Marginalità e appartenenza: la funzione dell'intellettuale tra sfera ...

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364 VINCENZO BINETTI zare la base storicistica della sua attività critica. (Guglielminetti e Zac- caria 19) Anche l'adesione al partito, comunque, non assume nel suo caso i caratteri di un momento "espiatorio" (Mondo 15) o di copertura, ma rappresenta invece lo sforzo cosciente di inserirsi all'interno del dibattito culturale con la consapevolezza di rendere pubbliche, attra- verso la scrittura, non solo alcune sue "simpatie" ideologiche, ma anche le polemiche ed i dubbi che quelle stesse scelte politiche com- portavano. Del resto se "il diario di Pavese Il mestiere di vivere . . . avrebbe potuto meritare da parte di Togliatti la stessa accusa di insen- sibilità politico-sociale che il leader del Pci riservava ai diari di André Gide" (Ajello 2281, è anche vero che proprio la presa di posizione pavesiana, a volte contraddittoria e certamente problematica, rispetto alla linea programmatica del partito esprime la coscienza critica di un intellettuale incapace di sottomettersi alle imposizioni restrittive di una scuola o alle direttive propagandistiche di un'ideologia. Lo stesso Elio Vittorini scrive, in un primo momento, a sottolineare la condizione di conciliabilità della propria militanza nel PCI, che il nostro lavoro non può certo ignorare il marxismo, perché nessun lavoro culturale può ignorarlo. Ma . . . può essere marxista solo nella misura e nel modo in cui il marxismo è positivo anche per i non mar- xisti, come accade che il cristianesimo sia positivo anche per chi non crede in Cristo. ("Risposte ai lettori" 2) Ed ecco, a proposito, il commento entusiasta di Italo Calvino: Ricordo quando, nella mia città di provincia, arrivarono le prime copie deli'unità, dopo il 25 aprile. Apro L'Unità di Milano: vice direttore era Elio Vittorini. Apro L'Unità di Torino: in terza pagina scriveva Cesare Pavese. . . .Ora scoprivo che erano nel campo che anch'io avevo scelto . . . queli'ideale di cultura che fosse tutt'uno con la lotta politica ci si delineava in quei giorni come una realtà naturale. (Albertoni, Antonini, Palmieri 79-80) Questo iniziale atteggiamento di fiducia, "di illusioni infantili" (Alicata 314) nella possibilità di portare avanti il proprio discorso poetico ed artistico in un'atmosfera di solidarietà ideologica e di fratellanza umana che aveva alimentato il clima del primo dopoguerra, subisce una battuta d'arresto con l'esclusione della sinistra dal governo nel maggio del 1947; una tensione questa che avrebbe portato in seguito ad una "definitiva frattura di un certo rapporto fra scrittori e politici" (Asor Rosa, "Lo Stato democratico e I partiti politici" 614) con la rivelazione pubblica dei crimini di Stalin e l'invasione dell'ungheria ne1 '56.
MARGINALITÀE APPARTENENZA 365 L'intellettuale che nel '45 aveva fermamente creduto, sulle basi di un concorde antifascismo, nella possibilità concreta di partecipazione attiva ed esaltante alla ricostruzione ed al rinnovamento di una so- cietà nuova, si ritrova adesso a fare i conti con una realtà completa- mente mutata nella quale i presupposti culturali e politici di solida- rietà del momento resistenziale sono irreparabilmente crollati o per lo meno non sono più sufficienti a colmare una sensazione incombente di vuoto e di incertezza. I1 PCI inoltre di fronte alla perdita di una certa egemonia all'interno del panorama politico italiano e nella prospettiva di raf- forzare il proprio organico, si irrigidisce ideologicamente adoperando una tattica politica che mira soprattutto ad indirizzare il ruolo degli intellettuali di partito e simpatizzanti verso una più ortodossa e meno eterogenea direttiva programmatica, onde evitare pericolose disper- sioni all'interno del partito stesso. Ad esasperare maggiormente questa "chiusura" del PCI contri- buisce l'influsso, certamente filtrato ma non per questo meno settario e determinante, che ebbe sul "milieu" culturale italiano l'imposta- zione zdanovista del discorso letterario ed artistico; è inevitabile perciò, come precisa Romano Luperini, che: il principio dell'engagement della cultura degli intellettuali di sinistra viene spinto a coincidere con quello della partiticità della cultura e "dello spirito di partito" che deve essere evidente in tutte le manifesta- zioni culturali degli intellettuali militanti; e il carattere impegnato e popolare della produzione artistica diventa accoglimento della poetica del "realismo socialista" e del principio del "carattere di partito della letteratura." (131) L'intellettuale "impegnato," dunque, soprattutto se contradditto- riamente polemico e poco accomodante dal punto di vista ideologico, visse problematicamente questa "involuzione" politica come militante iscritto al partito ma anche come scrittore e uomo di cultura che ini- zialmente aveva trovato nel mito della politica la giustificazione im- mediata al bisogno impellente di comunicazione con gli altri e che ora si ritrova a vivere una condizione di inquietudine generale e di alie- nazione profonda una volta svaniti quei valori e quelle sicurezze che erano stati il supporto ideologico ed "emotivo" del periodo resistenziale. La questione complessa del rapporto tra cultura e politica e l'influenza che tale polemica esercitò all'interno del dibattito tra intellettuali e potere, interessò e coinvolse più da vicino soprattutto Elio Vittorini. I1 nome di Vittorini è quello che più si avvicina, infatti, anche se partendo da impostazioni culturali e letterarie diverse, alle stesse controverse questioni che interessarono la vicenda intellettuale
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