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La semiotica <strong>di</strong> Algirdas Julien Greimas<br />

1. La vita e le opere <strong>di</strong> Greimas<br />

Greimas nasce nel 1917 a Tula, in Russia, da genitori lituani. Si laurea in lettere a Grenoble nel<br />

1939, si trasferisce definitivamente in Francia nel 1944 e nel 1948 ottiene la libera docenza alla<br />

Sorbona. Dal 1949 al 1958 è lettore presso la facoltà <strong>di</strong> lettere dell’università <strong>di</strong> Alessandria<br />

d’Egitto; poi, fino al 1962, è professore <strong>di</strong> lingua e <strong>di</strong> grammatica francesi presso le università <strong>di</strong><br />

Ankara e <strong>di</strong> Istanbul, in Turchia. Il suo primo campo d’interesse è la lessicologia, presto<br />

abbandonata in favore della semantica. Lo stu<strong>di</strong>o della semantica porta alla redazione del libro<br />

Semantica strutturale [1966]. Il progetto <strong>di</strong> descrivere la semantica delle lingue naturali, tuttavia,<br />

rivela presto limiti insormontab<strong>il</strong>i; per questa ragione Greimas passa gradualmente alla messa a<br />

punto <strong>di</strong> una teoria semiotica <strong>di</strong> più ampio respiro, e a partire dalla fine degli anni Sessanta lavora al<br />

progetto che porterà all’elaborazione della cosiddetta “semiotica generativa”: nel 1970 pubblica Del<br />

senso (saggi <strong>di</strong> semiotica); nel 1983 pubblica Del senso 2, e nel frattempo, nel 1979, pubblica<br />

insieme a Joseph Courtés <strong>il</strong> Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, dal quale risulta<br />

evidente <strong>il</strong> tentativo <strong>di</strong> costruire una teoria semiotica sulla base <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> concetti<br />

interdefiniti. Intorno all’opera <strong>di</strong> Greimas nasce una vera e propria scuola semiotica (École de<br />

Paris), ma va anche ricordato che la figura <strong>di</strong> Greimas è al centro <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> costellazione <strong>di</strong><br />

autori che in varia misura hanno contribuito alla messa a punto della teoria. Per citarne alcuni:<br />

Saussure, Hjelmslev, Benveniste, Tesnière, Brøndal, Martinet, Merleau-Ponty, Duméz<strong>il</strong>, Lévi-<br />

Strauss, Propp, Jakobson, Barthes, ecc.<br />

2. La semantica strutturale<br />

Le con<strong>di</strong>zioni per una semantica scientifica<br />

Nel libro Semantica strutturale del 1966 Greimas intende fondare e sv<strong>il</strong>uppare una metodologia<br />

per descrivere <strong>il</strong> piano del contenuto dei sistemi significanti. Si tratta <strong>di</strong> un lavoro estremamente<br />

importante che costituirà la base per lo sv<strong>il</strong>uppo <strong>di</strong> una teoria semiotica strutturale e generativa. La<br />

semantica si propone <strong>di</strong> descrivere le significazioni <strong>di</strong> una lingua naturale qualsiasi considerata<br />

come un insieme significante. Di <strong>qui</strong> anche i limiti <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o: ogni ricerca relativa alle<br />

significazioni <strong>di</strong> una lingua naturale resta “imprigionata” infatti in quel quadro linguistico, le<br />

descrizioni potendosi effettuare solo attraverso gli strumenti (le parole) della lingua stessa. La<br />

logica ha permesso <strong>di</strong> superare in parte questa <strong>di</strong>fficoltà attraverso la teoria della gerarchia dei<br />

linguaggi; si <strong>di</strong>stinguono pertanto due livelli <strong>di</strong>versi: la lingua-oggetto, che costituisce l’oggetto del<br />

nostro stu<strong>di</strong>o, e <strong>il</strong> metalinguaggio, in cui si collocano gli strumenti linguistici della ricerca<br />

semantica. Riprendendo una <strong>di</strong>stinzione proposta da Hjelmslev, Greimas sostiene che <strong>il</strong><br />

metalinguaggio della teoria deve essere “scientifico”; <strong>il</strong> metalinguaggio non scientifico è “naturale”<br />

come la lingua oggetto che deve descrivere: <strong>il</strong> metalinguaggio della critica pittorica, per esempio, è<br />

non scientifico perché si presenta come un sottoinsieme già presente e integrato nell’insieme


significante della lingua oggetto; <strong>il</strong> metalinguaggio scientifico, invece, è costruito, nel senso che<br />

tutti i termini che lo compongono costituiscono un corpus coerente <strong>di</strong> definizioni. Non<strong>di</strong>meno per<br />

essere <strong>di</strong>ventato tale, <strong>il</strong> metalinguaggio scientifico deve essere stato esaminato a un livello<br />

gerarchico superiore: questo terzo livello è costituito da un meta-metalinguaggio, o linguaggio<br />

metodologico, destinato a definire i concetti descrittivi e a verificarne la coesione interna. Infine al<br />

quarto livello si colloca <strong>il</strong> linguaggio epistemologico, che verifica la soli<strong>di</strong>tà e l’adeguazione del<br />

livello metodologico, nonché le procedure <strong>di</strong> descrizione e <strong>di</strong> scoperta. Pertanto la semantica<br />

scientifica è possib<strong>il</strong>e solo se, per analizzare una lingua-oggetto, si tiene conto contemporaneamente<br />

<strong>di</strong> tre linguaggi posti a tre livelli <strong>di</strong>fferenti: <strong>il</strong> metalinguaggio descrittivo, <strong>il</strong> linguaggio<br />

metodologico, <strong>il</strong> linguaggio epistemologico.<br />

Il sema<br />

Stab<strong>il</strong>ita l’esigenza <strong>di</strong> un metalinguaggio descrittivo, Greimas postula un parallelismo tra i mo<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> organizzazione del piano dell’espressione del linguaggio e i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> organizzazione del piano del<br />

contenuto. Per quanto riguarda <strong>il</strong> piano dell’espressione, la fonologia aveva definito <strong>il</strong> fonema come<br />

classe <strong>di</strong> suoni che possono scambiarsi l’un l’altro senza che ciò produca cambiamenti <strong>di</strong><br />

significato: per esempio in italiano possiamo sostituire [r] (vibrante apicale) con [R] (vibrante<br />

uvulare, la cosiddetta “erre moscia”) in tutti i contesti in cui appaiono, senza che questo produca<br />

cambiamenti del significato. Questo significa che [r] ed [R] sono riconducib<strong>il</strong>i a una stessa classe <strong>di</strong><br />

suoni, cioè al fonema /r/. I fonemi sono entità astratte, nel senso che in<strong>di</strong>cano classi <strong>di</strong> suoni; nessun<br />

parlante emette dei fonemi, ma emette delle realizzazioni concrete (dette varianti o allofoni) del<br />

fonema, cioè appunto [r] oppure [R]. 1 I fonemi si possono identificare me<strong>di</strong>ante la prova <strong>di</strong><br />

commutazione, per esempio commutando in italiano [r] ed [R] ci si accorge che sono varianti<br />

appartenenti a uno stesso fonema (/r/); commutando in italiano [f] e [v] ci si accorge che i due suoni<br />

devono essere ricondotti a due fonemi <strong>di</strong>fferenti: infatti essi sono alla base della variazione <strong>di</strong><br />

significato <strong>di</strong> due parole come fetta e vetta, o come fino e vino. Se in una parola sostituiamo un<br />

suono con un altro e otteniamo un cambiamento <strong>di</strong> significato, allora i due suoni sono riconducib<strong>il</strong>i<br />

a due fonemi <strong>di</strong>versi. Tuttavia analizzando alcune coppie <strong>di</strong> parole – e questo è valido in ogni lingua<br />

– ci si accorge che le <strong>di</strong>fferenze non <strong>di</strong>pendono dai fonemi presi globalmente, ma da entità subfonemiche<br />

più piccole. Per esempio se pren<strong>di</strong>amo la coppia minima seguente:<br />

/kara/ cara – /gara/ gara<br />

e analizziamo i due fonemi che ne determinano la <strong>di</strong>stinzione, cioè /k/ e /g/, avremo una<br />

situazione <strong>di</strong> questo tipo:<br />

/k/ /g/<br />

[occlusivo] [occlusivo]<br />

[velare] [velare]<br />

[sordo] [sonoro] 2<br />

1<br />

Seguendo le convenzioni fonologiche, trascriviamo i fonemi tra barre oblique e gli allofoni, cioè i suoni, tra parentesi<br />

quadre.<br />

2<br />

Il tratto occlusivo riguarda <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> articolazione della consonante e in<strong>di</strong>ca che <strong>il</strong> tipo <strong>di</strong> chiusura che viene opposto<br />

al pas<strong>saggio</strong> dell’aria è totale (altri esempi: [p], [t]). Il tratto velare in<strong>di</strong>ca <strong>il</strong> punto <strong>di</strong> articolazione, cioè <strong>il</strong> luogo del<br />

tratto fonatorio in cui la chiusura viene operata: in questo caso <strong>il</strong> dorso della lingua batte contro <strong>il</strong> cosiddetto palato<br />

molle. I tratti sordo/sonoro <strong>di</strong>pendono dalla posizione delle corde vocali al pas<strong>saggio</strong> dell’aria: se la posizione è aperta e<br />

l’aria passa attraverso la glottide, la consonante è sorda (per es. [k]); se la posizione è chiusa e le corde vocali entrano in<br />

vibrazione, allora la consonante è sonora (per es. [g]).<br />

2


Dal che risulta evidente che i fonemi sono composti da pacchetti <strong>di</strong> tratti, e che la <strong>di</strong>stinzione tra<br />

/k/ e /g/ è dovuta solamente a un tratto, <strong>il</strong> [sordo] opposto al [sonoro]. Questi tratti prendono <strong>il</strong> nome<br />

<strong>di</strong> tratti <strong>di</strong>stintivi. Pertanto i fonemi possono essere analizzati come pacchetti <strong>di</strong> tratti <strong>di</strong>stintivi, o<br />

femi, 3 che sono inferiori al fonema e che si devono combinare tra loro affinché un fonema si possa<br />

realizzare. È importante sottolineare che i tratti <strong>di</strong>stintivi sono ricostruiti dalla teoria, sono categorie<br />

del metalinguaggio teorico, e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> sono unità <strong>di</strong> immanenza non manifestab<strong>il</strong>i in quanto tali. Per<br />

descrivere <strong>il</strong> piano del contenuto dei linguaggi, Greimas segue <strong>il</strong> metodo fonologico: se la fonologia<br />

ha postulato i femi come tratti minimali del piano dell’espressione, la semantica postula i semi come<br />

tratti minimali del piano del contenuto<br />

I semi, o figure semiche, sono dunque gli elementi minimali della significazione: non hanno<br />

nulla <strong>di</strong> sostanziale e si definiscono solo in relazione ad altri semi; essi servono ad analizzare <strong>il</strong><br />

senso che si realizza nella manifestazione e la loro natura è unicamente teorica e metalinguistica.<br />

Avendo i semi una natura esclusivamente relazionale, <strong>il</strong> loro valore si determina sempre all’interno<br />

<strong>di</strong> una categoria semantica, una categoria <strong>di</strong> natura teorica con la quale <strong>il</strong> metalinguaggio tenta <strong>di</strong><br />

descrivere un’articolazione <strong>di</strong> senso ponendo in relazione due semi tra loro contrari. Esempio: per<br />

comprendere la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> senso tra i due termini-oggetto donna/uomo si può tentare una<br />

descrizione in termini semici come segue:<br />

uomo donna<br />

“umano” “umano”<br />

“adulto” “adulto”<br />

“masch<strong>il</strong>e” “femmin<strong>il</strong>e”<br />

Dal che risulta che la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> significato è determinata dalla categoria semantica della<br />

sessualità, che articola i due semi tra loro contrari “masch<strong>il</strong>e” e “femmin<strong>il</strong>e”. Pertanto sul piano del<br />

contenuto l’opposizione donna/uomo può essere descritta a partire dalla seguente categoria<br />

semantica:<br />

sessualità<br />

“femmin<strong>il</strong>e” vs “masch<strong>il</strong>e” 4<br />

Il lessema (nel suo stato virtuale)<br />

Il lessema, che possiamo intendere come voce <strong>di</strong> <strong>di</strong>zionario, può essere pensato come un insieme<br />

<strong>di</strong> semi: per esempio <strong>il</strong> lessema alto può essere descritto attraverso i semi “spazialità”,<br />

“<strong>di</strong>mensionalità”, “verticalità”; <strong>il</strong> lessema lungo può essere costituito dai semi “spazialità”,<br />

“<strong>di</strong>mensionalità”, “orizzontalità”, “prospettività”; <strong>il</strong> lessema largo dai semi “spazialità”,<br />

“<strong>di</strong>mensionalità”, “orizzontalità”, “lateralità”:<br />

3 Nella terminologia adottata da B. Pottier.<br />

4 È importante sottolineare che le denominazioni dei semi (“femmin<strong>il</strong>ità”, “mascolinità”. “verticalità”, “orizzontalità”,<br />

ecc.) non vanno intese come parole del linguaggio naturale: si tratta infatti <strong>di</strong> denominazioni metalinguistiche adottate<br />

nell’analisi.<br />

3


SEMI<br />

LESSEMI<br />

alto<br />

basso<br />

lungo<br />

corto<br />

largo<br />

stretto<br />

vasto<br />

spesso<br />

spazialità <strong>di</strong>mensionalità verticalità orizzontalità prospettività lateralità<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

–<br />

–<br />

+<br />

+<br />

–<br />

–<br />

–<br />

–<br />

–<br />

–<br />

+<br />

+<br />

+<br />

+<br />

Figura 1: da Greimas [1966: 58]<br />

Da questo quadro emerge che ogni lessema è caratterizzato dalla presenza <strong>di</strong> un certo numero <strong>di</strong><br />

semi e dall’assenza <strong>di</strong> altri semi. I semi presenti compongono un certo lessema colto nel suo stato<br />

virtuale, considerato cioè come voce lessicale che, prima <strong>di</strong> essere inserita in una frase, contiene in<br />

sé numerosi significati potenziali. Come vedremo tra poco sarà solo <strong>il</strong> suo inserimento in un<br />

contesto <strong>di</strong>scorsivo a consentire <strong>il</strong> riconoscimento <strong>di</strong> un percorso <strong>di</strong> senso specifico (lessema<br />

realizzato).<br />

Il semema<br />

A questo punto secondo Greimas è necessario fare un passo avanti per capire meglio<br />

l’organizzazione semica del lessema. Per fare questo, l’autore prova ad analizzare <strong>il</strong> lessema testa, e<br />

trova che in un certo numero <strong>di</strong> occorrenze (cioè in un certo numero <strong>di</strong> frasi in cui compare <strong>il</strong><br />

lessema) i semi sono i seguenti:<br />

a) <strong>il</strong> guppo <strong>di</strong> semi “estremità” + “superiorità” + “verticalità” caratterizza <strong>il</strong> lessema testa nelle<br />

seguenti occorrenze:<br />

la testa <strong>di</strong> un palo<br />

essere alla testa della <strong>di</strong>tta<br />

avere debiti fin sopra alla testa<br />

b) <strong>il</strong> gruppo <strong>di</strong> semi “estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “continuità” caratterizza <strong>il</strong><br />

lessema testa nelle seguenti occorrenze:<br />

testa <strong>di</strong> una trave<br />

stazione <strong>di</strong> testa<br />

–<br />

–<br />

+<br />

+<br />

–<br />

–<br />

–<br />

–<br />

–<br />

–<br />

+<br />

+<br />

4


c) <strong>il</strong> guppo <strong>di</strong> semi “estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “<strong>di</strong>scontinuità” caratterizza<br />

<strong>il</strong> lessema testa nelle seguenti occorrenze:<br />

vettura <strong>di</strong> testa<br />

testa <strong>di</strong> corteo<br />

prendere la testa<br />

Questo inventario mette in evidenza due semi comuni: quello <strong>di</strong> “estremità” e quello <strong>di</strong><br />

“superatività” (che comprende “superiorità” e “anteriorità”), e questi semi comuni, definiti semi<br />

nucleari, vanno a costituire <strong>il</strong> nucleo semico del lessema testa (lo in<strong>di</strong>chiamo con Ns). Gli altri semi<br />

sono definiti da Greimas semi contestuali, nel senso che si attivano a seconda del contesto della<br />

frase. A seguire Greimas esamina un altro inventario <strong>di</strong> occorrenze in cui <strong>il</strong> lessema testa in<strong>di</strong>ca una<br />

“parte del corpo” (rompersi la testa, mettersi in testa una cosa, ecc.). Questo secondo inventario<br />

mette in evidenza un nucleo semico basato sul sema “sferoi<strong>di</strong>tà” in<strong>di</strong>pendente rispetto al nucleo<br />

semico r<strong>il</strong>evato nel primo inventario. Tuttavia una lettura più attenta degli occorrimenti del secondo<br />

inventario mostra come in tutti i casi <strong>il</strong> primo nucleo semico (“estremità”+”superatività”) sia<br />

sempre implicito: del resto anche quando in<strong>di</strong>ca una “parte del corpo” <strong>il</strong> lessema testa ha sempre e<br />

comunque le caratteristiche <strong>di</strong> “estremità superativa”. Pertanto <strong>il</strong> nucleo semico del primo<br />

inventario è comune anche al secondo. Il nucleo semico del lessema testa si manifesta <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> come<br />

una figura nucleare, i cui semi contraggono tra loro una relazione gerarchica <strong>di</strong> presupposizione:<br />

Ns = S1 (estremità) → S2 (superatività)<br />

Il nucleo semico è un minimo semico permanente, una invariante. Ma se <strong>il</strong> nucleo semico<br />

descrive l’insieme invariante dei semi, le variazioni <strong>di</strong> senso – come abbiamo iniziato a vedere –<br />

possono provenire solo dal contesto, cioè dall’enunciato. Per cui al nucleo semico si aggiungeranno<br />

i sèmi contestuali, che produrranno particolari effetti <strong>di</strong> senso. I semi contestuali sono chiamati<br />

classemi (Cs) perché definiscono classi <strong>di</strong> contesti associati a uno stesso effetto <strong>di</strong> senso. I classemi<br />

determinano pertanto le accezioni particolari <strong>di</strong> un termine e <strong>di</strong>pendono dall’inserimento del<br />

lessema nella catena sintagmatica dell’enunciato. L’effetto <strong>di</strong> senso complessivo si definisce<br />

semema e risulta dalla combinazione <strong>di</strong> Ns (nucleo semico) e <strong>di</strong> Cs (classemi):<br />

semema Sm = Ns + Cs<br />

Se questa è la rappresentazione schematica del semema, le analisi hanno però messo in luce una<br />

struttura più complessa. Infatti anziché analizzare separatamente ogni lessema, è opportuno<br />

considerare una sequenza del <strong>di</strong>scorso (Sq) intesa come incontro <strong>di</strong> due sememi. Nella sequenza «<strong>il</strong><br />

cane abbaia» <strong>il</strong> semema abbaia può essere descritto come la combinazione <strong>di</strong> un nucleo semico che,<br />

pur senza un’analisi accurata, possiamo in<strong>di</strong>care come «una specie <strong>di</strong> grido», e del sema contestuale<br />

“animale” contenuto nel contesto cane; e del resto <strong>il</strong> semema cane, manifestandosi, seleziona <strong>il</strong><br />

sema contestuale “animale” contenuto nel contesto abbaia, escludendo altri semi contestuali come<br />

per esempio “oggetto” (che sarebbe stato selezionato nel caso in cui si fosse parlato, per esempio, <strong>di</strong><br />

una “parte del fuc<strong>il</strong>e”). Quin<strong>di</strong> cane contestualizza abbaia e abbaia contestualizza cane, in una<br />

sequenza che può essere descritta in questo modo:<br />

Sq (A) = Ns2 cane + Cs1 (“animale”) + Ns1 abbaia («specie <strong>di</strong> grido») + Cs1 (“animale”)<br />

Rispetto alla sequenza «<strong>il</strong> commissario abbaia», avremmo invece una descrizione <strong>di</strong> questo tipo:<br />

5


Sq (B) = Ns3 commissario + Cs2 (“umano”) + Ns1 abbaia («specie <strong>di</strong> grido») + Cs2 (“umano”)<br />

