Marginalità e appartenenza: la funzione dell'intellettuale tra sfera ...
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<strong>Marginalità</strong> e <strong>appartenenza</strong>: <strong>la</strong> <strong>funzione</strong> <strong>dell'intellettuale</strong> <strong>tra</strong> <strong>sfera</strong> pubblica e<br />
privato nell'Italia del dopoguerra<br />
Vincenzo Binetti<br />
Italica, Vol. 74, No. 3. (Autumn, 1997), pp. 360-374.<br />
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Sun Jan 20 14:47:15 2008
<strong>Marginalità</strong> e <strong>appartenenza</strong>: <strong>la</strong> <strong>funzione</strong><br />
<strong>dell'intellettuale</strong> <strong>tra</strong> <strong>sfera</strong> pubblica e<br />
privato nell'ltalia del dopoguerra<br />
Dovremmo prima decidere se siamo marxisti<br />
o idealisti, e io per il primo non saprei come<br />
rispondere.-Cesare Pavese, Lettere<br />
La linea che divide, nel campo del<strong>la</strong> cultura,<br />
il progresso dal<strong>la</strong> reazione, non si identifica<br />
esattamente con <strong>la</strong> linea che li divide in poli-<br />
tica.-Elio Vittorini, Diario in pubblico<br />
Tra le tante morti "eccellenti" di cui si discute recentemente nelle<br />
disquisizioni di high theory all'interno dell'Accademia una delle<br />
più celebrate e controverse, accanto al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> storia o delle<br />
ideologie, è senz'altro quel<strong>la</strong> <strong>dell'intellettuale</strong> "impegnato." La sua<br />
<strong>funzione</strong> "~raco<strong>la</strong>re"~ è diventata, a buon ragione, quantomeno discutibile<br />
in una società in cui il sistema massmediologico ed un sempre<br />
più ampio utilizzo del<strong>la</strong> tecnologia hanno imposto un processo<br />
irreversibile di "decen<strong>tra</strong>lizzazione" e di "ridistribuzione" nel<strong>la</strong> diffusione<br />
del<strong>la</strong> cultura che non può sempre dare validità ad un tipo<br />
"<strong>tra</strong>dizionale" di informazione proveniente da un'unica fonte pretenziosamente<br />
depositaria di verità assolute ed insindacabili.<br />
D'altro canto se l'intellettuale è oggi un "ideologo inascoltato"<br />
(Bobbio 134) e se <strong>la</strong> pretesa di realizzare gramscianamente un intellettuale<br />
"organico" risulta essere ormai quasi improponibile, dall'altro<br />
decretarne <strong>la</strong> sua necrosi irreversibile mi sembra oltre che una con<strong>tra</strong>ddizione<br />
in atto, un assioma pericoloso e fuorviante.<br />
In questi giorni in Italia, ad esempio, è di moda, in nome di un<br />
"revisionismo" molto spesso asservito alle necessità ideologiche del<br />
momento, proporre una rivisitazione del periodo resistenziale e dei<br />
suoi miti adducendo motivazioni pseudoscientifiche e falsamente<br />
"oggettive" sul<strong>la</strong> presunta credibilità del<strong>la</strong> violenza e dei crimini fascisti,<br />
sull'esattezza del numero dei morti nelle rispettive fazioni politiche,<br />
fino ad arrivare a mettere in discussione, se mai, l'esistenza<br />
stessa di una vera e propria Resistenza.<br />
Indubbiamente questo periodo presenta delle problematicità e<br />
del<strong>la</strong> controversie di fondo che vanno esaminate con maggior attenzione<br />
per poter "rileggere" un momento partico<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> storia<br />
italiana che per diverse ragioni, sia politiche che emotive, sembra<br />
ITALICA Volume 74 Number 3 (1997)
essersi spesso "sot<strong>tra</strong>tto" ad una più obiettiva e meno disincantata<br />
verifica storica. Scrive infatti a questo riguardo C<strong>la</strong>udio Pavone:<br />
La polemica, <strong>tra</strong>scinatasi poi a lungo, fra i delusi e i soddisfatti del<strong>la</strong><br />
Resistenza dovrebbe partire da questo dato elementare. Se <strong>la</strong> grande<br />
utopia del<strong>la</strong> Resistenza era stata quel<strong>la</strong> di sot<strong>tra</strong>rsi al<strong>la</strong> morsa che il<br />
secolo XX sembrava aver preparato per l'uomo, a molti resistenti parve<br />
di trovarsi di fronte a un «deragliamento)) del risultato. (585)<br />
Se, infatti, come suggerisce giustamente Romolo Gobbi, il mito<br />
del<strong>la</strong> Resistenza è diventato "il mito fondante del<strong>la</strong> nazione italiana"<br />
(105), è anche vero che esso era scaturito dal<strong>la</strong> necessità impellente<br />
che il paese aveva di ridefinire <strong>la</strong> propria identità. Scrive ancora<br />
Gobbi:<br />
Così nelllItalia del secondo dopoguerra il bisogno di ricostruire<br />
un'identità nazionale, dopo il ventenni0 fascista, spinse storici e politici<br />
a confezionare un mito credibile, che assolvesse gli italiani dal senso di<br />
colpa per essere stati in grande maggioranza fascisti e per aver accet-<br />
tato l'alleanza con i nazisti. (10)<br />
Ora, se il problema in questi frangenti è, come suggerisce Edward<br />
Said, quello di "dire <strong>la</strong> verità" (15),ma una "verità non assoluta, non<br />
sublime, non conso<strong>la</strong>nte" (Fortini 33) e se allo stesso tempo bisogna<br />
giustamente cercare di riesaminare determinate problematiche<br />
storico-sociali sotto una luce diversa per smascherarne eventuali mistificazioni,<br />
è necessaria altresì un'attenta verifica storico-politica di<br />
quelle con<strong>tra</strong>ddizioni e di quelle zone d'ombra che hanno caratterizzato<br />
un periodo così controverso quale quello dell'immediato<br />
dopoguerra.<br />
Nel caso specifico del<strong>la</strong> questione di una ridefinizione del ruolo<br />
<strong>dell'intellettuale</strong> in quegli anni, di cui vorrei occuparmi in parte nel<br />
