Marginalità e appartenenza: la funzione dell'intellettuale tra sfera ...
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368 VINCENZO BINE'ITI<br />
Un tempo esisteva in Italia una «cultura» umanistica che diede <strong>la</strong>voro e<br />
dignità al<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse che l'aveva promossa nel corso del<strong>la</strong> sua costitu-<br />
zione in c<strong>la</strong>sse dirigente. A questa cultura, signori, ecclesiastici, nobili e<br />
infine borghesi credettero come a un comune ideale. Le humanae litterae<br />
rappresentarono un campo di <strong>la</strong>voro che significò ragione di vita per<br />
questa gente. . . . Non è difficile dimos<strong>tra</strong>re che proprio gli elementi<br />
umanistici di questa sua ormai superficiale cultura furono l'addobbo<br />
festaiolo che permise al<strong>la</strong> borghesia italiana di ritrovarsi e compiacersi<br />
nel<strong>la</strong> baracca del fascismo. . . . Noi crediamo invece che in mezzo al<br />
sangue e al fragore dei giorni che viviamo vada artico<strong>la</strong>ndosi una di-<br />
versa concezione dell'uomo. . . . L'uomo nuovo sarà rimesso in grado<br />
di vivere <strong>la</strong> propria cultura e cioè di crederci e di produr<strong>la</strong> anche per<br />
gli altri, non in as<strong>tra</strong>tto ma in uno scambio quotidiano e fecondo di<br />
vita. Inutile dire che questa società sarà quel<strong>la</strong> socialista, e i suoi svi-<br />
luppi futuri saranno nel senso di un sempre più profondo e<br />
consapevole socialismo. (Pavese, Letteratura americana 286-87)<br />
Ancora una volta ritorna, quindi, l'interesse di Pavese-intellet-<br />
tuale spesso accusato di rinchiudersi evasivamente e passivamente<br />
nel suo "privaton-per questioni di carattere "politico," che si esprime<br />
at<strong>tra</strong>verso <strong>la</strong> condanna di quegli elementi "superficiali" di una cultura<br />
"umanistica" fossilizzata nel clima stantio del regime fascista.<br />
In un saggio inedito del 1945, dal titolo "I1 fascismo e <strong>la</strong> cultura,"<br />
Pavese analizza, in maniera matura e polemica, le motivazioni cultu-<br />
rali che avevano determinato, nel ventennio, <strong>la</strong> "chiusura" dell'intel-<br />
lettuale italiano nei confronti del<strong>la</strong> realtà circostante:<br />
In questi frangenti, <strong>la</strong> cultura italiana visse dell'illusione, perenne-<br />
mente rinnovata, che fosse possibile scavarsi una nicchia e accucciar-<br />
visi attendendo ai fatti propri, allo stesso modo che bronto<strong>la</strong>ndo si ac-<br />
cetta il cattivo tempo e ci si conso<strong>la</strong> con l'idea che dopo tutto fa bene<br />
al<strong>la</strong> campagna. . . . Ma intanto lo stato di panico in cui vissero le<br />
migliori intelligenze italiane, <strong>la</strong> continua coscienza di non aver via<br />
d'uscita se non nel<strong>la</strong> fine di un mondo, contribuirono a dare al<strong>la</strong> nos<strong>tra</strong><br />
cultura quel carattere ombroso, nevrotico, futile o disperato che <strong>la</strong><br />
con<strong>tra</strong>ddistinse nel ventennio. (Pavese, Letteratura americana 225-26)<br />
Ma l'autore riesce ad individuare, inoltre, <strong>la</strong> componente di con-<br />
<strong>tra</strong>ddittorietà incita in quel voler "andare verso il popolo" che costi-<br />
tuiva il presupposto teorico dell'attività politica di tanti intellettuali di<br />
allora:<br />
Eppure si può affermare che i migliori di noi, ombrosi e disperati<br />
com'erano, si sono sovente sorpresi, negli anni andati, a figurarsi che<br />
soltanto una cosa avrebbe potuto salvarli: un tuffo nel<strong>la</strong> fol<strong>la</strong>, un<br />
febbrone improvviso d'esperienze e d'interessi proletari e contadini,