Dal che risulta evidente che una data sequenza contestuale, pur comportando due figure semiche,<br />

comprende un solo sema contestuale, tanto che le sequenze sopra descritte potrebbero essere<br />

riformulate nel modo seguente:<br />

Sq (A) = (Ns2 + Ns1) Cs1<br />

Sq (B) = (Ns3 + Ns1) Cs2<br />

Per riassumere: <strong>il</strong> semema è <strong>il</strong> prodotto della combinazione <strong>di</strong> almeno un sema nucleare e <strong>di</strong><br />

almeno un sema contestuale, e trae dagli elementi del sintagma le specificazioni necessarie alla sua<br />

significazione: per definirlo, infatti, è necessaria la presenza <strong>di</strong> un contesto formato da almeno due<br />

sememi legati fra loro da almeno un classema. 5<br />

Il lessema (realizzato)<br />

Ora possiamo delineare in modo più preciso le due possib<strong>il</strong>i rappresentazioni del lessema. Infatti<br />

se prima abbiamo considerato <strong>il</strong> lessema nel suo stato virtuale, ora possiamo riconsiderarlo nella sua<br />

realizzazione. Nel suo stato virtuale <strong>il</strong> lessema può essere concepito come una voce <strong>di</strong>zionariale,<br />

che racchiude in sé un insieme <strong>di</strong> possib<strong>il</strong>i percorsi <strong>di</strong>scorsivi. Ma <strong>il</strong> lessema si realizza<br />

necessariamente all’interno <strong>di</strong> un contesto <strong>di</strong>scorsivo, dove <strong>il</strong> suo nucleo semico, inserendosi in un<br />

enunciato, raccoglie quei classemi che gli consentono <strong>di</strong> costituirsi in semema, attivando in tal<br />

modo dei percorsi <strong>di</strong> senso (accezioni particolari). Per esempio <strong>il</strong> lessema tavola può essere<br />

descritto nel suo stato virtuale come un insieme <strong>di</strong> possib<strong>il</strong>i percorsi <strong>di</strong> senso: ma sarà solo la sua<br />

realizzazione in un contesto <strong>di</strong>scorsivo, in quanto semema che si concatena ad altri sememi, a<br />

definirne l’accezione particolare (da cucina, da pranzo, della legge, da stiro, da surf), quando cioè<br />

sarà possib<strong>il</strong>e associare al suo nucleo semico permanente i classemi che provengono dal contesto<br />

d’uso. Del resto solo una lettura contestuale permette (quasi sempre) <strong>di</strong> <strong>di</strong>sambiguare gli enunciati,<br />

cioè <strong>di</strong> scegliere un percorso <strong>di</strong> senso eliminando le ambiguità interpretative. Il lessema va dunque<br />

pensato come un modello virtuale della significazione che si realizza sotto forma <strong>di</strong> sememi.<br />

Possiamo <strong>di</strong>re che <strong>il</strong> lessema sta al semema come una entrata <strong>di</strong>zionariale (lemma) sta alla parola<br />

inserita nel contesto <strong>di</strong> una frase. 6<br />

Livello immanente e livello della manifestazione<br />

I semi nucleari, i classemi e i sememi appartengono al livello immanente. Essi si pongono<br />

anteriormente alla realizzazione dell’atto linguistico (semiosi). In un <strong>saggio</strong> del 1972 Greimas<br />

renderà più chiara la <strong>di</strong>stinzione tra livello della manifestazione e livello <strong>di</strong> immanenza in<strong>di</strong>cando la<br />

realizzazione come piano della manifestazione, e sud<strong>di</strong>videndo <strong>il</strong> livello immanente in due<br />

sottolivelli, un livello profondo e un livello <strong>di</strong> superficie:<br />

5 In questa fase Greimas ritiene che i classemi si oppongano tipologicamente ai semi nucleari. Greimas pensa che i semi<br />

nucleari siano figurativi e che provengano dal «livello semiologico» del linguaggio: si tratta del livello cosiddetto<br />

esterocettivo, che si costituisce attraverso la percezione che l’uomo ha dell’universo che lo circonda. È per la sua<br />

<strong>di</strong>mensione esterocettiva che <strong>il</strong> nucleo semico viene denominato anche figura nucleare. I classemi sono invece astratti e<br />

provengono dal «livello semantico» del linguaggio: si tratta del livello interocettivo, che riguarda l’organizzazione<br />

categoriale e concettuale del mondo. I classemi sono infatti “animato”/“inanimato”, “umano”/“animale”, ecc. Se in una<br />

lingua i nuclei semici sono in numero assai elevato, l’inventario dei classemi è più limitato poiché si tratta <strong>di</strong> unità <strong>di</strong><br />

natura molto generale.<br />

6 Courtés [1976: 52].<br />

6


Piano dell’espressione<br />

Piano della manifestazione<br />

Piano del contenuto<br />

livello<br />

profondo: fèmi<br />

livello <strong>di</strong><br />

superficie: fonemi s<strong>il</strong>labe<br />

fonemi realizzati<br />

lessemi<br />

livello <strong>di</strong> enunciati<br />

superficie: sememi semantici<br />

livello<br />

profondo: sèmi<br />

Figura 2: Greimas [1972: 138]<br />

Da questo schema emerge con chiarezza che nel piano della manifestazione si realizza l’unione<br />

<strong>di</strong> fonemi realizzati e lessemi realizzati (semiosi), e che <strong>il</strong> piano immanente dell’espressione è<br />

sud<strong>di</strong>viso in un livello profondo (tratti <strong>di</strong>stintivi o femi) e in un livello <strong>di</strong> superficie (fonemi e<br />

s<strong>il</strong>labe), così come <strong>il</strong> piano immanente del contenuto è anch’esso sud<strong>di</strong>viso in un livello profondo<br />

(semi) e in un livello <strong>di</strong> superficie (sememi). La <strong>di</strong>stinzione fondamentale è dunque quella tra<br />

manifestazione intesa come realizzazione e immanenza intesa come costruzione metalinguistica<br />

dell’analisi secondo livelli <strong>di</strong> pertinenza.<br />

Nello schema seguente si parte dalla manifestazione dell’enunciato linguistico /Mario ha<br />

raggiunto la testa del corteo/: dal punto <strong>di</strong> vista dell’espressione questo enunciato appare come una<br />

sequenza <strong>di</strong> fonemi realizzati che vanno a costituire dei formanti, cioè delle parti del piano<br />

dell’espressione a cui corrispondono delle unità del piano del contenuto (per es. <strong>il</strong> formante /testa/);<br />

sul piano del contenuto abbiamo i lessemi realizzati, cioè le unità <strong>di</strong> contenuto che si congiungono<br />

con i formanti (per es. <strong>il</strong> lessema «testa»). Consideriamo <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> <strong>il</strong> formante espressivo /testa/: nel<br />

livello immanente del piano dell’espressione esso è costituito da quattro fonemi (/t/, /ε/, /s/, /a/),<br />

ciascuno dei quali descrivib<strong>il</strong>e con l’impiego <strong>di</strong> tre femi; nel livello immanente del piano del<br />

contenuto consideriamo <strong>il</strong> lessema «testa» in<strong>di</strong>cando i suoi semi nucleari e la sua trasformazione in<br />

semema all’interno della sequenza «testa del corteo»:<br />

7


E<br />

Manifestazione<br />

C<br />

livello [occlusiva] [me<strong>di</strong>o-bassa] [fricativa] [bassa]<br />

profondo: fèmi [dentale] [palatale] [alveolare] [centrale]<br />

[sorda] [non-arrotondata] [sorda] [non-arrotond.]<br />

livello <strong>di</strong><br />

superficie: fonemi /t/ /ε/ /s/ /a/<br />

fonemi realizzati /Mario ha raggiunto la testa del corteo/<br />

lessemi «Mario ha raggiunto la testa del corteo»<br />

livello <strong>di</strong><br />

superficie: sememi Sm testa = Ns (“estremità”+“superatività”) + Cs (“umano”)<br />

Sm corteo = Ns (“…”) + Cs (“umano”)<br />

Livello<br />

profondo: semi “estremità”, “superatività”<br />

Figura 3<br />

Una “rivoluzione mentale”<br />

Diceva Bloomfield che <strong>il</strong> senso esiste senza che per questo si possa <strong>di</strong>rne qualcosa <strong>di</strong> sensato.<br />

Infatti, se la materialità del significante garantisce una descrizione scientifica, <strong>il</strong> piano del<br />

significato sfugge a un approccio positivo. Secondo Greimas per legittimare uno stu<strong>di</strong>o scientifico<br />

del senso è stata necessaria una “rivoluzione mentale” che ha sostituito alle certezze <strong>di</strong> una<br />

descrizione dei fatti materiali del linguaggio l’idea che la linguistica sia solo una costruzione<br />

teorica, che cerca <strong>di</strong> rendere conto <strong>di</strong> fenomeni altrimenti insondab<strong>il</strong>i [Greimas e Courtés 1979:<br />

293]. La semantica <strong>di</strong>venta così un linguaggio costruito, capace <strong>di</strong> parlare del linguaggio-oggetto.<br />

Nella prospettiva <strong>di</strong> Greimas <strong>il</strong> linguaggio della semantica non deve però essere una semplice<br />

parafrasi in lingua naturale: deve essere piuttosto un metalinguaggio scientifico, con termini<br />

interdefiniti e controllati dal punto <strong>di</strong> vista metodologico ed epistemologico. Non solo: <strong>il</strong><br />

metalinguaggio non è costruito a-priori ma è desunto dall’analisi dei testi, come nel caso del<br />

lessema testa, dal cui esame si traggono le categorie metalinguistiche <strong>di</strong> sema, sema nucleare, sema<br />

contestuale, semema.<br />

La semantica strutturale che si delinea muove dunque dall’ipotesi che tra i due piani del<br />

linguaggio vi sia parallelismo, e che <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> agli scarti <strong>di</strong>fferenziali del significante debbano<br />

corrispondere scarti <strong>di</strong>fferenziali del significato (i tratti <strong>di</strong>stintivi della significazione). Si tratta della<br />

grande ambizione degli anni Sessanta, che presto <strong>di</strong>venta però grande <strong>il</strong>lusione, come ha<br />

riconosciuto lo stesso Greimas in <strong>di</strong>verse occasioni. 7 Infatti se sul piano dell’espressione è possib<strong>il</strong>e<br />

reperire un numero limitato <strong>di</strong> elementi minimali, risulta molto più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e ottenere lo stesso<br />

risultato sul piano del contenuto. Inoltre, pensando <strong>di</strong> descrivere in modo esaustivo <strong>il</strong> piano del<br />

contenuto delle lingue naturali la linguistica si stava impegnando, senza rendersene conto, “nel<br />

7 Cfr. Greimas e Courtés [1979: 294]; Greimas [1986].<br />

8


progetto straor<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> una descrizione completa dell’insieme delle culture, progetto che ha le<br />

<strong>di</strong>mensioni stesse dell’umanità.” [ibid.: 94]<br />

Eppure la semantica strutturale costituisce senza dubbio una tappa decisiva, non solo perché<br />

avvia una nuova riflessione sulla teoria della significazione, ma anche perché apre la strada alla<br />

semiotica. I limiti posti dalla nuova semantica, infatti, spingeranno Greimas a elaborare un progetto<br />

semiotico <strong>di</strong> più ampia portata, e sempre <strong>di</strong> ispirazione saussuriana-hjelmsleviana. Il punto <strong>di</strong><br />

partenza, per l’appunto, è questo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> semantica strutturale in cui Greimas ipotizza quel livello<br />

immanente che deve essere costruito dall’analisi attraverso un metalinguaggio scientifico.<br />

3. Semiotica: <strong>il</strong> percorso generativo del senso<br />

Nella seconda fase della riflessione semiotica greimasiana si delinea un progetto teorico <strong>di</strong> vasta<br />

portata, <strong>il</strong> cui esito complessivo va sotto <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> Percorso Generativo. Sono sostanzialmente due<br />

i presupposti <strong>di</strong> questo pas<strong>saggio</strong>. In primo luogo <strong>il</strong> superamento del segno e la scelta del testo come<br />

unità <strong>di</strong> analisi. Come abbiamo già visto, praticando l’analisi semica Greimas si rende conto che per<br />

definire <strong>il</strong> semema è necessario entrare nella <strong>di</strong>mensione contestuale del <strong>di</strong>scorso. Sono infatti i<br />

classemi, che nascono dal contesto <strong>di</strong> una frase, a mo<strong>di</strong>ficare la significazione dei lessemi. La<br />

significazione lessicale si manifesta, pertanto, solo come significazione contestuale. In questo modo<br />

la semantica strutturale comincia a superare l’ambito della parola, che non può da sola costituire<br />

l’unità all’interno della quale r<strong>il</strong>evare <strong>il</strong> senso. Greimas in<strong>di</strong>vidua così un percorso che senza<br />

soluzione <strong>di</strong> continuità va dall’analisi semantica all’analisi del testo, ponendo proprio <strong>il</strong> testo in<br />

primo piano. 8 Il testo, <strong>di</strong> qualunque <strong>di</strong>mensione e composto <strong>di</strong> qualsiasi sostanza <strong>di</strong> manifestazione,<br />

<strong>di</strong>venta <strong>il</strong> luogo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sambiguazione, sia pur parziale, delle significazioni: “Dal punto <strong>di</strong> vista della<br />

significazione, dunque, è <strong>il</strong> globale a determinare <strong>il</strong> locale e <strong>il</strong> generale che determina <strong>il</strong> particolare,<br />

non <strong>il</strong> contrario.” [Bertrand 2000: 109]. Pertanto per descrivere <strong>il</strong> piano del contenuto occorre<br />

passare dai segni (termini isolati) ai testi, cioè a oggetti <strong>di</strong> taglio superiore. Il pas<strong>saggio</strong> è<br />

determinante perché con Saussure si era parlato solo <strong>di</strong> segni linguistici, con Hjelmslev si era<br />

cominciato a ragionare sulle frasi, ma ora si passa, appunto, a considerare ampie porzioni testuali.<br />

Questo slittamento peraltro rende conto della prospettiva specificamente semiotica <strong>di</strong> questo<br />

approccio: la nozione <strong>di</strong> testo, molto più della nozione <strong>di</strong> segno, aiuta a passare da una semantica<br />

del linguaggio naturale a una semantica dei linguaggi. Non dobbiamo più ricercare <strong>il</strong> significato <strong>di</strong><br />

una parola, o <strong>di</strong> una forma, o <strong>di</strong> una nota, ma cerchiamo <strong>di</strong> descrivere <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> un racconto,<br />

<strong>di</strong> un quadro (preso nel suo insieme), <strong>di</strong> una partitura, <strong>di</strong> una conversazione. In questo modo si<br />

decide <strong>di</strong> andare oltre <strong>il</strong> segno e ci si colloca nella <strong>di</strong>mensione testuale.<br />

In secondo luogo si supera l’idea che <strong>il</strong> piano del contenuto possa essere descritto a partire da un<br />

inventario limitato <strong>di</strong> tratti minimali (semi). Come abbiamo visto, in Semantica strutturale l’idea <strong>di</strong><br />

Greimas è quella <strong>di</strong> lavorare sul piano del contenuto così come si era già lavorato, con successo, sul<br />

piano dell’espressione. Tuttavia i limiti <strong>di</strong> questo progetto appaiono subito evidenti: per quanto<br />

alcuni semi si presentino come effettivamente fondamentali, risulta impossib<strong>il</strong>e trovare inventari<br />

limitati <strong>di</strong> semi per descrivere la semantica del linguaggio naturale. Lo stesso Greimas, come<br />

abbiamo visto, in seguito ha definito questo progetto come “la grande <strong>il</strong>lusione degli anni Sessanta”,<br />

quando si riteneva possib<strong>il</strong>e effettuare un’analisi esaustiva del piano del contenuto delle lingue<br />

naturali attraverso un campione limitato <strong>di</strong> tratti generali, nel tentativo <strong>di</strong> dare una descrizione<br />

completa dell’insieme delle culture. 9 Se non è possib<strong>il</strong>e costruire tassonomie <strong>di</strong> tratti minimi sul<br />

8 Cfr. Bertrand [2000: 108].<br />

9 Greimas e Courtés [1979: 294].<br />

9


piano del contenuto, Greimas pensa <strong>di</strong> battere un’altra strada tentando <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare delle strutture<br />

soggiacenti ai testi che accomunino tutti gli universi semantici.<br />

La struttura soggiacente ai testi è pensata da Greimas come un sistema semantico organizzato<br />

per livelli <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà, con un meccanismo <strong>di</strong> generatività che permette agli elementi più profon<strong>di</strong><br />

e più semplici <strong>di</strong> generare elementi più superficiali e più complessi secondo regole <strong>di</strong> conversione.<br />

In questi termini la teoria greimasiana è definib<strong>il</strong>e come una teoria della generazione del senso: al<br />

livello più profondo si situano elementi <strong>di</strong> tipo logico-semantico che si convertono in piani<br />

semantico-sintattici più superficiali, per poi trasformarsi, attraverso i meccanismi dell’enunciazione,<br />

negli elementi <strong>di</strong>scorsivi: <strong>il</strong> tutto in vista della manifestazione. La conversione designa dunque<br />

l’insieme <strong>di</strong> procedure che rendono conto del pas<strong>saggio</strong> da una unità del livello profondo a una<br />

unità del livello <strong>di</strong> superficie: <strong>il</strong> nuovo livello più superficiale mantiene lo stesso contenuto del<br />

precedente, ma nello stesso tempo apporta un “arricchimento” o un “aumento” del senso. Ogni<br />

conversione <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> deve essere considerata contemporaneamente come un’e<strong>qui</strong>valenza e come un<br />

surplus <strong>di</strong> significazione. 10 Il quadro del Percorso Generativo è riassunto schematicamente in questa<br />

tabella, che visualizza le sue componenti e le sue sotto-componenti:<br />

Strutture<br />

<strong>di</strong>scorsive<br />

Strutture<br />

semio-<br />

narrative<br />

Figura 4: <strong>il</strong> Percorso Generativo<br />

Dice Greimas a proposito dell’ottica generativa: 11 si può prendere un tavolo e <strong>di</strong>re che si tratta <strong>di</strong><br />

un asse con quattro pie<strong>di</strong> e con certe funzioni; oppure lo si può descrivere considerandolo<br />

all’interno del sistema generale del mob<strong>il</strong>io; oppure si può <strong>di</strong>re come è stato costruito. Quest’ultimo<br />

è l’atteggiamento generativo, che consiste nell’esplicitare come una cosa è stata formata, come è<br />

stata costruita. È un approccio empirico che si concentra sul ‘come’. L’idea <strong>di</strong> Greimas è che ci si<br />

debba concentrare sul come vengono costruiti i testi ipotizzando un percorso generativo che parta<br />

dal semplice e che arrivi a poco a poco al più complesso.<br />

Se l’entità che ci si pone <strong>di</strong> fronte è un testo realizzato (un oggetto materiale), cioè <strong>il</strong> livello della<br />

manifestazione, l’oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o della semiotica, secondo Greimas, deve essere <strong>il</strong> livello<br />

immanente al testo. Il Percorso Generativo, situandosi nel livello immanente, costituisce una sorta<br />

<strong>di</strong> “tronco strutturale autonomo”, dove <strong>il</strong> senso è organizzato anteriormente alla propria<br />

manifestazione. Occuparsi del livello immanente, secondo Greimas, significa porre l’attenzione sui<br />

sistemi soggiacenti che permettono ai segni <strong>di</strong> significare<br />

10 Cfr. Greimas e Courtés [1979: voce “Conversione”].<br />

11 Greimas [1987c: 175-176].<br />

Livello<br />

<strong>di</strong> superficie<br />

Livello<br />

profondo<br />

Sintassi <strong>di</strong>scorsiva<br />

Attorializzazione<br />

Spazializzazione<br />

Temporalizzazione<br />

Semantica <strong>di</strong>scorsiva<br />

Tematizzazione<br />

Figurativizzazione<br />

Sintassi narrativa <strong>di</strong> superficie Semantica narrativa<br />

Sintassi fondamentale Semantica fondamentale<br />

10


3.1. Strutture semio-narrative: <strong>il</strong> livello profondo<br />

3.1.1. La semantica fondamentale<br />

Nel livello profondo delle strutture semio-narrative si colloca la struttura elementare della<br />

significazione nella forma del quadrato semiotico. Il quadrato è uno strumento descrittivo con <strong>il</strong><br />

quale si prova ad articolare un microuniverso semantico mettendo in luce una serie <strong>di</strong> relazioni<br />

<strong>di</strong>fferenziali. Il quadrato è concepito come lo sv<strong>il</strong>uppo logico <strong>di</strong> una categoria semica binaria.<br />

Partiamo per esempio dai termini “masch<strong>il</strong>e” (S1) e “femmin<strong>il</strong>e”(S2) che costituiscono l’asse<br />

semantico della categoria sessualità: ciascuno dei due termini, che si pongono in relazione <strong>di</strong><br />

contrarietà, può proiettare un nuovo termine quale proprio contrad<strong>di</strong>ttorio; pertanto <strong>il</strong> sema<br />

“masch<strong>il</strong>e” (S1) può proiettare <strong>il</strong> suo contrad<strong>di</strong>ttorio “non masch<strong>il</strong>e” (non-S1), e <strong>il</strong> sema<br />

“femmin<strong>il</strong>e”(S2) può proiettare <strong>il</strong> suo contrad<strong>di</strong>ttorio “non femmin<strong>il</strong>e” (non-S2).<br />

sessualità<br />

“masch<strong>il</strong>e” S “femmin<strong>il</strong>e”<br />

S1 S2<br />

non-S2 non-S1<br />

“non-femmin<strong>il</strong>e” non-S “non-masch<strong>il</strong>e”<br />

non-sessualità<br />

relazione fra contrari (assi);<br />

relazione fra contrad<strong>di</strong>ttori (schemi);<br />

relazione <strong>di</strong> complementarità (deissi);<br />

Figura 5<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista formale <strong>il</strong> quadrato si presenta come una rete astratta <strong>di</strong> relazioni. I termini<br />