presente <strong>la</strong>voro, i1 problema risiede soprattutto nel cercare da un <strong>la</strong>to<br />
di analizzare <strong>la</strong> complessità di alcune figure catalizzanti ed emblematiche<br />
di uno specifico milieu culturale-e qui penso soprattutto a<br />
Pavese e Vittorini, ma anche a Moravia, Calvino o Pasolini-e<br />
dall'altro nel tentativo di superare le difficoltà che ancor oggi certa<br />
critica incon<strong>tra</strong> a volersi aprire a nuove interpretazioni e prospettive<br />
di ricerca che aiutino in un certo senso a "demitizzare" <strong>la</strong> figura di<br />
queste icone pubbliche, rileggendole senza datati preconcetti e riduttive<br />
categorizzazioni: "i monumenti, sia in positivo sia in negativo,suggerisce<br />
Gianni Vattimo a proposito di Pavese-sono sempre falsi,<br />
miti esposti all'inevitabile <strong>la</strong>voro del<strong>la</strong> demitizzazione" (21).<br />
E il rischio non è solo quello di una rigida e stagnante cristallizazione<br />
di questi "simu<strong>la</strong>cri," ma anche quello ben più pericoloso di una<br />
loro banale strumentaliz~azione.~ Mi sembra quindi doveroso cercare<br />
di esplorare e discutere, in termini più ampi, i significati e le proble-
362 VINCENZO BINETTI<br />
maticità di fondo di questo discorso per tentare di chiarire in quali<br />
termini <strong>la</strong> dinamica dei rapporti <strong>tra</strong> intellettuali e politica abbia influ-<br />
enzato e continui ad influenzare non solo <strong>la</strong> produzione letteraria di<br />
quegli scrittori ma anche l'evolversi successivo del<strong>la</strong> nos<strong>tra</strong> storia.<br />
Del resto, sebbene un po' tutti conosciamo ormai le vicissitudini di<br />
quegli anni, una rivisitazione attuale di un momento così controverso<br />
e ricco di con<strong>tra</strong>ddizioni e di "equivoci ideologici" (Angelo Romanò;<br />
cit. in Romano 65) potrebbe aiutarci a far luce su inquietanti interro-<br />
gativi rimasti tuttora irrisolti, proprio perché occorre oggi, ci ricorda<br />
ancora Said, "quel<strong>la</strong> che Miche1 Foucault chiamò un giorno<br />
un'erudizione imp<strong>la</strong>cabile, l'accurato esame di fonti con<strong>tra</strong>stanti, il<br />
riportare al<strong>la</strong> luce documenti sepolti, il ridar vita a storie dimenticate<br />
(O abbandonate)" (17).<br />
Si <strong>tra</strong>tta, in altre parole, di "artico<strong>la</strong>re storicamente il nostro pas-<br />
sato . . .e di s<strong>tra</strong>ppare <strong>la</strong> <strong>tra</strong>dizione al conformismo che è in procinto<br />
di sopraffar<strong>la</strong>" (Benjamin 77-78) e cercare di capire come il bisogno<br />
che certi intellettuali avvertirono di "immaginare" una nuova identità<br />
nazionale avvenisse sotto il peso di imprescindibili condizionamenti<br />
ideologici e di sofferte perplessità nel "privato,"3 ma col preciso in-<br />
tento di ridefinire, pur <strong>tra</strong> enormi con<strong>tra</strong>ddizioni e incertezze, il pro-<br />
prio ruolo "pubblico" all'interno del<strong>la</strong> società.<br />
Dopo <strong>la</strong> conclusione del conflitto mondiale e con alle spalle<br />
l'esperienza recentissima e sofferta del<strong>la</strong> Resistenza che aveva visto <strong>la</strong><br />
partecipazione di gruppi politicamente eterogenei al<strong>la</strong> lotta al nemico<br />
comune, si instaura, come sappiamo, in Italia un clima di solidarietà<br />
"emotiva" che vede convergere una <strong>la</strong>rga fascia di intellettuali,<br />
all'insegna di un ancora fresco antifascismo militante e nel<strong>la</strong> prospet-<br />
tiva di uno spontaneo ma a volte generico impegno politico, nelle non<br />
ancora ben definite direttive culturali del partito comunista.<br />
In unlItalia ancora sconvolta dalle ripercussioni del<strong>la</strong> guerra e da<br />
anni di dittatura fascista, era infatti prevedibile che l'intellettuale si<br />
assumesse il compito di rinnovare e di ricostruire <strong>la</strong> società <strong>tra</strong>mite<br />
una rivalutazione del<strong>la</strong> propria <strong>funzione</strong> culturale ed un'imposta-<br />
zione "a sinis<strong>tra</strong>" del proprio programma politico. I1 PCI, dunque, in<br />
quanto esponente di spicco del<strong>la</strong> scena politica italiana, costituisce il<br />
denominatore comune nel quale si identificano tutti quegli uomini di<br />
cultura propensi, al di là delle loro caratterizzazioni strettamente<br />
ideologiche e in quel clima di solidarietà ereditato dal<strong>la</strong> lotta parti-<br />
giana, ad indirizzare le proprie forze verso un concreto impegno ci-<br />
vile e sociale.<br />
Ccrive a proposito Nello Ajello:<br />
I1 territorio dell'intellighenzia militante che si estende dal "crociane-<br />
simo di sinis<strong>tra</strong>" fino al PCI è insomma agitato da mille con<strong>tra</strong>ddizioni,<br />
ma concorde su un punto: quello di dare all'impegno politico impor-
tanza decisiva, e a non considerare <strong>la</strong> vita civile qualcosa di indipen-<br />
dente dal<strong>la</strong> specu<strong>la</strong>zione filosofica, o dal<strong>la</strong> cultura in senso <strong>la</strong>to. (81)<br />
Intellettuali come Pavese e Vittorini si iscrivono nel dopoguerra al<br />
PCI operando una scelta che se in un certo senso rien<strong>tra</strong> appunto<br />
nell'indirizzo comune del momento, non implica però automatica-<br />
mente una sottomissione passiva al<strong>la</strong> politica culturale del partito, sia<br />
per il non facile adattamento di questi scrittori ad una normativa<br />
spesso soffocante e tautologica, sia per l'atteggiamento stesso di<br />
"apertura" del PCI verso persone di diversa provenienza ideologica e<br />
religi~sa.~<br />
Le difficoltà di fondo di un appiattimento riduttivo del discorso di<br />
