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Marginalità e appartenenza: la funzione dell'intellettuale tra sfera ...

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370 VINCENZO BINETTI<br />

Da che cosa <strong>la</strong> cultura <strong>tra</strong>e motivo per e<strong>la</strong>borare i suoi principii e i suoi<br />

valori? Dallo spettacolo di ciò che l'uomo soffre nel<strong>la</strong> società. L'uomo<br />

ha sofferto nel<strong>la</strong> società, l'uomo soffre. E che cosa fa <strong>la</strong> cultura per<br />

l'uomo che soffre? Cerca di conso<strong>la</strong>rlo. . . . La società non è cultura per-<br />

ché <strong>la</strong> cultura non è società. E <strong>la</strong> cultura non è società perché i suoi<br />

principii sono soltanto «conso<strong>la</strong>tori», perché non sono tempestiva-<br />

mente rinnovatori ed efficacemente attuali, viventi con <strong>la</strong> società stessa<br />

come <strong>la</strong> società stessa vive. (Diario in pubblico 187)<br />

Ed ecco perchè proprio partendo da questa presa di coscienza, <strong>la</strong><br />

definizione vittoriniana del concetto stesso di letteratura "rivoluzio-<br />

naria" non può non tener conto di una condizione positiva di "crisi" e<br />

delle implicazioni problematiche che le "esigenze" del<strong>la</strong> cultura, del<strong>la</strong><br />

politica e dell'uomo in generale impongono, in maniera a volte<br />

conflittuale e controversa, allo scrittore e all'intellettuale:<br />

E se accuso il timore che i nostri sforzi in senso rivoluzionario non<br />

siano riconosciuti come tali . . .è perché vedo <strong>la</strong> tendenza a riconoscere<br />

come rivoluzionaria <strong>la</strong> letteratura . . . di chi suona il piffero per <strong>la</strong><br />

rivoluzione piuttosto che <strong>la</strong> letteratura in cui simili esigenze sono<br />

poste, <strong>la</strong> letteratura detta oggi di crisi.<br />

Rifiutare e ignorare i migliori scrittori di crisi del nostro tempo<br />

significa rifiutare tutta <strong>la</strong> letteratura problematica sorta dal<strong>la</strong> crisi del<strong>la</strong><br />

società occidentale contemporanea. E non è un rifiuto di riconoscere <strong>la</strong><br />

problematicità stessa per rivoluzionaria? Non è un rifiuto di ricono-<br />

scere <strong>la</strong> crisi stessa per rivoluzionaria? (Diario in pubblico 270)<br />

Un approccio critico che prescinda quindi da una precisa conte-<br />

stualizzazione storica del<strong>la</strong> produzione artistica di Pavese o Vittorini<br />

o che tenda ad esaminare <strong>la</strong> loro partecipazione al clima engagé degli<br />

anni '45-'50 unicamente in base al<strong>la</strong> non "linearità" ideologica delle<br />

loro dichiarazioni poetiche, finirebbe con lo sminuire <strong>la</strong> figura com-<br />

plessa di questi uomini di cultura che invece rappresentano, proprio<br />

per le con<strong>tra</strong>ddittorietà politico-esistenziali di fondo, un momento<br />

partico<strong>la</strong>rissimo e chiarificante di quel processo difficile di adatta-<br />

mento da parte <strong>dell'intellettuale</strong> italiano al continuo evolversi e mu-<br />

tarsi del<strong>la</strong> linea politica e culturale di quegli anni.<br />

I1 "caso" del Politecnico e <strong>la</strong> conseguente polemica Vittorini-<br />

Togliatti, furono certamente gli episodi emblematici di questo difficile<br />

momento storico; <strong>la</strong> decisione di Vittorini di abbandonare i1 partito<br />

ne1 '51 e lo stesso suicidio di Pavese ne1 '50 diventano, da una parte,<br />

per molti uomini di cultura, il simbolo evidente di una crisi in atto e<br />

dall'al<strong>tra</strong>, per gli intellettuali militanti fedeli al<strong>la</strong> linea "rigida" del<br />

PCI, <strong>la</strong> conclusione inevitabile di chi in effetti ai loro occhi non aveva<br />

mai vissuto coerentemente il proprio impegno ideologico. Scrive in-

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