerre balcaniche del 1912-13.<br />

g)-La Prima Guerra mon<strong>di</strong>ale <strong>ed</strong> il crollo dell’Impero<br />

Le guerre balcaniche del 1912-13, scoppiate dopo la guerra italo - turca, avevano<br />

inferto un duro colpo al sempre più debole regime ottomano, malgrado i tentativi <strong>di</strong><br />

121


iforma che le potenze avevano cercato <strong>di</strong> imporre a questo, come clausola dei prestiti<br />

che il governo chi<strong>ed</strong>eva loro sempre più spesso. Ormai, la Sublime Porta manteneva<br />

nei Balcani solo quella limitata striscia <strong>di</strong> terra in Tracia, che la Turchia possi<strong>ed</strong>e<br />

ancor oggi.<br />

Malgrado tutti questi motivi, quando la crisi <strong>di</strong> Serajevo cominciò a produrre i<br />

suoi effetti <strong>di</strong>sastrosi, il governo turco firmò, il 2 agosto 1914, un accordo segreto con<br />

la Germania, che prev<strong>ed</strong>eva un’alleanza <strong>di</strong>fensiva in funzione anti-russa. Quin<strong>di</strong>,<br />

quando le due navi t<strong>ed</strong>esche, l’incrociatore da battaglia Goeben <strong>ed</strong> il più piccolo<br />

Breslau si rifugiarono negli Stretti, il governo ottomano aveva già compiuto la sua<br />

scelta <strong>di</strong> campo.<br />

Va rilevato che queste decisioni erano state prese anche se “ad Istanbul, buona<br />

parte dell’opinione pubblica e la maggior parte dei membri del C. U. P. (il partito<br />

nato dal Comitato Unione e Progresso, espressione del movimento dei Giovani<br />

Turchi, capeggiato da Enver Bey) sembrano favorevoli ad una riconciliazione con le<br />

potenze dell’Intesa. Parigi e Londra , da parte loro, si accontenterebbero volentieri <strong>di</strong><br />

una neutralità ottomana e moltiplicano le iniziative per ottenerla” 173 .<br />

Il motivo principale <strong>di</strong> questa scelta, che si rivelò suicida, era da un lato la paura<br />

<strong>di</strong> ulteriori aggressioni russe nell’Anatolia orientale, fin troppo facili contro un<br />

neutrale, e dall’altra il sentimento <strong>di</strong> forte rivalsa per gli enormi territori da poco<br />

perduti. Un successo delle potenze centrali ne avrebbe infatti consentito il recupero,<br />

almeno parziale.<br />

173 R. MANTRAN (a cura <strong>di</strong>). Op. cit. pag. 665.<br />

122


Ma il governo turco non si precipitò a <strong>di</strong>chiarare la guerra all’Intesa, tanto da<br />

avvalorare la voce secondo cui il sultano, Maometto V, fosse contrario alle ostilità.<br />

Prima, infatti, furono acquistate le due navi t<strong>ed</strong>esche, e l’ammiraglio Souchon, che le<br />

comandava, passò al servizio del sultano, l’11 agosto; venne quin<strong>di</strong> l’abolizione delle<br />

o<strong>di</strong>ate Capitolazioni, che avevano messo in ginocchio l’economia ottomana,<br />

consentendo ai paesi europei cr<strong>ed</strong>itori il prelievo <strong>di</strong>retto delle entrate, quin<strong>di</strong> venne<br />

l’abrogazione degli accor<strong>di</strong> che riguardavano il regime dei Luoghi Santi cristiani in<br />

Palestina, e davano alle potenze cristiane il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> interferire l’8 settembre<br />

successivo, <strong>ed</strong> infine il 27 il governo decise <strong>di</strong> chiudere gli Stretti alla navigazione<br />

commerciale.<br />

Peraltro, gli smacchi t<strong>ed</strong>eschi della Marna e nella Galizia da parte austriaca a<br />

Leopoli (oggi parte dell’Ucraina) frenarono l’entusiasmo bellicista ottomano, anche<br />

se, proprio per questi motivi, la Germania aumentò la pressione sull’alleato, nella<br />

speranza che una sua entrata in guerra costringesse i Russi <strong>ed</strong> i Britannici a spostare<br />

forze, togliendole dai fronti principali.<br />

Solo il 22 ottobre, dopo che “le prime casse d’oro t<strong>ed</strong>esco arrivano ad Istanbul,<br />

Enver (Bey) darà l’or<strong>di</strong>ne all’ammiraglio Souchon <strong>di</strong> attaccare i porti russi del Mar<br />

Nero” 174 . Dopo il bombardamento <strong>di</strong> Odessa, e le conseguenti <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> guerra<br />

russa (2 novembre) e <strong>fra</strong>nco – inglese (5 novembre), il sultano <strong>di</strong>chiarò guerra l’11<br />

novembre <strong>ed</strong> il successivo 23 lanciò l’appello alla guerra santa, or<strong>di</strong>nando a tutti i<br />

mussulmani <strong>di</strong> “sollevarsi contro il raggruppamento oppressore che porta il nome <strong>di</strong><br />

174 Ibid. pag. 667.<br />

123


Triplice Intesa, il cui orgoglio nazionale ha come supreme delizie l’asservimento <strong>di</strong><br />

migliaia <strong>di</strong> mussulmani” 175 .<br />

A questo punto, è necessario ricordare che il sultano aveva anche una funzione<br />

religiosa, quale califfo dell’Islam; tale funzione era stata rilanciata mezzo secolo<br />

prima, dal sultano Abdul Hamid II (1876-1909), nel tentativo <strong>di</strong> ridare compattezza<br />

all’impero, e sotto un certo punto <strong>di</strong> vista aveva funzionato, ovviamente solo per la<br />

componente islamica delle popolazioni soggette alla Sublime Porta.<br />

Ovviamente, nessuno aveva le forze per unificare il mondo islamico, non solo<br />

perché spaccato da secoli, a causa dello scisma sciita, ma anche per la <strong>di</strong>ffusione<br />

delle sette, espressioni <strong>di</strong> alcune comunità, che in gran parte esistono ancor oggi.<br />

Peraltro, Abdul Hamid II svolse un ruolo <strong>di</strong> moderatore, all’interno del mondo<br />

religioso, che indubbiamente accrebbe il suo prestigio, almeno fino alla rivolta dei<br />

Giovani Turchi, e <strong>di</strong><strong>ed</strong>e un minimo <strong>di</strong> sentimento comune ai correligionari suoi<br />

sottoposti. Ma, come accaduto innumerevoli volte, il richiamo religioso non prevalse<br />

sulle riven<strong>di</strong>cazioni autonomiste dei vari popoli islamici, in particolare gli Arabi, la<br />

cui rivolta accelerò il crollo del fronte del Sinai, <strong>ed</strong> i Palestinesi, che aiutarono le<br />

forze dell’Intesa.<br />

Gli impegni militari, conseguenti la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra, erano enormi:<br />

anzitutto bisognava tener testa nell’Anatolia orientale ai Russi, il cui capo, il<br />

granduca Michele, si rivelò abilissimo; veniva quin<strong>di</strong> il fronte del Sinai, più facile da<br />

<strong>di</strong>fendere, almeno fino alla rivolta araba. Oltre a questi due fronti principali – e la<br />

175 Ibid.<br />

124


strategia insegna che questa è già una situazione da evitare – si aggiunse quello degli<br />

Stretti, in conseguenza dello sbarco alleato nella penisola <strong>di</strong> Gallipoli.<br />

Anche dopo il suo fallimento, l’esercito ottomano dovette continuare a presi<strong>di</strong>are<br />

la zona, il che comportava meno forze sui fronti principali. Ancora, si dovette parare,<br />

con le poche forze rimanenti, all’incursione britannica in Iraq, anch’essa fallita, ma<br />

che costituì un ulteriore motivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione delle forze.<br />

Sul piano interno, infine, vi era la necessità <strong>di</strong> controllare le popolazioni meno<br />

fidate, residenti in zona <strong>di</strong> guerra, come gli Armeni <strong>ed</strong> i Palestinesi, verso i quali il<br />

governo si comportò in modo oltremodo crudele, scatenando una guerra <strong>fra</strong> etnie, in<br />

qualche caso, e per il resto reprimendo con ferocia i moti, come se l’inutilità <strong>di</strong> questo<br />

approccio, <strong>di</strong>mostrata ampiamente nei Balcani, cinquant’anni prima, non fosse ancora<br />

chiara. Il fatto è che a Istanbul regnava il panico, e ad ogni cattiva notizia si reagiva<br />

con isterismo.<br />

La Sublime Porta non poteva reggere da sola l’impatto <strong>di</strong> tanti impegni e chiese<br />

aiuto alla Germania. Purtroppo per l’impero, nella lotta <strong>di</strong> titani che fu la Prima<br />

Guerra mon<strong>di</strong>ale, l’alleato principale si trovò talmente impegnato su tutti i fronti,<br />

anche perché doveva compensare l’inaspettata debolezza austriaca, da poter aiutare<br />

molto poco l’alleato islamico, e solo nei casi più critici.<br />

Il collasso dell’impero era quin<strong>di</strong> inevitabile; si rimane anzi sorpresi dal fatto che<br />

questo abbia resistito fino all’ultimo. Toccò ad un esponente dei Giovani Turchi,<br />

Kemal Pascià, poi soprannominato Atatürk (Padre dei Turchi) raccogliere i cocci,<br />

radunando sufficienti forze – e godendo dell’aiuto sovietico – per cacciare gli age<br />

125


La lezione del passato è stata sempre presente, nella <strong>di</strong>fficile vita <strong>di</strong> quella<br />

nazione; non a caso, nel 1925, la Turchia firmò un trattato <strong>di</strong> mutua <strong>di</strong>fesa con<br />

l’Unione Sovietica, e poi, nel 1936, riuscì a regolare la questione degli Stretti in<br />

modo sod<strong>di</strong>sfacente per tutti. Ancora, nel 1940, il governo si guardò bene dal<br />

lasciarsi coinvolgere nella Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale. Quando poi, nel 1946, l’Unione<br />

Sovietica, imbaldanzita dalla vittoria, denunciò il trattato del 1925, la Turchia si<br />

preoccupò <strong>di</strong> trovare nuovi alleati, giungendo a legarsi prima con Grecia e<br />

Jugoslavia, e quin<strong>di</strong> ad entrare nella NATO.<br />

A conclusione <strong>di</strong> questa breve ricapitolazione del declino e della caduta<br />

dell’impero ottomano, è bene fare alcune considerazioni. Anzitutto, come abbiamo<br />

visto, l’<strong>Occidente</strong> non ha mai avuto una linea <strong>di</strong> condotta costante verso il governo<br />

ottomano, a parte l’attenzione al recupero dei cr<strong>ed</strong>iti nei confronti della Sublime<br />

Porta.<br />

Molto lo si deve alle <strong>di</strong>visioni <strong>fra</strong> le potenze europee, un po’ deve essere attribuito<br />

ai comportamenti on<strong>di</strong>vaghi del regime ottomano, che nel secolo XIX oscillò <strong>fra</strong><br />

tentativi riformisti (periodo del Tanzimat) <strong>ed</strong> un ritorno all’autocrazia, con Abdul<br />

Hamid II. La causa prima della decadenza e del crollo successivo risi<strong>ed</strong>e però<br />

nell’incapacità <strong>di</strong> cooptare le popolazioni, e non solo quelle cristiane. Abbiamo<br />

parlato un poco <strong>di</strong> alcune repressioni, almeno <strong>di</strong> quelle che hanno costretto<br />

l’<strong>Occidente</strong> ad intervenire, ma queste si sono scatenate più volte anche contro le<br />

componenti mussulmane, con esiti altrettanto <strong>di</strong>sastrosi.<br />

126


In definitiva, la Turchia moderna poggia, molto più <strong>di</strong> quanto non si pensi, sulla<br />

tra<strong>di</strong>zione ottomana, le cui esperienze positive e negative servono come guida<br />

comportamentale al governo. Anche la lotta in corso <strong>fra</strong> il kemalismo e l’integralismo<br />

religioso, moderato o meno, è un lascito del passato, un problema che l’<strong>Occidente</strong><br />

potrebbe aiutare a risolvere. Il problema dell’ammissione o meno della Turchia<br />

all’Unione Europea, visto da Ankara, si gioca tutto sull’alternativa <strong>fra</strong> l’adesione<br />

all’<strong>Occidente</strong>, anche a costo <strong>di</strong> subire l’umiliante interferenza altrui, come nel secolo<br />

XIX, oppure una via islamica, che abbandoni le esperienze <strong>di</strong> governo laiciste.<br />

h)-I nazionalismi laicisti<br />

La caduta dell’impero ottomano portò conseguenze durature soprattutto per i<br />

popoli dell’Asia sud-occidentale, fino ad allora amministrati dalla Sublime Porta. La<br />

Francia e la Gran Bretagna, infatti, avevano in mente una riorganizzazione completa<br />

della regione, secondo criteri nuovi.<br />

Gli aspetti più importanti <strong>di</strong> questo progetto, noto come trattato Sykes - Picot, dal<br />

nome dei due negoziatori erano, anzitutto, quello <strong>di</strong> creare una serie <strong>di</strong> stati <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni equivalenti, in modo da ottenere, nel lungo periodo, buone probabilità <strong>di</strong><br />

un equilibrio regionale stabile. A questa serie <strong>di</strong> stati se ne aggiungeva uno più<br />

piccolo, il Libano, per dare alla popolazione cristiana della Siria un minimo <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>pendenza, nonché il territorio della Palestina, amministrato <strong>di</strong>rettamente dalla<br />

Gran Bretagna. Si può notare, in questo, l’approccio cartografico britannico, che si<br />

era già manifestato con le due Linee Durand del 1879-81, la prima, più famosa, che<br />

127


segnava il limite amministrativo dell’In<strong>di</strong>a britannica, <strong>ed</strong> ora del Pakistan, verso<br />

l’Afganistan, correndo lungo lo spartiacque delle montagne che ora <strong>di</strong>vidono i due<br />

paesi (va notato, a questo proposito, che questa linea non è stata mai riconosciuta da<br />

quest’ultima nazione), mentre la seconda stabiliva il confine nord dello stesso<br />

Afganistan con la Russia.<br />

Questo approccio ebbe la sua massima espressione nel 1948, con la definizione<br />

del confine <strong>fra</strong> In<strong>di</strong>a e Pakistan, una <strong>di</strong>visione che provocò un doppio esodo <strong>di</strong> massa<br />

<strong>ed</strong> uno spargimento <strong>di</strong> sangue che non aveva eguali nella storia del sub-continente<br />

in<strong>di</strong>ano.<br />

Il secondo aspetto era l’inten<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> “aiutare” questi paesi neo costituiti<br />

m<strong>ed</strong>iante un regime che potrebbe definirsi <strong>di</strong> amministrazione controllata, con loro<br />

nella posizione <strong>di</strong> mentori e controllori; qualcosa <strong>di</strong> simile era prevista anche per<br />

l’Egitto, che nel 1881 era stato posto sotto controllo <strong>fra</strong>nco - britannico, nei settori<br />

delle finanze e dei lavori pubblici, ma era stato poi occupato dalle forze britanniche e<br />

considerato un poss<strong>ed</strong>imento della corona.<br />

Contro questo argomento dell’accordo, e contro “le ambizioni espansionistiche<br />

che esso copriva” 176 si levarono molte voci, anche se “alcuni <strong>di</strong> questi apostoli<br />

dell’espansionismo non erano guidati da imperialismo puro ma da una fiducia<br />

ragionata nei benefici dell’amministrazione britannica come mezzo per garantire alla<br />

popolazione nel complesso un livello <strong>di</strong> giustizia superiore a quello comunemente<br />

<strong>di</strong>ffuso nelle comunità asiatiche” 177 .<br />

176 B. LIDDELL HART. Lawrence d’Arabia. Ed. Bompiani, 1984, pag. 271.<br />

177 Ibid. pag. 273.<br />

128


L’accordo prev<strong>ed</strong>eva che la Francia assumesse l’amministrazione della Siria e del<br />

Libano; questa era il frutto <strong>di</strong> “una linea politica coerente, ra<strong>di</strong>cata in una memoria<br />

ricettiva. Le loro pretese sulla Siria risalivano al M<strong>ed</strong>ioevo e si fondavano sui regni<br />

latini che l’ondata delle crociate aveva lasciato come relitti sulla costa levantina. Nel<br />

corso della guerra mon<strong>di</strong>ale il fasti<strong>di</strong>o per il fatto che un alleato si ins<strong>ed</strong>iasse in quella<br />

terra ancestrale sembra sia stato analogo alla preoccupazione che l’invasione t<strong>ed</strong>esca<br />

del loro territorio limitasse il contributo <strong>fra</strong>ncese alla campagna contro la Turchia in<br />

Asia” 178 .<br />

Per parte sua, la Gran Bretagna, oltre alla Palestina, avrebbe “assistito” tre stati<br />

totalmente nuovi, e precisamente l’Arabia Sau<strong>di</strong>ta, dove fu nominato re Ibn Saud,<br />

anziché Sharif Husain, appartenente all’antichissima <strong>di</strong>nastia degli Hashemiti, il<br />

quale durante la guerra si era auto-proclamato “re del popolo arabo” 179 , creando seri<br />

problemi agli alleati dell’Intesa. A quest’ultimo venne assegnato un nuovo stato,<br />

l’Iraq, costituito unendo le tre province ottomane <strong>di</strong> Baghdad, Bassora e Mossul,<br />

mentre al <strong>fra</strong>tello veniva assegnato, come regno, un altro stato <strong>di</strong> nuova formazione,<br />

denominato Transgiordania, e costituito dalla parte interna della Palestina, posta a<br />

cavallo del fiume Giordano, con capitale Amman.<br />

Inutile <strong>di</strong>re quanto forte fosse il malcontento degli Arabi per questa decisione, che<br />

venne sanzionata nel 1920 dalla Società delle Nazioni, m<strong>ed</strong>iante un regolare mandato<br />

amministrativo; le proteste e le ribellioni contro questa forma velata <strong>di</strong> colonialismo<br />

non si contarono, e furono all’origine dei movimenti nazionalistici del secondo<br />

178 Ibid. pag. 272.<br />

179 Ibid. pag. 102.<br />

129


dopoguerra. Come v<strong>ed</strong>remo, infatti, alcuni dei leader che emergeranno come capi <strong>di</strong><br />

quei movimenti erano stati parte <strong>di</strong> queste rivolte.<br />

Nel secondo dopoguerra, la Francia e la Gran Bretagna, prostrate dal conflitto, non<br />

erano più in grado <strong>di</strong> contenere le numerose lotte <strong>di</strong> liberazione, nelle loro colonie, <strong>ed</strong><br />

iniziarono ad abbandonare gran parte dei loro poss<strong>ed</strong>imenti; questa ritirata si svolse<br />

rapidamente, per quanto riguarda l’Asia sud-occidentale, i cui regimi sembravano in<br />

grado <strong>di</strong> durare, anche senza la presenza delle loro forze militari.<br />

Naturalmente, non era così. Il primo a cambiare tipo <strong>di</strong> governo fu l’Egitto, il cui<br />

re Faruk, fu deposto da un colpo <strong>di</strong> stato militare, nel 1952; a questo seguì la rinuncia<br />

<strong>fra</strong>ncese alla Tunisia, dove il partito della resistenza, liberal-costituzionale (Néo<br />

Destour) vinse le elezioni del 1956, con Habib Bourghiba come capo del governo.<br />

Vennero, poco dopo, nel 1958, vuoi un analogo colpo <strong>di</strong> stato in Iraq, che depose<br />

il giovane re, ucciso poi in modo crudele, e l’abbandono dell’Algeria da parte<br />

<strong>fra</strong>ncese; ultima fu la Libia, nel 1969. da notare che in tutti questi paesi furono<br />

adottati sistemi <strong>di</strong> governo formalmente democratici, ma con delle leadership<br />

provenienti dalle Forze Armate o dalle organizzazioni della resistenza.<br />

La necessità, da parte dei nuovi governi, <strong>di</strong> alimentare l’orgoglio nazionale, <strong>fra</strong> la<br />

popolazione, insieme al desiderio <strong>di</strong> rivalsa per i torti subiti per molti anni, fu il<br />

motore <strong>di</strong> provv<strong>ed</strong>imenti che lesero gli interessi economici occidentali, come le<br />

nazionalizzazioni e l’avvicinamento all’Unione Sovietica, da parte <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong> loro,<br />

per non parlare vuoi degli attentati degli anni ’70, vuoi del finanziamento ai<br />

movimenti rivoluzionari europei.<br />

130


Fino a pochi anni fa, <strong>di</strong> conseguenza, era <strong>di</strong>ffusa la sensazione che questi regimi,<br />

che avevano in comune con la Turchia la separazione <strong>fra</strong> Stato e Chiesa, fossero un<br />

pericolo per l’<strong>Occidente</strong>, e che fossero preferibili dei regimi basati sulla Sharia, la<br />

cosiddetta legge coranica – in realtà basata sull’interpretazione e su estrapolazioni del<br />

Corano, fatte dalla classe religiosa.<br />

Ora, come v<strong>ed</strong>remo <strong>fra</strong> poco, le opinioni sono molto <strong>di</strong>verse, ma bisogna<br />

considerare che la rinascita dell’integralismo religioso, fieramente avverso a questi<br />

regimi, insieme all’impossibilità, in alcuni casi, o l’incapacità, in altri, <strong>di</strong><br />

ammodernare significativamente gli stati, migliorando la qualità <strong>di</strong> vita delle<br />

popolazioni in tempi brevi, ha reso questi regimi laicisti del mondo islamico i naturali<br />

alleati del mondo occidentale, proprio per questa caratteristica comune, <strong>di</strong> voler<br />

mantenere una “libera Chiesa in libero Stato”.<br />

i)-La rinascita degli integralismi<br />

La gerarchia religiosa, nel mondo mussulmano, ha la caratteristica <strong>di</strong> essere in<br />

contatto <strong>di</strong>retto con le popolazioni, per cui, spesso, ha svolto dei ruoli ad<strong>di</strong>zionali<br />

rispetto alla sola assistenza spirituale o guida morale. Per questo, essa ha spesso<br />

goduto <strong>di</strong> un prestigio, <strong>fra</strong> le classi umili, <strong>di</strong> cui è <strong>di</strong>fficile rendersi conto.<br />

Negli ultimi decenni, l’<strong>Occidente</strong> è stato spesso tentato <strong>di</strong> favorire le teocrazie,<br />

come soluzione politica intrinsecamente più stabile <strong>di</strong> quella fornita dai regimi laici<br />

del mondo islamico. Questa linea d’azione ha avuto il suo momento culminante nel<br />

1979, quando l’<strong>Occidente</strong> favorì la presa del potere in Iran da parte della classe<br />

131


eligiosa, il cui elemento <strong>di</strong> spicco era Khomeini, un sacerdote <strong>di</strong> rango relativamente<br />

poco elevato – i vertici, incluso il Grande Ayatollah, capo supremo della f<strong>ed</strong>e sciita<br />

sono in Iraq – il quale si era <strong>di</strong>stinto per l’opposizione alla corruzione dello Shah.<br />

Parallelamente, in conseguenza dell’invasione dell’Afganistan da parte<br />

dell’Unione Sovietica, che tentava <strong>di</strong> sostenere il regime laico e comunista, il<br />

movimento <strong>di</strong> resistenza vide, come una delle sue massime espressioni, la<br />

componente integralista, detta dei Talebani.<br />

Alla resistenza, <strong>ed</strong> in particolare ai Talebani, non furono fatti mancare fon<strong>di</strong> <strong>ed</strong><br />

armamenti da parte occidentale: nella situazione <strong>di</strong> guerra fr<strong>ed</strong>da <strong>di</strong> quegli anni, la<br />

possibilità <strong>di</strong> costringere l’avversario dell’<strong>Occidente</strong> ad allontanare forze notevoli dal<br />

teatro <strong>di</strong> guerra europeo, visto che questi aveva commesso l’errore strategico <strong>di</strong><br />

impantanarsi in una campagna <strong>di</strong> contro-guerriglia senza fine, sembrava talmente<br />

allettante da non poter essere lasciata cadere.<br />

Gli Stati Uniti, in particolare, avevano subito una situazione simile in Vietnam,<br />

dove i regimi comunisti <strong>di</strong> Mosca e <strong>di</strong> Pechino avevano abbondantemente sostenuto il<br />

Vietnam del Nord, e quin<strong>di</strong> per essi l’aiuto ai guerriglieri afgani era una specie <strong>di</strong><br />

vendetta, oltre ad essere conveniente, per i motivi prima in<strong>di</strong>cati.<br />

Più recentemente, le operazioni <strong>di</strong> pace svolte dalla NATO, in <strong>di</strong>fesa delle<br />

minoranze islamiche nei Balcani, in Bosnia <strong>ed</strong> in Kossovo, apparivano anche come<br />

un modo, al <strong>di</strong> là delle ragioni per stabilizzare quelle zone, per accattivarsi le simpatie<br />

del mondo islamico.<br />

132


Era infatti sfuggito che i movimenti integralisti v<strong>ed</strong>evano come loro principale<br />

avversaria la civiltà occidentale, materialista e consumista, da loro definita “Coca<br />

Cola civilisation”, il cui potere <strong>di</strong>rompente, nei confronti della struttura sociale dei<br />

loro paesi, era potenzialmente devastante nei confronti della cultura tra<strong>di</strong>zionale e del<br />

tipo <strong>di</strong> società che essi volevano far risorgere. In Egitto, queste tendenze sono state –<br />

e sono ancora – rappresentate dalla Fratellanza Islamica, i cui capi sono stati<br />

perseguitati e sono ora quasi tutti in prigione.<br />

Pren<strong>di</strong>amone il più noto, il filosofo Tariq Ramadan, il quale ha cr<strong>ed</strong>uto <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>viduare la <strong>di</strong>fferenza fondamentale <strong>fra</strong> la cultura occidentale, dove è forte<br />

l’impulso per la ribellione, “che deriva <strong>di</strong>rettamente dalla considerazione che viene<br />

accordata allo scetticismo e al dubbio. Si parte dallo scetticismo e dal dubbio, si<br />

spinge questi atteggiamenti un passo più oltre, e si arriva alla ribellione totale. La<br />

tra<strong>di</strong>zione mussulmana non ha queste caratteristiche. Nell’Islam, non vi è impulso<br />

alla ribellione. Non vi è lotta, non vi è tentazione <strong>di</strong> ribellarsi. Nell’Islam, la<br />

sottomissione è tutto. La sottomissione a Dio consente all’Islam <strong>di</strong> creare una società<br />

unificata, morale e sod<strong>di</strong>sfacente, almeno sul piano potenziale, anche se i<br />

Mussulmani in carne <strong>ed</strong> ossa in ogni epoca hanno <strong>di</strong>menticato i loro obblighi<br />

religiosi. La sottomissione è la strada per la giustizia sociale, per un’anima contenta,<br />

e per l’armonia con il mondo” 180 .<br />

Questo estratto del pensiero del più noto <strong>fra</strong> i teorici dell’integralismo islamica<br />

merita <strong>di</strong> essere analizzato con cura, non per commentarlo, anche perché si commenta<br />

180 P. BERMAN. Terror and Liberalism. Ed. W. W. Norton & Co., 2003, pag. 27.<br />

133


da solo, ma per conoscere il tra<strong>di</strong>n montagna, a Biyák-na-Batóizionalismo che si<br />

nasconde <strong>di</strong>etro queste parole. Il mondo mussulmano è molto stratificato socialmente,<br />

con la classe religiosa che attraversa questa società in modo trasversale, ma non<br />

necessariamente antitetico alle classi più elevate. I poveri non hanno bisogno <strong>di</strong><br />

istruzione, viste le mansioni che devono svolgere, ma devono imparare ad essere<br />

sottomessi a chi comanda; per questo l’unico libro da leggere, o quanto meno da<br />

conoscere grazie alla pr<strong>ed</strong>icazione dei religiosi è il Corano, i cui precetti sono tutto<br />

ciò <strong>di</strong> cui gli esseri umani abbiano bisogno.<br />

Un commento recente, <strong>di</strong> matrice occidentale, a queste tendenze <strong>ed</strong> alla loro<br />

genesi, riferito ai Talebani, lo in<strong>di</strong>ca in modo chiaro: “i combattenti talebani erano<br />

cresciuti da rifugiati nei malsani campi <strong>di</strong> raccolta del Pakistan. I loro primi s<strong>ed</strong>ici<br />

anni <strong>di</strong> vita erano stati trascorsi nella povertà più nera, senza alcuna <strong>ed</strong>ucazione e<br />

<strong>di</strong>vertimenti, con l’imposizione delle loro punizioni mortali, con le loro madri e<br />

sorelle tenute in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> sottomissione mentre gli uomini decidevano come<br />

combattere i loro oppressori stranieri dall’altra parte della frontiera, con l’unica loro<br />

<strong>di</strong>strazione nella lettura dettagliata <strong>ed</strong> ossessiva del Corano – l’unico vero cammino<br />

in un mondo nel quale nessun altro era contemplato. I Talebani erano arrivati (al<br />

potere) non per ricostruire un paese che loro non ricordavano, ma per ricostruire su<br />

più vasta scala i campi <strong>di</strong> rifugiati” 181 .<br />

Gli aspetti della Legge Islamica che più ci <strong>di</strong>sturbano, oltre alle norme riguardanti<br />

la con<strong>di</strong>zione femminile, decisamente arcaiche, sono legati alla crudeltà <strong>di</strong> alcuni<br />

181 R. FISK. The Great War for Civilisation. Ed. Harper Perennial, 2006, pag. 31.<br />

134


provv<strong>ed</strong>imenti punitivi, un aspetto che trova delle importanti espressioni prec<strong>ed</strong>enti<br />

nei comportamenti ottomani dei secoli passati. In sintesi, l’integralismo islamico è<br />

fortemente tra<strong>di</strong>zionalista, anche reazionario, e quello è il suo punto debole. Per<br />

questo, la via del cosiddetto “integralismo moderato”, da tempo in atto nel Marocco e<br />

<strong>di</strong> recente introduzione in Turchia, potrebbe portare ad una sintesi equilibrata <strong>fra</strong> laici<br />

e fautori della Sharia, ma questa è una cosa ancora da tutta da v<strong>ed</strong>ere.<br />

Come impostare una “strategia dei rapporti” con il mondo islamico, così pieno <strong>di</strong><br />

cultura elitaria, con un senso della storia estremamente sviluppato, così stratificato<br />

socialmente e così profondamente <strong>di</strong>viso? Due sono i pericoli storici da evitare: le<br />

implosioni, per lo scoppio delle contrad<strong>di</strong>zioni interne, <strong>ed</strong> il confronto <strong>di</strong>retto, duro,<br />

che è l’unico modo <strong>di</strong> compattarlo <strong>ed</strong> è profondamente umiliante per chi perde.<br />

L’<strong>Occidente</strong> ha soprattutto una carta vincente nella capacità <strong>di</strong> trasmettere con<br />

forza il tipo <strong>di</strong> vita della gente comune, grazie non alla propaganda, bensì alla<br />

moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> film e <strong>di</strong> trasmissioni televisive che vengono trasmesse su talmente<br />

tanti canali che neanche i Talebani sono riusciti ad imp<strong>ed</strong>ire che arrivassero alla<br />

popolazione.<br />

Il nostro punto debole principale è quel complesso <strong>di</strong> superiorità che ha spinto i<br />

nostri pr<strong>ed</strong>ecessori ad umiliare i popoli islamici, vuoi pretendendo <strong>di</strong> supervisionare i<br />

loro atti <strong>di</strong> governo nel passato, vuoi contrastandoli in modo violento, quando erano<br />

in ballo enormi interessi economici. Progetti collaborativi mirati, nei settori che loro<br />

vogliono sviluppare, in un contesto <strong>di</strong> profondo rispetto, anche formale, sono la<br />

soluzione per raffr<strong>ed</strong>dare le animosità e cooptare le giovani generazioni. In questo<br />

135


senso, il “Processo <strong>di</strong> Barcellona” dal quale è derivato il processo noto come<br />

“Cinque più cinque”, che avrebbe dovuto confluire nell’Unione per il M<strong>ed</strong>iterraneo ci<br />

ha fornito delle preziose esperienze.<br />

Il paese più esente dai principali <strong>di</strong>fetti dell’<strong>Occidente</strong> è, grazie al cielo, l’Italia,<br />

che sembra aver tratto i necessari ammaestramenti dagli errori commessi nel passato,<br />

durante l’occupazione della Libia, della Somalia e dell’Etiopia, quando ci<br />

<strong>di</strong>stinguemmo per crudeltà e miopia. Forse, nel modo con cui tenere i rapporti con la<br />

galassia islamica, irrequieta e scontenta, checché ne <strong>di</strong>ca Ramadan, abbiamo qualcosa<br />

da insegnare agli altri.<br />

136


3)-Le strategie della Russia <strong>ed</strong> i Rapporti con l’<strong>Occidente</strong><br />

a)-La geografia della Russia <strong>ed</strong> i flussi <strong>di</strong> popolazioni;<br />

Ripren<strong>di</strong>amo un attimo la conferenza <strong>di</strong> Mackinder, ricordando la sua <strong>fra</strong>se, a<br />

proposito del fatto che: “l’uomo, non la natura, inizia, ma la natura controlla in larga<br />

misura”. Come precisava l’autore, “la mia preoccupazione è sul controllo fisico,<br />

piuttosto che le cause della storia universale” 182 . Questo è particolarmente vero per la<br />

Russia, il cui clima e la cui orografia sono sempre stati un pesante con<strong>di</strong>zionamento<br />

dell’attività umana.<br />

Pensate, ad esempio, alle conseguenze <strong>di</strong> un impianto <strong>di</strong> riscaldamento rotto, in<br />

una città a caso della Siberia, oppure al fatto che, negli ultimi anni, la riduzione del<br />

“permafrost”, il terreno ghiacciato fino a decine <strong>di</strong> metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà, per effetto del<br />

riscaldamento globale, sta facendo affondare i pesanti impianti <strong>di</strong> estrazione del gas,<br />

<strong>di</strong> produzione americana, con il rischio che l’unica ancora <strong>di</strong> salvezza dell’economia<br />

russa scompaia in un mare <strong>di</strong> fango.<br />

Ma Mackinder puntava il <strong>di</strong>to anche su <strong>di</strong> un’altra caratteristica geografica <strong>di</strong><br />

quell’enorme paese, e precisamente la sua <strong>di</strong>visione in due zone climatiche<br />

profondamente <strong>di</strong>verse <strong>fra</strong> <strong>di</strong> loro, una a nord, dove “le foreste erano interrotte solo<br />

da palu<strong>di</strong>, mentre il sud e sud-est erano una infinita steppa erbosa, con alberi solo<br />

lungo le rive dei fiumi” 183 .<br />

Lungo questa parte meri<strong>di</strong>onale, come appunto notava il grande geografo, si sono<br />

incanalate le gran<strong>di</strong> invasioni della storia, ogni volta in cui un’esplosione<br />

182 H. J. MACKINDER. The Geographical Pivot of History. The Geographical Journal, April 1904, pag. 422.<br />

183 Ibid. pag. 424.<br />

137


demografica costringeva l’eccesso <strong>di</strong> popolazione a cercarsi altri li<strong>di</strong> dove trascorrere<br />

l’esistenza. Numerose entità si sono incamminate lungo questa strada,<br />

sovrapponendosi le une alle altre, e contribuendo a creare l’o<strong>di</strong>erno popolo europeo.<br />

Va detto, parlando in termini <strong>di</strong> strategia su questo fenomeno che ci interessa<br />

anche ai nostri giorni, che i flussi umani sono come l’acqua, che va dal monte al mare<br />

– e quin<strong>di</strong> da zone dove la vita è insopportabile verso zone più vivibili – ma possi<strong>ed</strong>e<br />

altre due caratteristiche interessanti: segue il percorso <strong>di</strong> minima resistenza,<br />

aggirando gli ostacoli che non può travolgere, e si <strong>di</strong>rige verso aree che presentano un<br />

vuoto <strong>di</strong> potenza, come nel IV secolo o un vuoto demografico, come avviene ora.<br />

Quello che si tende a <strong>di</strong>menticare, però, è la bassa densità <strong>di</strong> popolazione, negli<br />

sconfinati spazi della Russia, e la voglia <strong>di</strong> andare via, che molti degli attuali abitanti<br />

hanno ben fissa in mente. Pochi anni fa, un tragico incidente – un missile mare-aria<br />

ucraino che colpì un aereo <strong>di</strong> linea - fece scoprire al mondo l’esistenza <strong>di</strong> un volo<br />

giornaliero <strong>fra</strong> Tel Aviv e Novosibirsk. Ovviamente, il ruolo <strong>di</strong> questo collegamento<br />

così frequente era quello <strong>di</strong> favorire l’emigrazione in Israele, un altro posto dove<br />

esiste un vuoto demografico relativo sempre più significativo.<br />

Sorvoliamo sulla saggezza insita nel riempire un bicchiere quasi vuoto con il<br />

contenuto <strong>di</strong> un altro che si trova nelle stesse con<strong>di</strong>zioni, (a meno che non si voglia<br />

lavare quest’ultimo), per ricordare che quella metà meri<strong>di</strong>onale della Russia ha anche<br />

visto, cinquant’anni fa, anche il movimento opposto, questa volta <strong>di</strong> tipo forzoso, che<br />

ha riguardato le popolazioni deportate in Siberia, perché colpevoli <strong>di</strong> aver appoggiato<br />

i T<strong>ed</strong>eschi durante la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

138


In questa deportazione <strong>di</strong> massa furono coinvolti anzitutto i Ceceni, fatti peraltro<br />

rientrare in patria dopo la morte <strong>di</strong> Stalin (del milione e duecentomila deportati ne<br />

ritornarono la metà), ma anche i Tatari <strong>di</strong> Crimea, che ora l’Ucraina non sa se<br />

accettare o no, <strong>ed</strong> i cosiddetti T<strong>ed</strong>eschi del Volga – <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> quegli artigiani e<br />

conta<strong>di</strong>ni che Caterina la Grande attirò da lei per modernizzare il paese – che la<br />

Germania ha già rifiutato <strong>di</strong> riprendersi. Sta <strong>di</strong> fatto che la Siberia, ancor più della<br />

Russia europea, continua ad essere scarsamente popolata, e questo costituisce una<br />

situazione <strong>di</strong> vuoto strategico, che attira le immigrazioni <strong>di</strong> massa.<br />

Passiamo al terzo aspetto, quello più attuale della geografia russa, che è costituito<br />

dall’immensa zona artica. Due sono i suoi aspetti che interessano la strategia: uno,<br />

ben evidenziato dalla stampa in questi tempi, riguarda il fondo marino del Mare<br />

Artico, che presenta, nelle sue zone relativamente poco profonde, immensi giacimenti<br />

<strong>di</strong> gas, oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sputa <strong>fra</strong> il Canada, la Norvegia e, naturalmente, la Russia.<br />

Quest’ultima, peraltro, possi<strong>ed</strong>e una conoscenza particolarmente dettagliata <strong>di</strong><br />

quelle zone, visto che, già nel 1947, un autore notava che l’Istituto Artico <strong>di</strong><br />

Leningrado, costituito nel 1920, aveva già “organizzato oltre 250 sp<strong>ed</strong>izioni<br />

idrografiche e geografiche” 184 . Ma l’aspetto più importante della zona artica è<br />

costituito da quella “forma concreta attuale <strong>di</strong> quello che nel XIX secolo è stato<br />

chiamato il Passaggio a Nord-Est, cioè il percorso più breve <strong>fra</strong> la Russia europea <strong>ed</strong><br />

i mari asiatici” 185 .<br />

184 O. <strong>di</strong> GIAMBERARDINO. Il prossimo Conflitto Mon<strong>di</strong>ale. Ed. Danesi, 1947, pag. 87.<br />

185 A. VIGARIÉ. Economia Marittima e Geostrategia degli Oceani. Ed. Mursia, 1992, pag. 46.<br />

139


Non è un percorso facile. Come riferisce Vigarié, l’autore dello stu<strong>di</strong>o che stiamo<br />

citando, uno dei massimi stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> strategia <strong>fra</strong>ncesi:<br />

“l’ambiente marino è quanto mai ingrato, <strong>ed</strong> è formato da cinque bacini successivi che sono, a<br />

partire da ovest, il mar <strong>di</strong> Barents, il Mare <strong>di</strong> Kara, il mare <strong>di</strong> Laptev, il Mare della Siberia Orientale<br />

<strong>ed</strong> il Mare <strong>di</strong> Čukči. Questi sono separati <strong>fra</strong> loro da <strong>di</strong>versi stretti che formano passaggi obbligati<br />

assai spesso pericolosi. Sul mare (infatti) si formano <strong>di</strong> continuo ghiacci galleggianti <strong>di</strong> forme e<br />

<strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>verse, da cui derivano gli hummok, che sono accumuli <strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong> ghiaccio con bor<strong>di</strong><br />

rialzati <strong>di</strong> parecchi metri. Quando il vento li sposta, si può creare il pack, cioè un insieme <strong>di</strong> incerti<br />

canali <strong>fra</strong> i ghiacci, e può anche ricomporsi la banchisa, a causa dell’imperversare della purga, un<br />

vento violento che porta tempeste <strong>di</strong> neve” 186 .<br />

A questo punto, sorge spontanea la domanda sulla convenienza o meno <strong>di</strong><br />

utilizzare questa via marittima, e la risposta è semplice, in quanto questa è la via<br />

meno <strong>di</strong>fficile per avere accesso alle immense risorse della Siberia: “il volume delle<br />

merci toccava già un milione <strong>di</strong> tonnellate circa verso il 1970” 187 .<br />

Per rendere il traffico più sicuro, la rotta è tenuta sgombra, finché possibile, da 37<br />

enormi rompighiaccio, in genere con motori <strong>di</strong>esel con potenza fino a 60.000 CV,<br />

integrati da altri a propulsione nucleare, frutto della collaborazione con la<br />

cantieristica finlandese, dotati <strong>di</strong> chiglia “a emissione <strong>di</strong> bolle d’aria, per evitare che il<br />

ghiaccio vi si attacchi. La sostituzione delle eliche, che sono il punto debole <strong>di</strong> tali<br />

unità, si può fare ad<strong>di</strong>rittura con la nave in normale assetto <strong>di</strong> galleggiamento” 188 .<br />

Ma, malgrado tutti questi costosi provv<strong>ed</strong>imenti, la via marittima del nord non è<br />

utilizzabile tutti gli anni, e quando ciò <strong>di</strong>venta possibile, il periodo <strong>di</strong> apertura si<br />

186 Ibid. pag.47.<br />

187 Ibid. pag. 48.<br />

188 Ibid. pag. 50.<br />

140


limita a pochi mesi estivi. Peraltro, se si considera che la ferrovia transiberiana,<br />

malgrado il suo parziale raddoppio, non riesce a trasportare più <strong>di</strong> 100.000 container<br />

all’anno, <strong>ed</strong> oltretutto, in alcuni tratti, è pericolosamente vicina al confine cinese, si<br />

può notare come la via marittima sia la via per collegare i due estremi della Russia,<br />

soprattutto in caso <strong>di</strong> un’emergenza nelle relazioni internazionali con lo scomodo<br />

vicino cinese.<br />

Quest’ultimo – e qui ritorniamo ai flussi <strong>di</strong> popolazioni – sta peraltro praticando<br />

una lenta ma costante penetrazione nella Siberia: il bisogno <strong>di</strong> manodopera ha<br />

portato, secondo cifre recenti, circa 7 milioni <strong>di</strong> Cinesi a lavorare stabilmente oltre<br />

confine, è lecito pensare che il numero sia maggiore, come avviene anche da noi. Di<br />

conseguenza, anche se il confronto militare <strong>fra</strong> i due paesi degli anni ’70, lungo i<br />

fiumi Ussuri <strong>ed</strong> Amur, non corre più il rischio <strong>di</strong> ripetersi, per il momento, esiste pur<br />

sempre una tendenza alla “cinesizzazione <strong>di</strong> ritorno” della Siberia, per recuperare<br />

territori perduti, come v<strong>ed</strong>remo, e questo è un fenomeno che la Russia non può<br />

v<strong>ed</strong>ere con gioia.<br />

b)-La crescita dell’Impero zarista: le guerre in Europa e la corsa al Pacifico;<br />

Dalla geografia, ora bisogna passare <strong>di</strong> nuovo alla storia, per v<strong>ed</strong>ere quali sono<br />

state le caratteristiche ripetitive dell’espansione russa al <strong>di</strong> là degli Urali e verso sud,<br />

una “Grande <strong>Strat</strong>egia” che ha sempre comportato, e provoca tuttora, scontri violenti<br />

con i popoli confinanti: ad esempio, quello che è avvenuto, l’estate del 2008, con la<br />

Georgia non può essere infatti capito se non si conoscono i prec<strong>ed</strong>enti.<br />

141


Cominciamo con l’espansione verso il Mar Nero <strong>ed</strong> il Caucaso, una lunga e lenta<br />

marcia dall’interno del continente, visto che all’inizio il paese non aveva sbocchi sul<br />

Mar Nero. Questa avanzata iniziò con la guerra del 1768-1774 che portò alla Russia<br />

“le basi strategiche <strong>di</strong> Kinburn, Enikale e Kerč in Crimea e nelle imm<strong>ed</strong>iate<br />

vicinanze, oltre a una parte delle coste del Mar Nero ad est e ad ovest della penisola,<br />

fin quasi ai pi<strong>ed</strong>i del Caucaso” 189 , per intenderci, la catena montagnosa che occupa da<br />

est ad ovest il tratto <strong>di</strong> terra <strong>fra</strong> il Mar Nero <strong>ed</strong> il Mar Caspio, sbarrandolo quasi del<br />

tutto.<br />

Di questo periodo, il generale più brillante, un vero genio della guerra, fu il<br />

principe Aleksander Vasilievic Suvarov, vissuto <strong>fra</strong> il 1729 <strong>ed</strong> il 1800. Le sue gesta,<br />

contro gli Ottomani e, successivamente, contro i Francesi in Italia, sono passate alla<br />

storia. Ma Suvarov, oltre ad essere unico sul campo <strong>di</strong> battaglia, era anche un<br />

profondo pensatore militare che, per certi versi, anticipò le idee napoleoniche.<br />

Gli aspetti innovativi, per l’epoca, che egli introdusse furono, anzitutto il<br />

“concetto strategico e tattico <strong>di</strong> spazio, da cui ricava minuziose descrizioni del modo<br />

<strong>di</strong> tenerne conto” 190 ; inoltre, anziché puntare sull’approccio dell’epoca, fermo sul<br />

concetto <strong>di</strong> “or<strong>di</strong>ne lineare”, tipico <strong>di</strong> eserciti <strong>di</strong> mestiere, poco numerosi, egli<br />

preferisce “l’offensiva con gran<strong>di</strong> masse compatte che devono essere in grado <strong>di</strong><br />

muoversi con grande rapi<strong>di</strong>tà” 191 . L’armata popolare stretta unione <strong>di</strong> ufficiali,<br />

sottufficiali e truppa, ben addestrata e formata con una <strong>di</strong>sciplina ferrea, era lo<br />

189 N. V. RIASANOVSKY. Storia della Russia. Ed. Bompiani, 1989, pag. 269.<br />

190 A. CORNELI (a cura <strong>di</strong>). Op. cit. pag. 215.<br />

191 Ibid. pag. 216.<br />

142


strumento per condurre queste azioni, come pochi anni dopo avrebbe fatto<br />

Napoleone.<br />

L’annessione della Crimea, da parte della Russia, nel 1783, contrariamente a<br />

quanto previsto dal trattato <strong>di</strong> pace <strong>di</strong> Küciük Qainargè, costrinse “molti Tatari a<br />

rifugiarsi nei domini del sultano” 192 , con una ulteriore crisi con la Sublime Porta,<br />

sfociata in un’altra guerra, nel 1787, anch’essa vittoriosa, malgrado l’intervento della<br />

Svezia a fianco della Turchia. All’accettazione ottomana del possesso della Crimea,<br />

da parte della zarina, si aggiunsero, come prezzo per la pace, “la piazzaforte <strong>di</strong><br />

Očakov e la costa del Mar Nero fino allo Dnestr” 193 .<br />

Pochi anni dopo, nel 1801, “la parte orientale della Georgia, antico paese<br />

ortodosso della Transcaucasia, si unì alla Russia, che estese il proprio dominio alla<br />

Georgia occidentale nel 1803-1810. Sottoposti a pesanti pressioni dai loro potenti<br />

vicini mussulmani, persiani e turchi, i georgiani più volte avevano chiesto e <strong>di</strong> tanto<br />

in tanto ricevuto l’aiuto russo” 194 . Questa ulteriore avanzata, al <strong>di</strong> là delle montagne,<br />

costituiva un serio pericolo sia per la Persia sia per la Sublime Porta, e ne derivò<br />

l’ennesima guerra vittoriosa, dal 1804 al 1812, che fruttò alla Russia il Daghestan,<br />

l’Azerbaigian, c<strong>ed</strong>uti dalla Persia, oltre alla “Bessarabia <strong>ed</strong> una striscia lungo le coste<br />

orientali del Mar Nero” 195 , c<strong>ed</strong>ute dai Turchi.<br />

Passata la bufera dell’invasione napoleonica, i problemi interni della Russia,<br />

inclusa la fallita rivoluzione dei decabristi tolse gran parte della spinta propulsiva<br />

192 N. V. RIASANOVSKY. Op. cit. pag. 269.<br />

193 Ibid. pag. 270.<br />

194 Ibid. pag. 310.<br />

195 Ibid. pag. 311.<br />

143


all’espansione verso il Caucaso; bisognò attendere l’insurrezione della Grecia e la<br />

vittoria <strong>di</strong> Navarrino, perché il moto verso sud riprendesse, con la brillante campagna<br />

<strong>di</strong> Adrianopoli del 1828-1829, in cui la flotta russa sbarcò due volte dei corpi<br />

d’armata alle spalle dello schieramento ottomano, in Romania prima <strong>ed</strong> in Bulgaria<br />

dopo.<br />

Anche le forze russe, basate in Georgia, al comando “del generale Paskievich, uno<br />

dei più capaci <strong>ed</strong> illustri <strong>fra</strong> i condottieri moderni” 196 presero, prima dell’inverno, la<br />

fortezza costiera <strong>di</strong> Poti, prendendo poi Kars, Akhalkali, <strong>ed</strong> Akhalsik, nell’interno del<br />

Caucaso, fino a conquistare Bayazid, dove decise <strong>di</strong> svernare, non essendo più<br />

possibile proc<strong>ed</strong>ere, data la neve che copriva quella zone impervia e montagnosa.<br />

La primavera successiva, anche a fronte <strong>di</strong> truppe turche notevolmente rafforzate,<br />

il generale “batté completamente, benché alla spicciolata,le forze <strong>di</strong> gran lunga<br />

superiori che incontrò” 197 , conquistando poi la città <strong>di</strong> Erzerum e spingendosi fino nei<br />

pressi <strong>di</strong> Trebisonda. Questa campagna fruttò, al tavolo della pace, poco o niente nel<br />

settore asiatico, tanto che furono restituite ai Turchi quasi tutte le fortezze prese in<br />

quei due anni, esclusa naturalmente Poti.<br />

Durante la successiva guerra <strong>di</strong> Crimea, del 1853-1855, fu quin<strong>di</strong> necessario<br />

ass<strong>ed</strong>iare <strong>di</strong> nuovo Kars; questa volta, però, la situazione era <strong>di</strong>versa, sia perché, dopo<br />

l’intervento delle potenze europee, la flotta russa era stata autoaffondata per rendere il<br />

porto <strong>di</strong> Sebastopoli inutilizzabile, e quin<strong>di</strong> la campagna militare non godeva più <strong>di</strong><br />

appoggio e sostegno dal mare, sia, soprattutto, avvenne un evento imprevisto.<br />

196 C. E. CALLWELL. Gli Effetti del Dominio del Mare sulle Operazioni militari da Waterloo in poi. Ed. Forum<br />

<strong>Relazioni</strong> Internazionali, 1996, pag. 62.<br />

197 Ibid. pag. 64.<br />

144


Da “oltre un quarto <strong>di</strong> secolo, le forze dello zar avevano dovuto combattere i<br />

bellicosi montanari della Transcaucasia occidentale <strong>ed</strong> erano solo in parte riuscite a<br />

soggiogarli. Quando le navi da guerra inglesi comparvero sulle coste della Circassia,<br />

bastò un energico appello <strong>di</strong> Sciamyl, loro capo, per chiamarle alle armi e condurle<br />

alla battaglia. (Questi) si presentò a Tiflis con una formidabile orda dei suoi ban<strong>di</strong>ti<br />

(!), e scomparve <strong>di</strong> nuovo nei recessi delle montagne con ricco bottino e con molti <strong>fra</strong><br />

i più importanti personaggi del luogo fatti prigionieri” 198 .<br />

L’esercito russo dovette fare precipitosamente marcia in<strong>di</strong>etro, trovandosi con le<br />

sue linee <strong>di</strong> comunicazione interrotte. Anche se, per l’inefficienza turca, l’anno<br />

successivo fu possibile ass<strong>ed</strong>iare <strong>di</strong> nuovo e prendere Kars, che si arrese il 24<br />

novembre 1855, e lo stesso Sciamyl fu poi catturato e messo a morte nel 1859,<br />

non<strong>di</strong>meno il ricordo <strong>di</strong> questa impresa dura ancora <strong>fra</strong> i Ceceni, <strong>fra</strong> i quali Sciamyl è<br />

<strong>di</strong>ventato il nome proprio più <strong>di</strong>ffuso.<br />

Ritorniamo un attimo all’espansione russa verso la Siberia. In quegli anni,<br />

l’espansione russa verso Est non attrasse molto l’attenzione europea, ma fu forse<br />

l’evento più significativo del regno dello zar Alessandro II:<br />

“nel 1847, l’energico <strong>ed</strong> ambizioso conte Nicolaj Muraviev (in seguito noto come Muraviev<br />

dell’Amur) <strong>di</strong>venne governatore della Siberia orientale. Egli promosse l’avanzata russa nella<br />

regione dell’Amur e approfittò della <strong>di</strong>sperata situazione della Cina, in guerra con Gran Bretagna e<br />

Francia e sconvolta da una ribellione, per imporre al Celeste Impero due trattati quanto mai<br />

vantaggiosi per l’impero zarista: quello <strong>di</strong> Aigun del 1858, con il quale la Cina c<strong>ed</strong>eva la riva<br />

sinistra dell’Amur, e quello <strong>di</strong> Pechino del 1860, con cui la Cina c<strong>ed</strong>ette la regione dell’Ussuri. Le<br />

198 Ibid. pag. 107.<br />

145


coste dell’impero russo sul Pacifico vennero un po’ alla volta popolate: nel 1853 fu fondata la città<br />

<strong>di</strong> Nikolaevsk sull’Amur, nel 1858 Chabarovsk, nel 1860 Vla<strong>di</strong>vostok. Nel 1875 la Russia restituì le<br />

isole Curili al Giappone in cambio della parte meri<strong>di</strong>onale dell’isola <strong>di</strong> Sachalin” 199 .<br />

Ma Vla<strong>di</strong>vostok era chiuso dai ghiacci durante l’inverno, e non poteva quin<strong>di</strong><br />

sod<strong>di</strong>sfare appieno le esigenze dei commerci marittimi. La Russia, quin<strong>di</strong>,<br />

approfittando della guerra cino-giapponese del 1896-1897, ottenne dalla Cina <strong>di</strong><br />

costruire un ramo della ferrovia transiberiana attraverso la Manciuria, fino alla<br />

penisola del Kuang Tung, (Liao Tung) <strong>ed</strong> installò la sua flotta dell’Estremo <strong>Oriente</strong><br />

nella baia naturale <strong>di</strong> Port Artur, che <strong>di</strong>venne in breve un porto fortificato.<br />

Ma la Russia sognava <strong>di</strong> rimanere per sempre nei mari cal<strong>di</strong>, e quin<strong>di</strong>, sfruttando<br />

la rivolta dei Boxer come scusa, dal 1901 lo zar mantenne le sue truppe in Manciuria,<br />

anche su spinta <strong>di</strong> alcuni avventurieri che volevano sfruttare le foreste attorno al<br />

fiume Yalu. Questa decisione, come v<strong>ed</strong>remo, sarà la causa prima del <strong>di</strong>sastroso<br />

conflitto col Giappone del 1904-1905.<br />

Per ritornare al Caucaso, bisognò attender la guerra del 1877 per acquisire,<br />

finalmente, Kars, oltre Batum <strong>ed</strong> Ardahan, ma nel <strong>fra</strong>ttempo l’attenzione si spostò<br />

anzitutto sulle spettacolari conquiste nell’Asia Centrale, che compensarono<br />

ampiamente la ven<strong>di</strong>ta dell’Alaska, avvenuta nel 1867, per la misera ci<strong>fra</strong> <strong>di</strong><br />

7.200.000 dollari. Si trattò <strong>di</strong> una vera e propria epopea, tanto che persino Jules<br />

Verne vi ambientò un suo romanzo, “Michele Strogoff”.<br />

Va detto che, grazie a “comandanti abili e geniali come Konstantin Kaufman e<br />

Michail Skobelev, truppe russe accerchiarono e sconfissero il nemico m<strong>ed</strong>iante una<br />

199 Ibid. pag. 391.<br />

146


serie <strong>di</strong> manovre a tenaglia in quelle zone desertiche, e fu così che nel corso <strong>di</strong> un<br />

decennio i russi si impadronirono dei canati <strong>di</strong> Kokand, Buchara e Chiva, e<br />

finalmente nel 1881 annessero anche la regione Transcaspiana” 200 , oggi nota come<br />

Khazakstan.<br />

Tutto questo racconto, abbastanza lungo, ci mostra due cose, a proposito<br />

dell’espansione russa in Asia, che trasformò completamente il carattere <strong>di</strong> quella<br />

nazione: prima <strong>di</strong> tutto, ci avverte che il contenzioso russo-cinese, nell’Estremo<br />

<strong>Oriente</strong>, è vecchio <strong>di</strong> un secolo e mezzo, <strong>ed</strong> il conflitto degli anni ’70 sull’Ussuri e<br />

sull’Amur risponde al tentativo cinese <strong>di</strong> recuperare territori ancora riven<strong>di</strong>cati dalla<br />

Cina. La penetrazione silenziosa <strong>di</strong> questi ultimi decenni è quin<strong>di</strong> l’esito <strong>di</strong> una<br />

strategia ben precisa.<br />

Inoltre, e qui dobbiamo riprendere il libro <strong>di</strong> Mahan:<br />

“nei domini (asiatici) della Russia, solo le <strong>di</strong>stanze e gli imp<strong>ed</strong>imenti imposti dalle con<strong>di</strong>zioni<br />

della natura impongono ostacoli alla sua libertà e pienezza <strong>di</strong> movimento. A questo elemento <strong>di</strong><br />

potenza – la posizione centrale - si deve aggiungere la forma a cuneo della sua proiezione<br />

territoriale nell’Asia Centrale , fortemente sostenuta, su un fianco, dalle montagne del Caucaso e dal<br />

Mar Caspio – completamente sotto il suo controllo, e sull’altro (fianco) dalle catene montuose che<br />

si ergono dall’Afganistan, verso nord-est, lungo la frontiera occidentale della Cina. (Ciò) va visto in<br />

connessione con la relativa facilità, tentatrice, <strong>di</strong> ulteriore progresso attraverso la Persia fino al<br />

Golfo Persico” 201 .<br />

Questo spiega la principale vulnerabilità dell’Iran, la cui capitale, oltretutto, fu<br />

facilmente conquistata dall’Unione Sovietica nel 1941, che tenne l’intero paese sotto<br />

200 Ibid.<br />

201 A. T. MAHAN. The Problem of Asia. Pag. 25.<br />

147


il suo controllo, tanto che ci volle del bello e del buono per convincerla a ritirarsi, alla<br />

fine del conflitto, rinunciando così all’accesso ai mari cal<strong>di</strong>, tanto agognato.<br />

L’avvento delle repubbliche dell’Asia Centrale, che oggi potete v<strong>ed</strong>ere sulla carta<br />

geografica, ha ridotto <strong>di</strong> molto il pericolo <strong>di</strong> un’altra invasione, anche se la paura<br />

rimane, <strong>ed</strong> il governo <strong>di</strong> Teheran fa sempre attenzione a non irritare l’Orso Russo.<br />