certi intellettuali nell'ambito di una programmaticità strettamente<br />
ideologica, trovano quindi una loro sistemazione temporanea grazie<br />
ad un atteggiamento accondiscendente del PCI che assume una<br />
posizione<br />
di maggior favore verso <strong>la</strong> figura del simpatizzante che non dell'intel-<br />
lettuale militante, al quale comunque veniva assegnata una <strong>funzione</strong>-<br />
strettamente culturale e non politica-che come tale era meglio svolta<br />
da uomini pubblicamente conosciuti e stimati per il loro ruolo specia-<br />
listico più che per <strong>la</strong> loro connessione col partito. (50)<br />
Si <strong>tra</strong>tta dunque, per l'intellettuale di sinis<strong>tra</strong>, di accettare <strong>la</strong> pro-<br />
pria <strong>funzione</strong> di operatore culturale in un clima storico-politico nel<br />
quale il significato di engagement non implicava necessariamente<br />
un'identificazione ideologica o dialetticamente motivata con il mar-<br />
xismo, ma significava piuttosto, in termini più ampi, l'esercizio del<br />
proprio ruolo demiurgico di "funzionario" culturale al servizio del<strong>la</strong><br />
collettività.<br />
In questo periodo <strong>la</strong> politica culturale del PCI propende inoltre<br />
verso una diffusione del<strong>la</strong> dottrina marxiana meno ortodossa ed è<br />
favorevole perciò-nel<strong>la</strong> prospettiva di un pluralismo ideologico che<br />
assimili ai fini del programma partitico del<strong>la</strong> sinis<strong>tra</strong> il maggior nu-<br />
mero di aspiranti iscritti o simpatizzanti-ad un più generico ed ap-<br />
prossimato "marxismo universale" che accomuni un po' tutta<br />
l'eterogeneità dell"'intel1ighenzia" italiana.<br />
Pavese, ad esempio, vede forse nel PCI, inteso appunto come unità<br />
catalizzante e disciplinante, una possibilità non tanto ideologica<br />
quanto sociale ed umana, di superare le proprie tendenze individua-<br />
listiche ed esistenziali at<strong>tra</strong>verso una rivisitazione reale e storico-<br />
conoscitiva del suo discorso artistico:<br />
in ogni caso è certo che l'atteggiamento di Pavese non corrispose a una<br />
conoscenza approfondita dei testi e del pensiero marxista, né coincise<br />
con una ortodossa coliocazione nei quadri del partito o con il formarsi<br />
di una coscienza di c<strong>la</strong>sse . ..il marxismo gli servì, tutt'al più, a raffor-
364 VINCENZO BINETTI<br />
zare <strong>la</strong> base storicistica del<strong>la</strong> sua attività critica. (Guglielminetti e Zac-<br />
caria 19)<br />
Anche l'adesione al partito, comunque, non assume nel suo caso i<br />
caratteri di un momento "espiatorio" (Mondo 15) o di copertura, ma<br />
rappresenta invece lo sforzo cosciente di inserirsi all'interno del<br />
dibattito culturale con <strong>la</strong> consapevolezza di rendere pubbliche, at<strong>tra</strong>-<br />
verso <strong>la</strong> scrittura, non solo alcune sue "simpatie" ideologiche, ma<br />
anche le polemiche ed i dubbi che quelle stesse scelte politiche com-<br />
portavano. Del resto se "il diario di Pavese Il mestiere di vivere . . .<br />
avrebbe potuto meritare da parte di Togliatti <strong>la</strong> stessa accusa di insen-<br />
sibilità politico-sociale che il leader del Pci riservava ai diari di André<br />
Gide" (Ajello 2281, è anche vero che proprio <strong>la</strong> presa di posizione<br />
pavesiana, a volte con<strong>tra</strong>ddittoria e certamente problematica, rispetto<br />
al<strong>la</strong> linea programmatica del partito esprime <strong>la</strong> coscienza critica di un<br />
intellettuale incapace di sottomettersi alle imposizioni restrittive di<br />
una scuo<strong>la</strong> o alle direttive propagandistiche di un'ideologia.<br />
Lo stesso Elio Vittorini scrive, in un primo momento, a sottolineare<br />
<strong>la</strong> condizione di conciliabilità del<strong>la</strong> propria militanza nel PCI, che<br />
il nostro <strong>la</strong>voro non può certo ignorare il marxismo, perché nessun <strong>la</strong>-<br />
voro culturale può ignorarlo. Ma . . . può essere marxista solo nel<strong>la</strong><br />
misura e nel modo in cui il marxismo è positivo anche per i non mar-<br />
xisti, come accade che il cristianesimo sia positivo anche per chi non<br />
crede in Cristo. ("Risposte ai lettori" 2)<br />
Ed ecco, a proposito, il commento entusiasta di Italo Calvino:<br />
Ricordo quando, nel<strong>la</strong> mia città di provincia, arrivarono le prime copie<br />
deli'unità, dopo il 25 aprile. Apro L'Unità di Mi<strong>la</strong>no: vice direttore era<br />
Elio Vittorini. Apro L'Unità di Torino: in terza pagina scriveva Cesare<br />
Pavese. . . .Ora scoprivo che erano nel campo che anch'io avevo scelto<br />
. . . queli'ideale di cultura che fosse tutt'uno con <strong>la</strong> lotta politica ci si<br />
delineava in quei giorni come una realtà naturale. (Albertoni, Antonini,<br />
Palmieri 79-80)<br />
Questo iniziale atteggiamento di fiducia, "di illusioni infantili"<br />
(Alicata 314) nel<strong>la</strong> possibilità di portare avanti il proprio discorso<br />
poetico ed artistico in un'atmo<strong>sfera</strong> di solidarietà ideologica e di<br />
fratel<strong>la</strong>nza umana che aveva alimentato il clima del primo<br />
dopoguerra, subisce una battuta d'arresto con l'esclusione del<strong>la</strong><br />
sinis<strong>tra</strong> dal governo nel maggio del 1947; una tensione questa che<br />
avrebbe portato in seguito ad una "definitiva frattura di un certo<br />
rapporto fra scrittori e politici" (Asor Rosa, "Lo Stato democratico e I<br />
partiti politici" 614) con <strong>la</strong> rive<strong>la</strong>zione pubblica dei crimini di Stalin e<br />
l'invasione dell'ungheria ne1 '56.