“masch<strong>il</strong>e” e “femmin<strong>il</strong>e”, cioè S1 e S2, contraggono una relazione <strong>di</strong> contrarietà. I due termini<br />

<strong>di</strong>fferiscono – si oppongono – ma sulla base <strong>di</strong> una somiglianza, <strong>di</strong> alcuni tratti comuni espressi<br />

dalla categoria gerarchicamente superiore (sessualità). Parallelamente, la relazione tra “nonmasch<strong>il</strong>e”<br />

e “non-femmin<strong>il</strong>e”, cioè tra non-S1 e non-S2, è detta <strong>di</strong> sub-contrarietà. La categoria<br />

semantica che sussume i termini contrari, sessualità (S) nel nostro esempio, è definita termine<br />

complesso. La categoria semantica che sussume i termini sub-contrari, non-sessualità (non-S) nel<br />

nostro esempio, è definita termine neutro.<br />

Fra i termini “masch<strong>il</strong>e” e “non-masch<strong>il</strong>e” (S1 e non-S1) e fra i termini “femmin<strong>il</strong>e” e “nonfemmin<strong>il</strong>e”<br />

(S2 e non-S2) si stab<strong>il</strong>isce una relazione <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>ttorietà. Le relazioni fra<br />

contrad<strong>di</strong>ttori prendono <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> schemi.<br />

Il rapporto fra “non-femmin<strong>il</strong>e” (non-S2) e “masch<strong>il</strong>e” (S1), così come quello tra “non-masch<strong>il</strong>e”<br />

(non-S1) e “femmin<strong>il</strong>e” (S2), è una relazione <strong>di</strong> complementarità. Questa relazione in<strong>di</strong>ca<br />

11


l’implicazione logica <strong>di</strong> S1 da parte <strong>di</strong> non-S2, e <strong>di</strong> S2 da parte <strong>di</strong> non-S1. In altri termini, non-S2<br />

implica S1, cioè “non-femmin<strong>il</strong>e” implica “masch<strong>il</strong>e”; e non-S1 implica S2, cioè “non-masch<strong>il</strong>e”<br />

implica “femmin<strong>il</strong>e”. Le relazioni fra termini complementari prendono <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> deissi poiché <strong>il</strong><br />

termine contrad<strong>di</strong>ttorio “in<strong>di</strong>ca” come una freccia <strong>il</strong> termine contrario a quello che contrad<strong>di</strong>ce. 12<br />

Si configura in questo modo <strong>il</strong> quadrato semiotico, cioè la rappresentazione visiva delle<br />

articolazioni logiche <strong>di</strong> una categoria semantica. Il quadrato si presenta <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> come la struttura<br />

costitutiva <strong>di</strong> un microuniverso <strong>di</strong> significazione. Ad esempio, per quanto riguarda l’universo<br />

semantico dei valori in<strong>di</strong>viduali si può ipotizzare che l’asse semantico vita/morte ne costituisca<br />

un’articolazione fondamentale, e che lo sv<strong>il</strong>uppo logico <strong>di</strong> questa categoria vada a delineare <strong>il</strong><br />

seguente quadrato:<br />

vita morte<br />

non-morte non-vita<br />

Figura 6<br />

Per quanto riguarda l’universo dei valori sociali si può invece ipotizzare che l’asse semantico<br />

natura/cultura costituisca un’opposizione fondamentale da sv<strong>il</strong>uppare anch’essa nella forma del<br />

quadrato semiotico. La semplicità del quadrato e la sua astrazione non devono peraltro essere intese<br />

come un impoverimento del senso manifestato perché <strong>il</strong> quadrato non rappresenta <strong>il</strong> contenuto <strong>di</strong> un<br />

testo: si tratta <strong>di</strong> una rappresentazione visiva della forma semiotica più profonda che può essere<br />

applicata a un testo intero o a <strong>di</strong>verse porzioni testuali. 13 Descrivendo <strong>di</strong> fatto sistemi <strong>di</strong> valori<br />

(morali, logici, estetici), <strong>il</strong> quadrato semiotico può essere considerato una assiologia.<br />

Nel <strong>saggio</strong> “Interazioni delle costrizioni semiotiche” 14 del 1968 Greimas ut<strong>il</strong>izza lo schema del<br />

quadrato per descrivere i valori profon<strong>di</strong>, <strong>di</strong> natura antropologica, <strong>di</strong> un’organizzazione sociale. La<br />

categoria <strong>di</strong> partenza è quella delle ingiunzioni:<br />

12 La <strong>di</strong>rezione della deissi è stata invertita da alcuni autori (cfr. Petitot 1979): dal punto <strong>di</strong> vista logico sembra infatti<br />

più corretto che sia “masch<strong>il</strong>e” (S1) a implicare “non-femmin<strong>il</strong>e” (non-S2). La freccia dal basso verso l’alto può essere<br />

intesa, come vedremo a proposito della sintassi fondamentale, come un’operazione <strong>di</strong> affermazione: dall’insieme <strong>di</strong><br />

elementi in<strong>di</strong>stinti che si trovano nel grande insieme del contrad<strong>di</strong>ttorio (“non-masch<strong>il</strong>e”) emerge un solo elemento<br />

(“femmin<strong>il</strong>e”).<br />

13 Marsciani e Zinna [1991: 47].<br />

14 Cfr. Greimas [1968a].<br />

12


ingiunzioni<br />

prescrizioni inter<strong>di</strong>zioni<br />

non-inter<strong>di</strong>zioni non-prescrizioni<br />

non-ingiunzioni<br />

Figura 7: da Greimas [1968a: 149]<br />

Il quadrato delle ingiunzioni può essere investito dal punto <strong>di</strong> vista del contenuto considerando le<br />

relazioni sessuali <strong>di</strong> un gruppo umano dal punto <strong>di</strong> vista semiotico. Partendo dall’opposizione<br />

Cultura vs Natura, dove la Cultura racchiude le relazioni permesse mentre la Natura racchiude le<br />

relazioni che una società esclude, i termini del quadrato semiotico <strong>di</strong>ventano i seguenti:<br />

Relazioni permesse Relazioni escluse<br />

(Cultura) (Natura)<br />

Relazioni matrimoniali Relazioni “anormali”<br />

(prescritte) (interdette)<br />

Relazioni “normali” Relazioni non matrimoniali<br />

(non interdette) (non prescritte)<br />

Figura 8: da Greimas [1968a: 151]<br />

Come si può vedere, <strong>il</strong> quadrato organizza un universo concettuale e l’organizzazione <strong>di</strong>pende<br />

dalle co<strong>di</strong>ficazioni sociali. Greimas fa notare ad esempio che la società tra<strong>di</strong>zionale francese<br />

prescrive gli amori coniugali, mentre inter<strong>di</strong>ce l’incesto o l’omosessualità; giu<strong>di</strong>ca “normale”,<br />

<strong>qui</strong>n<strong>di</strong> non interdetto, l’adulterio dell’uomo, mentre valuta come non prescritto l’adulterio della<br />

donna. Si tratta <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> <strong>di</strong> un modello sociale delle relazioni sessuali. Questo schema può <strong>di</strong>ventare<br />

più complesso se lo consideriamo in relazione al modello economico delle relazioni sessuali, o in<br />

relazione al modello dei valori in<strong>di</strong>viduali: per esempio vi possono essere valori vantaggiosi per<br />

l’in<strong>di</strong>viduo ma dannosi per la società e sul piano economico. L’ipotesi <strong>di</strong> Greimas è che le<br />

manifestazioni – siano esse parole o matrimoni – <strong>di</strong>pendono dall’interazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi sistemi<br />

semiotici, i quali consentono delle scelte e ne inter<strong>di</strong>cono altre. Un produttore <strong>di</strong> oggetti semiotici<br />

qualsiasi si muove all’interno <strong>di</strong> una episteme (l’insieme dei sistemi semiotici in causa, un grande<br />

13


sistema assiologico sociale) nella quale interagiscono valori in<strong>di</strong>viduali e valori sociali, ed egli non<br />

potrà che procedere a delle scelte limitate. Secondo Greimas l’universo è un universo <strong>di</strong> valori e <strong>il</strong><br />

soggetto ha certe possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> scegliere tra essi. Ci sono valori economici, valori morali, valori<br />

estetici verso cui noi soggetti ten<strong>di</strong>amo senza posa elaborando volta per volta soluzioni <strong>di</strong>verse. I<br />

soggetti vivono immersi in questi universi <strong>di</strong> valori cercando ciascuno la propria uscita dal<br />

labirinto. 15<br />

Nell’elaborazione del quadrato semiotico come articolazione profonda della semantica, Greimas<br />

prende ispirazione da alcuni stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Lévi-Strauss [1958]. Da una prospettiva strutturale che si<br />

caratterizza per la ricerca <strong>di</strong> costanti, Lévi-Strauss analizza alcuni miti e trova che essi si<br />

riproducono con gli stessi caratteri nelle <strong>di</strong>verse regioni del mondo. In particolare Lévi-Strauss si<br />

sofferma sui miti tebani (nello specifico su quello <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po), e ipotizza che tali racconti mettano in<br />

relazione due <strong>di</strong>verse concezioni dell’origine dell’uomo, che evidentemente coesistevano a quel<br />

tempo presso i greci: secondo la prima concezione gli esseri umani spuntarono dalla terra (origine<br />

ctonia); in base alla seconda concezione nacquero da progenitori umani. R<strong>il</strong>eggendo alla luce <strong>di</strong><br />

questa coesistenza alcuni miti, Lévi-Strauss costruisce uno schema in cui prova a mettere in<br />

correlazione un serie sintagmatica con una para<strong>di</strong>gmatica:<br />

Cadmo cerca sua sorella<br />

Europa, rapita da Zeus<br />

E<strong>di</strong>po sposa Giocasta, sua<br />

madre<br />

Antigone seppellisce Polinice,<br />

suo fratello, violando<br />

<strong>il</strong> <strong>di</strong>vieto<br />

Gli Sparti si sterminano<br />

vicendevolmente<br />

E<strong>di</strong>po uccide suo padre<br />

Laio<br />

Eteocle uccide suo fratello<br />

Polinice<br />

Cadmo uccide <strong>il</strong> drago<br />

E<strong>di</strong>po immola la sfinge<br />

Figura 9: da Lévi-Strauss [1958: 240]<br />

Labdaco (padre <strong>di</strong> Laio) =<br />

«zoppo»<br />

Laio (padre <strong>di</strong> E- <strong>di</strong>po) =<br />

«sb<strong>il</strong>enco»<br />

E<strong>di</strong>po = «piede gonfio»<br />

La serie sintagmatica manifesta le sequenze dei miti, mentre la serie para<strong>di</strong>gmatica raggruppa<br />

nelle stesse colonne verticali avvenimenti analoghi. Nella prima colonna i miti tebani presentano<br />

casi in cui i rapporti fam<strong>il</strong>iari vengono “sopravvalutati” (E<strong>di</strong>po sposa sua madre Giocasta, Antigone<br />

sfida la morte e seppellisce suo fratello Polinice); nella seconda colonna ci sono invece i casi in cui i<br />

rapporti <strong>di</strong> parentela vengono “sottovalutati” (E<strong>di</strong>po uccide suo padre, Eteocle uccide suo fratello,<br />

ecc.). Secondo Lévi-Strauss questi miti affermerebbero e negherebbero l’origine parentale<br />

dell’uomo.<br />

15 Greimas [1987c: 178].<br />

14


La terza colonna riguarda i mostri e la loro <strong>di</strong>struzione (E<strong>di</strong>po annienta la Sfinge, Cadmo uccide<br />

<strong>il</strong> drago): simbolicamente vi si potrebbe leggere la negazione dell’origine dell’uomo dalla terra. Ma<br />

dalla quarta colonna si evince che una serie <strong>di</strong> personaggi mitici si caratterizzano per la loro zoppia,<br />

e questo confermerebbe l’origine ctonia dell’uomo, in<strong>di</strong>cando la con<strong>di</strong>zione imperfetta dell’uomo<br />

emerso dalla terra. Dice Lévi-Strauss: “Quale significato finisce dunque con l’avere <strong>il</strong> mito <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po<br />

così interpretato «all’americana»? Esso esprimerebbe l’impossib<strong>il</strong>ità, in cui si trova una società che<br />

professa <strong>di</strong> credere all’autoctonia dell’uomo […], <strong>di</strong> passare da questa teoria al riconoscimento del<br />

fatto che ciascuno <strong>di</strong> noi è realmente nato dall’unione <strong>di</strong> un uomo e <strong>di</strong> una donna. La <strong>di</strong>fficoltà è<br />

insuperab<strong>il</strong>e.” [ibid.: 242] Ne consegue che <strong>il</strong> mito non risolve la contrad<strong>di</strong>zione che si genera dalle<br />

due concezioni sull’origine dell’uomo, ma le fa convivere mettendo in un rapporto <strong>di</strong> analogia due<br />

contrad<strong>di</strong>zioni: “la sopravvalutazione della parentela <strong>di</strong> sangue sta alla sottovalutazione <strong>di</strong><br />

quest’ultima, come lo sforzo <strong>di</strong> sfuggire all’autoctonia sta all’impossib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> riuscirci.” [ibidem]<br />

Secondo Greimas l’analisi <strong>di</strong> Lévi-Strauss sfocia in un modello acronico elementare a partire dal<br />

quale i miti possono essere generati. Questo modello può essere definito come “la messa in<br />

correlazione <strong>di</strong> termini contrad<strong>di</strong>ttori accoppiati” [Greimas 1969: 173]:<br />

Origine ctonia Progenitori umani<br />

____________ ______________<br />

Non origine ctonia Non progenitori umani<br />

L’ipotesi <strong>di</strong> Lévi-Strauss è che i miti si basino su contrad<strong>di</strong>zioni soggiacenti e che le narrazioni<br />

mitiche servirebbero proprio a “sanare” queste contrad<strong>di</strong>zioni. In altri termini, sono proprio queste<br />

contrad<strong>di</strong>zioni a generare le narrazioni, i personaggi, le azioni, i drammi. Insomma, se la logica<br />

esclude le contrad<strong>di</strong>zioni, l’antropologia e la semiotica sostengono che i contrari possono coesistere,<br />

e che anzi proprio questa coesistenza sarebbe alla base delle narrazioni. Greimas riprende questa<br />

idea delle polarità soggiacenti e pensa <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>upparla nell’articolazione logica del quadrato, che va a<br />

porsi al livello più profondo della semantica.<br />

3.1.2. La sintassi fondamentale<br />

Il modello rappresentato dal quadrato è semantico (semantica fondamentale), in quanto struttura<br />

una categoria semantica e rende conto dell’articolazione del senso all’interno <strong>di</strong> un micro-universo<br />

<strong>di</strong> significato (da questo punto <strong>di</strong> vista è dunque una descrizione tassonomica); ma è anche un<br />

modello sintattico (sintassi fondamentale) in quanto consente operazioni: 16 la sintassi infatti opera<br />

delle trasformazioni in base alle quali un contenuto è affermato e un altro è negato. Così se da un<br />

lato abbiamo una sorta <strong>di</strong> tassonomia semica (visione statica del quadrato), dall’altro abbiamo le<br />

operazioni che si possono effettuare su queste posizioni virtuali (visione <strong>di</strong>namica del quadrato): la<br />

prima operazione è l’operazione <strong>di</strong> negazione, che si effettuata sul termine primitivo S1 (o S2) e che<br />

genera <strong>il</strong> suo contrad<strong>di</strong>ttorio non-S1 (o non-S2); la seconda operazione è quella <strong>di</strong> asserzione:<br />

effettuata sui termini contrad<strong>di</strong>ttori (non-S1, non-S2), essa può far apparire i due termini primitivi<br />

(S1 e S2); una volta negato S1 e ottenuto così <strong>il</strong> contrad<strong>di</strong>ttorio non-S1, si potrà asserire S2<br />

attraverso un’operazione che fa emergere da tutto ciò che non è S1 quel particolare e determinato<br />

«non-S1» che è S2. Analogamente, una volta negato S2 e ottenuto così non-S2, si potrà tornare<br />

16 Greimas specifica che si tratta <strong>di</strong> operazioni logiche che non prevedono ancora un soggetto antropomorfo.<br />

15


tramite l’operazione <strong>di</strong> asserzione all’S1 <strong>di</strong> partenza. Le operazioni della sintassi fondamentale sono<br />

dunque orientate, delineano dei percorsi e <strong>di</strong>segnano le con<strong>di</strong>zioni embrionali della narratività.<br />

Ripren<strong>di</strong>amo, per riep<strong>il</strong>ogare, <strong>il</strong> seguente quadrato semiotico elaborato da Floch:<br />

«Uomo» «Ermafro<strong>di</strong>ta» «Donna»<br />

sessualità<br />

“masch<strong>il</strong>e “ “femmin<strong>il</strong>e”<br />

“non-femmin<strong>il</strong>e” “non-masch<strong>il</strong>e”<br />

non-sessualità<br />

«Angelo»<br />

Figura 10: Floch [1985: 51] con integrazioni <strong>di</strong> Marsciani e Zinna [1991: 49]<br />

Il quadrato parte dall’opposizione masch<strong>il</strong>e/femmin<strong>il</strong>e, che costituisce una categoria semica.<br />

Ciascuno dei due termini presuppone l’altro, contraendo con l’altro una relazione <strong>di</strong> contrarietà; ma<br />

ciascuno dei due termini può, attraverso un’operazione <strong>di</strong> negazione, proiettare <strong>il</strong> proprio termine<br />

contrad<strong>di</strong>ttorio: per esempio negando <strong>il</strong> tratto “masch<strong>il</strong>e” si proietta <strong>il</strong> tratto contrad<strong>di</strong>ttorio “nonmasch<strong>il</strong>e”.<br />

Infine con un’operazione <strong>di</strong> asserzione dal “non-masch<strong>il</strong>e” emerge l’altro termine<br />

contrario (“femmin<strong>il</strong>e”). Il percorso sintattico può riprendere, poi, con la negazione <strong>di</strong> “femmin<strong>il</strong>e”<br />

che consente <strong>di</strong> proiettare “non-femmin<strong>il</strong>e”, e con l’asserzione che fa riemergere <strong>il</strong> termine <strong>di</strong><br />

partenza “masch<strong>il</strong>e”. Questo esempio, scrive Floch, rende conto dell’organizzazione relazionale<br />

della categoria della sessualità; vi possiamo posizionare anche alcuni sememi che possono<br />

manifestare questi singoli semi: per esempio «uomo» può manifestare <strong>il</strong> sema “masch<strong>il</strong>e”, «donna»<br />

può manifestare <strong>il</strong> sema “femmin<strong>il</strong>e”; «ermafro<strong>di</strong>ta», riunendo in sé i termini contrari “masch<strong>il</strong>e” e<br />

“femmin<strong>il</strong>e”, è un lessema che può manifestare <strong>il</strong> termine complesso sessualità, mentre «angelo»,<br />

riunendo in sé i termini “non-masch<strong>il</strong>e” e “non-femmin<strong>il</strong>e”, è un lessema che può manifestare <strong>il</strong><br />

termine neutro non-sessualità.<br />

3.2. Strutture semio-narrative: la grammatica narrativa <strong>di</strong> superficie<br />

3.2.1. L’influenza <strong>di</strong> Propp<br />

Il primo meccanismo <strong>di</strong> conversione, quello che rende conto del pas<strong>saggio</strong> dal livello profondo<br />

al livello <strong>di</strong> superficie delle strutture semionarrative, consiste nel pas<strong>saggio</strong> dall’astrazione del<br />

quadrato a una narratività che assume forme e modalità umane (narratività antropomorfizzata).<br />

Pertanto le relazioni logico-semantiche del quadrato e le possib<strong>il</strong>i operazioni sintattiche <strong>di</strong><br />

affermazione/negazione <strong>di</strong> valori si traducono ora in azioni e volizioni <strong>di</strong> soggetti. I valori virtuali<br />

del quadrato vengono investiti in oggetti (oggetti <strong>di</strong> valore) che possono trovarsi in congiunzione o<br />

16


in <strong>di</strong>sgiunzione con i soggetti: <strong>di</strong> <strong>qui</strong> le <strong>di</strong>namiche narrative per rendere conto <strong>di</strong> queste<br />

trasformazioni. La narratività è dunque la sequenza or<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> situazioni e <strong>di</strong> azioni: è la versione<br />