Ma vi è un altro aspetto sulla situazione della Russia che il libro <strong>di</strong> Mahan ci fa<br />

notare. A parte la conquista dell’Asia Centrale, “le sue avanzate sono avvenute lungo<br />

i fianchi piuttosto che nel centro. (Ora) è sui fianchi, principalmente, che<br />

un’opposizione può essere fatta in modo efficace; ma questa opposizione sarà col<br />

carattere più forte, non solo per il vantaggio riguardante gli attacchi ai fianchi in<br />

generale, ma perché avverranno sulla linea della frontiera marittima – la costa - e <strong>di</strong><br />

conseguenza sull’accesso al mare” 202 .<br />

Queste parole, scritte quattro anni prima del conflitto con il Giappone, hanno<br />

valore profetico, insieme alle già viste riserve sulla onnipotenza delle ferrovie, come<br />

messa in guar<strong>di</strong>a da eccessivi progressi in zone periferiche, <strong>di</strong>fficilmente<br />

contrastabili. Infatti, in questa guerra, che la transiberiana non riuscì a sostenere,<br />

l’esercito dovette arretrare verso l’interno della Manciuria, abbandonando la penisola<br />

del Kuang Tung, dove si trovava la flotta.<br />

Quest’ultima, impossibilitata a rifugiarsi a Vla<strong>di</strong>vostok, essendone imp<strong>ed</strong>ita dalla<br />

flotta giapponese, si rinchiuse dentro Port Artur, partecipando con i marinai alla sua<br />

202 Ibid. pag. 55.<br />

148


<strong>di</strong>fesa, nella speranza <strong>di</strong> rinforzi via mare oppure, in alternativa, <strong>di</strong> una controffensiva<br />

dell’esercito.<br />

Non essendo possibile ai Russi quest’ultima alternativa, date le <strong>di</strong>fficoltà a far<br />

giungere via terra forze talmente numerose da capovolgere la situazione in<br />

Manciuria, a San Pietroburgo adottarono la prima, or<strong>di</strong>nando alla flotta del Mar<br />

Baltico <strong>di</strong> raggiungere l’Estremo <strong>Oriente</strong>, cosa che comportò l’invio <strong>di</strong> questi rinforzi<br />

navali attraverso la rotta del Capo <strong>di</strong> Buona Speranza, unica via allora <strong>di</strong>sponibile,<br />

nell’illusione che queste arrivassero in tempo a liberare Port Artur e la flotta<br />

ass<strong>ed</strong>iata.<br />

Naturalmente, come aveva previsto Mahan, la flotta del Baltico arrivò troppo<br />

tar<strong>di</strong>, e non avendo potuto unire le forze con la flotta dell’Estremo <strong>Oriente</strong>,<br />

autoaffondatasi in porto subito prima della resa, fu sconfitta dai Giapponesi, guidati<br />

dall’ammiraglio Togo, quando tentò <strong>di</strong> attraversare lo Stretto <strong>di</strong> Corea, presso l’isola<br />

<strong>di</strong> Tsu Shima.<br />

Fu questa serie <strong>di</strong> rovesci a causare i primi moti rivoluzionari a San Pietroburgo,<br />

cui si aggiunse il celebre ammutinamento della corazzata Potemkin, nel mar Nero;<br />

questi moti furono il prelu<strong>di</strong>o al crollo del regime zarista, che avvenne vuoi a causa<br />

delle sconfitte subite dalla Germania, nel 1917, vuoi, soprattutto, alle riforme troppo<br />

tar<strong>di</strong>ve.<br />

149


c)-La nascita dell’Unione Sovietica. <strong>Strat</strong>egie <strong>di</strong> sopravvivenza;<br />

Sappiamo che la Germania, per sottrarsi alla sua situazione, estremamente critica,<br />

<strong>di</strong> dover combattere su due fronti terrestri principali, il primo nelle Fiandre e nella<br />

Francia settentrionale, <strong>ed</strong> il secondo in <strong>Pol</strong>onia e nella Prussia Orientale, ebbe l’idea<br />

<strong>di</strong> convincere un rivoluzionario russo in esilio, Vla<strong>di</strong>mir Ilyich Ulianov, detto Lenin,<br />

a partire dalla Svizzera su un vagone sigillato, <strong>ed</strong> arrivare in patria <strong>di</strong> nascosto.<br />

La rivoluzione russa, peraltro, destò grande allarme in Europa, date le possibili<br />

conseguenze <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ffusione a macchia d’olio delle rivolte operaie, in un momento<br />

nel quale le industrie lavoravano a pieno regime per sostenere lo sforzo bellico.<br />

Consapevole dei pericoli che correva, il governo bolscevico finì per accettare, con<br />

il trattato <strong>di</strong> Brest-Litovsk, firmato il 3 marzo 1918, delle con<strong>di</strong>zioni capestro, pur <strong>di</strong><br />

avere mano libera per consolidare il suo potere all’interno del paese. Essa infatti,<br />

“rinunziava ad ogni <strong>di</strong>ritto sulla <strong>Pol</strong>onia, (<strong>ed</strong> i Paesi Baltici che, all’epoca, venivano<br />

chiamati) Lituania, Curlan<strong>di</strong>a, Livonia <strong>ed</strong> Estonia, e lasciava alle cure degli Imperi<br />

Centrali <strong>di</strong> regolare la sorte <strong>di</strong> quei territori; riconosceva la pace conclusa con<br />

l’Ucraina (che nel <strong>fra</strong>ttempo aveva proclamato la sua in<strong>di</strong>pendenza), <strong>ed</strong> accettava<br />

tutte le clausole economiche che la Germania aveva volute” 203 , specie quella <strong>di</strong> avere<br />

“assicurato, per sette anni, il trattamento della nazione più favorita, nelle relazioni<br />

commerciali” 204 .<br />

Saggiamente Lenin, <strong>di</strong> fronte alle proteste dei Soviet, scandalizzati dalla durezza<br />

delle clausole, osservò, che: “questa pace segna la nostra sconfitta e costituisce<br />

203 A. TOSTI. Ban<strong>di</strong>ere Bianche. Ed. Mondadori, 1938. pag. 60.<br />

204 Ibid. pag. 58.<br />

150


un’umiliazione inau<strong>di</strong>ta per il nostro Governo; ma noi non siamo in grado <strong>di</strong> forzare<br />

la storia. Però, se la Russia perde del territorio, il bolscevismo conserva le sue<br />

posizioni, attendendo la sollevazione generale del proletariato internazionale” 205 .<br />

Oltretutto, avendo i T<strong>ed</strong>eschi lanciato un’offensiva, che era arrivata a due settimane<br />

da Mosca, Lenin aggiunse: “abbiamo, forse, due settimane. Qualcuno <strong>di</strong> voi può<br />

garantire che in (queste) due settimane i lavoratori (della Germania) si<br />

solleveranno?” 206 . E la pace fu quin<strong>di</strong> firmata.<br />

Questo è un esempio <strong>di</strong> come si formula una strategia chiara, sulla base <strong>di</strong> un<br />

realistico apprezzamento della situazione: in tutto il paese, infatti, i lealisti, con alla<br />

loro testa prima il generale Lev Kornilov, ex comandante supremo dell’esercito, e<br />

quin<strong>di</strong>, dopo la sua morte, il generale Denikin, stavano organizzando militarmente i<br />

loro f<strong>ed</strong>elissimi, costituendo gli eserciti <strong>di</strong> quella che fu chiamata Russia Bianca, un<br />

concetto che non ebbe mai una coesione sufficiente per svolgere operazioni<br />

coor<strong>di</strong>nate <strong>ed</strong> efficaci.<br />

Non solo, ma Lenin sapeva bene che, non appena la guerra fosse finita, le potenze<br />

occidentali avrebbero aiutato i controrivoluzionari con armi e mezzi, quando non<br />

fossero intervenute <strong>di</strong>rettamente. Non c’era tempo da perdere, e quei sette mesi <strong>di</strong><br />

respiro furono essenziali per prepararsi a resistere a questo secondo assalto.<br />

La nazione più tempestiva fu la Gran Bretagna, che occupò Murmansk <strong>ed</strong><br />

Arcangelo, nell’estremo nord, e fomentò, assieme alla Francia, la rivolta a Jaroslav,<br />

in Siberia, dove i prigionieri cecoslovacchi, ex appartenenti all’esercito austro-<br />

205 Ibid. pag. 60.<br />

206 C. RICE. The Making of Soviet <strong>Strat</strong>egy. Da “Makers of Modern <strong>Strat</strong>egy”. Princeton Univ. Press, 1986, pag. 649.<br />

151


ungarico, si unirono agli insorti, durante l’estate del 1918, quin<strong>di</strong> prima ancora che<br />

finisse la guerra. La strategia periferica, tipicamente britannica, sarebbe poi<br />

continuata inviando una forza navale nel Baltico, malgrado “il partito laburista e<br />

l’estrema sinistra esigessero con forza <strong>di</strong> tenere le mani via (hands off) dalla<br />

Russia” 207 .<br />

Questa seconda iniziativa costituiva un classico approccio alle crisi, denominato<br />

“invio <strong>di</strong> una forza catalitica”, utile quando “emerge una situazione piena <strong>di</strong> minacce<br />

indefinite o capace <strong>di</strong> offrire occasioni poco definite. Si avverte che qualcosa sta per<br />

accadere, e questo lo si potrebbe prevenire in qualche modo se vi fosse una forza<br />

<strong>di</strong>sponibile nel punto critico” 208 . Nel nostro caso, la forza navale britannica riuscì ad<br />

imp<strong>ed</strong>ire sia ai T<strong>ed</strong>eschi sia ai bolscevichi <strong>di</strong> impadronirsi dei Paesi Baltici <strong>ed</strong> inoltre,<br />

pur non aiutando apertamente il generale Mannerheim, il capo del movimento <strong>di</strong><br />

liberazione della Finlan<strong>di</strong>a, costrinse le navi sovietiche a rientrare a Kronstadt, la loro<br />

base, sventando quin<strong>di</strong> una loro azione coor<strong>di</strong>nata.<br />

Anche l’Italia operò in aiuto dei Russi Bianchi, la cui base era nel sud della<br />

Russia, in territorio cosacco; un gruppo <strong>di</strong> navi fu <strong>di</strong>slocato nel Bosforo, per garantire<br />

l’or<strong>di</strong>ne armistiziale ad Istanbul, ma le navi svolsero anche la scorta ai mercantili che<br />

rifornivano le forze controrivoluzionarie. Ma era troppo poco e ormai troppo tar<strong>di</strong>. Il<br />

sostegno popolare era ormai a favore dei bolscevichi, e la loro leadership si <strong>di</strong>mostrò<br />

superiore a quella avversaria, sia riorganizzando le Forze Armate, sia conducendole<br />

sul campo.<br />

207 Capt. A. AGAR, V.C. Baltic Episode. Ed. Hodder & Stoughton, 1963. pag. 99.<br />

208 J. CABLE. Gunboat Diplomacy. Ed. Chatto &Windus, 1971, pag. 49.<br />

152


La Francia e la Gran Bretagna, malgrado le promesse <strong>di</strong> inviare tutto l’esercito <strong>di</strong><br />

Salonicco – quello, per intenderci, che causò il crollo della Bulgaria – dovettero<br />

rimangiarsi le promesse, nel timore <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni, qualora si fosse <strong>di</strong>ffusa la notizia <strong>di</strong><br />

un appoggio aperto ai Russi Bianchi.<br />

A parte le orribili crudeltà <strong>di</strong> cui amb<strong>ed</strong>ue le parti si macchiarono, l’esperienza<br />

della rivoluzione russa avrebbe dovuto <strong>di</strong>mostrare ai T<strong>ed</strong>eschi l’impossibilità <strong>di</strong><br />

mantenere forze coese nell’interno <strong>di</strong> quel territorio: man mano che si proc<strong>ed</strong>e verso<br />

Est, infatti, lo spazio si allarga e quin<strong>di</strong>, per coprirlo tutto, le forze si <strong>di</strong>luiscono;<br />

proc<strong>ed</strong>endo da Nord a Sud, inoltre, come fece Carlo XII <strong>di</strong> Svezia <strong>fra</strong> il 1700 <strong>ed</strong> il<br />

1709, è possibile solo assumere il controllo <strong>di</strong> zone periferiche, per contenere, non<br />

schiacciare la potenza russa.<br />

Abbiamo visto che questo problema dei gran<strong>di</strong> spazi fu in effetti approfon<strong>di</strong>to<br />

dopo la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, anche se esistevano tutti gli elementi storici e<br />

geografici per capire cosa non avrebbe dovuto essere fatto. Comunque, per<br />

l’<strong>Occidente</strong>, il fallimento – sia pure per poco - delle azioni <strong>di</strong> contrasto in<strong>di</strong>retto ai<br />

bolscevichi, ebbe un’influenza determinante sulla politica sovietica <strong>fra</strong> le due guerre<br />

mon<strong>di</strong>ali, estremamente cauta.<br />

Infatti, la tesi del “Socialismo in una sola nazione” annunciata da Stalin nel 1928,<br />

fu attuata senza scrupoli, privando i movimenti operai in Europa dell’appoggio<br />

economico, ma era appunto un riflesso del timore che, col pretesto della retorica<br />

internazionalista sovietica, l’<strong>Occidente</strong> scatenasse un’offensiva generale, causando il<br />

153


crollo del regime, la cui popolarità era già in ribasso per i provv<strong>ed</strong>imenti impopolari e<br />

spesso inutilmente spietati che caratterizzarono quel periodo.<br />

Il campo <strong>di</strong> battaglia, invece, fu trovato nella Spagna, una nazione sofferente da<br />

oltre un secolo per le sue lotte intestine, che <strong>di</strong>venne il capro espiatorio <strong>di</strong> questo<br />

scontro. Quella guerra, peraltro, mise in luce le <strong>di</strong>fficoltà che Stalin incontrava nel<br />

farsi rispettare, senza essere scavalcato a sinistra, in una situazione, peraltro, in cui gli<br />

animi erano fin troppo tesi. Il modo, infatti, con cui trattò i comunisti spagnoli che si<br />

rifugiarono a Mosca, dopo la vittoria <strong>di</strong> Franco, dà l’idea <strong>di</strong> una profonda frustrazione<br />

pregressa, cui attribuiva la colpa proprio a loro. E quando Stalin ce l’aveva con<br />

qualcuno, questi rischiava la vita!<br />

In fondo, era stato proprio lui a far crollare l’unione dei cuori e delle menti,<br />

peraltro precaria, della coalizione repubblicana, decidendo che il controllo del<br />

movimento operaio mon<strong>di</strong>ale, da parte dell’Unione Sovietica, era più importante<br />

della sorte <strong>di</strong> un paese come la Spagna. La repressione degli anarchici a Barcellona<br />

non si può spiegare altrimenti.<br />

Ma un errore tira l’altro, e Stalin ne commise uno ancora più grosso, autorizzando<br />

Molotov, suo Ministro degli Esteri, a firmare il patto <strong>di</strong> spartizione della <strong>Pol</strong>onia con<br />

il suo corrispondente t<strong>ed</strong>esco Ribbentrop. Fu una enorme per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> prestigio, ma<br />

anche il presupposto per essere sorpreso dalla Germania, quando quest’ultima<br />

attaccò: gli armamenti che erano stati pr<strong>ed</strong>isposti per una rapida mobilitazione, vicino<br />

alla frontiera, furono infatti tutti catturati dal nemico, nei primi giorni <strong>di</strong> guerra.<br />

154


L’imprevidenza <strong>di</strong> Stalin, quin<strong>di</strong>, costò al paese il meglio della sua gioventù. Ci<br />

volle uno sforzo tremendo, da parte degli altri Alleati, per rimettere in pi<strong>ed</strong>i le forze<br />

sovietiche, ma senza l’errore <strong>di</strong> Hitler <strong>di</strong> addentrarsi fino al Caucaso, forse la vittoria<br />

sarebbe sfuggita a Stalin.<br />

Comunque, se oggi la popolazione <strong>di</strong>minuisce in modo drammatico, in Russia,<br />

non si può fare a meno <strong>di</strong> pensare ai 20 milioni <strong>di</strong> morti che quella guerra è costata al<br />

paese.<br />

Di questo periodo fu interessante lo sviluppo del pensiero strategico, dato che i<br />

rivoluzionari decisero <strong>di</strong> partire da zero, nell’elaborazione della dottrina e<br />

nell’organizzazione delle Forze Armate. Per questo, è interessante il fatto che le<br />

conclusioni cui questi pensatori arrivarono sono molto vicine al pensiero dei classici<br />

della strategia.<br />

Il primo ad esprimere un pensiero militare fu Michail Frunze, che sostituì Trotsky<br />

come Commissario alla Guerra. Consapevole che “la tecnologia avrebbe giocato un<br />

ruolo sempre più importante, anche decisivo, nelle guerre future, presentò un<br />

programma per trasformare rapidamente il livello tecnico dell’Esercito” 209 . La<br />

comparsa del carro armato, infatti, aveva spinto molti pensatori militari a concepire il<br />

modo migliore per sfondare le <strong>di</strong>fese avversarie, grazie al suo uso.<br />

Sul piano dottrinale, egli sostenne l’importanza dell’offensiva e della manovra,<br />

malgrado la recente sconfitta subita dai Sovietici contro la <strong>Pol</strong>onia. Era una dottrina<br />

un po’ datata, risalendo ad<strong>di</strong>rittura a Suvorov, e del resto la guerra mon<strong>di</strong>ale appena<br />

209 C. RICE. Op. cit. pag. 656.<br />

155


conclusa sembrava confermare la preminenza della <strong>di</strong>fensiva su posizioni preparate,<br />

anche se l’avvento delle nuove armi, e l’uso degli ampi spazi russi rendeva la guerra<br />

<strong>di</strong> trincea improponibile.<br />

Inoltre, malgrado la tendenza politica fosse a favore della milizia, egli spinse i<br />

giovani capi militari a d<strong>ed</strong>icarsi al pensiero puramente militare, <strong>di</strong>staccandosi dal<br />

<strong>di</strong>battito politico, e sviluppando il concetto <strong>di</strong> “una intera nazione preparata per la<br />

guerra, uno stato-guarnigione, proponendo la militarizzazione delle industrie-chiave e<br />

la centralizzazione dell’autorità in fatto <strong>di</strong> decisioni militari” 210 . Il concetto <strong>di</strong> una<br />

guerra integrale, in cui tutte le forze della nazione avrebbero lottato e lavorato per il<br />

comune obiettivo della vittoria, fu la base della preparazione sovietica alla guerra, un<br />

concetto che poi fu concepito <strong>ed</strong> applicato pochi anni dopo in Germania.<br />

Questo concetto fu poi ancora sviluppato da Shaposhnikov e da Tukhachevsky, e<br />

quest’ultimo, in particolare, arrivò fino a riaffermare l’importanza della “Grande<br />

<strong>Strat</strong>egia”, notando che esisteva: “un ruolo ancora maggiore per la politica integrata.<br />

(Ad esempio) l’economia e la <strong>di</strong>plomazia potrebbero servire a perseguire fini militari.<br />

La <strong>di</strong>plomazia poteva orientare le relazioni col mondo capitalista in modo da isolare<br />

le nazioni più pericolose” 211 .<br />

Sul piano puramente tecnico, egli favorì una serie <strong>di</strong> profonde innovazioni, <strong>fra</strong> le<br />

quali un’organizzazione operativa basata sui gruppi d’impiego interarma (Combin<strong>ed</strong><br />

Arms), per penetrare in profon<strong>di</strong>tà nelle linee nemiche, come del resto veniva<br />

proposto da Guderian in Germania - un concetto oggi a noi familiare - ma che fu<br />

210 Ibid. pag. 660.<br />

211 Ibid. pag. 662.<br />

156


contestato da un altro generale, Alexander Svechin, convinto che “la futura guerra<br />

sarebbe stata una guerra <strong>di</strong> attrito, nella quale le forze produttive della nazione<br />

sarebbero state decisive” 212 .<br />

Naturalmente, i due contendenti avevano amb<strong>ed</strong>ue messo il <strong>di</strong>to su due fattori che<br />

poi, nella seguente guerra mon<strong>di</strong>ale, sarebbero entrati in gioco, sia pure in mo<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versi. L’esecuzione <strong>di</strong> amb<strong>ed</strong>ue, nel corso delle purghe staliniane della classe<br />

militare sovietica – si <strong>di</strong>sse, per effetto <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sinformazione organizzata da<br />

Goebbels – privò l’esercito delle due migliori teste d’uovo, e costrinse l’Unione<br />

Sovietica a scoprire sul campo, <strong>fra</strong> una sconfitta e l’altra, quali <strong>fra</strong> gli ufficiali<br />

avevano le capacità <strong>di</strong> pensare in termini strategici.<br />

d)-L’Unione Sovietica post-bellica e la strategia da superpotenza;<br />

Superata, bene o male, la tempesta, l’Unione Sovietica seppe sfruttare la frettolosa<br />

smobilitazione dei Britannici e degli Americani per acquisire una serie <strong>di</strong> vantaggi<br />

decisivi, specie la creazione <strong>di</strong> una zona cuscinetto, formata dai cosiddetti “Paesi<br />

Satelliti”, che la garantiva da altre sorprese, del tipo <strong>di</strong> quella del 1941. Lo<br />

sfruttamento delle loro risorse umane e naturali, inoltre, permise la politica <strong>di</strong> potenza<br />

che tutti conosciamo.<br />

Ma, come sempre succ<strong>ed</strong>e, più uno <strong>di</strong>venta ricco e potente, più aumentano le sue<br />

preoccupazioni <strong>di</strong> perdere la posizione <strong>di</strong> rilevanza acquisita. Per tenere il passo con<br />

gli eventi, in una situazione <strong>di</strong> confronto con il mondo economicamente progr<strong>ed</strong>ito –<br />

212 Ibid. pag. 665.<br />

157


qual’era l’<strong>Occidente</strong> – vi era la necessità <strong>di</strong> pensare in termini strategici, per<br />

elaborare strategie vincenti. Se pensiamo agli anni ’50, quando l’Unione Sovietica si<br />

trovava dal lato sbagliato della deterrenza nucleare, capiamo perché, subito dopo la<br />

morte <strong>di</strong> Stalin, si concepirono tre approcci nuovi.<br />

Il primo fu la “coesistenza pacifica”. Come <strong>di</strong>sse il Presidente Kruscev, nel<br />

settembre 1959, “ho visto come vivono gli schiavi del capitalismo; vivono piuttosto<br />

bene. Anche gli schiavi del comunismo vivono piuttosto bene, e dunque lasciamo che<br />

vivano come meglio loro piace” 213 . Dietro questa battuta, però, c’era ben altro.<br />

“l’Unione Sovietica continuava a v<strong>ed</strong>ere il sistema internazionale – dominato dal<br />

capitalismo occidentale – come fondamentalmente ostile. Ma vi erano anche nuove<br />

occasioni, come quella, per esempio, <strong>di</strong> stringere alleanze con il Terzo Mondo. Il<br />

pensiero strategico sovietico quin<strong>di</strong> si allontanò sempre <strong>di</strong> più dai concetti <strong>di</strong><br />

confronto <strong>di</strong>retto con l’<strong>Occidente</strong> <strong>ed</strong> evidenziò sempre <strong>di</strong> più lo sfruttamento dei<br />

nuovi nazionalismi nel mondo in via <strong>di</strong> sviluppo” 214 .<br />

Questa era una “strategia in<strong>di</strong>retta” che mirava a privare l’<strong>Occidente</strong>, ma in<br />

particolare l’Europa - delle materie prime a basso costo, quasi tutte <strong>di</strong>sponibili nel<br />

mondo in via <strong>di</strong> sviluppo: se Voi guardate, ad esempio, quali e quante siano le<br />

materie prime della Repubblica Democratica del Congo (ex colonia belga) capirete<br />

l’effetto che si proponeva il Cremlino quando finanziò il movimento secessionista <strong>di</strong><br />

Lumumba, alla fine degli anni ’50. Questo approccio trovò la sua massima<br />

espressione nel M<strong>ed</strong>iterraneo, dopo la “Guerra dei Sei Giorni” del 1967, dove<br />

213 J. F. KENNEDY. <strong>Strat</strong>egia <strong>di</strong> Pace. Ed. Mondadori, 1960. pag. 28 (nota a pie’ <strong>di</strong> pagina).<br />

214 C. RICE. The Evolution of Soviet Grand <strong>Strat</strong>egy. Da “Grand <strong>Strat</strong>egies in War and Peace” a cura <strong>di</strong> Paul<br />

KENNEDY. Ed. Yale University Press, 1991, pag.154.<br />

158


l’Unione Sovietica riuscì a creare una situazione <strong>di</strong> pericolo per le nazioni della<br />

NATO, insieme a gravi <strong>di</strong>fficoltà economiche per l’Europa, il cosiddetto “Primo<br />

shock petrolifero”.<br />

Il secondo approccio strategico, complementare al primo, fu <strong>di</strong> sviluppare un<br />

“Potere Marittimo” oceanico, nelle sue due componenti, quella <strong>di</strong> una Marina<br />

Militare in grado <strong>di</strong> operare lontano e <strong>di</strong> una Marina Mercantile che proiettasse le<br />

attività economiche oltremare. Per quanto riguarda la componente militare, questo<br />

sviluppo era la conseguenza della crisi <strong>di</strong> Cuba, quando il blocco navale imposto<br />

all’isola costrinse i mercantili russi, privi <strong>di</strong> protezione, a tornare in<strong>di</strong>etro.<br />

Questo scacco era dovuto alla composizione della Marina Sovietica,<br />

essenzialmente costiera o voluta per la guerra al traffico con i sommergibili, ma fu<br />

logicamente percepito come una grave umiliazione, tanto che un Primo Vice Ministro<br />

degli Esteri sovietico <strong>di</strong>sse al suo omologo statunitense: “voi Americani non sarete<br />

più in grado <strong>di</strong> farcelo ancora” 215 . Nel settore mercantile, la pesca <strong>ed</strong> il trasporto <strong>di</strong><br />

carichi alla rinfusa a basso costo furono le massime espressioni <strong>di</strong> quest’ultima<br />

componente, che riuscì a creare gravi problemi economici all’<strong>Occidente</strong>.<br />

In questo approccio fu determinante il contributo <strong>di</strong> pensiero dell’ammiraglio<br />

Sergei Gorshkov, poi <strong>di</strong>venuto Capo <strong>di</strong> Stato Maggiore della Marina Sovietica, il<br />

quale convinse le autorità politiche, <strong>di</strong>cendo: “la flotta sovietica deve essere<br />

sufficientemente forte da <strong>di</strong>mostrare la sua capacità <strong>di</strong> appoggiare le guerre <strong>di</strong><br />

liberazione nazionale e sventare le aggressioni imperialiste” 216 come quella <strong>di</strong> Cuba.<br />

215 E. B. POTTER. Sea Power, a Naval History. Ed. Naval Institute Press, 1981, pag. 380.<br />

216 Ibid. pag. 381.<br />

159


La terza linea strategica seguita fu <strong>di</strong> costruire dei vettori d’arma efficaci – i<br />

missili balistici - per le loro armi nucleari. Gli Stati Uniti avevano i bombar<strong>di</strong>eri del<br />

Comando Aereo <strong>Strat</strong>egico (S. A. C.), che i Sovietici non sono mai riusciti a<br />

riprodurre bene, e lo v<strong>ed</strong>iamo ancor oggi. Sviluppando i missili balistici<br />

intercontinentali, essi quin<strong>di</strong> colsero qual’era il punto debole dell’<strong>Occidente</strong>, e lo<br />

costrinsero a venire a patti in una situazione che fu definita <strong>di</strong> “Distruzione Reciproca<br />

Garantita” o, in acronimo, M. A. D. che in Inglese, molto appropriatamente, significa<br />

“matto”.<br />

A queste misure si aggiunse, negli anni ’70, un altro capitolo della guerra<br />

economica, oltre alla concorrenza dei noli marittimi, e fu il dumping (ven<strong>di</strong>ta<br />

sottocosto) dell’acciaio, sempre per danneggiare le economie occidentali. Il<br />

particolare agghiacciante, che venne alla luce pochi anni fa, dopo il crollo<br />

dell’Unione Sovietica, fu che questa misura fu decisa dai leader del Cremlino come<br />

alternativa alla guerra preventiva, proposta dai militari, per risolvere il sempre più<br />

grave problema dell’economia, usando il sistema napoleonico – per intenderci, quello<br />

<strong>di</strong> sfruttare le zone occupate dell’Europa.<br />

Anche per questo, Breznev, per il quale “evitare la guerra e prepararla erano (due<br />

elementi) inestricabilmente legati” 217 enunciò pubblicamente la sua dottrina<br />

strategica, nei seguenti termini: “Non permettete a nessuno <strong>di</strong> parlarci in termini <strong>di</strong><br />

ultimatum e forza. Noi abbiamo tutto il necessario – una politica <strong>di</strong> pace genuina, la<br />

217 C. RICE. Op. cit. pag. 158.<br />

160


potenza militare e l’unità del popolo sovietico – per garantire l’inviolabilità delle<br />

frontiere contro ogni intrusione e per <strong>di</strong>fendere le conquiste del socialismo” 218 .<br />

Ma, come abbiamo visto, l’economia era in crisi, in parte per le spese militari<br />

eccessive, ma anche perché essa era “stagnante e strutturata per le esigenze degli anni<br />

’30, quando la produzione dell’acciaio era la misura della potenza economica. Inoltre,<br />

i Sovietici scoprirono che i movimenti rivoluzionari che essi avevano aiutato a<br />

prendere il potere, erano semplicemente <strong>di</strong>venuti degli stati deboli, anti-occidentali,<br />

che necessitavano <strong>di</strong> assistenza economica, (una cosa) che i Sovietici non si potevano<br />

permettere <strong>di</strong> fornire. Quin<strong>di</strong>, quando Mikhail Gorbachev prese il potere nel marzo<br />

1985, egli si trovò <strong>di</strong> fronte una politica estera in fallimento, esattamente come si<br />

trovava davanti a sé un’economia fallita” 219 .<br />

Gli unici mo<strong>di</strong> per risollevare l’economia, senza ricorrere alla guerra, erano il<br />

ricorso “al commercio, ai cr<strong>ed</strong>iti <strong>ed</strong> alla tecnologia (cose) che (solo) il sistema<br />

internazionale poteva fornire. Ma una politica estera sovietica che sfidava così<br />

chiaramente gli interessi dei giganti economici come il Giappone, gli Stati Uniti e la<br />

Cina approfon<strong>di</strong>va solo il suo isolamento” 220 . Per <strong>di</strong>rla in breve, l’Unione Sovietica<br />

aveva seguito una strategia troppo ambiziosa rispetto ai mezzi che poss<strong>ed</strong>eva, <strong>ed</strong> il<br />

crollo, prima del Patto <strong>di</strong> Varsavia e poi dello stato sovietico ne furono la<br />

conseguenza.<br />

218 Ibid. pag. 159.<br />

219 Ibid. pag. 160.<br />

220 Ibid.<br />

161


e)-La strategia della F<strong>ed</strong>erazione russa.<br />

Anche se, come <strong>di</strong>ceva la Professoressa Condoleeza Rice, prima che <strong>di</strong>ventasse<br />

Segretario <strong>di</strong> Stato, “una creazione d<strong>ed</strong>uttiva è sempre pericolosa” 221 , alcune linee<br />

<strong>di</strong>rettrici della strategia generale russa <strong>di</strong>ventano chiare, a poco a poco, e quin<strong>di</strong> è<br />

bene considerarle.<br />

In primo luogo, la <strong>di</strong>rigenza del Cremlino è consapevole <strong>di</strong> aver perso la Guerra<br />

Fr<strong>ed</strong>da, e l’orgoglio ferito è un sentimento che traspare in tutti i suoi rapporti<br />

internazionali. Del resto, la stessa cosa è accaduta in Italia alla generazione prima<br />

della mia, nei rapporti all’interno della NATO, <strong>ed</strong> è un dato <strong>di</strong> fatto da accettare, e <strong>di</strong><br />

cui bisogna tener conto nel trattare con i Russi.<br />

Essi sanno pure che il loro strumento militare è a pezzi – i <strong>di</strong>sastri recenti, come<br />

quello del sottomarino Kursk lo confermano – e quin<strong>di</strong> lo usano con cautela, per<br />

azioni <strong>di</strong>mostrative, anche se i guasti allo strumento sono tali da apparire anche nelle<br />

più semplici attività, e malgrado la stampa occidentale cerchi <strong>di</strong> non enfatizzarli.<br />

Lentamente, essi cercano <strong>di</strong> ripararlo, un settore dopo l’altro, e per questo, a livello<br />

militare, cercano la collaborazione con gli occidentali, alternativamente in ambito<br />

NATO e, quando le relazioni si fanno tese, con la PESD.<br />

Quin<strong>di</strong>, essi possono, al massimo, prevalere militarmente su piccoli stati limitrofi,<br />

come la Georgia, ma nulla più, almeno per alcuni anni. Inoltre essi, fintantoché non<br />

avranno garantito alla popolazione un livello <strong>di</strong> vita meno “spartano” <strong>di</strong> quello<br />

221 Ibid. pag. 157.<br />

162


attuale, non potranno incrementare <strong>di</strong> molto la spesa militare, a meno <strong>di</strong> non<br />

ricacciarsi negli stessi problemi che hanno avuto negli anni ’80.<br />

Di conseguenza, essi stanno provando a re-<strong>di</strong>stribuire la ricchezza, nel tentativo <strong>di</strong><br />

arrestare la precipitosa <strong>di</strong>minuzione della popolazione, cosa che <strong>di</strong>venterebbe<br />

impossibile se essi praticassero una politica da grande potenza. Peraltro, il maggiore<br />

problema che la leadership del Cremlino incontra è quello <strong>di</strong> motivare la popolazione,<br />

ridar loro l’orgoglio <strong>di</strong> essere russi. A questo proposito, va ricordato cosa <strong>di</strong>sse<br />

Breznev sul “non permettere a nessuno <strong>di</strong> parlare alla Russia in termini <strong>di</strong> ultimatum<br />

o <strong>di</strong> forza” una <strong>fra</strong>se che rimane anche oggi uno dei capisal<strong>di</strong> dell’atteggiamento del<br />

Cremlino nei confronti del mondo esterno.<br />

Per tutti questi motivi, la Russia ha sempre cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare con le<br />

Organizzazioni Internazionali, da pari a pari, e questo ha comportato <strong>di</strong>fficoltà con<br />

l’Unione Europea: solo nell’ultimo anno, infatti, la Russia ha accettato <strong>di</strong> partecipare<br />

come nazione ad un’operazione PESD, in Chad, senza richi<strong>ed</strong>ere la doppia catena <strong>di</strong><br />

comando, il che significava un comandante russo dell’operazione messo allo stesso<br />

livello del comandante europeo dell’operazione.<br />

Questo riavvicinamento alla PESD, per come è stato motivato formalmente dal<br />

Capo <strong>di</strong> Stato Maggiore russo, nel 2007, risponde alla necessità reale <strong>di</strong> imparare le<br />

proc<strong>ed</strong>ure e le regole delle operazioni <strong>di</strong> mantenimento della pace (Peace Keeping),<br />

avendo le Forze Armate russe esperienza <strong>di</strong> sole guerre “classiche” senza alcuna<br />

limitazione all’uso della forza, il che è in effetti vero.<br />

163


Peraltro, la collaborazione con la PESD è stata avviata quando era chiaro che<br />

sarebbero insorte <strong>di</strong>fficoltà nei rapporti NATO - Russia, e quin<strong>di</strong> risponde ad una<br />

strategia <strong>di</strong> avvicinamento selettivo all’<strong>Occidente</strong>, per i motivi che abbiamo visto,<br />

non potendo la Russia fare a meno <strong>di</strong> questo, per motivi <strong>di</strong> economia e <strong>di</strong> tecnologia:<br />

si pensi, a questo proposito, che il gas della Siberia, che arriva nelle nostre cucine,<br />

viene estratto grazie alla tecnologia occidentale.<br />

La politica che le nazioni dell’<strong>Occidente</strong> stanno seguendo, vuoi su base bilaterale,<br />

vuoi su base collettiva (NATO e PESD), è <strong>di</strong> incapsulare i motivi <strong>di</strong> contenzioso,<br />

mandando avanti i programmi <strong>di</strong> collaborazione, anche nel settore militare; quando il<br />

contenzioso è forte, si portano avanti numerosi programmi piccoli e viceversa.<br />

In tal modo, non solo si mantiene la porta aperta al <strong>di</strong>alogo, ma si consente alle<br />

giovani generazioni delle istituzioni russe, militari o civili – i futuri leader – <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>venire sempre più familiari con l’<strong>Occidente</strong>, acquisire conoscenze <strong>ed</strong> amicizie che,<br />

si spera, un domani porteranno ad un maggiore avvicinamento del loro paese a noi.<br />

Il problema <strong>di</strong> questa politica è l’inveterata abitu<strong>di</strong>ne allo spionaggio, un residuo<br />

dell’era sovietica, che spesso guasta i rapporti in atto, come accade in questi giorni;<br />

questa vera e propria mania nasce dalla profonda <strong>di</strong>ffidenza, anzi paura nei confronti<br />

dell’<strong>Occidente</strong> che – loro <strong>di</strong>cono – li ha rovinati economicamente e politicamente, è<br />

peraltro destinata ad esaurirsi, <strong>ed</strong> è un aspetto fasti<strong>di</strong>oso che deve essere trattato con<br />

pazienza, senza che se ne faccia un problema politico, anche se la cosa non è facile.<br />

In sintesi, la politica russa è <strong>di</strong> avvicinamento all’<strong>Occidente</strong>, anche se rimangono<br />

numerosi i nostalgici dei bei tempi andati, come del resto è avvenuto anche in Italia,<br />

164


ai tempi della svolta atlantista; i sentimenti forti, specie <strong>fra</strong> la popolazione, portano la<br />

<strong>di</strong>rigenza <strong>di</strong> quel paese a prendere, spesso, delle posizioni che a noi appaiono inutili,<br />

ma queste sono destinate al “mercato interno” e vanno prese per quello che sono.<br />

4)-La Cina e l’<strong>Occidente</strong>- Due strategie a confronto; (inserire P.K. su Mao, pg.<br />

514)<br />

a)-La grande strategia dell’Impero al suo fulgore e l’isolazionismo<br />

“Fra tutte le civilizzazioni dei tempi pre moderni, nessuna appariva più avanzata,<br />

nessuna si sentiva più superiore <strong>di</strong> quella cinese. La sua cultura rimarchevole; le sue<br />

pianure estremamente fertili <strong>ed</strong> irrigate, connesse da un sistema <strong>di</strong> splen<strong>di</strong><strong>di</strong> canali fin<br />

dal XI secolo; e la sua amministrazione unificata, condotta da una burocrazia<br />

confuciana aveva dato una coerenza <strong>ed</strong> una sofisticazione alla società cinese che era<br />

l’invi<strong>di</strong>a dei visitatori stranieri. È vero che essa aveva subito pesanti guasti dalle orde<br />

mongole, <strong>ed</strong> alla successiva dominazione <strong>di</strong> Kublai Khan. Ma la Cina aveva<br />

l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cambiare i suoi conquistatori molto <strong>di</strong> più <strong>di</strong> quanto essa veniva<br />

cambiata da loro, e quando la <strong>di</strong>nastia Ming emerse nel 1368 per riunire l’impero <strong>ed</strong><br />

alla fine sconfiggere i Mongoli, rimaneva molto del vecchio or<strong>di</strong>ne e del vecchio<br />

sapere” 222 .<br />

In realtà, questi erano stati cacciati da una rivolta popolare, iniziata nel 1352, dopo<br />

che le loro depr<strong>ed</strong>azioni avevano provocato carestia <strong>ed</strong> epidemie. Il futuro imperatore<br />

Zhu Yuanzhang emerse come il leader della rivolta, costringendo, dopo la conquista<br />

222 P. KENNEDY. The Rise and Fall of the Great Powers. Fontana Press, 1988, pag. 5.<br />

165


della città <strong>di</strong> Nanjing, nel 1356, l’imperatore mongolo, Toghon Temur a fuggire dal<br />

paese e rifugiarsi nelle steppe, abbandonando la loro capitale Pechino. La lotta,<br />

peraltro, finì solo nel 1382, quando Kun Ming, l’ultima roccaforte mongola, cadde,<br />

per merito <strong>di</strong> Zhu Di, il figlio dell’eroe cinese, che fu incoronato imperatore.<br />

Sul piano militare, dopo la sua salita al trono, l’Esercito arrivò a <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> circa<br />

un milione <strong>di</strong> soldati, dotato dei primi cannoni a polvere da sparo, rivelatisi essenziali<br />

per sconfiggere i Mongoli, e la Marina <strong>di</strong>venne forte <strong>di</strong> 1350 unità combattenti, <strong>fra</strong> le<br />

quali alcune “giunche gran<strong>di</strong> quanto i galeoni spagnoli che comparirono<br />

successivamente” 223 che, grazie alla bussola magnetica, avevano visitato “porti dalla<br />

Malacca e Ceylon fino all’ingresso del Mar Rosso e Zanzibar. Portando doni ai<br />

governanti locali deferenti, da un lato, esse costrinsero i recalcitranti a riconoscere<br />

Pechino dall’altra” 224 , aprendo al commercio con la Cina questi paesi: all’epoca, il<br />

commercio marittimo, anche nel M<strong>ed</strong>iterraneo, veniva infatti svolto anche dalle navi<br />

militari.<br />

Inoltre, fu riparata <strong>ed</strong> ammodernata la Grande Muraglia, e contemporaneamente fu<br />

anche deciso, nel 1404, <strong>di</strong> spostare la capitale a Pechino, come avevano fatto i<br />

Mongoli, per essere più vicini alla frontiera, da cui venivano i pericoli maggiori. In<br />

tal modo, <strong>ed</strong> a costi enormi, finanziati grazie al commercio estero, l’impero cinese<br />

raggiunse <strong>di</strong> nuovo il suo splendore, anche se le spese sostenute avevano vuotato le<br />

casse dello stato.<br />

223 Ibid. pag. 7.<br />

224 Ibid.<br />

166


Questa situazione continuò per molto tempo. Ancora nel 1421, la Cina era al suo<br />

apogeo: si poteva <strong>di</strong>re che l’Impero “faceva sembrare dei nani tutti gli altri paesi della<br />

terra. Nel giorno del Capodanno cinese, re <strong>ed</strong> inviati da tutta l’Asia, l’Arabia, l’Africa<br />

e dell’Oceano In<strong>di</strong>ano si riunirono nello splendore <strong>di</strong> Pechino per rendere omaggio<br />

all’imperatore Zhu Di, il Figlio del Cielo. (I sovrani dei paesi occidentali) non erano<br />

stati invitati, in quanto quegli stati così arretrati, che producevano pochi beni<br />

commerciabili e non poss<strong>ed</strong>evano conoscenze scientifiche degne <strong>di</strong> considerazione<br />

erano considerati pochissimo importanti dall’imperatore” 225 .<br />

Nel marzo successivo, la cosiddetta “flotta del tesoro”, costruita <strong>di</strong>struggendo le<br />

foreste indocinesi, decisione che aveva causato violente rivolte, represse nel sangue,<br />

partì finalmente per un viaggio <strong>di</strong> esplorazione intorno al mondo, dal quale sarebbero<br />

ritornate solo pochissime navi, due anni e mezzo dopo. Ma, solo due mesi dopo la sua<br />

partenza, il 9 maggio dello stesso anno, durante una violenta tempesta, un fulmine<br />

innescò un incen<strong>di</strong>o, e tutti gli splen<strong>di</strong><strong>di</strong> palazzi della Città Proibita finirono bruciati.<br />

Nello stesso anno, la Cina dovette ritirarsi dall’Indocina, <strong>ed</strong> i Mongoli, con<br />

Arughtai alla loro testa, ritornarono a premere lungo i confini del Celeste Impero,<br />

rifiutando altresì <strong>di</strong> pagare il tributo. Una sp<strong>ed</strong>izione, organizzata per cacciarli fu un<br />

fiasco, <strong>ed</strong> “il 12 agosto 1424, mentre stava ancora inseguendo (invano) Arughtai, Zhu<br />

Di, un uomo <strong>di</strong>strutto, morì all’età <strong>di</strong> sessantaquattro anni” 226 .<br />

Il figlio Zhu Gaozhi gli successe, e fu incoronato il 7 settembre successivo. Di<br />

fronte alla <strong>di</strong>sastrosa situazione economica del paese, egli emanò imm<strong>ed</strong>iatamente<br />

225 G. MENZIES. 1421, the year China <strong>di</strong>scover<strong>ed</strong> America. Ed. William Morrow, 2002, pag.19.<br />

226 Ibid. pag. 52.<br />

167


una serie <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ni draconiani, intesi a controllare l’inflazione e a <strong>di</strong>minuire la spesa<br />

pubblica. “Le sue priorità erano in stretto accordo con i valori confuciani (secondo i<br />

quali) soccorrere il popolo dalla povertà dovrebbe essere fatto come se uno stesse<br />

salvandoli dal fuoco o dal rischio <strong>di</strong> affogare. Non si può esitare” 227 . Anche dopo la<br />

sua morte, solo un anno dopo, i successori continuarono la sua politica, riducendo la<br />

Marina e <strong>di</strong>minuendo le spese militari, fino al punto <strong>di</strong> creare una situazione <strong>di</strong> totale<br />

isolamento dell’impero rispetto al resto del mondo.<br />

Questa strategia è conosciuta come isolazionismo, e quin<strong>di</strong> merita approfon<strong>di</strong>re<br />

l’argomento 228 . Se guardate la definizione standard dell’isolazionismo nei <strong>di</strong>zionari, e<br />

cioè “una politica <strong>di</strong> isolamento nazionale m<strong>ed</strong>iante l’astensione da alleanze <strong>ed</strong> altre<br />

relazioni internazionali politiche <strong>ed</strong> economiche”, potrete imm<strong>ed</strong>iatamente notare<br />

che, nel suo significato pieno, l’isolazionismo è qualcosa ben <strong>di</strong>fficile da applicare<br />

nel nostro mondo, nel quale ognuno è sempre più interrelato <strong>ed</strong> inter<strong>di</strong>pendente da<br />

tutti gli altri. Peraltro, esso non è una cosa sepolta per sempre nelle pagine polverose<br />

della storia antica. Esso è infatti una tentazione ricorrente, specialmente per quei<br />

Paesi la cui geografia e l’economia permettano un’interruzione parziale o totale dei<br />

rapporti politici <strong>ed</strong> economici con le altre parti del mondo, ogni volta in cui lo si<br />

desideri. Il Neutralismo, per parte sua, presenta alcune similarità col prec<strong>ed</strong>ente, pur<br />

essendo meno ra<strong>di</strong>cale e, quin<strong>di</strong>, usato più frequentemente, anche oggigiorno.<br />

Per capire come funziona l’isolazionismo, come esso possa essere attuato e quali<br />

siano i suoi vantaggi e le sue limitazioni, è utile citare due casi del passato.<br />

227 Ibid. pag. 54.<br />

228 Il passo che segue è tratto da. F. SANFELICE. <strong>Strat</strong>egy and Peace. Ed. Aracne, 2008, pgg. 346-356.<br />

168


L’esempio più classico è la Cina del XV Secolo. Come abbiamo visto, il suo<br />

Imperatore, Zhu Di, che aveva inizialmente guidato il suo Paese a raggiungere il suo<br />

massimo splendore, favorendo le esplorazioni marittime, il commercio estero, una<br />

politica <strong>di</strong> costruzioni gran<strong>di</strong>ose <strong>ed</strong> una posizione regionale <strong>di</strong> rilievo, era morto il 12<br />

agosto 1424, lasciando un Paese a pezzi, con le sue casse vuote, l’esercito logorato da<br />

una guerra senza esito e la cosiddetta flotta del tesoro decimata dal suo uso intenso<br />

per esplorare il mondo, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quanto fosse conosciuto a quei tempi.<br />

I suoi successori, pressati dalla necessità <strong>di</strong> favorire una ripresa, iniziarono la loro<br />

opera considerando che “il territorio della Cina produceva tutti i beni in abbondanza,<br />

e così (essi ragionarono), perché comprare minutaglie inutili da oltremare?”.<br />

La loro visione, abbastanza semplicistica, v<strong>ed</strong>eva un Paese che vivesse modestamente<br />

e pacificamente, libero da ogni problema dovuto ad interferenze esterne. Essi pertanto<br />

decisero <strong>di</strong> interrompere ogni legame col mondo esterno; non a caso, essi iniziarono<br />

dal commercio internazionale, emanando un or<strong>di</strong>ne secondo il quale “ogni mercante<br />

che tentasse <strong>di</strong> impegnasse nel commercio estero fosse processato come un pirata e<br />

messo a morte”.<br />

È giusto <strong>di</strong>re che questa politica, mirante a ripristinare le finanze dello Stato, rovinate<br />

dalle spese eccessive per le flotte del tesoro e per la guerra contro i Mongoli, ebbe un<br />

iniziale successo senza turbare l’armonia sociale del Paese, finché le in<strong>fra</strong>strutture —<br />

costruite da Zhu Di — supportarono l’agricoltura. Purtroppo, oggi sappiamo che alla<br />

lunga il rim<strong>ed</strong>io sarebbe stato peggiore del male!<br />

169


La sua applicazione, e precisamente la successiva grande strategia <strong>di</strong> auto–<br />

imposizione <strong>di</strong> un embargo verso l’estero e <strong>di</strong> xenofobia, arrivò in seguito fino a<br />

proibire ai suoi citta<strong>di</strong>ni sia <strong>di</strong> imparare una lingua straniera, sia <strong>di</strong> insegnare il Cinese<br />

agli stranieri. Il suo picco, soprattutto, fu la decisione che, al fine <strong>di</strong> “prevenire ogni<br />

commercio estero o contatto, una striscia <strong>di</strong> terra lunga 700 miglia e larga 30 miglia<br />

fu devastata e bruciata, e la popolazione spostata all’interno del Paese”.<br />

In un’epoca in cui le navi erano sia strumenti <strong>di</strong> guerra sia <strong>di</strong> commercio estero,<br />

questo provv<strong>ed</strong>imento significò lo smantellamento delle poche navi rimaste della<br />

flotta, logorata gravemente dai suoi viaggi intorno al mondo, e la demolizione degli<br />

arsenali, dei cantieri e dei porti.<br />

Questo atteggiamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa strettamente passiva — tipica dell’isolazionismo —<br />

dominò la politica cinese nei secoli successivi, finché l’ultimo tentativo <strong>di</strong> applicarla<br />

ancora, e precisamente la rivolta dei Boxers, finì in un fallimento, non essendo più<br />

praticabile. Anche il Giappone adottò a perio<strong>di</strong> alterni la stessa politica isolazionista,<br />

fino a quando le navi della Marina USA visitarono i suoi porti nel 1853.<br />

In amb<strong>ed</strong>ue i casi, l’economia era, durante il periodo <strong>di</strong> isolazionismo, basata<br />

soprattutto sull’agricoltura. Infatti, “fin tanto che i sistemi <strong>di</strong> irrigazione furono<br />

manutenuti, i conta<strong>di</strong>ni furono ben nutriti e le carestie evitate, (e) non vi erano<br />

esigenze <strong>di</strong> cambiamenti economici o politici.<br />

Le istituzioni del Paese restarono come se fossero state conservate nell’ambra”.<br />

L’auto-conservazione, senza una forte e bilanciata forza militare, necessaria<br />

170


altrimenti per proteggere la Nazione “dalla violenza e dalle invasioni <strong>di</strong> altre società<br />

in<strong>di</strong>pendenti”, è stata <strong>ed</strong> è sempre, l’obiettivo principale dell’isolazionismo.<br />

È giusto riconoscere che tale situazione fu <strong>di</strong> fatto conseguita e mantenuta con<br />

successo dalla Cina e dal Giappone per un lungo periodo <strong>di</strong> tempo, ma era destinata a<br />

finire con una rude sveglia per amb<strong>ed</strong>ue le Nazioni. Questo accadde quando il livello<br />

tecnologico <strong>di</strong> altri Paesi nel mondo permise a questi ultimi <strong>di</strong> perseguire una grande<br />

strategia espansionista, usando gli strumenti militare <strong>ed</strong> economico, <strong>ed</strong> entrare in<br />

contatto con un mondo così pietrificato.<br />

Potreste pensare che un tale tipo <strong>di</strong> politica tanto ra<strong>di</strong>cale sia qualcosa <strong>di</strong> molto<br />

lontano dal nostro mondo e dai nostri tempi. Il fatto <strong>di</strong> aver utilizzato questi esempi<br />

del passato, riguardanti due Paesi asiatici, potrebbe inoltre darvi l’impressione che si<br />

tratti <strong>di</strong> qualcosa profondamente alieno alla mentalità occidentale.<br />

Vi sono peraltro interessanti, ancorché limitate applicazioni passate <strong>di</strong> questa politica<br />

anche nella nostra parte del globo, anche in tempi relativamente recenti. Inoltre è<br />

bene notare che questi sentimenti filo-isolazionisti, anche dopo che questa politica sia<br />

stata abbandonata, rimangono ra<strong>di</strong>cati in fondo al modo <strong>di</strong> pensare collettivo <strong>di</strong> una<br />

Nazione per secoli, come se essi fossero ancora ricordati come la soluzione a tutti i<br />

suoi problemi. Questo, infatti, accade specialmente quando la Nazione incontra<br />

<strong>di</strong>fficoltà nelle sue relazioni esterne. Non ci si può esimere da ritenere che tale<br />

atteggiamento, imbevuto <strong>di</strong> pessimismo <strong>ed</strong> orgoglio ferito, è in un certo senso simile<br />

al tentativo <strong>di</strong> un bambino <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> isolarsi dagli altri, in conseguenza vuoi <strong>di</strong> una<br />

delusione o <strong>di</strong> uno smacco.<br />

171


Un buon esempio è l’Atto <strong>di</strong> Embargo, approvato il 22 <strong>di</strong>cembre 1808, dal Congresso<br />

USA. “Tenuto conto dei pericoli cui le navi americane erano esposti dalle azioni dei<br />

due belligeranti (Francia e Gran Bretagna), un embargo fu raccomandato, per<br />

garantire la loro sicurezza tenendoli nei loro porti”.<br />

È ben vero che questa legge fu poi bocciata, e l’Atto <strong>di</strong> Non-Commercio (Non–<br />

Intercourse Act), votato il 1° marzo 1809, “permetteva alle navi mercantili degli Stati<br />

Uniti <strong>di</strong> andare oltremare in cerca <strong>di</strong> impiego e per trafficare <strong>fra</strong> il loro Paese <strong>ed</strong> altre<br />

Nazioni, eccetto la Gran Bretagna e la Francia, nonché le colonie occupate da queste,<br />

che erano totalmente proibite alle navi americane”.<br />

Ciò nonostante, la tentazione <strong>di</strong> fermare ogni rapporto commerciale con il mondo<br />

esterno, in quanto guastato dal violento scontro <strong>fra</strong> due nemici mortali, è evidente in<br />

questo peculiare Atto <strong>di</strong> Embargo, inflitto dagli USA contro loro stessi. E<br />

l’isolazionismo non cessò mai <strong>di</strong> spuntare fuori, ogni tanto, vuoi dalle deliberazioni<br />

del Congresso USA, o da quelle del governo. Il Presidente Jackson, ad esempio,<br />

<strong>di</strong>chiarò che la grande <strong>di</strong>stanza <strong>fra</strong> gli USA e “tutti quei governi, la cui potenza<br />

potremmo aver motivo <strong>di</strong> temere, non lasciava nulla da temere per tentativi <strong>di</strong><br />

conquista”.<br />

Non c’è bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che pochi anni dopo, quando nel 1835 una <strong>di</strong>sputa con la<br />

Francia, a proposito del Messico, “si infiammò fino ad originare una grave crisi, e fu<br />

riferito che il governo <strong>fra</strong>ncese stava inviando una flotta formidabile attraverso<br />

l’Atlantico in una crociera <strong>di</strong> osservazione”, sia il Presidente, sia il suo partito<br />

dovettero riv<strong>ed</strong>ere la loro politica, secondo la quale “gli eserciti permanenti erano<br />

172


pericolosi per i governi liberi in tempo <strong>di</strong> pace, la Marina era utile solo per le<br />

conquiste, <strong>ed</strong> il bastione della nostra <strong>di</strong>fesa è la milizia nazionale”. I fatti della vita,<br />

come potrete notare, sono spesso più potenti della volontà umana. Lo stesso zigzag<br />

politico può essere notato negli anni successivi.<br />

Quando una <strong>di</strong>sputa con Potenze straniere era in corso, tutti i leaders politici<br />

concordavano sull’importanza <strong>di</strong> una Marina, per <strong>di</strong>fendere il Paese e per proteggere<br />

il suo commercio <strong>di</strong> oltremare. Appena un accordo veniva raggiunto, peraltro, alcuni<br />

Senatori, come Thomas Hart Benton del Missouri, desiderosi <strong>di</strong> riprendere la vecchia<br />

prassi, salivano sul po<strong>di</strong>o, e <strong>di</strong>cevano che “era il dovere del Congresso decidere se<br />

dovesse essere una Marina per <strong>di</strong>fendere le nostre case o per portare la guerra<br />

oltremare. Non lasciando dubbi sulla sua avversione verso la seconda, egli insistette<br />

che la nostra costa e le città potevano essere <strong>di</strong>fese senza gran<strong>di</strong> flotte per mare”.<br />

Chiaramente, non era semplicemente una lotta <strong>fra</strong> sostenitori <strong>ed</strong> oppositori <strong>di</strong> una<br />

grande Marina. Questi ultimi volevano finanziare la spinta verso l’Ovest, a spese<br />

della Marina; sfortunatamente, nella loro mentalità isolazionista, essi non erano<br />

capaci <strong>di</strong> comprendere che ogni espansione, persino all’interno del loro continente,<br />

avrebbe comportato la probabilità <strong>di</strong> l<strong>ed</strong>ere interessi stranieri significativi, presto o<br />

tar<strong>di</strong>, come del resto accadde per l’Oregon, riven<strong>di</strong>cato anche dalla Gran Bretagna.<br />

I conseguenti rischi per la sicurezza non potevano essere sventati solo da un grande<br />

esercito <strong>di</strong> occupazione poco moderno e da un <strong>di</strong>spositivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa costiera, che<br />

lasciava il commercio estero USA esposto a facili misure <strong>di</strong> rappresaglia. Ed il<br />

commercio estero forniva le risorse che potevano finanziare la stessa espansione!<br />

173


L’ultimo esempio della politica isolazionista USA fu l’Atto <strong>di</strong> Neutralità (Neutrality<br />

Act), con il conseguente ritiro della partecipazione alla Lega delle Nazioni, uno<br />

schiaffo al progetto, fortemente appoggiato dal Presidente Wilson, che fu quin<strong>di</strong><br />

seriamente menomato. Si può giustamente <strong>di</strong>re che la mancanza <strong>di</strong> incisività della<br />

Lega fu soprattutto causata dall’assenza <strong>di</strong> un maggior attore mon<strong>di</strong>ale, come gli<br />

USA erano già allora.<br />

Come scrisse Churchill, in modo pungente, “L’intera tra<strong>di</strong>zione del popolo americano<br />

era basata su <strong>di</strong> una netta separazione dalle sofferenze e dagli antagonismi del<br />

vecchio mondo e dei mon<strong>di</strong> ancora più antichi. L’Atlantico rappresentava tremila <strong>ed</strong><br />

il Pacifico settemila ragioni per evitare <strong>di</strong> immischiarsi in quelle remote questioni”.<br />

Non sorprenderà che, dopo tali prec<strong>ed</strong>enti, ogni volta in cui gli USA sembrano<br />

mostrare un po’ meno attenzione del solito verso l’Europa, in confronto al Pacifico,<br />

tutti i m<strong>ed</strong>ia del vecchio continente iniziano a fare un baccano terribile a proposito<br />

del risorto isolazionismo USA. Questo non è normalmente vero, naturalmente, ma<br />

spesso un sospetto è giustificato dalla storia passata. E nessuno convincerà mai gli<br />

Europei che l’isolazionismo non è una tentazione che cova in fondo alle menti degli<br />

Americani, pronto a venire <strong>di</strong> nuovo alla superficie.<br />

Quali sono, in accordo a questo approccio, secondo il quale ogni contatto esterno è<br />

interrotto e nessuna azione economica o <strong>di</strong>plomatica è richiesta, le implicazioni<br />

militari dell’isolazionismo? Purché la geografia lo consenta, <strong>ed</strong> una economia che si<br />

sostenga da sola possa essere attuata, in modo da dare alla popolazione abbastanza da<br />