MARGINALITÀE APPARTENENZA 365<br />
L'intellettuale che nel '45 aveva fermamente creduto, sulle basi di<br />
un concorde antifascismo, nel<strong>la</strong> possibilità concreta di partecipazione<br />
attiva ed esaltante al<strong>la</strong> ricostruzione ed al rinnovamento di una so-<br />
cietà nuova, si ritrova adesso a fare i conti con una realtà completa-<br />
mente mutata nel<strong>la</strong> quale i presupposti culturali e politici di solida-<br />
rietà del momento resistenziale sono irreparabilmente crol<strong>la</strong>ti o per lo<br />
meno non sono più sufficienti a colmare una sensazione incombente<br />
di vuoto e di incertezza.<br />
I1 PCI inoltre di fronte al<strong>la</strong> perdita di una certa egemonia<br />
all'interno del panorama politico italiano e nel<strong>la</strong> prospettiva di raf-<br />
forzare il proprio organico, si irrigidisce ideologicamente adoperando<br />
una tattica politica che mira soprattutto ad indirizzare il ruolo degli<br />
intellettuali di partito e simpatizzanti verso una più ortodossa e meno<br />
eterogenea direttiva programmatica, onde evitare pericolose disper-<br />
sioni all'interno del partito stesso.<br />
Ad esasperare maggiormente questa "chiusura" del PCI contri-<br />
buisce l'influsso, certamente fil<strong>tra</strong>to ma non per questo meno settario<br />
e determinante, che ebbe sul "milieu" culturale italiano l'imposta-<br />
zione zdanovista del discorso letterario ed artistico; è inevitabile<br />
perciò, come precisa Romano Luperini, che:<br />
il principio dell'engagement del<strong>la</strong> cultura degli intellettuali di sinis<strong>tra</strong><br />
viene spinto a coincidere con quello del<strong>la</strong> partiticità del<strong>la</strong> cultura e<br />
"dello spirito di partito" che deve essere evidente in tutte le manifesta-<br />
zioni culturali degli intellettuali militanti; e il carattere impegnato e<br />
popo<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> produzione artistica diventa accoglimento del<strong>la</strong> poetica<br />
del "realismo socialista" e del principio del "carattere di partito del<strong>la</strong><br />
letteratura." (131)<br />
L'intellettuale "impegnato," dunque, soprattutto se con<strong>tra</strong>dditto-<br />
riamente polemico e poco accomodante dal punto di vista ideologico,<br />
visse problematicamente questa "involuzione" politica come militante<br />
iscritto al partito ma anche come scrittore e uomo di cultura che ini-<br />
zialmente aveva trovato nel mito del<strong>la</strong> politica <strong>la</strong> giustificazione im-<br />
mediata al bisogno impellente di comunicazione con gli altri e che ora<br />
si ritrova a vivere una condizione di inquietudine generale e di alie-<br />
nazione profonda una volta svaniti quei valori e quelle sicurezze che<br />
erano stati il supporto ideologico ed "emotivo" del periodo resisten-<br />
ziale.<br />
La questione complessa del rapporto <strong>tra</strong> cultura e politica e<br />
l'influenza che tale polemica esercitò all'interno del dibattito <strong>tra</strong> in-<br />
tellettuali e potere, interessò e coinvolse più da vicino soprattutto Elio<br />
Vittorini. I1 nome di Vittorini è quello che più si avvicina, infatti,<br />
anche se partendo da impostazioni culturali e letterarie diverse, alle<br />
stesse controverse questioni che interessarono <strong>la</strong> vicenda intellettuale
366 VINCENZO BINETTI<br />
di Pavese, proprio perché, come sottolinea Gian Carlo Ferretti, "egli<br />
porta nel suo <strong>la</strong>voro un'audace ricerca del nuovo, una dirompente<br />
carica di perturbazione problematica e polemica, una infaticabile e<br />
feconda insoddisfazione" (L'editore Vittorini 309-10).<br />
Riterrei, perciò, partico<strong>la</strong>rmente informativo in questa sede un sia<br />
pur breve confronto fra en<strong>tra</strong>mbi gli autori soprattutto at<strong>tra</strong>verso il<br />
canale specifico del<strong>la</strong> scrittura giornalistica; scrittura che più si presta<br />
ad evidenziare i motivi polemici ed innovatori di una ricerca comune.<br />
Ecco cosa scrive, ad esempio, Vittorini in un articolo pubblicato su<br />
Il Politecnico nel 1947:<br />
Non voglio dire che politica e cultura siano perfettamente distinte. ...<br />
Ma certo sono due attività, non un'attività so<strong>la</strong>; e quando l'una di esse<br />
è ridotta (per ragioni interne o esterne) a non avere il dinamismo suo<br />
proprio, e a svolgersi, a divenire, nel senso dell'al<strong>tra</strong>, sul terreno<br />
dell'al<strong>tra</strong>, come sussidiaria o componente dell'al<strong>tra</strong>, non si può non<br />
dire che <strong>la</strong>scia un vuoto nel<strong>la</strong> storia. (ora in Diario in pubblico 297)<br />
E ancora:<br />
Non ho mai inteso dire che l'uomo politico non debba "interferire" in<br />
questioni di cultura. Ho inteso dire ch'egli deve guardarsi<br />
dall'interferirvi per finalità di contingenza politica . . . at<strong>tra</strong>verso argo-<br />
menti o mezzi politici, e pressione politica, e intimidazione politica.<br />
(Diario in pubblico 299)<br />
E non è un caso se le motivazioni che caratterizzano <strong>la</strong> polemica di<br />
Vittorini nei confronti di una politica partitica che sembrava porsi in<br />
maniera sempre più in<strong>tra</strong>nsigente rispetto alle velleità di autonomia<br />
intellettuale di certi scrittori, rispecchino le stesse controversie che<br />
at<strong>tra</strong>versano sia <strong>la</strong> produzione pavesiana che quel<strong>la</strong> di altri intellet-<br />
tuali direttamente coinvolti in questo acceso dibattito.<br />
Se da un <strong>la</strong>to, infatti, Pavese non esita ad affermare che "chi vuole<br />
far l'arte del suo tempo "per necessità storica," farà tutt'al piu una po-<br />
etica, un manifesto" (La letteratura americana e altri saggi 2441, o più<br />
categoricamente che "unico mio disinteresse-ab aeterno e parlo col<strong>la</strong><br />
mano sul cuore-<strong>la</strong> letteratura politica" (Lettere 1: 293), Vittorini,<br />
dall'altro, riesce a sintetizzare, in poche righe, e con un linguaggio<br />
lucido ed esplicito, su cosa si basava in effetti <strong>la</strong> diatriba che coinvol-<br />