“umanizzata” <strong>di</strong> quello che era ipotizzab<strong>il</strong>e a livello astratto con <strong>il</strong> quadrato. Mentre lì c’erano solo<br />

delle articolazioni semiche, ora quelle articolazioni <strong>di</strong>ventano valori, intervengono dei soggetti che<br />

vogliono fare delle cose, trasformare delle situazioni, ecc.<br />

È, questo, un presupposto fondamentale della teoria <strong>di</strong> Greimas: <strong>il</strong> senso può essere colto solo<br />

attraverso la sua narrativizzazione. Le <strong>di</strong>fferenze del quadrato a livello superficiale si trasformano<br />

in confronto/scontro fra soggetti che sono alla ricerca dei medesimi oggetti. La narratività è<br />

concepita come un universale del piano del contenuto dei linguaggi e <strong>di</strong>venta <strong>il</strong> principio<br />

organizzatore <strong>di</strong> qualsiasi tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso, dai <strong>di</strong>scorsi figurativi (cioè narrativi in senso stretto), ai<br />

<strong>di</strong>scorsi scientifici o f<strong>il</strong>osofici. Così dalle <strong>di</strong>fferenze valoriali del quadrato si passa al confrontoscontro<br />

tra soggetti e oggetti con un progressivo incremento <strong>di</strong> senso. Per questa ragione Greimas<br />

prova a elaborare una grammatica narrativa, e per fare questo prende ispirazione da Vla<strong>di</strong>mir<br />

Propp (1895-1970), folklorista russo con posizioni assai vicine a quelle della scuola formalista <strong>il</strong><br />

quale aveva prodotto un importante lavoro <strong>di</strong> analisi della fiaba <strong>di</strong> magia.<br />

La Morfologia della fiaba <strong>di</strong> Propp viene pubblicata in russo a Leningrado nel 1928, e tradotta in<br />

inglese nel 1958. Si tratta <strong>di</strong> un testo fondamentale per gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> narratologia. Se fino a quel punto<br />

gli stu<strong>di</strong> folklorici erano stati dominati da un approccio storico che ricercava fonti, f<strong>il</strong>iazioni,<br />

corrispondenze e genealogie delle fiabe, Propp si propone <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are l’oggetto “fiaba” in se stesso,<br />

attraverso l’analisi della sua morfologia, cioè della sua forma. Comparando un corpus <strong>di</strong> un<br />

centinaio <strong>di</strong> fiabe <strong>di</strong> magia slave (quelle contrassegnate con i numeri da 50 a 151 della raccolta <strong>di</strong><br />

Afanas’ev), Propp si propone <strong>di</strong> trovare le regolarità e le variazioni formali: <strong>il</strong> suo scopo è quello <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>viduare le parti componenti della favola e le loro relazioni reciproche e col tutto.<br />

Nella sua indagine Propp trova che le unità costitutive della fiaba sono le funzioni dei<br />

personaggi, cioè le loro azioni: infatti nelle favole cambiano i nomi dei personaggi, cambiano i loro<br />

attributi – cioè le caratteristiche esteriori –, ma non le loro azioni, cioè le funzioni. Le funzioni sono<br />

<strong>qui</strong>n<strong>di</strong> grandezze costanti della fiaba, i nomi e gli attributi dei personaggi sono grandezze variab<strong>il</strong>i:<br />

“Per l’analisi della favola è <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> importante che cosa fanno i personaggi e non chi fa e come fa,<br />

problemi, questi ultimi, <strong>di</strong> carattere accessorio.” [Propp 1928: 26] Il numero delle funzioni che<br />

compaiono nella favola <strong>di</strong> magia è limitato e Propp ne identifica trentuno: le prime sette designano<br />

funzioni preparatorie; con la funzione successiva, la mancanza, ha inizio l’azione narrativa vera e<br />

propria. Ecco in sintesi le funzioni elaborate da Propp.<br />

I. Allontanamento. Uno dei membri della famiglia si allontana dalla casa: a volte si allontanano i<br />

genitori, a volte i figli.<br />

II. Divieto. All’eroe è imposto un <strong>di</strong>vieto; esempi: «In questo ripostiglio non dovrai guardare»;<br />

«Custo<strong>di</strong>sci <strong>il</strong> fratellino, non uscire dal cort<strong>il</strong>e».<br />

III. Infrazione. Il <strong>di</strong>vieto è infranto: le infrazioni corrispondono alle forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieto e a questo<br />

punto entra in scena l’antagonista, <strong>il</strong> cui ruolo è quello <strong>di</strong> turbare la pace della famiglia;<br />

l’antagonista può essere <strong>il</strong> drago, <strong>il</strong> <strong>di</strong>avolo, i ban<strong>di</strong>ti, la strega, la matrigna, ecc.<br />

IV. Investigazione. L’antagonista tenta una ricognizione: l’investigazione <strong>di</strong> solito ha lo scopo <strong>di</strong><br />

scoprire dove si trovino i fanciulli, o gli oggetti preziosi, ecc.<br />

V. Delazione. L’antagonista riceve informazioni sulla sua vittima: l’antagonista può ricevere<br />

<strong>di</strong>rettamente risposta alla sua domanda, per esempio lo scalpello risponde all’orso: «Portami nel<br />

cort<strong>il</strong>e e buttami in terra; dove mi inf<strong>il</strong>erò tu scava».<br />

VI. Tranello. L’antagonista tenta <strong>di</strong> ingannare la vittima per impadronirsi <strong>di</strong> lei o dei suoi averi:<br />

prima <strong>di</strong> tutto l’antagonista muta aspetto, si trasforma; poi tenta <strong>di</strong> ingannare la vittima attraverso la<br />

persuasione, o impiegando mezzi magici, o ricorrendo all’inganno e alla violenza.<br />

17


VII. Connivenza. La vittima cade nell’inganno e con ciò favorisce involontariamente <strong>il</strong> nemico:<br />

in vari mo<strong>di</strong> l’eroe si fa convincere dall’antagonista.<br />

VIII. Danneggiamento. L’antagonista arreca danno o menomazione a uno dei membri della<br />

famiglia: è una funzione molto importante perché segna <strong>il</strong> pas<strong>saggio</strong> dalla fase preparatoria della<br />

favola all’azione narrativa vera e propria. L’antagonista rapisce qualcuno, o estorce <strong>il</strong> mezzo<br />

magico, o saccheggia e devasta <strong>il</strong> raccolto, o compie una rapina, o arreca una mut<strong>il</strong>azione, o<br />

provoca una scomparsa, ecc.<br />

VIIIa. Mancanza. A uno dei membri della famiglia manca qualcosa o viene <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong><br />

qualcosa: è un’alternativa alla funzione del danneggiamento; può mancare una fidanzata, o un<br />

mezzo magico, o oggetti particolari. In ogni caso le funzioni del danneggiamento o della mancanza<br />

non possono mancare in nessuna favola del corpus stu<strong>di</strong>ato da Propp.<br />

IX. Me<strong>di</strong>azione. La sciagura o mancanza è resa nota ed entra in gioco l’eroe, al quale ci si<br />

rivolge con una preghiera o con un or<strong>di</strong>ne, e poi lo si manda o lo si lascia andare. L’eroe può essere<br />

<strong>di</strong> due tipi: Ivan che parte alla ricerca della fanciulla rapita è un eroe cercatore; se la favola segue<br />

solo le peregrinazioni della fanciulla rapita, allora sarà lei l’eroe vittima.<br />

X. Inizio della reazione. Il cercatore acconsente o si decide a reagire. Naturalmente questa<br />

funzione è presente solo nelle favole in cui è presente un eroe cercatore e manca se sono presenti<br />

eroi vittime.<br />

XI. Partenza. L’eroe abbandona la casa. Le quattro funzioni <strong>di</strong> mancanza/danneggiamento,<br />

me<strong>di</strong>azione, reazione e partenza costituiscono l’esor<strong>di</strong>o della favola. A questo punto si sv<strong>il</strong>uppa la<br />

vicenda vera e propria.<br />

XII. Prima funzione del donatore. L’eroe incontra un «donatore» ben <strong>di</strong>sposto o reticente, subito<br />

pronto all’aiuto o dapprima ost<strong>il</strong>e, e questi lo mette alla prova in vari mo<strong>di</strong>. Alcuni esempi in cui <strong>il</strong><br />

donatore mette alla prova l’eroe: la baba-jaga assegna lavori domestici alla fanciulla; i bogatyri del<br />

bosco propongono all’eroe <strong>di</strong> servire tre anni; <strong>il</strong> drago sfida a sollevare un pesante masso.<br />

XIII. Reazione dell’eroe. L’eroe reagisce all’operato del futuro donatore in modo positivo o<br />

negativo.<br />

XIV. Conseguimento del mezzo magico. Il mezzo magico perviene in possesso dell’eroe. I mezzi<br />

magici possono essere animali, oggetti, poteri particolari, e possono essere trasmessi <strong>di</strong>rettamente,<br />

oppure venduti e ac<strong>qui</strong>stati ecc.<br />

XV. Trasferimento nello spazio tra due reami. Di solito l’oggetto delle ricerche si trova in un<br />

altro reame, che può essere situato molto lontano in linea orizzontale o a grande altezza o profon<strong>di</strong>tà<br />

in senso verticale. Quin<strong>di</strong> l’eroe si trasferisce, è portato o condotto sul luogo in cui si trova l’oggetto<br />

delle sue ricerche: vola attraverso l’aria, viaggia per via <strong>di</strong> terra o d’acqua, si serve <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong><br />

comunicazione ecc.<br />

XVI. Lotta. L’eroe e l’antagonista ingaggiano <strong>di</strong>rettamente la lotta: essi si battono in campo<br />

aperto, o entrano in competizione, o giocano a carte.<br />

XVII. Marchiatura. All’eroe è impresso un marchio: può subire una ferita durante <strong>il</strong><br />

combattimento, oppure la figlia del re gli fa un piccolo segno sulla guancia con <strong>il</strong> coltello, ecc.<br />

XVIII. Vittoria. L’antagonista è vinto.<br />

XIX. Rimozione della sciagura o della mancanza. Con la funzione <strong>di</strong> rimozione della sciagura o<br />

della mancanza iniziale la narrazione raggiunge l’acme. L’eroe recupera la figlia del re, o l’anello, o<br />

comunque l’oggetto della sua ricerca.<br />

XX. Ritorno. L’eroe ritorna.<br />

XXI. Persecuzione. L’eroe è sottoposto a persecuzione e i persecutori possono prendere le forme<br />

<strong>di</strong> animali <strong>di</strong>versi, <strong>di</strong> oggetti allettanti, ecc.<br />

XXII. Salvataggio. L’eroe si salva dalla persecuzione fuggendo, o trasformandosi, o<br />

nascondendosi. Con la sconfitta del persecutore moltissime favole hanno termine, ma in alcuni casi<br />

18


la favola costringe l’eroe a sopportare una nuova sciagura. All’eroe viene ritolto quello che ha<br />

con<strong>qui</strong>stato e così ricomincia tutto da capo, con una serie <strong>di</strong> funzioni che portano l’eroe a<br />

ricomporre <strong>il</strong> danneggiamento. A partire da questo momento compaiono nuove funzioni.<br />

XXIII. Arrivo in incognito. L’eroe arriva in incognito a casa o in un altro paese.<br />

XXIV. Pretese infondate. Entra in scena <strong>il</strong> falso eroe: se l’eroe arriva a casa, i fratelli si<br />

spacciano per i con<strong>qui</strong>statori della preda; se invece arriva in un altro regno e serve <strong>il</strong> re come cuoco<br />

o come stalliere, <strong>il</strong> generale si spaccia per vincitore del drago.<br />

XXV. Compito <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e. All’eroe è proposto un compito <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, e questo è uno degli elementi<br />

pred<strong>il</strong>etti della favola. Può trattarsi <strong>di</strong> una prova del cibo, <strong>di</strong> una prova del fuoco, <strong>di</strong> un indovinello,<br />

<strong>di</strong> una scelta, <strong>di</strong> una prova <strong>di</strong> forza o <strong>di</strong> destrezza, ecc.<br />

XXVI. Adempimento. Il compito è eseguito.<br />

XXVII. Identificazione. L’eroe è riconosciuto per aver eseguito <strong>il</strong> compito <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e o per via <strong>di</strong><br />

un segno particolare che lo contrad<strong>di</strong>stingue, una marchio (ferita) o un oggetto a lui donato<br />

(anellino, panno).<br />

XXVIII. Smascheramento. Il falso eore o l’antagonista è smascherato: questa funzione è in gran<br />

parte collegata alla precedente.<br />

XXIX. Trasfigurazione. L’eroe assume nuove sembianze.<br />

XXX. Punizione. L’antagonista è punito, ucciso, scacciato, costretto al suici<strong>di</strong>o. Alcune volte<br />

l’antagonista viene perdonato.<br />

XXXI. Nozze. L’eroe si sposa e sale al trono.<br />

Propp constata che le funzioni sono in numero assai limitato, che entro questi limiti si sv<strong>il</strong>uppa la<br />

vicenda <strong>di</strong> tutte le favole del suo corpus, e che le funzioni sono orientate, concatenate cioè da una<br />

necessità logica in virtù della quale ognuna deriva dall’antecedente. Questo schema rappresenta per<br />

le favole, secondo Propp, un’unità <strong>di</strong> misura, nel senso che le favole possono essere commisurate<br />

allo schema e che su questa base si possono stab<strong>il</strong>ire i rapporti che intercorrono tra esse. La<br />

successione delle funzioni è sempre identica, tuttavia ogni fiaba attualizza soltanto un numero<br />

limitato <strong>di</strong> funzioni, senza che l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> successione ne risulti mo<strong>di</strong>ficato. Le fiabe <strong>di</strong>fferiscono tra<br />

loro proprio perché selezionano alcune funzioni tra quelle <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>i.<br />

A questo punto Propp prova a esaminare come le funzioni si <strong>di</strong>stribuiscono secondo i<br />

personaggi, che fino a questo punto erano stati espunti dall’analisi. Egli nota che alcune funzioni<br />

possono essere riunite in sfere determinate, che corrispondono nel complesso agli esecutori e<br />

rappresentano <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> sfere d’azione. Propp ne in<strong>di</strong>vidua sette: 1) sfera d’azione dell’antagonista, 2)<br />

sfera d’azione del donatore, 3) sfera d’azione dell’aiutante, 4) sfera d’azione del personaggio<br />

cercato, 5) sfera d’azione del mandante, 6) sfera d’azione dell’eroe, 7) sfera d’azione del falso eroe.<br />

Greimas ha voluto <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare nel lavoro <strong>di</strong> Propp un modello – perfezionab<strong>il</strong>e – che<br />

poteva servire come punto <strong>di</strong> partenza per la comprensione dei principi <strong>di</strong> organizzazione <strong>di</strong> tutti i<br />

<strong>di</strong>scorsi narrativi. Gli strumenti della narratologia proppiana <strong>di</strong>ventano così le basi per la<br />

costruzione del livello semio-narrativo del Percorso Generativo (cfr. Figura 4). Nello specifico le<br />

“sfere d’azione” dei personaggi danno vita al modello attanziale, mentre le funzioni narrative<br />

vengono ritradotte nella teoria degli enunciati narrativi.<br />

3.2.2. Gli attanti narrativi<br />

Attraverso una riduzione delle “sfere d’azione” del modello proppiano, Greimas arriva a<br />

delineare gli attanti narrativi, che vanno a costituire la base della grammatica narrativa <strong>di</strong><br />

superficie. Gli attanti sono ruoli sintattici della narratività <strong>di</strong> carattere formale, e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> astratti e<br />

privi <strong>di</strong> investimenti semantici. Il concetto <strong>di</strong> attante comprende non soltanto gli esseri umani ma<br />

19


anche gli animali, gli oggetti o i concetti. Nella teoria <strong>di</strong> Greimas gli attanti sono sei, organizzati in<br />

tre categorie: 1) Soggetto/Oggetto, 2) A<strong>di</strong>uvante/Opponente, 3) Destinante/Destinatario.<br />

1) Soggetto e Oggetto costituiscono <strong>il</strong> nucleo del modello attanziale. Tra i due attanti si pone una<br />

relazione basata sul desiderio, e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> sulla ricerca. L’Oggetto non è considerato dal punto <strong>di</strong> vista<br />

della sua essenza, ma in quanto luogo <strong>di</strong> investimento <strong>di</strong> valori. Quando una persona vuole<br />

un’automob<strong>il</strong>e, scrive Greimas, 17 forse non vuole tanto un oggetto quanto un mezzo <strong>di</strong> spostamento<br />

rapido, o un po’ <strong>di</strong> prestigio sociale, o un senso intimo <strong>di</strong> potenza. L’oggetto automob<strong>il</strong>e <strong>di</strong>venta<br />

allora un pretesto, un luogo in cui si riuniscono e si fissano determinati valori. Poiché la narratività<br />

si basa sulla relazione tra i due attanti Soggetto/Oggetto, <strong>il</strong> valore investito nell’Oggetto desiderato<br />

<strong>di</strong>venta <strong>di</strong> colpo <strong>il</strong> valore del Soggetto. Il Soggetto infatti incontra <strong>il</strong> valore nella ricerca<br />

dell’Oggetto e la sua stessa esistenza <strong>di</strong>pende dalla sua relazione con <strong>il</strong> valore. Lo schema sintattico<br />

elementare guida <strong>il</strong> Soggetto alla ricerca dei valori investiti in un Oggetto: pertanto Soggetti e<br />

Oggetti si interdefiniscono reciprocamente e ac<strong>qui</strong>stano esistenza semiotica solo in funzione <strong>di</strong><br />

questa relazione.<br />

2) Di solito l’impresa del Soggetto è contornata da circostanze favorevoli e/o sfavorevoli: in<br />

termini attanziali queste si traducono in A<strong>di</strong>uvanti (animati o inanimati) e Opponenti (anch’essi<br />

animati o inanimati: cioè persone che ostacolano l’azione, oppure ostacoli ambientali,<br />

meteorologici, ecc.).<br />

3) La terza coppia <strong>di</strong> attanti è costituita da Destinante e Destinatario. Ci sono due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

concepire questa coppia attanziale. Nel primo modo un Destinante deve trasferire un Oggetto a un<br />

Destinatario e un Soggetto si incarica <strong>di</strong> realizzare questo trasferimento. Greimas [1966] fa alcuni<br />

esempi. Nella ricerca del Graal <strong>il</strong> Soggetto è l’Eroe e l’Oggetto è <strong>il</strong> Graal, <strong>il</strong> Destinante è Dio e <strong>il</strong><br />

Destinatario è l’Umanità. Quin<strong>di</strong> ci sarebbe un Oggetto, <strong>il</strong> Graal, che deve essere trasferito dal<br />

Destinante-Dio al Destinatario-Umanità, e <strong>il</strong> Soggetto-Eroe si incaricherebbe <strong>di</strong> realizzare questo<br />

trasferimento. Se consideriamo <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong> conoscenza per un dotto f<strong>il</strong>osofo dell’età classica, <strong>il</strong><br />

F<strong>il</strong>osofo è <strong>il</strong> Soggetto e <strong>il</strong> Mondo da conoscere è l’Oggetto: ma <strong>il</strong> Mondo si pone anche come<br />

oggetto della comunicazione tra <strong>il</strong> Destinante, cioè Dio, e <strong>il</strong> Destinatario, cioè l’Umanità. In altri<br />

termini: Dio deve consegnare all’Umanità la conoscenza del Mondo e <strong>il</strong> F<strong>il</strong>osofo è incaricato <strong>di</strong><br />

raggiungere questo obiettivo, con lo Spirito che svolge <strong>il</strong> ruolo <strong>di</strong> A<strong>di</strong>uvante e la Materia quello <strong>di</strong><br />

Opponente. Nell’ideologia marxista, invece, l’Uomo può essere considerato <strong>il</strong> Soggetto e la Società<br />

senza classi l’Oggetto che si colloca tra la Storia in quanto Destinante e l’umanità in quanto<br />

Destinatario. In altri termini: la Storia deve consegnare all’Umanità una Società senza classi, e<br />

l’Uomo è incaricato <strong>di</strong> perseguire questo obiettivo, con <strong>il</strong> Proletariato che svolge <strong>il</strong> ruolo <strong>di</strong><br />

A<strong>di</strong>uvante e la Borghesia quello <strong>di</strong> Opponente.<br />

Il secondo modo caratterizza le fiabe analizzate da Propp, dove un Destinante chiede a un<br />

Destinatario <strong>di</strong> riparare al danneggiamento subito all’inizio e <strong>il</strong> Destinatario, che in genere coincide<br />

con <strong>il</strong> Soggetto-eroe, deve svolgere <strong>il</strong> compito che gli è stato assegnato. I due attanti Destinatario e<br />

Soggetto-eroe sono <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> in sincretismo, vengono cioè investiti in un unico personaggio. In<br />

genere, <strong>qui</strong>n<strong>di</strong>, all’inizio <strong>di</strong> un racconto un Destinante stipula un contratto con un Destinatariosoggetto,<br />

per esempio gli trasmette <strong>il</strong> mandato a compiere una certa azione. Il Destinante, pertanto,<br />