174


vivere, lo strumento militare è richiesto solo per sigillare il Paese dai contatti<br />

indesiderati con il mondo esterno.<br />

Un esercito numeroso — a basso contenuto tecnologico — supportato da una<br />

struttura <strong>di</strong> controllo dello spazio aereo, amb<strong>ed</strong>ue operanti all’interno delle frontiere<br />

dello stato, con compiti prevalenti <strong>di</strong> polizia aerea e controllo del territorio, con<br />

l’aggiunta <strong>di</strong> un sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa costiera, supportato da capacità <strong>di</strong> contrasto a corto<br />

raggio (sea denial), soprattutto mine, costituiscono tutto ciò che è sufficiente per<br />

prevenire contatti indesiderati con il mondo esterno. Peraltro, come abbiamo visto,<br />

nessun <strong>di</strong>spositivo militare isolazionista può essere efficace senza un grande aiuto da<br />

parte della geografia e dell’autosufficienza economica. Non tutte le Nazioni possono<br />

quin<strong>di</strong> permetterselo.<br />

L’esempio migliore <strong>di</strong> come questi due fattori influiscano sull’isolazionismo,<br />

rendendolo <strong>di</strong> conseguenza inefficace, è costituito dai vani sforzi compiuti dalla<br />

Grande Armée <strong>di</strong> Napoleone, durante il Sistema Continentale. Le truppe <strong>fra</strong>ncesi<br />

occuparono l’intera costa del nord Europa, dalla Baia <strong>di</strong> Biscaglia fino a Stettino.<br />

“Tutti i porti <strong>di</strong> quel regno che era un tempo potente (Prussia) — scrisse un giornale<br />

del tempo — sono pieni <strong>di</strong> soldati <strong>fra</strong>ncesi, che confiscano e bruciano ogni merce che<br />

potrebbe essere passata per mani britanniche. La Prussia è descritta versare in uno<br />

stato deplorevole, quasi <strong>di</strong>sorganizzata e con nessun lavoro per l’industria”. Di fatto,<br />

i risultati erano deludenti, sia per le <strong>di</strong>ffuse violazioni sia per le terribili conseguenze<br />

economiche.<br />

175


Come notava Mahan, l’isolamento implica l’impossibilità <strong>di</strong> facile accesso alle rive<br />

del paese isolato. Ciò era impossibile da ottenere in Europa, la cui linea <strong>di</strong> costa è<br />

talmente ricca <strong>di</strong> baie e d’insenature che la loro sorveglianza era quasi impossibile.<br />

Inoltre, la decisione presa da Napoleone, il quale proibiva ogni commercio con altre<br />

Nazioni, al <strong>di</strong> fuori del continente europeo, lasciava poco spazio per ogni espansione<br />

industriale al <strong>di</strong> là delle frontiere della Francia.<br />

Ciò era insostenibile per l’Europa, a causa della sua mancanza <strong>di</strong> autosufficienza<br />

alimentare, e portò a ripetute violazioni, talmente numerose che persino l’enorme<br />

potenza militare <strong>di</strong> Napoleone si <strong>di</strong>mostrò insufficiente per il compito <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>re il<br />

contrabbando dei beni. “Per quanto grande fosse la potenza <strong>di</strong> Napoleone, essa<br />

cessava, come quella <strong>di</strong> certi maghi, quando raggiungeva l’acqua”.<br />

L’isolamento, nel suo significato pieno, è quin<strong>di</strong> attuabile <strong>di</strong> rado, da ogni grande<br />

strategia, nei nostri tempi <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza economica e <strong>di</strong> intensi scanbi <strong>di</strong><br />

materiali e beni <strong>fra</strong> tutti i Paesi del mondo. Peraltro, applicazioni limitate <strong>di</strong> questo<br />

concetto, come abbiamo visto nel caso degli Stati Uniti, sono ancora prese in<br />

considerazione <strong>di</strong> tempo in tempo, ma esse assomigliano da vicino ad un’altra<br />

politica, più <strong>di</strong>ffusa, e precisamente il neutralismo.<br />

Il neutralismo, <strong>di</strong> fatto, è il rifiuto — o l’impossibilità — <strong>di</strong> aderire ad ogni alleanza<br />

militare, come pure ad altri tipi <strong>di</strong> impegno militare con altre Potenze, <strong>ed</strong> è una specie<br />

<strong>di</strong> isolazionismo applicabile limitatamente agli affari internazionali.<br />

Guardando intorno, sul mondo, e scorrendo le pagine polverose della storia, è<br />

possibile notare che alcune Nazioni hanno scelto la neutralità, come un loro tipo <strong>di</strong><br />

176


vita, mentre molte altre sono state costrette ad accettarla come una misura<br />

permanente, soprattutto per effetto <strong>di</strong> trattati. Gli Stati Uniti del XIX secolo, la<br />

Svizzera, la ex Jugoslavia e la Svezia appartengono al primo gruppo, mentre il<br />

Belgio, prima della Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale, e l’attuale Austria sono buoni esempi <strong>di</strong><br />

neutralità imposta dall’esterno, da un trattato internazionale.<br />

Durante la Guerra Fr<strong>ed</strong>da, peraltro, i Paesi che rifiutavano ogni legame permanente<br />

con uno dei due blocchi contrapposti si sentirono costretti ad unire le forze, per<br />

evitare <strong>di</strong> venire con<strong>di</strong>zionati, uno alla volta, dalle cosiddette Super Potenze. Essi<br />

presero la denominazione <strong>di</strong> Paesi Non–Allineati, si unirono in un gruppo non<br />

compatto, e tentarono <strong>di</strong> concordare posizioni comuni, specialmente in occasione<br />

delle crisi più serie, che tormentarono quel periodo storico.<br />

Il fatto che essi ebbero <strong>di</strong> rado successo in questa impresa non detrae nulla alla<br />

vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> questa politica. La loro influenza moderatrice, infatti, fu benefica durante<br />

tutto quel periodo, dato che amb<strong>ed</strong>ue i blocchi contrapposti, specialmente<br />

nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, provarono <strong>di</strong> frequente ad ottenere il<br />

consenso dei Non–Allineati in favore — o contro — quei progetti <strong>di</strong> risoluzione<br />

ONU presentati da una delle maggiori Potenze.<br />

Ma cosa significa la neutralità in termini militari? E quale è la grande strategia da<br />

attuare nel perseguimento <strong>di</strong> questa politica? Proc<strong>ed</strong>iamo con or<strong>di</strong>ne. Con il<br />

commercio e le relazioni <strong>di</strong>plomatiche in pieno sviluppo, l’assetto militare deve<br />

essere tale da fornire una <strong>di</strong>ssuasione cr<strong>ed</strong>ibile contro ogni atto <strong>di</strong> prepotenza,<br />

compiuto da Potenze più gran<strong>di</strong>, sia esso una minaccia <strong>di</strong> invasione oppure ogni altra<br />

177


attività appoggiata da uno stato. Un forte assetto <strong>di</strong>fensivo deve essere in grado <strong>di</strong><br />

proteggere la propria in<strong>di</strong>pendenza e sovranità. Questo implica una rete <strong>di</strong> posizioni<br />

fortificate, ripari anti-bombe per le forze <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e la capacità <strong>di</strong> chiamare a raccolta<br />

tutta la popolazione per fermare o <strong>di</strong>sturbare l’invasore, in modo tale che questi sia<br />

costretto a consumare una quantità eccessiva <strong>di</strong> risorse umane per conquistare e<br />

quin<strong>di</strong> controllare ogni pollice <strong>di</strong> quel territorio.<br />

È anche necessario proteggere gli interessi commerciali, specialmente quelli<br />

oltremare, ogni volta in cui ciò sia possibile, specialmente in tempo <strong>di</strong> crisi, con una<br />

Marina in grado <strong>di</strong> evitare ogni <strong>di</strong>sturbo limitato del traffico marittimo nei bacini <strong>di</strong><br />

primario interesse. Questo <strong>di</strong>spositivo dovrebbe preferibilmente essere integrato da<br />

una piccola, ma efficace, capacità <strong>di</strong> infliggere qualche danno agli interessi vitali del<br />

più probabile aggressore, al fine <strong>di</strong> aggiungere una capacità <strong>di</strong> deterrenza.<br />

Quando un tale <strong>di</strong>spositivo non è completo, problemi sono imm<strong>ed</strong>iatamente visibili.<br />

Guardate alla Svezia, ad esempio: quando il suo governo decise <strong>di</strong> interpretare<br />

strettamente il suo assetto neutralista <strong>di</strong>fensivo, <strong>di</strong>sarmando la sua piccola flotta<br />

d’altura, l’Unione Sovietica iniziò ad usare le acque territoriali sv<strong>ed</strong>esi come<br />

nascon<strong>di</strong>glio per i suoi sommergibili. L’incidente che mise questa prassi in luce<br />

<strong>di</strong>venne noto come l’affare del “Whisky on the rocks” (whisky su ghiaccio), dal<br />

nomignolo dato a quella classe <strong>di</strong> sommergibili sovietici dalla NATO. Per ragioni<br />

sconosciute, un sommergibile russo finì in secca ben dentro le acque territoriali<br />

sv<strong>ed</strong>esi, e questo incidente fu una rude sveglia per quel governo. Esso, quin<strong>di</strong>,<br />

<strong>di</strong>venne penosamente consapevole <strong>di</strong> non controllare le acque territoriali del suo<br />

178


Paese, che erano quin<strong>di</strong> chiaramente alla mercè <strong>di</strong> chiunque volesse attaccare il suo<br />

commercio marittimo.<br />

Il commercio, infatti, è l’aspetto più vulnerabile <strong>di</strong> questi Paesi. Essendo facile, per<br />

ogni Potenza marittima, <strong>di</strong>sturbarlo o sottoporlo a costrizioni, lontano dalle coste<br />

della Nazione neutrale coinvolta, una tale situazione pone un <strong>di</strong>lemma, spesso senza<br />

soluzione, a quest’ultima, specialmente quando questa è presa nel mezzo <strong>di</strong> una lotta<br />

mortale <strong>fra</strong> due nemici potenti, come il prosciutto in un panino.<br />

Guardate alla guerra del 1812, per esempio. La Gran Bretagna emanò gli Or<strong>di</strong>ni in<br />

Consiglio (Orders in Council), al fine <strong>di</strong> controbilanciare gli effetti del Sistema<br />

Continentale e per <strong>di</strong>ssanguare la Francia fino alla sua caduta. Questi “provv<strong>ed</strong>imenti,<br />

che rovesciarono Napoleone, danneggiarono gravemente gli Stati Uniti; secondo il<br />

<strong>di</strong>ritto internazionale le fecero anche un grave torto. Avrebbero forse dovuto essere<br />

acquiescenti? In caso contrario, la guerra sarebbe stata inevitabile. Non ci si poteva<br />

aspettare che la Gran Bretagna si sottomettesse alla <strong>di</strong>struzione a beneficio <strong>di</strong> altri”. E<br />

la guerra fu <strong>di</strong>chiarata, come conseguenza.<br />

Naturalmente la guerra provocò gran<strong>di</strong> sofferenze <strong>ed</strong> un’amara sconfitta agli USA,<br />

non essendo in dubbio il risultato. Una tale situazione è ricorrente anche oggi. Come<br />

nel passato, i neutrali si trovano messi all’angolo da ogni grande lotta, e sono spesso<br />

costretti a c<strong>ed</strong>ere ai suoi imperativi. Bisogna sottolineare, peraltro, che “essere<br />

soggiogati dal male non comporta l’acquiescenza al male. Una Nazione sconfitta non<br />

è necessariamente una Nazione <strong>di</strong>sonorata; ma la Nazione o l’uomo che si sottragga<br />

all’obbligo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere la giustizia è <strong>di</strong>sonorato”. I neutrali sanno che probabilmente<br />

179


soccomberanno, in caso <strong>di</strong> invasione. La loro unica speranza è quella <strong>di</strong> scoraggiare<br />

l’aggressore, m<strong>ed</strong>iante un assetto <strong>di</strong>fensivo ben organizzato <strong>ed</strong> ampiamente visibile,<br />

qualcosa in cui il Belgio non ebbe successo, ma fu fatto per bene dalla ex Jugoslavia,<br />

durante la Guerra Fr<strong>ed</strong>da.<br />

Parlando <strong>di</strong> quella Nazione, giova notare che il requisito essenziale per una <strong>di</strong>fesa<br />

efficace è la coesione della popolazione, altrimenti tutti i piani compilati con cura non<br />

serviranno a nulla. Distribuire armi <strong>fra</strong> la popolazione, come fece Tito, è un<br />

provv<strong>ed</strong>imento gravido <strong>di</strong> seri pericoli. Le milizie devono essere leali alla loro<br />

Nazione, e devono voler preservarne l’unità e l’in<strong>di</strong>pendenza, altrimenti esse<br />

potrebbero impiegare il loro armamento per sistemare conti inter-etnici da tempo in<br />

sospeso, scatenando così una violenta guerra civile.<br />

Questo è ciò che avvenne nell’ex Jugoslavia, con la conseguente implosione del<br />

Paese, e questi sono i <strong>di</strong>lemmi dei neutrali; nulla può sollevare i loro governi da<br />

questo peso. Su una nota più lieta, i neutrali stanno mostrando sempre più che, anche<br />

quando essi aderiscono a questo tipo <strong>di</strong> politica, essi possono influenzare gli eventi<br />

oltremare, partecipando ad importanti operazioni <strong>di</strong> stabilizzazione. L’ONU ha<br />

beneficiato in modo significativo dei contributi militari dei neutrali, per il<br />

mantenimento della pace (peace-keeping) <strong>di</strong> aree perturbate, in tutto il mondo.<br />

Inoltre, i neutrali hanno fornito forze alla NATO, in simili missioni. L’uso della<br />

potenza militare per appoggiare la <strong>di</strong>plomazia e perseguire intenti nobili e pacifici è<br />

qualcosa che può migliorare l’immagine <strong>ed</strong> il prestigio internazionale <strong>di</strong> un Paese, e<br />

questa verità si applica anche a quei Paesi che hanno scelto, o sono stati costretti a<br />

180


mantenere, la neutralità. La neutralità, quin<strong>di</strong>, non significa assolutamente<br />

risparmiare sui bilanci militari. Si <strong>di</strong>rebbe piuttosto il contrario! Essi devono fare<br />

tutto da soli, senza fare affidamento su aiuti esterni, anche quando garanzie<br />

internazionali sono incluse nel trattato.<br />

Ciò che è molto importante sottolineare, infine, è che la configurazione e le<br />

caratteristiche <strong>di</strong> un assetto militare dei neutrali sono molto <strong>di</strong>fficili da determinare,<br />

in quanto questo deve essere realmente cr<strong>ed</strong>ibile e molto efficace, invero a prova<br />

d’errore, al fine <strong>di</strong> scoraggiare i vicini potenti, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto avviene per altre<br />

Nazioni, appartenenti ad un’alleanza, che possono fare affidamento sulla <strong>di</strong>fesa<br />

collettiva. Per tale ragione, un saggio stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong>sse: “in origine, le alleanze non<br />

avevano altro scopo che quello <strong>di</strong> fare la guerra a buon mercato”.<br />

Questo è vero anche al giorno d’oggi. I Paesi neutrali devono essere in grado <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fendere loro stessi, oltre a perseguire i loro interessi vitali, altrimenti arano costretti<br />

a sottomettersi al male, o a c<strong>ed</strong>ere a numerose pressioni esterne. Comunque, essi<br />

vivranno sempre in un limbo, timorosi delle Gran<strong>di</strong> Potenze e delle loro interferenze<br />

nella vita quoti<strong>di</strong>ana dei neutrali. L’in<strong>di</strong>pendenza e la libertà da ogni legame è un<br />

lusso, che comporta questo tipo <strong>di</strong> inconvenienti. Talvolta, peraltro, è un gioco che<br />

vale la candela.<br />

b)-L’aggressione occidentale e la fine dell’Impero<br />

Malgrado il fatto che, nei secoli successivi, “le coste cinesi, e persino le città sullo<br />

Yangtze fossero attaccate dai pirati giapponesi, e (si verificassero) ripetute<br />

181


apparizioni <strong>di</strong> vascelli portoghesi al largo della costa, non ci fu alcuna seria<br />

ricostruzione <strong>di</strong> una Marina imperiale. La <strong>di</strong>fesa terrestre era tutto ciò che era<br />

necessario, ragionavano i mandarini, e comunque non era stato forse proibito del tutto<br />

il commercio marittimo?” 229 .<br />

In effetti, i risultati <strong>di</strong>sastrosi che questa politica comportava, nel lungo termine,<br />

cominciarono ad essere evidenti anche alla leadership del paese. Infatti, “i canali<br />

erano stati fatti decadere, l’esercito fu perio<strong>di</strong>camente lasciato senza nuovi<br />

equipaggiamenti, gli orologi astronomici furono trascurati, le ferriere caddero<br />

gradualmente in abbandono. L’agricoltura intensiva e l’uso <strong>di</strong> terreni scarsamente<br />

produttivi ebbe <strong>di</strong>fficoltà sempre maggiori a tenere il passo con la forte crescita della<br />

popolazione” 230 .<br />

Per questo, fu gradualmente riaperto il commercio estero: “ai Portoghesi fu c<strong>ed</strong>uto<br />

in prestito nel 1557 un lembo <strong>di</strong> territorio presso Macao, perché potessero fare i<br />

preparativi per il viaggio <strong>di</strong> ritorno. Dalle loro colonie d’Africa e d’In<strong>di</strong>a i Portoghesi<br />

portarono in Cina le spezie e le barattarono con stoffe <strong>di</strong> seta, porcellana e lacca, che<br />

in Europa trovarono facile smercio” 231 .<br />

Parallelamente, anche i missionari cristiani si erano stabiliti nel paese: “la prima<br />

comunità cristiana fu fondata a Nanchino nel 1569; seguì quella <strong>di</strong> Pechino nel<br />

1600” 232 . Determinante fu, a questo fine, la visita del “dotto padre gesuita, Matteo<br />

229 P. KENNEDY. Op. cit. pag. 8.<br />

230 Ibid. pgg. 9-10.<br />

231 H. S. HEGNER. Cina: ieri, oggi, domani. Ed. Sansoni, 1966, pag. 15.<br />

232 Ibid.<br />

182


Ricci, che nel 1583 fece un viaggio in Cina e presto si conquistò la fiducia<br />

dell’imperatore Wan-Li e poté <strong>di</strong>ffondere liberamente la sua dottrina” 233 .<br />

Anche “Ivan il Terribile nel 1567 mandò un’ambasciata a Pechino. Ben presto<br />

(però) colonizzatori russi si inoltrarono nello Stato sovrano cinese e, poiché non<br />

incontrarono resistenza, <strong>di</strong>vennero sempre più ar<strong>di</strong>ti e nel 1649 cominciarono a<br />

costruire fortezze presso Chabarovsk, ad est dell’Amur. Si comportavano come se gli<br />

invasori non fossero loro, ma i cani gialli non battezzati. Scoppiarono dei conflitti<br />

armati, che furono appianati solo nel 1689, dopo decenni <strong>di</strong> trattative” 234 . Risalgono<br />

quin<strong>di</strong> a quell’epoca la penetrazione russa in Siberia, allora sotto il dominio cinese,<br />

<strong>ed</strong> i conseguenti scontri sull’Amur, verificatisi ancora nell’ultimo cinquantennio.<br />

Dopo i Portoghesi, seguirono gli Spagnoli, i Francesi, gli Olandesi e gli Inglesi, e<br />

quin<strong>di</strong> “i porti lungo la costa sud-orientale furono riaperti, (e) nel 1685 a Canton fu<br />

istituita la dogana marittima. I più attivi <strong>fra</strong> gli stranieri si <strong>di</strong>mostravano gli Inglesi,<br />

che nel 1699 ottennero il permesso <strong>di</strong> aprire degli uffici commerciali (sempre) a<br />

Canton. Un analogo permesso fu ottenuto dai Francesi nel 1728, mentre il commercio<br />

con gli Stati Uniti iniziò molto più tar<strong>di</strong>, nel 1784” 235 .<br />

Poco tempo dopo, iniziarono i problemi, visto che le esportazioni cinesi erano sei<br />

volte maggiori, come valore, delle importazioni, avendo il governo rifiutato <strong>di</strong><br />

importare dalla Gran Bretagna i tessuti <strong>di</strong> cotone inglese, e quin<strong>di</strong>:<br />

“essendo il saldo pesantemente passivo per gli Inglesi, le autorità britanniche incominciarono a<br />

premere per una maggiore apertura della Cina al mercato mon<strong>di</strong>ale. Nel 1793 fu inviata<br />

233 Ibid.<br />

234 Ibid. pagine 15-16.<br />

235 M. SABATTINI e P. SANTANGELO. Storia della Cina. Ed. Laterza, 2006. pag. 528.<br />

183


un’ambasceria guidata da lord Macartney, che però non portò ai risultati sperati, in quanto<br />

l’imperatore respinse con cortesia ma con fermezza le offerte <strong>di</strong> espansione del commercio <strong>fra</strong> i due<br />

paesi. In un significativo passaggio del messaggio imperiale, si ricordava <strong>fra</strong> l’altro che la corte<br />

cinese non apprezzava molto gli oggetti curiosi e ingegnosi provenienti da lontano, <strong>ed</strong> esortava il<br />

sovrano inglese a governare correttamente” 236 .<br />

Da questa citazione emergono due aspetti interessanti. Il primo è che la Cina<br />

continuava a considerare barbari gli occidentali, come nel 1421, non avendo avuto<br />

modo <strong>di</strong> conoscere l’<strong>Occidente</strong>, data la politica isolazionista praticata per tanto<br />

tempo; neanche i missionari, che ormai si erano stabiliti da due secoli nel paese,<br />

avevano potuto contribuire ad aumentare la conoscenza reciproca <strong>fra</strong> i due mon<strong>di</strong>.<br />

Il secondo aspetto, conseguenza del primo, era un vero e proprio errore strategico,<br />

in quanto l’imperatore aveva trascurato il particolare che “la ricchezza è usualmente<br />

necessaria per sostenere la potenza militare, (ma soprattutto) la potenza militare è<br />

abitualmente necessaria per sostenere e proteggere la ricchezza” 237 . In particolare,<br />

assumere posizioni forti, ad<strong>di</strong>rittura ingiuriose, senza avere l’appoggio <strong>di</strong> uno<br />

strumento militare cr<strong>ed</strong>ibile è, come abbiamo visto parlando dell’isolazionismo, un<br />

atto suicida.<br />

Per riequilibrare la bilancia dei pagamenti, i commercianti britannici pensarono<br />

allora <strong>di</strong> importare in Cina l’oppio, “che veniva prodotto nel Bengala dalla<br />

Compagnia delle In<strong>di</strong>e Orientali. La richiesta della droga crebbe velocemente,<br />

236 Ibid. pag. 529.<br />

237 P. KENNEDY. Op. cit. pag. xvi.<br />

184


determinando una serie <strong>di</strong> danni economici, morali, fisici e sociali che provocarono la<br />

reazione delle autorità cinesi” 238 .<br />

In effetti, i primi ad importare l’oppio in Cina erano stati i Portoghesi, nel XVIII<br />

secolo, dando luogo, nel 1729, al primo <strong>ed</strong>itto contro l’oppio; successivamente, il<br />

governo cinese aveva riammesso questo commercio, sia pure con “una tassa<br />

d’importazione <strong>di</strong> 3 taels (equivalenti a 20 scellini), per ogni picul <strong>di</strong> oppio” 239 .<br />

Quin<strong>di</strong>, i commercianti inglesi avevano approfittato <strong>di</strong> questa riapertura del<br />

commercio per inondare la Cina <strong>di</strong> quel prodotto, che ad un certo punto, data<br />

l’enorme espansione del consumo, fu comprato anche in Turchia, dove veniva<br />

prodotto, e rivenduto in Cina.<br />

Poiché “le esportazioni <strong>di</strong> stoffe <strong>di</strong> seta, tè e porcellana in breve non furono più<br />

sufficienti a pagare l’importazione <strong>di</strong> oppio, gli Inglesi pretesero il controvalore in<br />

moneta d’argento cinese. Il passaggio dallo scambio in natura al pagamento in<br />

contanti portò la valuta cinese alla catastrofe” 240 .<br />

Anche in questo caso, <strong>fra</strong> i due partiti nel governo cinese che sostenevano l’una la<br />

legalizzazione del commercio, sotto sorveglianza e monopolio statale e l’altra,<br />

fautrice della linea dura, che prev<strong>ed</strong>eva <strong>di</strong> “eliminare totalmente il traffico, attraverso<br />

l’arresto degli spacciatori cinesi e, soprattutto, il taglio netto dei rifornimenti<br />

esteri” 241 , alla fine prevalse quest’ultima, il che costituiva il secondo errore strategico<br />

cinese verso l’<strong>Occidente</strong>. Prima, infatti, “l’esportazione <strong>di</strong> argento, per pagare<br />

238<br />

M. SABATTINI e P. SANTANGELO. Op. cit. pag.531.<br />

239<br />

B. LUBBOCK. The Opium Clippers. Ed. Brown, Son & Ferguson, 1976. pag.30.<br />

240<br />

H. S. HEGNER. Op, cit. pag. 16.<br />

241<br />

M. SABATTINI e P. SANTANGELO. Op. cit. pag. 531.<br />

185


l’oppio, fu proibita dall’imperatore” 242 , nel 1785 e quin<strong>di</strong> nel 1799 e poi nel 1809<br />

furono emanati due <strong>ed</strong>itti che classificavano tale commercio un contrabbando.<br />

Di conseguenza, dopo altri tentativi <strong>di</strong> ottenere l’apertura del commercio generale,<br />

il governo britannico prima inviò lord Amherst, nel 1816, a bordo <strong>di</strong> una piccola<br />

fregata, l’Alceste, senza ottenere risultati e quin<strong>di</strong>, nel 1834, “nominò lord Napier<br />

nell’incarico appena istituito <strong>di</strong> Soprintendente Capo del Commercio Britannico in<br />

Cina. (Questi), anche se animato da buone intenzioni, era un nobile orgoglioso, che<br />

non poteva accettare le meschine punture <strong>di</strong> spillo <strong>ed</strong> insulti in cui si <strong>di</strong>lettavano i<br />

funzionari cinesi” 243 . Peraltro, il lord, questa volta, si era portato con sé due grosse<br />

fregate, l’Imogene e l’Andromache, per dare forza alle richieste del suo governo.<br />

Visto che l’inviato <strong>di</strong> quest’ultimo era stato trattato con <strong>di</strong>sprezzo e pesantemente<br />

insultato per tre ore, prima <strong>di</strong> essere messo alla porta, lord Napier or<strong>di</strong>nò alle due navi<br />

<strong>di</strong> entrare nell’estuario del Fiume delle Perle, dove si trovava Canton; le giunche da<br />

guerra si eclissarono senza combattere, e solo i forti cinesi aprirono il fuoco, ma le<br />

navi non risposero prima <strong>di</strong> arrivare alla minima <strong>di</strong>stanza, quin<strong>di</strong> lasciarono partire<br />

una serie <strong>di</strong> bordate che ne <strong>di</strong>strussero due, e, nel percorso <strong>di</strong> ritorno un terzo.<br />

Per rappresaglia, “ai primi del 1839 l’imperatore Tau Kuang mandò l’alto<br />

commissario Lin Tze-Hsu a Canton, con ampi poteri straor<strong>di</strong>nari. Con stupore degli<br />

Inglesi questo funzionario fu incorruttibile” 244 e decretò l’ass<strong>ed</strong>io delle raffinerie <strong>di</strong><br />

oppio e la loro successiva <strong>di</strong>struzione, imponendo poi ai commercianti europei che<br />

242 B. LUBBOCK. Op. cit. pag. 30.<br />

243 Ibid. pag. 112.<br />

244 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 18.<br />

186


“in avvenire le navi straniere potevano gettare l’ancora a Canton solo a con<strong>di</strong>zione<br />

che gli illustrissimi capitani garantissero per iscritto <strong>di</strong> non portare oppio a bordo” 245 .<br />

A questo punto, “la Gran Bretagna decise <strong>di</strong> intervenire <strong>di</strong>rettamente, e <strong>di</strong><strong>ed</strong>e<br />

inizio così alle ostilità. Le truppe inglesi sbarcarono in varie località della costa,<br />

occupando Canton, Shanghai e Ningbo (1839-1842). Il trattato <strong>di</strong> Nanchino del 1842,<br />

che pose fine alla prima guerra dell’oppio, costituì il primo dei cosiddetti trattati<br />

ineguali imposti alla Cina dalle potenze occidentali 246 . Fu nell’ambito <strong>di</strong> queste<br />

trattative <strong>di</strong> pace che l’isola <strong>di</strong> Hong-Kong fu c<strong>ed</strong>uta alla Gran Bretagna, il che spiega<br />

la persistenza cinese, negli ultimi decenni, per rientrare in suo possesso; analoghe,<br />

pesanti concessioni furono fatte agli Stati Uniti <strong>ed</strong> alla Francia due anni dopo.<br />

Gli effetti sull’economia del paese furono devastanti, avendo le clausole <strong>di</strong> questi<br />

trattati provocato un forte passivo della bilancia commerciale, e si ripercossero fino<br />

nelle campagne, dando luogo ad una serie <strong>di</strong> sollevazioni. In pratica, prima con<br />

l’oppio e poi con i trattati ineguali, l’<strong>Occidente</strong> aveva scar<strong>di</strong>nato il tessuto sociale del<br />

paese.<br />

La sollevazione più sanguinosa, una vera e propria “guerra civile, che costò la vita<br />

a circa 30 milioni” 247 <strong>di</strong> Cinesi, fu quella dei T’ai-p’ing, ad opera <strong>di</strong> un conta<strong>di</strong>no,<br />

Hung Hsiu-Ch’uan, un accanito fumatore <strong>di</strong> oppio, che frequentava la missione<br />

meto<strong>di</strong>sta <strong>di</strong> Ning-Po. Preso dalle convulsioni, durante la lettura della Bibbia, egli<br />

cominciò a delirare, e le sue parole sconnesse furono prese per profezie, effetto <strong>di</strong><br />

visioni.<br />

245 Ibid.<br />

246 B. LUBBOCK. Op. cit. pag.532.<br />

247 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 20.<br />

187


Ai numerosi cinesi accorsi, per sentire il nuovo profeta, Hung promise <strong>di</strong> fondare<br />

“il regno della grande pace in nome <strong>di</strong> mio <strong>fra</strong>tello maggiore, Gesù Cristo” 248 ,<br />

aggiungendo parole <strong>di</strong> fuoco contro l’imperatore, reo <strong>di</strong> appartenere alla <strong>di</strong>nastia<br />

degli usurpatori Manciù, che aveva spodestato i Ming, da circa 200 anni.<br />

Gli astanti, eccitati da queste parole, <strong>di</strong><strong>ed</strong>ero l’assalto ai magazzini del porto,<br />

“pieni zeppi <strong>di</strong> moderne armi e munizioni, (che) attendevano <strong>di</strong> essere trasportate<br />

nella provincia del Sze-ch’wan, la cui popolazione, in prevalenza musulmana, si era<br />

ribellata da tempo a Pechino” 249 .<br />

Nel 1852, la rivolta, alimentata da un’altra fornitura <strong>di</strong> moderni fucili a<br />

percussore, che erano in commercio da non più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni” 250 , si estese<br />

rapidamente. “Nanchino cadde nelle mani dei T’ai-p’ing il 19 marzo 1853. Fu<br />

formato un governo e Hung, che si era fatto chiamare Figlio del Cielo, si ins<strong>ed</strong>iò nel<br />

palazzo imperiale della <strong>di</strong>nastia dei Ming. Al comando dell’esercito era stato messo il<br />

“generale” Burlingame, <strong>di</strong> importazione americana, <strong>di</strong> professione avvocato. Ma i<br />

suoi soldati erano tutt’altro che <strong>di</strong>sciplinati: saccheggiavano, rapinavano,<br />

uccidevano” 251 .<br />

Questi eccessi spinsero i commercianti europei a rifornire <strong>di</strong> armi anche il governo<br />

cinese, tanto che, nel 1856, “le truppe imperiali, inviate da Pechino, riuscirono a<br />

spingersi verso sud. Molti ritennero giunta la fine per i ribelli, ma all’ultimo<br />

248 Ibid. pag. 24.<br />

249 Ibid.<br />

250 Ibid. pag. 25.<br />

251 Ibid.<br />

188


momento, Hung <strong>ed</strong> i suoi accoliti furono salvati dalla <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra degli<br />

alleati anglo-<strong>fra</strong>ncesi al governo imperiale <strong>di</strong> Pechino” 252 .<br />

Cos’era accaduto? Le autorità cinesi avevano iniziato una resistenza passiva<br />

all’applicazione delle clausole dei trattati; per reazione, “la Gran Bretagna e la<br />

Francia, insod<strong>di</strong>sfatte dei risultati ottenuti e desiderose <strong>di</strong> aprire il mercato cinese ai<br />

propri prodotti, approfittarono della situazione <strong>di</strong> debolezza in cui si trovava la<br />

<strong>di</strong>nastia per sferrare un nuovo attacco. Il pretesto fu offerto da due episo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

rilevanza limitata: l’arresto dell’equipaggio <strong>di</strong> una nave contrabban<strong>di</strong>era, da parte<br />

delle autorità cinesi, e la morte <strong>di</strong> un missionario <strong>fra</strong>ncese” 253 . Risale a quegli anni la<br />

penetrazione britannica nei regni della Birmania, vassalli della Cina, i cui ricorrenti<br />

<strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni minacciavano <strong>di</strong> estendersi all’In<strong>di</strong>a: alle occupazioni temporanee seguì, nel<br />

1886, l’annessione dell’intera regione.<br />

L’8 ottobre 1856 scoppiò quin<strong>di</strong> la cosiddetta “seconda guerra dell’oppio” il cui<br />

esito non era in dubbio: dopo una serie <strong>di</strong> sconfitte, ulteriori bombardamenti, lo<br />

sbarco e l’occupazione <strong>di</strong> Canton, il blocco <strong>di</strong> Tientsin e il saccheggio della stessa<br />

capitale Pechino, il governo cinese dovette venire a patti. Nel <strong>fra</strong>ttempo, come<br />

abbiamo visto, la Russia ne aveva approfittato per espandersi in Siberia fino al<br />

Pacifico. Dopo un primo trattato <strong>di</strong> pace, il 27 giugno 1858, le ostilità ripresero,<br />

(Terza guerra dell’oppio) quando i forti <strong>di</strong> Taku affondarono quattro cannoniere<br />

252 Ibid. pag. 29.<br />

253 LUBBOCK. Op. cit. pag. 542.<br />

189


inglesi. La pace fu finalmente raggiunta, dopo che il 13 ottobre 1860 gli anglo-<br />

<strong>fra</strong>ncesi avevano fatto “il loro ingresso vittorioso nella capitale dell’impero” 254 .<br />

Nel pieno del caos, conseguente all’ennesima dura sconfitta, nel 1861 salì al trono<br />

cinese, in modo piuttosto avventuroso, la concubina dell’imperatore Hsien-Feng, <strong>di</strong><br />

nomeTz’ŭ-Hsi, alla morte prematura <strong>di</strong> lui, si <strong>di</strong>ce stroncato dall’oppio. La nuova<br />

sovrana regnò a lungo, prima come reggente e dal 1897 come imperatrice, fino alla<br />

sua morte nel 1908, a 73 anni, venendo soprannominata il “Vecchio Buddha”; essa<br />

dovette anzitutto reprimere le due maggiori rivolte, quella islamica nel Sze–ch’wan,<br />

dove i ribelli vennero annientati, e quin<strong>di</strong> quella dei T’ai-p’ing, che fu stroncata<br />

nell’estate 1864, grazie ad un ufficiale britannico, il maggiore Charles George<br />

Gordon – che sarebbe poi morto a Khartum, nel 1885, durante la rivolta del Mah<strong>di</strong>.<br />

Egli riorganizzò l’esercito imperiale e lo guidò fino alle porte <strong>di</strong> Nanchino. Questa<br />

improvvisa collaborazione britannica, dopo anni <strong>di</strong> guerra, derivava dall’in<strong>di</strong>gnazione<br />

dell’opinione pubblica occidentale, scandalizzata dal fatto che la Gran Bretagna e la<br />

Francia fossero entrate in guerra per <strong>di</strong>fendere il commercio <strong>di</strong> una droga potente<br />

come l’oppio, che sconvolgeva il tessuto sociale cinese. Oggi, le stesse nazioni si<br />

battono in Afganistan per stroncare il commercio verso i loro paesi della stessa droga<br />

che avevano protetto e <strong>di</strong>ffuso un secolo e mezzo prima!<br />

L’avanzata <strong>di</strong> Gordon fu talmente irresistibile che, alla vista del nemico, Hung<br />

fece strangolare le sue sette mogli e bevve il veleno da una coppa. Ma solo nel 1866<br />

le ultime resistenze dei ribelli furono piegate.<br />

254 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 30.<br />

190


Consapevole dell’arretratezza tecnologica del paese, Tzŭ-Hsi incoraggiò i giovani<br />

“a stu<strong>di</strong>are nelle università estere. Chi avesse compiuto con profitto i suoi stu<strong>di</strong><br />

all’estero, al suo ritorno avrebbe avuto il titolo privilegiato <strong>di</strong> “Yang-han-ling” <strong>ed</strong><br />

avrebbe potuto abitare nel boschetto dei pennelli da inchiostro” 255 , il quartiere dei<br />

dotti. Se da una parte, questo provv<strong>ed</strong>imento ridusse drasticamente il <strong>di</strong>vario nella<br />

conoscenza tecnologica del paese, il suo effetto non atteso fu <strong>di</strong> ridestare “nei giovani<br />

cinesi anche la coscienza nazionale” 256 , aumentando il loro risentimento nei confronti<br />

della <strong>di</strong>nastia Manchù.<br />

La maggiore crisi internazionale <strong>di</strong> quel periodo, fu l’ulteriore scontro con la<br />

Francia, avvenuto venti anni dopo, e legato all’appoggio che la Cina forniva alla<br />

resistenza dei regni dell’Indocina, anch’essi vassalli del Celeste Impero, alla<br />

penetrazione <strong>fra</strong>ncese. Una squadra <strong>di</strong> quest’ultima nazione “bombardò il porto <strong>di</strong><br />

Kelung nell’isola <strong>di</strong> Formosa, che fu occupato il 6 agosto” 257 del 1884. Il comandante<br />

della squadra <strong>fra</strong>ncese, l’ammiraglio Courbet, risalì con le sue navi il fiume Min,<br />

dove si trova la città <strong>di</strong> Foo-Chow, e la bombardò, <strong>di</strong>struggendo anche le giunche da<br />

guerra cinesi, <strong>di</strong> caratteristiche nettamente inferiori; dopo quest’episo<strong>di</strong>o, i Francesi<br />

imposero per un anno il blocco navale all’isola <strong>di</strong> Formosa, finché la Cina non scese<br />

a patti, rinunciando ad appoggiare la resistenza in<strong>di</strong>pendentista dell’Indocina, con il<br />

trattato <strong>di</strong> Tianjin, come v<strong>ed</strong>remo parlando <strong>di</strong> quella penisola.<br />

Dove però l’imperatrice fallì fu nel favorire la penetrazione occidentale lungo le<br />

coste del paese, autorizzando Francia, Russia, Gran Bretagna e Germania a creare le<br />

255 Ibid. pag. 39.<br />

256 Ibid.<br />

257 G. MOLLI. La Marina antica e moderna. Ed. Donath, 1906, pag. 220.<br />

191


cosiddette “Concessioni”, delle enclaves costiere, che rimanevano sotto la sovranità<br />

nominale cinese, ma in pratica erano delle basi per la penetrazione dei prodotti<br />

industriali europei, fuori da qualsiasi controllo. Non vi furono quin<strong>di</strong> più ostacoli alle<br />

importazioni in Cina, con la conseguente <strong>di</strong>struzione dell’artigianato locale, e<br />

l’accelerazione della <strong>di</strong>sgregazione del tessuto sociale. Verso la fine del XIX secolo,<br />

“tutta la zona costiera e periferica era monopolizzata dalle gran<strong>di</strong> potenze” 258 , che si<br />

erano spartite il territorio della Cina, definendo le rispettive aree d’influenza.<br />

L’effetto <strong>di</strong> questo collasso generale furono il moltiplicarsi delle rivolte: “nel<br />

complesso, nel periodo 1860-1885 sono state calcolate più <strong>di</strong> un centinaio <strong>di</strong><br />

insurrezioni in Cina. La repressione <strong>di</strong> queste rivolte costò la vita a decine <strong>di</strong> milioni<br />

<strong>di</strong> persone” 259 . La Cina si era avviata ad un vero e proprio processo <strong>di</strong><br />

auto<strong>di</strong>struzione, reprimendo crudelmente i singoli moti, anziché canalizzare le<br />

energie della nazione verso una <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> ammodernamento, l’unica che avrebbe<br />

potuto farla uscire dalla crisi.<br />

A questi guasti compiuti sia dall’<strong>Occidente</strong> sia dalla leadership cinese, si aggiunse<br />

l’aggressione giapponese, che v<strong>ed</strong>remo tra poco, ma che ebbe il risultato <strong>di</strong> dare<br />

un’altra grave scossa al prestigio del regime imperiale. Questo era infatti colpevole <strong>di</strong><br />

aver praticato, per un tempo così lungo, una politica irrealistica sia all’interno, come<br />

abbiamo visto, cercando <strong>di</strong> mantenere il potere assoluto con la forza, sia verso<br />

l’<strong>Occidente</strong>, un approccio che potrebbe definirsi <strong>di</strong> “acquiescente <strong>di</strong>sprezzo”, basata<br />

sull’illusione <strong>di</strong> potersi, prima o poi, rinchiudere nel loro mondo <strong>di</strong> dorate illusioni: la<br />

258 M. SABATTINI e P. SANTANGELO. Op. cit pag. 545.<br />

259 Ibid. pag. 539.<br />

192


Cina era stata rimessa, volente o nolente, in contatto con il resto del mondo, e non se<br />

ne sarebbe più allontanata.<br />

“Il monito <strong>di</strong> Napoleone, <strong>di</strong> lasciar dormire il gigante cinese, fu gettato al vento<br />

dagli uomini <strong>di</strong> stato europei. Ma a quegli stranieri che avevano un’idea della forza<br />

del popolo cinese, risuonavano nelle orecchie le parole <strong>di</strong> un mandarino: ‘ci possono<br />

anche <strong>di</strong>vorare, ma non ci potranno mai <strong>di</strong>gerire” 260 .<br />

Questa era la situazione, quando Mahan pubblicò il libro “ The Problem of Asia”<br />

del quale abbiamo già commentato alcuni passi. È ora, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> v<strong>ed</strong>ere cosa egli<br />

scrisse sulla Cina, in termini <strong>di</strong> strategia. Sul piano geografico, l’autore osserva che<br />

“per la Cina, che fruisce <strong>di</strong> una frontiera marittima, questa è il mezzo più proficuo per<br />

promuovere il commercio – l’interscambio – m<strong>ed</strong>iante il quale nazioni che hanno una<br />

vita vigorosa sostengono e sviluppano la loro forza attraverso il contatto con le fonti<br />

esterne, che, a loro volta, si rinnovano” 261 .<br />

Questo è generalmente vero, anche se, purtroppo, “il governo e il popolo sono<br />

contenti <strong>di</strong> rimanere stazionari, non conoscendo e non desiderando il progresso.<br />

(Introducendo i cambiamenti), non si tratta, ovviamente, <strong>di</strong> togliere il possesso agli<br />

abitanti, cosa né praticabile né desiderabile” 262 . Infatti, lo scopo delle gran<strong>di</strong> potenze<br />

dovrebbe essere quello <strong>di</strong> “sviluppare la Cina attraverso i Cinesi, rinvigorirli <strong>ed</strong><br />

ispirare, anziché sostituire, le autorità esistenti” 263 .<br />

260 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 48:<br />

261 A. T. MAHAN. The Problem of Asia. Pag, 41.<br />

262 Ibid. pag. 59-60.<br />

263 Ibid. pag. 66.<br />

193


Anche se il Mahan qui <strong>di</strong>mostra un velato <strong>di</strong>sprezzo per i Cinesi, <strong>ed</strong> inoltre parla<br />

per peri<strong>fra</strong>si, egli si <strong>di</strong>mostra seriamente preoccupato dell’approccio occidentale,<br />

errato perché “non si può solo pensare ai soli vantaggi commerciali” 264 , <strong>ed</strong> avverte<br />

che “tutti i fattori (<strong>di</strong> situazione) devono essere considerati alla luce <strong>di</strong> un grande,<br />

inevitabile futuro, quando, risvegliati dalla consapevolezza del potere <strong>ed</strong> organizzati<br />

grazie all’appren<strong>di</strong>mento dei meto<strong>di</strong> europei, questi popoli, e specialmente la Cina,<br />

saranno in grado <strong>di</strong> avere un’influenza proporzionale alla loro massa, e<br />

domanderanno la loro fetta del vantaggio generale” 265 .<br />

In questa serie <strong>di</strong> passi, veramente profetici, visto cos’è accaduto nel XX secolo,<br />

l’autore riporta anche la posizione americana del tempo, nota come la “politica della<br />

porta aperta”, contraria alle Concessioni – anche se non avendo la forza per<br />

contrastare tutte le potenze europee, doveva accettarle – e soprattutto desiderosa <strong>di</strong><br />

cooptare il popolo cinese, anziché sfruttarlo. Questa politica, dopo numerosi tentativi<br />

finiti male, avrà finalmente l’applicazione nel 1972, durante la presidenza Nixon, e<br />

porterà alla attuale situazione della Cina. Non si può quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>re, almeno in questo<br />

caso, che gli Stati Uniti abbiano la memoria corta.<br />

Ma proprio nell’ambito della visione del “grande, inevitabile futuro” <strong>di</strong> cui aveva<br />

parlato, l’autore arriva a considerare che “non è desiderabile che una proporzione<br />

dell’umanità così grande, qual è quella cinese, sia animata da uno spirito unico e si<br />

muova come un sol uomo” 266 . All’epoca, si parlava del “pericolo giallo”, e sotto certi<br />

punti <strong>di</strong> vista se ne parla <strong>di</strong> nuovo ora; questo atteggiamento, favorevole ad una<br />

264 Ibid. pag. 92.<br />

265 Ibid. pag. 93.<br />

266 Ibid. pag. 103.<br />

194


sud<strong>di</strong>visione della Cina, o al minimo a “sperare, se non in una <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> governi,<br />

almeno in un forte antagonismo delle parti, impersonanti concezioni opposte della<br />

politica nazionale” 267 è stato tradotto in politica dall’<strong>Occidente</strong>, trent’anni dopo, con<br />

il supporto ai nazionalisti cinesi <strong>di</strong> Ciang Kai Shek, come v<strong>ed</strong>remo, senza peraltro<br />

avere un successo degno <strong>di</strong> nota.<br />

Dovendo fare una sintesi, prima <strong>di</strong> riprendere il nostro percorso, possiamo v<strong>ed</strong>ere<br />

da una parte il sistema politico, economico e sociale cinese che si era lasciato<br />

scar<strong>di</strong>nare dall’attivismo occidentale, contro la cui forza militare non era in grado <strong>di</strong><br />

opporsi, ma che era entrato in campo per gli atteggiamenti irrealistici <strong>ed</strong> ingiuriosi<br />

tenuti dalla leadership cinese nei confronti degli Occidentali, i quali non erano certo<br />

dei fior <strong>di</strong> gentiluomini, ma come tutti gli avventurieri erano la punta <strong>di</strong> lancia della<br />

penetrazione commerciale del mondo industrializzato, qualcosa che la Cina era stata<br />

la prima al mondo a poss<strong>ed</strong>ere, ma aveva lasciato andare in rovina.<br />

Il paragone che viene a mente è quello delle matrone romane, che mostravano il<br />

loro profondo, ma inutile, <strong>di</strong>sprezzo per i barbari, mentre questi ultimi strappavano<br />

loro i gioielli dalle orecchie. Ma neanche gli Occidentali erano esenti da critiche, per<br />

quanto riguarda la loro strategia: soprattutto gli Europei miravano ai guadagni a breve<br />

termine, senza aver cura <strong>di</strong> far crescere il mercato cinese, la cui sola <strong>di</strong>mensione<br />

avrebbe dovuto far riflettere. Furono gli Stati Uniti gli unici a capire questa verità e<br />

ad impostare un approccio, quello della “Porta Aperta” che produrrà i suoi risultati<br />

quando verrà attuata, dopo circa un secolo dalla sua concezione iniziale.<br />

267 Ibid.<br />

195


In definitiva, amb<strong>ed</strong>ue le parti, con i loro errori, avevano creato una situazione<br />

inestricabile, foriera <strong>di</strong> lutti e <strong>di</strong> incomprensioni profonde, la cui traccia si può v<strong>ed</strong>ere<br />

ancor oggi. Non a caso, recentemente, in un convegno internazionale, il capo<br />

delegazione cinese ha tenuto a fare la seguente osservazione <strong>di</strong> carattere generale: “la<br />

sola cosa peggiore <strong>di</strong> una inferiorità tecnologica è l’inferiorità del pensiero” 268 , <strong>fra</strong>se<br />

che suona come una sincera autocritica, sul piano storico.<br />

Come v<strong>ed</strong>remo, il Giappone, che si era trovato nelle stesse con<strong>di</strong>zioni, reagì<br />

<strong>di</strong>versamente, anche se, una volta riprese le sue forze, grazie ad un drastico e rapido<br />

ammodernamento della società e dell’economia, praticò una politica imperialista.<br />

Purtroppo, una volta raggiunto un livello <strong>di</strong> modernizzazione paragonabile a quello<br />

occidentale, si rivolse anch’esso verso la Cina, per ricavare i maggiori vantaggi<br />

possibili dalla debolezza del Celeste Impero.<br />

c)-La lunga guerra col Giappone e la rivoluzione comunista<br />

I Cinesi non <strong>di</strong>sprezzavano solo gli Occidentali; anche verso i Giapponesi il loro<br />

atteggiamento era analogo. Questi venivano chiamati “il popolo <strong>di</strong> nani delle isole del<br />

mare <strong>di</strong> Levante. Benché anch’essi <strong>di</strong> pelle gialla, agli occhi <strong>di</strong> TZ’Ŭ-HSI erano solo<br />

dei miserabili bastar<strong>di</strong> che avevano derubato la Cina” 269 .<br />

I primi segni dell’espansionismo giapponese si ebbero nel 1874, quando per li<br />

massacro dell’equipaggio <strong>di</strong> un mercantile nipponico, a Formosa, fu compiuta dal<br />

Giappone una feroce rappresaglia, che costrinse la Cina a pagare una forte indennità e<br />

268 An<strong>ed</strong>doto citato dal Generale John MATTIS, SAC-T, l’8 maggio 2009 al Multiple Futures Seminar.<br />

269 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 43.<br />

196


che portò all’annessione, nel 1879, della lunga catena <strong>di</strong> isole <strong>fra</strong> quest’ultima <strong>ed</strong> il<br />

Giappone, l’arcipelago delle Ryu-Kyu, la cui isola maggiore è Okinawa.<br />

Iniziò, subito dopo, la penetrazione giapponese in Corea. Il primo tentativo ebbe<br />

luogo nel 1876; “ un trattato impari venne firmato tra il Giappone e la Corea” 270 , che<br />

finora era rimasta nell’orbita economica della Cina. Un tentativo coreano, appoggiato<br />

dal Giappone, <strong>di</strong> ammodernamento della società, contro il governo filo-cinese <strong>di</strong><br />

Seul, fu stroncato nel 1884 dalle truppe cinesi, che invasero il paese e ripristinarono<br />

l’or<strong>di</strong>ne con i soliti crudeli sistemi, ottenendo anche il ritiro dalla Corea delle truppe<br />

straniere.<br />

Il Giappone, la cui popolazione era in continua crescita, dovette attendere, anche<br />

perché la modernizzazione delle sue Forze Armate non era ancora completata. Una<br />

volta pronto, nel 1894, un’ulteriore rivolta gli fornì l’occasione per intervenire,<br />

invadendo la Corea. Decisiva, nella lotta, fu la <strong>di</strong>fferente qualità delle rispettive<br />

Marine. “le ostilità ebbero principio il 25 luglio, (quando) la squadra volante<br />

giapponese si portò innanzi <strong>di</strong> Asan, porto coreano in mano dei cinesi” 271 .<br />

Nel porto vi erano tre navi da guerra cinesi, che uscirono prontamente in mare,<br />

“collo scopo <strong>di</strong> coprire dei trasporti <strong>di</strong> truppe provenienti da Taku e incontrarono così<br />

la squadra nipponica. Erano le nove del mattino e la guerra non era stata ancora<br />

<strong>di</strong>chiarata” 272 . Le navi cinesi, inferiori <strong>di</strong> numero e meno addestrate, ebbero la peggio<br />

e dovettero ritirarsi, consentendo al nemico <strong>di</strong> intercettare <strong>ed</strong> affondare un mercantile<br />

inglese, noleggiato, il Kowshing, che trasportava truppe cinesi, cui erano affiancati<br />

270 R. CALVET. Storia del Giappone e dei Giapponesi. Ed. Lindau, 2007, pag. 328.<br />

271 G. MOLLI. Op. cit. pag. 268.<br />

272 Ibid.<br />

197


dei consiglieri militari europei. In questo episo<strong>di</strong>o, i Giapponesi fecero strage <strong>di</strong><br />

soldati nemici, con le mitragliere, e si preoccuparono solo <strong>di</strong> salvare i nau<strong>fra</strong>ghi<br />

europei, tanto che solo i cinesi in grado <strong>di</strong> nuotare riuscirono a salvarsi, raggiungendo<br />

la costa.<br />

Anche a causa della <strong>di</strong>fficoltà ad inviare rinforzi e rifornimenti dalla madrepatria,<br />

l’esercito cinese subì una serie <strong>di</strong> sconfitte, tanto che il governo cinese decise <strong>di</strong><br />

radunare un grande convoglio, e <strong>di</strong> farlo scortare da tutta la squadra navale del nord,<br />

al comando dell’ammiraglio Ting, “uomo valoroso, ma che aveva fatto, <strong>di</strong>cesi, la sua<br />

carriera nella cavalleria, dove toccò il grado <strong>di</strong> generale” 273 . Il convoglio partì il 16<br />

settembre 1894, arrivando felicemente a destinazione, all’imboccatura del fiume<br />

Yalu, che oggi segna il confine <strong>fra</strong> la Cina e la Corea del Nord. Ma il giorno<br />

successivo si presentò la squadra navale giapponese, al gran completo.<br />

Ne scaturì la battaglia dello Yalu, in cui le sole navi cinesi che sopravvissero<br />

erano due vecchie corazzate, mentre il resto della squadra andò <strong>di</strong>strutto. Questo rese<br />

i Giapponesi padroni del mare, consentendo loro <strong>di</strong> sbarcare nella baia <strong>di</strong> Talien, <strong>ed</strong><br />

ass<strong>ed</strong>iando Port Artur. Caduta questa città, i Giapponesi passarono ad attaccare il<br />

porto cinese <strong>di</strong> Wei-hai Wei, la base navale del nemico nel nord, effettuando una<br />

serie <strong>di</strong> attacchi in porto con le torp<strong>ed</strong>iniere, <strong>ed</strong> affondando una delle due corazzate<br />

nemiche. Nel <strong>fra</strong>ttempo, l’esercito cinese il quale, a parte la sua inferiorità <strong>di</strong><br />

armamento, era rimasto isolato e privo <strong>di</strong> rifornimenti, non fu più in grado <strong>di</strong> resistere<br />

al nemico.<br />

273 Ibid. pag. 261.<br />

198


La pace fu chiesta il 12 febbraio 1895, e <strong>di</strong><strong>ed</strong>e luogo al trattato <strong>di</strong> Shimonoseki,<br />

nel quale la Cina dovette c<strong>ed</strong>ere, oltre al “pr<strong>ed</strong>ominio <strong>di</strong> fatto sulla Corea, la penisola<br />

del Liaodong, Taiwan e le (isole) Pescadores” 274 . Poiché, peraltro, il Liaodong, anche<br />

detto Kuang Tung, costituiva l’accesso marittimo alla Manciuria, sulla quale le<br />

potenze avevano accettato la preminenza dell’influenza russa, il Giappone fu da<br />

queste costretto a c<strong>ed</strong>ere la penisola, che successivamente lo zar, durante la rivolta<br />

dei Boxer, fece occupare dalle sue truppe, facendovi anche arrivare un ramo della<br />

transiberiana; la Russia, inoltre, fortificò Port Artur, trasformandolo nella base navale<br />

principale della sua flotta dell’Estremo <strong>Oriente</strong>.<br />

La rivolta dei Boxer fu la manifestazione della crescente xenofobia che pervadeva<br />

ormai larghi strati della società cinese: “il movimento rispecchiava innanzi tutto la reazione<br />

degli strati rurali contro l’espansione imperialista giapponese e contro i privilegi delle missioni<br />

cristiane, su cui la popolazione conta<strong>di</strong>na, immiserita dalla <strong>di</strong>sgregazione dell’economia<br />

tra<strong>di</strong>zionale, concentrava tutti i suoi rancori. Ma nel 1899 i Boxer passarono dalla parte dei Qing (la<br />

<strong>di</strong>nastia imperiale) che vennero presentati come i tutori della tra<strong>di</strong>zione, e concentrarono la lotta<br />

contro gli stranieri. La stessa imperatrice Cixi, che sino ad allora aveva tenuto un atteggiamento<br />

ambiguo nei confronti dei Boxer, il 21 giugno 1900 <strong>di</strong>chiarò guerra alle potenze” 275 .<br />

Inutile <strong>di</strong>re che bastò a queste ultime un contingente <strong>di</strong> 16.000 soldati ben armati<br />

per arrivare a Pechino e liberare le Legazioni che erano state ass<strong>ed</strong>iate; purtroppo,<br />

dopo la vittoria, i soldati saccheggiarono le maggiori metropoli del Settentrione,<br />

<strong>di</strong>struggendo anche numerosi villaggi e massacrandone la popolazione civile” 276 .<br />

274 M. SABATTINI e P. SANTANGELO. Op. cit. pag. 544.<br />

275 Ibid. pag. 546.<br />

276 Ibid. pag. 547.<br />

199


In mezzo a tutta questa feroce lotta, passò logicamente inosservata la fondazione,<br />

da parte <strong>di</strong> un intellettuale cinese, Sun Yat-sen, dell’Associazione per la Rinascita<br />

della Cina, nel 1894. Il movimento avrebbe costituito il primo motore<br />

dell’ammodernamento del paese, negli anni successivi.<br />

La guerra che seguì, <strong>fra</strong> il Giappone e la Russia, portò alla pace <strong>di</strong> Portsmouth, il<br />

quale, “pur riconoscendo la sovranità cinese sulla Manciuria (stabiliva l’evacuazione<br />

delle truppe del Giappone e della Russia dalla regione), decretava <strong>di</strong> fatto la<br />

preminenza giapponese nel Nord-Est. Esso infatti riconosceva il preminente interesse<br />

del Giappone sulla Corea, e assicurava il controllo economico <strong>di</strong> Tokyo sulla<br />

Manciuria Meri<strong>di</strong>onale (subentrando il Giappone alla Russia nel controllo della<br />

ferrovia)” 277 .<br />

Questa serie ininterrotta <strong>di</strong> sconfitte, <strong>di</strong> concessioni e <strong>di</strong> rivolte interne non poteva<br />

non indurre l’imperatrice ad avviare un processo <strong>di</strong> riforma, anche se ormai era<br />

troppo tar<strong>di</strong>: l’istituzione imperiale aveva perso il suo prestigio agli occhi del popolo.<br />

Oltretutto, la sua morte, nel 1908, creò un vuoto politico. Il successore era Hsüan<br />

T’ung, un bimbo <strong>di</strong> due anni, e la reggenza fu tenuta dal principe imperiale Chun,<br />

insieme all’imperatrice v<strong>ed</strong>ova (del figlio <strong>di</strong> Tz’ŭ-Hsi, da lei spodestato nel 1897 e<br />

morto dopo poco). All’incarico <strong>di</strong> Primo Ministro era stato peraltro nominato un<br />

uomo saggio e preparato, il generale Yüan Shih-K’ai, che “si adoperò con tutti i<br />

mezzi per arrestare m<strong>ed</strong>iante riforme la rivoluzione che già era nell’aria, ma ormai<br />

era troppo tar<strong>di</strong>” 278 , anche perché il reggente, ingelosito dall’influenza che questi<br />

277 Ibid. pag. 547.<br />

278 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 49.<br />

200


aveva accumulato nel tempo, riformando e ammodernando l’esercito del nord, e<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrandosi uno statista capace, lo aveva allontanato dalla carica nel 1909.<br />

I rivoluzionari erano, in maggioranza, dei membri <strong>di</strong> società segrete, giovani<br />

ufficiali e loro compatrioti che avevano stu<strong>di</strong>ato all’estero, come Sun Yat-sen e<br />