geva a quei tempi intellettuali e uomini politici: "<strong>la</strong> linea che divide,<br />
nel campo del<strong>la</strong> cultura, il progresso dal<strong>la</strong> reazione, non si identifica<br />
esattamente con <strong>la</strong> linea che li divide in politica" (Diario in pubblico<br />
300).<br />
L'atteggiamento polemico di Vittorini rispetto a questo dibattito,<br />
che determinò come sappiamo <strong>la</strong> lunga querelle con Togliatti e che<br />
portò lo scrittore all'uscita dal P.C.I., è <strong>tra</strong> l'altro segnato anch'esso,
come nel caso di Pavese, dal<strong>la</strong> necessità di definire <strong>la</strong> propria<br />
<strong>funzione</strong> di intellettuale di sinis<strong>tra</strong>, pur polemizzando nei confronti<br />
del<strong>la</strong> sottomissione ideologica imposta dal partito:<br />
Rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre at<strong>tra</strong>verso <strong>la</strong> sua opera<br />
esigenze rivoluzionarie, (ma) "diverse" da quelle che <strong>la</strong> politica pone:<br />
esigenze .. . deli'uomo ch'egli soltanto sa scorgere neli'uomo, che è<br />
proprio di lui scrittore scorgere, e che è proprio di lui scrittore<br />
rivoluzionario porre, e porre "accanto" alle esigenze che pone <strong>la</strong> poli-<br />
tica, porre "in piu" delle esigenze che pone <strong>la</strong> politica. (Diario in pub-<br />
blico 304)<br />
Lo stesso Vittorini puntualizza, più avanti, l'importanza di questo<br />
concetto definendolo un "ritornello che si ripeteva spesso in Politec-<br />
nico" (Diario in pubblico 305) e aggiunge:<br />
Ho sempre negato che possa essere compito del<strong>la</strong> letteratura di dare a<br />
vedere, o <strong>tra</strong>durre in letteratura, le ragioni politiche di una rivoluzione.<br />
Nego che possa essere compito di uno scrittore educare politicamente<br />
at<strong>tra</strong>verso un bel gioco letterario. Ma vi sono ragioni umane di una<br />
rivoluzione che soltanto lo scrittore, il poeta, può dare a vedere. E' lui<br />
soltanto che può conoscerle e porle in rilievo. (Diario in pubblico 305-06)<br />
Ecco quindi che per Vittorini, come in modo più con<strong>tra</strong>stato per<br />
Pavese, il comunismo, in quanto riferimento ideologico comune ai<br />
due autori, diventa soprattutto "un mezzo piuttosto che un fine; una<br />
via piuttosto che una meta" (Diario in pubblico 307).<br />
Se da un <strong>la</strong>to, infatti, Pavese scrive:<br />
La storia anche italiana di questi ultimi anni dimos<strong>tra</strong> a chi vuol vedere<br />
che gli intellettuali posson trovare nel comunismo il piu efficace stru-<br />
mento per realizzare una concreta libertà intellettuale. (Letteratura<br />
americana 232)<br />
Dall'altro, lo scrittore siciliano afferma:<br />
Perciò è inutile che si parli di "via democratica" al comunismo, di "via<br />
democratica" al socialismo. A noi (agli uomini) interessa che il comu-<br />
nismo stesso e il socialismo stesso siano "democratici." Questo inten-<br />
diamo dire dicendo che li pensiamo come '"vie." Noi non vogliamo<br />
nul<strong>la</strong> che non resti aperto al<strong>la</strong> possibilità di <strong>tra</strong>sformarsi, di mutare, di<br />
diventare "altro," nul<strong>la</strong> che non si ponga su un piano ancora di<br />
"passaggio," e di movimento, di storia. (Vittorini, Diario in pubblico 307)<br />
Una posizione critica, questa di Vittorini, che sottende, pur coi suoi<br />
limiti e le sue con<strong>tra</strong>ddittorietà di fondo,5 anche <strong>la</strong> denuncia<br />
pavesiana nei confronti di una cultura "umanistica" portatrice dei va-<br />
lori e degli ideali borghesi ed incapace, perciò, di rappresentare le esi-<br />
genze del "popolo":
368 VINCENZO BINE'ITI<br />
Un tempo esisteva in Italia una «cultura» umanistica che diede <strong>la</strong>voro e<br />
dignità al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse che l'aveva promossa nel corso del<strong>la</strong> sua costitu-<br />
zione in c<strong>la</strong>sse dirigente. A questa cultura, signori, ecclesiastici, nobili e<br />
infine borghesi credettero come a un comune ideale. Le humanae litterae<br />
rappresentarono un campo di <strong>la</strong>voro che significò ragione di vita per<br />
questa gente. . . . Non è difficile dimos<strong>tra</strong>re che proprio gli elementi<br />
umanistici di questa sua ormai superficiale cultura furono l'addobbo<br />
festaiolo che permise al<strong>la</strong> borghesia italiana di ritrovarsi e compiacersi<br />
nel<strong>la</strong> baracca del fascismo. . . . Noi crediamo invece che in mezzo al<br />
sangue e al fragore dei giorni che viviamo vada artico<strong>la</strong>ndosi una di-<br />
versa concezione dell'uomo. . . . L'uomo nuovo sarà rimesso in grado<br />
di vivere <strong>la</strong> propria cultura e cioè di crederci e di produr<strong>la</strong> anche per<br />
gli altri, non in as<strong>tra</strong>tto ma in uno scambio quotidiano e fecondo di<br />
vita. Inutile dire che questa società sarà quel<strong>la</strong> socialista, e i suoi svi-<br />
luppi futuri saranno nel senso di un sempre più profondo e<br />
consapevole socialismo. (Pavese, Letteratura americana 286-87)<br />
Ancora una volta ritorna, quindi, l'interesse di Pavese-intellet-<br />
tuale spesso accusato di rinchiudersi evasivamente e passivamente<br />
nel suo "privaton-per questioni di carattere "politico," che si esprime<br />
at<strong>tra</strong>verso <strong>la</strong> condanna di quegli elementi "superficiali" di una cultura<br />
"umanistica" fossilizzata nel clima stantio del regime fascista.<br />
In un saggio inedito del 1945, dal titolo "I1 fascismo e <strong>la</strong> cultura,"<br />
Pavese analizza, in maniera matura e polemica, le motivazioni cultu-<br />
rali che avevano determinato, nel ventennio, <strong>la</strong> "chiusura" dell'intel-<br />
lettuale italiano nei confronti del<strong>la</strong> realtà circostante:<br />
In questi frangenti, <strong>la</strong> cultura italiana visse dell'illusione, perenne-<br />
mente rinnovata, che fosse possibile scavarsi una nicchia e accucciar-<br />