è colui che desidera lo svolgimento <strong>di</strong> una certa azione, e alla fine è colui che ne certifica <strong>il</strong><br />

successo o l’insuccesso con la sanzione. Pren<strong>di</strong>amo l’esempio <strong>di</strong> un testo in cui si descrive la<br />

campagna elettorale <strong>di</strong> un politico. L’uomo politico è <strong>il</strong> Soggetto che deve ottenere determinati<br />

risultati che in<strong>di</strong>chiamo genericamente come <strong>il</strong> benessere della collettività (Oggetto). I citta<strong>di</strong>nielettori<br />

costituiscono certamente <strong>il</strong> Destinante più importante per l’uomo politico, in grado <strong>di</strong><br />

stipulare un contratto che regoli l’attività del Soggetto per l’intero mandato elettorale. Durante<br />

17 Greimas [1973a: 19].<br />

20


l’impresa <strong>il</strong> Soggetto-politico potrà avere degli A<strong>di</strong>uvanti (la stampa, la congiuntura economica, gli<br />

intellettuali, ecc.), o degli Opponenti (critiche autorevoli, attacchi personali, ecc.). Alla fine del<br />

mandato <strong>il</strong> Destinante sanziona <strong>il</strong> politico sulla base del suo operato. Va detto peraltro che sono<br />

frequenti le narrazioni in cui anche Destinante e Destinatario sono in sincretismo, essendo investiti<br />

in un unico attore (l’attante in tal caso stipula un contratto con se stesso).<br />

Accanto al Soggetto c’è sempre un Anti-Soggetto, che fa riferimento a un anti-Destinante e che<br />

svolge un percorso narrativo opposto a quello del Soggetto pur mirando allo stesso Oggetto <strong>di</strong><br />

valore. Si sv<strong>il</strong>uppa così uno schema narrativo elementare fondato su una struttura polemica<br />

complementare, in un certo senso, a quella struttura contrattuale che avvia qualsiasi narrazione: <strong>il</strong><br />

contratto e <strong>il</strong> conflitto sono in fondo le due <strong>di</strong>mensioni all’interno delle quali si muovono le forme<br />

comunicative umane, e <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso narrativo mette in scena queste forme, fatte <strong>di</strong> tensioni e <strong>di</strong> ritorni<br />

all’e<strong>qui</strong>librio.<br />

In Semantica strutturale Greimas descrive in questo modo <strong>il</strong> modello attanziale:<br />

Destinante → Oggetto → Destinatario<br />

↑<br />

A<strong>di</strong>uvante → Soggetto ← Opponente<br />

Figura 11: Greimas [1966: 246]<br />

Si tratta <strong>di</strong> un modello semplice nel quale coesistono due assi: l’asse della comunicazione e<br />

l’asse della ricerca. L’asse della comunicazione prevede che un attante-Destinante trasmetta un<br />

attante-Oggetto (con dei valori) a un attante-Destinatario. L’asse della ricerca riassume <strong>il</strong> modello<br />

delle fiabe analizzate da Propp: un Destinante chiede a un Destinatario <strong>di</strong> ac<strong>qui</strong>sire un Oggetto; <strong>il</strong><br />

Destinatario <strong>di</strong>venta <strong>di</strong> solito <strong>il</strong> Soggetto che effettua questa ricerca, nella quale può essere<br />

sostenuto dagli A<strong>di</strong>uvanti e contrastato dagli Opponenti.<br />

3.2.3. Gli enunciati narrativi<br />

Commentando Propp, 18 Greimas fa notare come nella Morfologia della fiaba vengono e<strong>qui</strong>parate<br />

funzioni che in<strong>di</strong>cano una forma <strong>di</strong> attività, come la “partenza dell’eroe”, e funzioni che designano<br />

piuttosto uno stato, come la “mancanza”. In questo modo sembra che le funzioni in<strong>di</strong>chino le<br />

sequenze del racconto piuttosto che i tipi <strong>di</strong> attività che caratterizzano l’ossatura narrativa del testo.<br />

Per dare una maggiore precisione al linguaggio descrittivo, Greimas traduce la funzione proppiana<br />

nella forma canonica <strong>di</strong> un enunciato narrativo composto da un pre<strong>di</strong>cato – o funzione (F), nel<br />

senso logico <strong>di</strong> relazione – e da un certo numero <strong>di</strong> attanti:<br />

EN = F (A1; A2; …)<br />

Greimas considera la sintassi del testo come una successione <strong>di</strong> enunciati elementari. Gli<br />

enunciati elementari possono essere <strong>di</strong> due tipi:<br />

enunciati binari: EN = Funzione (A1; A2)<br />

18 Greimas [1976c[.<br />

21


enunciati ternari: EN = Funzione (A1; A2; A3)<br />

Negli enunciati binari la funzione svolta dal pre<strong>di</strong>cato è quella <strong>di</strong> creare una relazione tra un<br />

attante che compie l’azione (Soggetto) e un attante che la sopporta (Oggetto):<br />

Funzione (S; O)<br />

Negli enunciati ternari <strong>il</strong> pre<strong>di</strong>cato svolge invece una funzione <strong>di</strong> trasferimento o <strong>di</strong><br />

comunicazione: un primo attante (<strong>il</strong> Destinante D1) trasferisce o comunica un secondo attante<br />

(l’Oggetto O) a un terzo attante (<strong>il</strong> Destinatario D2). Si tratta <strong>di</strong> quella funzione <strong>di</strong><br />

trasferimento/comunicazione che abbiamo già cominciato a vedere nel modello attanziale e su cui<br />

torneremo:<br />

Funzione (D1; O; D2)<br />

Greimas prevede due tipologie <strong>di</strong> enunciati binari: gli enunciati <strong>di</strong> stato e gli enunciati del fare.<br />

Gli enunciati <strong>di</strong> stato stab<strong>il</strong>iscono una relazione <strong>di</strong> giunzione tra un attante Soggetto e un attante<br />

Oggetto. Le possib<strong>il</strong>ità sono <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> le seguenti:<br />

S ∩ O <strong>il</strong> Soggetto è congiunto con l’Oggetto<br />

S ∪ O <strong>il</strong> Soggetto è <strong>di</strong>sgiunto dall’Oggetto<br />

È bene riba<strong>di</strong>re che l’oggetto <strong>di</strong> cui si sta parlando può essere concreto (per esempio un<br />

personaggio ricco sarà in congiunzione col suo denaro: S1∩Oricchezza, ma anche astratto: un<br />

personaggio infelice può essere descritto come <strong>di</strong>sgiunto dalla felicità che, per esempio, aveva in<br />

precedenza: S2∪Ofelicità.<br />

La narrazione, secondo Greimas, non è altro che una trasformazione <strong>di</strong> stati: si passa da stati <strong>di</strong><br />

congiunzione a stati <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgiunzione e viceversa. La trasformazione opera infatti sulla relazione <strong>di</strong><br />

giunzione tra Soggetto e Oggetto. Greimas introduce così gli enunciati del fare, dove un Soggetto<br />

tende a provocare la congiunzione o la <strong>di</strong>sgiunzione <strong>di</strong> un Soggetto (che può essere se stesso o un<br />

altro) rispetto a un Oggetto. Ecco le due possib<strong>il</strong>ità, con la funzione <strong>di</strong> trasformazione in<strong>di</strong>cata dalla<br />

freccia:<br />

S1 → (S2∩O) trasformazione congiuntiva (realizzazione)<br />

S1 → (S2∪O) trasformazione <strong>di</strong>sgiuntiva (virtualizzazione)<br />

dove:<br />

S1 = soggetto del fare<br />

S2 = soggetto <strong>di</strong> stato<br />

La trasformazione congiuntiva può manifestarsi nell’appropriazione, se <strong>il</strong> soggetto del fare<br />

coincide con <strong>il</strong> soggetto <strong>di</strong> stato (è <strong>il</strong> caso in cui un Soggetto si appropria <strong>di</strong> un Oggetto), o<br />

nell’attribuzione, se <strong>il</strong> soggetto del fare è <strong>di</strong>verso dal soggetto <strong>di</strong> stato (è <strong>il</strong> caso in cui un Soggetto<br />

attribuisce – per esempio dona – un Oggetto a un altro Soggetto). La trasformazione <strong>di</strong>sgiuntiva può<br />

manifestarsi nella rinuncia, se <strong>il</strong> soggetto del fare coincide con <strong>il</strong> soggetto <strong>di</strong> stato (è <strong>il</strong> caso in cui<br />

22


un Soggetto rinuncia a un Oggetto), o nella spoliazione, se <strong>il</strong> soggetto del fare è <strong>di</strong>verso dal soggetto<br />

<strong>di</strong> stato (è <strong>il</strong> caso in cui un Soggetto priva dell’Oggetto un altro Soggetto). 19<br />

L’operazione sintattica della grammatica fondamentale corrisponde al fare sintattico della<br />

grammatica <strong>di</strong> superficie. Un fare implica un soggetto umano o almeno antropomorfizzato (la<br />

matita scrive bene). Pertanto vi possono essere enunciati <strong>di</strong> stato congiuntivi o <strong>di</strong>sgiuntivi, e<br />

enunciati del fare che consentono trasformazioni. Greimas definisce in via provvisoria la narratività<br />

come “una o molteplici trasformazioni i cui risultati sono giunzioni, ovvero congiunzioni o<br />

<strong>di</strong>sgiunzioni dei soggetti con gli oggetti.” [Greimas 1973a: 25] Possiamo considerare la narratività –<br />

aggiunge Greimas – come irruzione del <strong>di</strong>scontinuo nella permanenza <strong>di</strong>scorsiva <strong>di</strong> una vita: la<br />

narratività <strong>di</strong>sarticola questa continuità in stati <strong>di</strong>screti tra i quali situa delle trasformazioni. In altri<br />

termini, degli enunciati del fare mo<strong>di</strong>ficano enunciati <strong>di</strong> stato.<br />

Marsciani e Zinna [1991] ipotizzano che nel Conte <strong>di</strong> Montecristo <strong>di</strong> Dumas la fase in cui <strong>il</strong><br />

Conte è prigioniero nella fortezza <strong>di</strong> If possa essere descritta da un enunciato <strong>di</strong> stato (EN1) che<br />

esprime una relazione <strong>di</strong> congiunzione (∩) tra l’attante Soggetto (<strong>il</strong> Conte <strong>di</strong> Montecristo) e<br />

l’attante Oggetto (attante astratto: prigioniero). In seguito alla fuga dal castello, ci si troverà <strong>di</strong><br />

fronte a un nuovo enunciato <strong>di</strong> stato (EN3) che esprime questa volta una relazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgiunzione<br />

(∪) tra l’attante Soggetto (<strong>il</strong> Conte <strong>di</strong> Montecristo) e l’attante Oggetto (prigioniero). Tra i due<br />

enunciati <strong>di</strong> stato si pone un enunciato <strong>di</strong> trasformazione (EN2) che permette <strong>il</strong> pas<strong>saggio</strong> dallo stato<br />

congiuntivo allo stato <strong>di</strong>sgiuntivo:<br />

EN1 EN2 EN3<br />

(S1∩O1) → (S1∪O1)<br />

Nella fase successiva alla fuga <strong>il</strong> Conte <strong>di</strong> Montecristo si trova alla ricerca <strong>di</strong> un tesoro e questa<br />

fase, secondo Marsciani e Zinna, si può rappresentare con un enunciato <strong>di</strong> stato che mostri la<br />

<strong>di</strong>sgiunzione tra l’attante Soggetto e l’Oggetto-tesoro (O2):<br />

EN4: (S∪O2)<br />

Il ritrovamento del tesoro può essere rappresentato da un enunciato <strong>di</strong> stato che esprima la<br />

congiunzione del Soggetto con l’Oggetto-tesoro (EN6), ma ancora una volta tra i due enunciati <strong>di</strong><br />

stato occorre ipotizzare un enunciato <strong>di</strong> trasformazione EN5 che descriva <strong>il</strong> pas<strong>saggio</strong> tra i due stati:<br />

EN4 EN5 EN6<br />

(S1∪O2) → (S1∩O2)<br />

Da questo esempio risulta forse più chiaro come la narrazione sia in definitiva una<br />

trasformazione <strong>di</strong> stati, dove la trasformazione non è altro che <strong>il</strong> pas<strong>saggio</strong> da uno stato <strong>di</strong><br />

congiunzione a uno stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgiunzione e viceversa. La sintassi narrativa può <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> essere<br />

rappresentata come una successione sintagmatica <strong>di</strong> enunciati.<br />

Se gli enunciati a struttura binaria possono esprimere sia stati <strong>di</strong> giunzione che trasformazioni,<br />

gli enunciati a struttura ternaria possono esprimere solo trasformazioni e prendono la forma degli<br />

enunciati traslativi: 20<br />

19 Greimas [1973a: 33-35].<br />

20 Greimas [1969].<br />

ET: (D1→O→D2)<br />

23


Questa struttura ternaria è comune a verbi come «dare», «ricevere», «spe<strong>di</strong>re», «comunicare»,<br />

«scambiare». Una configurazione sintattica semplice è quella che prevede due soggetti orientati<br />

verso un solo oggetto. La situazione prevede un soggetto <strong>di</strong>sgiunto da un oggetto e<br />

contemporaneamente un altro soggetto congiunto con <strong>il</strong> medesimo oggetto: [(S1∪Ov); (S2∩Ov)].<br />

Se ci concentriamo sui soggetti coinvolti nella trasformazione, si può considerare questa procedura<br />

un atto <strong>di</strong> comunicazione: infatti un soggetto del fare S3 sarà incaricato del fare trasformativo.<br />

Greimas 21 specifica che la comunicazione verbale è un caso specifico della comunicazione intesa<br />

nel senso più esteso: si tratta infatti <strong>di</strong> un far sapere, cioè <strong>di</strong> un fare che produce <strong>il</strong> pas<strong>saggio</strong> <strong>di</strong> un<br />

oggetto <strong>di</strong> sapere. La struttura dello scambio prevede invece la presenza <strong>di</strong> due oggetti: l’oggetto al<br />

quale uno dei soggetti rinuncia e un altro oggetto che lo stesso soggetto desidera ardentemente. Lo<br />

scambio può essere virtuale (se <strong>il</strong> soggetto resta in qualche misura “attirato” dall’oggetto che perde)<br />

o realizzato (se si annulla del tutto la relazione del soggetto con l’oggetto che perde). Nella<br />

comunicazione partecipativa, infine, si attribuisce un oggetto senza una rinuncia concomitante. Per<br />

esempio nella comunicazione verbale un soggetto trasmette <strong>il</strong> sapere a un altro soggetto senza<br />

privarsene. Analogamente la regina d’Ingh<strong>il</strong>terra – ricorda Greimas 22 – può delegare tutti i poteri<br />

agli organi costituiti senza per questo cessare <strong>di</strong> essere la sovrana con tutti i suoi poteri.<br />

3.2.4. La sintassi modale e lo schema narrativo canonico<br />

Fin <strong>qui</strong> Greimas si preoccupa <strong>di</strong> ampliare e approfon<strong>di</strong>re gli schemi narratologici messi a punto<br />

soprattutto da Propp (e da Lévi-Strauss), e lo fa all’interno <strong>di</strong> un para<strong>di</strong>gma decisamente antipsicologico:<br />

<strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> attante si sostituisce del tutto a quello <strong>di</strong> personaggio e viene concepito<br />

come un puro fare, a prescindere dai suoi caratteri tipologici, psicologici, passionali. Eppure, si<br />

chiede Greimas, 23 perché alcuni soggetti sono più capaci <strong>di</strong> altri nella ricerca degli oggetti <strong>di</strong> valore?<br />

Perché sono più “competenti”, hanno cioè delle capacità o delle ab<strong>il</strong>ità maggiori. Analogamente,<br />

che cosa spinge i soggetti a ricercare degli oggetti? Il fatto che i valori investiti negli oggetti siano<br />

desiderab<strong>il</strong>i. Vi è <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> un carico modale che va a sovradeterminare sia <strong>il</strong> soggetto del fare,<br />

costituendo la sua competenza modale, sia l’oggetto, costituendo la sua esistenza modale (che si<br />

ripercuote sul soggetto <strong>di</strong> stato). In altri termini: <strong>il</strong> sistema canonico degli enunciati può essere<br />

applicato a testi che si basano su azioni ben chiare, dove siano reperib<strong>il</strong>i stati <strong>di</strong> congiunzione e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sgiunzione; ma cosa <strong>di</strong>re <strong>di</strong> quei testi complessi in cui al centro dell’attenzione non vi sono le<br />

azioni dei personaggi ma, per esempio, conflitti interiori, riflessioni, stati cognitivi? Per <strong>di</strong>rla in altri<br />

termini: una grammatica narrativa pensata come successione <strong>di</strong> enunciati <strong>di</strong> stato e del fare può<br />

servire a capire meglio l’articolazione <strong>di</strong> una fiaba ma potrebbe poco <strong>di</strong> fronte all’Ulisse <strong>di</strong> Joyce o<br />

alla Ricerca del tempo perduto <strong>di</strong> Proust. Ma anche nel caso <strong>di</strong> testi non letterari (conversazioni,<br />

comizi, ecc.), appare evidente che l’interesse non può essere circoscritto alle azioni e alle<br />

trasformazioni narrative, essendo fondamentale ciò che fa agire e trasformare le situazioni, e cioè la<br />

<strong>di</strong>mensione cognitiva degli attanti.<br />

Secondo Greimas tale <strong>di</strong>mensione può cominciare a essere descritta attraverso le modalità. Dal<br />

punto <strong>di</strong> vista sintattico un pre<strong>di</strong>cato si definisce modale quando mo<strong>di</strong>fica un secondo pre<strong>di</strong>cato<br />

precedendolo posizionalmente nella catena sintagmatica della frase, come nel caso <strong>di</strong> «Eva vuole<br />

prendere la mela», dove “volere” funge da pre<strong>di</strong>cato modale che mo<strong>di</strong>fica <strong>il</strong> pre<strong>di</strong>cato “prendere”.<br />

21 Greimas [1973a: 33].<br />

22 Greimas [1973a: 41].<br />

23 Nell’Introduzione a Greimas [1983].<br />

24


Se l’enunciato del fare prevede una trasformazione, e dunque una performanza, ricorrendo ai verbi<br />

modali delle lingue naturali possiamo descrivere questa situazione con la struttura modale del faressere<br />

(l’esempio <strong>di</strong>scorsivo potrebbe essere “prendere una mela” 24 ). Tuttavia abbiamo detto che ci<br />

interessa ciò che fa realizzare la performanza, lo stato cognitivo che consente l’azione, e cioè la<br />

competenza. Ricorrendo alle modalità delle lingue naturali possiamo descrivere la competenza con<br />

la struttura modale dell’essere del fare (l’esempio <strong>di</strong>scorsivo potrebbe essere “voler prendere una<br />

mela” o “dover prendere una mela”). La competenza è insomma quel modo <strong>di</strong> essere che ci<br />

consente <strong>di</strong> eseguire un atto. La performanza presuppone la competenza, e le due strutture modali,<br />

insieme, costituiscono quello che Greimas definisce atto pragmatico: se Eva prende la mela<br />

(performanza) è perché Eva voleva prendere la mela (competenza presupposta dall’atto).<br />

Se la performanza è <strong>il</strong> “fare che modalizza l’essere”, e la competenza è “l’essere che modalizza<br />

<strong>il</strong> fare”, restano da registrare due combinazioni possib<strong>il</strong>i: “<strong>il</strong> fare che modalizza <strong>il</strong> fare”, e “l’essere<br />

che modalizza l’essere”. Il “fare che modalizza <strong>il</strong> fare” è una forma <strong>di</strong> manipolazione: <strong>il</strong> serpente fa<br />

in modo che Eva prenda <strong>il</strong> frutto dell’albero (l’esempio <strong>di</strong>scorsivo potrebbe essere “far prendere<br />

una mela”). Si tratta dunque <strong>di</strong> un fare persuasivo, va però precisato che <strong>il</strong> soggetto modalizzatore<br />

deve comunque mo<strong>di</strong>ficare la competenza del soggetto modalizzato affinché si <strong>di</strong>sponga a eseguire<br />

la performanza: <strong>di</strong> conseguenza anche <strong>il</strong> fare del soggetto modalizzatore, in definitiva, è un faressere.<br />

L’“essere che modalizza l’essere” è una forma <strong>di</strong> sanzione: è <strong>il</strong> momento in cui Eva,<br />

ascoltando le parole del serpente, crede che l’oggetto sia investito <strong>di</strong> potere (“credere nel potere<br />

della mela”); oppure può essere inteso come <strong>il</strong> momento in cui si giu<strong>di</strong>ca un certo atto. Ecco una<br />

rappresentazione sintagmatica delle quattro strutture modali, che prende <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> schema<br />

narrativo canonico:<br />

MANIPOLAZIONE SANZIONE<br />

far-fare essere dell’essere<br />

performanza cognitiva <strong>di</strong> S2 competenza cognitiva <strong>di</strong> S2<br />