Liang Ch’i-Ch’ao, <strong>ed</strong> erano stati più volte costretti all’esilio, per le persecuzioni<br />

subìte dal regime imperiale. Nel loro modernismo, peraltro, questi ultimi avevano<br />

adattato le dottrine politiche occidentali alla situazione cinese: “per esempio, quando<br />

furono tradotti i classici del liberalismo occidentale, il traduttore sottolineò il valore<br />

dei princìpi liberali non per garantire le libertà in<strong>di</strong>viduali sotto l’impero della legge,<br />

ma per costruire la ricchezza e la potenza della nazione attraverso gli energici sforzi<br />

che ogni in<strong>di</strong>viduo fa per realizzare sé stesso” 279 . Nelle <strong>di</strong>spute sui <strong>di</strong>ritti umani e<br />

sulla libertà <strong>di</strong> espressione, che <strong>di</strong>vidono oggi la Cina <strong>ed</strong> i paesi occidentali, possiamo<br />

v<strong>ed</strong>ere un riflesso dell’approccio prevalente già in quegli anni <strong>di</strong> fine XIX secolo.<br />

Il personaggio che spiccava su tutti era Sun Yat-sen, laureato in m<strong>ed</strong>icina a Hong-<br />

Kong, e convertitosi alla rivoluzione, per la quale girava il mondo ormai da oltre un<br />

decennio, raccogliendo sussi<strong>di</strong> tra gli emigrati cinesi; il suo programma politico,<br />

pubblicato nel 1905 a Bruxelles, si riassumeva nei “Tre princìpi del Popolo”,<br />

“tradotti molto imperfettamente con nazionalismo, sovranità del popolo e benessere<br />

del popolo. Ma riducendoli a semplice formula, il senso dei tre princìpi si potrebbe<br />

definire con queste parole: i molti popoli della Cinadebbono sentirsi un popolo solo.<br />

Questo grande e potente popolo si deve governare da sé. Le ricchezze del sottosuolo<br />

279 J. K. FAIRBANK. Storia della Cina Contemporanea. Ed. Rizzoli, 1988, pag. 194.<br />

201


della nazione debbono andare interamente a beneficio del popolo” 280 . Lo stesso<br />

anno, egli fondò il suo movimento, la Con<strong>fra</strong>ternita Giurata, che poi <strong>di</strong>venterà un<br />

partito, il Kuomingtang, che avrà un ruolo preminente sotto il suo assistente, il<br />

“maresciallo” Chiang Kai-Shek, il cui unico titolo nel settore era la frequenza <strong>di</strong> una<br />

accademia militare giapponese.<br />

Senza che il governo potesse opporsi efficacemente, essendo pesantemente<br />

infiltrato dai rivoluzionari, questi ultimi poterono accumulare gran<strong>di</strong> quantitativi <strong>di</strong><br />

armi, grazie all’appoggio <strong>di</strong> nazioni straniere, <strong>fra</strong> cui il Giappone e la Russia. Fu<br />

proprio un incidente, legato alla fornitura <strong>di</strong> armi da parte <strong>di</strong> quest’ultima che<br />

precipitò gli eventi.<br />

Il 10 ottobre 1911, nella concessione russa <strong>di</strong> Han-kow, si verificò una forte<br />

esplosione, causata dallo scoppio delle munizioni accumulate in un capannone dal<br />

governo russo a beneficio dei rivoluzionari. La causa era stata una maldestra<br />

manipolazione degli esplosivi da parte <strong>di</strong> un cinese, ma il maggiore Petrov,<br />

comandante militare della concessione, insistette con il capo della polizia locale che<br />

si trattava <strong>di</strong> un attentato; questi compì le indagini, inviando a colpo sicuro alcuni<br />

poliziotti nella s<strong>ed</strong>e dei “Fratelli Giurati”, e scoprendo la lista dei rivoluzionari della<br />

regione.<br />

Non potendo proc<strong>ed</strong>ere a tanti arresti, il capo della polizia si rivolse al governatore<br />

militare, Li Yüan-Hung; ma i rivoluzionari “avevano messi le loro spie dappertutto,<br />

anche <strong>fra</strong> i più stretti collaboratori del capo della polizia.Perciò ben presto furono<br />

280 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 64-65.<br />

202


informati che era imminente un’ondata <strong>di</strong> arresti. Costretti dagli eventi, decisero <strong>di</strong><br />

intraprendere una fuga in avanti e <strong>di</strong> dar battaglia subito. Anch’essi si rivolsero a Li<br />

Yüan-Hung” 281 attraverso i loro con<strong>fra</strong>telli militari e lo convinsero, dopo avrlo<br />

scovato sotto un letto, a firmare un documento che invitava gli altri governatori<br />

regionali a unirsi nella lotta contro i Manchù.<br />

“Il fuoco rivoluzionario, <strong>di</strong>vampato in seguito all’esplosione, si propagò come<br />

l’incen<strong>di</strong>o in una steppa. Dopo cinque settimane, <strong>di</strong> ventuno provincie, <strong>di</strong>ciassette<br />

erano nelle mani degli insorti” 282 , il che rese loro possibile proclamare a Nanchino la<br />

Repubblica, il 29 <strong>di</strong>cembre 1911. Alla presidenza fu eletto, logicamente, Sun Yat-sen<br />

che assunse la carica il 1° gennaio 1912.<br />

Ma, come abbiamo visto, le numerose provincie del paese erano <strong>di</strong> fatto<br />

controllate dai generali, i quali poi furono chiamati “i Signori della Guerra”. Questo<br />

fenomeno della classe militare che affermava il suo potere nella periferia, proliferò<br />

costituendo, nei decenni successivi, un ulteriore fattore <strong>di</strong> <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a interna e <strong>di</strong><br />

debolezza internazionale.<br />

In realtà, la rivoluzione era stata soprattutto un’espressione del sud del paese;<br />

come un collaboratore <strong>di</strong>sse a Sun Yat-sen, durante i giorni cal<strong>di</strong> della rivoluzione, “il<br />

nord sta compatto contro <strong>di</strong> noi. La linea <strong>di</strong> demarcazione è lo Yang-tze-kiang. Sun<br />

Yat-sen capì: con questa rivoluzione si era riaperto l’annoso contrasto <strong>fra</strong> Cina del<br />

281 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 52.<br />

282 Ibid. pag. 53.<br />

203


Nord e Cina del Sud” 283 . Fu proprio <strong>di</strong> questo contrasto che i generali finirono per<br />

essere l’espressione.<br />

Per sventare il pericolo <strong>di</strong> una scissione, il 14 febbraio 1912, Sun Yat-sen si<br />

<strong>di</strong>mise e favorì l’elezione alla Presidenza <strong>di</strong> Yüan Shih-K’ai, l’ex Primo Ministro<br />

imperiale, che risi<strong>ed</strong>eva a Pekino, <strong>ed</strong> il cui “Esercito del Nord” gli permetteva <strong>di</strong><br />

controllare quella parte del paese. Ma il governo centrale non riuscì ad incanalare le<br />

energie rivoluzionarie verso una rinascita del paese.<br />

La debolezza estrema del governo centrale fu sfruttata prima dalla Mongolia<br />

Esterna per proclamare l’in<strong>di</strong>pendenza nel 1911, con l’appoggio russo, quin<strong>di</strong> dal<br />

Tibet, che spinto dalla Gran Bretagna compì lo stesso passo due anni dopo. In<br />

amb<strong>ed</strong>ue i casi, furono negoziati degli accor<strong>di</strong> secondo i quali la Cina non<br />

riconosceva l’in<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> questi territori, conservando quin<strong>di</strong> una sovranità<br />

nominale su <strong>di</strong> essi. Le truppe russe occupavano anche una parte della Manciuria e<br />

tutto il Sinkiang.<br />

Questo spiega l’estrema attenzione dell’attuale governo cinese verso l’unità<br />

territoriale del paese. V<strong>ed</strong>remo infatti, nel 1951, la Cina rioccupare il Tibet,<br />

profittando della fine dell’Impero Britannico; la potenza russa, invece, ha finora<br />

imp<strong>ed</strong>ito alla Cina <strong>di</strong> riprendersi la Mongolia Esterna, mentre sono gli USA ad<br />

imp<strong>ed</strong>ire la riconquista <strong>di</strong> Taiwan.<br />

Ma, tornando agli inizi della Repubblica, l’evento più traumatico fu l’iniziativa del<br />

Giappone, nel 1915, con il beneplacito dell’Intesa, che formulò le cosiddette<br />

283 Ibid. pag. 69.<br />

204


“Ventuno Richieste, un vero e proprio ultimatum che imponeva il riconoscimento<br />

degli interessi giapponesi nella Mongolia Interna, in Manciuria, nello Shandong, nelle<br />

provincie costiere sud-orientali e nella valle dello Yangzi, e pretendeva che<br />

consiglieri giapponesi venissero collocati ai vertici dell’amministrazione e<br />

dell’esercito” 284 .<br />

Con questo sistema, il Giappone penetrava sempre più in Cina, assumendo il<br />

controllo <strong>di</strong> fatto del paese, <strong>ed</strong> alleandosi con la Triplice Intesa, il che gli consentì <strong>di</strong><br />

occupare la Concessione t<strong>ed</strong>esca <strong>di</strong> Tsing-tao, oltre ad alcuni <strong>fra</strong> i poss<strong>ed</strong>imenti<br />

insulari che quella potenza poss<strong>ed</strong>eva nel Pacifico, allo scoppio delle ostilità in<br />

Europa.<br />

Anche la Cina, spinta dagli Alleati, <strong>di</strong>chiarò guerra agli Imperi Centrali il 14<br />

agosto 1917, dopo aver ricevuto dal presidente americano Woodrow Wilson la<br />

promessa che a fine guerra le sarebbe stata restituita Tsing-tao, peraltro già promessa<br />

ai Giapponesi in via definitiva. Fu proprio la scoperta, nel 1919, che gli Alleati non<br />

avevano intenzione <strong>di</strong> mantenere la parola, a spingere gli studenti universitari <strong>di</strong><br />

Pechino a sollevarsi, il 4 maggio <strong>di</strong> quell’anno, dando inizio ad un lungo periodo <strong>di</strong><br />

turbolenze, durante le quali emerse il neonato Partito Comunista Cinese, fondato a<br />

Shang-hai nel 1921 sotto la <strong>di</strong>retta supervisione <strong>di</strong> delegati europei del Comintern.<br />

Quello che rimaneva della Cina, dopo le secessioni <strong>di</strong> Moongolia Esterna e Tibet, e<br />

per effetto dei “Signori della Guerra”, era sostanzialmente un paese spaccato in due.<br />

284 M. SABATTINI, P. SANTANGELO. Op. cit. pag. 577.<br />

205


In questo caos, nel 1923 Sun Yat-sen tornò a Canton per riorganizzare il<br />

Kuomingtang, con l’aiuto <strong>di</strong> consiglieri sovietici, e “costituì il governo nazionalista<br />

(la cosiddetta Repubblica Cinese Meri<strong>di</strong>onale). Il suo successore, Chiang Kai-shek,<br />

guidò nel 1926 la Sp<strong>ed</strong>izione del Nord da Canton verso lo Yang-tze; si volse poi<br />

contro i comunisti e creò a Nanchino un governo nazionalista <strong>di</strong> destra” 285 nel 1928;<br />

da Nanchino, con una serie <strong>di</strong> campagne militari, egli ristabilì lentamente un<br />

sufficiente grado <strong>di</strong> controllo centralizzato nel paese, nel 1937.<br />

Nel <strong>fra</strong>ttempo, la pressione giapponese non si era allentata: nel 1931 era avvenuta<br />

l’occupazione della Manciuria, e nel 1932 i Giapponesi avevano bombardato<br />

Shanghai. Malgrado questo, Ciang Kai-shek continuò a dare la priorità alla lotta<br />

contro i comunisti. La sua <strong>fra</strong>se: “i Giapponesi sono una malattia della pelle, i<br />

comunisti sono una malattia del cuore” 286 , è rimasta celebre; fu l’ex Signore della<br />

Guerra della Manciuria, Zhang Xueliang, “che era stato costretto dai giapponesi a<br />

ripiegare a sud della Grande Muraglia, a costringere il “generalissimo” a perseguire<br />

una politica <strong>di</strong> unione nazionale, comprendente anche i comunisti, in funzione anti-<br />

giapponese.<br />

Questo era un pericolo per l’espansione giapponese nella Cina, <strong>ed</strong> il governo <strong>di</strong><br />

Tokyo reagì, iniziando le ostilità. Il nord della Cina venne occupato, malgrado la<br />

forte resistenza cinese, e quin<strong>di</strong> furono prese Shanghai e la stessa Nanchino, <strong>di</strong>venuta<br />

la nuova capitale, che fu saccheggiata, in un bagno <strong>di</strong> sangue; il governo cinese, che<br />

l’aveva abbandonata poco prima dell’attacco, si ritirò verso l’interno.<br />

285 J. K. FAIRBANK. Op. cit. pag. 234.<br />

286 Ibid. pag. 600.<br />

206


Va detto che il principale sostegno a quest’ultimo venne, a partire dal 1941, dagli<br />

Stati Uniti, i quali, oltre a fornire armamenti e denaro, giunsero ad organizzare una<br />

piccola forza aerea <strong>di</strong> volontari le cosiddette Flying Tigers, i cui attacchi ridussero la<br />

progressione giapponese verso l’interno della Cina, e contribuì alla sconfitta<br />

dell’esercito nipponico a Taierzhuang, nell’aprile 1938.<br />

Con la conquista <strong>di</strong> Canton, da parte giapponese, si creò una situazione destinata a<br />

durare a lungo, con gli invasori che controllavano la fascia costiera, e gli<br />

in<strong>di</strong>pendentisti all’interno del paese, troppo vasto per essere conquistato dal nemico.<br />

Mentre gli in<strong>di</strong>pendentisti avevano eletto, come loro capitale, Chongqing, nel<br />

Sichuan, sull’alto corso del fiume Yang-tse-Kiang, un governo filo-giapponese si<br />

installò a Nanchino, retto da Wang Jingwei.<br />

Nella visione <strong>di</strong> quest’ultimo, il nazionalismo doveva “lasciare il posto ad un<br />

panasiatismo, che v<strong>ed</strong>eva nell’alleanza tra Cina e Giappone uno strumento per<br />

abbattere definitivamente l’imperialismo occidentale in Asia” 287 . Questa visione, in<br />

realtà, non era altro che un corollario della dottrina giapponese della cosiddetta “Sfera<br />

<strong>di</strong> co-prosperità”, un’Asia libera dagli influssi occidentali <strong>ed</strong> in grado <strong>di</strong> svilupparsi e<br />

progr<strong>ed</strong>ire autonomamente. Peraltro, abbiamo visto che un’eventuale unione cino-<br />

giapponese era stata già considerata dal Mahan come un fattore che avrebbe creato un<br />

centro <strong>di</strong> potere soverchiante, il cosiddetto “pericolo giallo”.<br />

Di fatto, le esigenze delle continue guerre, cui si aggiungerà la Seconda Guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale, per non parlare della <strong>di</strong>pendenza alimentare giapponese dalle importazioni<br />

287 Ibid. pag. 602.<br />

207


<strong>di</strong> riso, costrinsero il Giappone a saccheggiare la Cina, provocando carestie <strong>ed</strong> un<br />

sempre più <strong>di</strong>ffuso malcontento <strong>fra</strong> la popolazione. Gli stessi Alleati, durante la<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale, cercarono <strong>di</strong> utilizzare il regime nazionalista per il loro fine, la<br />

sconfitta del Giappone, non contribuendo certo alla conquista dei cuori e delle menti,<br />

da parte <strong>di</strong> Ciang Kai-shek.<br />

Quest’ultimo, invece, “era ormai deciso ad attendere la fine della guerra,<br />

conservando e rinforzando il più possibile le proprie forze, convinto che la partita<br />

decisiva sarebbe stata giocata dopo la cacciata dei Giapponesi ad opera degli<br />

alleati” 288 , atteggiamento che lo mise in conflitto con questi ultimi, <strong>ed</strong> in particolare<br />

con il generale americano Stillwell, il suo principale consigliere militare, e capo delle<br />

forze americane che appoggiavano i cinesi.<br />

Fra i partiti coalizzati, quello comunista, grazie alla guerra, si rafforzò<br />

notevolmente al nord, risparmiando anch’esso le proprie forze e ricorrendo<br />

“principalmente ad azioni <strong>di</strong> guerriglia, evitando qualsiasi scontro frontale” 289 .<br />

L’invasione sovietica della Manciuria, nel 1945, rafforzò questi ultimi, che si<br />

impossessarono delle armi giapponesi, risultate poi preziose nella guerra civile, che<br />

portò alla vittoria comunista <strong>ed</strong> alla fuga <strong>di</strong> Ciang Kai-shek a Formosa. L’artefice del<br />

trionfo comunista, già celebre come stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> strategia militare, era Mao Z<strong>ed</strong>ong<br />

(1893-1976).<br />

Fu infatti lui, in mezzo alle <strong>di</strong>fficoltà della guerra civile e della successiva<br />

invasione giapponese, ad organizzare le forze comuniste, totalmente inesperte, <strong>ed</strong> a<br />

288 Ibid. pag. 603.<br />

289 Ibid. pag. 604.<br />

208


guidarle nei momenti <strong>di</strong>fficili come in quelli del successo, fino alla conquista del<br />

potere <strong>ed</strong> alla sua successiva <strong>di</strong>ttatura, durata fino alla sua morte.<br />

Nel suo pensiero militare, viene inevitabilmente approfon<strong>di</strong>ta “la logica della<br />

guerra del debole contro il forte, che è poi la base della dottrina della guerriglia, che<br />

allo stesso tempo implica mezzi militari e mezzi psicologici” 290 . La sua conoscenza<br />

dei classici militari cinesi, dai quali egli fu influenzato, allontana la sua dottrina dalle<br />

impostazioni prettamente marxiste, e ne fa una versione moderna del pensiero<br />

strategico nazionale.<br />

L’obiettivo principale <strong>di</strong> Mao è classico, quasi confuciano, anche se egli <strong>di</strong>chiarò<br />

<strong>di</strong> o<strong>di</strong>are il Confucianesimo, perché suo padre non faceva altro che citare aforismi del<br />

grande pr<strong>ed</strong>icatore: “conquistare e mantenere il potere. Tutto viene subor<strong>di</strong>nato a<br />

questo obiettivo, perché, nella tra<strong>di</strong>zione cinese, la conservazione del potere è il<br />

segno manifesto della benevolenza del Cielo” 291 . Oltre a questo, l’aspetto più<br />

innovativo consiste nella teorizzazione delle operazioni <strong>di</strong> guerriglia, che per la prima<br />

volta trovano una collocazione sistematica all’interno della scienza strategica.<br />

Il primo caposaldo della sua dottrina della guerriglia riguarda la conservazione<br />

della forza, evitando la battaglia decisiva, anche a costo <strong>di</strong> essere costretti ad una<br />

interminabile ritirata strategica, quale fu la Lunga Marcia:<br />

“cos’è la <strong>di</strong>sfatta per l’Armata Rossa? Se ci si mette sul terreno della strategia, non si può<br />

definire la <strong>di</strong>sfatta se non come lo scacco totale <strong>di</strong> una contro-campagna; inoltre, questa <strong>di</strong>sfatta non<br />

è che parziale e temporanea. La ragione è che solo il completo annientamento dell’Armata Rossa<br />

290 A. CORNELI (a cura <strong>di</strong>). Op. cit. Pag. 63.<br />

291 Ibid.<br />

209


costituirebbe una sconfitta totale nella guerra civile. Noi consideriamo (queste sconfitte parziali)<br />

come la continuazione della nostra <strong>di</strong>fensiva, e l’inseguimento condotto dal nostro avversario come<br />

la continuazione della sua offensiva. La guerra civile in Cina non conosce che due forme<br />

fondamentali <strong>di</strong> combattimento: l’offensiva e la <strong>di</strong>fensiva.<br />

La sconfitta strategica (dell’avversario) risi<strong>ed</strong>e nel fatto che noi abbiamo <strong>di</strong>stutto la sua<br />

campagna <strong>di</strong> accerchiamento e <strong>di</strong> annientamento, che la nostra <strong>di</strong>fensiva si è trasformata in<br />

offensiva, che l’avversario, a sua volta, è passato alla <strong>di</strong>fensiva, e si è visto costretto a ricostituire le<br />

sue forze prima <strong>di</strong> scatenare una nuova campagna” 292 .<br />

Quin<strong>di</strong>, una ritirata strategica non è altro che una fase della <strong>di</strong>fensiva, che la<br />

guerra rivoluzionaria deve prev<strong>ed</strong>ere, pur essendo intrinsecamente offensiva. Il<br />

principio fondamentale, che Mao vuole riba<strong>di</strong>re, è che la guerra rivoluzionaria non ha<br />

territori o posizioni da <strong>di</strong>fendere, o per lo meno questo genere <strong>di</strong> obiettivi rimane<br />

secondario rispetto all’esigenza principale <strong>di</strong> mantenere viva la fiamma rivoluzionaria<br />

e salvaguardare la coesione delle forze. Il fatto che Mao sia riuscito ad ottenere<br />

questo risultato, ritirandosi per 10.000 km fin nell’interno della Cina, quasi ai confini<br />

con la Siberia, è l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> quella “esclusività <strong>di</strong> uno scopo (che) è il segreto <strong>di</strong> un<br />

grande successo” 293 , come osservava Napoleone.<br />

Soprattutto, per Mao, quello che importa in questo tipo <strong>di</strong> guerra è: “<strong>di</strong>fendersi al<br />

fine <strong>di</strong> attaccare, ritirarsi al fine <strong>di</strong> avanzare, attaccare <strong>di</strong> fianco per realizzare un attacco frontale, e<br />

fare delle deviazioni al fine <strong>di</strong> prendere il cammino <strong>di</strong>retto – tutto questo è inevitabile nel processo<br />

<strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> numerosi fenomeni <strong>ed</strong> a maggior ragione nelle operazioni militari. Il punto <strong>di</strong> vista<br />

292 MAO. Écrits Militaires. Ed. Repubblica Popolare Cinese, Pechino, 1964. pgg.109-110.<br />

293 A. T. MAHAN. <strong>Strat</strong>egia Navale. Ed. Forum <strong>Relazioni</strong> Internazionali, 1997. Vol. I pag. 61.<br />

210


degli opportunisti <strong>di</strong> sinistra, che si opponevano meccanicamente al ricorso alla <strong>di</strong>fensiva in guerra,<br />

non era altro che puerile ingenuità” 294 .<br />

Questa flessibilità nello sventare le mosse dell’avversario con la manovra e con le<br />

<strong>di</strong>versioni, badando a non essere agganciati dal nemico in una battaglia decisiva, <strong>ed</strong> a<br />

<strong>di</strong>sorientarlo circa i nostri movimenti, vale a maggior ragione nelle azioni <strong>di</strong> contrasto<br />

alle sue azioni. Infatti, secondo Mao: “fin dal 1928, i principi fondamentali della<br />

guerra partigiana, principi ru<strong>di</strong>mentali ma corrispondenti alla situazione dell’epoca<br />

erano già stati elaborati. Essi erano espressi in questa formula: il nemico avanza, noi<br />

indetreggiamo; il nemico s’immobilizza, noi lo <strong>di</strong>sturbiamo; il nemico si logora, noi<br />

lo colpiamo; il nemico in<strong>di</strong>etreggia, noi lo inseguiamo” 295 .<br />

Un altro aspetto importante della dottrina <strong>di</strong> Mao riguarda la collaborazione <strong>fra</strong> i<br />

partigiani e le forze regolari, cosa del resto attuata dagli Spagnoli contro Napoleone,<br />

poi dai Sovietici e dagli Alleati in Francia nel 1944, <strong>ed</strong> infine dai nord-vietnamiti<br />

negli anni ’60, ma messa in chiaro e razionalizzata come strategia solo da lui. La sua<br />

affermazione, secondo cui “dal punto <strong>di</strong> vista della guerra rivoluzionaria nel suo<br />

insieme, la guerra popolare <strong>di</strong> partigiani, da una parte, le forze principali dell’Armata<br />

Rossa, dall’altra, sono come le due mani <strong>di</strong> un uomo. Non utilizzare che le forze<br />

principali dell’Armata Rossa senza sviluppare la guerra popolare partigiana<br />

equivarrebbe a combattere con una sola mano. La popolazione delle basi controllate<br />

dai rivoluzionari, aiutando attivamente l’Armata Rossa è, per parlare in concreto, il<br />

294 MAO. Op. cit. pgg.111-112.<br />

295 Ibid. pag. 122.<br />

211


popolo in armi. È soprattutto per questa ragione che il nemico ritiene anche<br />

pericoloso avventurarsi all’interno <strong>di</strong> questi territori” 296 .<br />

Per quanto riguarda la manovra – e qui si ritorna alla caratteristica principale della<br />

concezione strategica <strong>di</strong> Mao – egli riba<strong>di</strong>sce che “la linea del fronte dell’Armata<br />

Rossa è determinata dalle sue operazioni. L’assenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezioni operative stabili<br />

comporta l’instabilità della linea del fronte. Sebbene la <strong>di</strong>rezione generale resti, per<br />

un tempo ridotto, immutabile, le <strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong>rezioni parziali il cui insieme costituisce<br />

la <strong>di</strong>rezione generale subiscono mo<strong>di</strong>ficazioni costanti: quando in un dato momento<br />

sono le truppe che operano secondo la <strong>di</strong>rezione generale a trovarsi bloccate, bisogna<br />

mo<strong>di</strong>ficare quest’ultima” 297 .<br />

Va peraltro notato che, all’interno <strong>di</strong> questa impostazione, il pensiero <strong>di</strong> Mao<br />

contiene anche aspetti più classici, come l’enfasi sull’alternanza <strong>fra</strong> offensiva e<br />

<strong>di</strong>fensiva, sull’importanza della manovra e della concentrazione delle forze, <strong>di</strong> cui<br />

Mao conosce le <strong>di</strong>fficoltà, tanto da osservare: “a prima vista, la concentrazione delle<br />

forze sembra molto facile, ma in realtà non è così. Molti comandanti, (infatti)<br />

<strong>di</strong>sperdono frequentemente le loro forze. Questo succ<strong>ed</strong>e perché la dottrina strategica<br />

<strong>di</strong> questi capi non è sufficientemente sviluppata, perché si smarriscono davanti ad una<br />

situazione complicata, <strong>di</strong>ventando schiavi (della volontà del nemico), perdono<br />

l’iniziativa e non si preoccupano più che <strong>di</strong> tappare le falle” 298 .<br />

Ma il concetto <strong>di</strong> concentrazione delle forze, in Mao non è da intendersi in senso<br />

assolutistico, tanto che egli parla <strong>di</strong> “trasformare il colpo convergente che l’esercito<br />

296 A. CORNELI (a cura <strong>di</strong>). Op. cit. Pag.70.<br />

297 Ibid. pag. 72.<br />

298 Ibid. Pag. 68.<br />

212


avversario ci porta in una serie <strong>di</strong> colpi convergenti, sul piano operativo e tattico, che<br />

il nostro esercito porterà al nemico in svariate <strong>di</strong>rezioni; questo si chiama ottenere la<br />

superiorità delle nostre forze contro forze superiori, manifestare la propria forza in<br />

uno stato <strong>di</strong> debolezza, suscitare con<strong>di</strong>zioni favorevoli in con<strong>di</strong>zioni sfavorevoli, dar<br />

prova <strong>di</strong> iniziativa nel corso <strong>di</strong> una fase passiva” 299 .<br />

In pratica, a Mao interessa la concentrazione delle forze sul piano strategico,<br />

evitando <strong>di</strong> far loro prendere delle <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong>vergenti, ma <strong>di</strong> sfruttare la maggiore<br />

conoscenza del terreno e la capacità <strong>di</strong> impiegare le forze in piccoli <strong>di</strong>staccamenti, in<br />

modo da colpire il nemico nei suoi punti deboli, fiaccandolo, ma a con<strong>di</strong>zione che<br />

questi colpi siano coerenti o, come <strong>di</strong>ce lui, convergenti, non necessariamente in<br />

senso fisico, ma nella logica dell’obiettivo che si vuole conseguire. Il mantenimento<br />

dell’iniziativa, quin<strong>di</strong>, assume un’importanza determinante, anche nelle situazioni<br />

<strong>di</strong>fficili, <strong>ed</strong> anche questo è un pricipio classico della strategia.<br />

Un altro aspetto che vale la pena <strong>di</strong> considerare è l’importanza del fattore tempo,<br />

per Mao, un’altra caratteristica del pensiero strategico cinese. Egli, infatti, osserva<br />

che:<br />

“il carattere prolungato della guerra si spiega col fatto che le forze della reazione sono potenti,<br />

mentre quelle della rivoluzione aumentano gradualmente. In questo caso, l’eccesso <strong>di</strong> ardore<br />

sarebbe nocivo e reclamare ad ogni costo azioni impetuose sarebbe un errore. Non dobbiamo dare<br />

per scontato che possiamo vincere sin da domani. Per assicurare lo svolgimento accelerato delle<br />

operazioni, non basta desiderarlo; è necessaria tutta una serie <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni concrete, <strong>di</strong> cui le<br />

principali sono le seguenti: prepararsi bene, non lasciar passare il momento opportuno, concentrare<br />

299 Ibid. pag. 70.<br />

213


forze superiori, utilizzare la tattica dell’accerchiamento e dei movimenti aggiranti, scegliere una<br />

buona posizione, colpire l’avversario in marcia o quando si è fermato senza aver ancora avuto il<br />

tempo <strong>di</strong> consolidare la sua posizione” 300 .<br />

Sembra <strong>di</strong> sentire quel capo talebano che, pochi anni fa, <strong>di</strong>sse che gli Occidentali<br />

avevano l’orologio, ma i Talebani avevano il tempo a loro <strong>di</strong>sposizione. Questo è il<br />

succo <strong>di</strong> una guerra <strong>di</strong> liberazione: logorare l’avversario, in modo da stancarlo, fargli<br />

perdere la motivazione e la coesione, <strong>ed</strong> a questo punto colpirlo.<br />

L’ultimo aspetto interessante del pensiero strategico <strong>di</strong> Mao è il legame che egli fa<br />

tra le esigenze logistiche della lotta <strong>ed</strong> il tipo <strong>di</strong> azioni da intraprendere. Egli,<br />

ad<strong>di</strong>rittura, sconsiglia la creazione <strong>di</strong> un’industria <strong>di</strong> guerra, cosa che, a suo <strong>di</strong>re,<br />

aumenterebbe la <strong>di</strong>pendenza dell’Armata Rossa da questa, finendo per creare degli<br />

obiettivi da <strong>di</strong>fendere, limitando in tal modo la sua libertà d’azione. Infatti, egli <strong>di</strong>ce<br />

che:<br />

“per l’Armata Rossa che si rifornisce quasi <strong>di</strong> tutto a spese dell’avversario, la principale linea<br />

d’azione consiste nelle operazioni <strong>di</strong> annientamento. È soltanto <strong>di</strong>struggendo le forze vive del<br />

nemico che si possono spezzare le sue campagne e ingran<strong>di</strong>re il territorio delle basi rivoluzionarie.<br />

Nello sforzo <strong>di</strong> colpire l’avversario nelle sue forze vive, indeboliremo anche noi stessi ma, se lo<br />

annientiamo, ci impossessiamo del bottino. La nostra linea fondamentale consiste nell’appoggiarsi<br />

sull’industria <strong>di</strong> guerra degli imperialisti e del nostro nemico nella guerra civile. Noi abbiamo dei<br />

<strong>di</strong>ritti sugli arsenali <strong>di</strong> Londra e <strong>di</strong> Hanyang, e il nemico viene ridotto a svolgere la funzione <strong>di</strong> un<br />

mezzo <strong>di</strong> trasporto. Il significato dell’operazione è determinato dal rapporto tra le per<strong>di</strong>te <strong>ed</strong> i<br />

guadagni” 301 .<br />

300 Ibid. pgg. 75-76.<br />

301 Ibid. pag. 77.<br />

214


A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello che tentavano i nemici, vale a <strong>di</strong>re le forze nazionaliste, che<br />

cercavano <strong>di</strong> ottenere la vittoria grazie ad un solo colpo fortunato, imbastendo<br />

gigantesche operazioni <strong>di</strong> “Accerchiamento <strong>ed</strong> Annientamento”, la cui stessa<br />

complessità faceva venir meno il fattore sorpresa, qui Mao pr<strong>ed</strong>ilige l’attacco a<br />

reparti isolati, separati dal grosso delle forze, che quin<strong>di</strong> consentono ai comunisti <strong>di</strong><br />

conseguire una superiorità locale, ottenendo l’annientamento dell’avversario e la<br />

conseguente cattura delle sue armi, delle munizioni e dei rifornimenti.<br />

Non stupisce, quin<strong>di</strong>, la vittoria dei comunisti in Cina, data la loro maggiore<br />

focalizzazione verso il risultato finale, un fattore che ne aumentò la compattezza<br />

rispetto alle più numerose forze nazionaliste. La loro sconfitta <strong>ed</strong> il loro esilio a<br />

Formosa, costituirà peraltro un’occasione per raggrupparsi, consolidarsi e resistere<br />

fino ad oggi alla pressione nemica. Chi Vi parla ha incontrato, nell’isola, gli<br />

esponenti militari <strong>di</strong> quel governo, e può testimoniare quanto forte fosse la loro<br />

motivazione.<br />

Ma oltre alla questione <strong>di</strong> Formosa, oggi nota come Taiwan, l’altro punto <strong>di</strong><br />

scontro <strong>fra</strong> la Cina e l’<strong>Occidente</strong> fu la guerra <strong>di</strong> Corea. A far scoccare la scintilla fu il<br />

successo della controffensiva delle forze appartenenti alle Nazioni Unite, che<br />

avevano scar<strong>di</strong>nato il <strong>di</strong>spositivo delle forze comuniste, addentratesi fino alla punta<br />

sud della Corea, grazie al loro attacco pro<strong>di</strong>torio, con un’operazione anfibia sul loro<br />

fianco costiero, ad Inchon.<br />

Man mano che le forze ONU, sotto il comando del generale americano Mac<br />

Arthur, si avvicinavano allo Yalu, arrivarono in <strong>Occidente</strong> delle <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong><br />

215


<strong>di</strong>rigenti cinesi, degli accenni che facevano capire, peraltro non troppo <strong>di</strong>rettamente,<br />

com’è usuale in Cina, che l’arrivo delle forze ONU fin sulle rive <strong>di</strong> quel fiume<br />

avrebbe costituito un motivo <strong>di</strong> guerra; queste <strong>di</strong>chiarazioni, oltretutto, rispondevano<br />

in<strong>di</strong>rettamente – <strong>ed</strong> erano giustificate dal – le <strong>di</strong>chiarazioni del generale, secondo il<br />

quale la linea dello Yalu avrebbe potuto costituire il trampolino <strong>di</strong> lancio per una<br />

ulteriore campagna per liberare la Cina dal giogo comunista.<br />

L’intervento cinese, sotto il comando del generale Lin Piao, estremamente<br />

massiccio <strong>ed</strong> effettuato sfruttando appieno il fattore sorpresa, dato che non venivano<br />

eseguiti voli <strong>di</strong> ricognizione oltre il fiume, per non provocare la Cina, ottenne risultati<br />

all’inizio spettacolari. Il terreno aspro e montagnoso permise, però, alle truppe ONU<br />

<strong>di</strong> riprendersi, e dopo una controffensiva, agevolata dalle <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> rifornimento<br />

dell’avversario, privo del dominio dell’aria e quin<strong>di</strong> con le linee <strong>di</strong> comunicazione<br />

esposte alle offese aeree, le forze si stabilizzarono lungo il 38˚ parallelo nord, dove<br />

corre ancor oggi la linea armistiziale.<br />

Priva com’era <strong>di</strong> cospicui finanziamenti esteri, la Cina maoista ebbe grosse<br />

<strong>di</strong>fficoltà a creare le con<strong>di</strong>zioni per uno sviluppo durevole. In questo campo, le tre<br />

grosse iniziative ammodernatrici furono condotte con una determinazione <strong>ed</strong> una<br />

crudeltà senza pari, causando per<strong>di</strong>te umane inimmaginabili. La carente <strong>di</strong>sponibilità<br />

<strong>di</strong> tecnologia fu peraltro la causa principale del parziale fallimento <strong>di</strong> queste spinte<br />

modernizzatrici, che furono chiamate, nello stile della propaganda dell’epoca, il<br />

Grande Balzo in Avanti, la Rivoluzione Culturale e le Quattro Modernizzazioni.<br />

216


Oltretutto, il supporto cinese ai nord-vietnamiti, e la guerra con l’In<strong>di</strong>a, per <strong>di</strong>spute<br />

<strong>di</strong> confine, furono ulteriori motivi per raffr<strong>ed</strong>dare ancora <strong>di</strong> più, casomai ve ne fosse<br />

bisogno, i rapporti con l’<strong>Occidente</strong>. Fu la rottura dei rapporti con l’Unione Sovietica,<br />

dovuta al suo rifiuto <strong>di</strong> c<strong>ed</strong>ere la tecnologia per la costruzione <strong>di</strong> una bomba nucleare<br />

in Cina, seguita dagli aspri scontri lungo il fiume Ussuri, in Siberia, ad avvicinare<br />

quest’ultima all’<strong>Occidente</strong>, <strong>ed</strong> in particolare agli Stati Uniti.<br />

In questo paese, la vittoria dei comunisti del 1949 era stata vissuta come una<br />

trag<strong>ed</strong>ia, visto che l’Amministrazione Truman si era impegnata a fondo per evitarla,<br />

anche tentando <strong>di</strong> raggiungere un compromesso <strong>fra</strong> le parti. La reazione principale <strong>di</strong><br />

questo trauma, che faceva svanire il sogno USA <strong>di</strong> una Cina aperta al commercio<br />

internazionale, nutrito, come abbiamo visto, fin dall’inizio del novecento, insieme<br />

all’intervento cinese in Corea, fu la “Caccia alle Streghe”.<br />

Su proposta del senatore Mac Carthy, fu creata, nel 1954, una commissione<br />

senatoriale sulle “attività anti-americane”, che indagasse sui trascorsi comunisti dei<br />

funzionari pubblici e dei personaggi <strong>di</strong> spicco, <strong>fra</strong> i quali fu compreso persino l’attore<br />

Charlie Chaplin; gli ex funzionari dell’Amministrazione Truman, specie quelli che si<br />

erano adoperati per allacciare buoni rapporti con i comunisti, furono epurati e privati<br />

persino della pensione, e molte persone furono rovinate economicamente.<br />

Alla fine, per gli eccessi compiuti, la commissione fu sciolta, <strong>ed</strong> una parte delle<br />

vittime risarcita, ma l’episo<strong>di</strong>o lasciò delle ferite che impiegarono anni a rimarginarsi,<br />

specie per la riluttanza <strong>di</strong> molti, anche quelli non implicati oppure scagionati, a<br />

d<strong>ed</strong>icarsi alla riprea dei rapporti con la Cina maoista.<br />

217


Solo nel 1972, con il viaggio in Cina del Presidente Nixon, si ebbe la svolta, che<br />

tutti conosciamo. Ora la Cina sta puntando ad uno sviluppo del paese, esattamente<br />

come aveva auspicato il Mahan, i cui consigli <strong>di</strong> svilupparlo tramite la popolazione<br />

sono stati finalmente messi in pratica. Ma come si comporta ora la Cina, nel contesto<br />

internazionale?<br />

d)-La strategia della Cina come potenza mon<strong>di</strong>ale<br />

Da quanto prec<strong>ed</strong>e, è possibile in<strong>di</strong>viduare, nella storia della Cina, una serie <strong>di</strong><br />

aspetti e problemi ricorrenti, che hanno influenzato la situazione del paese nel<br />

contesto mon<strong>di</strong>ale, oltre ad avere un impatto notevole sulle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita degli<br />

abitanti.<br />

Il primo problema, o meglio il rischio principale, è quello <strong>di</strong> una <strong>fra</strong>mmentazione,<br />

dovuta alla mancanza <strong>di</strong> coesione interna. Sulla necessità se tenere la Cina unita o<br />

meno ne <strong>di</strong>scusse persino il Mahan, come abbiamo visto. Sia al <strong>di</strong> fuori che<br />

all’interno della Cina, queste spinte secessioniste sono esistite nel passato e, stando<br />

ad alcune notizie, esistono tuttora.<br />

Questa questione, peraltro, tende a creare una certa emotività, spesso eccessiva.<br />

Ad esempio, in un autorevole perio<strong>di</strong>co italiano, nel 1995, si affermava che, in caso<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>sintegrazione dell’unità politica del paese: “le conseguenze per la Cina, per<br />

l’intera Asia e per lo stesso <strong>Occidente</strong> sarebbero terrificanti” 302 .<br />

302 LIMES 1/95. E<strong>di</strong>toriale, pag. 8.<br />

218


Premesso che non bisognerebbe mai, in strategia, usare aggettivi qualificativi,<br />

anche a costo <strong>di</strong> sembrare cinici, è indubbio che la leadership cinese è spesso stata<br />

con<strong>di</strong>zionata da questa questione, e più precisamente dal timore che si verificasse il<br />

“terrificante evento” <strong>di</strong> una <strong>fra</strong>mmentazione della Cina.<br />

Ora, la tendenza verso una <strong>fra</strong>mmentazione si è già verificata nel passato, ma non<br />

è mai riuscita a permanere con una veste istituzionale per un tempo abbastanza lungo:<br />

ci sono stati i Signori della Guerra, alcuni pezzi del paese si sono <strong>di</strong>staccati nel primo<br />

periodo repubblicano, altri sono stati strappati via con la forza oppure assegnati ad<br />

altre potenze per la loro gestione <strong>di</strong>retta o in<strong>di</strong>retta, come “Concessioni” oppure come<br />

“Stati Fantoccio” ma finora ogni tentativo <strong>di</strong> costituire, al centro dello spazio cinese,<br />

un paese capace <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>care un’identità propria e <strong>di</strong>versa, sopravvivendo<br />

abbastanza a lungo per “fare storia”, (quin<strong>di</strong> almeno due secoli) non è mai riuscito.<br />

Come accade peraltro ad ogni sub-continente, peraltro, vi sono le zone <strong>di</strong> confine<br />

che hanno goduto nei secoli – oppure hanno dovuto subire – <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni <strong>ed</strong><br />

identità istituzionali. Questo è particolarmente vero per il Tibet, la Mongolia, la<br />

Manciuria e Formosa, altrimenti detta Taiwan, nonché per le piccole enclaves <strong>di</strong><br />

Macao <strong>ed</strong> Hong Kong, mentre altri territori sono passati <strong>di</strong> mano dall’una all’altra<br />

potenza, senza acquisire una propria, autonoma identità.<br />

Come abbiamo visto, la maggior <strong>fra</strong>mmentazione si è avuta nel turbolento periodo<br />

compreso <strong>fra</strong> la caduta dell’impero e la vittoria del comunismo, nel quale il nord e il<br />

sud si separarono, <strong>ed</strong> il solo ricordo <strong>di</strong> quel periodo fa tremare le vene e i polsi a<br />

chiunque si occupi della Cina.<br />

219


Peraltro, nessuno vuole sapere quali siano, in realtà, i “confini naturali” <strong>di</strong> quel<br />

paese, e ciò costituisce un problema che le altre nazioni, soprattutto, si trovano a<br />

fronteggiare quando la spinta espansionistica cinese è più forte del solito, come<br />

accade al giorno d’oggi, <strong>ed</strong> il livello <strong>di</strong> contenzioso aumenta.<br />

Di fatto, ai bor<strong>di</strong> esterni della Cina vi sono entità che hanno vissuto per qualche<br />

tempo <strong>di</strong>staccate da questa – il Tibet, ad esempio - come pure vi sono nazioni<br />

in<strong>di</strong>pendenti – ad esempio la Corea – che hanno fatto per secoli parte del Celeste<br />

Impero.<br />

La militarizzazione strisciante delle isole Spratley e Paracel, riven<strong>di</strong>cate anche<br />

dalle Filippine, dal Vietnam, dalla Malesia, dal Brunei e dall’Indonesia, il<br />

contenzioso con il Giappone per le isolette Senkaku e Diaouyutai, come pure<br />

l’occupazione pacifica degli spazi vuoti della Siberia, da parte <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> Cinesi,<br />

sono fenomeni che finiscono oscurati dalle questioni del Tibet e <strong>di</strong> Formosa, ma che<br />

possono esplodere da un giorno all’altro nelle mani della <strong>di</strong>plomazia internazionale.<br />

Ma perché la Cina, dopo tanti secoli, ha ripreso la sua politica espansionistica? La<br />

crescita della popolazione fino al livello <strong>di</strong> un miliardo e mezzo, pochi anni fa,<br />

implica, in alternativa, o l’occupazione <strong>di</strong> spazi altrui, <strong>ed</strong> abbiamo visto numerosi<br />

esempi del passato, oppure comporta la creazione <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita accettabili per<br />

tutti.<br />

Questa seconda alternativa, peraltro, significa limitare i livelli <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione a<br />

percentuali storicamente non critiche, comunque inferiori al 20%, in modo da<br />

assicurare un minimo <strong>di</strong> benessere <strong>di</strong>ffuso. Una tale preoccupazione che <strong>di</strong>scende dal<br />

220


confucianesimo, come abbiamo visto, è sempre stata ben presente nella mente dei<br />

leader del paese, anche nei tempi remoti, quando in Europa i governanti trattavano<br />

con <strong>di</strong>sprezzo e sfruttavano cinicamente i loro sud<strong>di</strong>ti.<br />

Purtroppo, per ottenere questo risultato, è necessario un continuo sviluppo del<br />

paese, il che implica la necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> energia e <strong>di</strong> materie prime in<br />

abbondanza, essendone la Cina quasi totalmente sprovvista; v<strong>ed</strong>iamo quin<strong>di</strong> che le<br />

sue attuali tendenze espansionistiche vanno proprio in questa <strong>di</strong>rezione. Le isolette<br />

Spratley e Paracel sono infatti ricche <strong>di</strong> giacimenti sottomarini, e la Siberia è nota per<br />

essere il più grande deposito al mondo <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> bene. Non è noto cosa celi il<br />

fondo marino attorno alle isolette Senkaku e Diaouyutai, ma è legittimo sospettare<br />

che anche in quei fondali vi siano risorse, visto che, pur <strong>di</strong> sfruttarle, la Cina si è<br />

accordata con il Giappone per una <strong>di</strong>visione a metà <strong>di</strong> quanto se ne ricaverà.<br />

La sindrome della <strong>fra</strong>mmentazione, peraltro, viene anche alimentata da due<br />

tensioni, esistenti da secoli; la prima è quella esistente <strong>fra</strong> l’interno del paese e la sua<br />

fascia costiera. L’autorevole perio<strong>di</strong>co, appena citato, oltre a riportare i casi <strong>di</strong> tentata<br />

scissione del primo periodo repubblicano cinese, ricordava la cosiddetta “guerra del<br />

riso” <strong>fra</strong> il Guangdong, il cui centro principale è Canton, e lo Hunan, verificatasi <strong>di</strong><br />

recente. Naturalmente, esistono anche altri contenziosi, dato che l’interno ha un<br />

eccesso <strong>di</strong> popolazione, rispetto alle possibilità lavorative, il che crea un fenomeno <strong>di</strong><br />

emigrazione interna o verso l’estero.<br />

Sotto questa luce si deve inquadrare lo sforzo del governo per controllare le<br />

nascite, un’azione che ha ottenuto il risultato <strong>di</strong> ridurre ufficialmente il numero<br />

221


complessivo dei Cinesi ad un miliardo e duecentomila, ma ha anche prodotto un<br />

eccesso <strong>di</strong> popolazione maschile, altro fenomeno preoccupante, per l’instabilità che<br />

esso usualmente provoca.<br />

Sotto lo stesso angolo visuale vanno interpretati i provv<strong>ed</strong>imenti <strong>di</strong> cessione ad<br />

altre nazioni <strong>di</strong> manodopera in gran<strong>di</strong> numeri, i cui esempi più cospicui furono quella<br />

per consentire la costruzione della ferrovia trans-americana, nonché l’invio <strong>di</strong><br />

manodopera in Francia, durante la Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Pure la decisione, presa<br />

nel XV secolo, <strong>di</strong> azzerare la fascia costiera, radendola praticamente a zero, fu un<br />

tentativo, <strong>fra</strong> l’altro, <strong>di</strong> evitare eccessive sperequazioni <strong>fra</strong> l’interno e la costa, il cui<br />

benessere era già allora più elevato, ma comportava un’azione <strong>di</strong> relazioni<br />

internazionali <strong>ed</strong> una politica <strong>di</strong> potenza che si era rivelata insostenibile.<br />

Il secondo motivo <strong>di</strong> tensione, non meno grave, è l’irrequietu<strong>di</strong>ne delle<br />

popolazioni mussulmane delle estreme zone occidentali del paese, specie nello<br />

Xinjiang, dove gli Uiguri, i Kazaki <strong>ed</strong> i Tagiki v<strong>ed</strong>ono negli abitanti delle confinanti<br />

Repubbliche dell’Asia Centrale i loro prossimi, più che nei funzionari <strong>di</strong> Pechino. In<br />

quelle zone relativamente spopolate, ma dal clima rigido, la popolazione oscilla<br />

intorno ai 20 milioni. Anche se si tratta <strong>di</strong> meno del 2% della popolazione totale,<br />

un’altra rivolta islamica generalizzata contro il governo centrale, magari sobillata e<br />

finanziata da qualche potenza confinante, come è già avvenuto nel passato, sarebbe<br />

un problema non da poco per il governo cinese. Va detto che, in queste zone, come<br />

nel Tibet, ogni massiccia immigrazione <strong>di</strong> cinesi (i cosiddetti Han) crea<br />

irrequietu<strong>di</strong>ne e rivolte.<br />

222


Non è questa la s<strong>ed</strong>e né per azzardare soluzioni improbabili, né per avallare la<br />

politica interna della Cina, caratterizzata da un autoritarismo bonapartista, né<br />

tantomeno per criticarla. Quello che interessa è prendere atto che la Cina è un gigante<br />

dai pi<strong>ed</strong>i <strong>di</strong> argilla, e come tutti gli stati in queste con<strong>di</strong>zioni potrebbe, in alternativa,<br />

vuoi cercare <strong>di</strong> esportare la sua instabilità, in<strong>di</strong>rizzando la sua opinione pubblica<br />

verso bersagli esterni (fenomeno esplosivo), vuoi piombare <strong>di</strong> nuovo in una guerra<br />

civile senza fine, per mancanza <strong>di</strong> concor<strong>di</strong>a nazionale (fenomeno implosivo).<br />

In questi anni, grazie alla collaborazione con l’<strong>Occidente</strong>, la Cina ha avviato un<br />

tumultuoso processo <strong>di</strong> sviluppo e <strong>di</strong> modernizzazione, <strong>ed</strong> ha tenuto un<br />

comportamento moderato e tranquillizzante, in tutte le sue relazioni esterne,<br />

malgrado le pesanti critiche dell’<strong>Occidente</strong>, nei confronti <strong>di</strong> alcune azioni <strong>di</strong> politica<br />

interna; l’eccezione è stata la <strong>di</strong>sputa con Taiwan (Formosa), che ha reso necessaria,<br />

in un caso, la <strong>di</strong>slocazione <strong>di</strong> due gruppi da battaglia americani, per contenere le<br />

pressioni sul governo dell’isola.<br />

La stessa penetrazione in Siberia viene fatta in modo da non urtare le<br />

ipersensibilità russe, poco attente alle questioni <strong>di</strong> lungo termine, un po’ come fu fatto<br />

per la ferrovia trans americana: si mandano i lavoratori, <strong>di</strong> cui vi è gran bisogno,<br />

questi si installano, si accasano e fanno venire i conoscenti, in modo da creare una<br />

presenza dalla massa critica sufficiente per non essere cacciati.<br />

Va detto che il confine attuale fu concordato nel 1950, come parte del trattato <strong>di</strong><br />

alleanza sino-sovietico, e comportò il riconoscimento, da parte della Cina,<br />

223


dell’in<strong>di</strong>pendenza della Mongolia Esterna, “che da quasi trent’anni gravitava<br />

nell’orbita sovietica” 303 .<br />

Infine, è stata ripresa, dopo secoli, la presenza cinese nell’Africa dell’Est, sempre<br />

alla ricerca <strong>di</strong> materie prime <strong>ed</strong> energia. Questo fatto, che riprende i rapporti<br />

commerciali esistenti fin dal XV secolo, ha creato allarme nei circoli economici<br />

europei, che avevano sollevato il sospetto <strong>di</strong> una concorrenza sleale, ma si è notato<br />

che la Cina suscita le stesse opposizioni che suscitano gli Europei, <strong>ed</strong> alcuni delegati<br />

e tecnici cinesi hanno dato la vita, per queste collaborazioni.<br />

La strategia del governo cinese è chiara: senza gli eccessi del XV secolo, si cerca<br />

<strong>di</strong> stabilizzare il paese, ammodernarlo a tappe forzate, in modo da evitare <strong>di</strong> essere<br />

colonizzato, come accadde nel XIX secolo, nonché <strong>di</strong> cadere pr<strong>ed</strong>a delle sue<br />

contrad<strong>di</strong>zioni interne. Per ottenere questo, sono favoriti gli investimenti stranieri – il<br />

che comporta un atteggiamento moderato e rassicurante in politica estera – ma si<br />

cerca anche <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuire il deficit energetico, e questo non può essere fatto in modo<br />

indolore. La Shanghai Cooperation Organization, ad esempio, è l’unico forum <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scussione inter-asiatica, aperto a terzi, una struttura che promette <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare un<br />

ammortizzatore dei conflitti nell’area.<br />

Le due linee <strong>di</strong> possibile <strong>fra</strong>ttura sono quin<strong>di</strong> la zona della Siberia, dove il rischio<br />

<strong>di</strong> un contenzioso, anche violento, con la F<strong>ed</strong>erazione Russa, è significativo, anche se<br />

il governo cinese fa tutto per evitarlo, <strong>ed</strong> il Mar Cinese Meri<strong>di</strong>onale, dove peraltro i<br />

303 M. SABATTINI e P. SANTANGELO. Op. cit, pag. 612.<br />

224


concorrenti della Cina sono talmente deboli militarmente da non porre problemi, a<br />

meno <strong>di</strong> un’interferenza <strong>di</strong> altre potenze.<br />

Rimane da trattare il problema dei rapporti <strong>fra</strong> la Cina e l’In<strong>di</strong>a. Questo è un<br />

problema che esiste fin dall’epoca vicereale, quando la Gran Bretagna, per premunirsi<br />

contro un possibile attacco cinese, assunse il controllo del Tibet nel 1903, e lo spinse<br />

a proclamare l’in<strong>di</strong>pendenza nel 1913, pur riconoscendo la sovranità nominale<br />

dell’imperatore, ma creando <strong>di</strong> fatto una zona cuscinetto che resse fino al 1951.<br />

Durante quel periodo, il confine tra il Vicereame dell’In<strong>di</strong>a <strong>ed</strong> il Tibet, circa 4.000<br />

km., fu definito dai cartografi britannici, con la presenza <strong>di</strong> rappresentanti tibetani e<br />

cinesi, e sanzionata alla convenzione <strong>di</strong> Simla nel 1914. Questa “Linea Mac Mahon”,<br />

dal nome del cartografo, venne er<strong>ed</strong>itata dall’In<strong>di</strong>a, e dal Pakistan, al momento<br />

dell’in<strong>di</strong>pendenza, ma non è stata mai riconosciuta dalla Cina.<br />

Come noto, In<strong>di</strong>a e Pakistan si contendono un’area significativa, il Kashmir, ma<br />

anche la Cina, fin dal 1959, ha avanzato pretese sulla zona <strong>di</strong> Ladakh, circa 38.000<br />

chilometri quadrati <strong>di</strong> territorio, che fu occupato temporaneamente dall’Armata<br />

Rossa, poi respinta con per<strong>di</strong>te dall’esercito in<strong>di</strong>ano, ma da allora oggetto della<br />

penetrazione economica cinese.<br />

La vendetta fu compiuta nel 1962, quando la guerra scoppiò <strong>di</strong> nuovo, questa volta<br />

per lo stato in<strong>di</strong>ano dell’Arunachal Pradesh, posto ad est del Buthan e facente parte<br />

dell’altipiano tibetano, dal quale però è <strong>di</strong>viso da una catena montagnosa. La Cina<br />

riven<strong>di</strong>cava il possesso <strong>di</strong> questo stato in<strong>di</strong>ano – e lo fa tutt’ora – in quanto nella città<br />

225


<strong>di</strong> Tawang è nato il sesto Dalai Lama. In effetti, andando a v<strong>ed</strong>ere le vecchie carte,<br />

anteriori alla Linea Mac-Mahon, questo territorio era ancora incluso nel Tibet.<br />

Ma, <strong>di</strong> fatto, la guerra del 1962, e la conseguente linea armistiziale, denominata<br />

“Linea <strong>di</strong> Controllo Effettivo” hanno portato ad una situazione <strong>di</strong> spartizione <strong>di</strong> quel<br />

territorio. Inoltre, la Cina si è rifiutata per molti anni <strong>di</strong> riconoscere l’avvenuta<br />

adesione del Sikkim, piccolo stato posto <strong>fra</strong> il Buthan <strong>ed</strong> il Nepal, all’Unione In<strong>di</strong>ana.<br />

Nel 1986-87 si sono verificati gli ultimi scontri, lungo la linea armistiziale, ma<br />

negli ultimi anni, vi sono stati alcuni segnali <strong>di</strong> avvicinamento <strong>fra</strong> i due paesi, specie<br />

quando, nel 2003, il presidente in<strong>di</strong>ano, durante la sua visita in Cina, riconobbe<br />

esplicitamente l’appartenenza del Tibet a quest’ultima. Era una <strong>di</strong>chiarazione<br />

generica, ma in<strong>di</strong>cativa della volontà <strong>di</strong> raggiungere un accordo.<br />

Peraltro, esistono motivi <strong>di</strong> preoccupazione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenza da amb<strong>ed</strong>ue le parti.<br />

L’In<strong>di</strong>a, anzitutto, teme <strong>di</strong> essere schiacciata militarmente dalla Cina, cosa che fu<br />

evitata per un soffio nel 1962, ma che oggi, in una situazione <strong>di</strong> guerra, sarebbe<br />

altamente probabile. Inoltre, il crollo della monarchia nepalese, e l’avvento dei<br />

maoisti al potere, è stato visto come un passo espansionistico, anche se finora<br />

l’appoggio in<strong>di</strong>retto da parte dei cinesi agli ex guerriglieri non si è tramutato in altre<br />

forme <strong>di</strong> controllo più esplicite. Infine, l’alleanza tra Cina e Pakistan, con la<br />

conseguente cessione della tecnologia per costruire una bomba nucleare, è stata vista<br />

come una pugnalata nella schiena, avendo costretto Nuova Delhi ad un atteggiamento<br />

più remissivo nei confronti del turbolento vicino islamico.<br />

226


Da parte cinese, invece, irrita il supporto fornito dall’In<strong>di</strong>a al Dalai Lama: non<br />

solo questi, con il governo in esilio <strong>ed</strong> un congruo numero <strong>di</strong> rifugiati sono stati<br />

sistemati dal governo in<strong>di</strong>ano subito al <strong>di</strong> là del confine, ma anche esiste il sospetto,<br />

a Pechino, che la Linea <strong>di</strong> Controllo Effettivo sia stata attraversata più volte, in<br />

occasione delle ricorrenti rivolte tibetane, da uomini, sol<strong>di</strong> <strong>ed</strong> armi <strong>di</strong>retti a fomentare<br />

i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni. Infine, l’Oceano In<strong>di</strong>ano è oggetto <strong>di</strong> attenzione da parte <strong>di</strong> amb<strong>ed</strong>ue i<br />

paesi: non a caso, sia l’In<strong>di</strong>a sia la Cina hanno inviato unità navali per il<br />

contenimento della pirateria nel Corno d’Africa, che collaborano appieno con le forze<br />

della NATO e dell’UE, impegnate nello stesso tipo <strong>di</strong> missione.<br />

In buona sostanza, i due paesi, che secondo alcuni potrebbero allearsi per<br />

<strong>di</strong>ventare il maggior centro <strong>di</strong> produzione mon<strong>di</strong>ale, scalzando quin<strong>di</strong> gli Stati Uniti,<br />

stanno in realtà con l’arma al pi<strong>ed</strong>e, guardandosi in cagnesco, ognuno timoroso, <strong>ed</strong> a<br />

ragione, che l’altro provi a tirargli qualche colpo mancino.<br />

Secondo recenti analisi, gli obiettivi strategici della Cina sono quattro: il primo,<br />

come abbiamo visto, è “il mantenimento ad ogni costo della stabilità interna, il che<br />

presuppone uno sviluppo economico accelerato e un crescente fabbisogno <strong>di</strong> risorse<br />

energetiche, minerarie e agricole, come la soya brasiliana” 304 .<br />

Il secondo è l’intenzione <strong>di</strong> “cooperare, anziché competere, con gli Stati Uniti,<br />

beninteso con <strong>di</strong>gnità e in posizione non subor<strong>di</strong>nata né servile, anche per sod<strong>di</strong>sfare<br />

l’orgoglio nazionale del popolo cinese, legittimare il potere del Partito Comunista<br />