visi attendendo ai fatti propri, allo stesso modo che bronto<strong>la</strong>ndo si ac-<br />
cetta il cattivo tempo e ci si conso<strong>la</strong> con l'idea che dopo tutto fa bene<br />
al<strong>la</strong> campagna. . . . Ma intanto lo stato di panico in cui vissero le<br />
migliori intelligenze italiane, <strong>la</strong> continua coscienza di non aver via<br />
d'uscita se non nel<strong>la</strong> fine di un mondo, contribuirono a dare al<strong>la</strong> nos<strong>tra</strong><br />
cultura quel carattere ombroso, nevrotico, futile o disperato che <strong>la</strong><br />
con<strong>tra</strong>ddistinse nel ventennio. (Pavese, Letteratura americana 225-26)<br />
Ma l'autore riesce ad individuare, inoltre, <strong>la</strong> componente di con-<br />
<strong>tra</strong>ddittorietà incita in quel voler "andare verso il popolo" che costi-<br />
tuiva il presupposto teorico dell'attività politica di tanti intellettuali di<br />
allora:<br />
Eppure si può affermare che i migliori di noi, ombrosi e disperati<br />
com'erano, si sono sovente sorpresi, negli anni andati, a figurarsi che<br />
soltanto una cosa avrebbe potuto salvarli: un tuffo nel<strong>la</strong> fol<strong>la</strong>, un<br />
febbrone improvviso d'esperienze e d'interessi proletari e contadini,
MARGINALITAE APPARTENENZA 369<br />
per cui <strong>la</strong> speciale e raffinata ma<strong>la</strong>ttia che il fascismo c'iniettava, si<br />
risolvesse finalmente nell'umile e pratica salute di tutti. Qualcosa come<br />
andare verso i1 popolo, pensavamo talvolta. Ma beninteso «andare<br />
verso il popolo* faceva parte del<strong>la</strong> va<strong>la</strong>nga. E poi non eravamo anche<br />
noi popolo? Non è <strong>la</strong> cosa piu nevrotica sentire il bisogno di uscire da<br />
se stessi? Hanno mai di queste ubbie i popo<strong>la</strong>ni veri? (Pavese, Letteratura<br />
americana 226)<br />
La soluzione proposta da Pavese in conclusione dell'articolo, se<br />
risente tuttavia di una certa infondatezza ideologica, testimonia<br />
d'altro canto <strong>la</strong> sua determinazione nel voler superare il privilegio<br />
inutile del<strong>la</strong> "solitudine" e cercare invece nell'impegno verso gli altri<br />
<strong>la</strong> propria motivazione intellettuale:<br />
Di fatto, adesso che è finita, ci par chiaro che soltanto at<strong>tra</strong>verso <strong>la</strong><br />
strettoia di sangue e di dolore ci si poteva liberare dall'ansia. Lo<br />
s<strong>tra</strong>ppo, <strong>la</strong> crisi è avvenuta. Bisognava e bisogna vincere <strong>la</strong> paura.<br />
Anche e soprattutto quel<strong>la</strong> di sentirsi esclusi, privilegiati, soli. Se <strong>la</strong><br />
nos<strong>tra</strong> è davvero una realtà proletaria e contadina, non dovremo<br />
ostentar<strong>la</strong> come un problema o una distinzione. Basterà viver<strong>la</strong>.<br />
(Pavese,htteratura americana 226-27)<br />
La polemica di scrittori come Vittorini e Pavese si fonda perciò su<br />
di una maturata consapevolezza dal<strong>la</strong> necessità di intervenire, in<br />
quanto intellettuali ed artisti, nel vivo del dibattito culturale che ani-<br />
mava quegli anni. Scrive ancora Pavese:<br />
Se ora in buon numero gli intellettuali-e dei migliori-vengono al<br />
comunismo, quasi a sciogliere un voto formu<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> stretta di questi<br />
anni terribili, ciò significa che molti <strong>tra</strong> loro ci trovano soprattutto una<br />
condizione di libertà, un avvio a esperienze e creazioni che gli altri<br />
sistemi non consentono o non promettono altrettanto ricche. Sia <strong>la</strong><br />
promessa unicamente una diversa e piu efficace vita collettiva su cui<br />
innestare <strong>la</strong> propria vita interiore, sia una fede o, come si dice,<br />
un'ideologia vera e propria per cui <strong>la</strong>vorare e spendersi-fatto sta che<br />
in tutt'Europa, e in America e nel mondo, uomini di pensiero, di fanta-<br />
sia, di coscienza, illustri e oscuri, scelgono di celebrare <strong>la</strong> loro libertà in<br />
una prassi comunista. Ciò significa qualcosa. Anzitutto significa che<br />
per questi uomini una maggior libertà intellettuale non era sinora esi-<br />
stita. (Letteratura americana 229-30)<br />
Ed anche Vittorini esprime, pur con l'immediatezza e <strong>la</strong> sponta-<br />
neità del fervore polemico che caratterizzò quel periodo, <strong>la</strong> sua<br />
posizione critica a proposito del rapporto dialettico <strong>tra</strong> cultura e so-<br />
cietà:
370 VINCENZO BINETTI<br />
Da che cosa <strong>la</strong> cultura <strong>tra</strong>e motivo per e<strong>la</strong>borare i suoi principii e i suoi<br />
valori? Dallo spettacolo di ciò che l'uomo soffre nel<strong>la</strong> società. L'uomo<br />
ha sofferto nel<strong>la</strong> società, l'uomo soffre. E che cosa fa <strong>la</strong> cultura per<br />
l'uomo che soffre? Cerca di conso<strong>la</strong>rlo. . . . La società non è cultura per-<br />
ché <strong>la</strong> cultura non è società. E <strong>la</strong> cultura non è società perché i suoi<br />
principii sono soltanto «conso<strong>la</strong>tori», perché non sono tempestiva-<br />
mente rinnovatori ed efficacemente attuali, viventi con <strong>la</strong> società stessa<br />
come <strong>la</strong> società stessa vive. (Diario in pubblico 187)<br />
Ed ecco perchè proprio partendo da questa presa di coscienza, <strong>la</strong><br />
definizione vittoriniana del concetto stesso di letteratura "rivoluzio-<br />
naria" non può non tener conto di una condizione positiva di "crisi" e<br />
delle implicazioni problematiche che le "esigenze" del<strong>la</strong> cultura, del<strong>la</strong><br />
politica e dell'uomo in generale impongono, in maniera a volte<br />
conflittuale e controversa, allo scrittore e all'intellettuale:<br />
E se accuso il timore che i nostri sforzi in senso rivoluzionario non<br />
siano riconosciuti come tali . . .è perché vedo <strong>la</strong> tendenza a riconoscere<br />
come rivoluzionaria <strong>la</strong> letteratura . . . di chi suona il piffero per <strong>la</strong><br />
rivoluzione piuttosto che <strong>la</strong> letteratura in cui simili esigenze sono<br />