COMPETENZA <strong>di</strong> S1 PERFORMANZA <strong>di</strong> S1<br />

essere del fare far-essere<br />

atto pragmatico<br />

Figura 12: Schema narrativo canonico – Greimas [1976d: 73] 25<br />

In questi termini l’atto pragmatico è l’insieme <strong>di</strong> una competenza e <strong>di</strong> una performanza e risulta<br />

collocato in un quadro contrattuale all’interno del quale la manipolazione e la sanzione<br />

costituiscono due momenti essenziali. Nel momento della manipolazione un Destinante (S2) fa sì<br />

che un soggetto (S1) faccia un’azione. La manipolazione si caratterizza <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> come un’azione<br />

dell’uomo su altri uomini, con lo scopo <strong>di</strong> far eseguire loro un programma: si tratta in sostanza <strong>di</strong><br />

una comunicazione (destinata a far-sapere) in cui <strong>il</strong> destinante-manipolatore spinge <strong>il</strong> destinatariomanipolato<br />

ad accettare <strong>il</strong> contratto proposto attraverso la tentazione (quando viene proposto un<br />

oggetto <strong>di</strong> valore positivo), o l’intimidazione (quando viene proposto un oggetto negativo), o la<br />

provocazione (“Tu sei incapace <strong>di</strong>…), o la seduzione (con un giu<strong>di</strong>zio positivo). Nel momento della<br />

sanzione <strong>il</strong> Destinante giu<strong>di</strong>ca l’atto compiuto da S1. Destinante e Destinatario devono in buona<br />

24 Alcuni esempi che seguono sono ripresi da Marsciani e Zinna [1991].<br />

25 Lo schema riporta le integrazioni <strong>di</strong> Magli e Pozzato [1983: XIII].<br />

25


sostanza stipulare un contratto definendo obblighi e ricompense. Il contratto può anche essere<br />

interpretato come una forma <strong>di</strong> scambio poiché un Destinante propone qualcosa a un Destinatario in<br />

cambio <strong>di</strong> qualcosa. Tuttavia un esame attento delle <strong>di</strong>namiche contrattuali mostra come questo<br />

scambio sia <strong>di</strong> natura essenzialmente cognitiva poiché le due parti devono accordarsi sul valore<br />

dell’oggetto che riceveranno in contropartita. Si tratta <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>ire un contratto fiduciario<br />

attraverso un fare persuasivo e un fare interpretativo dei due soggetti.<br />

Greimas ritiene importante soffermarsi sulla competenza: in effetti l’essere, lo stato della<br />

competenza, è un’istanza potenziale, un luogo <strong>di</strong> tensione tra un punto <strong>di</strong> partenza e un punto in cui<br />

l’essere e <strong>il</strong> fare si realizzano. Questo stato <strong>di</strong> tensione può essere descritto con articolazioni più<br />

sott<strong>il</strong>i sotto forma <strong>di</strong> sovradeterminazioni modali. Greimas propone un inventario <strong>di</strong><br />

surmodalizzazioni della competenza, cioè una lista <strong>di</strong> quattro modalità: /volere/, /dovere/, /potere/,<br />

/sapere/. La competenza può essere pensata pertanto come una catena orientata <strong>di</strong> modalità:<br />

dovere o volere → sapere → potere<br />

Un soggetto, sulla base <strong>di</strong> un contratto con un Destinante-manipolatore, deve o vuole fare<br />

qualcosa, e per questa ragione ac<strong>qui</strong>sisce una competenza, <strong>il</strong> saper fare, cui deve seguire<br />

l’ac<strong>qui</strong>sizione <strong>di</strong> un poter fare (per esempio un permesso). Infine la performanza, cioè <strong>il</strong> far-essere,<br />

realizza l’azione. Con la strumentazione modale possiamo <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> rendere conto dei conflitti<br />

interiori dei soggetti: all’interno <strong>di</strong> uno stesso attore possono coesistere in maniera polemica un<br />

non-dover-fare e un voler-fare, dando luogo a una lotta che si sv<strong>il</strong>uppa interamente nella<br />

<strong>di</strong>mensione cognitiva. Dal che risulta evidente come con la teoria delle modalità <strong>il</strong> metalinguaggio<br />

semiotico aumenti considerevolmente le proprie potenzialità descrittive.<br />

Come si può notare, dall’organizzazione canonica degli enunciati narrativi alla sintassi modale <strong>il</strong><br />

panorama cambia sensib<strong>il</strong>mente: da una semplice circolazione <strong>di</strong> oggetti si passa alla descrizione<br />

dei carichi modali: due soggetti che desiderano un oggetto avranno competenze modali ineguali, e<br />

l’oggetto <strong>di</strong> valore ricercato avrà a sua volta le proprie attribuzioni modali. In Propp soggetti e<br />

oggetti erano fortemente iconizzati e costituivano la sola <strong>di</strong>mensione pragmatica del racconto. Ora<br />

c’è un cambiamento qualitativo nella descrizione: abbiamo competizioni e interazioni cognitive tra<br />

soggetti dotati <strong>di</strong> competenze modali <strong>di</strong>verse che intendono appropriarsi <strong>di</strong> oggetti modalizzati. La<br />

sintassi narrativa <strong>di</strong> superficie <strong>di</strong>venta così una sintassi modale che rende conto della <strong>di</strong>mensione<br />

cognitiva.<br />

3.2.5. I Programmi Narrativi<br />

Viene definito programma narrativo (abbreviato in PN) l’unità elementare della sintassi<br />

narrativa <strong>di</strong> superficie, costituita da un enunciato del fare che regge un enunciato <strong>di</strong> stato; i<br />

programmi narrativi in<strong>di</strong>cano sintatticamente gli scopi e le azioni dei soggetti e possono essere<br />

espressi come enunciati <strong>di</strong> traformazione congiuntiva o <strong>di</strong>sgiuntiva:<br />

PN = F[S1→(S2∩Ov)]<br />

PN = F[S1→(S2∪Ov)]<br />

Il programma narrativo è pertanto da intendere come un cambiamento <strong>di</strong> stato effettuato da un<br />

soggetto (S1) qualunque su un soggetto (S2) qualunque. Questo assetto sintattico semplice può<br />

talvolta essere complessificato: un PN semplice si trasforma in PN complesso quando esige la<br />

realizzazione preventiva <strong>di</strong> un altro PN: è <strong>il</strong> caso della scimmia che per raggiungere la banana deve<br />

26


anzitutto cercare un bastone. 26 Il PN generale è detto PN <strong>di</strong> base (raggiungere la banana), mentre i<br />

PN presupposti e necessari sono detti PN d’uso (cercare un bastone, ecc.) e <strong>il</strong> loro numero <strong>di</strong>pende<br />

dalla complessità del compito da eseguire. I PN d’uso, che servono a produrre l’effetto <strong>di</strong> senso <strong>di</strong><br />

“<strong>di</strong>fficoltà” o <strong>di</strong> “carattere estremo” del compito, possono essere realizzati sia dal soggetto stesso,<br />

sia da un altro soggetto delegato dal primo: in quest’ultimo caso si parla <strong>di</strong> PN annesso.<br />

3.3. Strutture <strong>di</strong>scorsive<br />

Le strutture semio-narrative, secondo Greimas, costituiscono quella competenza semiotica<br />

generale presupposta da qualunque produzione <strong>di</strong>scorsiva. In questo senso esse ritraducono in un<br />

quadro semiotico più articolato <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> langue <strong>di</strong> Saussure o <strong>di</strong> sistema <strong>di</strong> Hjelmslev. Ogni<br />

enunciatore che si accinga a produrre un <strong>di</strong>scorso si trova dunque questa base semio-culturale che<br />

gli preesiste e che egli ha <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> attivare. Il pas<strong>saggio</strong> dal livello delle strutture semionarrative<br />

al livello delle strutture <strong>di</strong>scorsive è denominato convocazione proprio perché chi vuole<br />

produrre un <strong>di</strong>scorso convoca una serie <strong>di</strong> conoscenze e capacità che gli sono offerte da questi<br />

repertori narrativi che sono postulati come universali. Nelle strutture <strong>di</strong>scorsive si effettua <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> la<br />

messa-in-<strong>di</strong>scorso delle strutture narrative: i ruoli più o meno astratti delle strutture semio-narrative<br />

vengono trasformati in una narratività meno astratta, con attori ben definiti che sono collocati in un<br />

quadro temporale e spaziale dove si inscrivono i programmi narrativi che provengono dalle strutture<br />

soggiacenti. In altri termini, comincia la vera e propria messa-in-scena, in un’ottica narrativa<br />

pienamente umana.<br />

Per descrivere tecnicamente <strong>il</strong> pas<strong>saggio</strong> dalla competenza semio-narrativa alle strutture<br />

<strong>di</strong>scorsive è necessario prevedere, secondo Greimas, un soggetto enunciatore, cioè un’istanza<br />

in<strong>di</strong>viduale che prenda in carico la competenza socio-culturale ancora virtuale e la attualizzi sotto<br />

forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso. Viene introdotta così l’enunciazione, cioè una istanza <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione attraverso la<br />

quale le virtualità della lingua vengono messe in enunciato-<strong>di</strong>scorso.<br />

Il soggetto enunciatore può essere definito sulla base dei tre parametri “io-<strong>qui</strong>-ora”. Al momento<br />

dell’atto <strong>di</strong> linguaggio l’istanza dell’enunciazione proietta fuori <strong>di</strong> sé, attraverso una operazione che<br />

prende <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> débrayage (letteralmente “<strong>di</strong>sinnesco”), un non-io <strong>di</strong>sgiunto dal soggetto<br />

dell’enunciazione (débrayage attanziale), un non-ora <strong>di</strong>stinto dal tempo dell’enunciazione<br />

(débrayage temporale), e un non-<strong>qui</strong> che si oppone al luogo dell’enunciazione (débrayage<br />

spaziale). Si costituiscono, così, gli elementi della sintassi <strong>di</strong>scorsiva, legata a quelle strategie <strong>di</strong><br />

enunciazione che a seguire vedremo nel dettaglio. Parallelamente <strong>il</strong> soggetto enunciatore convoca le<br />

competenze e i valori del proprio universo culturale e li trasforma in temi e figure nel quadro della<br />

semantica <strong>di</strong>scorsiva:<br />

26 Greimas e Courtés [1979: 257].<br />

27


enunciatore<br />

io<br />

<strong>qui</strong><br />

ora<br />

Istanza dell’Enunciazione<br />

Enunciato-<strong>di</strong>scorso<br />

non-io débrayage attanziale<br />

non-<strong>qui</strong> débrayage spaziale<br />

non-ora débrayage temporale<br />

Strutture semio-narrative<br />

Figura 13<br />

3.3.1. La sintassi <strong>di</strong>scorsiva e la teoria dell’enunciazione<br />

Semantica <strong>di</strong>scorsiva<br />

Tematizzazione<br />

Figurativizzazione<br />

Débrayage attanziale<br />

Il débrayage attanziale ha la funzione <strong>di</strong> proiettare nel <strong>di</strong>scorso la categoria del non-io. Quando<br />

nell’enunciato compaiono i pronomi personali «io» e «tu» – come nei <strong>di</strong>scorsi «in prima persona» –<br />

<strong>il</strong> débrayage si definisce enunciazionale e si parlerà <strong>di</strong> enunciazione enunciata (o riportata). In<br />

questo caso l’enunciato crea l’<strong>il</strong>lusione <strong>di</strong> trovarsi a contatto <strong>di</strong>retto con l’istanza dell’enunciazione<br />

intesa come contesto reale dell’attività linguistica. Tuttavia nessun «io» incontrato nel <strong>di</strong>scorso può<br />

essere considerato come soggetto enunciatore propriamente detto, e nessun «tu» può essere<br />

considerato soggetto enunciatario: si tratterà più precisamente <strong>di</strong> simulacri del soggetto<br />

dell’enunciazione, cioè del modo in cui <strong>il</strong> soggetto dell’enunciazione viene riportato e costruito<br />

all’interno dell’enunciato-<strong>di</strong>scorso. Quando nell’enunciato vengono proiettati soggetti altri (è <strong>il</strong> caso<br />

dei racconti in terza persona in cui compare <strong>il</strong> pronome “egli”) <strong>il</strong> débrayage si definisce enunciativo<br />

e si parlerà <strong>di</strong> enunciato enunciato (o oggettivato): l’enunciato prodotto assume infatti una forma<br />

oggettivata, nel senso che si coglie bene la <strong>di</strong>stanza rispetto alle strutture dell’enunciazione.<br />

L’enunciazione resta pertanto una struttura virtuale e presupposta <strong>di</strong> cui l’enunciato mantiene<br />

traccia attraverso una serie <strong>di</strong> elementi detti marche dell’enunciazione; le <strong>di</strong>verse strategie<br />

enunciazionali possono produrre dal canto loro effetti <strong>di</strong> senso particolari, effetti <strong>di</strong><br />

referenzializzazione attraverso i débrayage enunciazionali, effetti <strong>di</strong> oggettivazione attraverso i<br />

débrayage enunciativi: “Ci possono essere casi in cui <strong>il</strong> soggetto dell’enunciazione viene segnalato<br />

esplicitamente (con un pronome <strong>di</strong> prima persona nella lingua, con un movimento <strong>di</strong> macchina al<br />

cinema, con la rappresentazione del pittore in una tela etc.), oppure casi in cui, viceversa, ogni<br />

traccia della produzione enunciativa viene nascosta (con l’‘egli’ linguistico, le figure <strong>di</strong> prof<strong>il</strong>o in<br />

pittura, la mancanza <strong>di</strong> intrusioni d’autore in letteratura etc.), <strong>di</strong> modo che l’enunciato appare privo<br />

<strong>di</strong> ogni riferimento a chi lo ha prodotto e, dunque, interamente proiettato verso la ‘realtà’ che tende<br />

a rappresentare. Per Greimas, insomma, l’enunciazione è sempre presente nell’enunciato anche<br />

quando non è percepib<strong>il</strong>e, dato che l’assenza della sua esplicitazione – segnalando, ad es. nel<br />

<strong>di</strong>scorso storico, la volontà <strong>di</strong> costruire forme <strong>di</strong> ‘oggettività’ – appare ancora più significativa della<br />

sua presenza.” [Fabbri e Marrone 2001: 12].<br />

All’interno dello stesso enunciato si può assistere poi a una moltiplicazione <strong>di</strong> livelli attraverso i<br />

débrayage interni (<strong>di</strong> secondo o <strong>di</strong> terzo grado): questo accade, per esempio, quando in un <strong>di</strong>alogo<br />

uno degli interlocutori compie un débrayage costruendo a sua volta un racconto all’interno del<br />

quale si installa un secondo <strong>di</strong>alogo. Come fanno notare Greimas e Courtés [1979: 70], “ogni<br />

débrayage interno produce un effetto <strong>di</strong> referenzializzazione: un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> secondo grado,<br />

28


installato all’interno del racconto, dà l’impressione che questo racconto costituisca la «situazione<br />

reale» del <strong>di</strong>alogo e, inversamente, un racconto, sv<strong>il</strong>uppato a partire da un <strong>di</strong>alogo inscritto nel<br />

<strong>di</strong>scorso, referenzializza questo <strong>di</strong>alogo”.<br />

Nel quadro della <strong>di</strong>scorsivizzazione, l’attorializzazione in<strong>di</strong>ca le procedure attraverso le quali si<br />

istituiscono gli attori del <strong>di</strong>scorso. Rispetto alla categoria letteraria <strong>di</strong> personaggio, l’attore consente<br />

una maggiore generalizzazione: possono essere attori, per esempio, sia un tappeto volante sia una<br />

società commerciale. L’attore può essere in<strong>di</strong>viduale (Paolo) o collettivo (la folla), figurativo<br />

(antropomorfo o zoomorfo) o non figurativo (<strong>il</strong> destino). Un attante può essere manifestato nel<br />

<strong>di</strong>scorso da molti attori e un solo attore può essere <strong>il</strong> sincretismo <strong>di</strong> molti attanti:<br />

1): 2): 3):<br />

A1 A1 A2 A3 A1<br />

a1 a1 a1 a2 a3<br />

Figura 14: Greimas [1973b: 45]<br />

Tra l’attante e l’attore ci può essere un rapporto univoco (caso 1: l’attante del Destinante viene<br />

personificato dal re); oppure un attore può rappresentare un sincretismo <strong>di</strong> più attanti (caso 2: <strong>il</strong> re<br />

parte egli stesso per recuperare la principessa); oppure ancora una posizione attanziale può essere<br />

ricoperta da più attori (caso 3: tre eroi vanno alla ricerca della principessa scomparsa).<br />

Débrayage spaziale<br />

Il débrayage spaziale ha la funzione <strong>di</strong> proiettare nel <strong>di</strong>scorso la categoria del non-<strong>qui</strong>. Il<br />

débrayage spaziale produce lo spazio «oggettivo» dell’enunciato che si può in<strong>di</strong>care come spazio<br />

dell’altrove, rispetto al quale lo spazio dell’enunciazione rimane uno spazio virtuale e presupposto.<br />

Anche in questo caso possiamo avere casi <strong>di</strong> enunciazione enunciata proiettando nel <strong>di</strong>scorso un<br />

«<strong>qui</strong>» che produce un simulacro dello spazio <strong>di</strong> enunciazione. Nel tentativo <strong>di</strong> dotarsi <strong>di</strong> categorie<br />

topologiche che possano servire per descrivere la spazialità dell’enunciato Greimas e Courtés<br />

[1979: 71] propongono una categoria tri<strong>di</strong>mensionale che preveda gli assi della orizzontalità, della<br />

verticalità e della prospettività, da integrare eventualmente con altre categorie relative ai volumi<br />

(del tipo inglobante/inglobato) o alle superfici (del tipo circondante/circondato).<br />

Nel quadro della <strong>di</strong>scorsivizzazione le procedure con le quali l’enunciato-<strong>di</strong>scorso viene dotato<br />

<strong>di</strong> un’organizzazione spaziale autonoma prendono <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> spazializzazione. Rientra in queste<br />

procedure la localizzazione spaziale, che permette <strong>di</strong> situare spazialmente, gli uni in rapporto agli<br />

altri, gli attanti e i programmi narrativi. Secondo Greimas la localizzazione spaziale deve scegliersi<br />

dapprima uno spazio <strong>di</strong> riferimento – uno spazio zero – a partire dal quale gli altri spazi parziali<br />

possono essere <strong>di</strong>sposti: lo spazio <strong>di</strong> riferimento viene definito spazio topico, e gli spazi a<strong>di</strong>acenti<br />

(quelli <strong>di</strong> “<strong>di</strong>etro” e “davanti”) eterotopici. Lo spazio topico viene sottoarticolato in: spazio utopico,<br />

luogo delle performanze (dove si svolgono le azioni, dove <strong>il</strong> Soggetto si congiunge con l’Oggetto<br />

desiderato), e spazi paratopici, luoghi in cui si ac<strong>qui</strong>siscono le competenze (dove <strong>il</strong> Soggetto si<br />

prepara a svolgere l’azione, ac<strong>qui</strong>sisce delle ab<strong>il</strong>ità, delle capacità, ottiene dei permessi, ecc.). In<br />

seguito alla localizzazione spaziale, si può organizzare la concatenazione sintagmatica degli spazi<br />

parziali: si tratta della programmazione spaziale, con la quale si mettono in correlazione i<br />

comportamenti programmati dei soggetti (dei loro programmi narrativi) con gli spazi che essi usano<br />

(per esempio: cucina + sala da pranzo; camera + bagno + w.c., ecc.).<br />

29


Débrayage temporale<br />

Il débrayage temporale ha la funzione <strong>di</strong> proiettare nel <strong>di</strong>scorso la categoria del non-ora. Il<br />

débrayage temporale produce un tempo del <strong>di</strong>scorso che si può in<strong>di</strong>care come un allora, autonomo<br />

rispetto al tempo dell’enunciazione (ora). Anche in questo caso possiamo avere l’enunciazione<br />

enunciata, proiettando nel <strong>di</strong>scorso un «ora» che produce un simulacro dell’istanza <strong>di</strong> enunciazione.<br />

Nel quadro della <strong>di</strong>scorsivizzazione le procedure con le quali si dota l’enunciato-<strong>di</strong>scorso <strong>di</strong><br />

un’organizzazione temporale autonoma prendono <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> temporalizzazione. Rientra in queste<br />

procedure la localizzazione temporale, attraverso la quale si organizzano le successioni temporali e<br />

si collocano temporalmente, gli uni in rapporto agli altri, i <strong>di</strong>versi programmi narrativi del <strong>di</strong>scorso.<br />

Il débrayage istituisce nel <strong>di</strong>scorso due posizioni temporali zero: <strong>il</strong> tempo <strong>di</strong> allora (o tempo<br />

enunciativo), e <strong>il</strong> tempo <strong>di</strong> ora (o tempo dell’enunciazione). Ecco la categoria topologica che<br />