Cinese (PCC) e <strong>di</strong>ssuadere soprattutto gli Stati Uniti e il Giappone, ma anche la<br />

304 C. JEAN. Sviluppo Economico e <strong>Strat</strong>egico della Cina. Ed. FrancoAngeli, 2008, pag. 34.<br />

227


Russia e l’In<strong>di</strong>a, dal compiere pressioni per influenzare la politica cinese in modo<br />

incompatibile con gli interessi, la <strong>di</strong>gnità e gli obiettivi <strong>di</strong> Pechino” 305 ; in questo, le<br />

enormi riserve valutarie cinesi <strong>ed</strong> i notevoli investimenti nel finanziamento del debito<br />

pubblico USA sono un’arma efficace.<br />

Il terzo obiettivo strategico è quello <strong>di</strong> “assistere lo sviluppo dei paesi che<br />

appartengono alla m<strong>ed</strong>esima regione geo-politica della Cina – cioè il sistema Asia-<br />

Pacifico – con accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> amicizia e <strong>di</strong> cooperazione strategica e con progetti <strong>di</strong><br />

costituzione <strong>di</strong> aree <strong>di</strong> libero scambio, del tipo <strong>di</strong> quella in corso <strong>di</strong> realizzazione con<br />

l’ASEAN, e <strong>di</strong> quelle già in funzione con il Cile e in corso <strong>di</strong> negoziato con il<br />

Perù” 306 .<br />

“Un quarto interesse strategico fondamentale è quello relativo alla riunificazione<br />

con Taiwan. Essa rappresenta un obiettivo vitale per l’orgoglio cinese. La Cina aveva<br />

c<strong>ed</strong>uto l’isola al Giappone dopo la sfortunata guerra del 1894-96. L’aveva recuperata<br />

al termine del secondo conflitto mon<strong>di</strong>ale, per poi perderla nuovamente nel 1949,<br />

allorquando i resti dell’esercito del Kuomingtang (KMG) <strong>di</strong> Chiang Kai-shek si erano<br />

ritirati nell’isola a seguito della sconfitta subìta sul continente” 307 .<br />

A questi si può aggiungere l’interesse per la penetrazione economica in Africa,<br />

specie quella Orientale, riprendendo i rapporti che risalgono al XV secolo. Per quanto<br />

riguarda la mentalità cinese, non si deve <strong>di</strong>menticare che la cultura storica è uno degli<br />

elementi <strong>di</strong> decisione, sia in ambito governativo, sia nei rapporti <strong>di</strong> tipo <strong>di</strong>plomatico,<br />

economico e culturale; in particolare, aleggia il sospetto che i leader cinesi non<br />

305 Ibid. pagg. 34-35.<br />

306 Ibid. pag. 35.<br />

307 Ibid. pag. 36.<br />

228


ifiutano l’idea <strong>di</strong> un eventuale ripristino della situazione territoriale <strong>di</strong> quando la<br />

Cina era un Impero prospero e potente, e cerchino, con passi prudenti e senza fretta,<br />

<strong>di</strong> avvicinarvisi. L’appoggio economico e politico alla Birmania dei generali ne è un<br />

ulteriore piccolo esempio.<br />

Va da sé che, ad un certo punto, questa politica si dovrà scontrare con delle<br />

opposizioni, come nel caso della silenziosa invasione della Siberia, argomento in<br />

cima alle preoccupazioni degli attuali leader del Cremlino. A questo punto, sarà<br />

probabile un passo in<strong>di</strong>etro da parte cinese, seguito però da altre manovre tese a<br />

conseguire ulteriori progressi sulla questione. Se poi la corda si spezzerà o meno,<br />

<strong>di</strong>pende dalla volontà dell’<strong>Occidente</strong> <strong>di</strong> mantenere o <strong>di</strong> ridurre gli intensi rapporti <strong>di</strong><br />

“quasi-collaborazione” attuali.<br />

Quali sono infatti le implicazioni per l’<strong>Occidente</strong> <strong>di</strong> tutti questi contenziosi, e qual<br />

è l’atteggiamento prevalente verso la Cina, dati i suoi obiettivi? Come nel passato, le<br />

componenti mercantilista e moralista, che provengono la prima dall’industria e la<br />

seconda dall’opinione pubblica si scontrano con la tra<strong>di</strong>zionale real-politik dei nostri<br />

governi, che desiderano, come prima cosa, non v<strong>ed</strong>ere i problemi della Cina<br />

rovesciarsi su <strong>di</strong> loro.<br />

Per questo, essi vorrebbero chiudere amb<strong>ed</strong>ue gli occhi su tutte le repressioni,<br />

nonché sulle condanne a morte, pur <strong>di</strong> non mettere in pericolo i proficui accor<strong>di</strong><br />

commerciali che, anche se non sono più tanto “ineguali” come nel passato,<br />

consentono pur sempre dei buoni profitti. In questo, essi si comportano un po’ come i<br />

loro lontani pr<strong>ed</strong>ecessori, anche se il rispetto, nei confronti della Cina è oggi molto<br />

229


maggiore che nel passato. Come anche il perio<strong>di</strong>co citato prima osservava, la paura<br />

del “pericolo giallo”, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> una massiccia immigrazione in <strong>Occidente</strong> non<br />

sarebbe poi tanto irrealistica, qualora la Cina sprofondasse <strong>di</strong> nuovo nel caos, come<br />

avvenne all’inizio del XX secolo.<br />

Su questo argomento, la reazione negativa delle opinioni pubbliche occidentali<br />

alla ancora limitata infiltrazione <strong>di</strong> cinesi nelle nostre città è un aspetto in<strong>di</strong>cativo,<br />

che potrebbe <strong>di</strong>ventare un fattore con<strong>di</strong>zionante i rapporti con quel paese. In sintesi, i<br />

nostri governi sono pr<strong>ed</strong>a delle opposte pressioni, e saggiamente hanno optato per un<br />

approccio benevolo e paziente verso la Cina, in vista dei vantaggi che la politica della<br />

“porta aperta” potrebbe portare a tutte e due le parti, oltre a stabilizzare il sub-<br />

continente cinese.<br />

Sul piano commerciale, invece, inizia una reazione contro il mancato rispetto degli<br />

accor<strong>di</strong> stretti tra industriali, dato che i Cinesi producono quantità ben superiori a<br />

quanto pattuito, dando alla merce in eccesso lo stesso marchio <strong>di</strong> quella consegnata<br />

per contratto. Su questo argomento si intrav<strong>ed</strong>ono spiragli, come nel caso <strong>di</strong> Prato,<br />

dove un accordo è stato raggiunto, ma l’esito finale è tutt’altro che scontato, visto che<br />

produrre per far star bene la popolazione è l’obiettivo cinese, che viene considerato<br />

prevalente rispetto agli accor<strong>di</strong> conclusi.<br />

Il primo esempio dei benefici <strong>di</strong> questo nostro approccio paziente lo si è visto in<br />

Africa, dove la Cina è entrata facendo la concorrenza all’<strong>Occidente</strong>, <strong>ed</strong> ora, avendo<br />

subito le prime reazioni degli Africani, cerca sempre più <strong>di</strong> operare in armonia con i<br />

nostri paesi, consapevole com’è della possibilità <strong>di</strong> dover ricorrere al nostro aiuto, in<br />

230


caso <strong>di</strong> guai, essendosi estesa industrialmente e commercialmente ben oltre le<br />

possibilità <strong>di</strong> supporto militare ai suoi rappresentanti in loco.<br />

Da parte della Cina, in definitiva, prevale un approccio <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>alità con tutti ma <strong>di</strong><br />

perseguimento degli “interessi vitali”, anche con una certa fretta, a spese dei vicini.<br />

Abbiamo visto le motivazioni, <strong>ed</strong> abbiamo notato che il governo cinese li persegue<br />

con il minimo ricorso possibile alla forza. Bisogna v<strong>ed</strong>ere se la Organizzazione per la<br />

Cooperazione <strong>di</strong> Shanghai riuscirà ad essere il forum nel quale saranno appianate le<br />

<strong>di</strong>vergenze in corso, e questo è il grande punto interrogativo del domani.<br />

5)-Ascesa del Giappone e lo scontro strategico con l’<strong>Occidente</strong>;<br />

a)-Le costanti geostrategiche del Giappone<br />

“Una leggenda vuole che il Giappone sia un mostro marino le cui scaglie escono<br />

dall’acqua formando le isole nipponiche” 308 . Non ci potrebbe essere descrizione<br />

migliore <strong>di</strong> questo paese, costituito da cinque isole maggiori, Hokkaido, Honshu,<br />

Kyushu, Shikoku <strong>ed</strong> Okinawa, cui si aggiungono ben 3.000 (tremila!) isole più<br />

piccole, che <strong>di</strong>ventano 10.000 contando anche gli scogli affioranti, la cui importanza,<br />

peraltro, non è trascurabile, come v<strong>ed</strong>remo nel seguito.<br />

Tutte queste isole, oltretutto, sono <strong>di</strong>sposte da nord a sud, quasi in fila in<strong>di</strong>ana,<br />

tanto da toccare la Siberia da un estremo <strong>ed</strong> il Tropico del Cancro all’altro. Il clima,<br />

<strong>di</strong> conseguenza, varia molto dal sud al nord, <strong>ed</strong> è in genere piovoso, con temperature<br />

308 A VIGARIÉ. Economia Marittima e Geostrategia degli Oceani. Ed. Mursia, 1992, pag,198.<br />

231


invernali simili a quelle dell’Europa centrale <strong>ed</strong> estati calde <strong>ed</strong> umide, con la<br />

possibilità che i tifoni si arrampichino fino alle latitu<strong>di</strong>ni del Giappone Centrale.<br />

La superficie totale <strong>di</strong> 378.000 chilometri quadrati rende il Giappone più grande<br />

del 26% rispetto all’Italia; la popolazione, <strong>di</strong> circa 126 milioni, è invece doppia<br />

rispetto a quella italiana, <strong>ed</strong> ha la caratteristica <strong>di</strong> essere inurbata per il 77%, uno dei<br />

più alti tassi al mondo. Il terreno è molto mosso, con pianure abbastanza frequenti,<br />

ma piccole, <strong>fra</strong> montagne e vulcani che le delimitano. La superficie totale coltivabile<br />

non è elevata, tanto che l’agricoltura non è sempre riuscita a garantire<br />

l’autosufficienza alimentare al paese.<br />

Comunque, stando alle fonti dei proprietari terrieri, riuniti nella Japan<br />

Agricultural Network (JAN), l’agricoltura è trascurata dal governo, che non si<br />

preoccupa <strong>di</strong> assicurare una quota “strategica” <strong>di</strong> produzione degli alimenti-base,<br />

contrariamente a quanto fa l’Unione Europea, preferendo importare le derrate a basso<br />

prezzo da altri paesi, magari in pagamento dei prodotti industriali.<br />

Posto lungo l’Anello <strong>di</strong> Fuoco del Pacifico, la catena <strong>di</strong> vulcani che corre lungo i<br />

quattro limiti <strong>di</strong> quell’oceano, il territorio giapponese è soggetto a frequenti scosse <strong>di</strong><br />

terremoto, nonché ad eruzioni, i cui effetti sono minimizzati da un’architettura<br />

accorta e specializzata. Mentre la costa orientale è esposta all’oceano, quella<br />

occidentale si apre su <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> mari interni, dei quali il Giappone controlla gli<br />

accessi, il che gli conferisce la possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbare, in caso <strong>di</strong> conflitto, il traffico<br />

marittimo verso la Cina settentrionale, la Corea e la Russia Orientale.<br />

232


Durante la Guerra Fr<strong>ed</strong>da, questa sua <strong>di</strong>sposizione geografica rendeva il<br />

Giappone in<strong>di</strong>spensabile per bloccare la Flotta Sovietica dell’Estremo <strong>Oriente</strong>, tanto<br />

che quest’ultima dovette costruirsi una base più a nord, a Petropavlovsk, in acque<br />

oceaniche, mentre ora questa sua funzione militare è limitata alla sorveglianza della<br />

Corea del Nord.<br />

Ma un paese con queste caratteristiche, oltretutto privo <strong>di</strong> risorse minerarie e <strong>di</strong><br />

giacimenti petroliferi, <strong>di</strong>pendendo in tutto dal mare, non poteva non d<strong>ed</strong>icarsi al<br />

commercio marittimo, dal quale tutta la sua vita economica <strong>di</strong>pende. Per il volume <strong>di</strong><br />

traffici, il Giappone è il secondo al mondo, e “possi<strong>ed</strong>e cinque dei primi quin<strong>di</strong>ci<br />

porti, i cui nomi godono <strong>di</strong> prestigio in ogni oceano” 309 . Anche la pesca è oltremodo<br />

sviluppata, <strong>ed</strong> i pescherecci oceanici del paese operano in tutti i mari del mondo,<br />

incluso l’Oceano Antartico, creando talvolta grossi problemi internazionali, non<br />

rispettando i limiti concordati dalla comunità internazionale sulla pesca a specie<br />

protette, come nel caso delle balene o, più recentemente, del tonno a pinna blu.<br />

La crescita economica, dopo la fine della Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, è stata<br />

impressionante: il paese è “il secondo produttore mon<strong>di</strong>ale dell’acciaio, il terzo <strong>di</strong><br />

elettricità, il quarto <strong>di</strong> alluminio (<strong>ed</strong>) è la seconda potenza finanziaria e borsistica del<br />

mondo” 310 . Come mostrano questi dati, il Giappone è sostanzialmente un paese <strong>di</strong><br />

trasformazione, importatore <strong>di</strong> materie prime <strong>ed</strong> esportatore <strong>di</strong> manufatti, specie <strong>di</strong><br />

quelli ad alta tecnologia.<br />

309 Ibid. pag. 199.<br />

310 Ibid.<br />

233


Per questo, “gli Stati Uniti sono i suoi principali concorrenti, ma anche i suoi<br />

primi partner commerciali, con il 21% degli acquisti e il 36% delle ven<strong>di</strong>te (in<br />

valore)” 311 . Per effetto della sua Costituzione, però, il Giappone è sostanzialmente un<br />

“consumatore <strong>di</strong> sicurezza”, tanto che gli Stati Uniti hanno spesso premuto affinché<br />

“il Giappone si accolli una parte delle spese della sicurezza dell’area, <strong>fra</strong> cui quelle<br />

del controllo armato in un raggio <strong>di</strong> 1.000 miglia nautiche intorno alle proprie<br />

isole” 312 , una cosa che il Giappone avrebbe <strong>di</strong>fficoltà a fare sul versante con la Cina,<br />

a causa della clausola “non egemonica” inclusa nel trattato del 1960.<br />

Il rapporto con gli Stati Uniti è quin<strong>di</strong> piuttosto articolato, e non sempre facile, il<br />

che spiega perché, recentemente il Parlamento nipponico ha dovuto autorizzare, dopo<br />

un lungo <strong>ed</strong> aspro <strong>di</strong>battito, l’invio in Afganistan <strong>di</strong> specialisti della ricostruzione, e<br />

nell’Oceano In<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> una nave rifornitrice con relativa scorta, per fornire supporto<br />

logistico gratuito alle navi impegnate nell’Operazione Enduring Fre<strong>ed</strong>om, intesa ad<br />

inter<strong>di</strong>re eventuali infiltrazioni <strong>di</strong> terroristi verso <strong>Occidente</strong>.<br />

Va detto che il commercio con gli Stati Uniti si svolge, in gran parte, con la costa<br />

atlantica <strong>di</strong> quest’ultimo e quin<strong>di</strong> attraverso il Canale <strong>di</strong> Panama. Questa realtà esiste<br />

da quasi un secolo, tanto che si sospettò il Giappone <strong>di</strong> aver finanziato il <strong>di</strong>ttatore <strong>di</strong><br />

Panama, il generale Noriega, nei suoi tentativi <strong>di</strong> riacquistare il controllo del canale,<br />

prima del termine del periodo <strong>di</strong> affitto: solo anni dopo,sotto la presidenza Clinton, la<br />

cessione è avvenuta, e ora Panama si è affidata a Giapponesi per la sua gestione<br />

operativa e per le opere <strong>di</strong> allargamento del canale.<br />

311 Ibid.<br />

312 Ibid. pag. 220.<br />

234


Naturalmente, l’allargamento del canale v<strong>ed</strong>e, <strong>fra</strong> i primi finanziatori, delle banche<br />

giapponesi, oltre alle imprese specializzate dello stesso paese – che peraltro operano<br />

anche nel canale <strong>di</strong> Suez, per mantenerlo dragato.<br />

Cosa <strong>di</strong>scende da questo quadro? Anzitutto l’elevato grado <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza con<br />

l’<strong>Occidente</strong> e con gli Stati Uniti in particolare, tanto che il Giappone è considerato il<br />

partner più affidabile, nell’area dell’Estremo <strong>Oriente</strong>. La sua Costituzione pacifista,<br />

che resiste sostanzialmente intatta, malgrado le recenti mo<strong>di</strong>fiche, intese ad<br />

autorizzare missioni limitate all’estero con scopi <strong>di</strong> pace, rende peraltro impossibile<br />

una sua partecipazione alle principali operazioni militari occidentali.<br />

Man mano, infatti, che l’area del Pacifico Occidentale <strong>di</strong>venta meno turbolenta, le<br />

forze <strong>di</strong> auto<strong>di</strong>fesa giapponesi, pur numerose e ben preparate nelle tre <strong>di</strong>mensioni<br />

operative (terra, mare <strong>ed</strong> aria), corrono il rischio <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare sempre meno<br />

impiegabili, a meno che ulteriori emendamenti costituzionali, simili a quelli che la<br />

Germania ha introdotto da pochi anni, non vengano approvati.<br />

Rimane infine il problema della popolazione sempre in crescita. Questo, come<br />

abbiamo visto in prec<strong>ed</strong>enza, è un fattore <strong>di</strong> instabilità, e <strong>di</strong> questo se ne sono avuti<br />

alcuni segni, prima con la nascita <strong>di</strong> cellule terroristiche “ad alto contenuto<br />

tecnologico”, e quin<strong>di</strong> con il risorgere del militarismo, un fenomeno che preoccupa<br />

tutti i vicini del Giappone, che portano ancora addossa le cicatrici del recente passato.<br />

Ma per capire bene il Giappone, è necessario prima v<strong>ed</strong>ere come questo paese si è<br />

aperto alle relazioni con l’<strong>Occidente</strong> e quali rapporti si sono sviluppati nel tempo.<br />

235


)-L’apertura all’<strong>Occidente</strong><br />

“Basandosi sulla teoria ciclica cinese della storia formulata da Marcel Granet,<br />

spesso si è portati a descrivere in generale i paesi asiatici in pr<strong>ed</strong>a a cicli successivi <strong>di</strong><br />

apertura e <strong>di</strong> chiusura. Questa immagine riguarda soprattutto il Giappone che, per la<br />

sua vicinanza con la civiltà cinese, è stato perio<strong>di</strong>camente molto aperto o molto<br />

chiuso alle sue influenze” 313 . Bisogna <strong>di</strong>re che questa osservazione, indubbiamente<br />

valida, si applica appieno anche ai rapporti del paese con il mondo europeo, che si<br />

presentò relativamente tar<strong>di</strong>, ma ha esercitato nei secoli un’influenza significativa.<br />

Il primo contatto avvenne nel 1543, quando “i Portoghesi raggiungono per la<br />

prima volta l’arcipelago giapponese a Tanegashima, un’ isola a sud <strong>di</strong> Kyushu. Se il<br />

loro approdo è dovuto al caso e ad un’avaria, le conseguenze <strong>di</strong> questo contatto<br />

saranno considerevoli. La prima è l’introduzione dei moschetti e dei principi della<br />

loro fabbricazione, che ben presto si <strong>di</strong>ffondono in tutto l’arcipelago” 314 .<br />

Come si può notare, in una società scossa da continue guerre intestine, qual’era<br />

quella nipponica, il primo oggetto d’interesse, nei confronti degli stranieri fu quali<br />

armi essi portassero, e come esse potessero essere fabbricate, per riuscire a prevalere<br />

sui nemici. V<strong>ed</strong>remo che questo approccio rimarrà costante, nei secoli a venire.<br />

Come però avveniva all’epoca, assieme ai marinai occidentali, <strong>ed</strong> ai loro orologi<br />

meccanici – subito copiati dai giapponesi - venivano i missionari, e nient<strong>ed</strong>imeno<br />

che San Francesco Saverio, gesuita, sbarcò in Giappone nel 1549. Grazie a lui <strong>ed</strong> ai<br />

suoi successori, nel 1580 vi erano già 200.000 cristiani nell’isola <strong>di</strong> Kyushu.<br />

313 R. CALVET. Op. cit. pag. 267.<br />

314 Ibid. pag. 211.<br />

236


Il reggente dell’epoca, Hideyoshi, “nei suoi contatti con gli europei (i Portoghesi<br />

sarebbero stai seguiti ben presto dagli Olandesi) cercava anche <strong>di</strong> promuovere il<br />

commercio estero, fonte <strong>di</strong> ricchezza e sostegno della forza militare. Lo sviluppo<br />

delle relazioni commerciali con i mercanti portoghesi permette a questi ultimi <strong>di</strong> far<br />

uscire annualmente circa ottanta tonnellate d’argento estratte dalle miniere<br />

giapponesi. (Inoltre avanza) richieste insistenti ma infruttuose ai portoghesi <strong>di</strong><br />

c<strong>ed</strong>ergli una nave per poterla esaminare e copiare” 315 .<br />

Due cose vanno notate, fin da ora: in primo luogo, il fatto che il Giappone, a<br />

<strong>di</strong>fferenza della Cina, non era pregiu<strong>di</strong>zialmente chiuso alle influenze occidentali,<br />

almeno all’inizio, o quando i leader del paese erano lungimiranti, come nel nostro<br />

caso. L’aver capito, fin da allora, la stretta connessione tra commercio internazionale<br />

e forza militare è la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> un’apertura mentale che fa invi<strong>di</strong>a anche a chi<br />

vive nella nostra epoca.<br />

Inoltre, è significativa l’attenzione verso gli strumenti del Potere Marittimo.<br />

V<strong>ed</strong>remo il Giappone, nel XIX secolo, andare ad imparare la costruzione e la<br />

condotta delle navi da guerra in Gran Bretagna, che all’epoca aveva la prima Marina<br />

al mondo, segno che si puntava sempre ad acquisire ciò che vi era <strong>di</strong> meglio in<br />

circolazione. Nel XVI secolo, i migliori erano i Portoghesi, e fu chiesto a loro, anche<br />

se invano.<br />

Ma Hideyoshi, pressato dalla corte imperiale, fu anche costretto a chiudere le<br />

porte ai missionari, vista l’enorme <strong>di</strong>ffusione della f<strong>ed</strong>e cristiana, in quanto riteneva<br />

315 Ibid. pgg. 222-223.<br />

237


che “il suo successo scalzava le basi stesse della società giapponese” 316 . La riapertura,<br />

peraltro, avvenne nel 1615, anche perché i commercianti non esportavano gli articoli<br />

più richiesti – in genere le armi – se i missionari non erano autorizzati nel paese.<br />

In questo secondo periodo, ai Portoghesi si aggiunsero gli Olandesi <strong>ed</strong> i<br />

Britannici, e l’estrazione dell’argento raggiunse il livello <strong>di</strong> 150 tonnellate/anno, <strong>ed</strong> a<br />

questo commercio si aggiunse quello della seta. Va detto che tecniche <strong>di</strong> estrazione<br />

dei metalli preziosi più moderne erano state introdotte nel paese, “probabilmente dai<br />

Portoghesi e dagli Spagnoli” 317 .<br />

Nel 1636, peraltro, il governo giapponese iniziò a limitare i contatti con<br />

l’occidente, anche a causa delle pressioni da parte delle “corporazioni <strong>di</strong> orafi e<br />

mercanti, preoccupati per l’autentica emorragia <strong>di</strong> metalli preziosi che il commercio<br />

internazionale, attraverso Nagasaki, per quanto limitato, faceva subire al paese” 318 .<br />

Le vittime <strong>di</strong> questi provv<strong>ed</strong>imenti furono i mercanti portoghesi, il che creò una<br />

situazione in cui “gli unici ad avere il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> restare sul suolo giapponese – sempre<br />

sotto stretta sorveglianza – sono i mercanti olandesi e cinesi, ma solo sulla penisola<br />

artificiale <strong>di</strong> Deshima, <strong>di</strong> fronte a Nagasaki” 319 , Anche il numero <strong>di</strong> navi straniere<br />

venne limitato, nel 1715, sempre per lo stesso motivo, anche se si notava la tendenza<br />

a privilegiare il commercio con i vicini asiatici, specie con la Corea e le isole Ryu<br />

Kyu, probabilmente per l’importazione del riso.<br />

316 Ibid. pag. 267.<br />

317 Ibid. pag. 237.<br />

318 Ibid. pag. 232.<br />

319 Ibid. pag. 268.<br />

238


Questa chiusura <strong>di</strong>mostra che i Giapponesi non erano certo stati ammaliati dagli<br />

Europei, tutt’altro! Questi ultimi, infatti, venivano chiamati nanban, che significa<br />

“Barbari del Sud”; in effetti, e lo abbiamo visto nel caso della Cina, gli avventurieri<br />

europei non erano certo dei meravigliosi ambasciatori della nostra civiltà, <strong>ed</strong> i loro<br />

scopi non andavano al <strong>di</strong> là del profitto più bieco e <strong>di</strong>retto.<br />

La pace interna <strong>ed</strong> il benessere prodotto dal commercio internazionale fecero in<br />

quell’epoca raddoppiare la popolazione, da quin<strong>di</strong>ci a trenta milioni <strong>di</strong> abitanti. I<br />

numeri ci sembrano ri<strong>di</strong>coli, ma il fatto che il governo degli Shogun abbia saputo<br />

assicurare un livello <strong>di</strong> vita adeguato è segno che anche in Giappone, come in Cina,<br />

l’attenzione alle esigenze della popolazione era un impegno morale per i leader.<br />

Nel <strong>fra</strong>ttempo, il numero dei prodotti <strong>di</strong> esportazione aumentava: anzitutto la<br />

carta, prodotta con la cellulosa <strong>di</strong> legno, “cosa che (le) conferisce una migliore qualità<br />

estetica <strong>ed</strong> una maggiore soli<strong>di</strong>tà” 320 . Furono poi esportate le porcellane, le armi da<br />

taglio e le corazze, segno dell’eccellenza dell’industria metallurgica, sia pure ancora<br />

artigianale.<br />

Stranamente, gli <strong>ed</strong>itti degli shogun dell’epoca mostrano che il poco commercio<br />

estero ancora ammesso era riservato agli stranieri <strong>ed</strong> alle loro navi; “i <strong>di</strong>vieti <strong>di</strong><br />

costruzione <strong>di</strong> imbarcazioni <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni, miranti ad imp<strong>ed</strong>ire il commercio<br />

internazionale” 321 ai citta<strong>di</strong>ni giapponesi, fanno sì che si sviluppi la sola costruzione<br />

320 Ibid. pag. 239.<br />

321 Ibid. pag. 275.<br />

239


<strong>di</strong> “imbarcazioni dallo scafo a forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>amante” 322 , piccole <strong>ed</strong> idonee al solo<br />

collegamento <strong>fra</strong> isole contigue.<br />

Come accade spesso quando un paese si chiude al commercio internazionale, già<br />

verso il 1720 iniziarono le <strong>di</strong>fficoltà finanziarie del governo, in una società nella<br />

quale lo sviluppo economico, malgrado i freni posti dal governo, era <strong>di</strong> tipo<br />

capitalistico. Si tentò allora <strong>di</strong> ammettere all’importazione libri e conoscenze<br />

tecniche, segno <strong>di</strong> attenzione agli sviluppi che avvenivano altrove, ma il commercio<br />

estero rimase, in quel periodo, <strong>di</strong> un valore pari all’1,5% della produzione agricola<br />

nazionale.<br />

All’inizio del XIX secolo, “il commercio internazionale, in particolare con la<br />

Russia, viene votato m<strong>ed</strong>iante plebiscito, e genera un nuovo impulso alla<br />

colonizzazione delle isole <strong>di</strong> Hokkaido e Shakalin, a contatto con le rotte marittime<br />

russe” 323 . Questa apertura, in verità, non fu affatto spontanea.<br />

La Russia si era infatti appena affacciata all’oceano Pacifico, e nel 1792 iniziò a<br />

premere, tramite “l’ambasciatore dello zar, Adam Laxman, (che) approda sulle coste<br />

giapponesi, a Nemuro, e si presenta presso lo shogunato, esigendo l’apertura <strong>di</strong><br />

relazioni commerciali. Pur avendo (inizialmente) rigettato la sua richiesta, (lo<br />

shogun) mette a punto dei piani <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa del porto <strong>di</strong> Edo (l’attuale Tokyo) e delle<br />

coste <strong>di</strong> Izu, Sagami e Boso. Nel 1804 un nuovo ambasciatore russo, Nikolai Petrovic<br />

Rezanov, presenta la m<strong>ed</strong>esima richiesta, nel porto <strong>di</strong> Nagasaki. In seguito ad un<br />

nuovo rifiuto, gli attacchi russi alle isole Shakalin e Curili si susseguono fino al<br />

322 Ibid. pag. 174.<br />

323 Ibid. pgg. 294-295.<br />

240


1807” 324 . È interessante notare che questa chiusura aveva un’eccezione notevole negli<br />

Olandesi, i quali, con il consenso delle autorità giapponesi, avevano costituito una<br />

piccola colonia a Deshima, davanti a Nagasaki, e continuavano a “godere il privilegio<br />

<strong>di</strong> un commercio limitato” 325 .<br />

La pressione russa spinse i Giapponesi a spostarsi sempre più verso le isole<br />

settentrionali, il cui clima rigido aveva scoraggiato, fino a quel periodo, una<br />

colonizzazione intensa. Una tale corsa a popolare le isole più a Nord era una saggia<br />

misura preventiva, atta ad evitare <strong>di</strong> trovarsi con dei “barbari” in casa; se si considera<br />

che le isole Curili sono oggetto <strong>di</strong> contenzioso ancor oggi, e che i Russi hanno preso<br />

possesso dell’isola <strong>di</strong> Shakalin col trattato <strong>di</strong> pace del 1947, possiamo v<strong>ed</strong>ere una<br />

notevole continuità negli obiettivi politici dei governanti nipponici, un fatto <strong>di</strong> cui<br />

bisogna tener conto anche oggi.<br />

Ma in questa opera <strong>di</strong> ripopolamento del nord del paese vi era anche una ragione<br />

contingente, anche se non meno importante: a causa delle carestie rurali del 1783-<br />

1786, si verificarono numerose rivolte, e <strong>di</strong>ventò chiaro al governo che la produzione<br />

interna era ormai <strong>di</strong>ventata insufficiente. Lo spostamento verso nord <strong>di</strong> una parte<br />

della popolazione, quin<strong>di</strong>, mirava ad aumentare la superficie coltivabile del paese.<br />

Inoltre, le accuse <strong>di</strong> corruzione al governo, che venne deposto sotto la pressione<br />

popolare, spinsero nel 1800 la nuova leadership del paese ad una riforma<br />

moralizzatrice, con “ingiunzioni che mirano a proibire, tra l’altro, la prostituzione, gli<br />

stabilimenti <strong>di</strong> bagni misti, il gioco e le botteghe <strong>di</strong> barbiere. Ispirata dalla dottrina<br />

324 Ibid. pag. 302.<br />

325 S. HOWARTH. To Shining Sea. Ed. Weidenfeld & Nicolson, 1991, pag. 173.<br />

241


confuciana, viene incoraggiata nelle famiglie numerose una pratica <strong>di</strong> infantici<strong>di</strong>o e<br />

aborto, al fine <strong>di</strong> limitare i carichi familiari in una popolazione in cui la carestia<br />

continua ad imperversare” 326 .<br />

Sull’onda delle aperture al commercio con i russi, si presentarono anche navi <strong>di</strong><br />

altri paesi. In particolare, una nave da guerra britannica, la Phaeton, nel 1808,<br />

“ottenne rifornimenti con la minaccia <strong>di</strong> bombardamento” 327 . Forse anche per questo<br />

affronto, oltre che per le pressioni degli Olandesi <strong>di</strong> Deshima, “nel 1813, dopo la<br />

presa <strong>di</strong> Giava, i Britannici subiscono un nuovo rifiuto <strong>di</strong> apertura delle relazioni<br />

commerciali da parte del Giappone. Anche gli Americani si v<strong>ed</strong>ono rifiutare<br />

l’ingresso nel 1837 e nel 1846; poi, nel 1849, è <strong>di</strong> nuovo il turno dei Britannici” 328 .<br />

Più esattamente, i tentativi americani erano stati i seguenti: “nel 1832, un inviato<br />

americano morì prima <strong>di</strong> raggiungere il Giappone; nel 1837 una nave mercantile<br />

anglo-americana era stata respinta dal fuoco proveniente da terra; nel 1845 una<br />

baleniera americana riuscì a rimpatriare alcuni pescatori giapponesi che avevano fatto<br />

nau<strong>fra</strong>gio; nel 1846 lo USS Columbus, al comando del commodoro James Biddle, si<br />

ancorò all’entrata della baia <strong>di</strong> Tokyo, non ottenendo nulla a parte il costituire una<br />

temporanea attrazione turistica; e nel 1848, <strong>di</strong> nuovo grazie alla minaccia <strong>di</strong><br />

bombardamento, lo USS Preble riuscì a recuperare alcuni pescatori americani che<br />

erano nau<strong>fra</strong>gati” 329 .<br />

326 R. CALVET. Op. cit. pag. 296.<br />

327 S. HOWARTH. Op. cit, pag.173.<br />

328 R. CALVET. Op. cit. pag. 303.<br />

329 S. HOWARTH. Op. cit. pag. 173.<br />

242


Come si v<strong>ed</strong>e le pressioni stavano <strong>di</strong>ventando troppo forti: “nel 1855, le navi da<br />

guerra del russo Putiatin forzano l’ingresso del porto <strong>di</strong> Nagasaki, e lo stesso fanno,<br />

nel 1853, quelle del commodoro americano Perry nella baia <strong>di</strong> Uraga. L’anno<br />

seguente Perry fa ritorno con forze ancora maggiori. Da quel momento l’apertura è<br />

irreversibile” 330 .<br />

Queste <strong>di</strong>mostrazioni <strong>di</strong> forza, infatti, avevano mostrato al governo la sua<br />

impotenza militare, nei confronti degli Occidentali, oltre a provocare “uno scontento<br />

generale nel paese, che prende maggiore coscienza della propria inferiorità<br />

tecnologica e militare nei confronti degli Occidentali, e dei pericoli che questa<br />

situazione comporta” 331 ; le conseguenze che ne furono tratte, sia dal governo stesso,<br />

sia dall’opinione pubblica, furono oltremodo realistiche, oltre che essere tipiche del<br />

modo <strong>di</strong> pensare giapponese.<br />

Infatti, “la questione fondamentale era sapere come collocare ciò che veniva<br />

dall’<strong>Occidente</strong> nella nuova società che andava nascendo. Presero corpo <strong>di</strong>verse<br />

risposte. Sul piano tecnologico, la formula del consigliere Sakuma Shozan (1811-<br />

1864), ‘morale giapponese, tecnica occidentale’, riassume perfettamente<br />

l’atteggiamento generale” 332 . Oltretutto, anche i più retrivi erano a conoscenza delle<br />

umiliazioni subite dalla Cina, durante la prima guerra dell’oppio, e sapevano che ogni<br />

ulteriore tentativo <strong>di</strong> chiusura sarebbe stato inutile.<br />

V<strong>ed</strong>iamo, ora, come questi eventi furono vissuti dal più importante <strong>fra</strong> gli<br />

Occidentali coinvolti, e precisamente dal commodoro Matthew Perry. Questi, quando<br />

330 R. CALVET. Op. cit. pag. 304.<br />

331 Ibid. pag. 310.<br />

332 Ibid. pag. 308-309.<br />

243


gli fu assegnato il comando, ne fu deluso, avendo desiderato la squadriglia del<br />

M<strong>ed</strong>iterraneo, un’area che egli conosceva bene. Ma egli era stato designato per<br />

andare in Giappone, a causa del suo “formidabile curriculum come <strong>di</strong>plomatico<br />

navale. Egli aveva negoziato con successo in Turchia, a Napoli, in Africa <strong>ed</strong> in<br />

Messico, conciliando la buona volontà e la fiducia della gente conquistata (sic),<br />

amministrando il potere senza limiti che poss<strong>ed</strong>evo per il loro conforto e protezione,<br />

piuttosto che per irritarli” 333 .<br />

Per inciso, il periodo trascorso da Perry a negoziare con il Regno delle Due<br />

Sicilie, riguardava una richiesta <strong>di</strong> risarcimento per la confisca, effettuata durante il<br />

regno <strong>di</strong> Murat, <strong>di</strong> quattro mercantili americani, che erano stati riconvertiti in navi<br />

militari; la lunga trattativa, durata dal 1816 al 1832, si concluse felicemente con una<br />

convenzione bilaterale, “sottoscritta da John Nelson, incaricato straor<strong>di</strong>nario <strong>di</strong><br />

Washington” 334 , al quale Perry faceva da assistente.<br />

Ritornando alla sua missione in Giappone, Perry aveva saputo che “i Giapponesi<br />

avevano seguito l’andamento della guerra con il Messico, <strong>ed</strong> erano stati<br />

profondamente colpiti dalla cattura <strong>di</strong> Vera Cruz, fatta da Scott, Conner e (dallo<br />

stesso) Perry. Al tempo stesso, alcuni Giapponesi stavano imparando i progressi degli<br />

armamenti occidentali, della m<strong>ed</strong>icina e <strong>di</strong> altre scienze” 335 .<br />

Anche il governo USA aveva coscienza del fatto che non si sarebbero trovati solo<br />

degli oppositori accaniti, nella missione, <strong>ed</strong> emanò i seguenti or<strong>di</strong>ni: “la sua missione<br />

ha necessariamente un carattere pacifico, e (Ella) non dovrà ricorrere alla forza se<br />

333 S. HOWARTH. Op. cit, pag. 172.<br />

334 L. RADOGNA. Storia della Marina delle Due Sicilie. Ed. Mursia, 1978, pag. 79.<br />

335 S. HOWARTH. Op. cit. pag. 173.<br />

244


non in auto<strong>di</strong>fesa, per la protezione delle navi e degli equipaggi sotto il Suo comando,<br />

o per resistere ad un atto <strong>di</strong> violenza personale compiuto verso <strong>di</strong> Lei o uno dei Suoi<br />

ufficiali” 336 .<br />

Il 14 luglio 1853, Perry entrò nella baia <strong>di</strong> Tokyo con quattro navi. Nei contatti<br />

con le autorità giapponesi, agevolati dalla sua presenza fisica, dal suo comportamento<br />

scrupoloso e dall’ovvia potenza latente delle sue navi, egli “usò l’idea <strong>di</strong> tenersi<br />

nascosto alla vista generale finché un funzionario dal grado paragonabile al suo non<br />

si fosse presentato, (e quin<strong>di</strong> trattarlo) con un fastoso cerimoniale, il cui effetto era<br />

aumentato dal fatto <strong>di</strong> usarlo con parsimonia” 337 . Questo comportamento era perfetto<br />

nei confronti <strong>di</strong> un popolo come i Giapponesi, estremamente attenti alle forme, e gli<br />

consentì, nel 1854, <strong>di</strong> firmare “un trattato <strong>di</strong> commercio <strong>ed</strong> amicizia” 338 .<br />

Naturalmente, al rientro in patria piovvero gli elogi per il commodoro Perry, <strong>ed</strong> il<br />

Segretario <strong>di</strong> Stato alla Marina, James C. Dobbin gli scrisse: “avete guadagnato<br />

un’ulteriore fama per Voi, onorato la molto onorevole Forza Armata cui appartenete,<br />

e, come noi tutti speriamo, avete assicurato al Vostro paese, al commercio, e alla<br />

civilizzazione un trionfo le cui ben<strong>ed</strong>izioni potrebbero essere godute dalle<br />

generazioni che non sono ancora nate” 339 . Il povero Segretario <strong>di</strong> Stato alla Marina<br />

non poteva immaginare quanto turbolenti sarebbero stati i rapporti <strong>fra</strong> le due nazioni,<br />

che il commodoro aveva provv<strong>ed</strong>uto ad avvicinare!<br />

336 Ibid. pag. 174.<br />

337 Ibid. pgg. 174-175.<br />

338 Ibid. pag. 175.<br />

339 Ibid.<br />

245


Per ritornare al Giappone, mentre i più illuminati, come abbiamo visto,<br />

consideravano che l’apertura alle tecnologie occidentali fosse il modo migliore per<br />

<strong>di</strong>fendere il paese, non tutti erano d’accordo, <strong>ed</strong> oltretutto, apparentemente, gli or<strong>di</strong>ni<br />

dal centro alla periferia non si <strong>di</strong>ffondevano in modo abbastanza capillare.<br />

Mentre, quin<strong>di</strong>, il governo centrale si preoccupò quasi imm<strong>ed</strong>iatamente <strong>di</strong><br />

intraprendere “la modernizzazione dell’esercito e della marina militare,<br />

essenzialmente con l’appoggio delle potenze occidentali” 340 , accettando <strong>di</strong> pagare i<br />

costi elevati connessi con la cessione <strong>di</strong> tecnologia, si continuarono a verificare degli<br />

incidenti: “nel 1862, membri <strong>di</strong> una setta assassinano un inglese nei pressi <strong>di</strong><br />

Yokohama; i fortini appartenenti al (clan <strong>di</strong>) Choshu aprono il fuoco il 25 giugno<br />

1863 su bastimenti occidentali che incrociano nello stretto <strong>di</strong> Shimonoseki, (e) nel<br />

1861 viene attaccata la delegazione inglese <strong>di</strong> Shinagawa. Si tratta sempre <strong>di</strong> azioni<br />

condotte da giovani samurai sotto la spinta dei Daimios, i feudatari più ricchi del<br />

Giappone” 341 .<br />

In risposta, i britannici bombardarono il porto <strong>di</strong> Kagoshima, il 15 agosto 1863, e<br />

l’anno successivo una “flotta conf<strong>ed</strong>erata anglo-<strong>fra</strong>nco-olandese-americana” 342<br />

smantellò i forti del clan Choshu, anche perché imp<strong>ed</strong>ivano loro <strong>di</strong> compiere i rilievi<br />

idrografici dello stretto <strong>di</strong> Shimonoseki, che era un’arteria fondamentale per il<br />

transito dal Mare del Giappone alla costa orientale giapponese <strong>ed</strong> all’oceano;<br />

oltretutto, i rilievi erano un’attività che tutte le navi occidentali dovevano compiere,<br />

durante le campagne oltremare, per aggiornare le carte nautiche.<br />

340 R. CALVET. Op. cit. pag.312.<br />

341 Ibid. pgg. 312-313.<br />

342 H. S. HEGNER. Op. cit. pag. 43.<br />

246


In effetti, come riferì il capo delegazione giapponese a Parigi, nel 1865, al nostro<br />

comandante Vittorio Arminjon, “osteggiando i Daimios gli stranieri e qualunque<br />

commercio con l’estero, <strong>ed</strong> essendo <strong>di</strong> più in corso una guerra civile <strong>fra</strong> questi signori<br />

e lo Shogun, capo del Governo e rappresentante del potere esecutivo imperiale, le<br />

probabilità <strong>di</strong> una felice riuscita della missione (prevista per la corvetta Magenta) non<br />

sarebbero state molte, fino a che una vittoria non avesse chiarito la situazione” 343 .<br />

Il quadro <strong>di</strong> situazione era chiarissimo: l’apertura all’<strong>Occidente</strong> fu un trauma, le<br />

cui ferite richiesero anni per essere sanate. Ma le pressioni occidentali non subivano<br />

rallentamenti <strong>ed</strong> anche l’Italia decise <strong>di</strong> inviare lo stesso la corvetta Magenta, con il<br />

comandante Arminjon, a compiere una campagna intorno al mondo, vuoi per far<br />

conoscere il neonato Regno d’Italia nei paesi lontani, vuoi per esercitare un atto <strong>di</strong><br />

presenza, soprattutto in vista <strong>di</strong> futuri accor<strong>di</strong> commerciali anche con noi.<br />

La nostra unità, partita il 2 febbraio 1866 da Montevideo, dove era <strong>di</strong> stazione, si<br />

<strong>di</strong>resse verso il Giappone e, dopo aver doppiato il Capo <strong>di</strong> Buona Speranza, entrò<br />

nella baia <strong>di</strong> Tokyo il 14 luglio successivo. Essendo ancora in corso la guerra civile,<br />

al principio i funzionari giapponesi rifiutarono, cortesemente, <strong>di</strong> aprire un rapporto <strong>di</strong><br />

commercio con un ulteriore paese europeo, ma accennarono ad una possibile<br />

concessione, in modo in<strong>di</strong>retto, tipicamente orientale, quando <strong>di</strong>chiararono che “un<br />

partito molto influente si opponeva all’ammissione dei forestieri sul territorio<br />

giapponese e la domanda italiana sarebbe stata sicuramente respinta se non si fosse<br />

343 UFFICIO STORICO MARINA MILITARE (USMM). Storia delle Campagne Oceaniche della R. Marina. Ristampa<br />

1992, Vol. I pag. 67.<br />

247


almeno promesso <strong>di</strong> contenere le esigenze nei limiti del trattato con la Prussia” 344 ,<br />

nazione <strong>di</strong> cui l’Italia era alleata.<br />

Le notizie sulla crisi europea, che si aggravava <strong>di</strong> giorno in giorno, <strong>ed</strong> i possibili<br />

pericoli derivanti dalla presenza <strong>di</strong> tante navi occidentali nelle acque del Giappone,<br />

alcune delle quali, se le loro capitali si fossero alleate dell’Austria Ungheria,<br />

avrebbero fatto del piccolo Magenta un solo boccone, convinsero il comandante ad<br />

accettare queste clausole, anche se molto meno ampie <strong>di</strong> quanto scritto sulle sue<br />

istruzioni ministeriali.<br />

Il trattato fu quin<strong>di</strong> firmato senza <strong>di</strong>fficoltà, il 25 agosto successivo, grazie anche<br />

al fatto che uno dei delegati giapponesi era lo stesso plenipotenziario che il<br />

comandante aveva conosciuto a Parigi, da allora iniziò una serie <strong>di</strong> contatti sempre<br />

più frequenti <strong>fra</strong> i rappresentanti dei due paesi. Navi della Regia Marina fecero infatti<br />

visita nei porti del Giappone quasi una volta ogni due anni, e precisamente nel 1868,<br />

nel 1871, nel 1873, nel 1875, nel 1877 <strong>ed</strong> ancora nel 1879.<br />

Quest’ultima visita ebbe un’importanza particolare, in quanto la nave italiana, la<br />

corvetta Vettor Pisani, era comandata da un membro della casa reale, Tomaso <strong>di</strong><br />

Savoia duca <strong>di</strong> Genova, il quale era stato già anni prima in Giappone, nel 1873,<br />

quando era guar<strong>di</strong>amarina, imbarcato sulla fregata Garibal<strong>di</strong>, <strong>ed</strong> aveva lasciato<br />

un’impressione positiva per i suoi mo<strong>di</strong> pacati e signorili.<br />

Quin<strong>di</strong>, egli fu ricevuto con tutti gli onori, tanto che, ad<strong>di</strong>rittura, il Mikado<br />

(l’imperatore) si recò a restituire la visita protocollare sulla nave, fatto all’epoca<br />

344 Ibid. pag. 68.<br />

248


inusuale. In quegli anni, l’Italia aveva inviato un ministro plenipotenziario, il<br />

commendator De Luca, con accr<strong>ed</strong>itamento sia in Cina, sia in Giappone, e questi non<br />

solo fornì una preziosa assistenza al comandante, ma lo mise al corrente dei problemi<br />

principali.<br />

Fra questi è importante ricordarne uno, che costituisce un buon esempio <strong>di</strong> come<br />

noi, talvolta, pecchiamo gravemente in fase <strong>di</strong> attuazione dei rapporti con le altre<br />

nazioni. Ma lasciamo la parola al principe:<br />

“come è ben noto, il Giappone, onde mettersi al più presto al livello della civiltà europea, istituì<br />

da qualche anno scuole speciali <strong>di</strong> cui affidò l’insegnamento e la <strong>di</strong>rezione a professori delle <strong>di</strong>verse<br />

nazioni che in una data scienza ritengonsi avere una supremazia sulla altre. All’Italia accordò le<br />

scuole <strong>di</strong> belle arti. Ignoro se i professori, molto generosamente retribuiti, siano stati scelti dalla<br />

Legazione Giapponese in Italia o, come sentii anche vociferare, suggeriti in parte dal nostro<br />

Governo, ma quello che sentii generalmente lamentare si è che essi sono, almeno la maggior parte,<br />

molto al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> quanto l’Italia poteva fornire, e <strong>di</strong> quanto il Giappone era in <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> esigere da<br />

loro. La nessuna armonia <strong>fra</strong> <strong>di</strong> loro, l’assoluta mancanza del saper vivere socievole, per non <strong>di</strong>re <strong>di</strong><br />

qualcuno molto peggio, non tardarono a <strong>di</strong>sgustare il Governo giapponese che a parecchi non volle<br />

rinnovare il contratto alla scadenza. Tutto ciò malgrado che il Governo giapponese nutrisse<br />

realmente <strong>ed</strong> avesse sempre <strong>di</strong>mostrato le migliori <strong>di</strong>sposizioni verso i nostri connazionali.<br />

Constami essere stato detto da qualche Ministro giapponese che se i professori italiani qui inviati<br />

fossero stati all’altezza della loro posizione, le scuole <strong>di</strong> belle arti da accordarsi ai nostri<br />

connazionali sarebbero a quest’ora decuplicate con non lieve nostro interesse <strong>di</strong>retto e morale” 345 .<br />

A parte la modesta figura fatta da questi professori, probabilmente mal selezionati<br />

e che poco si curavano <strong>di</strong> far fare bella figura all’Italia, da questo stralcio della<br />

345 Ibid. pag. 318.<br />

249


elazione del Principe emerge anche quale fu la politica <strong>di</strong> modernizzazione<br />

giapponese, tendente a prendere il meglio da ogni nazione occidentale, per portarsi ad<br />

un livello adeguato per consentire al governo <strong>di</strong> s<strong>ed</strong>ersi, negli anni successivi, nel<br />

concerto delle nazioni – come si <strong>di</strong>ceva allora – con piena autorevolezza.<br />

Un altro esempio ci è dato dalla Marina. Molte firono le nazioni occidentali che si<br />

interessarono a costruire questa Forza Armata, probabilmente anche per creare una<br />

<strong>di</strong>pendenza industriale <strong>di</strong> questa nei loro confronti. Iniziò l’Olanda – l’unico paese ad<br />

avere avuto rapporti praticamente ininterrotti con il Giappone – donando una<br />

cannoniera con propulsione a ruote, per intenderci come i vaporetti fluviali dei film<br />

Western, subito seguita da uno yacht armato, anch’esso un dono, ma della regina<br />

Vittoria.<br />

Vennero poi gli Stati Uniti, che donarono una vecchia corazzata, lo Stonewall<br />

Jackson, <strong>ed</strong> “ammisero un numero limitato <strong>di</strong> Giapponesi all’Accademia Navale <strong>di</strong><br />

Annapolis” 346 . Gli ingegneri <strong>fra</strong>ncesi, dal canto loro, “costruirono un arsenale per la<br />

Marina Imperiale a Yokosuka, venti miglia da Yokohama. Essi passarono <strong>di</strong>eci anni<br />

insegnando ai Giapponesi tutto ciò che sapevano sulla costruzione delle navi da<br />

guerra occidentali. Ma furono i Britannici che <strong>di</strong><strong>ed</strong>ero il contributo più significativo.<br />

Nel 1873, essi impiantarono un collegio navale a Tokyo, dove l’ammiraglio Douglas<br />

e trentatré ufficiali e marinai britannici specialmente selezionati aiutarono a costruire<br />

una marina giapponese moderna. L’Accademia navale fu poi trasferita sull’isola <strong>di</strong><br />

346 J. D. POTTER. Admiral of the Pacific. Ed. Heinemann, 1965, pag, 9.<br />

250


Etajima, vicino ad Hiroshima, dove il dormitorio principale degli allievi fu costruito<br />

con mattoni portati appositamente dall’Inghilterra” 347 .<br />

Il risultato fu che, “entro il 1897, i Giapponesi or<strong>di</strong>navano navi da guerra più<br />

veloci <strong>di</strong> chiunque altra, eccetto quelle britanniche. Le corazzate venivano costruite in<br />

Gran Bretagna, incrociatori in Francia, Germania <strong>ed</strong> America. Essi stavano anche<br />

iniziando a costruire le loro navi nel loro arsenale principale, fondato dai Francesi a<br />

Yokosuka. Presto, il Giappone ebbe una Marina grande quanto quella <strong>di</strong> molte<br />

potenze occidentali” 348 . Da notare che, nel 1904, il Giappone rilevò due incrociatori<br />

corazzati della classe Garibal<strong>di</strong>, in corso <strong>di</strong> costruzione in Italia per conto della<br />

Marina Argentina, impiegandoli poi nella linea <strong>di</strong> battaglia, per sostituire due<br />

corazzate nipponiche, affondate dalle mine russe.<br />

Questa politica lungimirante, portata avanti malgrado le notevoli <strong>di</strong>fficoltà interne,<br />

ebbe i suoi frutti nella vittoria contro la Cina, nel 1894, come abbiamo visto, ma<br />

ancor più nella successiva guerra con la Russia. Come abbiamo visto, tutto nacque<br />

dalla rivolta dei Boxer, in occasione della quale la Russia chiese <strong>ed</strong> ottenne dalla Cina<br />

la penisola del Liao Tung (anche detta del Kuang Tung), inclusa la base navale <strong>di</strong><br />

Port Artur, in affitto venticinquennale; questa era l’ennesima violazione del trattato<br />

<strong>fra</strong> Russia e Cina, <strong>ed</strong> il Giappone propose alla Russia la spartizione della Manciuria,<br />

con i Russi che avrebbero preso la parte settentrionale <strong>ed</strong> i Giapponesi la parte<br />

meri<strong>di</strong>onale e la Corea.<br />

347 Ibid.<br />

348 Ibid.<br />

251


I negoziati proc<strong>ed</strong>ettero a rilento, in quanto la Russia sperava <strong>di</strong> avere acquisito, in<br />

questo modo, un approdo nei mari cal<strong>di</strong>, in<strong>di</strong>spensabile per “la ven<strong>di</strong>ta in <strong>Oriente</strong> dei<br />

prodotti delle sue fabbriche che non erano in grado <strong>di</strong> sostenere la concorrenza sui<br />

mercati mon<strong>di</strong>ali” 349 ; se avesse c<strong>ed</strong>uto la parte sud della Manciuria, inclusa quin<strong>di</strong><br />

Port Artur, questo grande progetto sarebbe andato in fumo. Ma invece <strong>di</strong> trovare una<br />

soluzione che sod<strong>di</strong>sfacesse le esigenze <strong>di</strong> amb<strong>ed</strong>ue le parti, si illuse <strong>di</strong> poter<br />

prendere per stanchezza i negoziatori giapponesi.<br />

Una volta che questi ultimi ebbero sufficiente evidenza della cattiva volontà russa,<br />

inviarono la loro flotta, piccola ma moderna, verso Port Artur, in gran segreto e l’8<br />

febbraio 1904, al tramonto, essa “si trovava a circa 60 miglia (dal porto), senza essere<br />

stata segnalata dai russi. Le istruzioni (per le siluranti) erano <strong>di</strong> avvicinare la flotta<br />

russa e <strong>di</strong> attaccarla coi siluri. Alle sei <strong>di</strong> sera la nave ammiraglia (giapponese)<br />

Mikasa alzò il segnale affondate la squadra nemica, successo a tutti voi!” 350 .<br />

L’attacco delle siluranti fu sferrato a mezzanotte, poco prima che fosse stata<br />

<strong>di</strong>chiarata la guerra – i Giapponesi non sono mai stati capaci <strong>di</strong> calcolare i fusi orari,<br />

nemmeno in occasione dell’attacco <strong>di</strong> Pearl Harbour – <strong>ed</strong> i loro siluri danneggiarono<br />

solo tre delle sette corazzate russe, anche perché la temperatura gelida del mare<br />

bloccò i meccanismi <strong>di</strong> scoppio <strong>di</strong> alcuni siluri; ma anche se i danni erano limitati,<br />

l’effetto psicologico sui Russi fu enorme. Soprattutto, la sorpresa strategica<br />

giapponese aveva colto la flotta russa impreparata, con tre incrociatori corazzati nel<br />

porto <strong>di</strong> Vla<strong>di</strong>vostok <strong>ed</strong> il grosso a Port Artur, come abbiamo visto.<br />

349 N. V. RIASANOVSKY. Op. cit. pag. 403.<br />

350 G. MOLLI. Op. cit. pag. 358.<br />

252


Con le navi giapponesi poste a metà <strong>fra</strong> i due reparti russi, questi ultimi si<br />

trovarono a non poter godere della loro pur limitata superiorità numerica;<br />

l’ammiraglio giapponese Togo, inoltre, portò la sua flotta in un ancoraggio alle isole<br />

Elliot, a nord-est della base principale russa, in modo da coprire i convogli che<br />

portavano le truppe destinate all’invasione della Corea, che furono traghettate quasi<br />

tutte senza per<strong>di</strong>te.<br />

Su terra, la situazione era apparentemente migliore, avendo il generale russo<br />

Kuropatkin ampi spazi a <strong>di</strong>sposizione per attirare il nemico verso l’interno della<br />

Manciuria e quin<strong>di</strong> batterlo. Il primo problema era che così facendo egli avrebbe<br />

abbandonato la base navale principale al suo destino, non essendo stato completato il<br />

sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fese della penisola del Kuang Tung. Quin<strong>di</strong>, la flotta russa doveva a tutti<br />

i costi forzare lo stretto <strong>di</strong> Corea, sorvegliato dalla flotta giapponese e raggiungere gli<br />

incrociatori corazzati a Vla<strong>di</strong>vostok. Peraltro, il tentativo <strong>di</strong> effettuare il<br />

ricongiungimento, effettuato il 10 agosto 1904, fallì miseramente, e le navi<br />

rientrarono in porto, dove rimasero bloccate, e si autoaffondarono al momento della<br />

resa della piazzaforte.<br />

Nel <strong>fra</strong>ttempo, l’esercito russo si ritirava, secondo i piani, mantenendosi parallelo<br />

alla <strong>di</strong>ramazione ferroviaria della transiberiana, costruita <strong>di</strong> recente per collegare<br />

quest’ultima con la penisola del Kuang Tung, ma quando si avvicinò al capoluogo<br />

della Manciuria, Mukden, ebbe or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tenere la città ad ogni costo, malgrado i<br />

rifornimenti fossero più arretrati, nella città <strong>di</strong> Harbin. Il governo, infatti, non era a<br />

253


conoscenza del piano del generale, e temeva le ripercussioni sull’opinione pubblica,<br />

qualora Mukden fosse caduta.<br />

Naturalmente, con una linea ferroviaria a binario unico, qual’era la transiberiana, i<br />

rifornimenti <strong>ed</strong> i rinforzi viaggiavano a rilento, e quin<strong>di</strong> fu necessario abbandonare<br />

Mukden, dopo una fiera ma inutile resistenza. Nel <strong>fra</strong>ttempo, la flotta del Baltico,<br />

malgrado fosse poco moderna, fu inviata <strong>di</strong> rinforzo, ma il tragitto intorno all’Africa,<br />

inevitabile data l’alleanza in atto <strong>fra</strong> Giappone e Gran Bretagna, richiese ben 14 mesi,<br />

e nel <strong>fra</strong>ttempo la flotta dell’Estremo <strong>Oriente</strong> si era autoaffondata.<br />

La flotta giapponese, che nel <strong>fra</strong>ttempo aveva riparato tutti i danni subiti nei<br />

combattimenti prec<strong>ed</strong>enti, l’attendeva nello stretto <strong>di</strong> Corea, presso l’isola <strong>di</strong><br />

Tsushima, e la sconfisse agevolmente, il 27 maggio 1905. Da quel momento, il<br />