poste, <strong>la</strong> letteratura detta oggi di crisi.<br />
Rifiutare e ignorare i migliori scrittori di crisi del nostro tempo<br />
significa rifiutare tutta <strong>la</strong> letteratura problematica sorta dal<strong>la</strong> crisi del<strong>la</strong><br />
società occidentale contemporanea. E non è un rifiuto di riconoscere <strong>la</strong><br />
problematicità stessa per rivoluzionaria? Non è un rifiuto di ricono-<br />
scere <strong>la</strong> crisi stessa per rivoluzionaria? (Diario in pubblico 270)<br />
Un approccio critico che prescinda quindi da una precisa conte-<br />
stualizzazione storica del<strong>la</strong> produzione artistica di Pavese o Vittorini<br />
o che tenda ad esaminare <strong>la</strong> loro partecipazione al clima engagé degli<br />
anni '45-'50 unicamente in base al<strong>la</strong> non "linearità" ideologica delle<br />
loro dichiarazioni poetiche, finirebbe con lo sminuire <strong>la</strong> figura com-<br />
plessa di questi uomini di cultura che invece rappresentano, proprio<br />
per le con<strong>tra</strong>ddittorietà politico-esistenziali di fondo, un momento<br />
partico<strong>la</strong>rissimo e chiarificante di quel processo difficile di adatta-<br />
mento da parte <strong>dell'intellettuale</strong> italiano al continuo evolversi e mu-<br />
tarsi del<strong>la</strong> linea politica e culturale di quegli anni.<br />
I1 "caso" del Politecnico e <strong>la</strong> conseguente polemica Vittorini-<br />
Togliatti, furono certamente gli episodi emblematici di questo difficile<br />
momento storico; <strong>la</strong> decisione di Vittorini di abbandonare i1 partito<br />
ne1 '51 e lo stesso suicidio di Pavese ne1 '50 diventano, da una parte,<br />
per molti uomini di cultura, il simbolo evidente di una crisi in atto e<br />
dall'al<strong>tra</strong>, per gli intellettuali militanti fedeli al<strong>la</strong> linea "rigida" del<br />
PCI, <strong>la</strong> conclusione inevitabile di chi in effetti ai loro occhi non aveva<br />
mai vissuto coerentemente il proprio impegno ideologico. Scrive in-
MARGINALITÀE APPARTENENZA 371<br />
fatti Lucio Lombardo Radice su Rinascita a proposito di scrittori come<br />
Pavese e Moravia: "non vi è [in essi] il tono di chi denuncia . .. ma<br />
l'amarezza di chi si confessa, l'angoscia e il disgusto di chi, pur confessandosi,<br />
non riesce a liberarsi di una "decadenza" in cui continua a<br />
rimanere radicato" (166).<br />
Al di là comunque di queste osservazioni critiche, provenienti da<br />
un clima partico<strong>la</strong>re in cui <strong>la</strong> tensione fra intellettuali e potere6 si<br />
svolgeva secondo alcune dinamiche ideologiche oggi inaccettabili,<br />
non bisogna dimenticare che <strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> esistenziale di questi scrittori<br />
si evolve at<strong>tra</strong>verso una con<strong>tra</strong>ddittoria e sofferta militanza politica,<br />
senza diventare però mai accettazione incondizionata di un programma<br />
ideologico.<br />
Tale atteggiamento comporta necessariamente <strong>la</strong> messa in discussione<br />
di quel<strong>la</strong> <strong>funzione</strong> "catartica" che l'immaginario collettivo, al<strong>la</strong><br />
ricerca costante del suo mito risolutorio, voleva attribuir loro. Sebastiano<br />
Vassalli osserva acutamente come in effetti Pavese, e con lui<br />
Pasolini, siano "gli unici scrittori del Novecento ad avere <strong>la</strong><br />
consapevolezza che chi scrive non appartiene ad un'ideologia, ma ad<br />
una lingua, ad una comunità di par<strong>la</strong>nti" (Riccobono 17).<br />
Ecco quindi il valore enorme del<strong>la</strong> <strong>funzione</strong> culturale svolta da<br />
questi scrittori che se da un <strong>la</strong>to erano consapevoli, come nel caso di<br />
Pavese, del<strong>la</strong> "frattura" esistente <strong>tra</strong> <strong>la</strong> loro "<strong>appartenenza</strong> al<strong>la</strong> comunità<br />
politica degli antifascisti e <strong>la</strong> comunità globale . . . [dell'l intero<br />
Paese" (Riccobono 17), non per questo erano meno inclini a rendere<br />
gli altri partecipi e coscienti di tale conflittualità <strong>tra</strong> "passione e<br />
ideologia," at<strong>tra</strong>verso <strong>la</strong> costanza del proprio impegno e <strong>la</strong> tenacia del<br />
proprio <strong>la</strong>voro intellettuale.<br />
Ed ecco perché, infine, <strong>la</strong> problematica intrinseca nel<strong>la</strong> ridefinizione<br />
di una dinamica <strong>tra</strong> ruolo pubblico e <strong>sfera</strong> privata quale si<br />
evolve nel periodo in questione, testimonia in maniera esemp<strong>la</strong>re il<br />
significato profondo di un messaggio politico-culturale e letterario<br />
certamente capace di offrire nuove indicazioni epistemologiche ai fini<br />
di una chiarificazione non solo del<strong>la</strong> loro produzione artistica e culturale<br />
e del controverso momento storico in cui questi intellettuali<br />
vissero ed operarono, ma anche di quello che oggi potremmo<br />
chiamare lo "spettro"7 <strong>dell'intellettuale</strong> postmoderno.<br />
Del resto se l'intellettuale deve pur essere "una coscienza inquieta"<br />
(Sartre 158)~ allora il suo ruolo rimane-anche se "constata, in definitiva,<br />
di essere sostituibile" (Maldonado 19)-di fondamentale importanza<br />
all'interno del<strong>la</strong> società globale in cui viviamo; nel<strong>la</strong> misura in<br />
cui però esso non diventi nè un "chierico" pronto a dichiarare che il<br />
suo "regno non è di questo mondo" (Benda 95)? nè uno "stregone"lo<br />
capace di manipo<strong>la</strong>re per un certo fine il pubblico a cui si rivolge e<br />
quindi di fissare "in qualche modo una ma<strong>la</strong>ttia necessaria
372 VINCENZO BINETTI<br />
all'economia collettiva del<strong>la</strong> salute" (Barthes 102), ma piuttosto una<br />
<strong>funzione</strong> "deterrit~rrializzata,"~~ destabilizzante e provocatoria rispetto<br />
ad un tipo di informazione e di cultura che l'establishment e le<br />
istituzioni ci propinano e ci impongono come falsamente "oggettive"<br />