<strong>di</strong>venta sistema <strong>di</strong> riferimento per le <strong>di</strong>verse articolazioni temporali:<br />

concomitanza / non-concomitanza<br />

anteriorità / posteriorità<br />

Il tempo <strong>di</strong> allora si identifica con la realizzazione del programma narrativo <strong>di</strong> base e può essere<br />

considerato come <strong>il</strong> «presente del racconto». È a partire da questa posizione che la narrazione che<br />

precede si presenta come una anteriorità, mentre i racconti profetici o premonitori si collocano<br />

nella posteriorità. Attraverso la programmazione temporale si <strong>di</strong>spongono i programmi narrativi in<br />

un asse delle consecuzioni secondo la categoria <strong>di</strong> anteriorità/posteriorità. Oltre a questo, la<br />

programmazione temporale implica una misura del tempo in durate: tutti i programmi narrativi<br />

d’uso sono valutati in quanto processi durativi e la procedura <strong>di</strong> perio<strong>di</strong>zzazione dei programmi<br />

narrativi d’uso viene vista in funzione della realizzazione del programma narrativo <strong>di</strong> base. La<br />

programmazione temporale tiene conto anche della possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> programmare in concomitanza due<br />

o più programmi narrativi, per esempio attraverso la procedura <strong>di</strong> inclusione, che permette <strong>di</strong><br />

collocare in una durata più lunga una durata più corta. Un PN può entrare in uno stato <strong>di</strong> “attesa”, <strong>di</strong><br />

non-fare, che permette <strong>di</strong> eseguire un PN2; oppure si può installare un soggetto delegato (per<br />

esempio un aiuto cuoco) che esegue simultaneamente un PN2. Infine la temporalità, ricordano<br />

Greimas e Courtés [1979], può essere aspettualizzata: l’incoatività coglie l’azione nel suo momento<br />

iniziale, la duratività coglie l’azione nel suo <strong>di</strong>spiegarsi, la terminatività coglie l’azione nel suo<br />

momento finale.<br />

Embrayage<br />

Se <strong>il</strong> débrayage è la proiezione da parte dell’istanza dell’enunciazione <strong>di</strong> attori, tempi e spazi nel<br />

<strong>di</strong>scorso, in un movimento che va dall’enunciazione all’enunciato, si può dare anche <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> un<br />

movimento inverso, che simula <strong>il</strong> ritorno dall’enunciato all’enunciazione: si tratta dell’embrayage,<br />

che designa appunto l’effetto <strong>di</strong> ritorno all’enunciazione. Si ha embrayage quando si produce un<br />

effetto <strong>di</strong> identificazione tra <strong>il</strong> soggetto dell’enunciato e <strong>il</strong> soggetto dell’enunciazione. Può essere <strong>il</strong><br />

caso in cui un narratore – dopo essersi eclissato – alla fine <strong>di</strong> un racconto riemerge per rivolgersi ai<br />

lettori; oppure può essere <strong>il</strong> caso in cui un personaggio alla fine del f<strong>il</strong>m guarda nella camera<br />

riportando lo spettatore nel contesto dell’enunciazione (finzione) f<strong>il</strong>mica. Pertanto ogni embrayage<br />

presuppone un’operazione <strong>di</strong> débrayage che lo precede logicamente poiché l’enunciato deve<br />

comunque essere stato prodotto attraverso un débrayage affinché vi si possano riconoscere quegli<br />

elementi che consentono <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> un ritorno all’istanza <strong>di</strong> enunciazione. Questi elementi<br />

possono essere i pronomi «io» e «tu» o altre locuzioni che designano l’enunciatore o l’enunciatario,<br />

«<strong>qui</strong>» e «ora» e altre locuzioni che designano <strong>il</strong> luogo e <strong>il</strong> tempo dell’enunciazione.<br />

30


Il ritorno all’istanza dell’enunciazione – evidentemente – non può che risultare <strong>il</strong>lusorio e va<br />

ricondotto nel quadro degli effetti <strong>di</strong> senso che si possono realizzare attraverso le strategie<br />

enunciazionali. Il ritorno alla fonte dell’enunciazione è infatti impossib<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> soggetto<br />

dell’enunciazione è inaccessib<strong>il</strong>e. L’embrayage è <strong>di</strong> fatto un ritorno a un simulacro, e mai alla<br />

originaria istanza dell’enunciazione.<br />

Caratteri della teoria dell’enunciazione<br />

Come ricordano Greimas e Courtés nel Dizionario, si deve a Em<strong>il</strong>e Benveniste la prima<br />

formulazione dell’enunciazione come istanza della “messa in <strong>di</strong>scorso” della langue saussuriana: tra<br />

la langue concepita come sistema sociale e virtuale, e la parole, ora ridefinita come <strong>di</strong>scorso (cioè<br />

linguaggio messo in atto), Benveniste prevede delle strutture <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione in virtù delle quali <strong>il</strong><br />

sistema sociale della langue può essere preso in carico dai singoli in<strong>di</strong>vidui senza che la lingua si<br />

<strong>di</strong>sperda in un’infinità <strong>di</strong> segni particolari. Secondo Benveniste la conversione della lingua (sociale,<br />

virtuale, assente) in <strong>di</strong>scorso (in<strong>di</strong>viduale, concreto, presente), avviene attraverso l’impiego <strong>di</strong> segni<br />

linguistici particolari come i pronomi personali “io” e “tu” o i deittici “<strong>qui</strong>” e “ora”; questi segni<br />

non costituiscono classi <strong>di</strong> riferimento, nel senso che non c’è un oggetto definib<strong>il</strong>e dal punto <strong>di</strong> vista<br />

<strong>di</strong>zionariale come io o come <strong>qui</strong>: è l’impiego <strong>di</strong> questi segni in concrete situazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso a<br />

stab<strong>il</strong>ire che io si riferisce a una certa persona che sta parlando in una situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso, e che<br />

<strong>qui</strong> in<strong>di</strong>ca un luogo appena evocato in una particolare situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso. Io significa<br />

“l’in<strong>di</strong>viduo che enuncia la presente situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso contenente la situazione linguistica io”, e<br />

tu significa “l’in<strong>di</strong>viduo al quale ci si riferisce allocutivamente nell’attuale situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso<br />

contenente la situazione linguistica tu.” Mentre <strong>il</strong> segno albero ha una classe <strong>di</strong> riferimento (gli<br />

oggetti che rispondono a una definizione del tipo “pianta con fusto eretto e legnoso che nella parte<br />

superiore si ramifica…”), io, tu, <strong>qui</strong> e ora sono “segni vuoti” messi a <strong>di</strong>sposizione dalla lingua e che<br />

gli in<strong>di</strong>vidui ut<strong>il</strong>izzano per fondare la comunicazione intersoggettiva. Il linguaggio ha creato “un<br />

insieme <strong>di</strong> segni «vuoti», non referenziali in rapporto alla «realtà», sempre <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>i, e che<br />

<strong>di</strong>ventano «pieni» non appena un parlante li assume in ogni situazione del suo <strong>di</strong>scorso. […] Il loro<br />

compito è <strong>di</strong> fornire lo strumento <strong>di</strong> una conversione, che possiamo chiamare la conversione del<br />

linguaggio in <strong>di</strong>scorso.” [Benveniste 1966: 304-305] Se ciascun parlante fosse identificab<strong>il</strong>e solo<br />

attraverso <strong>il</strong> nome proprio, avremmo tante lingue quanti sono gli in<strong>di</strong>vidui: invece ciascuno <strong>di</strong> noi<br />

può collocarsi nel <strong>di</strong>scorso usando questi segni unici ma mob<strong>il</strong>i (io, <strong>qui</strong>, ecc.) che si agganciano<br />

solo alla situazione del proprio <strong>di</strong>scorso. Insomma <strong>il</strong> linguaggio è organizzato in modo tale da<br />

permettere a ciascun in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> appropriarsi dell’intera lingua designandosi come io. In questo i<br />

pronomi personali costituiscono <strong>il</strong> primo punto d’appoggio, ma i deittici, i <strong>di</strong>mostrativi, gli avverbi,<br />

gli aggettivi ecc. contribuiscono alla realizzazione <strong>di</strong> questa conversione organizzando le relazioni<br />

spaziali e temporali attorno al soggetto.<br />

Secondo Benveniste è nel linguaggio, e precisamente nella conversione della lingua in <strong>di</strong>scorso,<br />

che l’uomo si costituisce come soggetto: “poiché solo <strong>il</strong> linguaggio fonda nella realtà che è quella<br />

dell’essere, <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> «ego».” [ibid.: 312] In questi termini la soggettività è la capacità <strong>di</strong> un<br />

in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> porsi come soggetto attraverso <strong>il</strong> linguaggio, e si può definire solo per contrasto, nel<br />

senso che io posso usare io solo rivolgendomi a qualcuno che sarà tu; e io <strong>di</strong>verrò tu<br />

nell’allocuzione <strong>di</strong> chi si designerà con io. La soggettività emerge nella polarità delle persone e<br />

nella realtà <strong>di</strong>alettica che ingloba l’«io» e l’«altro», l’in<strong>di</strong>viduo e la società. All’idea banale del<br />

linguaggio come strumento <strong>di</strong> comunicazione, Benveniste sostituisce dunque l’ipotesi forte secondo<br />

la quale <strong>il</strong> linguaggio detta la definizione stessa <strong>di</strong> uomo: <strong>il</strong> linguaggio è nella natura dell’uomo e<br />

fonda la soggettività.<br />

Per quanto riguarda la teoria dell’enunciazione greimasiana è opportuno sottolineare tre<br />

caratteristiche essenziali:<br />

31


(i) Con la teoria dell’enunciazione <strong>il</strong> soggetto rientra nella teoria semiotica. Come ha ricordato<br />

Bertrand [2000], mentre negli anni Settanta l’enunciazione <strong>di</strong>ventava nozione car<strong>di</strong>ne della ricerca<br />

linguistica, la semiotica faceva fatica a inglobarla nella sua teoria perché “vedeva nell’enunciazione<br />

e nella sua ‘situazione’ <strong>il</strong> meccanismo con cui l’universo extralinguistico poteva legittimamente<br />

irrompere nell’oggetto-linguaggio, entità immanente costruita dal teorico con tanta fatica.” [ibid.:<br />

54] La semiotica guardava con sospetto all’intervento <strong>di</strong> un “soggetto parlante sovrano” perché a<br />

partire dalla sua prospettiva testualista temeva un ritorno a quella soggettività psicologica criticata<br />

con decisione dallo strutturalismo. Su questa linea, in Semantica strutturale la descrizione del<br />

significato è condotta facendo astrazione dall’attività del soggetto parlante. In semiotica<br />

l’enunciazione viene riconosciuta dapprima come istanza logicamente presupposta dall’enunciato, e<br />

a seguire essa <strong>di</strong>venta fondamentale per spiegare la me<strong>di</strong>azione fra <strong>il</strong> sistema sociale della lingua e<br />

l’uso che <strong>di</strong> essa fa una singola persona nel momento in cui entra in relazione con qualcun altro. Le<br />

strutture semio-narrative sono costituite essenzialmente da categorie formali e grammaticali, ma <strong>il</strong><br />

pas<strong>saggio</strong> al livello <strong>di</strong>scorsivo implica <strong>il</strong> riconoscimento <strong>di</strong> unità <strong>di</strong> contenuto che richiedono <strong>il</strong><br />

riferimento a un soggetto dell’enunciazione. 27 Del resto <strong>il</strong> soggetto dell’enunciazione si costruisce<br />

solo negativamente, poiché l’approccio semiotico ha a che fare con tutto ciò che <strong>il</strong> soggetto non è,<br />

con tutto ciò che lo presuppone, cioè con l’enunciato.<br />

(ii) La teoria dell’enunciazione ha avuto <strong>il</strong> pregio <strong>di</strong> mettere in evidenza come nei testi appaiano<br />

solo i simulacri dei due poli della comunicazione: da un lato l’enunciatore empirico (in carne-eossa)<br />

proietta un simulacro <strong>di</strong> sé nell’enunciatore del <strong>di</strong>scorso (narratore), dall’altro l’enunciatario<br />

empirico è anch’esso rappresentato nel <strong>di</strong>scorso da un suo simulacro (narratario). La semiotica<br />

greimasiana si oppone fermamente a quel para<strong>di</strong>gma positivista caratterizzato dalla concezione<br />

“rappresentazionalista” del linguaggio, secondo la quale <strong>il</strong> linguaggio ha la funzione fondamentale<br />

<strong>di</strong> descrivere “stati <strong>di</strong> cose”. La pragmatica americana, secondo Greimas, si ascrive sostanzialmente<br />

in questo para<strong>di</strong>gma. Ecco quanto scrive Greimas: “Mentre in Europa, e in particolare in Francia, <strong>il</strong><br />

linguaggio è considerato comunemente come uno schermo menzognero che nasconde una realtà e<br />

una verità soggiacenti, e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> come una manifestazione <strong>di</strong> superficie che lascia trasparire<br />

significazioni latenti più profonde, negli Stati Uniti, al contrario, <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso è ritenuto adeguato alle<br />

cose e in grado <strong>di</strong> esprimerle in modo innocente.” [Greimas 1984b: 106] La tra<strong>di</strong>zione europea vede<br />

nel linguaggio, piuttosto, “un tessuto <strong>di</strong> menzogne e uno strumento <strong>di</strong> manipolazione sociale.” 28<br />

Indagando le strategie <strong>di</strong>scorsive, la semiotica ha cominciato a mostrare le caratteristiche <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi<br />

specifici come ad esempio quello scientifico, che adottando precise strategie enunciative<br />

(costruzione <strong>di</strong> un referente interno, uso particolare delle immagini, ecc.) riesce a far sembrare<br />

oggettivo ciò che invece è costruito <strong>di</strong>scorsivamente. 29<br />

(iii) Il soggetto dell’enunciazione non è concepito come una fonte dotata <strong>di</strong> un’esistenza propria,<br />

anteriore al débrayage. Non bisogna cioè pensare che vi sia un soggetto dotato <strong>di</strong> una sua esistenza<br />

e <strong>di</strong> una sua identità che proietta dei suoi simulacri negli enunciati. Al contrario, si ritiene che sia<br />

proprio l’operazione del débrayage a rendere possib<strong>il</strong>i tanto <strong>il</strong> soggetto dell’enunciazione quanto <strong>il</strong><br />

<strong>di</strong>scorso-enunciato. Il soggetto si crea, cioè, nel momento stesso in cui effettua un débrayage. Il<br />

débrayage va visto <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> come una sorta <strong>di</strong> scissione che crea simultaneamente da un lato gli<br />

attori, i tempi e gli spazi dell’enunciato, dall’altro <strong>il</strong> soggetto, <strong>il</strong> luogo e <strong>il</strong> tempo dell’enunciazione.<br />

Come ha sottolineato Bertrand [2000: 61], la teoria dell’enunciazione pone <strong>il</strong> primato delle<br />

operazioni sui termini coinvolti nel processo. Il soggetto dell’enunciazione “reale”, che occupa lo<br />

scenario intersoggettivo della comunicazione, è un’istanza in costruzione, sempre parziale,<br />

27<br />

Marsciani e Zinna [1991].<br />

28<br />

A.J. Greimas, “Observations épistémologiques”, in Actes sémiotiques, Documents, 50, Paris, EHESS e CNRS, 1983;<br />

trad. it. in Greimas 1995, p. 227.<br />

29<br />

Sulla semiotica del <strong>di</strong>scorso scientifico cfr. Greimas [1976a], Fabbri e Latour [1977], Fabbri [1998], Bastide [2001].<br />

32


incompleta e in via <strong>di</strong> trasformazione, che si può cogliere solo a partire dai frammenti dei <strong>di</strong>scorsi<br />

che realizza. [ibid.: 56]<br />

3.3.2. La semantica <strong>di</strong>scorsiva: tematizzazione e figurativizzazione<br />

Se da un punto <strong>di</strong> vista sintattico la <strong>di</strong>scorsivizzazione delle strutture semio-narrative può essere<br />

definita come un insieme <strong>di</strong> procedure <strong>di</strong> attorializzazione, <strong>di</strong> temporalizzazione e <strong>di</strong><br />

spazializzazione, dal punto <strong>di</strong> vista semantico i valori delle strutture semio-narrative vengono<br />

investiti nel <strong>di</strong>scorso a <strong>di</strong>versi livelli. Ripren<strong>di</strong>amo, per <strong>il</strong>lustrare <strong>il</strong> livello della semantica<br />

<strong>di</strong>scorsiva, un esempio <strong>di</strong> Greimas e Courtés [1979: 295]. Supponiamo che nel livello delle strutture<br />

semio-narrative vi sia un attante Soggetto che ricerca la libertà; questo e<strong>qui</strong>vale a <strong>di</strong>re che c’è un<br />

attante Oggetto investito del valore “libertà” che è posto come <strong>di</strong>sgiunto dal Soggetto, per <strong>il</strong> quale <strong>il</strong><br />

valore “libertà” <strong>di</strong>venta l’obiettivo del proprio programma narrativo. Ora, <strong>il</strong> valore “libertà” può<br />

essere tematizzato a livello <strong>di</strong>scorsivo come un percorso <strong>di</strong> “evasione”: la tematizzazione è dunque<br />

una procedura <strong>di</strong> conversione semantica che permette <strong>di</strong> formulare <strong>di</strong>versamente uno stesso valore,<br />

anche se in maniera sempre astratta. Ulteriori investimenti semantici possono invece figurativizzare<br />

questo stesso valore rendendolo meno astratto: per esempio attraverso la descrizione <strong>di</strong> un imbarco<br />

verso mari lontani: “Si <strong>di</strong>rà dunque che un percorso narrativo dato può essere convertito, al<br />

momento della <strong>di</strong>scorsivizzazione, sia in un percorso tematico, sia, con una tappa ulteriore, in un<br />

percorso figurativo, e si <strong>di</strong>stingueranno così – tenendo conto delle due procedure <strong>di</strong> tematizzazione<br />

e <strong>di</strong> figurativizzazione – due gran<strong>di</strong> classi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso: i <strong>di</strong>scorsi non figurativi (o astratti) e quelli<br />

figurativi.” [ibidem]<br />

Nel <strong>di</strong>scorso assistiamo <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> alla <strong>di</strong>sseminazione <strong>di</strong> temi, cioè <strong>di</strong> stereotipi specifici, e <strong>di</strong><br />

figure, cioè forme concrete della nostra esperienza percettiva. Ecco la spiegazione <strong>di</strong> Floch [1985:<br />

55], sempre a partire dal valore “libertà”: “Facciamo l’esempio <strong>di</strong> un percorso generativo<br />

particolare, definito dalla ricerca, da parte del soggetto, <strong>di</strong> un oggetto <strong>di</strong> valore come la ‘libertà’.<br />

Investito nel <strong>di</strong>scorso e, in particolare, spazializzato, <strong>il</strong> percorso <strong>di</strong> liberazione <strong>di</strong>verrà una<br />

‘evasione’. Da quel momento <strong>il</strong> tema <strong>di</strong>venta già meno astratto; ma lo stesso percorso potrà<br />

<strong>di</strong>ventare apertamente figurativo con l’apparizione <strong>di</strong> ‘grate segate’, <strong>di</strong> ‘cavalcate’, <strong>di</strong> ‘imbarchi’, o<br />

ancora <strong>di</strong> ‘lampade meravigliose’ e <strong>di</strong> ‘tappeti volanti’. Immettere nel <strong>di</strong>scorso è, <strong>qui</strong>n<strong>di</strong>, anche, per<br />

investimenti semantici sempre più complessi e particolari, fare <strong>di</strong> un percorso narrativo, astratto, un<br />

percorso tematico poi un percorso figurativo.” Analogamente, <strong>il</strong> tema dello «sperpero» 30 può avere<br />

vari percorsi figurativi: 1. la vita debosciata, con la rappresentazione <strong>di</strong> festini; 2. la d<strong>il</strong>apidazione<br />

per <strong>il</strong> gioco, con la rappresentazione <strong>di</strong> roulette, case da gioco, ecc.; 3. la d<strong>il</strong>apidazione per amore,<br />

con la rappresentazione <strong>di</strong> regali, capricci, ecc.; 4. l’ac<strong>qui</strong>sito <strong>di</strong> droga, ecc.<br />

Proviamo a fare un esempio a partire da una lettera ipotetica come la seguente:<br />

Caro amico, ti scrivo questo soggetto da Marsiglia, dove ho trovato ispirazione per una storia<br />

d’avventure e <strong>di</strong> vendette.<br />

La storia comincia <strong>il</strong> 24 febbraio 1815. Edmondo Dantès, marinaio <strong>di</strong> Marsiglia, sta per essere<br />

nominato capitano del Pharaon e sta per sposare la bella catalana Mercedes. Ma Fernando, spasimante<br />

<strong>di</strong> Mercedes, e Danglars, compagno <strong>di</strong> bordo <strong>di</strong> Edmondo, denunciano Dantès quale agente<br />

bonapartista. Il giu<strong>di</strong>ce V<strong>il</strong>lefort fa rinchiudere Dantès nel Castello d’If. Qui Dantès rimane per<br />

quattor<strong>di</strong>ci anni e conosce l’abate Faria, ritenuto da tutti un folle perché <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> avere un tesoro<br />

nascosto. Faria muore, Dantès riesce a fuggire mettendosi nel sacco del cadavere dell’abate e<br />

liberandosi una volta in mare. Seguendo le in<strong>di</strong>cazioni dell’abate Faria troverà <strong>il</strong> tesoro nell’isola <strong>di</strong><br />