Giappone fu rispettato e temuto da tutte le potenze europee, avendo <strong>di</strong>mostrato le sue<br />

notevoli qualità militari.<br />

Sul piano strategico, i Russi avevano commesso una serie <strong>di</strong> errori che si<br />

rivelarono fatali. Anzitutto, non avevano concentrato le forze né strategicamente,<br />

portando la flotta del Baltico in Estremo <strong>Oriente</strong> prima della crisi, né tantomeno<br />

operativamente, riunendo le forze in un unico porto, malgrado la scarsa ricettività dei<br />

porti russi nell’area. Quel che è peggio, avevano lasciato le forze principali a Port<br />

Artur, malgrado le <strong>di</strong>fese della penisola del Kuang Tung non fossero state portate a<br />

termine.<br />

Inoltre, il piano <strong>di</strong> guerra dell’esercito russo non aveva tenuto conto della realtà<br />

politica (necessità <strong>di</strong> tenere Mukden) né <strong>di</strong> quella locale, anche se, come racconta<br />

254


Mahan, “tra gli ufficiali russi correva abitualmente la voce che essi non erano in<br />

grado <strong>di</strong> mantenere la penisola <strong>di</strong> Liao Tung (Kuang Tung) su cui si trovava Port<br />

Artur e neppure la Manciuria inferiore” 351 . Quin<strong>di</strong>, o si doveva tenere la penisola<br />

oppure si sarebbero dovute ritirare le navi a nord.<br />

Come nel caso del prec<strong>ed</strong>ente trattato <strong>di</strong> Shimonoseki, <strong>di</strong>eci anni prima, le potenze<br />

riunite esercitarono forti pressioni sul Giappone affinché moderasse le sue richieste,<br />

al tavolo della pace, organizzato dal Presidente Theodore Roosevelt a Potsmouth, nel<br />

New Hampshire, nell’agosto 1905. In definitiva, al Giappone venne riconosciuto “il<br />

preminente interesse in Corea, (gli fu) c<strong>ed</strong>uto l’affitto della penisola del Liao Tung, la<br />

parte meri<strong>di</strong>onale della ferrovia fino a Changchun e la metà dell’isola <strong>di</strong> Shakalin. I<br />

due paesi si impegnarono <strong>di</strong> restituire la Manciuria alla Cina e, nonostante le forti<br />

insistenze giapponesi, non fu concordata alcuna indennità” 352 .<br />

Quest’ultimo punto era particolarmente importante per il Giappone, che aveva<br />

subito pesanti per<strong>di</strong>te umane, “tra 60 e gli 80.000 uomini” 353 <strong>ed</strong> il cui deficit <strong>di</strong><br />

bilancio, già elevatissimo, era salito alle stelle per effetto della guerra; oltretutto, era<br />

stato proprio il governo giapponese a proporre agli Stati Uniti <strong>di</strong> fare da m<strong>ed</strong>iatori,<br />

per cui questo iniziò a considerare la nascente potenza americana come un probabile<br />

avversario, con il quale, prima o poi, ci si sarebbe scontrati. Per rifarsi, il Giappone,<br />

quin<strong>di</strong>, sfruttò alla lettera il testo del trattato, portando a compimento “l’annessione<br />

<strong>di</strong>screta ma violenta della Corea, nel 1910” 354 , senza che l’<strong>Occidente</strong> protestasse.<br />

351 A. T. MAHAN. <strong>Strat</strong>egia Navale. Vol II, pag. 245.<br />

352 N. V. RIASANOVSKY. Op. cit. pag. 404.<br />

353 R. CALVET. Op. cit. pag. 337.<br />

354 Ibid.<br />

255


Gli Stati Uniti, dal canto loro, non avevano <strong>di</strong>menticato la forte opposizione<br />

giapponese all’annessione, da parte loro, delle isole Hawaii e, dopo l’invasione<br />

nipponica della Corea, iniziarono a fare i primi piani <strong>di</strong> guerra per un conflitto contro<br />

il Giappone. Infatti, “nel 1910 e 1911, il Collegio (<strong>di</strong> Guerra Navale a Newport)<br />

completò il lavoro su <strong>di</strong> un piano <strong>di</strong> contingenza per una guerra contro Orange (il<br />

Giappone). In quel periodo, gli studenti v<strong>ed</strong>evano il Giappone come un potenziale<br />

nemico per tre ragioni: (1) le incursioni giapponesi in Manciuria erano percepite<br />

come la causa <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> attrito, in quanto violavano la politica della Porta Aperta e<br />

creavano rivalità commerciali con l’<strong>Occidente</strong>; (2) essi sospettavano il Giappone <strong>di</strong><br />

nutrire aspirazioni a prevenire la preminenza americana nel Pacifico, occupando sia<br />

Guam sia le Hawaii, come mezzo per soffocare il possesso americano delle Filippine;<br />

(3) (infine) essi erano al corrente che gli antagonismi razziali nei confronti dei<br />

Giapponesi, allora esistenti negli Stati Uniti, e specialmente in California, potevano<br />

portare a seri problemi” 355 .<br />

In merito agli antagonismi razziali, bisogna <strong>di</strong>re che, per effetto dei <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni in<br />

California contro l’emigrazione giapponese, già nel 1905 il governo <strong>di</strong> quello stato<br />

aveva escluso i bambini <strong>di</strong> quella comunità dalla scuola, calmando le acque ma<br />

creando un profondo risentimento in Giappone.<br />

Le basi della Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale erano state gettate, anche se non tutti,<br />

nell’<strong>Occidente</strong>, lo avevano capito.<br />

355 J. HATTENDORF, B. MITCHELL SIMPSON III, J.D. WADLEIGH. Sailors and Scholars. Naval War College<br />

Press, 1984, pag. 78.<br />

256


c)-Il confronto con gli Stati Uniti<br />

Chiusa la dolorosa parentesi dei negoziati <strong>di</strong> Portsmouth, il Giappone riprese la<br />

sua collaborazione con l’<strong>Occidente</strong>, utile per proseguire la modernizzazione del<br />

paese. L’alleanza con la Gran Bretagna proseguì, tanto che il Giappone <strong>di</strong>chiarò<br />

guerra agli Imperi Centrali, riuscendo in tal modo ad impossessarsi della Concessione<br />

t<strong>ed</strong>esca <strong>di</strong> Tsing Tao – ancora oggi nota per l’ottima birra – ma soprattutto degli<br />

“arcipelaghi <strong>di</strong> Samoa, delle Marshall e delle Caroline” 356 , sia pure – o almeno così fu<br />

cr<strong>ed</strong>uto negli Stati Uniti – per la sola durata della guerra.<br />

Al momento nessuno si oppose, anche se quegli arcipelaghi, oltre a circondare<br />

l’isola americana <strong>di</strong> Guam, “fiancheggiavano per una <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> oltre mille miglia la<br />

linea <strong>di</strong> comunicazione militare (statunitense) dalle Hawaii a Guam, e da lì alle<br />

Filippine <strong>ed</strong> alla costa cinese” 357 . Il Giappone, se avesse ottenuto il possesso<br />

definitivo <strong>di</strong> quelle isole, sarebbe stato quin<strong>di</strong> in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> interrompere ogni<br />

collegamento americano con le proprie aree d’interesse, cosa che fece, con successo,<br />

all’inizio della guerra successiva.<br />

Ma, oltre a collaborare con l’Intesa, la leadership giapponese cominciava a<br />

guardare sempre più intensamente alla Cina, cui avanzò, il 18 gennaio 1915, le<br />

cosiddette “21 richieste”, che erano “un vero e proprio ultimatum che imponeva il<br />

riconoscimento degli interessi giapponesi nella Mongolia Interna, in Manciuria, nello<br />

Shandong (Shantung), nelle provincie costiere sud-orientali e nella valle dello<br />

356 R. CALVET. Op. cit. pag. 338.<br />

357 H. e M. SPROUT. Toward a New Order of Sea Power. Princeton Univ. Press, 1943. pag. 36.<br />

257


Yangzi, e pretendeva che consiglieri giapponesi venissero collocati ai vertici<br />

dell’amministrazione e dell’esercito” 358 .<br />

Era il momento <strong>di</strong> massima debolezza del governo cinese, <strong>ed</strong> oltretutto la guerra<br />

in corso spinse gli alleati dell’Intesa a non fare troppe proteste, anche perché non tutte<br />

le relative azioni furono attuate, malgrado la forzata acquiescenza cinese; nel 1918,<br />

però, gli Stati Uniti imposero al Giappone una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> rispetto della politica<br />

della “Porta Aperta”, esattamente il contrario <strong>di</strong> quelle che erano le intenzioni<br />

dell’Impero del Sol Levante.<br />

Ma il Giappone seppe sfruttare anche la Rivoluzione Russa, occupando la<br />

Manciuria settentrionale e “compì una serie <strong>di</strong> passi che apparvero al mondo esterno<br />

molto simili ad un’impresa deliberata per conquistare <strong>ed</strong> annettere la provincia<br />

marittima della Siberia” 359<br />

In quegli anni, inoltre, ripresero le tensioni in California, tanto che il governo<br />

f<strong>ed</strong>erale fu costretto a decretare, nel 1924, “la messa al bando dell’emigrazione<br />

giapponese sul territorio statunitense, nonché il rifiuto della naturalizzazione per gli<br />

emigrati residenti e del <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> poss<strong>ed</strong>ere beni immobili. Eppure, all’epoca, vi sono<br />

già 15.000 giapponesi negli Stati Uniti, principalmente sulla costa Ovest, senza<br />

contare i 60.000 giapponesi delle Hawaii” 360 . Durante la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale,<br />

questi poveracci verranno trattati con un rigore <strong>ed</strong> a volte anche con una crudeltà<br />

inconsueta per gli Americani.<br />

358 M. SABATTINI e M. SANTANGELO. Op. cit. pag. 577.<br />

359 H. e M. SPROUT. Op. cit. pag. 39.<br />

360 R. CALVET. Op. cit. pag.338.<br />

258


L’altro grosso argomento <strong>di</strong> contenzioso bilaterale fu la questione del <strong>di</strong>sarmo<br />

navale. Negli Stati Uniti, infatti, si era giunti alla conclusione che “un’ulteriore<br />

espansione della Marina giapponese sarebbe stata considerata una minaccia agli<br />

interessi <strong>ed</strong> ai poss<strong>ed</strong>imenti occidentali nel Pacifico e nell’Estremo <strong>Oriente</strong>. (Per<br />

converso, si era consapevoli che) una flotta americana sufficientemente forte da<br />

condurre una guerra virtualmente nelle acque del Giappone sarebbe stata considerata<br />

in quella nazione come una minaccia da contrastare ad ogni costo” 361 .<br />

Queste considerazioni dell’Amministrazione americana, non incontravano,<br />

ovviamente, alcun consenso in Giapponese, dove si riteneva in<strong>di</strong>spensabile una flotta<br />

potente per sostenere la penetrazione in Asia continentale, a prescindere<br />

dall’equilibrio <strong>di</strong> potenza marittima in quel continente. Va anche detto che, <strong>di</strong>etro a<br />

quest’iniziativa <strong>di</strong>sarmista, resa pubblica alla fine del 1918, si celava un tentativo<br />

USA <strong>di</strong> raggiungere un equilibrio <strong>di</strong> potenza <strong>di</strong>verso da quello esistente al momento,<br />

specie nei confronti della Gran Bretagna.<br />

Per usare le parole del rappresentante del Presidente americano, il colonnello<br />

House, il quale “non cr<strong>ed</strong>eva che gli Stati Uniti <strong>ed</strong> altre nazioni si sarebbero<br />

sottomesse volentieri al completo dominio del mare da parte britannica molto più <strong>di</strong><br />

quanto (esse avrebbero accettato) il dominio t<strong>ed</strong>esco sulla terra, e quanto prima gli<br />

Inglesi avrebbero riconosciuto questo fatto, tanto meglio sarebbe stato per loro.<br />

Ancora <strong>di</strong> più, il nostro popolo, se sfidato, avrebbe costruito una Marina e mantenuto<br />

un Esercito maggiore dei loro. Noi avevamo denaro, uomini e risorse naturali. Un tale<br />

361 H. e M. SPROUT. Op. cit. pag. 48.<br />

259


programma (<strong>di</strong> riarmo) sarebbe popolare in America e, se l’Inghilterra ne desse<br />

l’incentivo, il popolo chi<strong>ed</strong>erebbe il resto” 362 .<br />

Inutile <strong>di</strong>re che queste <strong>di</strong>chiarazioni ebbero una eco notevole in Gran Bretagna,<br />

dove “la reazione fu <strong>di</strong> allarme e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>gnazione morale. Gli Inglesi avevano data per<br />

scontata da tempo immemorabile la loro supremazia per mare. Ad un costo enorme in<br />

uomini e per il tesoro essi avevano <strong>di</strong>strutto la potenza marittima emergente della<br />

Germania, solo per ritrovarsi <strong>di</strong> fronte ad un altro possibile rivale al <strong>di</strong> là<br />

dell’Atlantico” 363 .<br />

La questione <strong>di</strong>venne talmente scottante che si giunse vicini alla rottura delle<br />

relazioni <strong>di</strong>plomatiche <strong>fra</strong> i due alleati. Alla fine, costretto dalla necessità <strong>di</strong> dover<br />

pagare i pesanti debiti che il paese aveva contratto con gli Stati Uniti, il governo<br />

britannico dovette c<strong>ed</strong>ere, ma lo fece molto malvolentieri. Va anche detto che<br />

l’Amministrazione americana faceva i suoi calcoli considerando la possibilità <strong>di</strong><br />

un’opposizione formata congiuntamente dalla Gran Bretagna e dal suo alleato<br />

giapponese.<br />

Il governo <strong>di</strong> questa nazione, peraltro, durante la guerra, non aveva trascurato<br />

nulla per acquisire una posizione dominante nel Pacifico, avendo firmato un accordo<br />

segreto con la Gran Bretagna, secondo cui questa avrebbe appoggiato l’acquisizione<br />

definitiva delle isole a nord dell’Equatore, in cambio <strong>di</strong> un analogo appoggio per<br />

l’acquisizione britannica delle isole nell’emisfero sud, oltre all’invio <strong>di</strong> navi<br />

giapponesi per combattere i sommergibili nemici nel M<strong>ed</strong>iterraneo; una volta<br />

362 Ibid. pag. 60.<br />

363 Ibid. pag. 61.<br />

260


concluso questo accordo, i Giapponesi si erano anche assicurati l’appoggio <strong>fra</strong>ncese<br />

su questo argomento. Quando gli Stati Uniti si opposero, era già troppo tar<strong>di</strong>.<br />

Malgrado la violenta campagna <strong>di</strong> stampa che si scatenò in America, fu necessario<br />

raggiungere un compromesso, e ci si accordò sul fatto che il Giappone avrebbe<br />

“mantenuto il possesso delle ex isole t<strong>ed</strong>esche a nord dell’Equatore non con piena <strong>ed</strong><br />

illimitata sovranità, ma come amministratore <strong>di</strong> un mandato, o commissione, da parte<br />

delle potenze alleate <strong>ed</strong> associate. I termini <strong>di</strong> quel mandato proibivano<br />

specificamente la costruzione <strong>di</strong> fortificazioni o lo stabilimento <strong>di</strong> basi militari, senza<br />

eccezione, nelle isole soggette al mandato” 364 .<br />

Tanto per non perdere l’occasione, in aggiunta ai due contenziosi sulla Cina e<br />

sulle isole del Pacifico, il Presidente Wilson provocò l’in<strong>di</strong>gnazione generale in<br />

Giappone, quando prima si rifiutò <strong>di</strong> appoggiare, alla conferenza <strong>di</strong> pace, una<br />

clausola che “affermava la parità delle razze nella Lega delle Nazioni” 365 e poi cercò<br />

<strong>di</strong> convincere la Gran Bretagna a non rinnovare l’alleanza anglo-nipponica, il cui<br />

trattato scadeva nel 1921. Ovviamente, vi erano ragioni <strong>di</strong> politica interna, come<br />

l’irritazione dei californiani, ma non era questo un passo destinato a ridurre le<br />

tensioni già alte <strong>fra</strong> i due paesi.<br />

Anche i programmi <strong>di</strong> costruzione navale del Giappone finirono sotto<br />

osservazione negli Stati Uniti, in questo clima <strong>di</strong> crescente attrito, ai limiti della<br />

paranoia. Secondo il governo giapponese, la Marina aveva bisogno <strong>di</strong> una linea <strong>di</strong><br />

battaglia <strong>di</strong> otto corazzate <strong>ed</strong> otto incrociatori corazzati moderni, vale a <strong>di</strong>re con<br />

364 Ibid. pag, 92.<br />

365 Ibid. pag. 96.<br />

261


meno <strong>di</strong> otto anni d’età. Non era questo un programma irragionevole, visto che<br />

rispecchiava i livelli <strong>di</strong> forza risultati ottimali a seguito dell’esperienza della guerra<br />

contro la Russia.<br />

Dato il notevole progresso degli armamenti navali, e le contemporanee <strong>di</strong>fficoltà<br />

<strong>di</strong> bilancio durante la guerra, questo programma <strong>di</strong> costruzioni subì vari ritar<strong>di</strong>, tanto<br />

che, solo nel 1920, il Parlamento (la Dieta) giapponese decise <strong>di</strong> finanziare un<br />

programma omogeneo <strong>di</strong> otto super dreadnought <strong>ed</strong> otto incrociatori da battaglia,<br />

anche se, nel <strong>fra</strong>ttempo, cinque dreadnought e quattro incrociatori da battaglia più<br />

piccoli erano entrati in servizio.<br />

Negli Stati Uniti la stampa, senza guardare alla qualità, fece la bruta somma delle<br />

navi e si scandalizzò, anche se aveva mischiato le navi moderne con quelle che lo<br />

erano meno. Parallelamente, la Marina americana, in attesa <strong>di</strong> ottenere il via libera<br />

per costruire navi <strong>di</strong> linea, aveva avviato un significativo programma <strong>di</strong> costruzioni<br />

minori, comprendente gran<strong>di</strong> incrociatori da 10.000 tonnellate, dalla grande<br />

autonomia, ben protetti e con cannoni da 203mm, insieme ad un elevato numero <strong>di</strong><br />

sommergibili oceanici da 2.000 tonnellate, <strong>fra</strong> i più gran<strong>di</strong> dell’epoca.<br />

Era chiaro a tutti che queste navi servivano soprattutto nel Pacifico, date le loro<br />

caratteristiche, ma quello che irritò ancora <strong>di</strong> più il Giappone fu che, a questo<br />

programma interinale, si aggiunse la decisione del Presidente <strong>di</strong> costituire la flotta del<br />

Pacifico, prima inesistente. Guarda caso, le navi più potenti e moderne della Marina<br />

furono appunto assegnate alla flotta neo-costituita.<br />

262


Persino le spiegazioni ufficiali, quando anche la flotta dell’Atlantico attraversò il<br />

Canale <strong>di</strong> Panama per fare esercitazioni a partiti contrapposti <strong>fra</strong> le due squadre,<br />

erano uno schiaffo in faccia al Giappone. Infatti, fu precisato che gli Stati Uniti non<br />

avevano “nulla da temere dal lato dell’Atlantico, ma avevano alcuni interessi ben<br />

definiti nel Pacifico. In particolare, vi erano le Filippine, per non parlare dell’isola <strong>di</strong><br />

Yap (passata ai Giapponesi, ma collegata al sistema <strong>di</strong> cavi telegrafici sottomarini<br />

degli Stati Uniti), in aggiunta alla tendenza naturale dello sviluppo commerciale<br />

americano che era verso il Sud e l’Ovest; inoltre si pensava che mantenere una flotta<br />

imponente nel Pacifico avrebbe aumentato fuori <strong>di</strong> ogni misura il prestigio americano<br />

in quell’area” 366 .<br />

Il fatto era che, mentre la tensione cresceva nelle opinioni pubbliche dei due paesi,<br />

<strong>ed</strong> i rispettivi governi <strong>di</strong>chiaravano ad alta voce che i loro programmi <strong>di</strong> costruzione<br />

navale erano puramente <strong>di</strong>fensivi, nessuno chiariva il fatto principale, e precisamente<br />

che esisteva “un profondo conflitto d’interessi e <strong>di</strong> politiche nazionali. Il programma<br />

d’espansione giapponese, <strong>di</strong>feso in termini strategici <strong>ed</strong> economici, appariva<br />

assolutamente incompatibile, agli occhi occidentali,con la (politica della) Porta<br />

Aperta per il commercio e gli investimenti e con l’integrità politica, territoriale <strong>ed</strong><br />

amministrativa della Cina, per la quale gli statisti americani erano ancora<br />

<strong>di</strong>chiaratamente impegnati” 367 . Per <strong>di</strong>rla in breve, gli Stati Uniti erano riusciti a<br />

<strong>di</strong>mostrare la tesi che il <strong>di</strong>sarmo può essere più destabilizzante <strong>di</strong> una corsa agli<br />

armamenti, se condotto in modo inopportuno.<br />

366 Ibid. pag. 100.<br />

367 Ibid. pag.102.<br />

263


Fortunatamente, non sfuggì ai membri del Congresso americano la stridente<br />

contrad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “un Presidente che pr<strong>ed</strong>icava al mondo il <strong>di</strong>sarmo <strong>ed</strong> inviava un<br />

misterioso messaggio al suo paese, chi<strong>ed</strong>endoci <strong>di</strong> autorizzarlo a varare il più grande<br />

programma navale nella storia del mondo” 368 . Il programma <strong>di</strong> costruzioni fu tagliato<br />

drasticamente, e si posero le basi per la conferenza <strong>di</strong> Washington sul <strong>di</strong>sarmo navale,<br />

agevolata dalla mancata rielezione <strong>di</strong> Wilson, sconfitto dal concorrente Har<strong>di</strong>ng, sia<br />

pure in un clima <strong>di</strong> feroci polemiche interne.<br />

Ma il Giappone era rimasto scosso da questa <strong>di</strong>atriba e rimase con la convinzione<br />

che, presto o tar<strong>di</strong>, avrebbe dovuto venire alle mani con gli Stati Uniti per la<br />

preminenza nell’area del Pacifico. Nel <strong>fra</strong>ttempo, però, le <strong>di</strong>fficoltà economiche<br />

imponevano grossi tagli alla spesa pubblica, <strong>ed</strong> anche il Giappone si <strong>di</strong>chiarò pronto<br />

per negoziare sul <strong>di</strong>sarmo navale “alla con<strong>di</strong>zione che questo avvenisse senza l<strong>ed</strong>ere<br />

il prestigio (del paese) né <strong>di</strong>sturbare seriamente lo status quo navale, dal quale<br />

<strong>di</strong>pendeva non solo la sicurezza strategica dell’impero isolano ma anche i suoi futuri<br />

destini in Asia” 369 .<br />

Per tagliare questo nodo gor<strong>di</strong>ano, la Gran Bretagna decise <strong>di</strong> non rinnovare il<br />

trattato <strong>di</strong> alleanza con il Giappone, proponendo, come alternativa, una conferenza <strong>fra</strong><br />

tutte le potenze navali interessate. La conferenza fu convocata per il 12 novembre<br />

1921, a Washington, e gli Stati Uniti si presentarono <strong>di</strong>chiarando la loro volontà <strong>di</strong><br />

ridurre drasticamente le loro forze navali. L’accordo per un patto <strong>di</strong> non aggressione<br />

nel Pacifico <strong>fra</strong> Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone e Francia (il c.d. Four Power<br />

368 Ibid. pag. 110.<br />

369 Ibid. pag. 131.<br />

264


Treaty) agevolò ulteriormente i negoziati e, malgrado il tentativo giapponese <strong>di</strong><br />

ottenere una quota maggiore <strong>di</strong> armamenti, alla fine si raggiunse un accordo sulla<br />

base della proporzione 5: 5: 3, rispettivamente per Stati Uniti, Gran Bretagna e<br />

Giappone.<br />

Naturalmente, l’opinione pubblica giapponese non fu entusiasta dell’accordo,<br />

tanto che il Primo Ministro fu accusato <strong>di</strong> “aver sacrificato l’alleanza con la Gran<br />

Bretagna, aver legato le mani al paese nel Pacifico occidentale e nell’Estremo <strong>Oriente</strong><br />

e <strong>di</strong> aver accettata una proporzione <strong>di</strong> armamenti navali pericolosamente troppo<br />

bassa” 370 . Da allora iniziò il movimento dell’opinione pubblica che, pochi anni dopo,<br />

avrebbe portato ai governi militari <strong>ed</strong> alla guerra con la Cina.<br />

Per non trovarsi completamente privo <strong>di</strong> alleati, nel 1925 fu inevitabile concludere<br />

“accor<strong>di</strong> commerciali con l’URSS, che a lungo il Giappone si era ad<strong>di</strong>rittura rifiutato<br />

<strong>di</strong> riconoscere, il che testimonia del <strong>di</strong>vario che si è creato con gli Stati Uniti” 371 .<br />

Parallelamente, per ridurre gli effetti delle conseguenze dell’accordo navale, il<br />

Giappone decise <strong>di</strong> “barare” sul tonnellaggio delle nuove navi in costruzione, a<br />

similitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> quanto faceva la Germania, creando un crescente risentimento,<br />

soprattutto nella Marina americana.<br />

Ma la crisi <strong>di</strong> Wall Street del 24 ottobre 1929 fece passare in secondo piano queste<br />

<strong>di</strong>atribe, anche perché imponeva una riduzione drastica delle spese statali. Il nuovo<br />

Primo Ministro britannico, Ramsay MacDonald <strong>ed</strong> il neo-eletto Presidente USA<br />

Hoover concordarono allora <strong>di</strong> in<strong>di</strong>re un’altra conferenza dul <strong>di</strong>sarmo navale.<br />

370 Ibid. pag. 261.<br />

371 Ibid. pag. 338.<br />

265


Il 21 gennaio 1930, la conferenza fu aperta a Londra, con l’obiettivo <strong>di</strong> stabilire<br />

dei tetti massimi nel numero degli incrociatori, un argomento che aveva <strong>di</strong>viso i due<br />

paesi proponenti la conferenza per alcuni anni, date le esigenze notevolmente <strong>di</strong>verse:<br />

la Gran Bretagna, infatti, doveva proteggere il traffico marittimo <strong>fra</strong> il suo vasto<br />

impero coloniale e la madrepatria, mentre gli Stati Uniti dovevano solo avere<br />

incrociatori pesanti, dotati <strong>di</strong> grande autonomia, da usare in Asia, in America del Sud<br />

o in Europa in tempo <strong>di</strong> pace, nonché per scortare le navi da battaglia e le portaerei in<br />

caso <strong>di</strong> guerra, nei vasti spazi oceanici.<br />

Il Giappone, che questa volta era stato coinvolto nelle trattative preliminari, fece<br />

la proposta più semplice, suggerendo “in effetti, che ognuno smettesse <strong>di</strong> costruire<br />

navi da guerra. Anche se irrealistica, essa era una proposta onesta (a quel tempo, il<br />

governo giapponese sperava <strong>di</strong> ottenere reali limitazioni), ma fu ignorata dai due<br />

gran<strong>di</strong>, che si intestar<strong>di</strong>rono sulla questione degli incrociatori” 372 .<br />

Nonostante le <strong>di</strong>fferenze e le <strong>di</strong>ffidenze, l’accordo fu raggiunto il 22 aprile, <strong>ed</strong> il<br />

Giappone ottenne un rapporto, rispetto ai due gran<strong>di</strong>, <strong>di</strong> 5: 3 per gli incrociatori<br />

pesanti, e <strong>di</strong> 10: 7 per quelli leggeri, ma in patria, la maggioranza degli ufficiali <strong>di</strong><br />

Marina si pronunciò contro il trattato, l’ultimo firmato da un governo civile. Essi,<br />

infatti, “riven<strong>di</strong>cavano il fatto <strong>di</strong> rappresentare il vero spirito del Giappone, non<br />

<strong>di</strong>luito dalle influenze straniere, e presentarono argomentazioni emotive <strong>di</strong><br />

irragionevole patriottismo per sostenere una Marina grande almeno quanto quella<br />

degli Stati Uniti o della Gran Bretagna” 373 .<br />

372<br />

S. HOWARTH. Op. cit, pgg. 346-347.<br />

373<br />

Ibid. pag. 350.<br />

266


Ma il governo doveva fronteggiare altri problemi, ben maggiori <strong>di</strong> quello<br />

dell’equilibrio <strong>di</strong> potenza. Pochi anni prima, infatti, un serio <strong>di</strong>sastro si era abbattuto<br />

sul Giappone: il 1˚ settembre 1923, Tokyo, Yokohama e Yokosuka erano state<br />

<strong>di</strong>strutte da un terremoto violentissimo, che “uccise 140.000 persone e <strong>di</strong>strusse<br />

l’arsenale della Marina imperiale <strong>di</strong> Yokosuka. Aiuti stranieri affluirono per riparare,<br />

ricostruire e rimpiazzare, e le prime navi ad arrivare con aiuti furono quelle della<br />

Marina USA” 374 . Come abbiamo visto, pochi anni dopo, la crisi economica colpì<br />

pesantemente il Giappone, che si ritrovò quin<strong>di</strong> con due milioni e mezzo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupati.<br />

L’attentato mortale al Primo Ministro Hamaguchi Osachi, nel novembre 1930,<br />

segnò poi il passaggio ai governi controllati dalla classe militare e ad una politica <strong>di</strong><br />

guerra, come unico rim<strong>ed</strong>io a corto termine per ridurre il gravissimo tasso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>soccupazione. La guerra dei nove anni stava per iniziare, e si sarebbe conclusa con<br />

un’amara e totale sconfitta.<br />

d)-La guerra dei nove anni (1937-1945)<br />

In effetti, i primi scontri con la Cina erano iniziati, in Manciuria, già il 18<br />

settembre 1931, dopo che i Cinesi avevano accusato <strong>di</strong> spionaggio un ufficiale<br />

dell’esercito giapponese, il capitano Nakamura, e lo avevano giustiziato. Allora<br />

“l’esercito (giapponese) accusa i Cinesi <strong>di</strong> un sabotaggio che è in realtà opera sua, e<br />

con questo pretesto si impadronisce <strong>di</strong> Mukden” 375 .<br />

374 Ibid. pag. 346.<br />

375 R. CALVET. Op. cit. Pag. 346.<br />

267


È interessante notare che lo stesso approccio fu tentato da Hitler, nei confronti<br />

della <strong>Pol</strong>onia nel 1939, solo che quella volta, essendo la regione meno remota <strong>ed</strong><br />

esistendo precisi impegni <strong>di</strong> garanzia, da parte <strong>di</strong> Francia e Gran Bretagna, il trucco<br />

non funzionò. Sostanzialmente, la Cina era considerata da tutti, escluso gli Stati<br />

Uniti, semplicemente un oggetto <strong>di</strong> spartizione, e quin<strong>di</strong> le iniziative giapponesi<br />

furono accolte con in<strong>di</strong>fferenza, malgrado le notevoli ricchezze minerarie della<br />

Manciuria.<br />

Incoraggiata dall’in<strong>di</strong>fferenza delle altre potenze, la leadership giapponese<br />

prosegue nella sua espansione, malgrado “la strenua resistenza della Cina. Nel<br />

febbraio del 1932 viene presa la città <strong>di</strong> Harbin ma, mentre proseguono nella loro<br />

avanzata, i giapponesi decidono <strong>di</strong> bombardare Shanghai, il che provoca viva<br />

emozione in <strong>Occidente</strong> per via dei numerosi interessi occidentali, essenzialmente<br />

americani. La città viene evacuata (dagli Occidentali) il 5 maggio” 376 .<br />

Il bombardamento, effettuato a fine gennaio, era stato effettuato dalle navi della<br />

Marina imperiale, “con un pretesto altrettanto spurio quanto quello dell’Esercito in<br />

Manciuria. Una commissione della Lega delle Nazioni, che inquisiva sulle ragioni <strong>ed</strong><br />

i torti dei (due) incidenti, non ebbe alcun effetto utile, causando solo violente<br />

autocritiche” 377 .<br />

In questa situazione, la tensione non poteva far altro che aumentare, tanto che, il 4<br />

maggio 1932 la Marina americana decise <strong>di</strong> aggiornare imm<strong>ed</strong>iatamente il piano <strong>di</strong><br />

guerra contro Orange. “Nel marzo 1933 il Giappone annunciò la sua intenzione <strong>di</strong><br />

376 Ibid.<br />

377 S. HOWARTH. Op. cit. Pag. 351.<br />

268


lasciare la Lega delle Nazioni” 378 , il che lo svincolava da ogni limitazione, nella<br />

costruzione <strong>di</strong> una flotta che questo paese riteneva necessaria.<br />

In risposta il nuovo Presidente USA, Roosevelt, il 16 giugno 1933, fece approvare<br />

“l’Atto <strong>di</strong> Recupero dell’Industria Nazionale, estraendo prontamente da questo 238<br />

milioni <strong>di</strong> dollari per la Marina, al fine <strong>di</strong> costruire trentadue navi in tre anni.<br />

Roosevelt non era certo che questa <strong>di</strong>sposizione sarebbe passata senza opposizioni,<br />

ma così fu, <strong>ed</strong> egli mostrò la sua sod<strong>di</strong>sfazione e la sua sorpresa privatamente,<br />

<strong>di</strong>cendo al Segretario (<strong>di</strong> Stato) per la Marina (che) questa volta avevano scampato la<br />

punizione per il loro delitto” 379 . Nel 1936 il Giappone si schierò con la Germania e<br />

l’Italia, firmando il patto anti-Comintern; da questo, il Giappone passò solo più tar<strong>di</strong><br />

all’adesione all’Asse Roma-Berlino-Tokyo (RO-BER-TO), il 27 settembre 1940. Si<br />

cominciava peraltro, fin da allora, a delineare una situazione <strong>di</strong> blocchi contrapposti,<br />

prelu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un’altra guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Un anno dopo, il 7 luglio 1937, dopo <strong>di</strong>ciotto mesi <strong>di</strong> piccole schermaglie,<br />

“l’esercito giapponese occupa Pechino, Tianjin e Kaglan, quin<strong>di</strong> si <strong>di</strong>spiega lungo le<br />

ferrovie che partono da queste città. La capitale della Cina <strong>di</strong> allora, Nanchino,<br />

capitola nel <strong>di</strong>cembre 1937. Alla fine dell’anno successivo, tutto ciò che si trova ad<br />

est della linea Pechino-Canton è nelle mani dei giapponesi, ma il paese resta<br />

largamente non sottomesso e rifiuta la tutela del Giappone. Grazie agli appoggi<br />

inglesi <strong>ed</strong> americani, Chiang Kai-shek continua a resistere a sud, mentre a nord i<br />

nazionalisti (comunisti!) cinesi sono sostenuti dai sovietici. L’impantanarsi del<br />

378 Ibid. pag. 353.<br />

379 Ibid. pag. 354.<br />

269


conflitto smentisce le previsioni degli strateghi giapponesi, che facevano<br />

assegnamento su una guerra <strong>di</strong> breve durata” 380 .<br />

Frustrato dalla resistenza cinese, l’esercito nipponico commise le terribili stragi e<br />

gli stupri <strong>di</strong> massa <strong>di</strong> Nanchino, <strong>ed</strong> attaccò alcune navi occidentali, presenti nello<br />

Yangtze-kiang, per allontanare possibili testimoni. La cannoniera americana Panay fu<br />

affondata, <strong>ed</strong> anche se il governo giapponese presentò le sue scuse, era ormai chiara<br />

la <strong>di</strong>rezione verso cui il Giappone stava andando.<br />

Mentre la guerra in Cina si trascinava, senza risultati apprezzabili, la situazione in<br />

Europa peggiorava rapidamente, <strong>ed</strong> il 1˚ settembre 1 939, a causa dell’invasione<br />

t<strong>ed</strong>esca della <strong>Pol</strong>onia, la Francia e la Gran Bretagna <strong>di</strong>chiararono la guerra. Ma<br />

questo non <strong>di</strong>strasse gli Americani dal Pacifico più <strong>di</strong> tanto. Al termine delle<br />

esercitazioni primaverili, “il 9 maggio 1940, la flotta del Pacifico doveva ritornare<br />

sulla costa occidentale (americana), ma due giorni prima il presidente prese una<br />

decisione fatale. Fino a nuovo or<strong>di</strong>ne, la flotta sarebbe rimasta a Pearl Harbour, per<br />

l’effetto deterrente – come fu detto dall’ammiraglio Stark - che si ritiene la vostra<br />

presenza potrebbe avere nei confronti <strong>di</strong> una possibile invasione giapponese delle<br />

In<strong>di</strong>e Orientali” 381 .<br />

Gli Stati Uniti, sempre per prevenire l’ulteriore aggravamento della situazione in<br />

Estremo <strong>Oriente</strong>, imposero “un embargo sul ferro, sull’acciaio, sul petrolio e su altri<br />

materiali strategici <strong>di</strong>retti in Giappone, e decisero <strong>di</strong> congelare gli assetti finanziari<br />

giapponesi in America. Questo processo, applicato gradualmente, raggiunse alla fine<br />

380 R. CALVET. Op. cit. pag. 349.<br />

381 S. HOWARTH. Op. cit. pag. 373.<br />

270


la sua efficacia alla fine <strong>di</strong> luglio 1941, quando il Giappone aveva annunciato la sua<br />

intenzione <strong>di</strong> occupare la parte meri<strong>di</strong>onale dell’Indocina. Ora, nella seconda metà<br />

del 1941, i britannici e gli Olandesi cooperavano sia nel congelare le risorse<br />

finanziarie , sia per l’embargo” 382 . L’ultima parte dell’embargo, la più dura, era il<br />

<strong>di</strong>vieto ai mercantili giapponesi <strong>di</strong> usufruire del Canale <strong>di</strong> Panama, arteria vitale per il<br />

Giappone, il cui commercio verso l’Europa e la costa orientale degli Stati Uniti<br />

passava – e passa ancor oggi – attraverso quella via.<br />

In effetti, con l’invasione dell’Indocina, il Giappone voleva fermare l’afflusso <strong>di</strong><br />

rifornimenti ai nazionalisti cinesi <strong>di</strong> Chang Kai-shek, e per questo voleva occupare<br />

l’Indocina – come successivamente avrebbe fatto con la Birmania. Ma il Primo<br />

Ministro nipponico, il Principe Konoye, parente e confidente dell’Imperatore, non<br />

voleva la guerra, <strong>ed</strong> avanzò una serie <strong>di</strong> proposte agli Stati Uniti. “La prima avrebbe<br />

comportato un ritiro limitato <strong>di</strong> truppe giapponesi dalla Cina, in cambio <strong>di</strong> una<br />

sistemazione complessiva del conflitto Cino-giapponese. Essa fu respinta. Nella<br />

seconda proposta, <strong>di</strong> ripiego, il Giappone offrì <strong>di</strong> cessare le operazioni militari se gli<br />

Stati Uniti avessero fornito un milione <strong>di</strong> galloni <strong>di</strong> combustibile per l’aviazione” 383 .<br />

Un’altra proposta del Principe, fatta “nell’agosto 1941, <strong>di</strong> una conferenza <strong>di</strong><br />

vertice <strong>fra</strong> lui <strong>ed</strong> il Presidente Roosevelt. L’ambasciatore USA a Tokyo era<br />

favorevole; F.D. R. (il Presidente) era per farla; ma il Segretario <strong>di</strong> Stato Cordell Hull<br />

si oppose in quanto Konoye era un carattere sfuggente, e che una conferenza <strong>di</strong><br />

vertice dovrebbe aver luogo solo per sanzionare un accordo prec<strong>ed</strong>ente sui principi,<br />

382 S. E. MORISON. The Two-Ocean War. Ed. Little, Brown & Co., 1963. pgg. 41-42.<br />

383 S. HOWARTH. Op. cit. pag. 382.<br />

271


come ad esempio l’abbandono del Patto tripartito (l’Asse) da parte del Giappone.<br />

Hull non capì che per il Giappone, quel trattato con Germania <strong>ed</strong> Italia era in parte<br />

una facciata, in parte un gesto minatorio, e che non intendeva onorarlo, a meno che<br />

non gli facesse comodo. Il Principe Konoye desiderava sinceramente iniziare a<br />

liquidare i sogni giapponesi <strong>di</strong> conquista; ma egli era in <strong>di</strong>fficoltà, con un governo <strong>di</strong><br />

militaristi arrabbiati, e Hull non gli <strong>di</strong><strong>ed</strong>e aiuto per prevalere” 384 .<br />

Il 2 ottobre il governo americano respinse definitivamente la proposta, il Principe<br />

si <strong>di</strong>mise e fu sostituito dal generale Tojo come Primo Ministro. Il 26 ottobre, la flotta<br />

combinata giapponese, in silenzio ra<strong>di</strong>o, si allontanò dalla madrepatria, pronta ad<br />

attaccare Pearl Harbour. La Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale stava per coinvolgere le due<br />

maggiori potenze del Pacifico.<br />

Va detto che, <strong>di</strong>fferentemente dalla maggioranza degli ufficiali, proprio lo stratega<br />

dell’aggressione agli Stati Uniti, l’ammiraglio Isoroku Yamamoto, era il meno<br />

entusiasta. In una sua lettera del gennaio 1941, egli afferma, infatti: “se dovessero<br />

scoppiare le ostilità <strong>fra</strong> il Giappone e gli Stati Uniti non sarà sufficiente per noi<br />

prendere Guam e le Filippine, o persino le Hawaii e San Francisco. Dovremmo<br />

marciare dentro Washington e firmare il trattato (<strong>di</strong> pace) nella Casa Bianca.<br />

L’ammiraglio stava evidenziando che la guerra con l’America non sarebbe stata così<br />

semplice come i politici guerrafondai pensavano. Era più facile iniziare una guerra<br />

che finirla. A prescindere da quanti territori i Giapponesi avrebbero preso, la vittoria<br />

finale avrebbe potuto sfuggir loro. Egli non cambiò mai opinione” 385 .<br />

384 S. E. MORISON. Op. cit. pag. 42.<br />

385 J. D. POTTER. Op. cit. pag. 128.<br />

272


Malgrado l’attacco <strong>di</strong> sorpresa a Pearl Harbour, il 7 <strong>di</strong>cembre 1941, che causò<br />

molte vittime, ma non riuscì a <strong>di</strong>struggere le portaerei, e nonostante l’eroismo <strong>di</strong> tutti<br />

i combattenti, inclusi i due corsi <strong>di</strong> allievi dell’Accademia Navale che costituirono il<br />

grosso dei kamikaze, questo fu, in effetti, quello che accadde.<br />

I tre fattori decisivi della vittoria furono: la guerra sottomarina ai convogli, che<br />

affamò il Giappone delle materie prime in<strong>di</strong>spensabili per lo sforzo bellico; la<br />

strategia dell’assalto alle isole in mano al nemico, i cosiddetti “salti della rana”<br />

(Leapfrog), in modo da lasciare in<strong>di</strong>etro, senza più rifornimenti, le isole fortificate,<br />

attaccando quelle relativamente più deboli; <strong>ed</strong> infine le bombe atomiche, le quali,<br />

malgrado avessero causato meno morti dei bombardamenti convenzionali, permisero<br />

all’imperatore <strong>di</strong> convincere la leadership militare alla resa. Quin<strong>di</strong>, dopo meno <strong>di</strong><br />

quattro anni e molti milioni <strong>di</strong> morti, il 2 settembre 1945, a bordo della corazzata<br />

Missouri, i rappresentanti giapponesi firmarono la resa incon<strong>di</strong>zionata.<br />

Uno sguardo alla carta geografica ci mostra l’ampiezza delle temporanee<br />

conquiste giapponesi, all’inizio della guerra: l’Indocina, l’Indonesia, la Malesia e la<br />

Birmania, dove i Giapponesi arrivarono fino al confine in<strong>di</strong>ano. Nel Pacifico, furono<br />

prese Guam, le Filippine, le Salomone, e parte della Nuova Guinea. Era chiaro che un<br />

sistema <strong>di</strong> conquiste tanto esteso e complesso prima o poi sarebbe collassato, e così<br />

fu, anche se bisogna ammettere che solo una parte dei popoli asiatici combatté gli<br />

occupanti.<br />

Non è chiaro quale parte giocò in questa limitata resistenza il progetto giapponese<br />

della cosiddetta “Sfera <strong>di</strong> Co-prosperità della Grande Asia Orientale”, anche se è<br />

273


lecito dubitarne: “i territori conquistati vengono in<strong>di</strong>rizzati allo sfruttamento puro e<br />

semplice; il riso indocinese o il caucciù birmano sono instradati verso il Giappone, in<br />

con<strong>di</strong>zioni peraltro <strong>di</strong>fficili. L’economia è <strong>di</strong>ventata economia <strong>di</strong> guerra; ogni<br />

produzione che non sia orientata verso questo sforzo è abbandonata. Sorvegliata più<br />

che mai, la manodopera è rafforzata da un gran numero <strong>di</strong> prigionieri asiatici,<br />

sottoposti ai lavori più penosi” 386 . Anche i prigionieri <strong>di</strong> guerra occidentali furono<br />

sottoposti ad un trattamento inumano, come emerse durante il Processo <strong>di</strong> Tokyo.<br />

e)-La rinascita post-bellica del Giappone<br />

Come a Norimberga, i capi politici e militari del Giappone furono sottoposti a<br />

processo per crimini contro l’umanità, con la significativa eccezione dell’imperatore,<br />

l’unica con<strong>di</strong>zione posta – e rapidamente accettata – per la firma della resa.<br />

Degli imputati maggiori, sette furono impiccati, s<strong>ed</strong>ici furono condannati<br />

all’ergastolo – ma furono poi messi in libertà provvisoria sei anni dopo - <strong>ed</strong> altri due<br />

ebbero pene inferiori. Un imputato impazzì durante il processo <strong>ed</strong> altri due morirono<br />

per cause naturali, prima della loro condanna.<br />

Il paese fu sottoposto ad un regime <strong>di</strong> occupazione, sotto il generale MacArthur,<br />

che, dopo la ritirata dalle Filippine, aveva retto il comando delle forze alleate del Sud,<br />

nel corso della controffensiva. Viste le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>sastrose in cui versava il paese,<br />

egli “opta per una soluzione piuttosto morbida. Cerca <strong>di</strong> rimettere i Giapponesi sulla<br />

retta via senza far ricorso alla legge marziale o al coprifuoco” 387 .<br />

386 R. CALVET. Op. cit. pag.357.<br />

387 Ibid. pag. 359.<br />

274


Dopo un’iniziale opera <strong>di</strong> smantellamento delle industrie belliche e <strong>di</strong> quelle che<br />

avevano profittato della guerra, il generale consentì la ripresa industriale, trainata<br />

dalle stesse quattro banche dell’anteguerra: Mitsui, Mitsubishi, Sumitomo e Fuji, le<br />

quali crearono una vera nebulosa <strong>di</strong> industrie <strong>di</strong>pendenti. L’avvento dei comunisti in<br />

Cina e la guerra <strong>di</strong> Corea furono i fattori primari che portarono gli Stati Uniti ad<br />

accentuare questa politica <strong>di</strong> benevolenza, visto che l’arcipelago giapponese era la<br />

base <strong>di</strong> sostegno dello sforzo bellico in quel teatro.<br />

Grazie all’acquisizione <strong>di</strong> brevetti occidentali, alla laboriosità dei lavoratori <strong>ed</strong><br />

all’attenzione dei <strong>di</strong>rigenti per il loro benessere, si verificò uno sviluppo notevole del<br />

paese, con l’elettronica quale settore trainante. Le in<strong>fra</strong>strutture del paese furono<br />

modernizzate, <strong>ed</strong> il primo ministero ad essere costituito fu quella dell’Industria e del<br />

Commercio estero, il quale attuò una politica <strong>di</strong> “crescita senza inflazione. Le materie<br />

prime sono contingentate, i prezzi controllati, <strong>ed</strong> alcune sovvenzioni consentono <strong>di</strong><br />

conservare una certa qual stabilità dei prezzi” 388 .<br />

Ora, il Giappone è la seconda potenza economica mon<strong>di</strong>ale, e la sua crescita<br />

continua, “a <strong>di</strong>spetto delle previsioni non rosee riguardo ad un’eventuale recessione<br />

economica in seguito alla contrazione delle importazioni dell’economia americana,<br />

(tanto che) il PIL del Giappone nel 2008 ha registrato un tasso d’incremento del<br />

3.3%, mentre ad esempio gli Stati Uniti e la zona euro hanno avuto incrementi<br />

rispettivamente dello 0.6% e del 2.2%” 389 .<br />

388 Ibid. pag. 539.<br />

389 G. LIZZA. Op. cit. pag. 142, nota 36.<br />

275


Questa politica, che ha sempre dato la priorità allo sviluppo economico, ebbe la<br />

sua consacrazione nelle Olimpia<strong>di</strong> <strong>di</strong> Tokyo, nell’estate 1964, che furono una<br />

<strong>di</strong>mostrazione a tutto il mondo <strong>di</strong> quanto il Giappone si fosse evoluto: i visitatori<br />

occidentali poterono ammirare il treno super rapido Osaka-Tokyo, la monorotaia che<br />

collegava il centro città con l’aeroporto internazionale, da poco costruito, per non<br />

parlare delle industrie che furono aperte senza restrizioni alle visite.<br />

La Costituzione, preparata dallo stesso MacArthur, sulla falsariga <strong>di</strong> quella<br />

americana, imp<strong>ed</strong>iva al paese <strong>di</strong> avere delle Forze Armate, ma la spinta degli eventi,<br />

<strong>ed</strong> il rischio <strong>di</strong> ulteriori aggressioni sovietiche portò alla costituzione <strong>di</strong> “Forze <strong>di</strong><br />

Auto<strong>di</strong>fesa”, in tutto e per tutto simili a delle Forze Armate vere e proprie.<br />

Ma lo spirito antico del Giappone non è morto del tutto. Nell’Accademia Navale<br />

tutte le fotografie dei kamikaze sono riportate in una serie <strong>di</strong> vetrine, nel corridoio<br />

principale, una torretta della corazzata Nagato, l’unica nave maggiore a non essere<br />

affondata, fa bella mostra <strong>di</strong> sé davanti al cortile posto al centro degli <strong>ed</strong>ifici. Questo<br />

è, in effetti, un doveroso omaggio ai caduti, ma a questo si sono aggiunte<br />

manifestazioni preoccupanti <strong>di</strong> revisionismo storico.<br />

Anzitutto, “nel 1977 il Ministero dell’Educazione pubblicò le linee guida per i<br />

nuovi libri <strong>di</strong> testo. In una sintesi della storia del Giappone, lunga varie centinaia <strong>di</strong><br />

pagine, il racconto della Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale fu ridotto a sei pagine, in<br />

prevalenza occupate da una foto delle rovine <strong>di</strong> Hiroshima, un calcolo dei morti in<br />

guerra e foto dei bombardamenti al napalm americani su Tokyo. Il giornale<br />

Economist <strong>di</strong> Londra osservò che non vi era menzione nel testo né delle per<strong>di</strong>te del<br />

276


nemico, né dei crimini <strong>di</strong> guerra, né dell’evacuazione forzata <strong>di</strong> Cinesi e Coreani nei<br />

campi <strong>di</strong> lavoro in Giappone” 390 .<br />

Ma è avvenuto anche <strong>di</strong> peggio: “l’anno successivo (1978) la riabilitazione dei<br />

principali criminali <strong>di</strong> guerra ricevette un’imprevista accelerazione. Quattor<strong>di</strong>ci<br />

militaristi, incluso Tojo, furono segretamente inseriti <strong>fra</strong> i martiri del tempio <strong>di</strong><br />

Yasukuni, che è d<strong>ed</strong>icato ai caduti in guerra del Giappone <strong>ed</strong> è il tempio scintoista<br />

più venerato” 391 .<br />

Come se non bastasse il Primo Ministro Ohira, prima <strong>di</strong> andare in visita ufficiale<br />

negli Stati Uniti, fece visita al tempio, scatenando polemiche senza fine, <strong>ed</strong> infine, nel<br />

1982, un’altra linea guida per i libri <strong>di</strong> testo “descrisse l’invasione della Cina come<br />

un’avanzata e lo stupro <strong>di</strong> Nanchino come dovuto alla resistenza dell’esercito cinese.<br />

(Il testo <strong>di</strong>ceva:) quando essi inflissero pesanti per<strong>di</strong>te all’esercito giapponese, le<br />

truppe nipponiche erano a<strong>di</strong>rate e, come risultato, esse uccisero molti soldati e civili<br />

cinesi” 392 .<br />

In definitiva, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto è accaduto in Germania, nel Giappone larghi<br />

strati della popolazione non rifiutano come un male quanto è successo nella Seconda<br />

Guerra mon<strong>di</strong>ale, tanto che recentemente la proposta della Sfera <strong>di</strong> Co-prosperità è<br />

stata fatta circolare <strong>di</strong> nuovo, come se fosse una proposta nuova.<br />

In un paese che è legato alle tra<strong>di</strong>zioni guerriere, la cosa è naturale, anche se<br />

deprecabile, ma questo in<strong>di</strong>ca che oggi, come nel XIX secolo, l’approccio giapponese<br />

è spesso ancora quello del motto: “morale giapponese, tecnica occidentale” e per<br />

390 A. C. BRACKMAN. The Other Nuremberg. Ed. Quill-William Morrow, 1987, pag, 27.<br />

391 Ibid. pag. 29.<br />

392 Ibid. pag. 28.<br />

277


conoscerli bisogna capire la loro storia, il loro senso dell’onore, le loro tra<strong>di</strong>zioni,<br />

incluse quelle guerriere, <strong>ed</strong> il loro formalismo.<br />

Ma il Giappone non è legato alla tra<strong>di</strong>zione fino al punto <strong>di</strong> ingessare il proprio<br />

sistema sociale, come avviene in altri paesi. Anzi, in questi decenni molte<br />

trasformazioni sono avvenute, anche per la forza degli eventi. Anzitutto<br />

“l’urbanizzazione, ad esempio, (che) ha alterato drasticamente gli equilibri<br />

ambientali: il deterioramento <strong>di</strong> un territorio mo<strong>di</strong>ficato sotto gli effetti <strong>di</strong> un<br />

<strong>di</strong>rompente sviluppo industriale va tenuto in grande considerazione” 393 .<br />

Non a caso, “molto grave è anche la <strong>di</strong>pendenza alimentare. Attualmente il<br />

Ministero dell’Agricoltura sta considerando la fattibilità <strong>di</strong> un nuovo piano per<br />

portare la soglia dell’autosufficienza alimentare del paese al 50% entro il 2015. le<br />

importazioni alimentari in effetti sono fortemente con<strong>di</strong>zionanti non tanto dal punto<br />

<strong>di</strong> vista economico quanto da quello strategico. Secondo gli ultimi dati le capacità <strong>di</strong><br />

auto sostentamento del Giappone stanno ad<strong>di</strong>rittura peggiorando. Nel 2006 per la<br />

prima volta sono scese al <strong>di</strong> sotto del 40%” 394 .<br />

Se si ricorda che, fino al secolo XIX, si combatteva in Giappone per<br />

l’autosufficienza completa, questi dati fanno pensare. Ma non sono stati solo<br />

l’urbanizzazione e l’inquinamento a far crollare la produzione agricola; un altro<br />

fattore si è aggiunto negli ultimi anni, e precisamente:<br />

“il rallentamento della crescita demografica, nel 2008 prossima allo zero, (il che) rappresenta un<br />

freno decisivo per l’espansione economica e la sua competitività a livello internazionale. La drastica<br />

393 G. LIZZA. Op. cit. pag. 142.<br />

394 Ibid. pag. 152.<br />

278


<strong>di</strong>minuzione della <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> manodopera e soprattutto il progressivo aumento dei costi del<br />

sistema assistenziale sono elementi che possono inesorabilmente compromettere i margini <strong>di</strong><br />

crescita <strong>di</strong> tutto il sistema paese. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> tutti gli altri Stati altamente industrializzati e<br />

benestanti che invecchiano anch’essi progressivamente, ma tendono a colmare il fabbisogno <strong>di</strong><br />

manodopera con l’immigrazione <strong>di</strong> massa, il Giappone punta tutto sulla tecnologia,<br />

sull’automazione e sulla robotica” 395 .<br />

Va detto che questa inversione <strong>di</strong> tendenza della crescita demografica è avvenuto<br />

molto tar<strong>di</strong>, rispetto a situazioni analoghe <strong>di</strong> altri paesi. Si ricordava all’inizio che il<br />

Giappone, con meno <strong>di</strong> 400.000 chilometri quadrati <strong>di</strong> territorio ha una popolazione<br />

<strong>di</strong> ben 126 milioni <strong>di</strong> abitanti, con una densità quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> oltre 315 abitanti per<br />

chilometro quadrato, contro i 200 dell’Italia. Questo, peraltro, rende ancora più<br />

elevato l’onere previdenziale, prima che il tasso <strong>di</strong> natalità aumenti <strong>di</strong> nuovo.<br />

Di fronte alle turbolenze dei mercati, in questi ultimi anni il Giappone “grazie a<br />

profonde riforme (ha potuto fronteggiare) la crisi degli anni novanta che ha investito<br />

tutte le economie delle Tigri asiatiche. Il tra<strong>di</strong>zionale corporativismo su cui si<br />

impernia la vita politica giapponese ha posto mille bastoni tra le ruote della riforma e<br />

rapidamente la popolarità del premier è crollata. Ma una <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> rinnovamento si<br />

è imposta ugualmente. Lo Stato interventista, protezionista e nazionalista, che<br />

esprimeva un capitalismo corporativo, lo Stato che in nome del consenso privilegiava<br />

gli interessi particolaristici, accettava l’inerzia, la corruzione e lo sperpero <strong>di</strong> denaro<br />

pubblico, ha fatto un passo in<strong>di</strong>etro. Il sistema finanziario è stato ristrutturato, è<br />

cambiato soprattutto il mondo del lavoro con la fine del mitico impiego a vita, fatto <strong>di</strong><br />

395 Ibid. pag. 143.<br />

279


sacrifici ma anche <strong>di</strong> sicurezza, il sistema pensionistico è stato riformato per tenere<br />

conto dell’innalzamento dell’aspettativa <strong>di</strong> vita” 396 .<br />

Un altro cambiamento significativo, rispetto al passato, riguarda l’atteggiamento<br />

dell’opinione pubblica sulle gran<strong>di</strong> questioni del paese. Da un lato, come abbiamo<br />

visto, c’è un “consenso basato su una scarsa <strong>di</strong>soccupazione, (un) egualitarismo <strong>di</strong><br />

fondo (clamorosa la <strong>di</strong>fferenza rispetto a Cina e In<strong>di</strong>a), un nazionalismo <strong>di</strong>ffuso e una<br />

<strong>di</strong>sciplina sociale assai poco intaccata dall’importazione <strong>di</strong> usi e gusti occidentali” 397 .<br />

Dall’altro, “l’ombra dell’olocausto nucleare del 1945, i traumi emotivi <strong>di</strong> una<br />

guerra riconducibile al <strong>di</strong>segno egemonico imperiale del Giappone degli anni trenta,<br />

attualmente rendono il rifiuto aprioristico della guerra un sentimento ampiamente<br />

<strong>di</strong>ffuso” 398 .<br />

Lo si è visto nel <strong>di</strong>battito parlamentare <strong>di</strong> pochi anni fa, quando per poter inviare<br />

un rifornitore con la sua scorta nell’Oceano In<strong>di</strong>ano, al fine <strong>di</strong> sostenere la coalizione<br />

costruita attorno agli Stati Uniti, è stato necessario emendare lievemente l’articolo 9<br />

della Costituzione, secondo il quale “il popolo giapponese rinuncia per sempre alla<br />

guerra come <strong>di</strong>ritto sovrano della nazione e alla minaccia dell’uso della forza per<br />

risolvere le <strong>di</strong>spute internazionali” 399 . Curiosamente, sono gli stessi Stati Uniti, come<br />

abbiamo visto, a premere ora affinché il Giappone aumenti la sua spesa militare,<br />

peraltro già elevata, essendo pari all’1% <strong>di</strong> un PIL <strong>fra</strong> i più elevati al mondo.<br />

396 Ibid. pag. 144.<br />

397 Ibid. pag. 143.<br />

398 Ibid. pag. 146.<br />

399 Ibid.<br />

280


L’Italia, fortunatamente, gode in Giappone <strong>di</strong> molta benevolenza, proprio per i<br />

motivi appena esposti. I giapponesi non <strong>di</strong>menticano la lunga storia dei rapporti<br />

amichevoli <strong>fra</strong> i due paesi, inclusa l’alleanza durante la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />

Questo ci ha permesso <strong>di</strong> stabilire numerose collaborazioni industriali, non tutte<br />

peraltro coronate dal successo, come ad esempio nel caso dell’ARNA, l’automobile<br />

concepita dall’Alfa Romeo e dalla Nissan.<br />

Inoltre, molti impren<strong>di</strong>tori italiani si sono lamentati del fatto che i <strong>di</strong>rigenti<br />

industriali nipponici guardano prima al benessere delle loro industrie e dei loro<br />

operai, e poi a quello degli Occidentali, che per loro continuano ad essere i “barbari<br />

del sud”.<br />

6)-La lotta per il controllo dell’Asia sud-orientale;<br />

a)-La fonte delle spezie: l’Indonesia<br />

Il termine “Indonesia” che dà il nome allo stato, è recente, essendo stato coniato<br />