e veritiere.<br />
NOTE<br />
VINCENZO BINETTI<br />
University of Chicago<br />
'scrive TomAs Maldonado a proposito: "Non si può, infatti, negare che, già da un<br />
pezzo, si sta verificando un progressivo indebolimento del <strong>tra</strong>dizionale ruolo oraco<strong>la</strong>re<br />
<strong>dell'intellettuale</strong>, del ruolo <strong>dell'intellettuale</strong> come "coscienza morale del<strong>la</strong> nazione,"<br />
come giudice supremo degli sviluppi storici, come ze<strong>la</strong>nte guardiano dei<br />
diritti civili e umani" (52). . ,<br />
*~e~~evo, ad esempio, che alcuni mesi fa in un recente convegno patrocinato<br />
dal<strong>la</strong> Lega Nord uno degli esponenti di quel partito facendo riferimento appunto a<br />
Pasolini aveva esordito sostenendo che, se fosse ancora vivo, sarebbe stato sicura-<br />
mente un buon leghista!<br />
"<br />
3È interessante notare, a questo proposito, il commento di Pavone sul<strong>la</strong> <strong>funzione</strong><br />
del 'privato' nel periodo resistenziale: "All'impegno pubblico, che contiene inscritta<br />
in sé, scarnificata, <strong>la</strong> dicotomia vitdmorte, ripugnava autorappresentarsi come paren-<br />
tesi; ma nello stesso tempo esso era pervaso di nostalgia del<strong>la</strong> quiete di una normalità<br />
che talvolta finirà poi con l'essere vissuta come rinuncia" (522).<br />
4~ccoinfatti in quali termini era impostata <strong>la</strong> dichiarazione programmatica del<br />
PCI al V Congresso: "Non si <strong>tra</strong>ttava, né si <strong>tra</strong>tta, di reclutare nel nostro partito un<br />
certo numero di intellettuali già conquistati all'ideologia e al<strong>la</strong> politica comunista.<br />
Questo reclutamento è, senza dubbio, un fatto importante; ma l'aspetto essenziale<br />
del<strong>la</strong> nos<strong>tra</strong> azione <strong>tra</strong> gli intellettuali deve consistere nel saper porre davanti alle<br />
masse degli intellettuali il problema del rinnovamento del<strong>la</strong> cultura italiana, saldando<br />
in un fronte culturale (le cui forme organizzative debbono essere le più differenziate e<br />
le meno rigide possibili) tutti quegli uomini di cultura che sentano il bisogno di liqui-<br />
dare nel campo del<strong>la</strong> letteratura, delle arti, del<strong>la</strong> scienza i residui del fascismo ancora<br />
presenti e operanti nel<strong>la</strong> mentalità degli intellettuali. Rinnovamento del<strong>la</strong> cultura,<br />
dunque, non in senso esclusivamente marxista, ma in senso democratico-antifascista"<br />
(AA.VV. 74-75.<br />
5 ~ 'incrinature' e del discorso vittoriniano sul problema del<strong>la</strong> definizione di cultura<br />
sono state rilevate acutamente da Luperini, il quale, pur riconoscendo allo scrittore<br />
siciliano i meriti di aver sollevato importanti questioni, ne denuncia <strong>la</strong> debolezza<br />
di fondo: "<strong>la</strong> debolezza di tutto il discorso di Vittorini [sta nel fatto] che, considerando<br />
<strong>la</strong> cultura in blocco, al di fuori e al di sopra del<strong>la</strong> lotta di c<strong>la</strong>sse e dei gruppi<br />
sociali che <strong>la</strong> producono, finiva col cadere in una «mistica del<strong>la</strong> cultura»" (113).<br />
6~sorRosa evidenzia, a riguardo, il carattere "etico-politico-pedagogico" del<strong>la</strong><br />
critica letteraria in questo partico<strong>la</strong>re momento del<strong>la</strong> storia italiana: "Frutto diretto di<br />
questo rapporto assai stretto fra letteratura e potere fu in questa fase una critica letteraria<br />
impegnata e progressista, il cui carattere principale potrebbe dirsi un singo<strong>la</strong>re<br />
atteggiamento etico-politico-pedagogico, in conseguenza del quale il critico si costituisce<br />
nei confronti dello scrittore come un guardiano del<strong>la</strong> verità e un identificatore<br />
degli errori commessi: come uno, insomma, che ha il compito di dire allo scrittore<br />
quello che avrebbe dovuto fare e non ha fatto" (Lo Stato 595-96).
MARGINALITA E APPARTENENZA 373<br />
7 ~ sembra i interessante notare in questo ambito il commento di Derrida:<br />
"l"intel1ettuale . . .' dovrebbe apprendre à vivre imparando e insegnando, non a fare<br />
conversazione con il fantasma, ma a in<strong>tra</strong>ttenersi con lui, con lei, a <strong>la</strong>sciargli o a rendergli<br />
<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, sia pure dentro di sé, nell'altro, all'altro in sé: gli spettri ci sono sempre,<br />
anche se non esistono, anche se non sono più, anche se non sono ancora" (220).<br />
8~osì si esprime ancora Sartre: "Nel momento in cui tutte le chiese ci respingono<br />
e ci scomunicano, quando l'arte di scrivere, incas<strong>tra</strong>ta <strong>tra</strong> le propagande, sembra aver<br />
perso <strong>la</strong> sua efficacia peculiare, deve cominciare il nostro impegno. Non si <strong>tra</strong>tta di<br />
di<strong>la</strong>tare le esigenze del<strong>la</strong> letteratura, ma semplicemente di servirle tutte insieme,<br />
anche senza speranza" (Sartre; cit.. in Ceserani e De Federicis 525).<br />
9~criveBenda: "Intendo par<strong>la</strong>re di quel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse di uomini che chiamerò i chierici,<br />
designando con questo nome tutti coloro <strong>la</strong> cui attività, per natura, non persegue fini<br />
pratici, ma che, cercando <strong>la</strong> soddisfazione nell'esercizio dell'arte o del<strong>la</strong> scienza o<br />
del<strong>la</strong> specu<strong>la</strong>zione metafisica, in breve nel possesso di un bene non temporale, dicono<br />
in qualche modo: «I1 mio regno non è di questo mondo»" (95).<br />
lovedi a proposito: Romano 2 10.<br />
l~crivonoDeleuze e Guattari: ". . . an ideological, scientific or artistic movement<br />
can be a potential war machine, to the precise extent to which it <strong>tra</strong>ces, in re<strong>la</strong>tion to a<br />
phylum, a p<strong>la</strong>ne of consistency, a creative line of flight, a smooth space of disp<strong>la</strong>cement"<br />
(121).<br />
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