30 L’esempio è <strong>di</strong>scusso in Pozzato [2001: 71].<br />

33


Montecristo e <strong>di</strong>venterà <strong>il</strong> ricco e potente Conte <strong>di</strong> Montecristo. La vendetta avviene a Parigi, dove <strong>il</strong><br />

Conte <strong>di</strong> Montecristo ritrova Fernando (conte <strong>di</strong> Morcerf) e sua moglie Mercedes, <strong>il</strong> ricco banchiere<br />

Danglars e V<strong>il</strong>lefort. Montecristo costringe al suici<strong>di</strong>o Morcerf, fa impazzire V<strong>il</strong>lefort, e infine<br />

perdona Danglars dopo avergli fatto patire sofferenze atroci.<br />

Io sono sicuro che questa storia potrà interessare, ma non so come reagirà <strong>il</strong> pubblico <strong>di</strong> fronte alla<br />

vendetta spietata <strong>di</strong> Montecristo, che in fondo si sostituisce alla Provvidenza. Vorrei sapere che cosa<br />

ne pensi tu, che hai una così elevata sensib<strong>il</strong>ità etica.<br />

Quello che abbiamo <strong>di</strong> fronte è un testo manifestato (la sostanza <strong>di</strong> manifestazione è la scrittura), ma per<br />

la nostra descrizione ci concentreremo sul livello immanente del <strong>di</strong>scorso. Il primo débrayage è nelle prime<br />

due righe: chi scrive installa un simulacro dell’enunciatore (“io”) e un simulacro dell’enunciatario (“tu”).<br />

Abbiamo visto che tecnicamente si definisce débrayage enunciazionale.<br />

Nel secondo paragrafo abbiamo un débrayage enunciativo, perché vengono proiettati soggetti altri<br />

rispetto a quello dell’enunciazione e si costruisce in tal modo un <strong>di</strong>scorso oggettivato, in terza persona: <strong>il</strong><br />

soggetto enunciatore proietta nel <strong>di</strong>scorso degli attori (non-io), con antroponimi come “Edmondo Dantès”,<br />

“Fernando”, “Mercedes”, ecc.; degli spazi (non-<strong>qui</strong>), con toponimi come “Marsiglia” e “l’isola <strong>di</strong><br />

Montecristo”; dei tempi (non-ora), con crononimi come “24 febbraio 1815”. Il valore profondo libertà<br />

<strong>di</strong>venta nel <strong>di</strong>scorso <strong>il</strong> tema dell’evasione, che viene mostrato figurativamente con l’immagine <strong>di</strong> Dantès che<br />

si mette nel sacco destinato all’abate Faria per realizzare la fuga.<br />

Nel terzo paragrafo del testo abbiamo un embrayage: chi scrive produce un effetto <strong>di</strong> ritorno all’istanza <strong>di</strong><br />

enunciazione intervenendo in prima persona (io), riferendosi a un pubblico, chiamando in causa <strong>il</strong> suo<br />

interlocutore (tu). L’embrayage – che presuppone sempre un débrayage – produce, evidentemente, un effetto<br />

<strong>di</strong> realtà, ma sappiamo che non si tratta certo <strong>di</strong> un ritorno all’istanza dell’enunciazione “reale”: l’io del testo<br />

non coincide ovviamente con l’autore in carne-e-ossa, così come <strong>il</strong> tu non è altro che un simulacro del<br />

destinatario.<br />

3.4. La semiotica delle passioni<br />

Alla fine degli anni Settanta per <strong>il</strong> suo seminario <strong>di</strong> “Sémantique générale” presso l’École des<br />

Hautes Études en Sciences Sociales <strong>di</strong> Parigi Greimas sceglie <strong>il</strong> tema delle passioni. A lungo la<br />

semiotica aveva escluso programmaticamente ogni prospettiva psicologizzante, considerando gli<br />

attanti come puri agenti, senza caratteri e temperamenti particolari. Questa “mossa” era stata<br />

peraltro decisiva per definire la specificità dell’approccio semiotico. Gradualmente Greimas si<br />

rende conto però che questa esclusione è stata un’arbitraria limitazione metodologica: le azioni<br />

narrative <strong>di</strong>pendono infatti in larga misura dalla passionalità, cioè dall’essere dei soggetti, e una<br />

teoria semiotica deve rendere conto anche <strong>di</strong> questo livello. Del resto se si considerano le<br />

interazioni umane, appare chiaro come <strong>il</strong> fattore passionale agisce a monte della comprensione: non<br />

c’è mera comprensione, ma aggiustamento patemico, <strong>il</strong> fidarsi e <strong>il</strong> <strong>di</strong>ffidare, la lealtà o la slealtà,<br />

ecc. La passione “si rivela così presupposto, ingre<strong>di</strong>ente, effetto ineliminab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> ‘razionali’<br />

comportamenti strategici.” [Fabbri e Sbisà 1985: 239] Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> qualunque approccio psicologico,<br />

la semiotica colloca la problematica delle passioni all’interno <strong>di</strong> una teoria generale della<br />

significazione e stu<strong>di</strong>a i sentimenti e le passioni rappresentate nel <strong>di</strong>scorso.<br />

Secondo Greimas lo stato passionale <strong>di</strong> un soggetto ha ra<strong>di</strong>ci profonde e trova origine nel livello<br />

profondo del Percorso Generativo. Sappiamo che a questo livello si colloca <strong>il</strong> quadrato semiotico,<br />

che è la rappresentazione tassonomica <strong>di</strong> una categoria semantica e <strong>di</strong>spone in una forma logica dei<br />

valori puramente descrittivi. Ebbene a questo livello agisce una categoria timica (dal greco thymós,<br />

che significa “cuore, affetto”), una “categoria primitiva” detta anche propriocettiva poiché aiuta a<br />

descrivere <strong>il</strong> modo in cui ogni essere vivente sente se stesso e reagisce a ciò che lo circonda.<br />

Attraverso i suoi termini contrari, che sono “euforia” vs “<strong>di</strong>sforia”, la categoria timica si proietta sul<br />

quadrato (e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> lo sovradetermina) e assiologizza i suoi valori, connotandoli positivamente<br />

34


(come attraenti) o negativamente (come repulsivi). In altri termini: sovradeterminando un<br />

microuniverso semantico organizzato in forma <strong>di</strong> quadrato semiotico, la categoria timica connota<br />

come euforica una deissi del quadrato semiotico e come <strong>di</strong>sforica la deissi opposta, e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong><br />

provoca la valorizzazione positiva e/o negativa (assiologizzazione) <strong>di</strong> ciascuno dei termini della<br />

struttura elementare della significazione. 31 Si può <strong>di</strong>re <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> che l’applicazione del “timico” al<br />

“descrittivo” trasforma le tassonomie in assiologie. [Greimas 1979: 89] La categoria timica, con i<br />

suoi termini “euforia” e “<strong>di</strong>sforia”, cerca <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> <strong>di</strong> descrivere <strong>il</strong> modo in cui ogni essere vivente si<br />

<strong>di</strong>spone nei confronti <strong>di</strong> ciò che lo circonda dando luogo a un complesso sistema <strong>di</strong> attrazioni e <strong>di</strong><br />

repulsioni.<br />

Come esempio si immagini un <strong>di</strong>ario personale in cui un autore anziano e sfiduciato manifesta<br />

tutta la sua stanchezza per la vita. È malato, depresso, non ha più energie. Gli anni migliori sono<br />

passati e non ha più voglia <strong>di</strong> ricordarli. Attende la morte, che per lui significherebbe la fine delle<br />

sofferenze. Anzi decide <strong>di</strong> andarle incontro smettendo <strong>di</strong> mangiare e lasciandosi andare a una lenta<br />

consunzione. Volendo descrivere <strong>il</strong> percorso generativo del senso <strong>di</strong> questo testo, nel livello<br />

profondo metteremmo senz’altro la categoria “vita” vs “morte”, <strong>il</strong> cui sv<strong>il</strong>uppo logico darebbe luogo<br />

al quadrato semiotico visib<strong>il</strong>e nella Figura 15. Ma l’atteggiamento del nostro autore <strong>di</strong>pende dalla<br />

proiezione della categoria timica su quel quadrato, in virtù della quale la deissi della vita viene<br />

investita in modo <strong>di</strong>sforico, mentre la deissi della morte in modo euforico. “Vita” e “morte” sono<br />

due termini semici descrittivi che in virtù della proiezione della categoria timica <strong>di</strong>ventano valori<br />

assiologici, con la “vita” valorizzata in modo negativo e la “morte” valorizzata in modo positivo.<br />

Categoria timica<br />

Disforia Euforia<br />

Investimento assiologico Investimento assiologico<br />

negativo positivo<br />

vita morte<br />

Deissi valorizzata Deissi valorizzata<br />

negativamente positivamente<br />

non-morte non-vita<br />

Figura 15<br />

Gli investimenti assiologici determinano le pulsioni profonde e sono <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> alla base degli effetti<br />

passionali. Come ricordano Marsciani e Pezzini [1996: XXXIII], le assiologie determinate dalla<br />

categoria timica delineano i campi <strong>di</strong> valori che caratterizzano <strong>il</strong> livello semio-narrativo <strong>di</strong><br />

superficie (grammatica narrativa), dove le attrazioni e le repulsioni si traducono in azioni, lotte,<br />

scambi, desideri, competizioni tra soggetti e oggetti. Infine a livello <strong>di</strong>scorsivo l’investimento<br />

timico del livello profondo prende corpo in configurazioni e ruoli patemici, per cui gli attori<br />

saranno felici, allegri, collerici, nostalgici, ecc. Ma è importante sottolineare come in questa<br />

prospettiva la <strong>di</strong>mensione patemica <strong>di</strong>venti la componente fondamentale <strong>di</strong> ogni tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso, nel<br />

senso che precede logicamente la costituzione dei <strong>di</strong>scorsi.<br />

31 Cfr. Greimas e Courtés [1979: voce “Timica (categoria)”].<br />

35


Dal momento che la narratività si organizza sulla base <strong>di</strong> uno schema narrativo canonico,<br />

Fontan<strong>il</strong>le [1993] pensa a un percorso canonico delle passioni costituito da cinque fasi.<br />

La costituzione, <strong>di</strong>ce Fontan<strong>il</strong>le, è la fase nella quale <strong>il</strong> soggetto “emerge” all’interno del<br />

<strong>di</strong>scorso, nel senso che “è messo nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> conoscere una passione”. Il soggetto è dunque<br />

ricettivo rispetto a eventuali sollecitazioni passionali. Le analisi dei testi convergono nel r<strong>il</strong>evare, in<br />

questa fase, particolari modulazioni ritmiche e quantitative del soggetto: agitazione, rallentamento e<br />

imbarazzo sono esempi tipici <strong>di</strong> temporalità ritmica sospesa, neutralizzata rispetto a eventi che<br />

potrebbero verificarsi ma che per <strong>il</strong> momento non avvengono. E lo st<strong>il</strong>e tensivo che caratterizza<br />

questa fase resta <strong>di</strong> solito invariata nelle fasi successive del percorso passionale.<br />

La <strong>di</strong>sposizione, secondo Fontan<strong>il</strong>le, è la fase in cui un soggetto ac<strong>qui</strong>sisce le determinazioni per<br />

provare una passione specifica. Mentre prima eravamo nella fase della pre<strong>di</strong>sposizione generica alle<br />

passioni, ora le passioni cominciano a determinarsi: per esempio <strong>il</strong> soggetto, tramite <strong>il</strong> sospetto,<br />

comincia a determinare la sua gelosia.<br />

La patemizzazione è la fase trasformatrice, è <strong>il</strong> momento in cui <strong>il</strong> soggetto capisce <strong>il</strong> suo<br />

turbamento ed è in grado <strong>di</strong> identificarlo come passione. In pratica <strong>il</strong> soggetto può dare un nome al<br />

suo stato sulla base delle co<strong>di</strong>ficazioni passionali della propria cultura. In questo senso la<br />

patemizzazione è anche una spiegazione retroattiva degli stati precedenti.<br />

L’emozione, sottolinea Fontan<strong>il</strong>le, ci riconduce all’in<strong>di</strong>viduo e al suo corpo: “Se infatti la<br />

costituzione, con la sua temporalità musicale e ritmica e le sue proprietà tensive, concerneva<br />

essenzialmente la componente propriocettiva, la <strong>di</strong>sposizione e la patemizzazione lasciavano in<br />

apparenza in pace <strong>il</strong> corpo del soggetto; ecco allora che con l’emozione quest’ultimo ricompare:<br />

sussulto, trasposto, fremito, tremore, convulsione, sobbalzo, turbamento e così via – tutte queste<br />

passioni manifestano, grazie a una reazione somatica vissuta dal soggetto e osservab<strong>il</strong>e dall’esterno,<br />

la conseguenza timica della trasformazione passionale e più in particolare <strong>il</strong> carattere sopportab<strong>il</strong>e o<br />

insopportab<strong>il</strong>e, atteso o inatteso <strong>di</strong> tale conseguenza per <strong>il</strong> corpo del soggetto.” [Fontan<strong>il</strong>le 1993:<br />

259]<br />

La moralizzazione conclude <strong>il</strong> percorso passionale: <strong>il</strong> soggetto valuta le fasi del percorso<br />

passionale sia sulla base della cultura nella quale è inserito sia a titolo personale, in quanto egli<br />

stesso è implicato nella scena passionale. È <strong>il</strong> momento in cui si valuta se si è stati troppo irruenti,<br />

troppo impulsivi, troppo vanitosi, troppo generosi, ecc. È essenziale, ricorda Fontan<strong>il</strong>le, che ci sia<br />

una regolamentazione in<strong>di</strong>viduale e sociale degli st<strong>il</strong>i tensivi, delle competenze e delle<br />

manifestazioni passionali.<br />

3.5. Caratteri metodologici ed epistemologici della semiotica <strong>di</strong> Greimas<br />

La semiotica <strong>di</strong> Greimas e dell’École de Paris è essenzialmente una metodologia d’analisi, e<br />

<strong>qui</strong>n<strong>di</strong> più vicina alle esigenze descrittive della lingustica (Saussure, Hjelmslev), da cui peraltro in<br />

larga misura deriva, che alle forme speculative della f<strong>il</strong>osofia del linguaggio. L’interesse <strong>di</strong> Greimas<br />

è rivolto a grandezze manifeste <strong>di</strong> qualunque tipo che ci si propone <strong>di</strong> conoscere e <strong>di</strong> descrivere: un<br />

pae<strong>saggio</strong>, due persone che passeggiano, un racconto, un testo au<strong>di</strong>ovisivo, un quadro, una struttura<br />

architettonica, una jam session, ecc. Queste “porzioni <strong>di</strong> realtà” devono essere concepite come<br />

insiemi significanti e <strong>di</strong>ventano i testi da descrivere e da conoscere. Il fatto che si parli <strong>di</strong> “porzioni<br />

<strong>di</strong> realtà” è in<strong>di</strong>cativo: non ci si occupa infatti solo delle lingue “naturali”, ma anche dei contesti<br />

extralinguistici e <strong>qui</strong>n<strong>di</strong> del mondo “naturale”.<br />

Il primo passo del semiologo consiste nell’ipotizzare che la “porzione <strong>di</strong> realtà” sulla quale si è<br />

concentrata l’attenzione possieda un’organizzazione, un’articolazione interna autonoma. Greimas<br />

pensa infatti che <strong>il</strong> testo sia provvisto <strong>di</strong> almeno due piani <strong>di</strong> articolazione – espressione e contenuto<br />

36


–, e sia dotato <strong>di</strong> un duplice modo <strong>di</strong> esistenza, para<strong>di</strong>gmatico e sintagmatico (e dunque pensab<strong>il</strong>e<br />

come sistema o come processo). 32 Greimas tuttavia non si occupa del piano dell’espressione – già<br />

molto stu<strong>di</strong>ato dalla linguistica comparativa – e concentra la sua attenzione sul piano del contenuto,<br />

pensando <strong>di</strong> descriverlo secondo <strong>il</strong> suo modo <strong>di</strong> produzione: <strong>qui</strong> si innesta quella forma generativa<br />

che ricostruisce la produzione come un movimento che va dal più semplice al più complesso, dal<br />

più astratto al più concreto. Nelle strutture semio-narrative Greimas pone la narratività come<br />

principio dell’organizzazione <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>scorso. Nel livello più concreto delle strutture <strong>di</strong>scorsive<br />

Greimas colloca invece la messa-in-scena delle strutture narrative più profonde. Ma va riba<strong>di</strong>to che<br />

Greimas e l’École de Paris lavorano solo sul piano del contenuto sv<strong>il</strong>uppando <strong>di</strong> fatto una<br />

semantica generativa, 33 mentre lo stesso lavoro descrittivo per <strong>il</strong> piano dell’espressione resta ancora<br />

in larga misura da fare. Lo schema seguente rende conto dello stato attuale della ricerca semiotica,<br />

con <strong>il</strong> livello immanente del piano del contenuto descritto in forma generativa:<br />

E<br />

Manifestazione del testo<br />

C<br />

Strutture<br />

<strong>di</strong>scorsive<br />

Strutture<br />

semio-<br />

narrative<br />

Espressione<br />

Figura 16<br />

Contenuto<br />

La teoria greimasiana, <strong>di</strong> tipo generativo, costruisce pertanto <strong>il</strong> proprio oggetto <strong>di</strong> analisi e ne<br />

simula <strong>il</strong> percorso che, <strong>di</strong> livello in livello, porta alla sua costruzione: “In altre parole, <strong>il</strong> senso non<br />

viene colto nella manifestazione caotica dei segni in superficie, ma in base alla ricostruzione<br />

ipotetica del suo percorso che, partendo da un livello profondo, da una base logico-semantica, si<br />

converte in piani più superficiali fino all’incontro con i sistemi dell’espressione.” [Magli e Pozzato<br />

32 Greimas e Courtés [1979: 306].<br />

33 Marsciani e Zinna [1991: 34].<br />

Livello<br />

<strong>di</strong> superficie<br />

Livello<br />

profondo<br />

Sintassi <strong>di</strong>scorsiva<br />

Attorializzazione<br />

Spazializzazione<br />

Temporalizzazione<br />

Semantica <strong>di</strong>scorsiva<br />

Tematizzazione<br />

Figurativizzazione<br />

Sintassi narrativa <strong>di</strong> superficie Semantica narrativa<br />

Sintassi fondamentale Semantica fondamentale<br />

37


1984: II] Il Percorso Generativo è pertanto un modello teorico della significazione che <strong>di</strong>spone le<br />

varie categorie secondo un’organizzazione controllata in livelli <strong>di</strong> pertinenza, ciascuno dotato <strong>di</strong><br />

un’organizzazione autonoma ma tutti coor<strong>di</strong>nati da una logica <strong>di</strong> presupposizione, per cui un livello<br />

più superficiale rappresenta un incremento <strong>di</strong> significazione rispetto ai livelli più profon<strong>di</strong> e astratti.<br />

Così se da un lato la teoria deve fornire un quadro correlato e definito <strong>di</strong> strumenti <strong>di</strong> indagine,<br />

dall’altro deve preservare l’autonomia dei vari livelli (strutture semio-narrative, strutture <strong>di</strong>scorsive)<br />

per or<strong>di</strong>nare in modo coerente le <strong>di</strong>verse problematiche della significazione. Ne consegue che nelle<br />

analisi è fondamentale applicare <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> pertinenza, precisando <strong>il</strong> livello (o i livelli) in cui ci<br />

si intende situare. A maggior ragione se si fanno analisi comparative è importante mantenere un<br />

livello comune <strong>di</strong> indagine confrontando i testi <strong>di</strong> un corpus sulla base <strong>di</strong> una medesima area <strong>di</strong><br />

pertinenza. Il principio <strong>di</strong> pertinenza può sembrare restrittivo e riduttivo rispetto ai materiali ricchi e<br />

articolati sottomessi all’analisi, ma bisogna ricordare che un oggetto si stu<strong>di</strong>a necessariamente da<br />

un’angolazione particolare e scegliendo una certa prospettiva: un fiore verrà stu<strong>di</strong>ato in modo del<br />

tutto <strong>di</strong>verso se l’analista sarà un fioraio, uno stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> botanica o un esperto <strong>di</strong> regali romantici.<br />

Infine, a proposito della prospettiva generativa con la quale si intende impostare l’analisi<br />

semiotica occorre evitare un e<strong>qui</strong>voco: <strong>il</strong> percorso generativo intende descrivere un oggetto<br />

significante secondo <strong>il</strong> suo modo <strong>di</strong> produzione e non secondo la “storia” della sua produzione. In<br />

altri termini, <strong>il</strong> percorso generativo non ripercorre le fasi attraverso le quali un enunciatore<br />

costruisce un testo, ma rappresenta la ricostruzione del senso così come viene effettuata a posteriori<br />

dall’analista. La generazione del senso, ricostruita analiticamente quando <strong>il</strong> testo è già stato<br />

prodotto, non va dunque confusa con la genesi del testo, cioè con le fasi cronologiche che sono state<br />

necessarie per concepirlo e per realizzarlo. 34<br />

34 Cfr. Floch [1985: 48].<br />

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