“dal geografo <strong>ed</strong> etnologo t<strong>ed</strong>esco A. Bastian (1826-1905) per sottolinearne la<br />

composizione insulare (νήσος = isola) assieme alla onnipervadente cultura in<strong>di</strong>ana<br />

che caratterizza il Sud-Est asiatico in generale” 400<br />

Come si può notare dalla carta geografica, l’Indonesia “si presenta come una sorta<br />

<strong>di</strong> ponte insulare tra le due masse continentali dell’Asia e dell’Australia” 401 , e quin<strong>di</strong>,<br />

come tutti i ponti, è sempre stata percorsa da gran<strong>di</strong> flussi <strong>di</strong> persone, che portavano<br />

nuove idee, dottrine e religioni.<br />

400 S. SUWARNO. Indonesia. Ed. Pendragon, 1998, pag. 9.<br />

401 Ibid. pag. 5.<br />

281


La sua configurazione insulare, inoltre, non ha mai facilitato un’unione politica,<br />

specie nel tempo in cui la navigazione era basata sul vento: in quella zona del mondo,<br />

infatti, i venti sono stagionali, con “il monsone umido che viene dal Pacifico,<br />

portatore <strong>di</strong> piogge nei mesi <strong>di</strong> novembre-marzo, e quello asciutto, che giunge dal<br />

continente, portatore della stagione secca” 402 .<br />

Passando a considerare il territorio, ci si trova davanti ad un insieme <strong>di</strong> 18.000<br />

isole, <strong>di</strong> cui circa 1.000 abitate in permanenza <strong>ed</strong> altre 5.000 visitate perio<strong>di</strong>camente;<br />

l’isola più grande è Sumatra, con una superficie <strong>di</strong> 485.000 chilometri quadrati, e la<br />

capitale, posta invece sull’isola <strong>di</strong> Giava, è Giacarta. Tre <strong>fra</strong> le isole maggiori,<br />

peraltro, non appartengono totalmente alla repubblica dell’Indonesia. Infatti, il<br />

Borneo Settentrionale, nonché le metà orientali della Nuova Guinea e Timor sono<br />

in<strong>di</strong>pendenti.<br />

Il territorio è anche pieno <strong>di</strong> vulcani attivi, per cui la popolazione è spesso<br />

tormentata da terremoti, eruzioni, a volte esplosive, nonché dagli Tsunami, le onde<br />

gigantesche provocate da sismi sottomarini. Notevoli sono anche le ricchezze<br />

minerarie, con abbondanza <strong>di</strong> petrolio e <strong>di</strong> metalli pregiati; il terreno, inoltre, è<br />

particolarmente ubertoso. Le pianure sono vaste e ricche d’acqua, ideali per la<br />

coltivazione, <strong>fra</strong> l’altro, <strong>di</strong> riso, mais, manioca, soia, arachi<strong>di</strong>, canna da zucchero.<br />

“Geologicamente e naturalisticamente, la <strong>fra</strong>ttura che <strong>di</strong>vide Asia <strong>ed</strong> Australia si<br />

pone altrove: ad est <strong>di</strong> Bali e <strong>di</strong> Borneo la natura cambia aspetto. L’intero arcipelago<br />

è tagliato in due dalla cosiddetta linea <strong>di</strong> Wallace: animali e piante che si trovano ad<br />

402 Ibid.<br />

282


ovest della linea sono infatti tipicamente asiatici, caratterizzati ad esempio dai gran<strong>di</strong><br />

mammiferi quali l’elefante, il rinoceronte, la tigre <strong>ed</strong> il leopardo, <strong>di</strong> cui non c’è<br />

traccia nelle zone orientali. Celebes (Sulawesi) ha invece caratteristiche interm<strong>ed</strong>ie,<br />

forse perché in epoca pleistocenica doveva essere collegata da ponti terrestri con le<br />

Filippine e Formosa. Ad est, la massa continentale australiana si spingeva ad<br />

occupare tutto il Golfo <strong>di</strong> Carpentaria e la Nuova Guinea, arrestandosi <strong>di</strong> fronte alle<br />

Molucche e a Timor” 403<br />

La superficie complessiva è <strong>di</strong> quasi 2 milioni <strong>di</strong> chilometri quadrati, <strong>ed</strong> una<br />

popolazione stimata <strong>di</strong> 213 milioni <strong>di</strong> abitanti, appartenenti a vari ceppi etnici, <strong>fra</strong> i<br />

quali pr<strong>ed</strong>omina quello malese, anche se non manca una forte comunità cinese, che<br />

detiene una parte significativa del potere economico. Per l’abbondanza <strong>di</strong> risorse,<br />

l’Indonesia è quin<strong>di</strong>, potenzialmente, una delle nazioni con maggiori possibilità <strong>di</strong><br />

crescita.<br />

La sua posizione geografica possi<strong>ed</strong>e anche altre notevoli particolarità, anzitutto<br />

quella costituita dall’esistenza del principale passaggio marittimo tra l’Oceano<br />

In<strong>di</strong>ano <strong>ed</strong> i Mari della Cina, appunto lo Stretto <strong>di</strong> Malacca, una delle principali<br />

arterie del commercio marittimo internazionale. Inoltre, costeggiando il sud<br />

dell’arcipelago, si entra nel mare <strong>di</strong> Timor e <strong>di</strong> lì nel mare <strong>di</strong> Arafura, e quin<strong>di</strong> si<br />

acc<strong>ed</strong>e ai porti dell’Australia settentrionale. Infine, esistono quattro mari interni, tutti<br />

circondati da isole, e precisamente il mar <strong>di</strong> Giava, il mar delle Celebes - che separa<br />

l’Indonesia dalle Filippine – il mare delle Molucche <strong>ed</strong> il mare <strong>di</strong> Banda, più a<br />

403 Ibid. pag. 10.<br />

283


levante, i cui fondali, relativamente bassi, sono molto ricchi <strong>di</strong> fauna marina, il che<br />

favorisce il turismo subacqueo, sviluppatosi oltremodo negli ultimi anni.<br />

Tutta questa complessa configurazione comporta che, agli effetti della strategia<br />

militare, nonché del commercio marittimo internazionale, l’Indonesia non sia solo un<br />

ponte <strong>fra</strong> Nord e Sud, ma anche un ponte <strong>fra</strong> l’Est e l’Ovest, e soprattutto una<br />

posizione centrale, dalla quale è possibile il controllo dei gran<strong>di</strong> flussi e dei<br />

movimenti delle forze, sia a levante che a ponente dell’arcipelago.<br />

Non a caso, durante la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, il Giappone, dopo la conquista<br />

dell’arcipelago, usò l’arcipelago come base principale della flotta, vuoi nel grande<br />

porto naturale <strong>di</strong> Surabaya, nell’isola <strong>di</strong> Giava, vuoi a Balikpapan, nel Borneo, e<br />

quin<strong>di</strong> in posizione centrale dalla quale agire sia per arrestare la progressione nemica<br />

lungo le isole Salomone, ad est della Nuova Guinea, sia per contenere le forze alleate<br />

dell’oceano In<strong>di</strong>ano.<br />

Ma per controllare, è necessario <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> forze adeguate, e queste sono spesso<br />

mancate, nella lunga storia dell’arcipelago. Sia i Portoghesi, nel XVI secolo, sia gli<br />

Olandesi, successivamente, non <strong>di</strong>sponevano <strong>di</strong> questa possibilità, e lo stesso governo<br />

indonesiano, pur sviluppando la sua Marina, che è numerosa, ma poco moderna, non<br />

riesce ad esercitare un’influenza determinante, nei rapporti con le nazioni dominanti<br />

quella parte dell’Asia.<br />

In effetti, la preoccupazione principale dell’Indonesia è mantenere la sua<br />

compattezza interna, data la vastità del territorio <strong>ed</strong> i <strong>di</strong>versi popoli che abitano le<br />

numerose isole. Le successive migrazioni, infatti, hanno creato un caleidoscopio <strong>di</strong><br />

284


etnie, <strong>di</strong>fficili da tenere a freno, per cui le insurrezioni sono state frequenti e <strong>di</strong>fficili<br />

da domare, mentre la pirateria è da sempre una piaga endemica.<br />

Gli abitanti, infatti, sono Malesi, affini a quelli della penisola <strong>di</strong> Malacca; “altre<br />

popolazioni indonesiane (Cham, Jarai etc.) si trovano anche nell’Indocina, soprattutto<br />

nel Vietnam. Al contrario, tutta la regione della Nuova Guinea e <strong>di</strong> alcune isole<br />

a<strong>di</strong>acenti – politicamente indonesiane – è culturalmente <strong>ed</strong> etnicamente <strong>di</strong>versa,<br />

melanesiana e papua” 404 . Non bisogna, però, <strong>di</strong>menticare la comunità cinese, che<br />

detiene un significativo potere economico.<br />

Dopo l’era del grande impero bud<strong>di</strong>sta <strong>di</strong> Shrivijaya <strong>di</strong> Sumatra (c.a. 800-1377) <strong>ed</strong><br />

il successivo periodo del regno giavanese <strong>di</strong> Madjapahit, 1293-1478), si verificò un<br />

notevole proselitismo islamico, che soppiantò gradualmente il bramanesimo nel XV<br />

secolo, quin<strong>di</strong> un solo secolo prima dell’arrivo degli Occidentali, il che fa<br />

dell’Indonesia il paese mussulmano più popoloso.<br />

Furono infatti i Portoghesi a sbarcare in Indonesia, prima con Diego Lopez de<br />

Sequeira, nel 1509, e quin<strong>di</strong> con Alfonso de Albuquerque, nel 1511, il quale<br />

conquistò la città <strong>di</strong> Malacca, sul continente, sconfisse la flotta ottomana dell’oceano<br />

In<strong>di</strong>ano <strong>ed</strong> estese gradualmente la conquista.<br />

Ma l’interesse principale, all’epoca, erano le spezie, che abbondavano nelle isole,<br />

e quin<strong>di</strong> i Portoghesi si limitarono a detenere delle città costiere, con funzione <strong>di</strong><br />

empori <strong>di</strong> commercio, lasciando gli abitanti dell’interno in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> totale<br />

autonomia, salvo condurre sp<strong>ed</strong>izioni punitive quando necessario. “In effetti, le<br />

404 Ibid. pag. 9.<br />

285


caratteristiche della colonizzazione portoghese sono tali, all’inizio, da non incidere<br />

sui normali ritmi <strong>di</strong> vita delle isole. Qui si assisterà semmai al curioso, ma<br />

comprensibile fenomeno dell’assimilazione dei Portoghesi ivi residenti, che<br />

sposeranno donne del luogo e muteranno usi e costumi. La lingua portoghese<br />

sopravviverà fino ai nostri giorni: il portoghese rimarrà in uso a Batavia-Jakarta,<br />

caratterizzando un preciso settore della città. (Particolare è) il caso <strong>di</strong> Timor, che<br />

politicamente rimase al Portogallo fino al 1974 e continuò a lungo a costituire una<br />

roccaforte <strong>di</strong> cultura portoghese in Indonesia” 405 .<br />

Ai Portoghesi subentrarono gli Olandesi della Compagnia delle In<strong>di</strong>e Orientali<br />

(VOC), a capitale misto pubblico-privato, che stabilì un governatorato autonomo nel<br />

1610, prima con Pieter Both, e quin<strong>di</strong> con Jan Pieterzoon Coen, nel 1618; fu lui a<br />

fondare Batavia, che <strong>di</strong>venne la capitale della colonia, e ad estendere il controllo<br />

olandese su tutte le isole. “Coen instaurò anche un tipo <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> rapporti con i<br />

territori colonizzati, basato esclusivamente sulla forza delle armi e sugli equilibri<br />

degli interessi: le isole Banda, produttrici <strong>di</strong> noce moscata, che non si piegano alle<br />

esigenze monopolistiche della VOC, subiscono lo sterminio e la deportazione<br />

dell’intera popolazione, nonché lo sra<strong>di</strong>camento degli alberi <strong>di</strong> noce moscata” 406 .<br />

Ma la debolezza principale del dominio olandese risi<strong>ed</strong>eva in Europa. Fu infatti la<br />

Rivoluzione Francese, e la fuga in Inghilterra del re Guglielmo V, nel 1795, a causare<br />

il crollo della Compagnia, <strong>ed</strong> alla fondazione della Repubblica Batava, sotto il<br />

405 Ibid. pag. 21.<br />

406 Ibid. pag. 22.<br />

286


dominio <strong>fra</strong>ncese nel 1810, il cui governatore, il generale Herman Daendels, tentò “<strong>di</strong><br />

attuare riforme importanti” 407 .<br />

Queste erano il frutto <strong>di</strong> lunghi <strong>di</strong>battiti che si erano tenuti, negli anni prec<strong>ed</strong>enti,<br />

all’Assemblea Nazionale <strong>di</strong> Parigi, dove i proprietari terrieri delle colonie avevano<br />

invano cercato <strong>di</strong> ottenere la libertà <strong>di</strong> commercio con altre nazioni <strong>ed</strong> il<br />

mantenimento della schiavitù, ma erano stati sconfitti. “La Convenzione, invece, non<br />

ebbe timidezza:il 27 luglio 1793 proibì la tratta degli schiavi <strong>ed</strong> il 4 febbraio 1794, su<br />

proposta <strong>di</strong> Levasseur, decretò l’abolizione imm<strong>ed</strong>iata <strong>ed</strong> assoluta della schiavitù,<br />

senza prev<strong>ed</strong>ere alcun regime transitorio, alcun indennizzo per i proprietari, né<br />

precauzioni per mantenere l’or<strong>di</strong>ne, né tantomeno <strong>di</strong> provv<strong>ed</strong>imenti per assicurare<br />

vuoi il sostentamento <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> persone liberate, vuoi la coltura della<br />

terre che questi avrebbero abbandonato” 408 .<br />

L’avvento <strong>di</strong> Napoleone segnò un ritorno all’autoritarismo, almeno durante il<br />

breve periodo della pace <strong>di</strong> Amiens, con la conseguente rivolta <strong>di</strong> tutti i neri che,<br />

ovviamente, essendo stati liberati non volevano ritornare in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> schiavitù,<br />

ma questo fenomeno non toccò quella che allora si chiamava l’Insulin<strong>di</strong>a, che era<br />

<strong>di</strong>venuta una base della guerra <strong>di</strong> corsa condotta dai Francesi contro i traffici<br />

marittimi britannici, a similitu<strong>di</strong>ne delle isole <strong>fra</strong>ncesi dell’oceano In<strong>di</strong>ano.<br />

Il generale Daendels, “aveva moltiplicato gli sforzi per costituire un vero esercito<br />

con elementi in<strong>di</strong>geni; ma, a partire dal 1810, l’ammiraglio (britannico) Drury, con<br />

un’audace campagna, riconquistò una alla volta le isole, e (ad esempio) a Banda 1500<br />

407 Ibid. pag. 23.<br />

408 J. TRAMOND. Manuel d’Histoire Maritime de la France. Ed. Société d’É<strong>di</strong>tions Géographiques, 1927, pag. 690.<br />

287


soldati olandesi si erano arresi a 180 Inglesi; per Giava, il 4 agosto 1811, una flotta,<br />

partita dal golfo del Bengala vi sbarcò 12.000 Inglesi e Cipayes (in<strong>di</strong>ani), che ebbero<br />

ragione dei Franco-Olandesi in qualche settimana. Dopo alcune belle avventure che<br />

lo portarono fino nell’interno dell’isola, il governatore Janssens (sostituto <strong>di</strong><br />

Daendels) si arrese il 18 settembre. Le due fregate che questi aveva ricevuto, come<br />

rinforzo, sfuggirono senza <strong>di</strong>fficoltà e rientrarono a Brest” 409 .<br />

Quin<strong>di</strong> i Britannici, comandati da Sir Stamford Raffles, il fondatore <strong>di</strong> Singapore,<br />

dopo aver scacciato i Francesi, dominarono la colonia fino alla sua restituzione<br />

all’Olanda, <strong>fra</strong> il 1816 <strong>ed</strong> il 1824, per effetto delle delibere del Congresso <strong>di</strong> Vienna.<br />

Come accade spesso, il governo olandese si ritrovò a gestire una colonia depauperata<br />

<strong>ed</strong> irrequieta, dove gli abitanti non volevano perdere i <strong>di</strong>ritti acquisiti, tanto che esso<br />

dovette reprimere una violenta rivolta, scoppiata nel 1825 nella zona centrale <strong>di</strong><br />

Giava, e capeggiata dal principe Diponegoro (1785-1855), che durò cinque anni, e fu<br />

sul punto <strong>di</strong> cacciare gli Olandesi. “Il bilancio degli scontri fu <strong>di</strong> 15.000 soldati<br />

olandesi e 250.000 Giavanesi caduti” 410 , segno <strong>di</strong> uno sforzo enorme, per l’Olanda,<br />

che dovette inviare un gran numero <strong>di</strong> truppe.<br />

Dopo questa sanguinosa repressione, riprese lo sfruttamento della colonia, a<br />

livello intensivo, tanto che - per effetto <strong>di</strong> un romanzo del 1860, Max Havelaar,<br />

scritto da un impiegato coloniale olandese, Eduard Douwes Dekker, sotto lo<br />

pseudonimo <strong>di</strong> Multatuli - persino in Olanda si dovette prendere coscienza delle<br />

“numerose ingiustizie e soprusi cui erano sottoposti gli Indonesiani, insieme alla<br />

409 Ibid. pag. 800.<br />

410 S. SUWARNO. Op. cit. pag,23.<br />

288


corruzione <strong>ed</strong> ai giochi <strong>di</strong> interessi che arricchivano gli amministratori e gli<br />

impren<strong>di</strong>tori” 411 .<br />

La seconda abolizione della schiavitù e, nel 1870, la riforma agraria calmarono gli<br />

animi, anche se nella penisola <strong>di</strong> Aceh la rivolta continuò dal “1873 fino al 1908,<br />

anche se la resistenza continuò fino al 1939” 412 . Nel 1916 venne costituito il<br />

Parlamento coloniale, il Volksraad, che <strong>di</strong><strong>ed</strong>e per la prima volta agli Indonesiani una<br />

voce. “Ed è a partire da questi anni che v<strong>ed</strong>iamo sorgere i primi veri movimenti<br />

nazionalistici” 413 , e l’istruzione venne gradualmente migliorata, anche se la prima<br />

<strong>Università</strong> fu fondata solo nel 1942, sotto l’occupazione giapponese.<br />

I leader del movimento provenivano da un piccolo gruppo <strong>di</strong> giovani<br />

professionisti e studenti, che svolsero attività politica <strong>fra</strong> le due guerre, <strong>ed</strong> in molti<br />

furono talvolta arrestati, in occasione <strong>di</strong> manifestazioni. Fra questi, vi era il futuro<br />

Presidente Sukarno, che nel 1927 aveva fondato il Partito Nazionalista Indonesiano.<br />

Nel febbraio 1942, il Giappone invase l’Indonesia, dopo aver <strong>di</strong>strutto la piccola<br />

flotta alleata, la cosiddetta squadra ABDA (Americana, Britannica, Olandese,<br />

Australiana), al comando del contrammiraglio Karel Doorman, nella notte <strong>fra</strong> il 27 <strong>ed</strong><br />

il 28 febbraio, nel mar <strong>di</strong> Giava. Solo la Nuova Guinea rimase sotto controllo<br />

olandese per tutto il periodo.<br />

“L’occupazione giapponese sarà dura e repressiva, ma in qualche modo prepara, e<br />

non solo psicologicamente, l’in<strong>di</strong>pendenza dell’Indonesia” 414 , anche grazie allo stesso<br />

411 Ibid. pag. 24.<br />

412 Ibid. pag. 25.<br />

413 Ibid.<br />

414 Ibid. pag. 26.<br />

289


Sukarno, che “accettò l’offerta del Giappone <strong>di</strong> formare un governo rispondente<br />

verso i bisogni militari giapponesi, (tanto da ) essere decorato dall’imperatore del<br />

Giappone nel 1943” 415 .<br />

Con la sconfitta giapponese, “il 17 agosto 1945 Sukarno legge alla popolazione<br />

indonesiana la <strong>di</strong>chiarazione unilaterale d’in<strong>di</strong>pendenza” 416 . Ma nel settembre<br />

successivo gli Alleati sbarcarono in Indonesia <strong>ed</strong> installarono <strong>di</strong> nuovo il dominio<br />

olandese. Ma, malgrado le intense operazioni <strong>di</strong> polizia, in<strong>fra</strong>mmezzate da tentativi <strong>di</strong><br />

accordo politico, la resistenza non fu sconfitta, <strong>ed</strong> il 2 novembre 1949, alla<br />

Conferenza della Tavola Rotonda dell’Aja, si cercò <strong>di</strong> trovare un assetto f<strong>ed</strong>erale,<br />

nell’ambito della concessione dell’in<strong>di</strong>pendenza.<br />

Peraltro, la volontà <strong>di</strong> Sukarno <strong>di</strong> evitare un <strong>fra</strong>zionamento dell’arcipelago,<br />

costituendo un assetto costituzionale centralistico, prevalse, <strong>ed</strong> il 27 <strong>di</strong>cembre<br />

successivo la regina d’Olanda concesse l’in<strong>di</strong>pendenza, anche se la data che viene<br />

celebrata è quella del 17 agosto 1950, quando il Paese fu <strong>di</strong> fatto in<strong>di</strong>pendente. Le<br />

popolazioni <strong>di</strong> alcune piccole isole, che avevano collaborato con gli Olandesi nella<br />

repressione, furono costrette ad andare in esilio nei Paesi Bassi.<br />

Nel dopoguerra, l’Indonesia cercò <strong>di</strong> trasformarsi in uno stato moderno, ma il suo<br />

governo, retto da Sukarno, considerato l’eroe nazionale <strong>ed</strong> eletto Presidente a vita,<br />

entrò in conflitto varie volte con i vicini, prima sostenendo la guerriglia anti-<br />

britannica in Malesia, poi entrando in conflitto con quest’ultima, <strong>di</strong>venuta nel<br />

415 Vds. Wikip<strong>ed</strong>ia. Storia dell’Indonesia.<br />

416 S. SUWARNO. Op. cit. pag. 27.<br />

290


<strong>fra</strong>ttempo in<strong>di</strong>pendente, per il Borneo Settentrionale (Sarawak), <strong>fra</strong> il 1963 <strong>ed</strong> il 1966<br />

(la cosiddetta Konfrontasi).<br />

I problemi interni non mancarono: dopo alcuni anni <strong>di</strong> avvicinamento <strong>fra</strong><br />

l’Indonesia e l’Unione Sovietica, verso la fine del regime <strong>di</strong> Sukarno, anche se questi<br />

aveva fatto in modo che il paese rimanesse nell’orbita dei Non Allineati, si verificò, il<br />

30 settembre 1965 un tentativo <strong>di</strong> colpo <strong>di</strong> stato comunista, che fallì e fu represso nel<br />

sangue, con l’uccisone <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> comunisti. Il leader della reazione,<br />

che conseguentemente ascese al potere, era Suharto; nel 1999 ci fu l’insurrezione <strong>di</strong><br />

Timor Est, che era stata occupata dall’Indonesia nel 1976, poco dopo la partenza dei<br />

Portoghesi. Infine, <strong>fra</strong> il 1997 <strong>ed</strong> il 1998 la crisi economica delle Tigri Asiatiche<br />

provocherà violente manifestazioni <strong>di</strong> piazza, con il conseguente allontanamento <strong>di</strong><br />

Suharto, accusato <strong>di</strong> corruzione. La presenza <strong>di</strong> cellule terroriste <strong>di</strong>venne palese,<br />

quando nel 2002 vi furono attentati a Bali, contro i turisti occidentali <strong>ed</strong> australiani,<br />

ma la reazione del governo, anche in quest’occasione, è stata forte e decisiva, anche<br />

grazie alla collaborazione da parte della popolazione.<br />

Il fattore <strong>di</strong> forza dell’Indonesia è la sua produzione agricola e forestale, anche se<br />

la superficie coltivabile è solo il 15% del totale, e le foreste, malgrado l’intenso<br />

sfruttamento <strong>di</strong> questi ultimi anni, coprono la maggioranza del territorio. La<br />

produzione <strong>di</strong> riso non è ancora adeguata a garantire l’autosufficienza alimentare;<br />

peraltro, le foreste, ricche <strong>di</strong> legno pregiato, e le piantagioni <strong>di</strong> caucciù, iniziate<br />

relativamente <strong>di</strong> recente, grazie all’acclimatamento <strong>di</strong> piante importate dal Brasile, il<br />

cotone, il cacao e la palma da olio sono attività in continua crescita.<br />

291


“Le spezie, che nel passato avevano rappresentato una risorsa economica<br />

fondamentale, sono tuttora importanti: soprattutto chio<strong>di</strong> <strong>di</strong> garofano e cannella, ma<br />

anche pepe e noce moscata” 417 . Se a questo si aggiunge l’esportazione <strong>di</strong> gas naturale,<br />

e la notevole produzione mineraria, ci si rende conto del potenziale economico del<br />

paese.<br />

L’Italia ha avuto un momento <strong>di</strong> forte collaborazione, a metà degli anni ’50,<br />

quando costruì per l’Indonesia quattro unità <strong>di</strong> scorta. Purtroppo, l’avvicinamento<br />

all’Unione Sovietica portò ad un completo cambio <strong>di</strong> linea operativa, con<br />

l’acquisizione <strong>di</strong> numerose unità sovietiche, <strong>fra</strong> le quali un incrociatore pesante, della<br />

classe Sverdlov, costruito negli anni ’50.<br />

Ora la Marina indonesiana, molto numerosa, è basata su unità combattenti<br />

prevalentemente t<strong>ed</strong>esche <strong>ed</strong> olandesi, cui si aggiunge un elevato numero <strong>di</strong> navi da<br />

sbarco, <strong>di</strong> costruzione t<strong>ed</strong>esco orientale, prelevate a prezzo competitivo dalla<br />

Germania, dopo la riunificazione <strong>di</strong> quest’ultima. Il recente impegno, da parte del<br />

governo indonesiano, a combattere la pirateria, in accordo e coor<strong>di</strong>namento con<br />

Singapore e la Malesia, lascia ben sperare per un futuro sviluppo della collaborazione<br />

regionale.<br />

In definitiva, il paese è in potenziale crescita, ma il suo sviluppo <strong>di</strong>pende dalla<br />

risoluzione dei numerosi conflitti interni; in questo, l’Unione Europea ha fornito un<br />

contributo significativo, garantendo la tregua ad Aceh, e consentendo il <strong>di</strong>sarmo della<br />

guerriglia in cambio <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong> maggiore autonomia.<br />

417 Ibid. pag. 43.<br />

292


)-Le Filippine contese<br />

Imm<strong>ed</strong>iatamente a Nord-Est dell’Indonesia, esiste un altro grande arcipelago,<br />

composto da 7107 isole, <strong>di</strong> cui due – Luzon e Mindanao – sono decisamente più<br />

gran<strong>di</strong> delle altre, e sono quelle che hanno influenzato <strong>ed</strong> influenzano tuttora la vita<br />

nazionale, per le loro <strong>di</strong>fferenze; la superficie complessiva è <strong>di</strong> 300.000 chilometri<br />

quadrati, pari a quella dell’Italia, ma con una popolazione più numerosa, pari a circa<br />

85 milioni <strong>di</strong> abitanti, con una densità già notevole (248 per km²) rispetto a molti<br />

paesi del continente asiatico, ma che <strong>di</strong> fatto è maggiore nelle zone pianeggianti, dove<br />

si concentra la popolazione.<br />

“Questa regione è geologicamente <strong>fra</strong> le più instabili del pianeta, perciò nella<br />

maggior parte delle isole pr<strong>ed</strong>ominano s<strong>ed</strong>imenti e rocce eruttive. Numerosi sono i<br />

vulcani ancora attivi e le catene montuose, che raggiungono i 2400 metri <strong>di</strong><br />

altezza” 418 . Il clima risente dei monsoni, come l’Indonesia, con la stagione asciutta da<br />

novembre ad aprile e la stagione umida da maggio ad ottobre. Anche se, durante la<br />

stagione umida “non piove sempre in maniera torrenziale <strong>ed</strong> i giorni possono essere<br />

cal<strong>di</strong> e solatii, (solo) con brevi, intensi scrosci <strong>di</strong> pioggia al crepuscolo, il paese è<br />

colpito da cinque/sei tifoni <strong>ed</strong> è interessato da una m<strong>ed</strong>ia <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci” 419 ogni anno.<br />

La religione è cattolica per la grande maggioranza del popolo, con un 5% <strong>di</strong><br />

mussulmani, peraltro concentrati nell’isola meri<strong>di</strong>onale <strong>di</strong> Mindanao; la lingua<br />

nazionale è il Filipino, derivato dal Tagalog, il <strong>di</strong>aletto dell’isola <strong>di</strong> Luzon, ma la<br />

maggioranza parla e comprende lo Spagnolo e l’Inglese.<br />

418 V. REYES. Filippine. Ed. Pendragon, 1998, pag. 5.<br />

419 D. DALTON. The Rough Guide to Philippines. Ed. Rough Guides, 2007, pgg.12-13.<br />

293


L’economia si basa prevalentemente sull’agricoltura, la cui produzione ecc<strong>ed</strong>e il<br />

consumo interno, consentendo l’esportazione, soprattutto <strong>di</strong> riso, oltre che del mais e<br />

della canna da zucchero. Vi sono significativi depositi <strong>di</strong> minerali, <strong>ed</strong> altri potrebbero<br />

esisterne, visto che non tutto il territorio è stato oggetto <strong>di</strong> esplorazione geologica, ma<br />

i due problemi principali del paese sono l’enorme debito pubblico, frutto dei tentativi<br />

d’industrializzazione, compiuti negli anni ’50 e ’60, nonché la forte <strong>di</strong>pendenza dalle<br />

importazioni petrolifere. Questo spiega il contenzioso con la Cina sulle isole Spratley,<br />

una zona <strong>di</strong> scogli affioranti, a quanto pare ricca <strong>di</strong> giacimenti sottomarini.<br />

La storia del paese è stata caratterizzata, in rapida successione, prima dal<br />

proselitismo mussulmano, che risale al 1380, quando “lo stu<strong>di</strong>oso arabo Makdam<br />

arrivò nelle isole <strong>di</strong> Sulu, e poi al 1475, (quando) il leader mussulmano Sharif<br />

Mohamm<strong>ed</strong> Kabungsuwan, <strong>di</strong> Johore, sposò una principessa locale e si <strong>di</strong>chiarò il<br />

primo sultano <strong>di</strong> Mindanao” 420 . La nuova religione si era da poco consolidata, e stava<br />

estendendosi a Luzon, quando iniziò la colonizzazione spagnola.<br />

L’inizio, per questi, non fu promettente: iniziò Magellano, nel 1521, durante la sua<br />

circumnavigazione del globo, ma fu ferito e quin<strong>di</strong> giustiziato sull’isola <strong>di</strong> Mactan dai<br />

locali che si erano ribellati ad Humabon, il capo prescelto dal navigatore portoghese<br />

per governare a nome della Spagna. Nel 1543, Ruy Lopez de Villalobos “raggiunse<br />

l’arcipelago per una missione esplorativa più capillare (e) ribattezzò il gruppo<br />

insulare con il nome <strong>di</strong> Filippine, in onore <strong>di</strong> Filippo, figlio <strong>di</strong> Carlo V <strong>ed</strong> er<strong>ed</strong>e al<br />

trono <strong>di</strong> Spagna” 421 .<br />

420 Ibid. pag. 496.<br />

421 V. REYES. Op. cit. pag. 10.<br />

294


L’inizio della colonizzazione è dovuto a Miguel Lopez de Legazpi, detto El<br />

Adelantado (il condottiero). “Partito dal Messico sul finire del 1564, conquistò l’isola<br />

<strong>di</strong> Cebu fondando la città omonima, quin<strong>di</strong> sottomise rapidamente le isole Panay e<br />

Mindoro e sconfisse il piccolo impero islamico del Rajah Sulayman che dominava la<br />

parte sudorientale dell’isola <strong>di</strong> Luzon” 422 . In quell’area, il 24 giugno 1571, egli fondò<br />

la nuova capitale, Manila, in “un immenso porto naturale” 423 .<br />

All’inizio, la colonizzazione proc<strong>ed</strong>ette senza traumi per gli in<strong>di</strong>geni, avendo<br />

Filippo II or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> non ripetere le stragi che erano state commesse in Sud America,<br />

grazie anche al “<strong>fra</strong>te agostiniano Andres de Urdaneta, che si fece promotore <strong>di</strong> una<br />

politica <strong>di</strong> cristianizzazione degli in<strong>di</strong>geni, proteggendoli anche dalle forme <strong>di</strong><br />

sfruttamento più gravi dei conquistadores” 424 . Fu l’imposizione del “sistema feudale,<br />

che concentrò le popolazioni sotto il controllo (della autorità) in nuove città e nei<br />

latifon<strong>di</strong>, a causare numerose piccole rivolte” 425 .<br />

Mindanao, invece, resistette a lungo ai tentativi <strong>di</strong> occupazione da parte degli<br />

Spagnoli, che furono sconfitti nel 1593; alla fine, nel 1635 gli Spagnoli riuscirono a<br />

prendere Zamboanga, all’estremità sud-occidentale <strong>di</strong> Mindanao, dove costruirono un<br />

forte, per controllare le incursioni dei mussulmani, soprannominati moros. “Soltanto<br />

nel 1878 il sultanato <strong>di</strong> Sulu riconoscerà la sovranità della Spagna” 426 .<br />

Mentre l’economia interna fu ben presto caratterizzata dai latifon<strong>di</strong>, in possesso<br />

degli Or<strong>di</strong>ni Monastici, il commercio internazionale <strong>di</strong>venne in breve estremamente<br />

422 Ibid.<br />

423 D. DALTON. Op. cit. pag. 496.<br />

424 V. REYES. Op. cit. pag. 11.<br />

425 D. DALTON.<br />

426 V. REYES. Op. cit. pag. 15.<br />

295


importante. “I gran<strong>di</strong> galeoni spagnoli, partiti dal Messico carichi <strong>di</strong> verghe e monete<br />

d’argento americano, facevano scalo a Manila per poi raggiungere i porti cinesi, dai<br />

quali ripartivano con le stive piene <strong>di</strong> velluti, sete, porcellane e giade. Manila <strong>di</strong>venne<br />

così un’importante piazza per gli scambi commerciali tra America <strong>ed</strong> Asia” 427 .<br />

Le gelosie dei mercanti spagnoli e la preoccupazione del governo, che v<strong>ed</strong>eva<br />

l’argento americano finire in Cina, anziché finanziare le guerre in Europa, portò alla<br />

politica della “Porta Chiusa”. “Un decreto del 1593 stabiliva che gli scambi tra le<br />

Filippine e le colonie americane potessero essere svolti solo da galeoni <strong>di</strong> proprietà<br />

del governo e soltanto nei porti <strong>di</strong> Manila <strong>ed</strong> Acapulco” 428 . In tal modo, si perse<br />

l’opportunità <strong>di</strong> un duraturo sviluppo dell’arcipelago, la prima <strong>di</strong> tante occasioni<br />

mancate.<br />

Gli Olandesi, nel <strong>fra</strong>ttempo, cercarono <strong>di</strong> cacciare la Spagna dall’arcipelago,<br />

alleandosi ai Sultanati mussulmani e compiendo incursioni. Due volte essi tentarono<br />

azioni navali in grande stile, la prima nel 1610 e la seconda nel 1647, venendo<br />

sconfitti amb<strong>ed</strong>ue le volte. Ebbe invece successo una sp<strong>ed</strong>izione britannica, nel 1762,<br />

che portò all’occupazione <strong>di</strong> Manila per due anni, finché il trattato <strong>di</strong> pace non restituì<br />

l’arcipelago alla Spagna.<br />

Il prestigio militare <strong>di</strong> questa aveva subito un grave colpo, e ciò fu la causa <strong>di</strong><br />

numerose rivolte <strong>ed</strong> incursioni dei mussulmani. Questo spinse ad una politica che<br />

cercava il consenso dei locali; già“verso la fine del XVIII secolo, le esportazioni delle<br />

Filippine furono autorizzate ad essere trasportate su mercantili stranieri, e poco dopo<br />

427 V. REYES. Op. cit. pag. 13.<br />

428 Ibid.<br />

296


<strong>di</strong>tte europee <strong>ed</strong> americane impiantarono uffici commerciali nelle isole. Ci volle poco<br />

tempo affinché stranieri dominassero l’import-export filippino” 429 , il che ebbe la<br />

sanzione formale nel 1834; inoltre, una serie <strong>di</strong> provv<strong>ed</strong>imenti per sviluppare<br />

l’economia e migliorare le in<strong>fra</strong>strutture furono varati.<br />

L’apertura del Canale <strong>di</strong> Suez accentuò questa apertura, e gli scambi con l’Europa<br />

aumentarono. “Con l’arrivo dei commercianti europei entrarono nuove idee,<br />

specialmente le filosofie liberali che stavano <strong>di</strong>ffondendosi nei paesi capitalisti nel<br />

XIX secolo. A loro volta, i Filippini arricchitisi grazie all’espansione del commercio<br />

poterono permettersi <strong>di</strong> inviare i loro figli alle università europee” 430 , specie in<br />

Spagna.<br />

Anche l’<strong>ed</strong>ucazione in loco fu grandemente migliorata, e questi due fattori<br />

portarono alla nascita <strong>di</strong> una classe <strong>di</strong> filippini colti, gli illustrados, <strong>fra</strong> i quali si<br />

<strong>di</strong>ffusero le idee liberali. Inoltre, specie dopo la caduta dell’impero spagnolo nelle<br />

Americhe, aumentò l’immigrazione dalla Spagna; queste persone, soprannominate<br />

peninsulares “entrarono in concorrenza con gli Spagnoli nati nelle Filippine, i creoli,<br />

per gli impieghi tra<strong>di</strong>zionalmente riservati agli Spagnoli” 431 .<br />

Questa situazione <strong>di</strong> tensione crescente spaventava i coloni conservatori, specie gli<br />

appartenenti agli Or<strong>di</strong>ni monastici, che poss<strong>ed</strong>evano la maggioranza delle terre<br />

coltivabili, che cercarono in tutti i mo<strong>di</strong> per sabotare le riforme, anche quelle or<strong>di</strong>nate<br />

da Madrid.<br />

429 S. C. MILLER. Benevolent Assimilation. Yale University Press, 1982, pag. 31.<br />

430 Ibid.<br />

431 Ibid. pag. 32.<br />

297


La lotta per l’in<strong>di</strong>pendenza iniziò dopo la deposizione della regina Isabella II, nel<br />

1868, il cui regime reazionario fu sostituito da un governo liberale; “come accade<br />

spesso, riforme improvvise concesse a popolazioni a lungo oppresse, può aumentare<br />

il fervore rivoluzionario” 432 , e due anni dopo, a causa delle rivolta a Cuba, la reazione<br />

trionfò <strong>di</strong> nuovo, <strong>ed</strong> i governatori, nel tentativo <strong>di</strong> abrogare le libertà concesse,<br />

provocarono la rivolta degli operai nell’arsenale <strong>di</strong> Cavite, nel 1872, che <strong>di</strong><strong>ed</strong>e luogo<br />

ad una feroce repressione.<br />

Gli intellettuali filippini erano inclini a premere piuttosto per le riforme, anziché<br />

puntare all’insurrezione; un m<strong>ed</strong>ico e scrittore, José Rizal, organizzò un’associazione<br />

riformista, il “Movimento <strong>di</strong> Propaganda” e, poco dopo,descrisse in un suo libro,<br />

“Noli me Tangere”, l’oppressione spagnola del passato. Il libro, paragonato all’epoca<br />

alla “Capanna dello zio Tom”, <strong>di</strong>venne subito popolare, galvanizzando il<br />

nazionalismo filippino.<br />

Malgrado i consigli <strong>di</strong> prudenza, le autorità spagnole reagirono in modo<br />

sproporzionato, e arrestarono Rizal, confinandolo prima a Mindanao,e poi<br />

condannandolo a morte, benché il suo programma politico non mettesse in<br />

<strong>di</strong>scussione la sovranità spagnola, e la conseguenza fu che la <strong>fra</strong>ngia più ra<strong>di</strong>cale<br />

ebbe il sopravvento. Un’altra insurrezione, capeggiata da Andrés Bonifacio,<br />

fondatore della società segreta Katipunan, era alle porte, e scoppiò quin<strong>di</strong> nel 1896,<br />

quando il movimento fu tra<strong>di</strong>to da un sacerdote, costringendo quin<strong>di</strong> Bonifacio a<br />

432 Ibid.<br />

298


proclamare anzitempo l’in<strong>di</strong>pendenza; ancora una volta, la repressione fu feroce, e<br />

mise alle corde gli insorti, costretti a rifugiarsi nel Cavite.<br />

I sopravvissuti della rivolta “si riunirono a Tejeros, nel Cavite. Qui, durante una<br />

drammatica assemblea, Bonifacio venne deposto dalla carica <strong>di</strong> presidente <strong>ed</strong> Emilio<br />

Aguinaldo (1869-1964) che si era <strong>di</strong>stinto per la sua abilità <strong>di</strong> capo militare, assunse<br />

la guida della rivoluzione filippina” 433 . Bonifacio “fu accusato <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento e<br />

s<strong>ed</strong>izione, quando rifiutò <strong>di</strong> essere rimosso (dalla leadership). Dopo un processo-<br />

farsa, egli fu fucilato. La commutazione della pena da quella <strong>di</strong> morte all’esilio,<br />

decisa all’ultimo da Aguinaldo, arrivò troppo tar<strong>di</strong> al plotone <strong>di</strong> esecuzione” 434 .<br />

Il nuovo leader, Aguinaldo, un meticcio cinese relativamente ricco, e sindaco <strong>di</strong><br />

Cavite, non riuscì peraltro ad invertire l’andamento dell’insurrezione, e fu quin<strong>di</strong><br />

costretto a rifugiarsi con i suoi uomini in montagna, a Biyák-na-Bató, trenta<br />

chilometri fuori Manila, da dove avviò i negoziati <strong>di</strong> pace con il viceré.<br />

Ma la guerra <strong>fra</strong> Spagna e Stati Uniti era ormai alle porte, e fu <strong>di</strong>chiarata il 25<br />

aprile 1898 dal Congresso americano. Il 1° maggio 1898, alle 0541 del mattino, la<br />

piccola squadra dell’ammiraglio Dewey, che era entrata durante la notte nella baia <strong>di</strong><br />

Manila, aprì il fuoco <strong>ed</strong> in poco tempo <strong>di</strong>strusse le navi spagnole presenti in porto.<br />

Privi della possibilità <strong>di</strong> movimento, gli Spagnoli si rinchiusero dentro Manila,<br />

mentre gli statunitensi, troppo poco numerosi per avere ragione del nemico, fecero<br />

ricorso ad Aguinaldo, allora in esilio ad Hong Kong, promettendo apparentemente, a<br />

guerra finita, l’in<strong>di</strong>pendenza dell’isola.<br />

433 REYES. Op. cit. pag. 19.<br />

434 S. C. MILLER. Op. cit. pag. 34.<br />

299


Come spesso accade, una volta ottenuta la resa <strong>di</strong> Manila, il 12 agosto successivo,<br />

<strong>di</strong>rettamente dalle forze spagnole, che non volevano arrendersi ai locali e dopo aver<br />

firmato il trattato <strong>di</strong> pace a Parigi con la Spagna, negli Stati Uniti si accese un intenso<br />

<strong>di</strong>battito. Da una parte vi erano i Democratici – <strong>fra</strong> i quali il Presidente MCKINLEY<br />

– che sentivano forte la vocazione storica americana <strong>di</strong> anti-colonialismo, <strong>ed</strong><br />

avrebbero voluto al più ottenere una base <strong>di</strong> appoggio per i commerci, nonché per<br />

poter proiettare le loro forze, all’occorrenza, verso la Cina.<br />

I Repubblicani, invece, erano influenzati da Teodoro ROOSEVELT e sostenevano<br />

l’annessione sic et simpliciter dell’arcipelago la cui popolazione, a loro parere, non<br />

era matura per l’in<strong>di</strong>pendenza; il Presidente trovò improvvisamente un compromesso,<br />

sintetizzato con lo slogan “Benevolent Assimilation”,, che voleva in<strong>di</strong>care una<br />

cooptazione morbida dei Filippini negli Stati Uniti e così, con due voti <strong>di</strong> margine, il<br />

Congresso sanzionò il Trattato <strong>di</strong> Pace <strong>di</strong> Parigi, inclusa l’annessione dell’arcipelago.<br />

In questo modo, i nuovi occupanti provocarono la reazione dei locali, convinti<br />

che gli Stati Uniti si fossero rimangiati la promessa, e <strong>di</strong> conseguenza scoppiò<br />

un’insurrezione, la notte del 4 febbraio 1899, quando un soldato americano <strong>di</strong><br />

pattuglia “all’interno della base <strong>di</strong> Manila sorprese e sparò a tre filippini” 435 .<br />

Dopo una serie <strong>di</strong> successi, <strong>fra</strong> i quali la battaglia <strong>di</strong> Novaleta 436 , una metà del<br />

contingente USA fu <strong>di</strong>rottato d’urgenza in Cina, come contributo <strong>di</strong> forze per liberare<br />

le Legazioni occidentali <strong>di</strong> Pechino, ass<strong>ed</strong>iate dai Boxer; questo prolungò<br />

l’insurrezione che durò quin<strong>di</strong> tre anni, fino al 1902, quando Aguinaldo venne<br />

435 D. DALTON. Op. cit. pag.499.<br />

436 J. R. MOSKIN. The Story of the US Marine Corps. Ed. Pad<strong>di</strong>ngton Press, 1979, pag. 91.<br />

300


finalmente catturato. Peraltro, “la lotta venne proseguita fino al 1911 da alcuni isolati<br />

gruppi rivoluzionari, che si erano rifiutati <strong>di</strong> deporre le armi” 437 .<br />

Non era stata una passeggiata: la lotta comportò “la morte <strong>di</strong> 600.000 Filippini. Le<br />

truppe USA adoperarono tattiche che sarebbero poi state usate anche in Vietnam,<br />

come la creazione <strong>di</strong> villaggi strategici e la terra bruciata, per pacificare i locali. Ma<br />

schiacciare i Filippini non era facile. Le forze USA, malgrado la loro potenza <strong>di</strong><br />

fuoco superiore, furono tormentate dal caldo incessante, piogge torrenziali e gravi<br />

malattie. Nel marzo 1899, Manila era in fiamme. Malolo, al nord <strong>di</strong> Manila, s<strong>ed</strong>e del<br />

governo rivoluzionario, fu conquistata, ma nel giugno 1899 gli Americani erano<br />

bloccati e controllavano un territorio non maggiore <strong>di</strong> quaranta chilometri attorno a<br />

Manila” 438 .<br />

Impressionante era la ferocia degli insorti, che attaccavano dopo essersi drogati,<br />

<strong>ed</strong> essersi stretti dei lacci intorno alle braccia e alle gambe, in modo che solo una<br />

ferita al corpo li avrebbe atterrati. La constatazione che neanche una pallottola <strong>di</strong><br />

pistola calibro 38 fermava un assalitore a breve <strong>di</strong>stanza portò all’adozione, sia presso<br />

l’Esercito sia presso i Marines, della tanto celebrata Colt 45.<br />

Alla fine, la cattura <strong>di</strong> Aguinaldo fece perdere all’insurrezione la sua coerenza <strong>ed</strong><br />

efficacia, e quin<strong>di</strong> il territorio fu pacificato. Il governo americano, colpito dalla<br />

violenza della reazione, <strong>di</strong>venne però più attento ai bisogni della popolazione,<br />

avviando finalmente il processo <strong>di</strong> “assimilazione benevola” – mai iniziato a causa<br />

della guerriglia – il quale comprendeva un ottimo sistema sanitario che ridusse<br />

437 V. REYES. Op, cit. pag. 22.<br />

438 D. DALTON. Op. cit. pag. 499.<br />

301


l’incidenza delle epidemie <strong>di</strong> peste e colera - malattie endemiche in quelle isole - e<br />

creando un sistema d’istruzione capillare, che “<strong>di</strong>venne il principale strumento per la<br />

<strong>di</strong>ffusione della cultura e della civiltà americane” 439 .<br />

Fu quin<strong>di</strong> prevista un’assemblea popolare nel 1907, e nel 1916 furono dati<br />

maggiori poteri <strong>di</strong> autogoverno a questa assemblea locale. Ancora, nel 1934 il<br />

Presidente Roosevelt firmò il Ty<strong>di</strong>ngs-MacDuffie Act, (nel quale si) stabiliva che, a<br />

partire dal 4 luglio 1936 venisse proclamato il Commonwealth delle Filippine, un<br />

governo semi-autonomo con una nuova Costituzione che sarebbe rimasta in vigore<br />

per un periodo <strong>di</strong> transizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni. Nel 1946 (quin<strong>di</strong>) le Filippine sarebbero<br />

<strong>di</strong>venute finalmente in<strong>di</strong>pendenti” 440 .<br />

L’invasione giapponese dell’arcipelago ebbe luogo il 12 <strong>di</strong>cembre 1941, dopo una<br />

serie <strong>di</strong> bombardamenti aerei, iniziati lo stesso giorno dell’attacco a Pearl Harbour,<br />

che <strong>di</strong>strussero al suolo “un terzo degli aerei da caccia e metà dei bombar<strong>di</strong>eri” 441 .<br />

Malgrado l’accanita resistenza, <strong>di</strong>retta dal generale MacArthur, il 2 gennaio 1942<br />

cadde Manila, <strong>ed</strong> il 6 maggio successivo anche l’ultimo nucleo <strong>di</strong> forze americane,<br />

trincerato nell’isolotto <strong>di</strong> Corregidor, all’ingresso della baia, dovette arrendersi al<br />

nemico, che aveva una superiorità schiacciante.<br />

A<strong>di</strong>rati per la dura resistenza, i Giapponesi costrinsero i prigionieri, già deboli per<br />

le notevoli privazioni dell’ass<strong>ed</strong>io sostenuto, ad una marcia forzata che provocò la<br />

morte <strong>di</strong> 10.000 uomini. Anche l’Esercito nipponico dovette fronteggiare una dura<br />

439 V. REYES. Op. cit. pag 22.<br />

440 Ibid. pag. 24.<br />

441 J. R. MOSKIN. Op. cit. pag. 243.<br />

302


guerriglia, che arrivò a comprendere ben 200.000 combattenti, e reagì con una<br />

notevole crudeltà, senza peraltro ottenere alcun risultato.<br />

Il 19 ottobre 1944, le forze americane sbarcarono a Leyte, con il generale<br />

MacArthur, alla loro testa; la Marina giapponese compì l’ultimo sforzo per ricacciare<br />

l’invasione, arrivando vicina al successo, ma subendo gravissime per<strong>di</strong>te. La<br />

resistenza giapponese durò fino all’aprile 1945, e fu piegata da una serie <strong>di</strong><br />

operazioni anfibie che conquistarono tutte le isole presi<strong>di</strong>ate dal nemico, a prezzo <strong>di</strong><br />

notevoli per<strong>di</strong>te.<br />

Finita la guerra, come promesso, il 4 luglio 1946 le Filippine ebbero la tanto<br />

sospirata in<strong>di</strong>pendenza. Gli Stati Uniti ebbero in affitto la base aeronavale <strong>di</strong> Subic<br />

Bay, che si rivelò preziosa durante il conflitto in Vietnam, ma che poi lasciarono alla<br />

scadenza del contratto – in coincidenza con l’eruzione del vulcano Piñatubo; inoltre,<br />

fino alla partenza delle forze americane, i giovani filippini potevano arruolarsi nella<br />

Marina Americana (US Navy) e, dopo un congruo numero <strong>di</strong> anni <strong>di</strong> servizio, ottenere<br />

la citta<strong>di</strong>nanza americana.<br />

Con l’in<strong>di</strong>pendenza iniziava un nuovo periodo per l’arcipelago, ma la neonata<br />

Repubblica delle Filippine non ebbe vita facile: primadovette sconfiggere un<br />

movimento <strong>di</strong> guerriglia comunista, lotta che finì solo nel 1972, e quin<strong>di</strong>, in<br />

parallelo, contenere l’insurrezione in<strong>di</strong>pendentista <strong>di</strong> Mindanao e nelle isole Sulu,<br />

dove rimangono ancor oggi movimenti <strong>di</strong> guerriglieri mussulmani che il governo non<br />

riesce a domare.<br />

303


Quest’ultimo fenomeno, le cui origini risalgono ai secoli passati, è peraltro risorto<br />

per effetto delle politiche governative, nei confronti dei mussulmani, praticate anche<br />

durante il periodo coloniale americano. Tutto iniziò con il cosiddetto Moro Act, del<br />

1903, nel quale “ampie aree <strong>di</strong> terra ancestrale venivano date in concessione alle<br />

compagnie multinazionali che volevano creare piantagioni nella nuova colonia<br />

americana, <strong>fra</strong> le quali Dole e Firestone” 442 .<br />

Il secondo passo fu fatto dal presidente Quezon, nel 1936, quando egli “fece<br />

passare una legge che rendeva pubblici tutti i terreni dei Mori e ne assegnò una gran<br />

parte a Cristiani che si stabilirono (a Mindanao) in cambio della promessa <strong>di</strong><br />

(esenzione dal) servizio militare. I Musulmani erano in tal modo marginalizzati nella<br />

loro stessa terra, <strong>ed</strong> il risentimento crebbe inevitabilmente. Dopo il massacro <strong>di</strong><br />

Jabidah, nel 1968, quando le truppe filippine fucilarono 28 reclute mussulmane che si<br />

erano rifiutate <strong>di</strong> prendere parte all’invasione <strong>di</strong> Sabah, concepita in modo<br />

assolutamente sbagliato, i Musulmani ricorsero alle armi contro il governo, formando<br />

il Movimento per l’In<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> Mindanao, il pr<strong>ed</strong>ecessore del (l’attuale) Fronte<br />

<strong>di</strong> Liberazione Nazionale dei Mori” 443 . Come si v<strong>ed</strong>e, attuando politiche<br />

<strong>di</strong>scriminatorie contro alcune componenti della società, specie quando queste hanno<br />

un retaggio <strong>di</strong> lotte in<strong>di</strong>pendentiste, si ottiene sempre il solito risultato.<br />

Nel 1987, inoltre, in coincidenza con il ritiro delle forze americane dalla loro base<br />

nella baia <strong>di</strong> Subic, una spaventosa eruzione esplosiva del vulcano Pinatubo causò<br />

molte vittime <strong>ed</strong> enormi danni, che richiesero molto tempo per essere riparati. Il<br />

442 D. DALTON. Op. cit. pag. 501.<br />

443 Ibid. pag. 502.<br />

304


itorno alla democrazia, dopo il lungo periodo autocratico del Presidente Marcos, non<br />

fu privo <strong>di</strong> tensioni e <strong>di</strong> scandali, e solo ora le Filippine stanno lentamente<br />

riemergendo da una situazione economica <strong>di</strong>fficile.<br />

Le prospettive del paese sono peraltro ottime sul piano potenziale, anche se non<br />

sarà facile elevare il tenore <strong>di</strong> vita della popolazione; le rimesse dei numerosi<br />

emigrati negli Stati Uniti <strong>ed</strong> in Europa sono un altro fattore positivo, <strong>ed</strong> il recente<br />

aumento dei prezzi delle derrate alimentari può essere un ulteriore incentivo <strong>di</strong><br />

crescita. Senza però una maggiore pace sociale tutti gli sforzi potrebbero risultare<br />

vani.<br />

c)-L’albero della gomma: l’Indocina<br />

La penisola indocinese, la cui superficie è <strong>di</strong> 285.000 km², comprendeva, alla fine<br />

del secolo scorso, oltre alla Birmania <strong>ed</strong> al Siam – <strong>di</strong>venuto Thailan<strong>di</strong>a nel 1939 – tre<br />

provincie a regime misto, <strong>fra</strong>ncese e locale, denominati Tonchino (Vietnam<br />

Settentrionale), Cocincina (Vietnam Meri<strong>di</strong>onale) e Laos, oltre a due protettorati<br />

<strong>fra</strong>ncesi, la Cambogia e l’Annam (Vietnam Centrale).<br />

Prevalentemente boscosa, con foreste tropicali che coprivano la maggioranza del<br />

territorio e con una popolazione prevalentemente rurale, che all’inizio del XX secolo<br />

era pari a circa 16,4 milioni <strong>di</strong> abitanti, la penisola presenta altipiani, catene<br />

montagnose e fiumi – il più grande dei quali è il Mekong – che seguono un<br />

andamento Nord-Sud. Non mancano i vulcani, specie lungo la costa. Il clima è caldo<br />

<strong>ed</strong> umido, con le piogge abbondanti specie durante il monsone estivo.<br />

305


Abbiamo visto i tentativi cinesi <strong>di</strong> impadronirsi <strong>di</strong> questa penisola già nel XV<br />

secolo, con risultati deludenti, data la fiera opposizione degli abitanti, pur<br />

appartenenti a <strong>di</strong>verse etnie e spesso in lotta <strong>fra</strong> loro. Nei secoli successivi, i rapporti<br />

<strong>fra</strong> il gigante cinese e gli stati della penisola avrebbero seguito un percorso<br />

altalenante, con momenti <strong>di</strong> collaborazione <strong>ed</strong> altri <strong>di</strong> grossa tensione, situazione che<br />

dura ancora ai nostri giorni. L’Indocina, invece, vide i primi europei - dei missionari<br />

gesuiti - piuttosto tar<strong>di</strong>, solo nel 1663, cui seguirono contatti con mercanti portoghesi<br />

<strong>ed</strong> olandesi, nei secoli successivi.<br />

Peraltro, l’agricoltura è sempre stata fiorente, nelle pianure, con abbondante<br />

produzione <strong>di</strong> riso, pepe e tè; le risorse minerarie sono anche notevoli, visto che vi si<br />

estrae carbone, zinco e stagno. Ma la produzione principale, introdotta dai<br />

colonizzatori <strong>fra</strong>ncesi, è <strong>di</strong>venuta quella del caucciù. Data la sua importanza nella<br />

nostra vita quoti<strong>di</strong>ana, è bene v<strong>ed</strong>ere un attimo in cosa consista questa produzione,<br />

che abbiamo visto fiorire anche in Indonesia e nelle Filippine.<br />

“All'inizio del ventesimo secolo, i bisogni dell'industria automobilistica favorirono lo<br />

slancio del caucciù indocinese, un'attività che beneficiava dell'afflusso <strong>di</strong> capitali<br />

attirati dall'annuncio <strong>di</strong> favolosi profitti. Nella storia della presenza <strong>fra</strong>ncese in<br />

Indocina, lo sfruttamento dell' albero della gomma, il «legno che piange», occupò un<br />

posto particolare. In effetti, il caucciù figurava come simbolo della riuscita coloniale,<br />

poiché avrebbe garantito una grossa fonte <strong>di</strong> r<strong>ed</strong><strong>di</strong>to per la Francia. L'importanza<br />

delle superfici piantumate, il decollo delle esportazioni, i progressi della ricerca<br />

agronomica, i <strong>di</strong>viden<strong>di</strong> riportati testimoniarono i successi ottenuti dalla cultura <strong>di</strong><br />

306


quell' albero nella penisola indocinese. Questa impresa fu vissuta, almeno all'inizio,<br />

come una vera avventura dai piantatori, fieri <strong>di</strong> v<strong>ed</strong>er in<strong>di</strong>etreggiare una natura<br />

giu<strong>di</strong>cata ostile a vantaggio <strong>di</strong> una coltura ben or<strong>di</strong>nata e al servizio del progresso<br />

industriale. Tuttavia, è importante sapere anche che il caucciù è <strong>di</strong>venuto anche il<br />

simbolo del rifiuto della dominazione <strong>fra</strong>ncese, espresso dagli operai delle<br />

piantagioni negli anni 1930.<br />

Le prime gran<strong>di</strong> piantagioni apparvero all'inizio del secolo XX. I tronchi <strong>di</strong>ritti<br />

dalla corteccia grigia si slanciavano lungo linee monotone nelle terre meri<strong>di</strong>onali<br />

della penisola, dapprima nelle «terre grigie» situate in prossimità dei gran<strong>di</strong> centri<br />

abitati, poi nelle «terre rosse», più ricche ma anche più lontane, meno popolate, che<br />

esigevano maggior lavoro, maggiori capitali e che posero il problema del<br />

reclutamento della manodopera, visto che, ancor oggi, la squadra <strong>di</strong> incisori deve<br />

iniziare all’alba, incidere la corteccia e raccogliere la resina <strong>di</strong> numerosi alberi.<br />

La lavorazione, ancora oggi, è la seguente: il lattice raccolto viene portato nello<br />

stabilimento, installato al centro della piantagione, dove è mescolato a dell’acido. Il<br />

coagulo ottenuto, sostanza preziosa, viene passata attraverso dei laminatoi, poi<br />

seccata <strong>ed</strong> imballata.<br />

È stato il bisogno crescente <strong>di</strong> caucciù dei fabbricanti <strong>di</strong> biciclette e poi<br />

dell’industria automobilistica, ma soprattutto l’annuncio <strong>di</strong> 100.000 <strong>fra</strong>nchi <strong>di</strong><br />

benefici che realizzò nel 1906 Belland, commissario centrale della sicurezza <strong>di</strong><br />

Saigon, che aveva fatto piantare degli hevea, a suscitare l’interesse per quest'attività.<br />

307


Nacquero importanti società, come la Società delle Terre Rosse e la Società delle<br />

Piantagioni <strong>di</strong> Hevea.<br />

Tuttavia un’industria maggiore, come la Michelin non investì in Indocina prima<br />

del 1925. Il vero boom del caucciù dell’Indocina risale, infatti, solo agli anni ’20:<br />

bisogna infatti che passino sei- sette anni dal momento in cui la terra viene <strong>di</strong>ssodata<br />

e quello in cui gli alberi sono produttivi. Le esportazioni <strong>di</strong> caucciù della penisola<br />

<strong>di</strong>ventarono allora considerevoli, dato che i proprietari approfittarono dell’andamento<br />

mon<strong>di</strong>ale in aumento tra il 1925 e il 1926. Allo stesso tempo si verificò l’arrivo<br />

massiccio <strong>di</strong> capitali provenienti dalla madrepatria in Indocina, attirati da profitti così<br />

elevati.<br />

Traendo beneficio da premi remunerativi e capitali crescenti, i proprietari delle<br />

piantagioni moltiplicarono gli spazi coltivati ad hevea. Perciò, il mercato mon<strong>di</strong>ale<br />

conobbe delle oscillazioni brusche con l’inizio della crisi e il calo <strong>di</strong> domanda dei più<br />

gran<strong>di</strong> consumatori mon<strong>di</strong>ali, gli Stati Uniti in particolare. A partire dal 1930, la tratta<br />

<strong>di</strong> caucciù scese al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> quello del 1922, e il governo generale dell’Indocina fu<br />

chiamato a dare aiuto. Le autorità accordarono degli incentivi e dei prestiti, facendo<br />

attenzione affinché la regolamentazione internazionale messa in atto a partire dal<br />

1934 non l<strong>ed</strong>esse gli interessi delle società <strong>fra</strong>ncesi. La Banca <strong>di</strong> Indocina intervenne<br />

accordando degli anticipi e <strong>di</strong>ventando a volte padrona delle piantagioni.<br />

Infine, passato il periodo peggiore della crisi dovuto al crack finanziario del 1929,<br />

iniziato negli Stati Uniti, la coltura <strong>di</strong> hevea in Indocina riprese slancio, al prezzo <strong>di</strong><br />

308


una concentrazione maggiore <strong>di</strong> società. I proprietari non investivano più molto in<br />

corsi eccezionali, piuttosto in una produzione massiccia, permessa dallo sfruttamento<br />

delle zone piantate prima della crisi e dal miglioramento dei ren<strong>di</strong>menti.<br />

Nel 1939 l’Indocina esportava una quantità <strong>di</strong> caucciù otto volte maggiore <strong>di</strong><br />

quella esportata quin<strong>di</strong>ci anni prima; e ciò rappresentava un quarto delle esportazioni<br />

della penisola, contro meno del 5% nel 1924. A partire dal 1941 i <strong>di</strong>ssesti provocati<br />

dall’invasione giapponese (1940), poi dalla guerra d’Indocina, compromisero la<br />

produzione e l’esportazione. Tuttavia, non fu posto un termine all’attività delle<br />

piantagioni. Queste si mantennero fino agli anni ’70.<br />

Nel <strong>fra</strong>ttempo l’avvenire del caucciù naturale sembrava compromesso dal ricorso<br />

crescente al caucciù “rigenerato” fabbricato sia a partire da articoli riciclati, sia in<br />

maniera sintetica. Questi proc<strong>ed</strong>imenti furono utilizzati dagli Stati Uniti dal conflitto<br />

mon<strong>di</strong>ale fino alle guerre d‘in<strong>di</strong>pendenza in Asia. Tuttavia, gli americani furono<br />

obbligati, durante il periodo della Guerra Fr<strong>ed</strong>da, a non sconvolgere l’economia del<br />

sud-est asiatico e perciò continuarono ad approvvigionarsi <strong>di</strong> caucciù <strong>di</strong> piantagione.<br />

Nel 1962 il caucciù sintetico raggiunse il caucciù naturale a livelli <strong>di</strong> consumo<br />

mon<strong>di</strong>ale. Al giorno d’oggi i due tipi sono visti più come prodotti complementari che<br />

come prodotti <strong>di</strong> in concorrenza” 444 .<br />

Chiusa questa parentesi, che peraltro ci in<strong>di</strong>ca come l’Indocina <strong>fra</strong>ncese <strong>di</strong>venne<br />

una colonia <strong>di</strong> sfruttamento, e non <strong>di</strong> popolamento – i <strong>fra</strong>ncesi residenti non<br />

444 Da Wikip<strong>ed</strong>ia.<br />

309


superarono mai i 34.000 – v<strong>ed</strong>iamo un attimo le tappe del processo <strong>di</strong> colonizzazione.<br />

L’occasione, o il pretesto, fu dato dalle persecuzioni alle quali erano soggetti i<br />

missionari cattolici dell’Annam, da parte delle autorità locali, che volevano<br />

mantenere il bud<strong>di</strong>smo come religione prevalente. Tale conflitto <strong>fra</strong> le religioni,<br />

peraltro, rimase latente anche nel secolo successivo, e costituì, in particolare, uno dei<br />

principali fattori <strong>di</strong> debolezza del Vietnam del Sud, nella breve vita <strong>di</strong> quello stato<br />

(1956-1975).<br />

Per proteggere i missionari, quin<strong>di</strong>, la Francia e la Spagna condussero un<br />

intervento armato <strong>fra</strong> il 1858 <strong>ed</strong> il 1862; il 5 giugno <strong>di</strong> quell’anno, l’Annam chiese la<br />

pace e c<strong>ed</strong>ette alla Francia la Cocincina, la cui capitale, Saigon, <strong>di</strong>venne<br />

l’ins<strong>ed</strong>iamento principale <strong>fra</strong>ncese nel Sud-Est asiatico. “Piuttosto imbarazzato dalla<br />

sua conquista, Napoleone III, dopo molte esitazioni, decise <strong>di</strong> tenerla, (anche se la<br />

colonia) da sé stessa sembrava non presentare alcun interesse. La sua sola utilità<br />

sembrava (allora) <strong>di</strong> essere un eventuale sbocco per le favolose ricchezze che<br />

venivano generalmente attribuite alla Cina meri<strong>di</strong>onale” 445 .<br />

Per raggiungerla, il 5 giugno 1866 una sp<strong>ed</strong>izione, condotta da Doudart de Lagrèe<br />

e da Francis Garnier, due ufficiali <strong>di</strong> Marina, tentò <strong>di</strong> risalire il fiume Mekong. Dopo<br />

due anni, solo il secondo ritornò a Saigon, informando che il suo compagno era<br />

dec<strong>ed</strong>uto per malattia, <strong>ed</strong> annunciando che l’alto corso del fiume era impraticabile.<br />

Da quanto risultava, però, “il fiume Song-Koi, che traversa il Tonchino e sfocia<br />

nel mare, in prossimità <strong>di</strong> Hai-Phong” 446 sembrava offrire questa possibilità <strong>di</strong><br />

445 M. BENOIST. Courbet. Ed. des Loisirs, s.d., pag. 28.<br />

446 Ibid.<br />

310


accesso alla Cina. Da quel momento, la Francia cominciò a sognare la conquista <strong>di</strong><br />

quella regione. Bisognava, però trovare un pretesto valido.<br />

Nel 1873, quest’occasione finalmente si presentò. Un commerciante d’armi<br />

<strong>fra</strong>ncese, un certo Jean Dupuis, dovendo inviare “un carico d’armi al maresciallo<br />

cinese Mâ, il quale combatteva i ribelli dello Yunnan” 447 , fu apparentemente<br />

sottoposto a vessazioni da parte delle autorità del Tonchino. Nell’ottobre successivo,<br />

il governatore <strong>fra</strong>ncese della Cocincina decise d’inviare una piccola sp<strong>ed</strong>izione <strong>di</strong><br />

soccorso, composta da 56 marinai e 30 soldati <strong>di</strong> fanteria – le forze <strong>fra</strong>ncesi a Saigon<br />

erano molto ridotte – al comando del già noto Francis Garnier, nel <strong>fra</strong>ttempo<br />

promosso Tenente <strong>di</strong> Vascello.<br />

Questi sbarcò ad Hanoi il 5 novembre, e dovette constatare la scarsa volontà <strong>di</strong><br />

collaborazione delle autorità locali, che evidentemente parteggiavano per i ribelli<br />

cinesi. Avuti altri 60 uomini <strong>di</strong> rinforzo, il giovane ufficiale decise <strong>di</strong> compiere<br />

un’impresa apparentemente folle. “il 20 novembre, egli prese d’assalto la cittadella <strong>di</strong><br />

Hanoi, conquistandola, malgrado fosse <strong>di</strong>fesa da 7.000 guerrieri in<strong>di</strong>geni. In poco<br />

tempo, i suoi subor<strong>di</strong>nati compirono l’opera: il 22 novembre furono occupate Hug-<br />

yen e Ninh-Bin; il 10 <strong>di</strong>cembre Nam-Dinh. In meno <strong>di</strong> un mese, il tricolore<br />

sventolava vittorioso sulla quasi totalità del delta del Tonchino. 180 Francesi avevano<br />

conquistato una provincia popolata da più <strong>di</strong> due milioni <strong>di</strong> anime” 448 .<br />

Il successo era stato, in effetti, troppo rapido. Le autorità si rivolsero ai ribelli<br />

cinesi, appartenenti alla setta della “Ban<strong>di</strong>era Nera”, che scatenarono una<br />

447 Ibid.<br />

448 Ibid. pgg. 28-29.<br />

311


controffensiva; Francis Garnier fu ucciso il 21 <strong>di</strong>cembre, <strong>ed</strong> i sopravvissuti dello<br />

scontro non poterono far altro che rinchiudersi dentro Hanoi. Il 15 marzo 1874, fu<br />

firmato un trattato <strong>di</strong> pace, secondo il quale “l’Annam <strong>di</strong>ventava in<strong>di</strong>pendente,<br />

rompendo così i suoi legami con la Cina; la Francia prometteva aiuto <strong>ed</strong> assistenza<br />

contro ogni invasione straniera. In contropartita, l’imperatore dell’Annam<br />

s’impegnava a conformare la sua politica estera a quella della Francia. La<br />

navigazione (<strong>fra</strong>ncese) <strong>fra</strong> il mare e lo Yunnan era autorizzata, attraverso il Fiume<br />

Rosso, <strong>ed</strong> i tre porti <strong>di</strong> Qui-Nhon, Hai-Phong <strong>ed</strong> Hanoi sarebbero stati aperti al<br />

commercio. Una piccola guarnigione era stata mantenuta ad Hai-Phong” 449 .<br />

Questo trattato, ovviamente, non faceva gli interessi né dell’imperatore<br />

dell’Annam né tantomeno della Cina; anzi, ottenne il risultato <strong>di</strong> convincere<br />

l’imperatore dell’Annam vuoi a cooptare i Cinesi ribelli della Ban<strong>di</strong>era Nera, vuoi a<br />

riavvicinarsi alla Cina in nome degli antichi legami <strong>di</strong> vassallaggio.<br />

A questo punto, però, la Cina commise il solito errore <strong>di</strong> fare la voce grossa senza<br />

averne le forze. Dopo, infatti, una serie <strong>di</strong> schermaglie, equivoci e sgarbi a tre, la<br />

Cina <strong>di</strong>chiarò formalmente, il 24 settembre 1881, <strong>di</strong> non riconoscere il trattato del<br />

1874 tra la Francia e l’Annam.<br />

A <strong>di</strong>re il vero, questa <strong>di</strong>chiarazione dura ebbe una momentanea efficacia,<br />

scatenando <strong>di</strong> nuovo il <strong>di</strong>battito <strong>fra</strong> Jules Ferry, colonialista arrabbiato e<br />

Clemenceau,un uomo convinto che le imprese lontane fossero un consumo inutile <strong>di</strong><br />

sol<strong>di</strong> e <strong>di</strong> vite umane. Anche le Forze Armate entrarono nel <strong>di</strong>battito, con la Marina,<br />

449 Ibid. pag. 29.<br />

312


naturalmente, favorevole a rafforzare la presenza in Asia, rispondendo alla<br />

provocazione, e l’Esercito che “al contrario, non voleva togliere nessun soldato dalla<br />

linea blu dei Vosgi” 450 , dove era stato fissato il confine con l’impero t<strong>ed</strong>esco. Infine,<br />

il Ministero degli Esteri (detto il Quai d’Orsay) cercava <strong>di</strong> risolvere la questione<br />

d’intesa con Pechino.<br />

Alla fine, si giunse ad un compromesso, su proposta del governatore della<br />

Cocincina, Le Myre de Villers, e si optò per “una manifestazione materiale che non<br />

avesse alcun carattere <strong>di</strong> azione militare” 451 , <strong>ed</strong> il Capitano <strong>di</strong> vascello Henri Rivière<br />

fu mandato ad Hanoi con due compagnie <strong>di</strong> Fanti <strong>di</strong> Marina, per “estendere <strong>ed</strong><br />

affermare politicamente e pacificamente la nostra influenza sul Tonchino” 452 .<br />

Anche in questo caso, la decisione <strong>di</strong> mandare truppe poco numerose, anziché una<br />

nave era un modo <strong>di</strong> cercar guai, <strong>ed</strong> è ciò che puntualmente accadde. Il comandante<br />

Rivière, esasperato, prese anche lui d’assalto la cittadella <strong>di</strong> Hanoi, il 26 aprile 1882;<br />

da allora ognuna delle parti sembrò voler prendere tempo, e per un anno non accadde<br />

nulla, ma nel <strong>fra</strong>ttempo l’infiltrazione <strong>di</strong> truppe cinesi si faceva sempre maggiore, e<br />

costrinse il comandante Rivière ad occupare anche Nam-Dinh, il 26 marzo 1883.<br />

Malgrado questa azione, egli si trovò ad essere sempre più isolato, e venne ucciso<br />

in una scaramuccia il 19 maggio successivo. L’emozione in Francia fu tale che il<br />

Parlamento votò l’invio <strong>di</strong> 4.000 soldati e <strong>di</strong> una <strong>di</strong>visione navale, al comando<br />

dell’ammiraglio Courbet, un uomo <strong>di</strong> genio, ma che aveva anche la testa sulle spalle,<br />

e non commetteva follie. Iniziava la campagna d’Indocina.<br />

450 Ibid. pag. 33.<br />

451 Ibid.<br />

452 Ibid.<br />

313


Le operazioni militari su terra ebbero un andamento sod<strong>di</strong>sfacente, nei primi due<br />

anni, e le truppe <strong>fra</strong>ncesi, con una serie <strong>di</strong> battaglie contro gli annamiti <strong>ed</strong> i cinesi<br />

coalizzati, arrivarono a controllare quasi tutto il Tonchino. Nel <strong>fra</strong>ttempo, Courbet<br />

assicurò i collegamenti <strong>fra</strong> le truppe <strong>ed</strong> il mare, occupando il forte <strong>di</strong> Thuan-An, che<br />

guardava il porto della capitale annamita Hue, e quin<strong>di</strong> Sontay, alla foce del fiume<br />

Rosso. La Cina chi<strong>ed</strong>ette la pace, e la relativa convenzione fu firmata a Tien-Tsin<br />

l’11 maggio 1884.<br />

Da quel momento, invece, iniziarono ad avvicinarsi al confine col Tonchino le<br />

armate del Celeste Impero, come se la pace non fosse stata firmata; le truppe <strong>fra</strong>ncesi,<br />

inferiori <strong>di</strong> numero, si trovarono in <strong>di</strong>fficoltà e subirono alcune sconfitte. La<br />

situazione fu salvata dall’ammiraglio, che portò le sue navi ad attaccare la principale<br />

base navale cinese del sud, Fou-Tcheu, il 22 agosto 1884, annientando la flotta<br />

cinese. A questo seguì il blocco <strong>di</strong> Formosa, e la vittoria contro la squadriglia <strong>di</strong><br />

Shanghai, che aveva cercato <strong>di</strong> forzarlo.<br />

L’ulteriore, più grave, sconfitta <strong>fra</strong>ncese a Bang Bo, presso la città <strong>di</strong> Lang-Son,<br />

alla frontiera con la Cina, provocò la caduta del ministero presi<strong>ed</strong>uto da Jules Ferry,<br />

ma lo stesso giorno, il governo cinese acconsentiva alla ratifica della convenzione <strong>di</strong><br />

Tien-Tsin, mettendo fine alle ostilità.<br />

Da notare che la Gran Bretagna, timorosa che questa nuova colonia <strong>fra</strong>ncese<br />

potesse costituire l’inizio <strong>di</strong> un ennesimo attacco all’In<strong>di</strong>a, da dove la Francia era<br />

stata cacciata all’epoca <strong>di</strong> Napoleone, decise <strong>di</strong> occupare la Birmania, sempre nel<br />

1885, in modo da controllare un territorio che facesse da cuscinetto, nei confronti del<br />

314


loro prezioso poss<strong>ed</strong>imento. Le due nazioni, infatti, <strong>di</strong>ffidavano l’una dell’altra e lo<br />

continueranno a fare fino all’incidente <strong>di</strong> Fashoda, nel Sudan, evento che fece<br />

comprendere l’urgenza <strong>di</strong> accordarsi <strong>fra</strong> loro.<br />

L’indole pacifica degli abitanti, insieme al fatto che i governanti locali erano<br />

rimasti al loro posto, consentì lo sfruttamento delle terre coltivabili, come abbiamo<br />

visto, senza gravi <strong>di</strong>fficoltà. Il sorgere del comunismo, dopo la Prima Guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale, portò gli Indocinesi che stu<strong>di</strong>avano in Francia a contatto con la nuova<br />

ideologia. Fra questi vi era un giovane, <strong>di</strong> nome Ho-Ci-Min.<br />

Ma, il 2 settembre 1939, scoppiò la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, e nel maggio<br />

successivo, la Francia fu sconfitta dalle forze t<strong>ed</strong>esche e dovette chi<strong>ed</strong>ere un<br />

armistizio. Il Giappone, che cercava <strong>di</strong> bloccare i rifornimenti anglo-americani<br />

all’esercito nazionalista cinese, attraverso il porto <strong>di</strong> Hai-Phong, e voleva<br />

sconfiggerlo nello Yunnan con un attacco alle spalle, domandò al nuovo governo<br />

<strong>fra</strong>ncese il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> passaggio attraverso il Vietnam del Nord. Mentre le trattative<br />

proc<strong>ed</strong>evano a Vichy, il 22 settembre 1940, i Giapponesi attaccarono, bombardando<br />

le forze <strong>fra</strong>ncesi lungo il confine e sbarcando ad Hai-Phong.<br />

La Francia dovette acconsentire allo stazionamento <strong>di</strong> truppe giapponesi nel<br />

Vietnam del Nord, ma nel <strong>fra</strong>ttempo, il Siam, che riven<strong>di</strong>cava da tempo una parte dei<br />

territori cambogiani abitati da un’etnia Thai - la stessa che viveva nel suo territorio,<br />

<strong>ed</strong> aveva appunto spinto il Siam a mutare nome in Thailan<strong>di</strong>a nel 1939, per<br />

evidenziare le sue riven<strong>di</strong>cazioni - si alleò al Giappone. La sconfitta <strong>fra</strong>ncese in<br />

Europa, e l’avvento del debole governo <strong>di</strong> Vichy aveva imbaldanzito questa nazione,<br />

315


che invase il territorio cambogiano il 14 novembre 1940, malgrado avesse firmato<br />

con la Francia un Patto <strong>di</strong> non Aggressione il 12 giugno prec<strong>ed</strong>ente.<br />

La reazione <strong>fra</strong>ncese fu decisa: il 17 gennaio 1941, la <strong>di</strong>visione navale<br />

dell’Estremo <strong>Oriente</strong>, al comando del Capitano <strong>di</strong> Vascello Berenger, “sorprese e<br />

<strong>di</strong>strusse, nella baia <strong>di</strong> Koh-Chang due guardacoste corazzati e tre torp<strong>ed</strong>iniere” 453 .<br />

Visto che anche su terra i Francesi stavano avendo successo con la loro<br />

controffensiva, il Giappone intervenne e spinse le parti ad un accordo <strong>di</strong> pace l’11<br />

marzo 1941, nel quale la Francia dovette “c<strong>ed</strong>ere alla Thailan<strong>di</strong>a tre provincie in<br />

Cambogia e due provincie nel Laos” 454 .<br />

Un secondo, più massiccio attacco giapponese ebbe luogo il 9 marzo 1945,<br />

quando il governo <strong>fra</strong>ncese, presi<strong>ed</strong>uto dal generale De Gaulle, <strong>di</strong>chiarò guerra<br />

all’Asse. Rapidamente, i Giapponesi proc<strong>ed</strong>ettero alla conquista dell’Indocina, e<br />

decapitarono sia il generale Lemonnier sia il governatore Auphelle; l’11 marzo<br />

successivo essi costrinsero quin<strong>di</strong> l’imperatore dell’Annam a “proclamare la fine del<br />

protettorato <strong>fra</strong>ncese e l’in<strong>di</strong>pendenza del suo paese sotto la protezione<br />

giapponese” 455 . Nel <strong>fra</strong>ttempo, dal luglio 1944, guerriglieri indocinesi, i cosiddetti<br />

Viet Minh, avevano cominciato ad operare contro i Giapponesi nelle zone più remote<br />

del Vietnam del Nord e nello Yunnan, agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Ho-Chi-Min e <strong>di</strong> un giovane<br />

militare <strong>di</strong> talento, Vo-Nguyen Giap.<br />

“Il giorno della vittoria contro il Giappone, i Viet Minh erano l’unico gruppo <strong>di</strong><br />

una certa consistenza nel Viet-Nam che potesse sfruttare il vuoto <strong>di</strong> potere esistente<br />

453 C. FARRÈRE. Histoire de la Marine Française. Ed. Flammarion, 1956, pag. 404.<br />

454 B. B. FALL. Dall’Indocina al Vietnam: Storia <strong>di</strong> due Guerre. Ed. Sugar, 1968, pag. 17.<br />

455 Ibid. pag. 20.<br />

316


nella zona. I Cinesi nazionalisti, entrati dallo Yunnan, non solo non ricuperarono dal<br />

Viet Minh le numerose <strong>ed</strong> eccellenti armi giapponesi, ma vendettero loro ingenti<br />

quantitativi delle loro armi americane” 456 .<br />

Così, quando la Francia occupò <strong>di</strong> nuovo l’Indocina, nel <strong>di</strong>cembre 1946, si trovò a<br />

dover combattere contro un nemico molto forte e sfuggente, che rifiutava gli scontri<br />

in campo aperto e moltiplicava gli attacchi contro avamposti e colonne isolate. La<br />

vittoria dei comunisti in Cina consentì ai Viet Minh un appoggio sicuro, ma con la<br />

fine della guerra <strong>di</strong> Corea fu chiaro che la Francia avrebbe dovuto sostenere da sola<br />

un peso insopportabile. La resa <strong>di</strong> Diem Bien Phu, nel marzo 1954 fu quin<strong>di</strong> solo una<br />

trag<strong>ed</strong>ia annunciata.<br />

La cessazione del fuoco, negoziata a Ginevra il 20 luglio 1954, pose le basi per<br />

un’Indocina <strong>di</strong>visa in quattro stati in<strong>di</strong>pendenti, rispettivamente il Laos, la Cambogia,<br />

il Viet Nam del Nord <strong>ed</strong> il Viet Nam del Sud, <strong>di</strong>visi dal confine che correva lungo il<br />

17° parallelo. In quest’ultimo paese, che comprendeva la Cocincina <strong>ed</strong> una parte<br />

dell’Annam, trovarono rifugio, con un esodo biblico, i cattolici del Tonchino, insieme<br />

a tutti coloro che volevano sfuggire al regime comunista.<br />

Erano state poste le premesse per la Seconda Guerra d’Indocina, e questa volta<br />

sarebbe toccato agli Stati Uniti combatterla. La decisione <strong>di</strong> fronteggiare <strong>di</strong>rettamente<br />

i comunisti, appoggiati dai guerriglieri del Sud, denominati Viet Cong, fu un errore<br />

strategico, che costrinse gli USA a <strong>di</strong>spiegare fino a 500.000 soldati, relegando in<br />

compiti secondari le forze del Viet Nam del Sud. Quando fu chiaro che non vi era<br />

456 Ibid. pgg. 21-22.<br />

317


speranza <strong>di</strong> un rapido successo, e gli Americani si ritirarono, il Viet Nam del Sud<br />

resistette per due soli anni, e fu occupato dal Nord.<br />

Anche questa volta l’esodo fu massiccio, <strong>ed</strong> ebbe luogo, questa volta, via mare. I<br />

cosiddetti “Boat People” furono raccolti da navi occidentali, comprese tre italiane,<br />

<strong>di</strong>slocate nel golfo <strong>di</strong> Thailan<strong>di</strong>a nel 1979, e si <strong>di</strong>stribuirono <strong>fra</strong> Stati Uniti <strong>ed</strong><br />

Australia, con piccoli gruppi che rimasero in Malesia, Indonesia <strong>ed</strong> Europa.<br />

L’abbandono, da parte occidentale, dell’Indocina causò una serie <strong>di</strong> violenti<br />

traumi, tra i quali un breve ma duro scontro <strong>di</strong> frontiera <strong>fra</strong> Cina e Viet Nam, seguito<br />

dall’avvento <strong>di</strong> un regime comunista in Cambogia, le cui crudeltà spinsero lo stesso<br />

Viet Nam ad intervenire.<br />

Ci sono voluti quasi vent’anni, prima <strong>di</strong> v<strong>ed</strong>ere la ripresa dei colloqui del Viet<br />

Nam con l’<strong>Occidente</strong>, e la ripresa degli scambi commerciali. Oggi, dopo notevoli<br />

aiuti economici occidentali, il Viet Nam è rifiorito; il paese è una meta turistica<br />

ambita <strong>ed</strong> i rapporti sono positivi. La produzione del caucciù è in ripresa, <strong>ed</strong> il paese,<br />

sulla scia della Cina, si è inserito positivamente nel contesto internazionale.<br />

Vi sono quin<strong>di</strong> motivi per sperare che l’Indocina costituisca un elemento <strong>di</strong><br />

stabilità nell’area asiatica sud-orientale. Nei confronti dell’Italia, il Viet Nam ha un<br />

motivo <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne, avendo il nostro paese creato un collegamento informale,<br />

durante la Seconda Guerra d’Indocina, <strong>fra</strong> il Nord e gli Stati Uniti, il che permise<br />

l’avvio della trattativa, poi conclusa con l’accordo del 1972. Per questo, nonché per<br />

gli aiuti economici forniti, il Viet Nam non ha posto ostacoli all’invio in Italia dei<br />

parenti <strong>di</strong> quei rifugiati che da noi avevano trovato asilo, nel 1979.<br />

318


Ma qual è il ruolo dell’Indocina? La penisola mantiene il non invi<strong>di</strong>abile ruolo <strong>di</strong><br />

cuscinetto tra la Cina e l’In<strong>di</strong>a, da una parte, e tra la stessa Cina <strong>ed</strong> i paesi del Sud-Est<br />

asiatico, con le Filippine e l’Indonesia dall’altra. Al momento, questo è l’aspetto più<br />

delicato, in quanto il contenzioso maggiore in atto nell’area v<strong>ed</strong>e i due ultimi paesi,<br />

insieme al Viet Nam, cercare <strong>di</strong> opporsi all’occupazione strisciante delle isole<br />

Spratley e Paracel, equi<strong>di</strong>stanti <strong>fra</strong> i quattro contendenti e ricche <strong>di</strong> idrocarburi sul<br />

fondo marino.<br />

Oltre a questo, il Viet Nam si trova il problema del Golfo del Tonchino, le cui<br />

zone economiche esclusive non sono ancora sud<strong>di</strong>vise <strong>fra</strong> i due paesi, visto che i<br />

rispettivi punti <strong>di</strong> vista sono profondamente <strong>di</strong>versi. Dire che l’appoggio occidentale<br />

potrebbe aiutare il più piccolo dei contendenti significa azzardare una previsione,<br />

senza molte probabilità che essa si avveri: l’<strong>Occidente</strong> ha puntato troppo sulla Cina<br />

per non appoggiare la sua ricerca <strong>di</strong> fonti energetiche a basso costo e, soprattutto,<br />

proprie. La paura del “Pericolo Giallo” è rimasta nelle opinioni pubbliche<br />

occidentali, e nessuno vorrebbe v<strong>ed</strong>ere un’altra fiumana <strong>di</strong> Cinesi cercare<br />

<strong>di</strong>speratamente lavoro da noi, e se il Viet Nam rimarrà privo <strong>di</strong> petrolio proprio,<br />

pazienza!<br />

d)-Il pianeta In<strong>di</strong>a<br />

Fra tutte le potenze emergenti, l’In<strong>di</strong>a è la nazione più giovane, malgrado la sua<br />

storia plurimillenaria e la sfaccettata civiltà. Dominata per secoli dai Mogul<br />

mussulmani, poi a lungo contesa <strong>fra</strong> Francia e Gran Bretagna, l’In<strong>di</strong>a, o meglio il<br />

319


sub-continente in<strong>di</strong>ano, si trovò, subito dopo la Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, in pieno<br />

processo d’in<strong>di</strong>pendenza, dato l’impoverimento della Gran Bretagna, sfinita dalla<br />

guerra e desiderosa <strong>di</strong> liberarsi dell’impero coloniale, tutto in ebollizione.<br />

Per questi motivi, il paese fu fatto nascere in fretta, il 15 agosto 1947, oltretutto<br />

m<strong>ed</strong>iante una spartizione in due nazioni, In<strong>di</strong>a e Pakistan. Quest’ultima era stata<br />

voluta da Alì Jinnah, capo della componente mussulmana, quella storicamente più<br />

f<strong>ed</strong>ele ai colonizzatori britannici. La spartizione, peraltro, provocò migrazioni <strong>di</strong><br />

massa <strong>ed</strong> una vera e propria carneficina, un contenzioso neanche troppo latente <strong>fra</strong> le<br />

due maggiori comunità religiose, che esplode perio<strong>di</strong>camente in violenze senza pari,<br />

nonché tre guerre <strong>fra</strong> vicini, la prima delle quali imm<strong>ed</strong>iatamente dopo<br />

l’in<strong>di</strong>pendenza.<br />

Il modo nel quale l’In<strong>di</strong>a riuscì ad affermare la sua sovranità sui principati, molti<br />

dei quali mussulmani che governavano popolazioni indù è un altro esempio<br />

interessante. Fin dall’inizio, il governo <strong>di</strong>chiarò che “noi gestiremo la questione. I<br />

Principi sono nostri e ce la v<strong>ed</strong>remo con loro” 457 . Il compromesso che fu trovato fu:<br />

“se i governanti accetteranno che, per quanto riguarda la <strong>di</strong>fesa, gli affari esteri e la<br />

comunicazione essi si affideranno all’Unione In<strong>di</strong>ana, allora i loro <strong>di</strong>ritti rimanenti<br />

saranno protetti, e le loro ren<strong>di</strong>te rimarranno inviolate” 458 .<br />

Oltre al Kashmir, che <strong>di</strong>chiarò la sua in<strong>di</strong>pendenza, scatenando la prima guerra<br />

indo-pakistana, anche il Nizam <strong>di</strong> Hyderabad, nel Deccan, fece la stessa mossa, e<br />

“cercò <strong>di</strong> <strong>di</strong>fenderla mettendo insieme un esercito irregolare formato da membri<br />

457 P. ZIEGLER. Mountbatten. Ed. Harper &Row, 1986, pag. 405.<br />

458 Ibid. pag. 406.<br />

320


dell’aristocrazia mussulmana. Il suo sogno era però destinato a non realizzarsi, poiché<br />

il suo principato era completamente circondato da territorio in<strong>di</strong>ano e la stragrande<br />

maggioranza dei sud<strong>di</strong>ti era <strong>di</strong> religione indù. Inoltre il suo esercito si rivelò<br />

totalmente inefficiente e non fu neanche in grado <strong>di</strong> soffocare la rivolta scoppiata nel<br />

Telengana. Nel settembre 1948 l’esercito in<strong>di</strong>ano marciò dunque sullo stato, ponendo<br />

fine alla <strong>di</strong>nastia bicentenaria del Nizam e <strong>di</strong>struggendo con essa l’unico luogo<br />

dell’intero Deccan in cui si patrocinavano la cultura e gli stu<strong>di</strong> islamici” 459 .<br />

Per tutte le sue vulnerabilità, evidenti fin dall’inizio della sua storia unitaria, e<br />

malgrado sia generalmente considerata una “potenza emergente”, l’In<strong>di</strong>a rimane<br />

sostanzialmente un esperimento <strong>di</strong> creazione <strong>di</strong> una entità statale, dalle ceneri <strong>di</strong> una<br />

serie <strong>di</strong> potentati rimasti per secoli separati, compiuto dalla congiunzione astrale <strong>fra</strong><br />

l’empirismo britannico <strong>ed</strong> una classe <strong>di</strong>rigente locale, peraltro <strong>di</strong> assoluto livello, la<br />

cui prima generazione fu forgiata dalla lotta politica in<strong>di</strong>pendentista, e quin<strong>di</strong> era<br />

portata ad un approccio idealistico, ben personificato dalla splen<strong>di</strong>da figura morale<br />

del Mahatma Ghan<strong>di</strong>.<br />

Le cifre, infatti, sono impietose: la superficie dello stato è pari a 3,3 milioni <strong>di</strong><br />

km², e la popolazione ha raggiunto 1.15 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> abitanti; poiché i vari tentativi <strong>di</strong><br />

controllo delle nascite, fatti dal governo, sono falliti, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto è<br />

avvenuto in Cina, la popolazione cresce del 1,38% l’anno, vale a <strong>di</strong>re che ogni anno<br />

bisognerebbe creare 15 milioni <strong>di</strong> posti <strong>di</strong> lavoro in più.<br />

459 B.D. e T.R. METCALF. Storia dell’In<strong>di</strong>a moderna. Ed. Mondadori, 2004, pag. 199.<br />

321


La popolazione, infatti, è molto giovane, data l’aspettativa <strong>di</strong> vita m<strong>ed</strong>ia pari a<br />

24,9 anni, per cui oltre la metà della popolazione ha meno <strong>di</strong> 25 anni. Questo, se da<br />

un lato è un vantaggio, visto che i giovani “per definizione sono i più adatti a recepire<br />

le innovazioni e a inserirsi nel flusso della globalizzazione attraverso una visione del<br />

futuro <strong>di</strong> ampio respiro” 460 , dall’altro è un noto fattore <strong>di</strong> instabilità interna.<br />

Sul piano della scolarizzazione, il 65% circa degli In<strong>di</strong>ani sa leggere e scrivere,<br />

risultato che è già un miracolo, rispetto al passato. Le <strong>Università</strong> sfornano ogni anno<br />

quasi un milione <strong>di</strong> laureati, ma la percentuale <strong>di</strong> accesso alle scuole superiori è<br />

ancora del 10%, rispetto al totale della popolazione.<br />

Le religioni prevalenti sono l’induismo, praticato dall’85% della popolazione, e<br />

l’islamismo, praticato dal 13,43%. Questo significa che in In<strong>di</strong>a vi sono altrettanti<br />

mussulmani che in Pakistan, e rende l’idea <strong>di</strong> quanto la scissione sia stata un vano<br />

tentativo <strong>di</strong> separare gli uni dagli altri.<br />

La <strong>di</strong>visione in caste, e le <strong>di</strong>seguaglianze economiche sono un altro problema<br />

dell’In<strong>di</strong>a, visto che da un lato vi sono circa 299 milioni <strong>di</strong> persone con r<strong>ed</strong><strong>di</strong>to<br />

m<strong>ed</strong>io-alto, mentre “il 63% degli in<strong>di</strong>ani continua a vivere con circa tre dollari al<br />

giorno mentre il 18% in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> totale miseria” 461 . Se è vero, come è vero<br />

che “è soprattutto l’ineguale <strong>di</strong>stribuzione dei benefici della <strong>di</strong>rompente crescita<br />

economica l’elemento che con<strong>di</strong>ziona maggiormente gli equilibri socio-politici del<br />

paese” 462 , bisogna anche ammettere che, in termini assoluti, l’In<strong>di</strong>a è ancora la<br />

460 G. LIZZA. Op. cit. pag. 135<br />

461 Ibid. pag. 132, nota 26.<br />

462 Ibid. pag. 132.<br />

322


do<strong>di</strong>cesima potenza economica mon<strong>di</strong>ale, molto al <strong>di</strong> sotto dell’Italia in termini <strong>di</strong><br />

PIL, e quin<strong>di</strong> vi è ancora poco da <strong>di</strong>stribuire.<br />

Malgrado questa povertà e <strong>di</strong>suguaglianza sociale - una situazione che avrebbe<br />

portato qualsiasi altro paese a cadere in pr<strong>ed</strong>a a violente convulsioni interne - in<br />

In<strong>di</strong>a, invece, non vi sono stati finora tumulti o violenze per questo motivo, tanto che,<br />

spesso, chi la vuole destabilizzare deve importare attentatori dall’estero. L’attentato<br />

<strong>di</strong> Mumbai, infatti, ci ha in<strong>di</strong>cato proprio questo, dato che non sarebbe opportuno<br />

trascurare.<br />

Se a questo si aggiunge che le in<strong>fra</strong>strutture sono migliorate poco dai tempi del<br />

colonialismo, e sicuramente sono ora terribilmente in<strong>di</strong>etro rispetto alle esigente <strong>di</strong><br />

uno sviluppo economico basato sull’alta tecnologia (High Tech), il fatto che questo<br />

settore occupi un milione <strong>di</strong> addetti mostra l’ingegnosità e l’adattabilità degli In<strong>di</strong>ani,<br />

capaci <strong>di</strong> ottenere risultati brillanti, malgrado le <strong>di</strong>fficili con<strong>di</strong>zioni al contorno.<br />

Oltretutto, sono già due le megalopoli, quelle per intenderci con più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci milioni<br />

<strong>di</strong> abitanti, e quin<strong>di</strong> per definizione possibili focolai <strong>di</strong> epidemie e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni.<br />

Quin<strong>di</strong>, da una parte si finisce per rimanere scettici per tanto entusiasmo nei<br />

confronti dell’In<strong>di</strong>a come potenza mon<strong>di</strong>ale, tanto che è stato correttamente coniato<br />

per l’In<strong>di</strong>a il termine <strong>di</strong> “grande potenza povera, contrad<strong>di</strong>zione in termini che non si<br />

riesce ad inserire nei consueti schemi geopolitici e che consiglia prudenza quando si<br />

parla con ottimismo del futuro del paese” 463 .<br />

463 Ibid. pag. 134.<br />

323


Guardando però l’altra faccia della m<strong>ed</strong>aglia, si notano cose altrettanto<br />

interessanti. Anzitutto, le capacità <strong>di</strong> gestire le situazioni, da parte dello stato, sono<br />

aumentate, malgrado la corruzione sia rampante. Chi abbia visitato l’In<strong>di</strong>a trent’anni<br />

e più orsono non può evitare, ritornando oggi, <strong>di</strong> meravigliarsi per gli enormi<br />

progressi compiuti. Anche se questo progresso non tocca un numero elevato <strong>di</strong><br />

persone, e può sembrare come l’opera <strong>di</strong> chi tenti <strong>di</strong> vuotare il mare con una<br />

conchiglia, pur tuttavia è comunque percepibile da tutti, ricchi e poveri, e la maggiore<br />

percentuale <strong>di</strong> scolarità consente a sempre più gente <strong>di</strong> sperare, grazie all’impegno e<br />

al lavoro, in una vita migliore.<br />

Quello che, in particolare, rende meno pessimisti è l’enfasi che viene data<br />

all’insegnamento delle materie scientifiche, e non da oggi: il programma nucleare è il<br />

figlio del Centro Stu<strong>di</strong> che fu costituito a Poona negli anni ’60, e gli esperti <strong>di</strong><br />

software sono i <strong>fra</strong>telli minori degli Hackers che, già anni fa, pullulavano nel paese,<br />

<strong>ed</strong> oggi sono ben inquadrati nelle industrie <strong>di</strong> Software, del quale provano<br />

l’affidabilità. Certo, il paese ha ancora bisogno <strong>di</strong> importare tecnologia, ma è ormai in<br />

grado <strong>di</strong> sfruttare bene il “know-how” che esso acquista, a prezzi elevati. Si<br />

comprende ora per quale motivo gli In<strong>di</strong>ani siano profondamente orgogliosi del loro<br />

paese, e lo spingano avanti nella strada del progresso.<br />

In definitiva, il quadro <strong>di</strong> situazione è un insieme <strong>di</strong> luci <strong>ed</strong> ombre, con al centro<br />

un popolo che possi<strong>ed</strong>e qualità collettive non comuni. Si resta tentati <strong>di</strong> prev<strong>ed</strong>ere che<br />

il livello collettivo <strong>di</strong> sopportazione delle <strong>di</strong>fficoltà terribili, frutto senza dubbio <strong>di</strong> un<br />

324


livello etico <strong>di</strong>ffusamente elevato, durerà ancora per un tempo sufficiente a far uscire<br />

definitivamente il paese da questa situazione.<br />

Anche sul piano della politica internazionale, l’In<strong>di</strong>a ha saputo conquistarsi una<br />

fama che, se pure non attira il consenso <strong>di</strong> quanti l’accusano <strong>di</strong> compiere troppi<br />

voltafaccia (swing politics), pure la rende degna <strong>di</strong> rispetto, in quanto non ha mai<br />

superato la soglia del fattibile, anche nei numerosi contenziosi che essa ha dovuto<br />

affrontare finora.<br />

Iniziamo dalla questione dei rapporti con il Pakistan. Il problema del Kashmir,<br />

causa <strong>di</strong> tre guerre, è ora gestito in modo duttile, senza esagerare nei confronti <strong>di</strong> un<br />

interlocutore <strong>di</strong>sperato, per i problemi interni che non riesce a gestire. Il rapporto con<br />

la Cina, inoltre, altra causa <strong>di</strong> guerre in passato, è relativamente migliorato; è vero<br />

che l’In<strong>di</strong>a possi<strong>ed</strong>e le chiavi della situazione in Tibet, ospitando il Dalai Lama e<br />

parte della popolazione <strong>di</strong> quel paese, e quin<strong>di</strong>, inviando a perio<strong>di</strong> alterni<br />

finanziamenti e – forse – armi, può con<strong>di</strong>zionare il potente vicino, ma la ricerca <strong>di</strong> un<br />

modus viven<strong>di</strong> ha ridotto <strong>di</strong> molto la tensione alle frontiere cinesi. Anche il modo nel<br />

quale essa ha pilotato il cambio istituzionale nel Nepal è un in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> profonda<br />

maturità.<br />

Inoltre, pur avendo nel suo meri<strong>di</strong>one una cospicua fetta della popolazione <strong>di</strong> etnia<br />

Tamil, l’In<strong>di</strong>a sta reagendo con flemma britannica la repressione del governo dello<br />

Sri Lanka contro quella parte della popolazione appartenente alla stessa etnia. In<br />

questa capacità <strong>di</strong> gestire il nazionalismo acceso <strong>di</strong> una parte della sua popolazione<br />

325


isi<strong>ed</strong>e un’altra grande qualità dell’In<strong>di</strong>a, che sembra aver recuperato, almeno in<br />

parte, i valori del Mahatma Ghan<strong>di</strong>.<br />

La sua forza militare, anche se non è nemmeno paragonabile a quella cinese, è<br />

tuttavia rimarchevole. Non sono solo i missili a testata nucleare a farne una potenza<br />

regionale; questi casomai, rispondono ad una strategia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssuasione, simile al<br />

concetto gollista del “on va lui arracher un bras” (gli strapperemo un braccio, anche<br />

se ci <strong>di</strong>struggono). Il punto <strong>di</strong> forza, in campo militare è uno strumento militare nel<br />

complesso ben bilanciato, con una Marina in grado <strong>di</strong> controllare l’area dell’oceano<br />

In<strong>di</strong>ano più prossima alle sue coste, dove le attività marittime v<strong>ed</strong>ono impegnato un<br />

gran numero <strong>di</strong> operatori economici, un Esercito che sa <strong>di</strong>fendere le frontiere con<br />

onore, oltre a costituire una sicurezza per il mantenimento dell’or<strong>di</strong>ne interno, <strong>ed</strong><br />

un’Aeronautica adeguata <strong>ed</strong> efficace, anche se non modernissima.<br />

L’In<strong>di</strong>a, poi, ha acquisito un’esperienza sufficiente nella gestione delle crisi<br />

oltremare, grazie all’esperienza nelle missioni <strong>di</strong> pace dell’ONU, alle cui missioni<br />

partecipa con dei contingenti non certo <strong>di</strong>sprezzabili.<br />

In definitiva, l’In<strong>di</strong>a è un miracolo <strong>di</strong> equilibrio, sia nel gestire le sue complesse<br />

situazioni interne, sia nei rapporti con i turbolenti vicini. Oltre ad essere un esempio<br />

per gli altri stati, che versano in situazioni altrettanto <strong>di</strong>fficili, l’In<strong>di</strong>a ha meritato,<br />

nella sua ancor breve vita, un rispetto <strong>ed</strong> un prestigio che lasciano ben sperare, anche<br />

se non è ancora il caso <strong>di</strong> scommettere sulla sua tenuta come nazione.<br />

e)-Gli attuali contenziosi e le prospettive<br />

326


A questo punto, è l’ora <strong>di</strong> tirare le fila <strong>di</strong> questo lungo <strong>di</strong>scorso, anche perché la<br />

cosa più importante è <strong>di</strong> capire come l’<strong>Oriente</strong> si comporta con l’<strong>Occidente</strong> e<br />

viceversa, ma anche v<strong>ed</strong>ere come, in un rapporto negoziale, si possono sfruttare le<br />

<strong>di</strong>fficoltà in cui il nostro interlocutore si <strong>di</strong>batte, magari per aiutarlo, in modo da<br />

“guadagnare punti” ai suoi occhi, oppure per contenerlo quando questo è volto in una<br />

<strong>di</strong>rezione che potrebbe essere pericolosa per noi.<br />

Va anche premesso – cosa che noi <strong>di</strong>amo per scontata – che l’approccio italiano in<br />

politica internazionale, da sessant’anni a questa parte, è mirato a cercare sinergie e<br />

collaborazioni, a stabilizzare le aree <strong>di</strong> crisi <strong>ed</strong> a promuovere gli scambi interculturali.<br />

Per questo, anzitutto, bisogna guardare, uno per uno, i contenziosi interni esistenti<br />

in Asia, e v<strong>ed</strong>ere quali possibilità <strong>di</strong> soluzione o rischi <strong>di</strong> aggravamento esistano.<br />

Iniziamo dal nord, in Siberia, la grande riserva energetica e fonte <strong>di</strong> ricchezze<br />

minerarie per la F<strong>ed</strong>erazione Russa. La <strong>di</strong>minuzione drastica della popolazione, <strong>ed</strong> il<br />

conseguente abbandono <strong>di</strong> molte città, porta a ritenere che tale vuoto possa essere<br />

riempito, come è avvenuto spesso nella storia, da altre popolazioni, spinte dalla<br />

sovrappopolazione dei loro luoghi <strong>di</strong> provenienza e dal bisogno del lavoro.<br />

Questo fenomeno ci fa considerare che la silenziosa invasione <strong>di</strong> cinesi, già in atto<br />

da qualche tempo in quell’enorme area, continuerà per i prossimi anni, con il rischio<br />

che si crei una situazione <strong>di</strong> ulteriore tensione <strong>fra</strong> i due paesi interessati. Va detto<br />

però che l’emigrazione cinese, com’è avvenuto in altre aree, tende normalmente ad<br />

integrarsi, almeno formalmente, nel tessuto statale del paese ospite, pur mantenendo<br />

legami commerciali con la madrepatria.<br />

327


Esiste anche il problema delle aree occidentali della Cina dove, ad esempio,<br />

abitano gli Uiguri, i Kazaki <strong>ed</strong> i Tajiki, tutti <strong>di</strong> religione musulmana. Le Repubbliche<br />

Centro Asiatiche, indubbiamente, assistono questi loro affini, perseguitati, a loro <strong>di</strong>re,<br />

dal governo cinese, che continua a far migrare in queel’area gli Han (Cinesi). Per<br />

questo, come per la questione siberiana, l’esistenza della Shanghai Cooperation<br />

Organization, cui aderiscono, oltre alla Russia <strong>ed</strong> alla Cina, anche le repubbliche<br />

dell’Asia Centrale, è una garanzia che le <strong>di</strong>fferenze verranno risolte in quell’ambito<br />

negoziale.<br />

Viene poi il problema dal cosiddetto AFGPAK, cioè l’insieme costituito da<br />

Afganistan e Pakistan, due paesi che non hanno un confine riconosciuto su base<br />

bilaterale. L’Afganistan, infatti, non può riconoscere l’attuale linea <strong>di</strong>visoria, tracciata<br />

un secolo fa lungo le linee <strong>di</strong> <strong>di</strong>spluvio, e nota come “Linea Durand”, dal nome del<br />

geografo che la in<strong>di</strong>viduò. Ciò in quanto la popolazione <strong>di</strong> etnia Pashtun abita in<br />

amb<strong>ed</strong>ue i lati <strong>di</strong> quella linea.<br />

Pensare all’unione <strong>fra</strong> i due paesi è altrettanto errato, visto il sentimento del<br />

popolo afgano, fiero tutore della sua identità contro i più potenti nemici che hanno<br />

tentato <strong>di</strong> sottometterlo, né tantomeno si può pensare, neanche lontanamente, ad una<br />

spartizione del Pakistan <strong>fra</strong> Iran, In<strong>di</strong>a <strong>ed</strong> Afganistan, per le terribili conseguenze che<br />

ciò avrebbe sul mondo sunnita.<br />

In un caso come questo, l’unica alternativa ad una soluzione d’ingegneria<br />

istituzionale è un accordo <strong>di</strong> collaborazione <strong>fra</strong> nazioni sovrane, ma per giungere ad<br />

un tale punto, è prima necessario che queste si stabilizzino e raggiungano un livello <strong>di</strong><br />

328


enessere almeno migliore <strong>di</strong> quello attuale, grazie all’effetto positivo sulla<br />

popolazione <strong>di</strong> ogni miglioramento relativo, con la speranza <strong>di</strong> ulteriori passi avanti<br />

nel futuro.<br />

Un contenzioso del quale non si parla troppo è quello relativo ai Beluci, che<br />

abitano in un territorio <strong>di</strong>visa <strong>fra</strong> Iran, Pakistan <strong>ed</strong> Afganistan. Con la costruzione <strong>di</strong><br />

gran<strong>di</strong> in<strong>fra</strong>strutture, <strong>fra</strong> cui un porto per il traffico dei containers, il Pakistan sta<br />

<strong>di</strong>mostrando <strong>di</strong> volersi spingere in quella <strong>di</strong>rezione, anche come possibile sfogo alla<br />

sua sovrappopolazione. Questa tendenza non piace, ovviamente, né all’Iran né<br />

tantomeno agli stessi Beluci, il cui in<strong>di</strong>pendentismo è represso dal governo <strong>di</strong><br />

Islamabad.<br />

Viene poi il contiguo conflitto congelato sul Kashmir, che v<strong>ed</strong>e coinvolta, oltre<br />

all’In<strong>di</strong>a e al Pakistan, anche la Cina. La tentazione, anche in questo caso, è quella <strong>di</strong><br />

una spartizione, possibile fonte <strong>di</strong> traumi ancora maggiori <strong>di</strong> quelli attuali. Bisogna<br />

ammettere che non tutti i problemi del mondo si possono risolvere nello spazio <strong>di</strong><br />

una-due generazioni, per cui la situazione attuale <strong>di</strong> tipo armistiziale è, forse, l’unica<br />

possibilità <strong>di</strong> evitare ulteriori conflitti, sanguinosi e rovinosi per le finanze <strong>di</strong> stati già<br />

indebitati fino all’osso.<br />

Si deve quin<strong>di</strong> passare al problema del confine tra In<strong>di</strong>a e Cina. Non si tratta solo<br />

dell’Arunachal Pradesh, ma anche dello stesso Tibet, la cui popolazione guarda più<br />

verso l’In<strong>di</strong>a che verso la Cina, anche se la massiccia immigrazione <strong>di</strong> Cinesi Han in<br />

Tibet ha <strong>di</strong> molto alterato gli equilibri etnici. Qui, come nel Kashmir, la linea<br />

armistiziale è il male minore: un’altra guerra tra i due contendenti può solo risolversi<br />

329


in un’altra sconfitta per l’In<strong>di</strong>a, con la conseguenza <strong>di</strong> uno stato <strong>di</strong> tensione ancora<br />

maggiore <strong>di</strong> quello attuale, e con la rovina economica <strong>di</strong> due paesi che si stanno<br />

affacciando, pur con enormi <strong>di</strong>fficoltà e limitazioni, al novero delle potenze mon<strong>di</strong>ali.<br />

Ancora, esiste la spinosissima questione delle due Coree, complicata dal possesso,<br />

da parte della Corea del Nord, <strong>di</strong> razzi – sarebbe troppo chiamarli missili – a lunga<br />

gittata, nonché dalla volontà <strong>di</strong> questo paese <strong>di</strong> dotarsi <strong>di</strong> un’arma nucleare, come<br />

garanzia <strong>di</strong> sopravvivenza. Fortunatamente, la Cina sta svolgendo una funzione<br />

moderatrice veramente preziosa, e si spera che, nel tempo, il problema delle due<br />

Coree <strong>di</strong>venti, quanto meno, gestibile in modo pacifico.<br />

Solo però un deciso miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> benessere <strong>di</strong> quella<br />

popolazione può evitare un rischio <strong>di</strong> tumulti e d’implosione <strong>di</strong> quello stato, l’unica<br />

monarchia er<strong>ed</strong>itaria <strong>di</strong> tipo comunista.<br />

Non si potrebbe, inoltre, <strong>di</strong>menticare l’Iran <strong>ed</strong> i suoi tentativi <strong>di</strong> sviare l’attenzione<br />

del suo popolo dai problemi interni, concentrandola sul contenzioso internazionale.<br />

Le prossime elezioni dovrebbero dare un’in<strong>di</strong>cazione della <strong>di</strong>rezione che quel popolo<br />

e la sua leadership intendono prendere; quello che manca è la consapevolezza degli<br />

effetti destabilizzanti della questione nucleare sui paesi confinanti, inclusi quelli del<br />

Golfo, Arabia Sau<strong>di</strong>ta in testa. Sorge infatti il sospetto che l’Iran abbia più paura<br />

della “bomba sunnita” che il Pakistan possi<strong>ed</strong>e, piuttosto che <strong>di</strong> quelle israeliane.<br />

Passando dalla terra al mare, si nota che i contenziosi non sono meno numerosi:<br />

Anzitutto vi è la questione delle isole Curili, <strong>fra</strong> Russia e Giappone. Le isole sono<br />

<strong>di</strong>vise <strong>fra</strong> le due nazioni, ma abitate da Giapponesi. L’attuale negoziato bilaterale in<br />

330


corso è un filo <strong>di</strong> speranza in una <strong>di</strong>sputa che si trascina ormai da decenni,<br />

conseguenza delle Seconda Guerra mon<strong>di</strong>ale, i cui effetti ormai dovrebbero cessare.<br />

Fra la Cina <strong>ed</strong> il Giappone, poi, esiste il contenzioso sugli isolotti Senkaku e<br />

Diaouyutai, vicini alla catena delle isole Ryu Kyu, <strong>di</strong>sputa che potrebbe trovare una<br />

soluzione a breve, grazie alla proposta cinese <strong>di</strong> collaborazione bilaterale per lo<br />

sfruttamento del fondo marino; invece quella, ben più grave, <strong>di</strong> Formosa/Taiwan è un<br />

problema senza alcuna possibilità <strong>di</strong> soluzioni imposte dall’esterno.<br />

Passando più a Sud, esiste il già ricordato problema delle Spratley e Paracel, dove<br />

però la Cina ha già fatto la parte del leone, e gli altri paesi che avanzano<br />

riven<strong>di</strong>cazioni non hanno la forza per opporsi ad un tale colpo <strong>di</strong> mano. Su questo<br />

argomento, l’ASEAN sta tentando una conciliazione, e si spera che questa strada sia<br />

coronata da successo.<br />

Viene quin<strong>di</strong> la questione <strong>di</strong> Mindanao, capace <strong>di</strong> guastare le relazioni tra<br />

l’Indonesia, che guarda con simpatia al movimento in<strong>di</strong>pendentista, e Filippine, che<br />

non hanno nessuna voglia <strong>di</strong> perdere quell’isola, la seconda dell’arcipelago per<br />

grandezza, dove ormai la maggioranza degli abitanti è costituita da cristiani; dove<br />

invece una soluzione è stata trovata nella collaborazione regionale è lo Stretto <strong>di</strong><br />

Malacca, attualmente sorvegliato dagli stati litoranei, in buona sinergia.<br />

Ma tutti questi problemi sono nulla <strong>di</strong> fronte alle tensioni interne alla galassia<br />

islamica, profondamente <strong>di</strong>visa <strong>fra</strong> stati sunniti e stati sciiti, <strong>fra</strong> nazioni laiche e<br />

nazioni fondamentaliste. In questa complicata situazione, va purtroppo notato che,<br />

all’interno <strong>di</strong> quella galassia, vi sono componenti non trascurabili, anche se<br />

331


tra<strong>di</strong>zionaliste e reazionarie, che v<strong>ed</strong>ono l’<strong>Occidente</strong> come un vero nemico, che sta<br />

<strong>di</strong>struggendo la loro civiltà <strong>ed</strong> i loro valori con il sistema della “Coca Cola<br />

civilization”.<br />

Bisogna continuare a proteggere i nostri alleati <strong>di</strong> fatto – i regimi laici – e<br />

<strong>di</strong>fendersi dagli eccessi <strong>di</strong> ostilità nei nostri confronti, in modo fermo ma senza<br />

eccessi. Comunque, il rischio <strong>di</strong> un’implosione <strong>di</strong> questa complicata galassia è tale<br />

che tutto l’<strong>Occidente</strong> si sta impegnando per scongiurare un tale pericolo. Questa è la<br />

sfida maggiore per l’<strong>Occidente</strong>, nei prossimi <strong>di</strong>eci-venti anni.<br />

I principali nostri <strong>di</strong>fetti, nei confronti dell’<strong>Oriente</strong>, sono il nostro approccio<br />

mercantilista e la scarsa attenzione vuoi verso la storia e le tra<strong>di</strong>zioni, due aspetti<br />

essenziali per ognuno dei nostri interlocutori, vuoi verso le formalità. Con gli Arabi,<br />

ad esempio, non si deve parlare con gli occhiali da sole sul naso, né mostrar loro le<br />

suole delle scarpe; con i Giapponesi è necessaria una riservatezza e bisogna mostrare<br />

loro il rispetto, oltre a capire quando vogliono essere gentili, con i loro piccoli gesti<br />

che noi non siamo abituati a percepire, e così via.<br />

In definitiva, bisogna conoscere le loro tra<strong>di</strong>zioni <strong>ed</strong> il loro galateo, per andare<br />

d’accordo con loro <strong>ed</strong> essere rispettati. Infine, un miglioramento dei rapporti con<br />

l’<strong>Oriente</strong> è con<strong>di</strong>zionato dall’abbandono, da parte occidentale, degli eccessi<br />

mercantilistici che hanno caratterizzato i comportamenti seguiti finora. Se non si<br />

temperano questi eccessi, c’è il rischio <strong>di</strong> una situazione <strong>di</strong> confronto permanente,<br />

con la fine dell’attuale livello <strong>di</strong> interscambi, una iattura per il nostro livello <strong>di</strong> vita<br />

che dobbiamo a tutti i costi evitare.<br />

332

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!